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È mai esistita una società che sia morta per il dissenso? Molte di conformismo... Jacob Bronowski

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • MARTEDÌ 28 FEBBRAIO 2012

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Schifani accoglie “con soddisfazione” il presidente del Consiglio. Che risponde: «A volte capita anche questo»

La vittoria della scuola libera Monti: «Basta pregiudizi ideologici, Imu solo se commerciale»

Il premier a sorpresa in Commissione al Senato: «L’importante è che i ricavi siano investiti nell’istruzione». L’emendamento passa all’unanimità. Soddisfazione dei vescovi: «È la direzione giusta, quella europea» SERVIZIO PUBBLICO

Anticipati i tempi dei lavori

Altrimenti perché sono state chiamate paritarie?

Valsusa, in coma leader “No Tav”

Una mozione trasversale

Un codice etico per le Camere. Come in Usa

di Osvaldo Baldacci e scuole che saranno cattoliche esenti dall’Imu saranno quelle che «svolgono la propria attività con modalità concretamente ed effettivamente non commerciali».Vale a dire, per provare a spiegare nel concreto e in modo semplice, quelle che investiranno l’avanzo di bilancio, cioè l’utile, per migliorare l’offerta scolastica, il servizio di istruzione. Quindi non a fine di lucro. Una norma che verrà stabilita per legge. Lo ha spiegato ieri il premier Mario Monti in commissione Industria del Senato. Questa, ha detto Monti, è la risposta “chiara e in equivoca”. La materia dell’Ici sulla Chiesa «non era facile, forse non era stata affrontata per molti anni. Spero di essere riuscito a definire questa delicata materia». a pagina 3

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Luca Abbà fulminato: era salito su un traliccio per fermare le ruspe pronte a riprendere i lavori dell’alta velocità Marco Palombi • pagina 6

Parla padre Ciccimarra, presidente Agidae

«Era un’idea kamikaze, paghiamo già le tasse» «Alcuni riscuotono rette da 2 euro al giorno. Questo sarebbe lucrare?» Errico Novi • pagina 5

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La campagna trasversale contro la Chiesa

Il “partito mangiapreti” continua a mugugnare Da Franca Rame a Flores d’Arcais, ecco chi è rimasto deluso Riccardo Paradisi • pagina 4

Continua il massacro dell’opposizione: in meno di due giorni, più di 90 vittime

Stragi, voti-farsa e sanzioni Ue Assad vince il referendum. Ma forse l’Europa inizia a fare sul serio di Luisa Arezzo ella giornata in cui l’Unione Europea ha adottato nuove sanzioni contro il regime di Bashar al Assad dicendosi pronta a riconoscere il Consiglio nazionale siriano (Cns) guidato da Burhan Ghalioun come unico interlocutore legittimo, esattamente come si fece con il Cnt libico poco prima dell’azione militare Nato contro Gheddafi, a Damasco con l’89,4% dei suffragi è passato il referendum-farsa sul-

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EURO 1,00 (10,00

CON I QUADERNI)

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di Paola Binetti altro giorno non ha fatto granché notizia la presentazione di un Codice etico sottoscritto da settanta parlamentari in modo assolutamente bipartisan. Pochissimi i riferimenti sulla stampa nazionale, qualche passaggio in televisione, soprattutto in TG Parlamento. Eppure sulla necessità di rinnovare la politica dal di dentro sono tutti d’accordo. Ce n’è un bisogno urgente: irrinunciabile e indifferibile.

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Premiato con la moglie

Grazie Ferretti, anche l’Italia torna a vincere un Oscar di Martha Nunziata

la nuova costituzione voluto dal presidente per avviare la presunta transizione democratica del potere. Peccato che la chiamata alle urne abbia coinciso con l’ennesima carneficina ad Homs (almeno 60 morti), carneficina continuata anche ieri, in quella che ormai è un’assurda conta quotidiana delle vittime. «Al referendum hanno partecipato 8,37 milioni di votanti, pari al 57,4% del corpo elettorale» ha detto Nidal al Shaar, ministro del’Interno.

a notte degli Oscar, tenutasi a Los Angeles domenica scorsa, al Kodak Theatre, è stata anche un po’ italiana. And the Oscar goes to…. Dante Ferretti and Francesca Lo Schiavo! La frase che precede la consegna della statuetta più ambita del mondo, per la terza volta negli ultimi 7 anni ha introdotto sul palco la coppia forse non più famosa, ma certamente la più vincente, del cinema italiano.

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• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

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19.30


Il premier interviene in Senato e fuga i dubbi sull’applicazione della nuova disciplina fiscale agli istituti parificati

A scuola, di diritto

Monti chiarisce sull’Imu: «Esentasse le no profit e aperte a tutti». La Cei: «Direzione giusta». Intanto dall’Ue arriva un ok sul decreto di Franco Insardà

ROMA. Venerdì due righe dattiloscritte per evitare un inutile aggravio al vero non profit. Ieri un intervento a Palazzo Madama per fugare gli ultimi dubbi e spazzare via ogni polemica strumentale. Mentre destra e sinistra, Lega compresa, polemizzavano sull’Imu alla Chiesa ancora una volta Mario Monti ha trovato la soluzione per evitare l’ennesima imbarazzante figuraccia al nostro Paese e chiudere un contenzioso lungo più di un lustro. Come il premier ha spiegato in commissione Industria del Senato, d’ora in avanti pagheranno l’ex Ici soltanto quelle attività economiche della Chiesa che non destinano i loro utili alle finalità della propria missione.

Mario Monti, forte della sua esperienza e dei suoi rapporti a Bruxelles, è riuscito a superare l’empasse applicando alla materia lo stesso meccanismo che si utilizza per gli aiuti di Stato, quando per evitare l’accusa di dumping i singoli paesi possono concedere agevolazioni soltanto se destinate a finalità di natura sociale o scientifica. E infatti ieri il premier ha sottolineato che l’emendamento del governo ha avuto il pieno appoggio dell’Unione europea. Come ha dichiarato soddisfatto il presidente del Consiglio è stata «intercettata una preoccupazione diffusa, alla quale abbiamo cercato di dare una formulazione, spero convincente per tutti». E così, dopo l’intervento di Monti in commissione Industria

A Hong Kong la diocesi è libera dai balzelli del regime comunista (che cerca di controllarla)

Ma neanche la Cina tassa gli istituti cattolici di Vincenzo Faccioli Pintozzi a piacere, la precisazione con cui ieri il presidente del Consiglio Mario Monti ha messo a tacere le voci che volevano una prossima tassazione delle scuole cattoliche (o comunque paritarie) in Italia. Fa piacere perché il guadagno che deriva da questa offerta è immensamente superiore al costo (o al mancato ricavo) che si trarrebbe da una loro eventuale tassazione. Una tassazione che, sempre secondo Monti, ha un’aura di ideologia: ideologia che, ha chiarito il premier, deve essere sfrondata dalle considerazioni e dall’operato del governo. Fa piacere anche perché faceva un poco senso, immaginare questa tassa che non esiste neanche in Cina. La stessa Cina che ha al momento nelle proprie patrie galere tre vescovi e sei sacerdoti cattolici, imprigionati in odio alla fede. La stessa Cina che ha dato fuoco agli edifici cattolici - scuole, monasteri, chiese - non più di 30 anni fa. Ebbene quello stesso governo - uomini nuovi, forse, ma identica ideologia - quando hanno ripreso la loro vecchia isola in mano britannica (Hong Kong) hanno mantenuto l’esenzione fiscale completa degli istituti cattolici.

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chino) al leader dell’opposizione. Qui hanno studiato i figli dei boat people, gli sfollati del Vietnam, in maniera gratuita. Questo non vuol certo dire che il governo abbia intenzione di lasciare mano libera alla Chiesa locale.

Le scuole cattoliche nel Territorio sono più di 300: esse garantiscono l’istruzione migliore persino per una terra ricca come l’ex colonia. Negli istituti della Chiesa hanno studiato praticamente tutti i leader di rilievo di Hong Kong, dal capo del Consiglio legislativo (il “governetto” sempre più dipendente da Pe-

Una nuova riforma scolastica - voluta dal governo dal 2002 e varata nel 2004 - prevede che in ogni scuola sovvenzionata da esso, vi sia un nuovo organismo, l’“incorporate management committee (Imc)”, in cui vi sono rappresentanti eletti dei genitori e degli ex alunni oltre a figure nominate dal governo. Essi sono gli ultimi responsabili dell’organizzazione della scuola. Sebbene il 60% dei rappresentanti dovrebbe essere scelto dagli Sponsored body, le Chiese cristiane temono che in questo modo la proposta educativa venga politicizzata; che il governo prima o poi venga a determinare i contenuti educativi e che infine gli Sb vengano emarginati. Per questo, cattolici, anglicani e metodisti pensano che la nuova riforma tende a togliere responsabilità ai gestori della scuola (sponsoring bodies, Sb) limitando o eliminando la loro proposta educativa. Finora solo metà delle 850 scuole finanziate dal governo hanno accettato di attuare l’Imc, ma una sentenza dell’Alta corte di Hong Kong ha imposto l’estensione a tutti gli altri. Non con le tasse, dunque, ma con un controllo più sottile oggi Pechino vuole controllare i suoi istituti. Un esempio che speriamo rimanga confinato in Asia.

del Senato, impegnata a esaminare il testo del decreto sulle liberalizzazioni, l’emendamento che introduce l’Ici (o Imu) anche per la Chiesa è stato approvato all’unanimità . Per il premier il tema dell’Ici sulla Chiesa è una «materia delicata e controversa, mai affrontata in passato. Spero di essere riuscito a definire questa delicata materia in modo che la riponga, in futuro, al riparo da qualsiasi polemica su una interpretazione distorta». Per quanto riguarda le scuole, Monti ha messo in evidenza che non è corretto chiedersi se queste sono esentate dal pagamento dell’imposta in quanto tali ma «quali scuole possano essere esenti e quali siano invece soggette alla disciplina comune». E la risposta, ha spiegato in Senato, è «chiara e inequivocabile: sono esenti le scuole che svolgono la loro attività secondo modalità concretamente ed effettivamente non commerciali». Monti ha ricordato che la specificazione dei “dettagli” che contribuiranno a definire gli istituti esenti e quelli soggetti al pagamento verrà fatta in un decreto del ministero dell’Economia.

Soddisfazione per le parole di Mario Monti sono state espresse dalla Cei che, come ha dichiarato monsignor Gianni Ambrosio, presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, le scuole e le universita’, e vescovo di Piacenza, «vanno nella direzione giusta, quella portata avanti anche in Europa. Scuole e oratori sono attività no profit e non ha senso tassare attività


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È per questo che si chiamano paritarie La scelta del governo riflette l’ordinamento repubblicano, sin dai Patti Lateranensi di Osvaldo Baldacci e scuole che saranno cattoliche esenti dall’Imu saranno quelle che “svolgono la propria attività con modalità concretamente ed effettivamente non commerciali”. Vale a dire, per provare a spiegare nel concreto e in modo semplice, quelle che investiranno l’avanzo di bilancio, cioè l’utile, per migliorare l’offerta scolastica, il servizio di istruzione. Quindi non a fine di lucro. Una norma che verrà stabilita per legge. Lo ha spiegato ieri il premier Mario Monti in commissione Industria del Senato. Da parte del Governo e delle istituzioni c’è «la piena e convinta determinazione a considerare il problema dell’esatta incidenza» dell’Imu sulle Chiesta «senza pregiudizi o approcci ideologici di qualsiasi derivazione». E sull’approccio ideologico alla tematica occorre riflettere per un Paese civile. Servizio pubblico. Lo Stato lo deve assicurare. E mantenere. Per questo servono le tasse. Ma se le tasse vanno a colpire il servizio pubblico danneggiandolo, diminuendone i servizi e accrescendo le spese dello Stato tanto che i denari da spendere dopo un provvedimento finanziario sono molto superiori a quelli che da quel provvedimento si intende recuperare, allora è un non-senso. E questo cortocircuito è quello che rischiava di diventare protagonista della nuova situazione sull’applicabilità dell’IMU ai beni - diciamo così ma vedremo che è inesatto - “religiosi”. La questione descritta dai mass media come quella dell’ICI della Chiesa è (potrebbe essere,

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ma speriamo che non lo sarà) in realtà una questione ben più grave, perché riguarda il sistema dell’educazione, è un attacco al sistema dell’istruzione.Vediamo perché. Primo: la Chiesa l’Ici la paga eccome.

Basti pensare che il secondo e terzo contribuente a Roma sono l’APSA e Propaganda Fide. Inoltre su tutta la galassia delle esenzioni quella riferibile al mondo cattolico è solo una parte, che diventa una parte minima se si fa riferimento alle realtà ecclesiali. Questa era già la situazione a prima delle ultime polemiche, quelle sì ancora ideologiche. Ci poteva essere qualche abuso? Certo, come in tutte le attività umane, ma la Conferenza Episcopale si è sempre schierata dalla parte dello Stato e del pagamento delle tasse quando dovute, invi-

nello specifico. Con un rapido accenno alla questione del no profit: assurdo tassare le realtà sociali e benefiche, l’esempio classico è quello delle mense per i poveri. Ma veniamo al nodo delle scuole. Non ci stupisce scoprire che in questi giorni ci sia stato, più da parte della stampa e dei soliti noti che dal governo, un attacco ideologico e pregiudiziale. Un attacco ricco di disinformazione, controsensi e irrazionalità, come del resto accade da decenni in tutte le manifestazioni contro la scuola cattolica. Bisogna intanto ricordare che cattoliche sono meno della metà delle scuole private, e che per quanto riguarda almeno le scuole cattoliche non esiste più il concetto di scuola privata, ma di servizio pubblico di iniziativa privata, cioè le scuole paritarie, che fanno parte integrante del sistema nazionale di istruzione. Per de ideologizzare la vicenda bisognerebbe tener sempre presenti alcuni dati ufficiali e a sempre palesemente a disposizione di tutti, ma sempre tenacemente ignorati in questi ragionamenti: le scuole paritarie del servizio pubblico d’istruzione fanno scuola a un milione di ragazzi, ma cosa ancor più importante per questo tipo di ragionamento, a fronte dei tanto avversati 500 milioni scarsi di finanziamento che lo Stato offre, le scuole paritarie fanno risparmiare annualmente allo Stato 6 miliardi e 250 milioni. Senza contare che le scuole pubbliche già costano allo Stato 44 miliardi. Ecco, 6 miliardi e rotti risparmiati a fronte di pochi, pochissimi spiccioli racimolati

Gli eccessi, come in tutte le attività umane, erano certamente possibili. Ma la Cei si è sempre schierata al fianco dello Stato, invitando a pagare le tasse

che hanno chiara rilevanza pubblica e sociale. Al contrario giustamente si decide di tassare le attivita’ commerciali».

Anche dai rappresentanti delle forze politiche sono giunti gli apprezzamenti per l’intervento di Monti. Per il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini non c’è alcuna «novità, tutto come previsto. Chi gestisce esercizi commerciali deve pagare chi fa azione di servizio alle famiglie e alla comunità è giusto che sia esente». Secondo il vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato. Gaetano Quagliariello, Monti ha «richiamato un principio ineccepibile e già rintracciabile nell’enciclica Caritas in Veritate: quando un’attività scolastica privata è gestita senza fini di lucro e se-

tando a condurre accertamenti verso eventuali scorrettezze da sanzionare. Esisteva però anche una parte di potenziali equivoci, dovuta a quella famosa formula “non esclusivamente”che da ogni parte si è riconosciuto meritevole di ulteriori chiarimenti. E a quei chiarimenti il governo ha lavorato. Quali saranno gli effetti concreti e i confini della misura è ancora un po’ da verificare, visto che il provvedimento è in corso d’opera. Però qualche indicazione inizia a emergere con maggior chiarezza. E qui è arrivato il momento di entrare

condo i parametri di un servizio pubblico gode dell’esenzione dall’imposta sugli immobili, in caso contrario pagherà le tasse come tutte le altre attività lucrative». Per Beppe Fioroni del Pd il premier ha dato «certezza all’esenzione del pagamento dell’Imu per le scuole del sistema di

del Presidente in linee di indirizzo per gli enti preposti». Antonio De Poli,portavoce nazionale dell’Udc, ha sottolineato come «quando si vogliono fare gli interessi del Paese, si possono superare le ormai note contrapposizioni ideologiche tra i partiti. Il premier Monti ha agito ancora

con l’IMU: ha senso? E se l’imposizione ideologica dell’Imu voluta da alcuni fosse così pesante per le scuole paritarie da portare – come già ventilato da più parti – alla loro chiusura, quale vantaggio ne avrebbe lo Stato, chiamato a tirar fuori strutture e servizi e più di sei miliardi per fornire l’obbligatorio servizio dell’istruzione a una enorme quantità di studenti italiani?

Tutto questo quindi fuori di ogni ideologia ma solo su calcoli economici. Senza scadere nell’ideologia si potrebbe poi entrare nel merito della qualità del servizio. La critica alle scuole paritarie come scuole dei ricchi è totalmente infondata e da rovesciare: basta fare in modo non di penalizzarle ma al contrario di favorire la partecipazione degli studenti a quelle scuole. Il tutto inserito in un contesto che garantisce costituzionalmente la libertà di educazione. E richiamando la fondamentale centralità dell’educazione e dell’istruzione: non è solo il Papa Benedetto XVI a richiamare costantemente la gravità dell’emergenza educativa, nella formazione di persone e cittadini prima ancora che di cristiani. È anche la società a lamentare la crisi educativa che investe una scuola che non dà quanto dovrebbe e mina così il futuro: nella scuola bisogna investire di più e meglio, non danneggiare pregiudizialmente le realtà che funzionano meglio.

stata una batosta a chi già va avanti con fatica. Ecco perché era indispensabile vincere questa battaglia a favore delle scuole paritarie che l’Udc ha portato avanti fin dalle prime battute». Il presidente dei senatori centristi a Palazzo Madama. GianPiero D’Alia si sofferma su un altro

Quagliariello: «Richiamato un principio ineccepibile e già rintracciabile nella Caritas in Veritate». D’Alia: «Se un’assunzione di responsabilità la fa la Chiesa a maggior ragione la deve fare chi ha goduto fino a oggi di rendite di posizione» istruzione pubblico e per gli ospedali e case di cura del sistema sanitario nazionale. Le sue parole fugano i dubbi che avevamo sollevato e la necessità di porre in votazione il nostro emendamento con l’impegno del governo di trasformare le parole

una volta con equilibrio e buon senso comprendendo la preoccupazione diffusa di chi aveva, nei giorni scorsi, espresso le proprie perplessità. In Italia sono 4310 le scuole paritarie che ospitano più di 284 mila bambini. L’applicazione dell’Imu sarebbe

aspetto: «Se un’assunzione di responsabilità la fa la Chiesa, che non ha scopo di lucro a maggior ragione la devono fare coloro che hanno goduto fino ad oggi di rendite di posizione e che invece ora devono cedere il passo al profondo cambiamento delle re-

gole di mercato introdotte con questo decreto dal governo Monti». Anche l’Anci, nelle parole del sue presidente Graziano Delrio, plaude alla conclusione della querelle: «Se da una parte l’Imu, che la Chiesa verserà sugli immobili per attività commerciale, è giusta, d’altra parte non la si può prevedere per immobili dedicati ad attività di servizio pubblico, non lucrativo, come ad esempio quelle educative e assistenziali».

E su Twitter arriva il commento brillante del capogruppo di Fli alla Camera, Benedetto della Vedova: «Imu alla Chiesa: anche così con le regole, si supera Porta Pia. Bene Monti e Parlamento unanime (!!). Ma ci voleva tanto?».


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l’approfondimento

A destra e sinistra c’è chi firma appelli e propone emendamenti per Ici e Imu alla Chiesa. Ma conosce poco e male la storia italiana

I mangiapreti

Su questa vicenda si è scatenato il partito trasversale di chi vorrebbe a tutti i costi vedere il mondo cattolico pagare come se fosse un’azienda. Anche per i servizi sociali riconosciuti da Monti. Ecco l’elenco di chi è rimasto deluso di Riccardo Paradisi quando comincia a serpeggiare la voce – la tentazione? - di far pagare anche l’Imu alle scuole cattoliche che la Chiesa - laici e religiosi - smettono di offrire l’altra guancia alla lunga offensiva del fronte trasversale laicista. “C’è un limite a tutto” devono aver pensato le gerarchie, laici e religiosi impegnati nel terzo settore. Esasperati dall’escalation della campagna anticlericale innescatasi sul sempre vivo fiume del risentimento anticattolico che i radicali italiani sono da anni impegnati, con zelo religioso, a tener vivo ma che taglia trasversalmente destra e sinistra italiane.

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E così quando si comincia a parlare di tassazione sugli immobili anche per le scuole cattoliche arrivano le reazioni di responsabili di importanti congregazioni – i salesiani in primis. In caso di introduzione dell’imu – dicono chiaro e tondo – verrà distrutto il sistema dell’istruzione

paritaria cattolica . È chiaro che si tratterebbe di un colpo micidiale alla qualità della scuola italiana, un fatto dagli effetti sociali devastanti. Si pensi solo che cosa vorrebbe dire per molte famiglie la chiusura o un’impennata verticale delle rette di asili nido e scuole materne e cosa questo significhi in termini di ricasco sui già popolatissimi asili nido pubblici. Il governo si rende conto che la situazione ha preso la mano e cerca di correggere il tiro. E così arrivano prima le rassicurazioni - per la verità abbastanza generiche e confuse – del ministro dello sviluppo economico Corrado Passera: «Il governo farà molta attenzione nel rendere operativa la decisione di estendere la tassazione immobiliare alla Chiesa». Poi quelle più precise del sottosegretario all’Economia Polillo: «Se la retta alla scuola parificata serve a sostenere i costi di gestione non si può considerare attività commerciale». Quindi, buon ultimo, il chiarimento definitivo del premier Monti: «Le

scuole esenti sono quelle che svolgono la propria attività in modo concretamente non commerciale». Un pleonasmo, considerando che i proventi delle rette non servono alle scuole cattoliche per attività commerciali ma a solo a mantenersi, ma utile a mettere fine a un’escalation assurda di demagogia. Un piccolo passo verso il buon senso in mezzo a un diluvio di disinformatia che unisce trasversalmente destra e sinistra, unite nella tentazione di stornare sulla

Si tenta di stornare il malcontento sociale sulla Chiesa

Chiesa il disagio e il risentimento sociale diffuso. Col paradosso di colpire il principale ente caritatevole attivo nel territorio.

Che l’Imu alle scuole pubbliche non statali cattoliche fosse una follia lo aveva capito subito del resto anche un esponente del fronte laico come il senatore e coordinatore delle commissioni economiche per il Pd Paolo Giaretta: «Un provvedimento sbagliato – spiegava - trattandosi di Istituti che, proprio perché parificati, hanno una serie di obblighi e di vincoli». Proprio perché parificati infatti gli istituti cattolici svolgono un servizio di supplenza e di eccellenza a tutti i livelli. Non solo; garantiscono una libertà e una pluralità di insegnamento in Italia sempre osteggiata e frenata. Nemmeno con i governi di centrodestra le scuole parificate sono riuscite ad avere pari dignità rispetto a quelle pubbliche e il buono scuola – proposta che nella legislatura 2001-2006 agitò per qualche tempo l’allora mini-

stro dell’istruzione Letizia Moratti – rimase semplicemente una buona proposta. Andrebbe peraltro ricordato che in tutta Europa le scuole non statali di ispirazione religiosa o laica sono finanziate dallo Stato in modi diversi; in Francia - per dire - lo stato paga gli stipendi agli insegnanti così da garantire la libertà di educazione, rendendola accessibile a tutti. E si dovrebbe sapere che in Italia queste scuole fanno risparmiare allo stato circa 8 miliardi di euro all’anno ricevendo in cambio sussidi miserabili. Ma il pregiudizio ideologico e la demagogia fuggono l’argomentazione razionale per confermare i propri pregiudizi. Pregiudizi laicisti e anticlericali in questo caso che i radicali declinano con particolare aggressività. A parte le consuete performance tardopannelliane di Marco Staderini ossessionato dall’oro dei crocefissi – qualcuno gli spieghi che non sono ornamenti per la vanità di vescovi e cardinali – i radicali arrivano a


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L’Agidae riunisce 10mila strutture formative: «Alcune riscuotono rette da 2 euro al giorno: è lucro?»

«Sarebbe stata una tassa kamikaze, avrebbe cancellato 150mila posti» Parla padre Ciccimarra, che presiede la rete degli istituti cattolici: «Ambigua anche la legge attuale: già arrivano cartelle per milioni» di Errico Novi

ROMA. Chissà come finirebbe se il governo provasse a confrontarsi anche con gli uomini di Chiesa preposti alla conduzione di attività sociali, oltre che con i sindacati. Forse immaginano di trovarsi innanzi uomini di fede pronti a brandire il sacro principio per cui l’eccezione è semplicemente giusta, e di chiuderla lì. Con un inchino e un decreto alle spalle. Ci vadano, a parlare con don Franco Ciccimarra, padre barnabita che presiede l’Agidae, una delle principali reti della formazione paritaria. Altro che concertazione: li inchioderebbe di alla glacialità dei numeri, padre Franco. Altro che sfizio anticlericale. «Macché. Forse qualcuno al’interno della maggioranza ne fa sul serio una questione ideologica. Scendano sulla terra: qui parliamo di posti di lavoro, almeno 150mila. E di servizi alle famiglie senza i quali si fermerebbe l’Italia». Ecco, i numeri. Alcuni colpiranno anche i radicali più irriducibilmente schierati sul fronte della tassa ai salesiani: «Due milioni di euro: è la somma di quattro cartelle esattoriali arrivate ad alcuni nostri istituti di Napoli. Già ora la normativa è suscettibile di interpretazioni diverse. Roba non solo da chiudere le scuole, ma da doversi vendere gli edifici. Però mi chiedo: chi se li compra? Lo Stato dismette tutto, mi pare. Figurarsi se spende milioni per acquistare palazzi di quelle dimensioni. Semplicemente, cancellerebbero un sistema che fornisce un servizio praticamente insostituibile».

Padre Franco non ci trattiene con lunghe disquisizioni sulla scuola libera, sul valore della scelta da lasciare alle famiglie, insomma sulla piattafoma pure quella ideologica pietrificata da legislature inconcludenti. No, il presidente dell’Agidae ci mette di fronte a fatti di estrema concretezza. «Anche se prima di tutto va ricordato che c’è una definizione sancita per legge, la 62 del 2000 per la precisione: le nostre sono scuole pubbliche. Non private, pubbliche. Semplicemente non è lo Stato ad aprirle ma un altro soggetto. Se dunque lo Stato, com’è ovvio, non impone l’Ici agli istituti che gestisce direttamente, perché dovrebbe farlo con altri istituti comunque pubblici? Poi, a proposito di leggi, suggerirei una ridefinizione semantica: se davvero si mette l’Ici sulle scuole cattoliche, il nome del decreto dovrebbe passare da Cresci-Italia ad Affossa-Italia». Ecco perché: «Abbiamo 10mila scuole. Ci lavorano appunto in 150mila, tra professori, personale non docente e senza considerare l’indotto». Tutti potenzialmente senza lavoro. «E cosa

pensa, lo Stato, che 150mila persone si trovano senza reddito e non diventano immediatamente un costo per la collettività? Scoppierebbe la rivoluzione. Considerate poi che appartiene al mondo dell’istruzione cattolica il 44 per centro delle scuole materne. L’Italia si fermerebbe, le famiglie non saprebbero più dove lasciare i bambini. Chi lo assume quel servizio?».

Altro che crociate e scomuniche. «Svolgiamo un servizio pubblico di rilevanza sociale. Come con le case di riposo». O con gli ospedali. Ma padre Franco

«Se lavorassimo gratuitamente come pagheremmo gli insegnanti? Senza ammortizzatori sociali avremmo già chiuso»

preferisce occuparsi del suo. «Se applicassero l’imposta sulla gestione, anziché sulla metratura degli immobili, non ci sarebbero problemi: tanto siamo tutti in deficit». Cioè siete incapienti? «Be’. se poi lo Stato si facesse carico di accollarsi le perdite... Che dire? Teniamo tutto in piedi anche grazie ai contratti di solidarietà: tagliamo lo stipendio degli insegnanti del 20-30 per cento per andare avanti. Ecco qual è la realtà, altro che profitto. Ripeto, i nostri istituti sono in perdita per il 99 per cento dei casi. Ma se pretendono l’Imu, si chiude in ventiquattr’ore. I palazzi sono grandi, e il criterio di calcolo è cambiato proprio con il Salva-Italia: arriverebbero cartelle da 100 milioni di euro. E come le paghiamo? Noi cerchiamo di salvare i posti di lavoro e loro mettono le tasse. Mi chiedo se chi ha promosso questa norma abbia usato il raziocinio».

Sarebbe una scelta suicida, in ogni caso, se a dispetto di parziali ripensamenti alla fine l’Imu si applicasse davvero anche sulle attività sociali. «Se vogliono chiudere le scuole lo dicano, È una scelta kamikaze. Se mettiamo insieme tutte le attività sociali a carico della Chiesa arriviamo a mezzo milione di addetti. Ma di cosa parliamo?». Don Franco difficilmente incontrerà rappresentanti dell’esecutivo. «Non faccio parte del gruppo che cura i rapporti istituzionali. Sono tra coloro che hanno in capo la parte amministrativa. Conosco in concreto i fatti di cui si parla. Invece temo che chi ha avanzato le ipotesi iniziali non li conosca». Ma com’è possibile che qualche cartella è arrivata già? «Esistono difformità di interpretazione da parte dei magistrati. Alcuni ritengono che già con la legislazione attuale si possa esigere l’Ici dalle scuole cattoliche. Sarebbe utile se lo Stato facesse chiarezza e distinguesse ciò che davvero costituisce profitto. Alcune delle nostre scuole chiedono rate da 80 euro al mese per dieci mesi. Sono 800 euro l’anno, divisi per i giorni dell’anno scolastico sono 2 euro al giorno. È un profitto? Se chiedere soldi, anche due euro al giorno, comportasse, secondo la legge, l’esistenza di un’attività commerciale, dovremmo chiudere, punto. Ma vorrei capire: se non si chiede una retta, come si pagano gli insegnanti?». Si fa tanto, dice padre Ciccimarra, «per poter dare un contributo alla vita del Paese, culturale, sociale. Il momento peggiore, la sensazione più sgradevole, c’è stata dopo che Napolitano ha rivolto un elogio ai nostri istituti e ricordato il contributo dato al welfare dell’Italia, quando cioè a pochi minuti di distanza le agenzie hanno battuto la notizia sull’Imu. Suonata per noi come una beffa».

punti di perfidia nella loro polemica: «La carità è una virtù teologale e gli uomini di fede dovrebbero reagire con vigore se divenisse materia legislativa.» Un discorso che per la nota filantropia radicale potrebbe essere reversibile rispetto ai contributi di milioni di euro legittimamente percepiti ogni anno da radio radicale, che offre un meritorio servizio pubblico, come del resto altre emittenti, tra cui per esempio Gr-parlamento.

Ma non ci sono solo i radicali schierati in questa battaglia laicista. Ci sono i venti deputati Pd capeggiati da Barbara Pollastrini - oltre naturalmente a Ignazio Marino - impegnati con particolare foga nell’assecondare uno dei filoni web più cliccati dalle frange lunatiche dell’indignazione permanente per Ici e Imu alla Chiesa. C’è il leader di Sel, Nichi Vendola, un altro ”cattolico adulto”per cui la Chiesa deve pagare l’Imu perché è un fatto di decenza e corrisponde al principio evangelico “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. C’è Franca Rame nota attrice, moglie e vestale del nobel Dario Fo, anche lui firmatario dell’appello indetto da Micromega e dal suo direttore Paolo Flores d’Arcais, un altro che cita spesso il vangelo, impegnato nella promozione d’un suo saggio dove si afferma che Gesù Cristo non s’è mai proclamato il figlio di dio. E poco importa che sia stato proprio Gesù Cristo a dire“Chi vede me, vede il Padre”(Gv 14,9). Ma nella compagnia di giro dei radicalizzati c’è anche gente di minori pretese, qualche esponente laicista di Fli – come Aldo Di Biagio - e alcuni esponenti del Pdl: «Se per salvare il nostro Paese dal default s’impongono duri sacrifici a tutti penso sia giusto e doveroso chiederne anche alla Chiesa» afferma in un suo compitino Gabriella Giammanco del Pdl.Viviana Beccalossi, ex An nel Pdl propone addirittura un suo emendamento per far pagare l’Ici alla Chiesa: «Escluderei i luoghi di culto – chiarisce però bontà sua – quali Chiese ed oratori» E poi aggiunge: «Ho seri dubbi che l’emendamento passi perché in Italia nessuno s’azzarda a toccare la Chiesa». Qualcuno informi l’onorevole Beccalossi che in Italia venne varata nel 1865 la legge Ferraris. Legge che ha tolto personalità giuridica agli ordini religiosi, ha incamerato un terzo dell’asse ecclesiastico immobiliare nello Stato (attorno ai seicento milioni del tempo), ha soppresso circa venticinquemila enti ecclesiastici. Non è un motivo sufficiente per infangare il Risorgimento italiano, una pagina straordinaria della nostra storia unitaria, ma è uno dei motivi- tra gli altri – che spiegano perché esistono dei rapporti particolari tra la Chiesa e lo stato italiano. La storia non è acqua. Basterebbe conoscerla per capire il perché e il per come di tante cose.


società

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Minacce dagli anarchici al procuratore Caselli, la solidarietà dell’Udc

Val di Susa, leader No Tav cade fulminato L’uomo, in prima fila contro l’alta velocità, era salito in cima a un traliccio per fermare le ruspe pronte a iniziare i lavori ferroviari. A Termini bloccati i binari dai manifestanti di Marco Palombi lla fine la guerra figurata s’è fatta vera. La valle assediata, il cantiere minacciato, i fronti contrapposti, resistere fino alla fine, andare avanti costi quel che costi. Le parole, quando diventano senso comune, cessano di raccontare il mondo e si danno da fare per costruirlo: è quel che è accaduto, che sta accadendo, in Val di Susa attorno al cantiere di quell’opera malnata e peggio portata avanti che va sotto il nome di Tav, l’Alta velocità ferroviaria. Nel resto d’Italia, tra cantieri e legittimi timori delle popolazioni s’è trovata l’eterna via di sfogo dei fondi di compensazione ai comuni (io faccio il tunnel, tu l’asilo), ma vicino alla Francia l’ultimo progettone approvato da un governo italiano senza gara europea (dicembre 1992) ha trovato la sua nemesi.

A

In valle quei 50 km di tunnel per collegare il

treno veloce a Lione continuano a non volerli, la politica – pure largamente favorevole al progetto – per anni non ha saputo spiegare la sua posizione, né d’altronde rivederla o portarla avanti.

Adesso, però, si procede, forse troppo tardi, con intorno una situazione ormai incancrenita da anni di accuse e finte battaglie, settimane di nuove esplosioni fantastiche (gli arresti di 25 militanti per gli scontri di luglio, i “Caselli come Ramelli” dei centri sociali) culminate nella manifestazione quasi pacifica di sabato scorso: ecco il clima in cui Luca Abbà, agricoltore di 37 anni, ha ri-

schiato di diventare la prima vittima vera dell’annosa guerra di carta tra Tav e no-Tav.

Le sue terre sono vicine a dove si vorrebbe “bucare”, un pezzo glielo avrebbero espropriato proprio ieri mattina (insieme ad altri 49) per allargare il cantiere. Per questo Abbà era un No-Tav e stava nella baita che costituisce il presidio più avanzato del movimento, per questo ieri mattina è salito su un traliccio dell’energia elettrica, si è vantato parlando al telefono con Radio Blackout di aver gabbato le forze dell’ordine, ha minacciato di appendersi “ai fili della corrente” se tentavano di ti-

a causa era sbagliata, ma Luca Abbà ci ha messo la faccia, anzi, tutto il corpo e la vita e, allora, giù il cappello. Quando ieri mattina è salito sul traliccio per protestare contro l’ampliamento del cantiere Tav, l’agricoltore avrà avuto il cuore in gola, un po’ per fatica e un po’ per l’emozione. Sull’accaduto ci sono almeno due versioni che circolano. Ma prima di raccontare “come sono andati i fatti”è meglio dire “come sono andate le idee”: male. Sugli espropri e i lavori di quel corridoio ferroviario per l’alta velocità non c’è mai stata pace. Lo scontro tra i sì e i no è stato sempre radicale e ideologico, come se nella Val di Susa si fossero concentrate le tante contraddizioni non sciolte della nostra malferma democrazia. Il contadino che ora è in coma aveva qualche ragione in più di protestare e opporsi perché era ritornato per coltivare la sua terra che ora vedeva in parte sottrarsi. In lui, forse, era più la terra che l’ideologia a protestare. Luca Abbà, proprietario di una parte delle terre espropriate, voleva che su quelle terre ci fossero le coltivazioni e non i treni. A lottato per la sua convinzione fino a mettere a repentaglio la sua esistenza, restando folgorato, cadendo da oltre dieci metri ed entrando in coma al-

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l’ospedale di Torino. Vedeva nell’alta velocità un male estremo e vi ha opposto un rimedio estremo: la vita. Il suo pensiero e le sue scelte non le condividiamo ma il rispetto dovuto alla sua volontà di sacrificio è totale. Ma i fatti? Come sono andati i fatti ieri mattina verso le 9 giù e su quel traliccio? Ecco le due versioni del fatto per come le riportava il Corriere on line nel primo pomeriggio. Luca Abbà era salito sul traliccio per resistere allo sgombero della baita che da mesi è diventato un punto di riferimento per gli attivisti. Un’azione che era stata decisa la sera prima con gli altri militanti e aveva come obiettivi quello di rallentare i lavori e attirare l’attenzione della Valle. Intorno alle 9 secondo alcuni testimoni, gli agenti hanno cercato di raggiungerlo. Quindi è salito ancora. Poi una scintilla. E l’uomo è caduto da circa dieci metri. Chi era presente racconta di un’attesa di “almeno 15 minuti prima che arrivassero i soccorsi”. Maurizio Berardino, il responsabile del Pronto Soccorso, ha da subito parlato di “condizioni gravissime. In questo momento è sedato e intubato. La portata dei danni da folgorazione sarà valutata nelle prossime ore”. La ricostruzione della polizia è un po’ diversa e più particolareggia-


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rarlo giù e poi è andato giù davvero: fulminato. A terra sembrava morto, invece pare che se la caverà: “Sono moderatamente ottimista”, dirà qualche ora dopo il medico che lo ha in cura. Anche se il fatto in sé è solo l’ultimo tassello di un effetto domino cominciato anni fa, sarà la dinamica dell’incidente a tenere banco nei prossimi giorni: per i no-Tav c’è dietro la polizia fascista, per l’altro fronte Abbà ha fatto tutto da solo.

I l p u nt o d e l c o nt e nd e r e è quello: le ultime parole in radio del manifestante erano state “adesso stacco perché sta salendo un rocciatore e devo attrezzarmi per difendermi”. Per i no-tav significa che il o i carabinieri rocciatori hanno spinto (non fisicamente) Abbà contro i fili. Ma in ogni caso, spiega Vittorio Agnoletto, già portavoce dei no-global a Genova nel 2001, quanto accaduto “va iscritto alla responsabilità dei vertici delle forze dell’ordine e alle scelte che queste hanno adottato”, anche perché ai loro vertici ci sono proprio molti di quelli che gestirono il G8 nel capoluogo ligure. La Questura invece ha diffuso una nota sulla questione: le forze dell’ordine si sono comportate perfettamente, stavano sotto il traliccio a

Nell’agricoltore in coma era più forte la voglia di riavere la sua terra che l’ideologia

Luca, la difesa delle idee Il sacrificio estremo di chi difende una causa sbagliata merita rispetto di Giancristiano Desiderio

Luca Abbà, il contadino 34enne caduto per aver afferrato i cavi dell’alta tensione. In alto, immagini dalla Val di Susa

ta. Agenti in abiti civili “hanno immediatamente e ripetutamente invitato” il leader No Tav “a desistere dall’iniziativa e a scendere» dal traliccio sul quale era salito. “Non cogliendo Abbà tale invito - si legge ancora nel comunicato della questura di Torino - si faceva intervenire personale specializzato del nucleo rocciatori della Polizia di Stato al fine di soccorrere il manifestante, che, invece, dichiarava la sua ferma e convinta intenzione a rimanere sul traliccio, pur di fronte ai ripetuti ammonimenti di pericolo concreto”. A questo punto - riferisce la Questura - personale di Polizia,“al fine di salvaguardare l’incolumità”di Luca Abbà,“faceva avvicinare al traliccio un attivista del movimento, già presente al presidio Clarea, per ribadire ulteriormente l’invito” ad Abbà “di porsi in sicurezza, ennesimo invito rimasto inascoltato. Dopo qualche minuto il manifestante cadeva al suo-

lo”. Incidente, fatalità o volontà? Luca Abbà ha condotto in modo estremo la sua battaglia e non si è tirato indietro nemmeno davanti alle estreme conseguenze da lui stesso anticipate o espresse: “Non salite o m’appendo ai fili”.

Fin qui i fatti drammatici. Poi si è passati ai fatti commentati. Dopo la sua caduta e la diffusione della notizia del sacrificio del leader del movimento anti-tav, Alberto Perino, altro esponente di spicco dei No Tav ha dichiarato: “Se cercavano il morto, ci sono quasi riusciti”. Ma se è vera la ricostruzione del fatto e del modo in cui l’agricoltore di Chiotomone è caduto dal traliccio sul quale era salito, la dichiarazione di Perino fa torto non solo ai fatti ma anche allo stesso Abbà che ha voluto fare del suo stesso corpo fiamma e testimone pur di opporsi al cantiere dei lavori. Prima di cadere, Luca Abbà si era collegato

con Radio Black Out e descrivendo la scena dall’alto del traliccio diceva:“Non vedo tensioni né violenza”. Certo, c’era un grande dispiegamento di forze, come è naturale ma mentre i cronisti della radio parlavano di “sbirri”, lui, Abbà, dall’alto del traliccio ai piedi della montagna poteva testimoniare l’assenza di scontri, provocazioni e violenza. Testimonianza quanto mai importante perché è fin troppo facile prevedere che ora, proprio a partire dal coma di Abbà, ci sarà un inasprimento dello scontro e magari si cercherà di individuare responsabilità degli agenti. Invece, la telefonata di Abbà e la cronaca radiofonica sono preziose e ci raccontano di un agricoltore che conoscendo bene la sua terra, i luoghi e la montagna ha percorso un’altra strada rispetto a quella presidiata e eludendo i controlli è riuscito a salire sul traliccio come se avesse conquistato la bandiera del “nemico”.

chiedere alla vittima di scendere e poi quello, per qualche motivo, ha toccato i fili della corrente. Non è mancato nemmeno il video-commento di Beppe Grillo, forse il più famoso tra i sostenitori del movimento contro il tunnel ferroviario: “Sto seguendo quello che sta succedendo - ha detto il fondatore del Movimento 5 Stelle - un ferito grave in val di Susa, l’accerchiamento della baita con persone dentro. Di nuovo violenze. A chi servono queste cose? E’ il momento di capire: dopo la Tav ci saranno il terzo valico, le gronde, il ponte sullo Stretto... Mandiamo a casa questa gente.Vi prego! Prima che scoppi un casino ancora più grosso”.

Al di là dell’incidente, però, il punto vero sono gli espropri cominciati ieri, un segnale che la Ltf (Lyon Turin Ferroviaire, la società che deve realizzare il tunnel) vuole partire coi lavori: il Legal team dei no-Tav l’ha definita addirittura “una vera e propria emergenza democratica”, ma il nodo è quello. Anche qui non tutto è chiaro: “Ltf si è presentata – spiegano gli avvocati del movimento – soltanto con un’ordinanza prefettizia, in palese violazione dell’articolo 2 del Testo unico di Pubblica sicurezza, che prescrive quella procedura soltanto in casi di estrema urgenza, che qui non vi sono. Presenteremo immediato ricorso al Tar del Piemonte”. Per la società è invece, ovviamente, tutto in regola. Sta di fatto che tra espropri e l’incidente che ha quasi ucciso Luca Abbà la situazione è di nuovo caldissima: ieri ci sono stati presidi contro l’Alta velocità in cinquanta città italiane, alcune centinaia di persone hanno bloccato l’autostrada Torino-Bardonecchia, in molte aziende della Val di Susa sono scattati scioperi spontanei, partiti e movimenti della sinistra sono tornati a chiedere con forza lo stop al progetto, un giornalista della Stampa è stato allontanato a schiaffoni dall’ospedale in cui è ricoverato l’agricoltore-militante. Il carico da novanta ce lo hanno messo i servizi segreti nella loro relazione annuale al Parlamento: in Val di Susa, scrivono, agisce un “articolato fronte di lotta, determinato a resistere ad oltranza contro la grande opera”, è proprio lì che si va costituendo una saldatura tra le varie anime sempre divise dell’antagonismo italiano con “tentativi di conferire alla protesta una nuova spinta di collaborazione e convergenza sui temi dell’ambiente, del lavoro, della ‘repressione’, dei beni comuni, nonché sulle conseguenze della crisi nel territorio in termini di occupazione, reddito, tariffe, servizi e diritti sociali”. E’ la guerra di carta, almeno per ora.


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altro giorno nella Sala Stampa della Camera non ha fatto granché notizia la presentazione di un Codice etico sottoscritto da settanta parlamentari in modo assolutamente bipartisan. Pochissimi i riferimenti sulla stampa nazionale, qualche passaggio in televisione, soprattutto in TG Parlamento. Eppure sulla necessità di rinnovare la politica dal di dentro sono tutti d’accordo. Ce n’è un bisogno urgente: irrinunciabile e indifferibile. Il nostro Paese sembra imputare all’incompetenza e alla corruzione del mondo politico la drammatica situazione economico-finanziaria che gli italiani stanno vivendo. Si chiedono loro competenze concrete, che dimostrino la loro idoneità a legiferare e a governare. Si pretende un cambiamento radicale di stile e di comportamento sul piano etico. Il nuovo Codice proposto dai 70 parlamentari vuole ripartire dall’articolo 54, secondo comma, della nostra Costituzione. L’articolo in questione, sconosciuto ai più, stabilisce che i cittadini chiamati a svolgere funzioni pubbliche devono adempierle “con disciplina ed onore”. Un’espressione molto sintetica, ma di grande forza espressiva perché impone non solo il rispetto della “legalità formale”, ma anche l’osservanza di principi etico-morali, di cui il popolo italiano ha capito di non poter assolutamente fare a meno. Due parole che sembrano uscite dal lessico comune delle persone: “disciplina ed onore”, e come accade quando le parole “muoiono”, anche i valori che esprimono sembrano dissolversi rapidamente. Non a caso molte riforme cominciano con i cambiamenti linguistici: la neo-lingua di Orwell ha fatto scuola per decenni. Se non pronunci quelle parole è come se i concetti, i valori, che comunicano sparissero anche loro… Eppure è proprio da lì che occorre ricominciare, senza scivolare in una facile retorica, ma senza neppure farsi condizionare da una anti-retorica strumentale alla cancellazione dei valori in gioco. Occorre dire con semplicità, con chiarezza e con fermezza che i nostri Padri costituenti avevano, e hanno ancora oggi, assoluta ragione quando pretendono un forte senso dell’onore e della disciplina da chi svolge ruoli pubblici.

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Da questa norma costituzionale si deduce infatti che coloro che ricoprono incarichi istituzionali debbono compiere le proprie funzioni in modo imparziale, nel pieno rispetto della legge. Debbono perseguire l’interesse pubblico, collaborando lealmente con i diversi poteri dello Stato. Debbono improntare i propri comportamenti alla sobrietà, alla serietà ed alla morigeratezza indispensabili in quanti sono chiamati a rappresentare il Paese e le sue Istituzioni democratiche. Da qualche decennio invece si nota l’emergere di stili di vita difficilmente compatibili con la dignità di chi governa e con il decoro delle istituzioni e della vita pubblica. Si

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È iscritta a parl Un gruppo trasversale di parlamentari propone un Codice per tornare alla “disciplina e all’onore” nella politica. Come in Francia e in America di Paola Binetti assiste a comportamenti in stridente contrasto con il tradizionale patrimonio morale del popolo italiano, che dai suoi legislatori e dai suoi governanti si attende un concreto esercizio delle cosiddette virtù repubblicane. Il senso dell’onore è il contenuto pregnante di queste virtù, mentre il senso della disciplina rappresenta lo sforzo necessario, costante, per passare dai propositi ai fatti, dalle belle parole alla realtà. Occorre ricominciare da valori facilmente riconoscibili come l’onestà e la sobrietà, la giustizia e la competenza, la lealtà e il rispetto per la verità, la mancanza di conflitti d’interessi e la solidarietà, soprattutto quando è in atto una pesante crisi economica che penalizza le famiglie più a rischio. Il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica è stato segnato proprio dalla drammatica scoperta

liani scoprono che quella malattia non era stata estirpata, che si è riprodotta e la nostra società stenta a credere che si possa guarire da un cancro così malignamente diffuso: dubita del malato, delle medicine e dei potenziali medici.

Nell’opinione pubblica, ormai già da alcuni anni, si stanno diffondendo sentimenti di profondo disagio e di insofferenza per la condotta di quegli uomini politici, che venendo meno alle responsabilità connesse agli incarichi istituzionali hanno avuto comportamenti inadeguati al loro ruolo. Hanno cercato di assicurare a sé stessi o ai propri “amici” vantaggi legati alle funzioni che svolgono, abusando dei propri poteri e delle risorse di cui dispongono in ragione dell’ufficio che ricoprono. La risonanza che trova sulla stampa

Il nostro Paese sembra imputare all’incompetenza e alla corruzione del mondo politico la drammatica situazione economico-finanziaria che gli italiani stanno vivendo. Si chiedono loro competenze concrete e onestà di gestione che quell’ethos condiviso, a cui è in gran parte attribuibile il miracolo italiano degli anni del primo dopoguerra, si era ormai dissolto nella coscienza di molti dei suoi governanti.

La seconda Repubblica sarebbe dovuta ripartire da un rinnovato impegno sul piano dell’etica pubblica, un impegno che cancellasse lo squallore della corruzione dilagante, vero cancro già ampiamente metastatizzato della nostra società, e così efficacemente denunciato da Mani pulite. Questa speranza si trasmise rapidamente agli italiani, che sentivano un urgente bisogno di ricominciare a credere e a sperare nella possibilità di contare su di una buona politica. Oggi, 20 anni dopo, gli ita-

l’informazione relativa alla condotta pubblica e privata di questi uomini politici insinua nella opinione pubblica che non si tratta di casi isolati, ma di uno stile e di un modo di procedere di tutta la politica. Non è certamente così, ma la condotta di chi ricopre incarichi pubblici non dovrebbe mai perdere di vista una sua specifica esemplarità. Le cadute di tono di alcuni politici, spesso oggettivamente molto gravi, amplificate dai media anche per i pesanti risvolti penali che mostrano, creano un effetto alone che coinvolge l’intera classe politica. A cominciare da coloro che condividono con lui la stessa appartenenza politica o per qualsiasi ragione hanno con lui un qualche motivo di prossimità. L’argomentazione che con mag-

giore frequenza risuona è: «Non potevano non sapere, perché non potevano non vedere, non sentire…». E oggi è diventato impossibile, anche per gli “innocenti”giustificare la propria mancanza di reazione, trincerandosi dietro un generico rispetto della privacy o una presunta discrezione.

Tra le colpe dei politici più in voga in questo momento c’è anche quella di omissione: la mancata denuncia di un comportamento scorretto, la tendenza ad ignorare legittimi sospetti, stanno assumendo la forma di una complicità pigra, ma non inerte. Parte integrante del senso dell’onore di cui parla il già citato articolo 54 è anche il coraggio della denuncia, la forza dell’indignazione davanti al male, la concretezza dell’intervento proposto come alternativa efficace davanti ad una conclamata forma di corruzione o di conflitto di interessi. Lo stesso Benedetto XVI nel recente Messaggio per la Quaresima, rivolgendosi a tutti, senza distinzioni di ruolo, ha ricordato il valore di una antica tradizione della Chiesa: la correzione fraterna, oggi caduta in parziale disuso. «E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna», e citando il Libro dei Proverbi ha ricordato: «Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» e subito dopo si è soffermato ad analizzare


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lare l’etica

La seconda Repubblica sarebbe dovuta ripartire da un rinnovato impegno sul piano dell’etica pubblica, un impegno che cancellasse lo squallore della corruzione dilagante: una promessa mancata e tradita da molti politici cosa significhi correzione fraterna: la denuncia di chi indulge al male… «Non bisogna tacere di fronte al male. Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene. Il rimprovero cristiano, però, non è mai animato da spirito di condanna o recrimina-zione; è mosso sempre dall’amore e dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello».

Il codice etico, sottoscritto da parlamentari credenti e non credenti, vuole ripartire anche da qui. Dal coraggio della denuncia, quando necessario, ma senza appiattirsi in una posizione di sterile recriminazione, l’obiettivo resta quello di riposizionare continuamente la vita politica nella ricerca della giustizia sociale, nella affermazione convinta che il bene comune è il suo obiettivo essenziale. Non c’è dubbio che lo smarrimento di tanti valori etici abbia accresciuto il distacco tra

cittadini e Istituzioni, rendendo queste ultime meno credibili ed affidabili. E come naturale conseguenza abbia generato sfiducia negli operatori economici, che dubitano della capacità del Paese e dei suoi governanti di reagire efficacemente alla crisi in atto. Il Governo Monti ha segnato una linea di discontinuità proprio in tal senso. Attraverso la chiave della competenza specifica, indiscussa, dei suoi ministri ha cercato di armonizzare l’etica del saper fare, con l’etica della comunicazione: il saper dire, rifuggendo dalle facili promesse che cercano un consenso a buon mercato, per attestarsi sul piano di un rigore personale, estraneo a potenziali conflitti di interesse. Evidentemente il Governo Monti si è dato un suo codice etico, a cui cerca di attenersi nei fatti, senza scivolare nella tecnica dell’annuncio fine a se stesso.

L’Italia non si è mai trovata tanto chiaramente dinanzi alla verità di una situazione, che le impone di correggere abitudini e stili di vita. Cosa facile da dire, ma difficile da applicare. E il gruppo dei parlamentari che ha presentato la proposta

di un proprio Codice etico intende ripartire dalla propria classe di appartenenza: la politica, per poi estendere questa sollecitazione a tutto il Paese, con il preciso desiderio di provare insieme a cambiare comportamenti personali e stile istituzionale. Coloro che hanno sottoscritto la mozione, con cui chiedono l’approvazione di un Codice etico, considerano necessaria l’introduzione di un complesso di regole deontologiche e di meccanismi di controllo e sanzione per garantire, attraverso la correttezza e la moralità dei comportamenti di quanti ricoprono cariche elettive o di nomina politica, l’etica pubblica e l’integrità della classe dirigente politica italiana. È un compito che non può essere lasciato solo all’iniziativa spontanea, pur sempre necessaria. Senza una forte motivazione interiore nessun apparato sanzionatorio risulta efficace. Ma l’autodisciplina delle forze politiche da sola non è sufficiente per prevenire e sanzionare l’illegalità ed il malcostume. È necessario un quadro chiaro e coerente di valori e di regole comuni, per assicurare a tutti i livelli di governo – nazionale e locale – standard uniformi di correttezza e moralità nella condotta di chi è chiamato a ricoprire cariche elettive o di nomina politica.

Negli Stati Uniti già da tempo sono stati attivati presso il Congresso degli organi deontologici autorevoli e severi, come il Committee on Standards of Official Conduct della Camera dei rappresentati ed il Select Committee on Ethics del Senato federale. Più recentemente, nel 2008 è stato istituito l’OCE, Office of Congressional on Ethics, organismo indipendente, composto in egual misura da democratici e repubblicani. Il suo compito è quello di indagare su casi di violazione del codice etico da parte di uomini politici, componenti del loro staff, pubblici funzionari, ecc. Sono organismi che svolgono un importante ruolo consultivo a disposizione di parlamentari e funzionari, perché le sanzioni inferte ai comportamenti scorretti sono così pesanti, che è molto diffusa la consuetudine di consultare prima gli esperti che vi lavorano. Davanti all’offerta di un mutuo a condizioni agevolate, il parlamentare in questione chiede prima se può accettarlo o meno. Davanti ad una proposta di sponsorizzazione da parte di una grande Azienda, conviene chiedere prima se è lecito accettarla o se potrebbe configurarsi una sorta di conflitto di interessi. Le lobby svolgono un ruolo molto aggressivo negli USA e c’è una normativa molto precisa che ne disciplina i comportamenti. Altrettanto precisa, pressoché speculare, è anche la normativa che regola i comportamenti dei politici e del loro staff. La linea di demarcazione tra comportamenti eticamente corretti e comportamenti che non lo sono è segnata soprattutto da potenziali forme di conflitto d’interesse, dietro le quali è molto

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facile scivolare verso una corruzione invasiva e inarrestabile. L’esigenza di innalzare il livello di moralità della politica è stata ritenuta prioritaria anche in Francia, dove nell’aprile dello scorso anno è stato approvato il Code de déontologie della Assemblée nationale e poche settimane dopo è stato nominato il primo Déontologue de l’Assemblée nationale, un Organo volto a garantire l’indipendenza, l’imparzialità e la probità dei deputati francesi.

La proposta di un codice etico in questo caso riguarda soprattutto i politici, perché evidentemente l’etica politica deve ricominciare da lì almeno per tre ragioni: perché è lì che ha subito le offese più gravi; perché la politica, nel bene e nel male, resta un punto di riferimento per tutto il Paese; perché una buona politica è anche una politica forte, capace di imprimere un deciso cambiamento di rotta al sistema-Paese. Ma tutto ciò impone ai cittadini un dovere di partecipazione alla vita democratica, che si ispiri rigorosamente a criteri di etica pubblica. Resistere a pressioni ai limiti dell’illegalità è condizione necessaria, ma non sufficiente. Occorre rovesciare almeno due dei paradigmi più perniciosi per il Paese. Quello che vede i furbi sempre in pole position, laddove furbo è un termine antitetico a quello di eticamente corretto e quello di un assistenzialismo diffuso, per cui il principio di sussidiarietà si dissolve, rinunziando ad esprimere la propria dignità creativa e il suo naturale senso di responsabilità, delegando ancora una volta tutto allo Stato, Un liberismo senza regole, totalmente egocentrico, e uno statalismo dirigista sono come Scilla e Cariddi; definiscono una strozzatura del sistema sociale in cui è fin troppo facile andare a sbattere e naufragare. Senza una forte consapevolezza etica i cittadini non possono contribuire alla formazione degli orientamenti politici e delle opzioni legislative necessarie per promuovere il bene comune. Ad un anno dalla fine della legislatura, un gruppo di politici “in carica” propone di rielaborare la difficile esperienza di questi ultimi anni rilanciando la centralità del Parlamento come forza di rinnovamento morale. Si vuole ribaltare una visione sciatta e rassegnata del Parlamento, che lo immagina specchio ed espressione di tutte le debolezze e di tutte le fragilità che connotano il Paese. Il Parlamento non può essere solo una spugna che assorbe interessi individuali, che finiscono col configgere tra di loro, o dinamiche lobbistiche che pure entrano in stato di tensione permanente tra di loro. Il Parlamento può ritrovare il senso della sua mission specifica senza attendere passivamente il nuovo anno e la nuova legislatura, rincorrendo la speranza di un mitico cambiamento che farà nuove tutte le cose. Per questo può e deve ricominciare da oggi: hic et nunc. Non sarà facile, ma sono in molti quelli che ci stanno provando…


mondo

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Con l’89,4 % dei suffragi passa il referendum indetto da Assad. Washington: «Nessuna credibilità». Mosca «Un passo avanti verso la democrazia». In 48 ore almeno 90 morti

Siria, l’Europa fa sul serio? Nuovo giro di sanzioni dei Ventisette contro il regime. E il Cns diventa il legittimo interlocutore di Bruxelles di Luisa Arezzo ella giornata in cui l’Unione Europea ha adottato nuove sanzioni contro il regime di Bashar al Assad dicendosi pronta a riconoscere il Consiglio nazionale siriano (Cns) guidato da Burhan Ghalioun come unico interlocutore legittimo, esattamente come si fece con il Cnt libico poco prima dell’azione militare Nato contro Gheddafi, a Damasco con l’89,4% dei suffragi è passato il referendumfarsa sulla nuova costituzione voluto dal presidente per avviare la presunta transizione de-

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mocratica del potere. Peccato che la chiamata alle urne abbia coinciso con l’ennesima carneficina ad Homs (almeno 60 morti), carneficina continuata anche ieri, in quella che ormai è un’assurda conta quotidiana delle vittime.

«Al referendum hanno partecipato 8,37 milioni di votanti, pari al 57,4% del corpo elettorale» ha detto Mohammad Nidal al Shaar, ministro del’Interno. Sotteso fra le righe il fatto che la quota mancante fosse solo quella dell’opposizione, che fin

dall’inizio ha boicottato la consultazione. Definito uno “scherzo” da Washington, il referendum siriano è stato denunciato come non credibile anche da numerosi ministri degli Esteri europei, fra i quali il francese Alain Juppé e il britannico William Hague. Diverso l’avviso di Sergei Lavrov, capo della diplomazia russa, che lo «considera un passo verso la democrazia». Ma non una parola sulla mancata tregua umanitara utile a portare aiuti ai civili assediati, tregua per la quale si sta decisamente battendo il nostro mini-

A destra, il presidente Assad assieme a sua moglie Asma mentre segue le operazioni del voto referendario di domenica scorsa. Chiamata alle urne che non ha fermato i massacri ad Homs e Hama (in apertura). In alto a destra, il leader del Cns Ghalioun e in basso al-Maliki

stro degli Esteri Guilio Terzi di Sant’Agata. La nuova tornata di sanzioni approvata dall’Ue contro il regime siriano segna un nuovo giro di vite nell’isolamento internazionale di Damasco. I ministri degli Esteri dei Ventisette hanno deciso il congelamento dei fondi della Banca Centrale Siriana, il divieto di visti per sette personalità vicine a Bashar al-Assad che si aggiungono alle 150 persone ed entità già nella lista nera; lo stop al commercio di oro e metalli preziosi con la Siria; il blocco ai voli dei cargo siriani che nell’Ue potranno solo sbarcare eventuali passeggeri, mai merci.

Dalle prime sanzioni approvate nel maggio 2011, l’Ue ha colpito via via personalità, enti e aziende vicine a Assad, tra cui il fratello Maher che comanda la Guardia Repubblicana, secondo nella linea di comando (ma per molti la vera mente del regime); il cugino, Rami Makhlouf, potente magnate proprietario tra l’altro di Syriatel, la più importante compagnia di telefoni cellulari; il ministro della Difesa, generale Ali Habib, il capo dell’intelligence mi-

La denuncia del preside della facoltà di Diplomazia e Relazioni Internazionali dell’Università di Kalamoon

L’Iraq, da ex nemico a grande alleato n un momento in cui la maggior parte degli ex amici ed alleati del regime siriano lo stanno abbandonando a causa del brutale approccio utilizzato per soffocare il movimento di protesta, l’Iraq, che non può in alcun modo essere considerato un amico della Siria, sta diventando – ovviamente accanto all’Iran – il suo principale sostenitore. Attualmente, l’Iraq costituisce il più grande mercato per le merci prodotte in Siria, e sta così offrendo uno scudo contro le sanzioni arabe ed europee. Dal punto di vista logistico, a seguito del ritiro degli Usa alla fine dello scorso anno, l’Iraq ha compensato la perdita della Turchia come princi-

I

di Marwan Kabalan pale via di terra che collega il regime alla sua solida base di sostegno in Iran. Data la storica animosità tra Damasco e Baghdad, il comportamento del governo iracheno deve apparire sconcertante.

Da quando sono

dopo che i due paesi hanno ottenuto la loro indipendenza dalle potenze coloniali europee. Le relazioni si deteriorarono quando le due ali del partito Baath presero il potere a Da-

scalzare i rispettivi governi. La Siria appoggiò l’Iran nei suoi otto anni di guerra contro l’Iraq, mentre l’Iraq sostenne le fazioni libanesi anti-siriane durante la guerra civile nel paese dei cedri. Tuttavia, i due regimi ebbero una caratteristica comune: un estremo pragmatismo. Così, a partire dal 1997, hanno cominciato a considerarsi l’un l’altro come possibili alleati. In risposta all’ascesa al potere della destra israeliana e al conseguente fallimento del processo di pace, il

Il rapporto fra Baghdad e il regime si è rafforzato dopo lo scoppio della rivolta e il ritiro delle truppe americane dal Paese

emersi come Stati moderni dopo il crollo dell’Impero Ottomano all’inizio del XX secolo, la Siria e l’Iraq non hanno potuto sviluppare significative relazioni amichevoli. Al contrario, i loro rapporti sono stati pieni di timori e di sospetti soprattutto

masco e Baghdad negli anni ‘60. Nei successivi tre decenni, le relazioni siro-irachene furono improntate alla sfiducia e all’antagonismo, e segnate da numerosi reciproci tentativi di

defunto presidente siriano Hafez al-Assad iniziò cautamente, ma incessantemente, a sviluppare i rapporti con l’Iraq.

Il riavvicinamento accelerò dopo l’arrivo al potere del presidente Bashar al-Assad, essendo venuta a mancare l’animosità personale che aveva segnato il rapporto tra Saddam Hussein e il padre Hafez. Successivamente, la Siria cercò di rafforzare i suoi legami politici ed economici con l’Iraq, facendo tuttavia attenzione a non provocare l’amministrazione Bush. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti, Damasco fornì a Washington informazioni “preziose” su alcuni attivisti


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litare ad Hama, Mohamed Mufleh, uno zio materno di Assad, Mohamed Makhlouf, padre tra l’altro di Rami, Ihab e Iyad Makhlouf, cugini del presidente e anch’essi presenti nella lista nera.

Nell’elenco figura anche Ayman Jabir, responsabile del coordinamento della milizia Shabiha di Maher al Assad; e figurano anche alti comandanti pasdaran, la Guardia Rivoluzionaria iraniana, accusati di appoggiare la repressione del regime. A tutti loro sono stati congelati i beni e vietata la con-

Use impegnate in Iraq. L’amministrazione Obama ha rafforzato le sanzioni economiche, bloccato i beni e le partecipazioni proprietarie in Usa dei gerarchi, vietato ad aziende e cittadini Usa di trattare con i siriani; e congelato i beni della più gran banca del Paese e del più importante operatore di telefonia mobile, la Commercial Bank of Syria, di proprietà governativa con la sua filiale libanese, e la compagnia di tlc, Syriatel.

Esasperata dalla durezza del regime, da ultimo è entrata in campo anche la Lega Araba, che ha adottato una serie di sanzioni economiche tra cui il divieto di viaggio per i gerarchi, il divieto di voli delle linee aeree siriane al resto dei paese arabi (eccetto che per i cargo), il divieto di transazioni commerciali attraverso banche centrali arabe, il blocco dei fondi del governo e dei gerarchi siriani e sospeso il finanziamento di qualsiasi progetto in territorio siriano da parte di Paesi arabi. Inol-

Le misure colpiscono in particolare la Banca centrale siriana e il trasporto aereo delle merci. Dall’inizio delle violenze sono state uccise almeno 7.600 persone. Terzi: «Ci vuole una tregua umanitaria» cessione dei visti. L’Ue ha anche da tempo vietato la vendita e la fornitura di armi, l’acquisto, l’import e il trasporto dalla Siria di greggio, prodotti petroliferi e gas, la trattazione di titoli siriani, la vendita di software che potrebbe essere utilizzato per il controllo di Internet, la concessione di prestiti a tassi bassi e a lunga scadenza. Sulla stessa linea si sono mossi gli Usa, che tra l’altro già nel 2004 avevano imposto sanzioni a Damasco quando la Siria si era opposta alla concessione del suo territorio alle truppe

islamici. In cambio, Washington chiuse un occhio di fronte al contrabbando di petrolio iracheno attraverso la Siria. Questo tacito accordo però non durò a lungo, visto che in Afghanistan il regime talebano crollò rapidamente e l’Iraq finì al centro della politica statunitense in Medio Oriente. In una regione ancora fortemente dominata da un approccio di realpolitik e da un delicato equilibrio di forze, la Siria temette che un governo appoggiato dagli Usa a Baghdad l’avrebbe quasi certamente posta tra due potenze ostili: Israele e un Iraq filo-americano. E dunque considerò la guerra come un tentativo di ridisegnare a suo svantaggio la mappa politica della regione, e valutò con particolare preoccupazione l’impatto che la possibile disintegrazione dell’Iraq avrebbe avuto sulla propria minoranza curda. Per la maggior parte degli otto anni di occupazione americana in Iraq,

tre, in una riunione straordinaria al Cairo, lo scorso 12 febbraio, la Lega Araba ha deciso di sospendere tutte le forme di collaborazione diplomatica con rappresentanti del regime nei Paesi arabi, di richiamare tutti gli ambasciatori arabi accreditati a Damasco e di dare incarico formale a Kofi Annan di cercare di trovare una soluzione diplomatica alla crisi siriana. Ieri il Segretario dell’Onu si è incontrato a Ginevra con il ministro degli Esteri iraniano. Ma la soluzione al conflitto, purtroppo, sembra ancora lontana.

sione iraniana, sostenne il regime siriano, illustrando fino a che punto la posizione dell’Iraq in Medioriente si fosse spostata verso un asse guidato dall’Iran.

i funzionari iracheni accusarono costantemente la Siria di cercare di compromettere la stabilità del paese nell’era post-Saddam. Le realzioni diplomatiche hanno cominciato a rafforzarsi solo nel marzo 2010, quando la Siria, sotto la pressione iraniana, ap-

poggiò il tentativo del primo ministro iracheno Nouri al-Maliki di ottenere un secondo mandato, e diversi accordi commerciali aumentarono gli investimenti siriani in Iraq. Così, quando il movimento di protesta scoppiò in Siria un anno dopo, al-Maliki, ancora una volta sotto la pres-

Nel corso degli ultimi mesi, Baghdad ha ospitato numerose delegazioni di funzionari governativi e uomini d’affari siriani per discutere il rafforzamento dei legami economici, compresa la costruzione di un gasdotto che dall’Iran giungerebbe in Siria attraversando l’Iraq. Il miglioramento delle relazioni tra i due vicini arabi costituisce oggi la pietra angolare di un nuovo allineamento regionale, che ha cominciato a prendere forma in seguito alla scoppio della rivolta siriana e al ritiro delle forze Usa dall’Iraq. Il campo avverso a questo nuovo schieramento in Medioriente è guidato dalla Turchia, e comprende la Stati arabi del Golfo e la Giordania. Il futuro della regione sarà definito dall’esito di questo conflitto.

e di cronach

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grandangolo L’analisi dell’ex Capo di Stato Maggiore della Difesa

2021

Vi spiego come si combatterà la guerra Addio ai conflitti canonici. Le battaglie si giocheranno tanto sul campo quanto a livello diplomatico. E presto le contese saranno innescate dal controllo delle risorse naturali vitali, come l’acqua. Il terrorismo è destinato ad aumentare e la tecnologia cambierà il volto del mondo militare di Vincenzo Camporini er delineare con una qualche attendibilità gli scenari legati al futuro delle guerre, al ruolo che avranno le nuove tecnologie, e agli sviluppi dell’impiego della forza militare, è indispensabile sfuggire alla tentazione inconscia, ma pervasiva, di considerare questo attimo fuggente come rappresentativo del futuro, come se quello che viviamo oggi sia per sempre. Si tratta di un atteggiamento mentale che in ogni epoca ha condizionato i comportamenti politici e politico militari, con conseguenze a volte disastrose.Durante la guerra fredda si dava per scontato che le cose sarebbero sempre andate così, in un dualismo ideologico perdurante tra comunismo e capitalismo, in una eterna gara tra Stati Uniti e Unione Sovietica per guadagnare spazio o per recuperarlo, in una rincorsa senza fine negli armamenti. Negli anni ’90 si dava per scontata la presenza di focolai di instabilità anche in prossimità delle nostre frontiere, che comunque avrebbero garantito sicurezza e tranquillità alle nostre popolazioni. Ora viviamo nell’epoca di un terrorismo incombente, per contrastare il quale non solo siamo stati costretti ad impegnare le nostre risorse militari e civili in lande sperdute, ma il nostro stesso stile di vita ha dovuto subire pesanti limitazioni e condizionamenti ed inconsciamente siamo convinti che sarà sempre così. Le conseguenze di questa distorsione che definirei gravitazionale dello spazio della politica internazionale sono assai serie, a volte foriere di gravi ed irrimediabili errori, che vanno dalla incapacità di prevedere con un minimo di anticipo eventi destinati a condizionare il nostro futuro, e le recenti vicende nel mondo nordafricano ed arabo in generale ne sono un esempio palese, con reazioni che poco hanno di razionale e molto di emotivo, alla impossibilità di

P

pianificare la disponibilità di mezzi e strutture che possano essere efficacemente impiegati nelle varie circostanze, e ciò è particolarmente grave nella costruzione degli strumenti militari, (...) il cui sviluppo, dalla concezione iniziale alla reale capacità di impiego, richiede – e non è un’esagerazione – decenni. Basti pensare a un moderno velivolo da combattimento della cosiddetta “quinta generazione” come l’Eurofighter, il cui Outline Staff Target venne sottoscritto a Colonia dai Capi di Stato Maggiore delle Aeronautiche di Gran Bretagna, Germania, Spagna, Italia e Francia (che poi abbandonò il programma) nel 1982, nel pieno della Guerra Fredda, sulle cui esigenze era ritagliato, ed è efficacemente in servizio solo a partire dal 2008, in un contesto strategico completamente rivoluzionato. Per confronto si consideri che durante la Seconda Guerra Mondiale, dall’emissione del requisito al

Il comandante delle operazioni, al centro di una sofisticatissima sala operativa, seguirà lo scontro olograficamente primo volo del P-51 Mustang passarono 150 giorni. Questi dati ci dicono che non è possibile attendere l’evidenza di una necessità operativa per avviare la progettazione dei mezzi utili a soddisfarla: ci si troverebbe inevitabilmente in controfase,

con carenza di ciò che serve realmente e disponibilità di sistemi di scarsa utilità. È quindi necessario da un lato fare un grande sforzo di immaginazione per delineare gli scenari possibili, dall’altro definire mezzi, sistemi, dottrine che possiedano intrinsecamente la massima flessibilità, al fine di poter essere impiegati nei predetti scenari, con la consapevolezza che gli strumenti militari che verranno predisposti, conterranno giocoforza ridondanze, che alcune delle loro componenti, in determinate circostanze, non saranno impiegabili, o lo saranno con efficienza ed efficacia limitate.

Proviamo quindi ad immaginare le possibili situazioni future in cui sarà necessario usare la forza per garantire la protezione degli interessi della comunità internazionale in generale, delle alleanze e coalizioni di cui saremo parte e del nostro paese in particolare. Si va da scenari di contenimento di instabilità sia intrastatuale, sia interstatuale, quindi il classico peacekeeping, sia all’imposizione di civile convivenza a fazioni o paesi in lotta armata, e siamo al Peace Enforcement. E fin qui siamo nell’attualità, in cui servono strumenti militari relativamente leggeri, con capacità di fuoco ridotte, ottima protezione, grande mobilità, logistica efficace, in grado di soddisfare non solo le esigenze dei reparti schierati, ma anche di provvedere a migliorare la qualità della vita delle popolazioni presso cui si opera, nell’intento da un lato di conquistarne hearts and minds, dall’altro di attenuare le situazioni di disagio che costituiscono parte non irrilevante della propensione all’uso della violenza da parte delle fazioni in causa. Ma non andrà sempre così, perché chi decide di usare metodi violenti non lo farà necessariamente secondo le regole fissate

da noi, al contrario, cercherà di sfruttare i mezzi a sua disposizione e le carenze delle nostre capacità o della nostra volontà. Un primo esempio sono le vicende della recente guerra civile libica, in cui Gheddafi non ha esitato ad impiegare tutti i mezzi in suo possesso per tentare di avere ragione degli insorti; ebbene, contro mezzi blindati e corazzati occorre usare una potenza di fuoco adeguata, con caratteristiche di precisione, volume e letalità ben diverse da quanto serve in operazioni di peacekeeping (...). Si tratta di sistemi che qualcuno già considerava superati dalla storia e quindi da relegare in qualche museo, ma non più utilizzabili nel nuovo secolo. Lo stesso dicasi per i velivoli da combattimento di ultima generazione: “relitti della guerra fredda”qualcuno li ha definiti, mentre solo la loro efficienza e disponibilità in numeri adeguati ha impedito che gli insorti venissero spazzati via dalle forze lealiste supportate da una capacità aerea sicuramente non modernissima, ma certo non irrilevante, anche per gli effetti psicologici che in certi casi potevano essere e sono stati devastanti. Ma accanto a questi tipi di impiego, altri scenari sono non solo ipotizzabili, ma addirittura ad elevato grado di probabilità. Prima o poi le risorse vitali del pianeta cominceranno a scarseggiare; forse ci vorrà più tempo di quanto inizialmente previsto, ma non c’è dubbio che il momento arriverà e a quel punto il controllo delle fonti di tali risorse non sarà più solo un fatto economico e finanziario delle imprese dello specifico settore: saranno i popoli, prima ancora che i diversi stati a contendersi tutto ciò che servirà prima ancora che al benessere, alla sopravvivenza di ogni comunità umana. È quindi verosimile uno scenario di conflitti aspri, condotti con tutti i mezzi a disposizione, in cui i contendenti si troveranno in


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di forze armate dai grandi numeri, vuoi per motivi di opportunità politica, vuoi per mere questioni finanziarie. In un ipotetico scontro militare del futuro che potrà vedere opposti stati e non-stati di diverse e opposte caratteristiche demografiche, se non si vuole essere travolti, occorrerà sfruttare al massimo i fattori di agilità, mobilità, proiettabilità che sono resi possibili dalle moderne tecnologie, che occorrerà padroneggiare in modo efficace. L’intensità dei conflitti potrà certamente influire sulla percezione dell’opinione pubblica e quindi del mondo politico, ma non al punto da rovesciare i trend culturali ormai consolidati: in altre parole l’uso della forza da parte delle società che si richiamano alla cultura occidentale non potrà in ogni caso essere indiscriminato; non solo saranno impensabili nel futuro operazioni belliche volte a fiaccare la resistenza di un popolo con campagne mirate di stampo terroristico, come quelle teorizzate dal Douheted applicate in modo massiccio durante la Seconda Guerra Mondiale, ma anche il concetto di “danno collaterale” sarà ulteriormente approfondito, nello sforzo cosciente di evitare che le popolazioni civili possano essere direttamente coinvolte in attività militari.

situazioni di grande asimmetria: da un lato i paesi con grandi masse giovani e limitata tecnologia, sostenuti dalla disperazione di chi ha poco da perdere e conseguentemente non ha remore a uccidere e ad essere ucciso, d’altro lato i paesi maturi, che si sono crogiolati per decenni in un crescente benessere, solo apparentemente turbato dalle ricorrenti, cicliche crisi economico-finanziarie, che hanno progressivamente smantellato le proprie capacità militari, nella fatale illusione che la modernità dei mezzi potesse compensare appieno le sempre più ridotte dimensioni delle forze armate nazionali.

Le forme che tali situazioni conflittuali potranno assumere saranno le più varie, da un terrorismo diffuso, che per sua natura non può essere fronteggiato da mezzi militari, fino a scontri sul terreno che potranno anche assumerela forma di battaglie campali manovrate, in qualche modo somiglianti all’impiego classico delle forze armate, così come conosciuto durante il Secondo Conflitto Mondiale. (...) Di una cosa si può tuttavia essere certi: i principi basilari dei conflitti non muteranno; sorpresa, massa, manovra, economicità, ecc. sono e rimarrannoi cardini su cui si reggerà qualsiasi operazione militare (e non), a prescindere da chi sia l’avversario. Cambiano e cambieranno, anche in modo radicale, le modalità con cui questi principi potranno e dovranno essere applicati e ciò sia in base alle tecnologie, sia in base a fattori culturali che non dovranno mai essere trascurati. Se una volta la massa era costituita dalle centurie in formazione a testuggine e poi dalle file ordinate di tiratori che si inginocchiavano per fare fuoco contro le file avversarie oggi, e ancora di più domani, grazie alle tecnologie dell’informatica si potranno ottenere risultati analoghi in modo pseudo virtuale, grazie alla possibilità di concentrare con grande rapi-

dità risorse disperse su un solo settore, conseguendo una decisiva superiorità locale, in grado di disarticolare il dispositivo avversario, con gli stessi effetti per conseguire i quali sarebbe stato necessario disporre di forze massicce meno agili e con minore mobilità. D’altronde sviluppi tecnologici di tal fatta, che solo le società avanzate potranno sfruttare al meglio, si rendono assolutamente necessari vista l’evoluzione socio politica delle nostre comunità, che non permette più di disporre

Le minacce del prossimo decennio

Il mondo che verrà Come sarà il mondo tra qualche anno? Quali saranno le principali minacce alla sicurezza? Nel prossimo futuro i cambiamenti climatici, le dinamiche demografiche, il traffico delle armi di distruzione di massa metteranno in pericolo la solidità degli Stati, le megalopoli saranno il cuore di ogni attività umana, il terrorismo potrà ancora affondare i suoi colpi, la rete di internet sarà il veicolo per scatenare nuove guerre e i militari avranno a disposizioni aerei senza pilota grandi quanto insetti. Il libro 11 settembre 2011 (da cui è tratto l’articolo che qui pubblichiamo) curato da Gianluca Ansalone e Angelo Zappalà descrive tutti gli scenari possibili.

Sarà possibile colpire con una precisione di 2-4 metri un bersaglio a oltre cento chilometri di distanza È chiaro che un atteggiamento del genere, quando l’opponente non solo non si fa il minimo scrupolo a causare danni a civili, ma al contrario utilizza sistematicamente scudi umani per proteggere le proprie capacità, pone le forze armate occidentali in seria difficoltà e potenzialmente ne riduce l’efficacia operativa. Le misure da prendere per minimizzare gli effetti negativi e mantenere un adeguato margine di superiorità nei confronti di qualsiasi avversario si situano nel campo della tecnologia, ma anche e forse soprattutto in quello della preparazione culturale, oltre che in quello dell’addestramento.Tecnologia della consapevolezza: oggi e ancora più domani la sensoristica disponibile sarà tale da permettere la conoscenza in tempo reale di ogni dato relativo all’ambiente, sia quello naturale che quello artificiale. Già disponiamo di satelliti da ricognizione, sia ottici che multi spettrali, con tempi di rivisitazione (intervallo di tempo tra due passaggi su un obiettivo utili ad effettuare una ripresa) di poche ore; sistemi di velivoli da ricognizione senza pilota a bordo possono sorvegliare aree di interesse da altissima quota per periodi quasi indefiniti; altri velivoli a pilotaggio remoto di tipo tattico possono trasmettere in tempo reale immagini utili alla condotta delle operazioni anche a livello sub tattico, addirittura a quello di plotone. Questa situational awareness totalmente pervasiva, disponibile ad ogni livello, dal comandante supremo, fino al sergente che guida la pattuglia, genera due tendenze in radicale contrasto: da un lato ciò che un

acuto analista ha denominato la tentazione dell’“occhio di Dio”, cioè il comandante delle operazioni che, al centro di una sofisticatissima sala operativa vede la battaglia rappresentata olograficamente in tempo reale e dirama ordini fino al più basso livello, il singolo velivolo, l’unità navale, la compagnia in perlustrazione; dall’altro il ruolo cardinale che può assumere il cosiddetto “Sergente strategico”, cioè il singolo operatore sul terreno che, proprio grazie al fatto di poter conoscere nel dettaglio tutto quanto accade intorno a lui, da parte sia amica che nemica, reso consapevole dell’intento del comandante, esercita una piena delega sulla condotta da tenere, prendendo decisioni che un tempo erano riservate a livelli ben più elevati.

Mentre la prima ipotesi corrisponde all’esasperazione estrema del micromanagement, con il rischio, anzi la certezza della rapida saturazione delle capacità decisionali, la seconda va nella direzione se non di scardinare il concetto stesso di gerarchia militare, certo di ripensarla radicalmente, imponendo ai livelli superiori una cultura della delega a quelli inferiori senza precedenti in ambito militare, a sua volta presupponendo da parte dei livelli gerarchici più bassi la capacità di assimilare appieno gli scopi strategici dell’operazione militare e di prendere le conseguenti decisioni in armonia con gli intenti del comandante. È ovvio che questo secondo approccio dà per scontato che il livello qualitativo del singolo soldato sia adeguato, il che può considerarsi ragionevolmente possibile nelle società occidentali. La tecnologia della consapevolezza dovrà poi accompagnarsi alla tecnologia della precisione. Da tempo si parla giornalisticamente di attacchi chirurgici e questa colorita espressione può dare un’idea dell’accuratezza che è possibile raggiungere: dai sistemi di puntamento e guida di qualsivoglia tipo di ordigno, dal missile da crociera, alla bomba planante, allo stesso proiettile d’artiglieria, di cui sono già infase di sviluppo avanzato e ormai prossimi all’entrata in servizio tipi in grado di colpire con una precisione di 2-4 metri un bersaglio a oltre 100km di distanza e ciò grazie a sistemi di guida combinati Gps, laser, infrarossi. (...) Tutti questi aspetti tecnici, tuttavia, appaiono di dettaglio, a fronte di una vera e propria rivoluzione nello stesso modo di concepire la guerra, meglio sarebbe dire ora lo scontro armato. Se un tempo la guerra cominciava dove finiva la diplomazia, oggi e ancora di più domani, il ricorso alle armi dovrà avvenire non più in sequenza ma in parallelo, e non solo con il pieno utilizzo degli strumenti diplomatici, ma con il totale coinvolgimento di tutte le strutture degli stati, e non solo, ma tenendo anche conto del ruolo che potranno giocare le organizzazioni non governative di qualsiasi natura. Già sta diventando di uso comune l’acronimo WoG – Whole of the Government; occorrerà coniarne un altro: WoC – Whole of the Country, significando che l’esito positivo di una situazione conflittuale non dipende e non dipenderà più solo dalle capacità operative degli eserciti, ma anche e soprattutto dall’azione sinergica di tutte le componenti della società, dal più alto livello politico a quello locale e funzionale. Se si riuscirà in quest’opera di trasformazione culturale, prima ancora che strutturale, sarà possibile giocare sul palcoscenico della storia un ruolo forse non da protagonista, ma neppure da semplice comparsa.


spettacoli

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Terzo Oscar alla coppia più famosa del nostro cinema che ha firmato la scenografia e l’arredamento di “Hugo Cabret” di Martin Scorsese

Dante & Francesca forever Un premio dedicato all’Italia. E il presidente Napolitano è tra i primi a complimentarsi per questa eccellenza nostrana di Martha Nunziata a notte degli Oscar, tenutasi a Los Angeles domenica scorsa, al Kodak Theatre, è stata anche un po’ italiana. And the Oscar goes to…. Dante Ferretti and Francesca Lo Schiavo! La frase, rituale, che precede la consegna della statuetta più ambita del mondo, per la terza volta negli ultimi sette anni ha introdotto sul palco la coppia forse non più famosa, ma certamente la più vincente, del cinema italiano. E così l’84esima Notte degli Oscar ha celebrato lo straordinario lavoro per la migliore scenografia di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, nelle vesti di production designer e set decorator, per il film Hugo Cabret, frutto della mente di Martin Scorsese. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è stato tra i primi, ieri, a congratularsi con la coppia italiana, coppia nel cinema e nella vita: «Questo terzo prestigioso riconoscimento premia, con il vostro qualificato apporto al film di Martin Scorsese, il ricco patrimonio di esperienze, di creatività e di cultura del cinema italiano». Per entrambi quello conquistato con Hugo è il terzo Oscar, dopo quelli vinti nel 2005 con The Aviator, sempre di Martin Scorsese, e nel 2008 con Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street, uscito, invece, da un’altra mente hollywoodiana particolarmente fervida, quella del visionario Tim Burton.

L

Quella con Scorsese è una collaborazione quasi decennale, cominciata nel 1993, con L’età dell’innocenza, che per la coppia significò la terza nomination dopo quelle del 1990 per Le avventure del Barone di Munchausen di Terry Gilliam e del 1991 per le imponenti scenografie dell’Amleto di Franco Zeffirelli. Ferretti e Scorsese si conobbero sul set nel 1980, a Cinecittà, dove Fellini, del quale Scorsese era un grande ammiratore, stava girando La città delle donne, film del quale, ovviamente, Ferretti, che del Maestro era diventato lo sceneggiatore preferito, firmava la scenografia. Solo geni del cinema nella lunga lista di registi con i quali Ferretti, prima da solo poi con la moglie Francesca Lo Schiavo ha lavorato: Pier Paolo Pasolini, per il quale realizzò le monumentali scene di Medea e di Salò o le 120 giornate di Sodoma, l’ultima opera del regista, poi Fellini (da Prova d’orchestra a La voce della Luna), che riteneva particolarmente congeniali alla propria vena narrativa onirica le imponenti scenografie di Ferretti, fino

a Franco Zeffirelli, passando per Marco Bellocchio, Liliana Cavani, Luigi Comencini, Dino Risi e Jean Jacques Annaud, con il quale collaborò per Il nome della rosa e che, forse, gli aprì la dimensione internazionale sublimata

Uniti sul set e nella vita, hanno all’attivo diciotto nomination e due figli. La collaborazione col regista italoamericano è iniziata nel ’93 con “L’età dell’innocenza”

nel sodalizio con Scorsese (cinque delle sue dieci candidature all’Oscar, compreso il troppo sottovalutato Gangs of New York sono frutto di questa collaborazione). Quello colto la scorsa notte, insomma, è stato solo l’ennesimo dei frutti dorati caduti dall’albero di una magnifica coppia che non riesce proprio a smettere di incantare. E anche la loro storia, prima d’amore, poi artistica, poi tutte e due le cose insieme, sembra fatta apposta per emozionare. Una coppia Ferretti e Lo Schiavo vincente sul lavoro, compagni inseparabili sul set come nella vita, hanno due figli e quando non sono al lavoro, sono in giro per il mondo, alternando la loro vita fra New York e Roma. Non è un caso, perciò, che Francesca Lo Schiavo, vestita Sarli (altra nota di distinzione tutta italiana), con la statuetta in mano abbia detto: il premio «lo dedico al grande Martin Scorsese e alla mia Italia!», e che il primo pensiero sia stato per il marito, che giusto poche ore prima aveva festeggiato il compleanno.

Un Oscar, quello per Hugo per esempio, costa tanto, anche dal punto di vista della fatica fisica, come ha spiegato Ferretti ancora prima della fatidica notte di

Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Accanto, la “cricca” di “The Artist” e sotto Meryl Streep. A sinistra, la locandina di “Hugo Cabret” e il regista Scorsese come appare nel film Los Angeles: «È stato senz’altro il lavoro più impegnativo, perché tutto il film è ricostruito in teatro, a Londra. Negli studi di Pinewood e di Shepperton abbiamo rifatto la strada, la locomotiva, per il corridoio che Hugo attraversa abbiamo creato un labirinto di tubi e di vapore, per la sequenza in cui Méliès gira il suo film abbiamo ricreato uno studio di specchi e di acqua, era la tecnica che lui usava allora per far sembrare che fossero riprese subacquee. Sono stato già candidato 10 volte all’Oscar? Veramente, in famiglia sono 18, se calcoliamo le otto candidature di mia moglie Francesca, ma non parliamo di Oscar tanto vinceranno altri. Il 3D? Per me, per Martin, per tutti noi era la prima volta. Ma non è stato complicato, bisognava avere solo più cose in scena per avere un’immagine piena da cui isolare i dettagli. Martin non voleva un 3D invadente con gli oggetti o le persone che sembrano staccarsi dallo schermo, voleva qualcosa di più normale e secondo me è riuscito a dare al pubblico l’impressione di sentirsi il dentro film, non il contrario». Hugo è solo in


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scimenti, per un’opera che alla vigilia si presentava con il maggior numero di nomination, undici, e che invece, alla fine, ha preso solo cinque statuette, tutte quelle tecniche: fotografia, effetti speciali, sonoro, montaggio sonoro e naturalmente scenografia. Lo stesso bottino di The Artist, che, però, si è portato a casa il meglio: miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, costumi e colonna sonora.

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apparenza un film per bambini, ma in realtà è uno degli omaggi alla storia del cinema più emozionanti di sempre, un’avventura magica e impossibile, che si discosta, non a caso, in maniera evidente dalla filmografia del regista newyorkese.Tratto dal romanzo illustrato di Brian Selznick, è la storia di un orfano, che vive segretamente tra le mura della stazione ferroviaria di Montparnasse a Parigi negli anni Trenta. Del padre orologiaio conserva un automa rotto che si ostina a voler riparare. Con l’aiuto dell’eccentrica Isabelle scopre che l’automa conserva segreti che riportano a galla vicende del passato. Hugo Cabret è l’omaggio scintillante da parte di un maestro della cinepresa al cinema francese del primo Novecento, quello pioneristico in cui la fertile fantasia e la capacità creativa di George Méliès diedero alla luce i primi veri film: pellicole fatte di trame fantastiche, scenografie, costumi, rudimentali effetti di montaggio da cui tutto il cinema moderno ha avuto origine. Al di là del successo italiano, comunque, si può parlare di una mezza delusione dal punto di vista dei ricono-

Nessun premio, invece, per le stelle di Hollywood George Clooney e il suo Paradiso amaro e per Brad Pitt in Moneyball (tradotto in italiano in L’arte di vincere), ma la cosa non stupisce: questa edizione degli Oscar era destinata a essere targata Francia, grazie al capolavoro di Hazanavicius, e i pronostici della vigilia sono stati tutti ampiamente rispettati. A presentare la cerimonia della Notte degli Oscar, per la nona volta, Billy Cristal, arrivato dopo il forfait di Eddie Murphy. L’attore comico si è reso protagonista di un divertente siparietto insieme a George Clooney, interpretando in una parodia di Paradiso amaro la moglie moribonda di Clooney, con cui si è scambiato un tenero bacio. Un altro Oscar, infine, il terzo della sua strepitosa carriera, è andato a Meryl Streep, giunta con l’edizione di quest’anno a diciassette nomination. L’attrice è stata premiata per la straordinaria interpretazione del ruolo di Margaret Thatcher in The Iron Lady. Prima di lei solo altri quattro attori, Jack Nicholson, Ingrid Bergman, Walter Brennan e Katharine Hepburn, avevano ottenuto quattro statuette per le loro interpretazioni. Un premio è andato anche a Woody Allen e al suo Midnight in Paris, che conquista il riconoscimento per la miglior sceneggiatura originale. Rango conquista l’Oscar come miglior film d’animazione e Undefeated come miglior documentario. Esce sconfitto La luna, corto italiano dell’animatore Enrico Casarosa, che lascia il premio a The Fantastic Flying Books of Mr. Morris Lessmore. Come ogni anno alla cerimonia degli Oscar si ricordano con In memoriam le persone del mondo del cinema, e non solo, che sono scomparse durante l’anno. Sulle note di What a Wonderful World sono passate le immagini, tra gli altri, anche di Jane Russel, Annie Girardot, Ken Russel, Whitney Houston, Peter Falk, Sydney Lumet, Ben Gazzara ed Elizabeth Taylor. Un pensiero è stato dedicato anche a Steve Jobs, che con la sua Pixar ha rivoluzionato il modo di produrre film d’animazione.


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Ieri un nuovo incidente: alle Seychelles un blackout totale dei motori. Questa volta, rispettati i protocolli

Costa, la maledizione delle di Massimo Fazzi otrebbe sembrare una presa in giro, se non fosse una situazione drammatica: andando contro quasi tutte le leggi della probabilità (che comunque non è una scienza esatta), un nuovo disastro ha colpito una nave da crociera. Sempre della Costa, sempre in navigazione. Questa volta, a differenza del dramma della Concordia che ha speronato l’isola toscana del Giglio, siamo lontani dalla costa italiana. Sempre questa volta, non ci sono feriti o tanto meno vittime. Infine, sembra siano state rispettate tutte le procedure che l’emergenza impone alla navigazione in mare. Partiamo dai fatti: nel primo pomeriggio di ieri, arriva la notizia che una nave della Costa Crociere è alla deriva dopo un incendio a largo delle isole Seychelles. Le fiamme a bordo dell’Allegra sono state spente e nessuno è rimasto ferito. Secondo le prime informazioni si

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Questa volta, a differenza del dramma della Concordia, sono state subito attivate le procedure di emergenza. Nessuna vittima, tutto nasce da un fuoco in sala macchine trova a circa 200 miglia dalla terra ferma. La notizia è diffusa dal sito di attualità marittima Lloyd’s List. Come prima cosa, si specifica che non ci sono feriti: «A titolo di precauzione a bordo è stato dato l’allarme di emergenza generale - si legge sul comunicato diffuso da Costa Crociere dopo l’incidente.Tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio, non impegnati nella gestione dell’emergenza» si sono riuniti nei punti di raccolta “con le dotazioni di sicurezza necessarie”. «L’incendio è stato estinto e non si è esteso a nessuna altra zona della nave. Non ci sono stati feriti o vittime», si legge ancora sul comunicato. A bordo della Costa Allegra gli italiani, secondo quanto si è appreso dalle Capitanerie di Porto, sono in tutto 212: 186 passeggeri e 86 membri dell’equipaggio. Non ci sono problemi per la sicurezza e per i passeggeri italiani della nave Costa Allegra in navigazione al largo delle Seychelles, secondo quan-

CROCIERE to confermato dalle autorità locali, ha detto il Console delle Seychelles, Claudio Izzi.«Non ci sono pericoli e la situazione non è allarmante», conferma il colonnello Michael Rosette, ufficiale della Guardia Costiera dell’isola di Mahé rispondendo a Repubblica.

Il Comando generale delle Capitanerie di Porto ha fatto sapere che per un lungo periodo si è verificato un black out a bordo della nave Costa Allegra, dove le batterie tengono in funzione solo le apparecchiature di bordo. L’imbarcazione è rimasta per ore senza propulsione, in attesa di esser rimorchiata. Ora l’imbarcazione si trova a oltre 200 miglia a sud-ovest delle Seychelles e a circa 20 miglia da Alphonse Island. L’Allegra era partita dal Madagascar e diretta a Mahè nelle isole Seychelles. tutto sembra nascere quando si vedono le prime fiamme in sala macchine. «Costa Crociere è stata informata che oggi [ieri per chi legge] alle ore 10.39, ora italiana, un incendio si è sviluppato a bordo della motonave Costa Allegra

in sala macchine, nel locale generatori elettrici situato a poppa - fa sapere Costa Crociere - . Le procedure e il sistema antincendio di bordo sono stati attivati e le speciali squadre antincendio di bordo sono intervenute».

Tempestivi ed efficaci, questa volta, i soccorsi. La centrale operativa della Guardia Costiera italiana ha allertato le autorità delle isole Seychelles competenti territorialmente per il soccorso, individuando navi mercantili da dirottare verso la motonave. La Costa Allegra resta al momento senza propulsione, ma i mezzi di comunicazioni dell’unità risultano funzionanti. Le condizioni meteo marine in zona danno mare stato 4 con raffiche di vento a 25 nodi. Costa ha confermato che le autorità competenti sono attive «per fornire alla nave il supporto necessario, in funzione dell’evolversi della situazione» e che sul posto si sono recati quasi subito “rimorchiatori e altri mezzi di supporto”. Rimane però quella che sembra una maledizione. Targata Costa.


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