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ISSN 1827-8817 90120

Perché si dovrebbe amare raramente per poter amare molto?

di e h c a n cro

Albert Camus 9 771827 881004

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA

di Ferdinando Adornato

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Corruzione nell’assegnazione dei premi? La procura svedese apre un’inchiesta

I mille volti dell’India in bianco e nero

Ombre cinesi sul Nobel per le scienze

Da sempre l’India, con la sua vastità di forme e colori, richiama lo sguardo dei fotografi come pochi altri luoghi. Una mostra a Roma per “Indiana”, reportage di Laura Salvinelli

di Silvia Marchetti ndividuare e scegliere i premi Nobel ha un suo prezzo. Ma forse anche vincerli costa. Al di là del milione di dollari che viene consegnato a chi si è distinto nei vari campi del sapere - matematica, economia, letteratura, pace, medicina, fisica, chimica - ci potrebbe essere un costo a volte meno “trasparente” da parte dei governi interessati a ingraziarsi gli esaminatori e assicurarsi la nomina. Viaggi aerei, favori personali, hotel di lusso pagati, e quant’altro ancora. Sulla fama rispettabilissima del comitato di Stoccolma è calata un’ombra nera: la procura svedese ha aperto un’inchiesta preliminare per corruzione contro alcuni membri del comitato per il Nobel, ossia proprio i “giudici” che imparzialmente dovrebbero proclamare i vincitori dei premi.

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di Diego Mormorio a pagina 12

Due pretendenti: la Peugeot-Citröen e i tedeschi della Bmw

E Marchionne prepara le nozze della signorina Fiat

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di Enrico Cisnetto repariamo il vestito buono, perché tra le sorprese annunciate che ci riserverà questo 2009 tempestoso in arrivo ci saranno anche le nozze Fiat. Un matrimonio d’interesse e soprattutto obbligato, secondo la stessa profezia di Sergio Marchionne, per cui sopravvivranno nel mondo solo 6 grandi gruppi dell’auto, di cui tre europei. Ma non riparatore: Fiat, infatti, potrà scegliere accuratamente il partner più adatto, e negoziare un contratto matrimoniale all’altezza, essendo uscita dalla“cura Marchionne”almeno in piedi sulle proprie gambe. Certo, fa un po’ impressione che sia proprio lui, l’amministratore delegato della Fiat, a “scegliere la sposa”, imponendo a se stesso e alla casa torinese una sterzata di 360 gradi rispetto alla linea tenuta in questi quattro anni. Infatti, fin da quando si è installato al piano più alto del Lingotto, nel 2004, il manager italo-canadese ha puntato tutto sugli accordi di prodotto e su progetti di collaborazione mirata, escludendo a priori una “grande alleanza”totalizzante. E non perché l’esigenza di una fusione in grado di creare un “campione internazionale” delle quattro ruote non fosse palese anche prima di questa ennesima crisi. Semplicemente, perché il mandato degli Agnelli-Elkann era chiaro: faccia quello che vuole, ma non ci tolga l’azienda dalle mani. Certo, ci sono poi altre attenuanti a questo ritardo quadriennale. Ancora pochi anni fa il mercato andava bene e Fiat agonizzava; poi, mentre la Fiat guadagnava quote di mercato, l’intero settore è andato incontro alla sua crisi peggiore: decidere in queste condizioni così mutevoli non era facile, e probabilmente tanti piccoli accordi anziché uno solo grande è apparsa la strada meno pericolosa. Inoltre, cosa non da poco, i grandi “merger”avevano dato tutti risultati pessimi.

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Oliver Twist, smentito Dickens

LA DIREZIONE PD Veltroni lancia un forte allarme sul futuro del partito: «O si cambia o si muore». Gli altri big democratici gli rinnovano la fiducia ma criticano la sua linea. D’ora in poi il segretario è “sotto tutela”

Uno studio del British Journal of Medicine “rilegge” il capolavoro. Negli orfanotrofi vittoriani il cibo per i bambini c’era, ed era sufficiente

di Vincenzo Faccioli Pintozzi a pagina 20

La riforma di Brunetta al femminile

Figli e carriera, la pensione è donna di Giuliano Cazzola

Rischio fallimento alle pagine 2, 3, 4 e 5

s egue a pag ina 6

SABATO 20 DICEMBRE 2008 • EURO 1,00 (10,00

CON I QUADERNI)

• ANNO XIII •

NUMERO

245 •

WWW.LIBERAL.IT

razie all’Unione europea e al ministro Brunetta si riparla di pensioni. Ma tutto lascia credere che non sia ancora arrivato il «tempo del coraggio». La sentenza dell’Alta Corte di Giustizia del novembre scorso non ha solo condannato l’Italia per discriminazione di genere perché consente alle dipendenti della pubblica amministrazione di andare in pensione a 60 anni, cinque anni prima degli uomini. Soprattutto la sentenza ha fatto giustizia – anche sul piano culturale – di un luogo comune molto diffuso in Italia: quello per cui la donna deve essere risarcita della sua condizione personale e professionale attraverso uno “sconto” sull’età pensionabile, quando questo stesso“sconto”altro non è se non“l’ultima raffica”della discriminazione di genere.

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• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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pagina 2 • 20 dicembre 2008

Nella tempesta. D’Alema solleva critiche pesanti ma vota il documento. Rutelli invoca inutilmente una decisione sulle alleanze

Paralisi Democratica

«Innovazione o fallimento» l’appello di Veltroni cade di fatto nel vuoto. Alla fine, nella direzione del Pd, tutti restano sulle proprie posizioni di Errico Novi

ROMA. Mentre fuori infuria la bufera, tintinnano le manette, si sciolgono le giunte, dentro si gioca ad accarezzare la colt. Walter Veltroni mostra di averla ben pronta nella fondina, ma poi fa intendere ai centoventi della direzione nazionale che c’è un modo per mettersi d’accordo e dare senso alla tregua: «La crisi politica e morale pone un’alternativa secca: o l’innovazione o il fallimento. Rischiamo di essere travolti». C’è motivo dunque per tenersi uniti: la condivisione del disastro, che riguarda tutti, il segretario come Massimo D’Alema, Francesco Rutelli come Pierluigi Bersani. Un ottimo pretesto per prolungare all’infinito lo sport più in voga dalle parti del Nazzareno: un eterno duello al sole in cui non spara mai nessuno ma rischiano di finire male tutti. Eppure un problema c’è, un campanello d’allarme risuona, nel gran giorno della resa dei conti (una delle tante): Sergio Chiamparino saluta e se ne va, dopo aver detto che le correnti sono eccome «un sistema di potere» ancora tutto in piedi. «Lascio la mia carica di ministro alle Riforme istituzionali del governo ombra. Serve un assetto diverso». La periferia, quella in cui il Pd governa ancora senza minacce di arresto, è disgustata, delusa e soprattutto pessimista. Non digerisce la finta pace sancita alla direzione nazionale di ieri, con la stes-

I prodiani hanno disertato il voto alla Camera per l’arresto

Scontro “segreto” su Margiotta ROMA. La questione morale agita il Pd, si sa, ma è passata sotto silenzio l’azione di oltre venti deputati che giovedì sera, pur essendo in aula, hanno preferito astenersi piuttosto che votare contro la richiesta d’arresto avanzata ai danni di Salvatore Margiotta. A scorrere l’elenco dei nomi è evidente che due componenti, in particolare, non hanno voluto sostenere il collega lucano: ulivisti e fassiniani. Piero Fassino, infatti, ha scelto di non partecipa-

re al voto insieme, tra gli altri, agli ex ministri Pollastrini e Damiano e al coordinatore di un tempo della sua segreteria Migliavacca. Niente voto proMargiotta pure per Parisi, Levi, Barbi e per il vecchio portavoce di Prodi, Sandra Zampa. Assenti al momento giusto pure gli ex ministri Nicolais e Melandri. Ieri, alla Camera, particolarmente infuriati erano i dalemiani.“Se voto così, io poi sul territorio non posso più girare”, si giustificava Damiano. (m.p)

dere solo a lui); e organizzare nuovi strumenti interni che preservino il monopolio dell’organizzazione nelle sue mani. Significa immobilismo, se come ieri le critiche continueranno a essere pronunciate in modo così severo quanto sterile (vedi appunto D’Alema). Sarà anche salva la leadership del capo, ma la «chiarezza della proposta» (sempre parole dell’ex presidente del Consiglio) continuerà a latitare. Walter d’altronde deve pensare a difendersi, e allora ecco in arrivo «il lavoro di un gruppo, in seno alla direzione, che avanzi proposte da portare in assemblea, sulle primarie e sul rapporto tra democrazia degli iscritti e degli elettori, sul rapporto tra pluralismo politico interno e unità del partito, sul ricambio dei gruppi dirigenti e sul rapporto tra partito federale e poteri sostitutivi centrali». Sono nodi che andranno affrontati «in modo sereno ma rigoroso e severo con la conferenza programmatica di marzo». A un passo dalle Amministrative, piuttosto tardi, verrebbe da dire, per sperare di mettere insieme una campagna elettorale credibile. Eppure il momento è grave, ammette il segretario: «O aiutiamo il Pd a saltare nel futuro o lo leghiamo al presente che ci precipita nel passato e il Pd rischia di essere travolto. I risultati elettorali negativi e la questione morale, che per noi è questione principale e riguarda tutti, minano il cammino del partito, e il ricambio generazionale dei dirigenti, che troverà compimento con il congresso del prossimo anno, è la vera urgenza». La bufera giudiziaria? «Valga per tutti la presunzione di innocenza. Il Pd è un partito per bene, ma in questi giorni ne

Chiamparino si dimette da ministro ombra: «Ci vuole un nuovo assetto». Poi ci ripensa. Walter annuncia la conferenza programmatica a marzo e avverte: «La questione morale mina il nostro cammino, serve un cambio generazionale» sa componente dalemiana, oltre a quella di Rutelli e alle altre, che approva all’unanimità lo stesso dispositivo, basato nella sostanza sulla relazione di Walter. Alla fine Chiamparino ci ripensa ma la lacerazione resta. Qualcuno, ma sono in pochi, nota che in una scelta come quella di D’Alema non c’è coerenza, e soprattutto non c’è alcun senso. Non è possibile dissentire su quasi tutto, dal nodo delle alleanze alla necessità delle tessere, e – come fa l’ex premier – siglare il documento della concordia. È una patologia, fa notare quasi isolato il prodiano Franco Monaco. È appunto il gioco di quelli che accarezzano la colt e minacciano dunque di sparare per primi. Incuranti del fatto

che tutto il resto, nel frattempo, va a fuoco.

Nemmeno Veltroni dà la sensazione di voler prevenire il disastro, nonostante lo evochi con tanta espressiva retorica. Piuttosto gioca la partita del leader che sa di accusare un handicap permanente, proprio di chi nella precedente vita politica non ha mai avuto peso nella macchina interna del partito e deve dunque difendersi dall’assalto delle correnti. La sua strategia è dunque piantata su due pilastri: approfittare di scandali come quello di Napoli per avvicendare gli uomini del disonore con giovani reclutati al di fuori delle vecchie famiglie ( e dunque in condizione di rispon-

Paola Binetti avverte Walter: è il momento di grandi scelte

«Ci vogliono nuove alleanze, noi comunque nel Pse non ci andremo» colloquio con Paola Binetti di Irene Trentin

ROMA. «Se Veltroni vuole entrare nel Partito socialista europeo lo faccia pure, ma non lo seguiremo». Paola Binetti non è disposta a “svendere” l’identità dei cattolici del Pd. «Per costruire il partito su basi solide dobbiamo scegliere la linea della chiarezza, anche a costo di perderne una parte». E sulla chiusura del segretario alla possibilità di tornare a un’alleanza tra partiti di sinistra e di centro, dice: «Alla lunga dovremo scegliere. Meglio l’Udc». È possibile che il Pd diventi «il primo partito italiano», come ha detto Veltroni? Parlare di vocazione maggioritaria significa sperare che il Pd possa esercitare una tale capacità di attrazione tra gli elettori da poter tornare al governo da solo. Ma non si può negare che c’è una crisi di consensi. La vera questione

allora è cosa possiamo fare per convincere gli italiani che il nostro partito è in grado di dare risposte serie in questo momento. Veltroni non sembra lasciare molte possibilità per alleanze tra partiti di “sinistra” e partiti di “di centro”, anche se poi in realtà ammette che possano realizzarsi a livello locale. La vicenda dell’Abruzzo dimostra che le alleanze con Di Pietro non portano da nessuna parte. L’alternativa è puntare ad alleanze di nuovo conio, come sostengono alcuni, tra cui Francesco Rutelli. Anche se, per uscire da questa crisi, la priorità per tutti è radicarsi nella propria identità, chiedersi chi siamo e dove vogliamo andare. Poi possiamo discutere di alleanze. Potendo scegliere, con chi? L’Unione di centro, non ho dubbi.


prima pagina mal riuscito», dice poco prima di essere rimbeccato nella replica finale da Veltroni, che vede un «suicidio» nella tentazione del ritorno al passato lasciata trapelare dall’eterno avversario. D’Alema insiste nella natura politica della crisi: «I problemi del Pd non nascono dalle vicende giudiziarie, la destra ne ha più di noi ma non si presenta come una forza colpita, perché appare aver risolto il problema del suo rapporto politico con la società italiana. Quindi le nostre difficoltà sono di carattere politico». Poi lo spiraglio d’ottimismo: «Ci sono tutte le condizioni per un riavvio, a partire dalla relazione di Veltroni che indica alcune fondamentali scelte di carattere programmatico». Eppure, come gli fanno notare Franco Monaco e Arturo Parisi, le distanze sono sostanziali, se è vero che l’ex vicepremier torna a parlare di tessere secondo il vecchio copione: «Abbiamo bisogno di un partito vero e non possiamo non dire che su questo c’è stata incertezza. A un certo punto c’è stato un dibattito sulla necessità delle tessere. Non c’è dubbio: ci vuole una comunità di uomini e donne legati da solidarietà, in cui la tessera sia il riconoscimento di un vincolo formale: chi è iscritto ha più doveri e diritti».

Il segretario del Pd Walter Veltroni. A destra, l’imprenditore Alfredo Romeo, al centro dell’inchiesta della magistratura napoletana. Nella pagina a fianco, in basso, Paola Binetti

è stata data un’immagine deformata e ingiusta». L’incombente Di Pietro? «Siamo diversi e le alleanze devono essere prima di tutto affidabili, non accompagnate da polemiche quotidiane nei nostri confronti. Convergenze programmatiche locali comunque sono possibili». Sulle alleanze c’è molta freddezza, nella relazione del segretario: «Non dobbiamo nutrire nostalgia della stagione della alleanze tra partiti di sinistra e partiti di centro. Non solo è un progetto incompatibile con il Pd, che è un partito di centrosinistra. Soprattutto, è un progetto anacronistico».

D’Alema è chiaramente il destinatario della osservazione. Sono altri però gli strumenti con cui Massimo difende la sua piccola trincea: «Il progetto in questi mesi si è appannato l’amalgama fin qui è Possono esserci diverse convergenze con un partito di centro con una forte connotazione cattolica ma nello stesso tempo una passione per le riforme. Anche da subito? Le prossime Politiche si terranno tra quattro anni: abbiamo tutto il tempo. D’altra parte, la recente vittoria di Lorenzo Dellai a Trento ha dimostrato che l’accordo con l’Udc funziona. Occorre iniziare a lavorare seriamente entrambi, rimarcando con coerenza le reciproche posizioni. Veltroni però, (e D’Alema è d’accordo) vuole entrare nel Partito socialista europeo… Ma noi no. E con me Rutelli, Fioroni, siamo in tanti. Lo avevamo detto a chiare lettere quando abbiamo sciolto la Margherita, ponendolo come condicio sine qua non: aderiamo al progetto del Pd, ma in

È Rutelli l’altro pacificatore che chiede di confermare a Walter il suo mandato affinché lo eserciti sulla linea che ha esposto, e che nello stesso tempo batte sul tasto dolente delle alleanze: «Il Pd sta regredendo nel consenso degli elettori, e sarebbe grave se questa regressione continuasse anche in presenza di una crisi di consensi del governo Berlusconi, crisi che potrebbe arrivare con l’approfondirsi delle difficoltà economiche. Per questo è essenziale affrontare il nodo delle alleanze: l’obiettivo è arrivare a una maggioranza democratica in Italia, creando le condizioni per unire gli elettori della sinistra e i moderati». Il riferimento è all’Udc, a quelle intese di nuovo conio che l’ex sindaco invoca da tempo, ma delle quali Veltroni per ora non vuole sentir parlare, convinto com’è prima il Pd debba rafforzarsi e poi discutere con gli altri, in modo da poterlo fare da una posizione di forza. Eppure da mesi il partito scivola giù, e il segretario sembra preoccupato innanzitutto dei tentativi altrui di farlo cadere prima dell’impatto finale.

Europa non entreremo mai nel Partito socialista. Su questo punto c’è un disagio diffuso. E se il segretario continuerà su questa strada? Che la segua pure, ma marchi con chiarezza la direzione che intende prendere. Io certamente non lo seguirò. Anche il discorso al Lingotto aveva lasciato perplessi molti cattolici del Pd… Veltroni cerca di tenere unite posizioni diverse, perché vuole salvare l’identità di laici e cattolici. Il Pd potrà avere un futuro solo se si esce dall’ambiguità, solo se si troverà il coraggio d’indicare con chiarezza la strada da prendere. Non c’è il rischio di perdere una parte del Pd? Sono convinta che è un rischio che bisogna correre: meglio perdere alcune persone, ma porsi in modo

chiaro nei confronti degli elettori. D’altra parte il Paese sta premiando chi fa scelte di questo tipo come l’Italia dei valori, il Pdl. Il Pd è un partito ancora giovane, ma la linea della chiarezza finirebbe per rafforzare anche la leadership di Veltroni. E nel frattempo, come possono coesistere i valori cattolici e quelli laici, talora inconciliabili tra loro? Il Pd deve lasciare la possibilità sia ai credenti che ai non credenti di esprimere con chiarezza le proprie posizioni. Sarebbe sbagliato tentare una falsa sintesi o una sorta di anonimato valoriale. Lo dobbiamo ai nostri elettori, che devono sapere bene chi stanno votando. Se vogliamo davvero puntare sull’innovazione, come ha detto il nostro segretario, solo la trasparenza farà crescere il Pd su basi profonde.

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Mentre i due assessori napoletani del Pd negano tutto

Berlusconi: «Con questi non si può fare niente» ROMA. La giornata della nuova Tangentopoli è trascorsa fra interrogatori e dichiarazioni sparse. In attesa di un finesettimana di fuoco, siamo ancora ai primi passi di un’inchiesta che sembra pronta ad allargarsi in mille rivoli: nei prossimi giorni, infatti, la Procura di Napoli deciderà se trasmettere a Roma gli atti relativi agli affari di Alfredo Romeo a Roma e a Milano. Ieri, intanto, è stata la volta di due nuovi interrogatori. è durato circa un’ora e mezzo quello dell’ex assessore comunale di Napoli Felice Laudadio, arrestato nell’ambito dell’indagine sulla delibera Global service. L’interrogatorio è avvenuto nell’ufficio del gip Paola Russo. Due ore e mezza, invece, è durato quello dell’ex assessore comunale di Napoli Ferdinando Di Mezza, arrestato due giorni fa dai carabinieri del Comando provinciale di Caserta nell’ambito della medesima inchiesta. Oggi, invece, è previsto l’interrogatorio del quarto ex assessore arrestato, Giuseppe Gambale, ex parlamentare ed ex sottosegretario. Inutile aggiungere che gli inquisiti hanno ostentato sicurezza nel professare la propria estraneità ai reati contestati. Per questo, sui risultati reali di ieri trapela poco o nulla: il puzzle degli affari di Romeo è enorme e complicato e, soprattutto dopo il silenzio dell’imprenditore ostentato ieri l’altro, gli investigatori restano abbottonatissimi. l contrario, chi non fa fatica a sbottonarsi, invece, è il presidente del Consiglio. I tempi per la riforma della giustizia sono «immediati perché abbiamo la riforma pronta»: è cominciata così la giornata di Silvio Berlusconi. Ottimismo, ottimismo, ottimismo, su tutto. E parlando alla trasmissione Panorama del giorno su Canale 5 il premier ha spiegato che il testo verrà presentato alla ripresa dei lavori del Parlamento, dopo Natale. La riforma della giustizia, dice Berlusconi «non è stata presentata adesso perché il Parlamento ha già tutti i tempi occupati e quindi la presenteremo alla ripresa dei lavori». Poi, dopo l’ospitata nella tv di famiglia, è stata la volta del pranzo di auguri con gli europarlamentari del Pdl. A chi gli chiedeva se sia disponibile al confronto con l’opposizione, Berlusconi ha risposto che «il Parlamento è la sede in cui discutere, a patto che dall’opposizione arrivi qualche suggerimento utile. Non credo che mai, da parte nostra, ci sia stata un’occasione in cui non sia stato accettato. Interlocutorio e generico quanto basta, insomma, il Cavaliere ha proseguito così: «C’è l’urgenza di fare questa riforma anche perché si è scatenato di nuovo il meccanismo mediatico-giudiziario delle intercettazioni e delle indagini. Credo che questo non sia positivo per il Paese e mi auguro che queste accuse rivolte ad amministratori della sinistra possano essere ridimensionate». Berlusconi, tuttavia, è scettico circa la possibilità di collaborazione tra gli schieramenti. «Non credo che si possa fare niente insieme fin quando questi signori si comportano come si sono comportati e continuano a comportarsi... Anche oggi - ha aggiunto - andate a sentirvi le altre dichiarazioni di Veltroni», ha detto riferendosi alle parole del segretario dei democratici secondo il quale il Pd non intende accettare lezioni di morale dal premier. Il premier ha così di fatto bocciato di fatto la proposta avanzata da Veltroni, di mettere a punto un codice etico allo scopo di riformare i partiti.


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Tangentopoli 2. Sono finiti i tempi della grande partecipazione popolare a Mani Pulite: per gli istituti demoscopici la gente è stanca di guerre istituzionali

La Piazza non c’è più Né con la politica né con la magistratura, i sondaggisti raccontano gli italiani: quindici anni dopo vince l’indifferenza di Riccardo Paradisi é con la magistratura né con la politica. È questo atteggiamento terzista che le antenne dei maggiori istituti demoscopici italiani colgono nel mainstream del Paese. Una tendenza diversa rispetto al clima dei primi anni Novanta, quando il pool milanese di Mani Pulite godeva dell’80% di gradimento e di fiducia degli italiani. Per questo le dichiarazioni di Fini, pur intrise di un alto coefficiente di politicità e dunque non neutre danno forma all’umore che imbeve, soprattutto in queste settimane, il Paese. «È improprio paragonare le inchieste di questi giorni a Tangentopoli – ha detto il presidente della Camera parlando con i cronisti nella tradizionale cerimonia di auguri per le festività natalizie – «Oggi il cittadino prima di credere alle accuse pensa: aspettiamo a vedere come va a finire. Il che è dovuto al fatto che la magistratura oggi è meno credibile. Una sfiducia che rischia di investire tutti e su cui si deve intervenire riformando le istituzioni».

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Un’analisi quella di Fini non terza si diceva visto che a questa constatazione il presidente della Camera fa seguire l’auspicio di «Una riforma della giustizia che parta dalla certezza dei tempi dei processi e dalla certezza delle pene. Se si parte da altri punti, che io non dico essere inesistenti ma possono in qualche modo apparire parziali, rischiamo un percorso molto più difficile». Un messaggio bidirezionale: rivolto da un lato al potere giudiziario – restio verso ipotesi di riforma

Renato Mannheimer Negli anni ’90 la magistratura era al primo posto nella classifica delle istituzioni più auterevoli, oggi è all’ottavo ma anche impopolare per troppi casi di cattiva giustizia – dall’altro al governo, tentato da una riforma in punta di lancia sferrata senza troppo dialogo in un momento di difficoltà estrema per il Pd.

Ma quali sono i livelli di sfiducia e di scetticismo raggiunti dagli italiani nei confronti del potere politico e di quello giudiziario? E di fronte alla nuova stagione di tensioni tra magistratura e politica che le inchieste in corso in Campania, in Basilicata e in Calabria qual è l’atteggiamento del Paese? Secondo Renato Mannheimer, malgrado un’escursione di credibilità della magistratura subita negli ultimi quindici anni – «Negli anni Novanta era al primo, secondo posto nella classifica delle istituzioni più autorevoli per gli italiani oggi è all’ottavo» – tuttavia la politica versa in condizioni addirittura peggiori. Sicché la gente, malgrado le guerre tra procure e le campagne di delegittimazione del centrodestra, continua ad aver

Luigi Crespi Gli angeli vendicatori sono diventati i persecutori. Gli italiani ricordano l’esito di Mani pulite. Lo sboom di tante attese. Troppe bolle emotive portano all’anestesia emotiva

più fiducia della magistratura che della politica, anche se lo scarto è davvero di misura e il termine comparativo, politica e partiti, è ormai sotto zero nel gradimento del Paese. Conferma l’analisi di Mannheimer Maurizio Pessato della Swg: è vero che c’è un logorio che riguarda tutti, ma se la politica è ai minimi termini di credibilità la magistratura è ancora a livelli medio bassi. «Quello che colpisce di più – dice Pessato a liberal – è che in questi anni è crollata la fiducia dei cittadini anche nelle istituzioni politiche locali: verso i sindaci, i governatori della regioni, le amministrazioni provinciali». Insomma la politica non può ancora dire di essere proprio sulla stessa barca della magistratura come fa Fini.

Anche se è vero che il Paese rispetto a Tangentopoli è meno disponibile ad offrire all’azione delle procure una sponda di sostegno: «C’è meno reattività – dice Pessato – si dà per scontato che le cose non possano cambiare, una larga massa di persone si ritrae scettica di fronte a questo nuovo conflitto tra poteri dello Stato. Dopo gli eccessi di Mani pulite si aspetta a prendere posizione, a individuare nella magistratura una funzione di vindice degli abusi del potere». A resistere in termini di fiducia è ancora la presidenza della Repubblica. Credibile per due terzi degli italiani. «Un consenso ampio, che testimonia della necessità del Paese di una figura di garanzia. Insieme al Colle raccolgono la fiducia degli italiani anche i Carabinieri 83%, la Chiesa cattolica 62%, il Parla-

mento europeo 61%. Mentre i sindacati sono solo al 39%. Sono dati a cui Nicola Piepoli fa seguire quelli che a lui risultano su istituzioni politiche e magistratura: che a pari merito raccolgono il 53% di credito. Un dato in controtendenza. «La nostra è un’analisi di flussi non immediati. L’onda emotiva va e viene, ma non ci risulta questo crollo di autorevolezza presso gli italiani di potere politico e giudiziario. Per screditare le istituzioni definitivamente ci vuole ben altro».

Ma anche per Piepoli il dato principale è il distacco del Paese da quanto sta avvenendo sul piano politico-giudiziario: «L’84% degli italiani ha paura della disoccupazione, di diventare più povero. La gente non pensa alle indagini, o se tifare per la politica o la magistratura, ma a come sopravvivere alla crisi». Resta il fatto che anche il distacco può essere tradotto in

Nicola Piepoli L’84% degli italiani ha paura della disoccupazione, di diventare più povero. La gente non pensa alle indagini, o se tifare per la politica o la magistratura, ma a come sopravvivere alla crisi un dato politico: il 47 per cento di astenuti in Abruzzo fa riflettere Alessandro Amadori (Coesis) che però non vede nell’impennata di Di Pietro in quella regione la conferma di un sostegno popolare alle procure. «Di Pietro nei primi anni Novanta aveva l’80% di fiducia popolare. Falcone e Borsellino erano diventati dei santi protettori del Paese. Nell’immaginario collettivo la magistratura viveva una grande stagione eroica dopo la quale è arrivata la normalizzazione che ha sgonfiato il retroterra emotivo. Di Pietro oggi rappresenta una sorta di lega etica, ma la sua figura no incarna più la speranza

nella rivoluzione civile di ieri». Tanto più che gli indicatori di fiducia riguardanti le principali istituzioni in possesso della Coesis segnano un calo anche per la magistratura, oggi al 30% rispetto al 15% della politica: «I giudici non hanno più il vento in poppa. È stata una flessione lenta. dovuta più che altro alle inefficienze del sistema giudiziario. I processi lunghi o fatti come quello del pirata della strada rilasciato dopo pochi giorni hanno potuto molto di più che l’offensiva “garantista” del centrodestra». Ma c’è anche chi registra una disaffezione verso il potere giudiziario maggiore rispetto a quello che gli


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Valori. Il leader ha ordinato pulizia, ma in Campania non tutti sono d’accordo

Lunedì i dipietristi lasciano le giunte. Forse di Angela Rossi

NAPOLI. Antonio Di Pietro ha deciso di ritirare i suoi rappresentanti da tutte le giunte della Campania nella quale sono presenti dopo la bufera giudiziaria che ha travolto il Pd ma - dal partito - le risposte al diktat del suo leader sono contrastanti: non sembra che tutti siano disposti a farsi da arte e anzi qualcuno prende le distanze dalla rigidità dell’ex-magistrato.

Non tutti, infatti sono disposti a seguire la strada delle dimissioni dai numerosi governi locali nei quali sono presenti e che vanno dalla Giunta al Comune di Napoli con l´assessore Luigi Imperlino, al sindaco di Torre del Greco, Ciro Borriello, ai quattro consiglieri regionali, agli assessori provinciali di Benevento, Augusto Simeone e di Caserta Domenico Napolitano, e citiamo solo alcuni delle realtà maggiori. L’Idv è presente infatti in molte amministrazioni sia della provincia di Salerno che di Avellino ed esprime un assessore provinciale a Benevento, Augusto Simeone. Quindi, se resteranno ancora al proprio posto lo si saprà lunedì prossimo quando si riunirà a Napoli l’esecutivo regionale durante il quale si discuterà della decisione. Ma in vista di quell’incontro cominciano a fioccare i vari distinguo. Per esempio, non è molto propenso a seguire i richiami di Di Pietro. l’onorevole Francesco Barbato il quale è convinto che non dappertutto vada osservato lo stesso criterio. «L’input arrivato dall’esecutivo nazionale dovrà essere valutato da quello regionale. In un partito democratico si discute. Personalmente – afferma Barbato - sono per una totale intransigenza sulla questione morale che attraversa l´intero sistema politico. Può capitare a tutti, dice Di Pietro, e invece io penso che dobbiamo praticare quella diversità etica che predichiamo. Ad esempio non si parla di Regione Campania quando abbiamo un assessore come Velardi che dopo un anno di amministrazione ha fatto registrare indici, nel settore turistico, solo negativi. Ha fatto solo spot ed è troppo amico di Romeo. Occorre trasparenza e per questo non ci piace Bassolino mentre Iervolino ha coraggio ed è una persona perbene; poi è stata votata dai cittadini. Motivo per cui va benissimo il campanello d´allarme lanciato da Di Pietro ma come linea di principio. Non dobbiamo chiuderci, eppure ritengo che la formula di Di Pietro che afferma che per candidarsi con il nostro partito sia necessario il certificato penale non sia sufficiente perché sappiamo bene che ci sono camorristi, affaristi e politicanti con la fedina penale immacolata. Quindi

è meglio lasciar parlare la storia personale di ogni individuo. Quello che non vogliamo – prosegue Barbato – è gente che faccia politica per arraffare mentre noi vogliamo attuare una politica del dare. Sono convinto che non si debba generalizzare e dove ci sono amministrazioni che hanno lavorato bene si debba continuare a sostenerle, non si può applicare rigidamente e in modo generalizzato lo stesso sistema in un intero territorio regionale. Bisogna essere responsabili ed avviare un´attenta analisi». Insomma: più chiaro di così.

«Anche se il senso di responsabilità à sempre presente in noi - ha dichiarato il coordinatore regionale, Nello Formisano - non è più rinviabile un’analisi a trecentosessanta gradi, chiesta da tempo e puntualmente rimasta inascoltata dagli attuali capi della coalizione. Adesso non c’è più spazio per temporeggiare: è necessario dare un segnale forte di cambiamento». Secondo il senatore Aniello Di Nardo, responsabile nazionale degli eletti, «Il pensiero di Di Pietro è quello di venire fuori dalle cellule campane. Non è in atto una guerra al Pd anche se abbiamo divergenze su alcuni punti. Per questo non escludo che tutti i nostri rappresentanti presenti negli esecutivi della Campania rassegnino il loro mandato nelle mani del partito, affinché Italia dei valori possa compiere una valutazione. La decisione presa dopo l´esecutivo nazionale non è un comportamento da avvoltoi - afferma Di Nardo nel rivendicare il 15 per cento dei voti ottenuti in Abruzzo dall´Idv - ma coerente. Poi la gente apprezza e dà il proprio consenso». «Lunedì prossimo ci sarà l’esecutivo regionale - dichiara il senatore Felice Belisario, presidente del gruppo - come è giusto che sia essendo il nostro un partito su base regionale. Noi non guardiamo al particolare. La situazione è grave e la questione morale è trasversale a tutti gli schieramenti. È un momento in cui i cittadini chiedono uno scatto di orgoglio alla politica, occorre eliminare le piccole rendite di posizione e pensare al bene del Paese. È inutile chiudersi nelle stanze e dividersi sindaci e assessori. L´Idv vuole costruire una coalizione per governare per il bene dei cittadini. Lo facciamo con passione perché la politica non può essere ragioneria. Vogliamo costruire qualcosa di duraturo, non per le nostre posizioni personali. Il Paese è in crisi ed occorre concretezza. Basta guardare al particolare che è ben poca cosa di fronte al traguardo più alto che è il bene comune».

«La situazione nazionale spesso è molto diversa da quelle locali: bisogna tenerne conto prima di decidere»

La stagione di Mani Pulite suscitò nel Paese un’ondata di entusiasmo poi rifluita nell’indifferenza per gli errori e gli eccessi della magistartura. Nella foto a destra il leader dell’Idv Antonio Di Pietro

italiani hanno nei confronti dei partiti. È questa l’opinione di Luigi Crespi secondo il quale la magistratura oggi si assesterebbe al 20-25%, un dato percentuale sovrapponibile al consenso politico raccolto dalla galassia giustizialista Di pietro, Travaglio, Grillo, sinistra radicale e astensionismo. In questo momento la fiducia verso il governo invece è molto alta. Non è il 70% di cui parla Berlusconi ma siamo al 50% che visti i tempi non è poco». Tra quei cittadini che poi hanno direttamente avuto a che fare con la giustizia la fiducia poi precipita ulteriormente, al 5%: «Di Pietro aveva l’80% – ricorda Crespi – quando negli anni Novanta faceva l’angelo vendicatore di un potere arrogante e non dialogante, autoreferenziato, oggettivamente corrotto. Poi ha fatto il suo corso il solito ciclo delle rivoluzioni giacobine e le parti si sono rovesciate. Gli angeli vendicatori sono diventati i persecutori. Gli italiani ricordano l’esito di quella stagione. Lo sboom di tante attese. Troppe bolle emotive portano all’anestesia emotiva». Per questo gli italiani stanno alla finestra: né con i magistrati, né con i partiti.


politica

pagina 6 • 20 dicembre 2008

Matrimoni. Le alleanze sono indispensabili: Marchionne si è convinto. E ora, Peugeot o Bmw?

Chi vuole la signorina Fiat di Enrico Cisnetto A fianco, Sergio Marchionne. In basso, la presidente degli industriali Emma Marcegaglia: la produzione è ai minimi

segue dalla prima Primo fra tutte quello tra Mercedes e Chrysler, un matrimonio durato solo nove anni (19982007) e terminato con un brutto divorzio, con una “sposa americana”, Chrysler, salvata giusto ieri dalla bancarotta grazie ad un primo prestito di 13,4 miliardi di dollari (più altri 4 a febbraio) che l’amministrazione americana le ha concesso insieme alla General Motors. Quella stessa GM con cui la Fiat si era fidanzata, salvo poi rompere bruscamente (e fortunatamente) l’iter delle nozze, peraltro portandosi a casa pure gli alimenti.

ti modelli. Per Fiat, si tratterebbe così di penetrare finalmente in un mercato dove non ha mai ottenuto grandi soddisfazioni. Infine, vi sono somiglianze tra i due gruppi che potrebbero favorire un’intesa: l’azionariato Fiat è simile a quello Bmw, con una dinastia di fondatori che ancora detiene il potere di controllo (a Torino gli Agnelli-Elkann, a Monaco la famiglia Quandt). Unico punto debole di questa fusione, è quello dei numeri: anche sommate insieme, Fiat e Bmw non avrebbero una massa critica sufficiente per sfidare gli altri colossi internazionali. Di qui l’esigenza di trovare un terzo socio, in un ménage à trois che potrebbe coinvolgere l’indiano Tata.

Oggi però le regole del gioco sono cambiate: il mondo dell’auto è in evidente crisi di sovrapproduzione, lo shock petrolifero del 2007 e la crisi finanziaria hanno falcidiato le vendite (un’auto su due si vende a credito). E, se fino a qualche anno fa le “M&A” erano iscritte nel libro delle possibilità, oggi sono nel registro delle urgenze. La caccia al“buon partito”, dunque, è aperta: anche a costo di mettere i pa-

Berlusconi, Sarkozy e Carlà spingono per l’accordo fra Torino e Parigi. E poi la fusione con i tedeschi di lusso non basterebbe a rimanere fra i primi sei grandi dell’auto mondiale renti (gli Agnelli) in minoranza. I papabili sono due, entrambi europei: il gruppo francese Psa, che comprende i marchi Peugeot e Citroen, e i tedeschi di Bmw. Nel primo caso, sarebbero nozze di pari lignaggio, con un’integrazione orizzontale del business che creerebbe il sesto player mondiale dell’auto di massa. È uno scenario su cui scommettono gli analisti di Ubs, la banca svizzera nel cui board siede lo stesso Marchionne. Secondo loro, quello tra Fiat e Psa è tra i matrimoni da mettere in agenda per i prossimi mesi. E porterebbe grandi vantaggi: know-how complementari, soprattutto nel settore dei motori, fondendo le due diverse leadership tecnologiche nel benzina e nel diesel. Inoltre, Fiat porterebbe in dote la presenza strategica sul mercato brasiliano, e il suo peso nel settore dei veicoli commerciali, dove ha già in atto una collaborazione con la stessa Peugeot-Citroen. Infine, Torino metterebbe sul piatto anche due marchi cosiddetti “premium”, Lancia e

Alfa Romeo, che permetterebbero ai francesi di presidiare un segmento, quello dell’auto di lusso, in cui sono rimasti scoperti.

Discorso totalmente diverso nel caso di un matrimonio con Bmw. Qui, Fiat impalmerebbe un partner blasonato, e vi sarebbe

una tipica integrazione verticale, con una suddivisione di ruoli ben precisa. I tedeschi continuerebbero a presidiare il settore lusso, cui finirebbero in dote Alfa e Lancia, mentre l’Italia diverrebbe l’hub produttivo di utilitarie e auto medie, partendo dalla piattaforma Mini. Anche in questo caso, vi sono già in atto collaborazioni tra i due gruppi (i famosi accordi di prodotto fortissimamente voluti da Marchionne). A livello strategico, poi, vi sarebbero altri vantaggi: Bmw è forte negli Usa, dove già produce mol-

Chi riuscirà dunque a portare sull’altare la “sposa torinese”? Molti indizi portano sugli Champs Elysées: in fondo, John Elkann porta un cognome francese. E la stessa signora Sarkozy è nata a Torino, oltre ad essere testimonial della Lancia. Non va sottovalutato, poi, che in matrimoni di questo rango anche la politica vuole dire la sua. E in molti giurano che Berlusconi e Sarkozy si stiano già preparando i tight da testimoni. Quello che è certo è che, messi nel cassetto i“Dico”e le relazioni brevi e senza impegno, Marchionne si è finalmente convinto che per la signorina Fiat è arrivata l’ora di consumare un matrimonio vero, e possibilmente per tutta la vita. Meglio tardi che mai. (ww.enricocisnetto.it)

I dati Istat dicono -6% rispetto al 2007. E crolla il mercato auto

Sempre giù la produzione industriale ROMA. Crolla il fatturato dell’industria italiana: il calo registrato a ottobre sfiora il 6% su base annua. In base ai dati comunicati dall’Istat, la contrazione è stata infatti del 5,9% rispetto a ottobre 2007, con una diminuzione del 6,6% sul mercato interno e del 4,1% su quello estero. Rispetto a settembre 2008 il calo è stato del 4,3%. Nei primi dieci mesi del 2008, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il fatturato dell’industria ha registrato un aumento del 2,1%, sintesi di un incremento dell’1,9% sul mercato interno e del 2,2% su quello estero. Dall’analisi per settore di

attività economica, emerge che a ottobre, su base annua, le flessioni più significative si sono avute nella produzione di auto e mezzi di trasporto (-18,5%), delle industrie tessili e dell’abbigliamento (-12,2%), della produzione di articoli in gomma e materie plastiche (-11,3%) e della produzione di macchine e apparecchi meccanici (-10,2%). Aumenti, invece, nei settori dell’estrazione di minerali (+4,3%), delle raffinerie di petrolio (+1,5%) e delle industrie alimentari, delle bevande e del tabacco (+0,5%). L’analisi per raggruppamenti principali di industrie indica che a ottobre 2008 il fatturato è cresciuto, su base annua, del 2,3%. Variazioni negative, invece, del 10,9% per i beni strumentali, del 5,6% per i beni intermedi e del 3,8% per i beni di consumo (-8,2% per quelli durevoli, -2,8% i non durevoli).

in breve Bertolaso: «Senza soldi, a gennaio vado via» «All’inizio di gennaio me ne vado perché i tagli alla finanziaria sono davvero inaccettabili». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al dipartimento della Protezione Civile Guido Bertolaso ha fatto questo testuale annuncio, riferito da fonti parlamentari, durante la sua audizione in commissione Ambiente della Camera. Per dare la notizia ai deputati Bertolaso ha chiesto che venissero spenti i microfoni che trasmettevano in diretta il suo intervento. Il governo, tuttavia, ha subito rassicurato Bertolaso: i soldi arriveranno.

Brunetta annuncia: contratti Pa entro l’anno «Entro l’anno saranno chiusi tutti i contratti del pubblico impiego». È il nuovo annuncio del ministro per la Pubblica Amminie strazione l’Innovazione, Renato Brunetta. Da gennaio - ha chiarito il ministro a margine di una conferenza stampa con il collega degli Esteri Franco Frattini per presentare l rilancio dell’e-government per lo sviluppo tutti i 3,65 milioni di dipendenti «potranno avere l’aumento in busta paga».

Governo Berlusconi, record di decreti In questa prima fase di legislatura, la Camera ha approvato 82 leggi, di cui 26 decreti. Rispetto alla precedente legislatura i decreti sono, nello stesso periodo, 10 in più. E’ quanto emerge dai dati sui primi otto mesi di attività, consegnati ai giornalisti durante la cerimonia di auguri natalizi. La media mensile relativa a tutti gli atti normativi emanati è di 10,8 contro l’11 della precedente legislatura pari a 84 atti. Nel dettaglio, dei 26 decreti varati da Montecitorio, 16 hanno subito modificazioni. Ok anche a 21 decreti legislativi e un regolamento di delegificazione. Durante l’esecutivo Prodi i decreti varati nello stesso periodo (16) in 11 casi sono stati convertiti con modificazioni, 2 sono decaduti, uno è stato respinto.


economia Fisco. I dati del rapporto annuale 2008 della GdF: in Italia 6.414 in più (+30% rispetto al 2007)

È finita l’èra Visco Torna il popolo degli evasori di Alessandro D’Amato

ROMA. Chissà se nella rete è caduto anche quel vivaio che, ha raccontato Silvio Berlusconi durante la conferenza degli ambasciatori alla Farnesina, avevano offerto al presidente del consiglio di comprare una pianta “in nero”ma con il 50% di sconto. Di certo il rapporto annuale 2008 della Guardia di Finanza, illustrato ieri nel corso della consueta conferenza di fine anno dal generale Giuseppe Vicanolo, capo del III reparto del comando generale ha rivelato numeri e percentuali preoccupanti. Durante l’anno, la GdF ha individuato in totale 27,5 miliardi di basi imponibili non dichiarate, 4,3 miliardi di Iva evasa (dato superiore al massimo storico, raggiunto nel 2007) e violazioni sull’Irap per 19,4 miliardi (+30% rispetto allo scorso anno). In crescita anche il numero di evasori fiscali individuati: 6.414, per redditi pari a 8,8 miliardi, con un aumento rispetto allo scorso anno di circa il 30%. In sensibile aumento anche il rendimento dell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale internazionale, quella che di solito riesce a sfuggire alle maglie della giustizia, e dove i proventi sono più elevati. In questo settore sono state constate basi imponibili evase per 5,1 miliardi di euro, un ammontare quasi tre volte superiore a quello registrato in tutto il 2007 (1,9 miliardi). Anche per le frodi fiscali penalmente rilevanti, che hanno portato alla denuncia all’autorità giudiziaria di quasi 7.400 persone, è stato rilevato un aumento dell’Iva evasa tramite emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti peri a 2,3 miliardi di euro superiore del 45 % rispetto a quella scoperta nel 2007.

Individuati in totale 27,5 miliardi di basi imponibili nascoste, 4,3 miliardi di Iva evasa (dato superiore al massimo storico, raggiunto lo scorso anno) e violazioni sull’Irap per 19,4 miliardi

Siamo un popolo di irriducibili evasori? Sembrerebbe di sì, secondo il comandante delle fiamme gialle Ugo D’Arrigo: «Dalla lotta all’evasione fiscale si possono recuperare 80-90 miliardi di euro, una cifra grazie alla quale si potrebbero tranquillamente superare tutte le finanziarie e consentirebbe, quindi, di guardare al futuro con ottimismo. Grazie a questa cifra a disposizione, il governo potrebbe adottare provvedimenti forti molto più incisivi di quelli attuali e così venire incontro anche alle esigenze delle finanze e dei mercati». E il comandante ha poi illustrato le priorità della GdF per il 2009: «La lotta all’elusione e all’evasione fiscale e il concorso alla crescita economica del paese attraverso la tutela della legalità. Alla prima priorità - ha spiegato - è legato l’obiettivo strategico finalizzato alla prevenzione e alla repressione dell’elusione e dell’evasione fiscale in tutte le loro manifestazioni». Alla seconda sono invece correlati «un ulteriore obiettivo strategico volto al contrasto degli illeciti in materia di spesa pubblica, mercato dei capitali e mercato dei beni e dei servizi, ed uno strutturale concernente il concorso alla sicurezza interna ed esterna del paese». In particolare, il

piano di contrasto all’evasione «sarà reso più incisivo attraverso l’intensificazione delle attività ispettive sui fenomeni più gravi, sull’economia sommersa e sulle frodi». E c’è chi pensa che l’aumento dei proventi dalla lotta all’evasione sia anche un segnale che oggi, dopo un periodo di grande severità, si sia tornati con il centrodestra al governo, a un certo lassismo. Insomma, che non sia possibile una terza via tra il “terrorismo fiscale” del vampiro Visco e il bengodi (perlomeno percepito, ovviamente) di Tremonti. Non ci crede il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti: «E’ chiaro che la battaglia è ancora da vincere ma che è possibile nel nostro Paese ripristinare la legalità fiscale», spiega il segretario confederale, Domenico Proietti secondo il quale «questo obiettivo deve accomunare tutto il Paese in uno sforzo comune e senza indecisioni. Intercettare infatti ogni anno almeno un decimo degli 80-90 miliardi che la Guardia di Finanza giudica recuperabili dall’imponibile sottratto al fisco, permetterebbe di poter intervenire da subito riducendo le tasse sui

redditi da lavoro dipendente e da pensione, favorendo una ripresa dei consumi interni che gioverebbe alla nostra economia», aggiunge tornando a criticare duramente invece una eventuale revisione degli studi di settore che «in assenza di un taglio del carico fiscale per lavoratori dipendenti e pensionati non sarebbe solo sbagliata ma anche profondamente iniqua».

«Ogni extragettito conseguito dalla lotta all’evasione dovrebbe essere destinato in parti uguali a riduzione del debito e della pressione fiscale» dicono invece dall’Istituto Bruno Leoni. Nel frattempo, la via per combattere chi evade passa per gli enti locali: sono già 61 i Comuni emiliano-romagnoli che hanno aderito al protocollo d’intesa stipulato il 16 ottobre tra l’Agenzia delle Entrate-Direzione Regionale Emilia-Romagna e l’Associazione nazionale dei comuni italiani, allo scopo di potenziare il coinvolgimento degli enti locali nella lotta all’evasione fiscale.

20 dicembre 2008 • pagina 7

in breve Maurizio Costanzo consulente di Alemanno «Abbiamo deciso di presentare in questa occasione il sostegno che Maurizio Costanzo darà alla nostra amministrazione in quanto consigliere del sindaco, a titolo gratuito, per la comunicazione sociale». Lo ha annunciato il sindaco di Roma Gianni Alemanno nel corso della conferenza stampa di presentazione del progetto di solidarietà «Roma con te». Il sindaco ha spiegato che «abbiamo bisogno di un percorso di vicinanza e di attenzione verso i cittadini. Non si tratta di voglia di protagonismo e di visibilità del sindaco e della sua Giunta. Il problema - ha aggiunto Alemanno - è aumentare la comunicazione della cittadinanza, comprendere quello che sentono i cittadini e trovare la leva di partecipazione vera». Insomma, dopo aver lavorato per le tv di Berlusconi, dopo aver lavorato per la comunicazione e l’immagine di D’Alema e Rutelli, dopo aver lavorato per l’organizzazione teatrale di Veltroni, Costanzo corona un nuovo sogno.

Ru486 alla Camera mozione bipartisan «La parola d’ordine è fermare la procedura di autorizzazione alla registrazione della Ru486, la pillola abortiva all’esame dell’Agenzia italiana del Farmaco, ed impegnare il governo ad adottare gli opportuni provvedimenti per sospendere le procedure di autorizzazione alla registrazione del principio attivo della “kill pill”». È questa la sintesi di una mozione presentata alla Camera a firma di 105 parlamentari di maggioranza e opposizione, fra i quali Polledri (Lega Nord), Pagano (Pdl), Bertolini (Pdl), Saltamartini (Pdl), Buttiglione (Udc), Scapagnini (Pdl), Pezzotta (Udc), Volontè (Udc), Farina (Pdl), Vignali (Pdl), Laura Molteni (Lega Nord). I firmatari chiedono «l’immediata calendarizzazione della mozione, affinché il governo prenda una posizione chiara e decisa bloccando la somministrazione e la commercializzazione in tutto il Paese di questo farmaco poco sicuro e potenzialmente dannoso per la salute della donna».


economia

pagina 8 • 20 dicembre 2008

Discriminanti. Tra l’equiparazione dell’età previdenziale chiesta dalla Ue e l’assenza di una vera parità nel mondo del lavoro

Privilegi da pensionare L’economista Fiorella Kostoris: «Nella realtà le donne vanno a riposo dopo gli uomini» colloquio con Fiorella Kostoris di Francesco Pacifico

ROMA. «In tutta questa vicenda c’è un paradosso: per legge le donne potrebbero andare in pensione prima in quanto l’età pensionabile è più bassa, nella realtà vanno alla stessa età degli uomini. Infatti è la maggioranza degli uomini ad andare in pensione di anzianità, quella che ha un minino inferiore ai trattamenti di vecchiaia». L’equiparazione dell’età pensionistica tra i due sessi è una vecchia battaglia dell’economista Fiorella Kostoris. Che prima delle sanzioni minacciate dalla Ue e delle uscite del ministro Brunetta, ha spiegato i costi di «questo presunto privilegio». La Dini non aveva risolto il problema? La riforma aveva reso identica l’età pensionistica per uomini e donne, in un arco flessibile tra i 57 e i 65 anni. Per le pensioni di anzianità era prevista una posizione composta da 57 anni di età e 35 di contributi. Questo schema è saltato. Le cose sono cambiate con la riforma Maroni, che ha introdotto una flessibilità di pensionamento nei rapporti di vecchiaia, portando il limite minino a 65 anni per gli uomini e a 60 per le donne. Si lasciava la parità nelle pensioni di anzianità, che però erano legate all’introduzione dello scalone. L’innalzamento dell’età da 57 a 60 anni… Che il governo Prodi ha sostituito con una serie di scalini, un innalzamento graduale, che portato l’età pensionistica a 58 anni nel 2008 e che dal 2009 ha introdotto le quote permettendo di combinare in modo diversificato età e contribuzione: per esempio 58 anni di età e 35 anni di contribuzione. Ma è un altro il punto da chiarire. Quale? Che stiamo discutendo dell’età pensionistica secondo quanto previsto dalla legge, non su quella di fatto. Se guardiamo la realtà, uomini e donne vanno in pensione alla stessa età, poco prima dei 60. Con la differenza che gli uomini usufruiscono delle pensioni di anzianità, perché hanno maturato i contributi necessari, mentre le donne no. E devono andare in pensione di vecchiaia. Perché gli uomini lo possono fare? Perché le donne hanno una vita lavorativa meno continuativa, lasciano o scelgono il part time quando i figli sono piccoli, spesso

cominciano più tardi. E soprattutto sentono di avere molto più tempo davanti a loro quando gli uomini hanno invece voglia di andare a casa. Eppoi hanno un’aspettativa di vita più lunga: se si arriva a 90 anni e a 60 ci si sente come a 50, perché non lasciare il lavoro? Non era un privilegio quello delle donne? Questo presunto privilegio comporta un assegno più basso. Dirò di più: equiparata l’età di pensione

di vecchiaia per uomini e donne, se non avremo alzato anche quella nei trattamenti di anzianità, saranno gli uomini ad avere condizioni più vantaggiose. Ma basta questa equiparazione per una vera parità? Innalzare l’età pensionistica non per forza è un sacrificio. Anche perché le donne ricevono un piccolo contentino, che arriva too little e too late: troppo poco e troppo tardi. La parità tra uomo e donna non deve arrivare alla fine della vita lavorativa, ma prima, tra i 25 e i 30 anni. E tre sono i punti critici: l’accesso al mercato del mercato del lavoro, il trattamento, la questione retributiva. I datori preferiscono assumere gli uomini. Non a caso il tasso di occupazione femminile è del 47 per cento contro il 70 di quello maschile: la media in Europa è di quasi dieci punti in più, siamo lontanissimi dal target previsto dall’agenda di Lisbona per il 2010, che è il 60 per cento. Per non parlare del diverso trattamento sul lavoro. Un’altra discriminazione? Una volta entrati nel mondo del lavoro, bisogna fare i conti con una “segregazione orizzontale”: le donne sono messe soltanto in alcuni comparti come la scuola, gli asili, certe posizioni paramediche. Nelle banche o nelle assicurazioni si trovano soltanto uomini. Il problema è che quando un settore si femminilizza, i salari si abbassano.

L’anticipo «è un contentino», non garantisce vera uguaglianza. Esistono settori ”femminilizzati” dove si guadagna meno, sono diverse le opportunità di crescita. E mancano servizi come gli asili nido Sono meno pagate? Non c’è un forte differenziale retributivo a parità di lavoro, non c’è parità di crescita. Infatti la cosa peggiore è quella che chiamiamo segregazione verticale: i profili di carriera, le opportunità, sono del tutto diversi. Non c’è nessuna donna presidente di authority o membro del direttorio di Bankitalia. Nell’università soltanto un 17 per cento è titolare di cattedra, ma a ben guardare il numero di studenti e di assistenti, ci sono più donne che uomini. Mancano i servizi. Come gli asili nidi: ospitano soltanto l’8 per cento dei bambini, mentre la Ue ci chiede di raggiungere almeno il 30. Noi siamo gli ultimi della classe e credo che una copertura di servizi sociali aiuterebbe non soltanto le donne a conciliare lavoro e famiglia, ma anche chi vuole creare una famiglia. Chi rifiuta la parità previdenziale, ricorda che già oggi è difficile fare figli.

La natalità è alta dove è alto il tasso di occupazione femminile. Come nei Paesi scandinavi. Il contrario avviene da noi, in Spagna o nei Paesi del mediterraneo: guarda caso i rapporti nella coppia sono asimmetrici e i servizi sociali sono arretrati. Gli uomini di oggi sono diversi dai loro padri. Ma non basta soltanto cambiare pannolini. Perché, se al bambino viene la febbre, è sempre la madre che rimane a casa con lui? La donna resterà un lavoratore più debole finché non cambieranno molte abitudini all’interno della coppia. Qualcosa intanto sta cambiando all’interno del sindacato: la Uilm, per esempio, ha aperto alla proposta Brunetta. Non mi stupisce che dal sindacato si registrino le prime aperture: si deve tener conto dei bisogni veri e non dei privilegi. Tra l’altro qui si parla della conservazione di un privilegio a metà: meglio accettare

Incroci. Il leader UilM, Antonio Regazzi: «Non si può ragionare come si faceva un tempo»

Se Cipputi la pensa quasi come Brunetta ROMA. A sparigliare le carte e a rompere il fronte del no alla proposta del ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, sulla“parità”pensionistica tra uomini e donne a 65 anni ci ha pensato il segretario generale della Uilm, Antonio Regazzi. Al leader dei metalmeccanici della Uil l’idea non è affatto dispiaciuta. Dopo il no secco dei segretari generali arriva ora uno spiraglio dal fronte sindacale per Brunetta, e proprio da quello operaio. «Il divario tra uomo e donna – spiega a liberal Regazzi – è di 12 anni. Sette come aspettativa di vita e cinque come anni di lavoro in meno. Un divario che andrebbe ridotto. Come seconda cosa, faccio notare che la società è cambiata. Ci sono oggi le pari opportunità, le donne hanno pari condizioni rispetto agli uomini, eccetto che per due fattori che sono retribu-

zioni e maternità.Tuttavia non si può ragionare come si ragionava 40 anni fa». Quindi, secondo il leader della Uilm, è giunto il momento di affrontare il problema: «Uomo e donna possono lavorare tutti fino a 65 anni. Per le donne prevederei però un periodo di maternità superiore a quello attuale che è di sei mesi. Lo porterei a 24 mesi. Ciò comporterebbe due vantaggi: la madre avrà tutto il tempo per potersi dedicare alla crescita del figlio e si ridurrebbero le spese per gli asili nido». Ma i suoi colleghi non sono molto d’accordo con lui. «È il solito problema del sindacato», replica Regazzi, «pronto a dire subito no, per poi dire in un momento successivo sì e scontentare i propri iscritti ai quali aveva promesso il no». Il segretario generale della Fim-Cisl, Giuseppe Farina è più cauto: «Mi sembra che al momento ci siano problemi più complessi da risolvere: redditi bassi, consumi, pressione fiscale.


economia

20 dicembre 2008 • pagina 9

Nodi. I ritardi nelle politiche di conciliazione e in strumenti come il part time

La vera sfida è aiutare a conciliare figli e carriera di Giuliano Cazzola segue dalla prima

di lavorare in più ottenendo in cambio che i risparmi pubblici siano spesi in politiche di conciliazione sociale: per gli asili nido, per eliminare la discriminazione nel mondo del lavoro. Il centro di tutto è la meritocrazia. La meritocrazia? Credo che Brunetta voglia veramente equiparare l’età pensionabile. Fossi in lui però userei l’authority di controllo sul pubblico impiego, quella che deve colpire gli assenteisti, per vigilare sulla meritocrazia. Dovrebbe essere questo organo a verificare perché il 98 per cento delle volte viene promosso un uomo, a imporre di premiare i più capaci. Se fosse così, ci sarebbero molte più donne che vanno avanti. C’è un pizzico di dirigismo nella sua proposta. E perché? Questo meccanismo si usa nelle grandi università americane, comprese quelle private. Al Mit o a Harvard i dipartimenti possono assumere o nominare ordinari chi vogliono. Però se avviene che le promozioni e gli aumenti di stipendio sono destinati agli uomini, la corporation chiede conto al capodipartimento. Risultato? Va avanti soltanto chi merita.

Per le donne conciliare carriera e famiglia è sempre più difficile. Dopo la nascita del primo figlio il tasso di occupazione – di per sé già basso – cala dal 75,5 al 54,5 per cento, a riprova dell’assenza di servizi e misure per aiutare la maternità. L’equiparazione pensionistica tra uomini e donne oltre a tradursi in un risparmio per le casse statali di un miliardo di euro, potrebbe invertire il trend occupazionale, che in Italia è di oltre dieci punti inferiore rispetto al livello europeo. A sinistra Fiorella Kostoris In basso Antonio Regazzi

Il tema delle pensioni, poi, va affrontato nella sua globalità, senza procedere con strappi o passi in avanti. E poi non si può generalizzare: ogni attività lavorativa ha una sua peculiarità».

Andando più sinistra Giorgio Cremaschi, segretario nazionale Fiom-Cgil, rimanda la proposta al mittente. La Fiom ha condotto un’inchiesta in merito tra i suoi iscritti. I risultati? Dice Cremaschi: «Dalle risposte che danno le oltre 20 mila operaie e impiegate intervistate emerge una condizione di svantaggio su tutti gli aspetti della condizione lavorativa. Le donne guadagnano in media 200 euro in meno dei loro colleghi uomini e sono sempre inquadrate nei livelli più bassi». A sostegno di questa tesi, Cremaschi afferma che circa il 70 per cento delle operaie non supera il terzo livello; allo stesso modo, il 70 delle impiegate non supera il quinto. «La loro», spiega il segretario Fiom, «è una doppia fatica: tra famiglia e lavoro, una operaia su tre lavora oltre 60 ore a settimana. Già oggi per tante operaie e impiegate la pensione a 60 anni è una meta difficile da raggiungere».

Ha scritto l’Alta Corte: «La fissazione, ai fini del pensionamento, di una condizione d’età diversa a seconda del sesso non compensa gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici donne e non le aiuta nella loro vita professionale né pone rimedio ai problemi che esse possono incontrare durante la loro carriera professionale». Dar corso alla sentenza Ue sarebbe sicuramente un’opportunità per il nostro Paese che, per fare le cose, ha sempre bisogno del “vincolo esterno”. Elevare l’età di pensionamento delle donne può essere una risposta per garantire anche un più alto livello di occupazione. Partiamo, allora, dalle questioni del mercato del lavoro. «Ad influire sulla minore partecipazione delle donne», è scritto nel Rapporto Cnel del 2007, «al mercato del lavoro e di conseguenza sulla loro minore occupazione, è una specificità di genere legata all’evento maternità e alle esigenze di cura e di assistenza»dei figli. Mentre nell’età compresa tra 25 e 29 anni (quando di norma vi è l’accesso al lavoro) il differenziale di genere – per quanto riguarda il livello dei tassi di occupazione – è abbastanza basso, nelle età successive (si ricordi che l’età media al parto è di 31,1 anni) lo scarto si allarga». Secondo un’indagine Isfol Plus, nel 2006 ben una donna su nove ha lasciato il mondo del lavoro in seguito alla maternità: due su tre hanno spiegato tale scelta (volontaria o dettata da valutazioni economiche) con esigenze di cura e di assistenza dei figli. Nell’ambito della componente femminile, quelle caratterizzate dai tassi di occupazione più elevati in ogni fascia d’età solo le cosiddette persone isolate (single, divorziate senza figli, ecc.). Per la donna che vive in coppia si assiste a un vero e proprio crollo del tasso di occupazione – in particolare tra i 25 e i 44 anni – quando si passa dall’essere senza figli all’averne. Nella prima condizione le donne in questa fascia d’età hanno mediamente tassi di occupazione elevati, pari al 75,5 per cento; una volta che arrivano i figli il tasso scende al 54,5.

Nella divisione dei ruoli, dunque, continua a essere la donna a doversi occupare della cura dei figli. Va notato che non si tratta di una tendenza specifica del nostro Paese, dove, paradossalmente, il tasso di fecondità, pur essendo in ripresa, è sui livelli minimi nei confronti internazionali.Tuttavia, non è un destino ineluttabile: nei Paesi in cui l’occupazione femminile è elevata lo è anche la fecondità. Il nodo da sciogliere, dunque, per sbloccare la disoccupazione femminile si chiama “concilazione”: è su questo aspetto che vanno concentrate le politiche di sostegno, secondo due grandi gruppi: a) quelle che intervengono sulla flessibilità del regime di organizzazione del lavoro, tra cui spicca una più ampia diffusione del part time (nella Ue l’occupazione femminile è più elevata laddove è più ampio il ricorso al tempo parziale); b) quelle che sono di ausilio alla famiglie con bambini piccoli, in particolare per quanto riguarda l’accesso ai servizi. Ma anche gli interventi sull’età pensionabile (l’età di vecchiaia delle donne è passata da 55 a 60 anni negli anni novanta) sono serviti. L’incremento dell’occupazione della fascia d’età compresa tra 55 e 64 anni (un target strategico per la Ue che a Lisbona 2000 assunse l’obiettivo di un tasso pari al 50 per cento entro il 2010) è risultato maggiore per le donne che per gli uomini. Dal 2001 al 2006 questo seg-

mento di popolazione occupata è passato, nella Ue27, dal 28,2 al 34,8 per cento per quanto riguarda le donne; dal 47,7 al 52,6 per gli uomini. In Italia si sono avuti, invece, gli andamenti seguenti: le donne occupate sono passate dal 16,2 al 21,9 per cento, gli uomini dal 40,4 al 43,7. Ciò dimostra che gli interventi sull’età pensionabile (negli ultimi anni più consistenti, nei fatti, per le donne che per gli uomini, in particolare il passaggio da 55 a 60 anni per la pensione di vecchiaia che è la tipologia più usata dalle donne) hanno “aiutato” anche l’aumento dell’occupazione femminile. Sempre nel periodo considerato, è diminuito il tasso di disoccupazione in misura maggiore per le lavoratrici che per i lavoratori: le prime sono passate dal 13 all’8,8 per cento; i secondi dal 7,4 al 5,4; il gender gap dal 5,6 al 3,4.

Un altro dato interessante riguarda lo sviluppo del part time (che è una misura fondamentale per incrementare l’impiego delle donne: nei Paesi Bassi, per esempio, il 75 per cento delle donne lavora a tempo parziale a fronte di un tasso di occupazione femminile superiore al 67). In Italia le lavoratrici che si avvalgono di questo rapporto di lavoro sono passate dal 16,7 del 2001 al 26,6 del 2006 (5 punti al di sotto della media Ue). Ecco spiegato perché sarebbe corretto l’obiettivo di elevare l’età di vecchiaia “al femminile”. Il vero paradosso sta nel fatto che adesso la donna potrà andare in pensione di

vecchiaia (a regime) due anni prima che di anzianità. Si potrebbe pensare a un incremento graduale – fino a 62 anni – del limite anagrafico delle donne nel sistema retributivo in vista del ripristino di un pensionamento flessibile e unificato, in un range compreso tra 62 e 67 anni nel modello contributivo correlato agli effetti di incentivo/disincentivo prodotti da appropriati coefficienti di trasformazione. Non si tratterebbe, pertanto, di un allineamento tout court, ma di una soluzione modulare che non è sorda alle propensioni e alle esigenze delle persone. Tale proposta, trattandosi del medesimo trattamento per ambedue i generi, risolverebbe la questione posta dall’Alta Corte. Quanto al riconoscimento delle specificità femminili, sarebbe più equo predisporre tutele operanti nel corso della vita lavorativa (il progetto propone agevolazioni per la maternità, il lavoro di cura e la formazione fino a 2 anni di ulteriore contribuzione figurativa) piuttosto che attardarsi in una logica di risarcimento forfettario a fine carriera. Nell’immediato quest’operazione comporterebbe a regime un risparmio di almeno un miliardo di euro: fondi per rafforzare gli ammortizzatori sociali.


panorama

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Ripensamenti. S’allunga ogni giorno di più la fila di chi chiede una candidatura sicura

Tutti da Di Pietro (per le Europee) di Marco Palombi

ROMA. «Stanno arrivando. Bisognerà setacciare bene, spero nel mio intuito di un tempo». A parlare col cronista è mister 15%, Antonio Di Pietro, il vero vincitore delle elezioni in Abruzzo, l’uomo che a colpi di posizioni politiche tagliate con l’accetta sta aggregando attorno alla sua Italia dei valori l’elettorato più anti-berlusconiano e sensibile al tintinnar di manette che risuona nelle Procure di mezza Italia. Quelli che “stanno arrivando” sono politici, amministratori, semplici militanti di altri partiti che bussano alla porta del leader di Idv ora che tutti gli pronosticano percentuali vicine alle due cifre anche alle prossime europee. «Stiamo cercando di aggregare intere aree politiche a livello locale - spiega Di Pietro - gruppi di consiglieri comunali, provinciali e regionali scontenti dei loro partiti». Insomma è partita la rincorsa al carro del vin-

citore e «non solo dall’area centrista o dal Pd, ma pure dalla sinistra». Idv è il nuovo asso pigliatutto dell’opposizione, anzi delle “due opposizioni”come le ha definite ieri Walter Veltroni, beccandosi però un netto «senza di noi si condanna alla sconfitta eterna» dall’alleato-rivale.

Come si diceva, gli arrivi nelle fila dell’Idv a livello locale sono numerosi, anche se è troppo presto per quantificarli, ma è sul piano nazionale che questo partito - monarchico non meno del Pdl - deve darsi un personale e una statura

sociologo dell’università di Sassari, punta del movimento antimafia negli anni ’90 e poi sottosegretario generale dell’Onu, scranno dal quale lanciò una discussa campagna di lotta alla droga. Il secondo nome è altrettanto evocativo, trattandosi di uno storico di fama d’area marxista: si tratta dell’ex deputato del Pdci Nicola Tranfaglia che, nel giugno scorso, ha annunciato con una lettera a l’Unità il suo divorzio da Oliviero Diliberto. Arriva nell’Idv, infine, pure un nome storico del liberalismo italiano, Stefano Passigli, costituzionalista della Sinistra repubblicana (una componente dei Ds che comprendeva tra gli altri Norberto Bobbio, Leo Valiani e Franco Debenedetti), presidente dell’Istituto Luce dal 2006 e che tutti credevano critico, ma vicino al Pd.

I primi tre nomi «eccellenti» sono Pino Arlacchi, Stefano Passigli e Nicola Tranfaglia. Ma c’è chi giura che molti altri sono pronti al trasloco

IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio

politica adeguata all’importanza che va assumendo. Per questo Di Pietro sta già pensando alle liste per le europee, l’operazione politica che dovrà consacrarlo, nelle sue intenzioni, unico interprete dell’opposizione a Silvio Berlusconi. «È ancora presto per parlare di liste, ma saranno tutte persone esterne al partito», chiarisce ancora. Intanto i contatti coi neofiti li ha delegati al portavoce del partito, Leoluca Orlando, l’unico suo dirigente politico con qualche appeal internazionale. Liberal è in grado di anticipare i primi tre nuovi acquisti dipietristi. Per il primo è una sorta di ritorno alla corte dell’ex magistrato, essendo già stato candidato con la lista Di Pietro-Occhetto nel 2004: Pino Arlacchi,

Arlacchi, Tranfaglia e Passigli, secondo alcuni osservatori, non sono però che l’inizio della valanga. Le voci di un ritorno di fiamma di Pd e Pdl sulla riforma della legge elettorale continuano a rincorrersi nel palazzo e «a quel punto – dice un ex deputato della sinistra radicale – Di Pietro si ritroverà pieno di gente dell’Arcobaleno le cui liste non riusciranno mai a superare una soglia di sbarramento del 5%». Un Berlusconi vincente e un po’ sbruffone, il Pd incerto, balbettante e sommerso dagli scandali, tutto cospira affinché l’uomo di Montenero di Bisaccia faccia il pieno di voti al prossimo giro. Per chi è interessato le porte sono aperte, bisogna solo passare attraverso il setaccio.

Dopo arresti e dimissioni, nessuno vuol più fare l’assessore a Napoli

La stele di Rosetta è senza parole l dilemma amletico di Rosetta non è «mi dimetto o non mi dimetto, questo il problema», bensì «vuoi venire a fare l’assessore a Napoli sì o no?». Proprio così: nessuno vuole entrare in giunta. Lo ha detto la stessa sindaca: «Non è facile ottenere dei sì dinanzi all’offerta di un incarico che prevede sacrifici, poca remunerazione e difficoltà continue». Certo che no.

I

Poi si aggiunga anche quella brutta intercettazione tra l’ex assessore Gambale e l’imprenditore Romeo nella quale Rosa Russo Iervolino è definita “scema” e si capisce che le cose si complicano. Giustamente la sindaca si è difesa con legittimo orgoglio: «Se io sono qualificata scema per essere lontana da imbrogli che giravano intorno a Romeo, allora sono fiera di essere scema. Questo tipo di offesa offende chi la fa, non certo chi la riceve». Verissimo. Però, santa donna, se è vero quel che tu dici, cioè «gli imbrogli che giravano intorno a Romeo», tu potevi anche renderti conto di qualcosa, visto che la giunta gira intorno a te. O no? Alla “scema” di Gambale si aggiunge poi la “pazza” di Bassolino. «Ho detto a Bassolino che sono convinta ad andare avanti - ha spiegato Rosetta - lui mi ha detto che sono un po’ pazza ma che faccio bene». Insomma, la situazione è

ingarbugliata assai: Rosetta non è scema e non è pazza, ma ha tante spine e, per paura di pungersi, nessuno la vuole cogliere. L’offerta è stata fatta a Tiziano Treu. L’ex ministro dell’Ulivo - Ulivo, ricordate? Un tempo c’era l’Ulivo - ha detto “no, grazie”. Altri sono stati avvicinati e hanno risposto: «Guarda, sentiamoci dopo Natale». Prima il pasto della Vigilia e poi il rimpasto di Palazzo San Giacomo. In un paese affamato di poltrone, divani e sedie nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe stato così difficile rimpiazzare quattro assessori. Figuriamoci che cosa accadrebbe se ci fosse l’azzeramento. È già difficile trovare quattro assessori, come si farebbe a trovarne sedici? Ecco perché si sta pensando a una “giunta ristretta”. In questo modo si eviterebbe di sostituire anche il quinto assessore: quello dell’Italia dei Valori. Secondo l’annuncio di

Antonio Di Pietro, infatti, da lunedì tutti gli assessori del suo partito usciranno dalle giunte. Dove non si capisce perché usciranno lunedì: uscita per uscita si può già uscire oggi o si poteva uscire ieri. Ma, evidentemente, anche le uscite, come le entrate, non sono semplici e hanno i loro tempi. È o non è la giunta più pazza del mondo? In questo gran bel Natale napoletano c’è la curiosità dell’assessore alla Legalità. In giunta c’è anche l’assessorato alla Legalità, sulla cui utilità, vista la scena, nessuno si interroga, ma sulla cui qualità ci sarebbe pur qualcosa da dire. Che fa un assessore alla Legalità? Quali sono i suoi compiti? Come passa la sua giornata amministrativa? Deve controllare che i cittadini siano, come si dice, trasparenti? Oppure il suo incarico prevede il controllo dei colleghi di giunta perché operino secondo il rispetto delle leggi? Sì? E allora anche lui

è da sostituire per manifesta inefficienza. Per carità, signori, qui si fa professione di garantismo. Lo hanno fatto il governo e la maggioranza e lo facciamo anche noi qui. Siamo tutti garantisti, fino al terzo grado di giudizio. Anzi, vogliamo qui far notare una cosa un po’ strana. Chi confida nell’innocenza degli indagati dice: «Auguriamo loro che possano dimostrare la loro innocenza». Perbacco, ma il garantismo si regge non sulla «dimostrazione dell’innocenza», bensì sulla «dimostrazione della colpevolezza»: è l’avvocato dell’accusa che deve, prove alla mano, dimostrare la colpevolezza perché l’indagato prima e l’imputato dopo sono innocenti fino a prova contraria. Tuttavia, ci fa specie notare che è la stessa sindaca a essere molto poco garantista quando dice di «essere lontana da imbrogli che giravano intorno a Romeo». Sembra quasi una confessione dal sen fuggita. Come i fischi dell’altra sera.

Si era sulla nave Fantasia per l’inaugurazione e il varo delle lussuosa nave. In prima fila c’erano Rosetta e Antonio, ma anche il capo della Procura Lepore. «Musica maestro» e dal fondo della grande sala è partita una bordata di fischi. Ma che volete che siano un po’ di fischi. «Finché la barca va, lasciala andare…».


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Involuzioni. Oggi Verdini e La Russa riaprono la kermesse del Pdl. Possono permettersi anche un flop, viste le sciagure altrui

I gazebo saranno oscurati da Tangentopoli? di Errico Novi ROMA. Stavolta non ci sono esondazioni del Tevere in arrivo. Oggi e domani le strade delle maggiori città italiane saranno anzi stracolme di persone in fila per i regali. Si disporranno in disciplinato ordine anche davanti ai gazebo del Pdl? Vedremo. L’appuntamento è fissato in replica a quello dello scorso week end. Forza Italia, An e in qualche caso i partiti minori coinvolti nella fusione hanno schierato militanti e molti volontari per le pre-iscrizioni e la “benedizione popolare” alla liste dei delegati al congresso. La prima tappa dell’evento è stata salutata dai “reggenti” Denis Verdini e Ignazio La Russa con squilli d’entusiasmo: «Quasi un milione e 800mila partecipanti hanno risposto all’appello e deciso di sostenere la svolta impressa ad aprile, la scelta di unire sotto un unico simbolo quasi tutto il popolo del centrodestra». I toni del coordinatore azzurro sono trionfalistici, ma come potrebbe essere altrimenti? Mentre il suo partito e quello un tempo di Gianfranco Fini preparano una costituente che dovrebbe essere la più impor-

La scarsa competitività della maggiore forza di opposizione incoraggia sul fronte opposto un approccio sempre più virtuale e autocelebrativo tante nella storia dei moderati italiani, il maggiore partito dell’opposizione si contorce dolorosamente su se stesso. E dà la netta sensazione di non potersi riprendere a breve.

Fondare una nuova grande formazione politica in un con-

testo del genere è più agevole ma anche più pericoloso. Prima di immergersi nel travaglio culminato con la direzione nazionale di ieri, il segretario del Pd ha trovato persino il tempo di lanciare frecciate agli avversari: «Non so voi, ma quel milione e 800mila persone mi sono

sfuggite». Che le cifre siano gonfiate o no, il Pdl in questo momento può permettersi di propagandare qualsiasi cosa. Anche di eludere disinvoltamente gli inviti a collaborare sulle riforme rivolti da Giorgio Napolitano. «Non credo che si possa fare niente insieme a questi signori, andate a sentirvi le dichiarazioni di Veltroni», dice il premier. La debolezza competitiva della sinistra riformista può contribuire a spingere Berlusconi e i fondatori del Popolo della libertà ad accomodarsi serenamente in un approccio sempre più virtualizzante, in cui il coinvolgimento dell’elettorato è un ingrediente forse utile ma di sicuro non indispensabile.

Seppure in modo indiretto, dunque, la crisi impressionante che il Partito democratico attraversa in queste ore può provocare conseguenze negative anche nel centrodestra. Incoraggia la semplificazione, la riduzione di un processo – che pure dovrebbe essere così importante nella storia dei moderati e dei conservatori di questo Pae-

se – a pura retorica autocelebrativa. Non è detto che gli effetti di una simile distorsione si avvertano subito. La maggioranza è solida e nel campo dell’opposizione si è già aperta una voragine così inquietante che Berlusconi potrà navigare a per molto nella tempesta della crisi senza particolari ansie. Ma è sul medio lungo termine che si potrà percepire il disastro, che ci si accorgerà dei danni prodotti da questi ultimi mesi, e da quelli che verranno, in termini di partecipazione alla politica. Un’opposizione di sinistra sempre più virtuale, mortificata, annichilita dal profilo indefinito e dalle inchieste, lascia il campo aperto a un centrodestra distratto, superficiale, incapace di ricostruire un rapporto tra società e politica. Allo smarrimento provocato dalla crisi economica sembra inevitabile che si accompagni l’impossibilità, per gli elettori, di unire le voci, di ottenere una rappresentanza autentica e non appunto solo virtuale. E in condizioni del genere rispondere a questa crisi può diventare un vano proposito.

Scandali. Il sindaco capitolino prima difende il centro di Roma dal cemento e poi ne fa un mercatino perenne

Il Pincio dal parcheggio alle bancarelle di Gabriella Mecucci ianni Alemanno aveva cominciato bene. Aveva evitato, in stretta collaborazione col ministro Bondi, il massacro del Pincio. Il più bel colle di Roma – secondo una brillante idea di Chicco Testa e Walter Veltroni – doveva diventare una sorta di grande panettone farcito di automobili.

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Ma è proprio vero che una rondine non fa primavera. Dopo questo brillante esordio, il neosindaco di Roma ha lasciato che la città degenerasse. Ne è un esempio lo spettacolo della bancarelle cariche di tutte le cianfrusaglie di cattivo gusto che riempiono Piazza del Popolo. Fra i capolavori del barocco e le rampe del Valadier è tutto un pullulare di palloncini, statuette di gesso, e chi più ne ha più ne metta. Piazza Navona aveva già subito un’analoga sorte in passato: era stata trasformata in un lunapark, tutto intorno ai capolavori del Bernini. Addentrandosi poi per le splendide strade e stradine dei dintorni ci si trova di fronte ad una gigantesca bettola all’aperto. Approfittando del buon clima romano ci sono tavo-

lini di bar e ristoranti dappertutto tanto da rendere persino difficile una buona passeggiata nei luoghi più caratteristici della capitale. La stampa straniera, in particolare l’Herald Tribune, ha più volte denunciato questa degenerazione che rende ormai pressoché inabitabili quei quartieri: la notte diventano luoghi di scorribande di ubriachi e la mattina del sabato e della domenica se ne raccolgono i frutti: vetri rotti, lattine e bottiglie in ogni dove. Insomma una schifezza.

Popolo, un tempo mitico luogo di raduno di intellettuali, poeti, giornalistoni. Per non dire di quelle orrende casette in plastica e ferro che costeggiano via Veneto nel tentativo, peraltro fallito, di rilanciarne i fasti. Insomma, Roma sta diventando un “mercatone” e non ci vengono risparmiati nemmeno i concerti al Colosseo di veltroniana memoria.

Possibile che non si trovi un sindaco che difenda la più bella città del mondo? Che ci consenta di gustare le meraviglie michelangiolesche del Campidoglio, quelle barocche di Piazza del Popolo e di Piazza Navona senza costringerci a fare una gimcana fra tavoli, panche e orribili souvenir? Roma conserva

La città è ancora un misto fra un lunapark e una bettola all’aperto: Alemanno aveva esordito bene, ma poi non ha mantenuto le promesse A tanto era già arrivata la giunta Veltroni. Alemanno aveva promesso un po’ di sobrietà: meno feste e più manutenzione della capitale. E invece niente di niente. Le buche nelle strade diventano sempre più profonde e i quartieri del centro sempre più incasinati. Adesso la chiassosa caciara natalizia con tanto di bancarelle soffoca lo splendido caffè Rosati di Piazza del

in sé quasi tremila anni di storia, è la capitale della cristianità ha una dignità e un decoro da difendere, non può diventare una sorta di Disneyland. Chi crede così di guadagnarci economicamente, rischia di diventare la causa prima del declino di una città. Si può anche destinare una parte di questa alla movida, ma non si piò regalargli tutto il centro storico. Il risultato è di renderla infrequentabile: non si fa così un buon servizio nemmeno al turismo. Insomma, caro Alemanno, quando è troppo è troppo: i mercanti hanno letteralmente invaso il tempio. Cacciamone almeno qualcuno.


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a sempre, l’India, con la sua vastità e varietà di forme e colori, richiama lo sguardo dei fotografi come pochi altri luoghi. Autori professionisti e occasionali si cimentano ogni giorno con la spettacolarità, la profondità e il dramma di questo continente considerato “quasi infinito”. In India, infatti, oggi forse più che mai, c’è tutto quello che è possibile trovare sulla Terra e questo tutto vive in “un ordinato caos”in cui risulta impossibile separare nettamente una cosa dall’altra. Dove la finitezza più drammatica si fonde col senso dell’infinito e con la spiritualità più profonda; e dove la grandezza e le sottigliezze di Nagarjuna - uno dei più straordinari pensatori di tutti i tempi - nonché dei filosofi che, a partire dal secondo secolo, hanno seguito il suo insegnamento, sembra naufragata in certi film di Bollywood.

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Assurde e quasi indescrivibili banalità che certamente avrebbero molto incuriosito il grandissimo indianista Giuseppe Tucci, tanto profondamente conoscitore dell’India da entrare vestito da indiano in un sogno in cui lo psicanalista Ernst Bernhard si vede affamato in una caverna, soccorso da un italiano vestito da indiano. Un sogno che inizialmente Bernhard e il suo maestro Jung non riuscirono a interpretare e che Bernhard riuscì a capire solo nel 1940, quando, trovandosi co-

le. Per dirla con una loro tipica espressione, “un’articolazione karmica”, in cui un ricco di oggi è probabile sia stato in passato un fuori casta, così come un fuori casta di oggi è possibile sia stato un maharaja. Secondo la logica materialista, questa visione delle cose sarebbe l’oppio del popolo indiano, ma - senza entrare nella valutazione di questo giudizio - possiamo aggiungere che essa ha fatto degli indiani un popolo che per naturale inclinazione coltiva la pace seminando piccole cose che talvolta diventano grandi, come la Self Employed Women’s Association, l’unico sindacato di donne nel mondo che conta un milione di iscritte, e che è all’origine delle immagini che la fotografa Laura Salvinelli espone a Palazzo Incontro di Roma (via dei Prefetti 22 tel. 0667662250), dal 19 dicembre al 18 gennaio.

Immagini esteticamente belle, coinvolgenti e narrativamente utili, che trovano il loro fonda-

Le contraddizioni dell’India sono, agli occhi dei suoi cittadini, un fenomeno del tutto naturale. Per dirla con una loro tipica espressione, si tratta soltanto di una “articolazione karmica” me ebreo internato in un campo della Calabria, riuscì a tornare nella sua casa romana grazie all’interessamento di Giuseppe Tucci, che teneva la cattedra di Religioni e Filosofia dell’India e dell’Estremo Oriente a Roma. In realtà, le contraddizioni dell’India sono agli occhi degli indiani una cosa del tutto natura-

mento in due elementi che le rendono assai diverse dalla stragrande maggioranza delle fotografie che ci giungono dall’India: il bianco e nero e la specificità del ritratto. Nel contesto di queste immagini - di cui una parte è stata compresa nel volume Indiana della giornalista e studiosa del movimento delle

la mostra

“Indiana”, il reportage fotografico di Laura Salvinelli, in mostra dal 18 dicembre a Palazzo Incontro a Roma, racconta i cambiamenti nel mondo del lavoro femminile in India attraverso le immagini delle donne unite e organizzate di Sewa (Self-Employed Women’s Association) il più grande sindacato di lavoratrici autonome indiane che ad oggi conta un milione di iscritte. In India, su 100 lavoratori 93 appartengono al settore informale. I lavori più umili sono svolti dalle donne indù delle caste basse e dalle musulmane. Si tratta di rovistatrici e riciclatrici di rifiuti, portatrici di pesi e tiratrici di carri, costruttrici di braccialetti, incensi e aquiloni, levatrici, manovali, sarte, ricamatrici e stampatrici di stoffe, arrotolatrici di stoppini per lumini votivi, cuoche, lavandaie, e cameriere di case, uffici e ospedali, mungitrici di vacche e raccoglitrici dei loro escrementi, e innumerevoli altre attività che si svolgono a casa o per strada. La Salvinelli predilige l’uso del bianco e nero che vede come una «una farfalla in via d’estinzione», una tecnica da difendere per evitare che scompaia. La mostra è parte di un progetto più ampio nato con l’intento di dare visibilità a Sewa e allo straordinario lavoro della sua fondatrice Ela Bhatt, che comprende anche il libro di Mariella Gramaglia “Indiana” edito da Donzelli nel 2008.

Fino al 18 gennaio, a Roma, una mostra foto che conta più di un milione di iscritte. Un “reportage

Laura Salvinelli aveva già proposto le mostre fotografiche “La cura” sulla ricostruzione dell’Afghanistan (2004), “La prima nobile verità” sulla guerra e l’esilio nel continente asiatico (2005) e “Congo” (2007)

Donna India e donne Mariella Gramaglia (Donzelli), che a lungo si è occupata del Self Employed Women’s Association - la scelta congiunta di questi due elementi facilita infatti l’attenzione sul soggetto considerato nella sua prossimità umana e come invito alla riflessione.

Per dirla con un’espressione di Giovanni Verga, Salvinelli guarda i suoi soggetti - che si trovano consapevolmente di fronte all’obiettivo - nel “bianco degli occhi”, e ce li fa riconoscere come una parte di noi


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ografica di Laura Salvinelli dedicata a Sewa, un sindacato indiano ge di ritratti” che mette in luce una straordinaria galleria di protagoniste

rata dallo scopo dell’arte. Avviene così che nelle fotografie di Laura Salvinelli l’inquadratura e la qualità della luce diventino tutt’uno con le persone fotografate, proprio perché sono il mezzo attraverso il quale queste si presentano a noi.

Questo genere di fotografie ci mette di fronte non soggetti vampirizzati, ma persone interamente vive, che nel loro essere tali ci parlano del loro dramma, così come delle loro speranze. Drammi e speranze che nelle immagini di questa mostra romana sono quelle delle donne che appartengono alla Self Employed Women’s Association. Associazione che restava a molti di noi sconosciuta e che ora il lavoro di scrittura di Mariella Gramaglia e le fotografie di Salvinelli non ci permettono più di dire: noi non sappiamo chi siete. Ora loro hanno bussato alla nostra porta. Le voci e gli sguardi che ci giungono dalle immagini di Laura Salvinelli appartengono

e i suoi mille occhi di Diego Mormorio stessi. In tal modo, queste immagini realizzate nella lentezza sfuggono alle insidie del cromatismo e al tempo stesso a quelle della spettacolarità: ai due elementi che, accompagnati dall’idea della fotografia come atto predatorio, dominano oggi la produzione di immagini fotografiche, nella quale ci è dato trovare scarsissima considerazione per lo sforzo riflessivo e, soprattutto, scarsissimo rispetto per la gente più umile.

Da sempre, come la morte e la catastrofe, i poveri sono fotoge-

nici e si lasciano facilmente fagocitare dall’obiettivo fotografico. Non oppongono resistenza e si consegnano allo specchio della fotografia quasi come corpo morto, così come li vuole chi li sta fotografando, il quale, lontano dal pensiero di avere di fronte una dignità da rispettare, vede chi gli sta di fronte soltanto come un oggetto intorno al quale compiere un atto creativo. In questo modo i fotografati cessano di essere i protagonisti dell’immagine e diventano la palestra di un esercizio narcisistico e sopraf-

Questo genere di fotografie ci mette di fronte non soggetti “vampirizzati”, ma persone interamente vive, che nel loro essere tali ci parlano del loro dramma, così come delle loro speranze fattorio. La gran parte delle fotografie che compaiono sui giornali appartengono a questo tipo di immagini, e i fotografi che le hanno realizzate costituiscono un vero e proprio esercito di vampiri visivi. Per fortuna c’è, però, in numero assai limitato, un diverso genere

di autori, al quale appartiene Laura Salvinelli, per il quale le persone fotografate rappresentano la prossimità che giustifica l’atto del fotografare. Nel loro lavoro, il soggetto è toutcourt l’oggetto, la presenza che origina la forma, la quale, come in tutte le arti, non è mai sepa-

a un’umanità cui ella si è da tempo avvicinata e dalla quale si sente, non sembri un’esagerazione, amorevolmente attratta. Ritrattista sin dal 1981 nel campo dello spettacolo, ella ha applicato questa sua specificità a quello che normalmente viene chiamato reportage, ragione per cui, con un gioco di parole che unisce il francese e l’inglese, la fotografa definisce questa sua seconda attività reportraits (reportage di ritratti, portraits). Un modo di procedere che ha portato Salvinelli a realizzare già, prima di questa, altre tre belle mostre: nel 2004 “La cura” nel 2004 (sulla ricostruzione dell’Afghanistan), “Sulla prima nobile verità” nel 2005 (sulla guerra e l’esilio nel continente asiatico) e “Congo” nel 2007. Nelle sue immagini la volontà di documentare e di rendersi prossima a ciò che a qualcuno appare lontano è tutt’uno col piacere della fotografia, e ciò, anche stavolta, di fronte alle trentanove fotografie esposte a Palazzo Incontro - egregiamente stampate da Luciano Corvaglia - risulterà al visitatore del tutto evidente.


mondo

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Conflitti. La fine del cessate il fuoco nella Striscia di Gaza riapre lo scontro interno alla politica palestinese

Natale senza tregua La questione Shalit e i razzi su Sderot allontanano l’Anp dal mondo arabo di Antonio Picasso inverno non concede tregua. Non è la prima volta che, con il sopraggiungere di temperature più rigide, la Striscia di Gaza subisce un’acutizzazione della sua crisi permanente.Tuttavia, stavolta, l’escalation che sta investendo la Striscia non è legata allo stato della sua popolazione, vittima del blocco imposto da Israele per ragioni di sicurezza. Anzi, questa per molti aspetti è caduta in secondo piano. Perché è il mancato rinnovo della tregua tra il movimento islamico di Ismail Haniyeh – insieme ai gruppi armati più inflessibili – e l’Esercito israeliano il problema che oggi grava sulla Striscia. Dopo sei mesi di tensioni, scontri a fuoco saltuari e negoziati, Gaza fa un passo indietro. I tre razzi sparati ieri mattina, dal territorio controllato dai palestinesi verso Israele, è un chiaro segnale che la tregua non sarà confermata.

L’

Definire di chi sia la responsabilità ha il sapore della retorica. Tuttavia, per ragioni di servizio, torna utile ricordare i tanti nodi irrisolti. La mancata liberazione di Shalit – il caporale israeliano rapito dagli uomini delle Brigate “Ezzedine al Qassam” – in cambio del rilascio di mille uomini di Hamas detenuti in Israele. La ri-

gida politica di quest’ultimo sulla chiusura dei valichi, che impedisce il rifornimento di beni e merci alla popolazione della Striscia. Il costante lancio di razzi da parte di “Jihad Islamica”su Sderot e Ashkelon. Le ragioni della rottura sono tante, come si vede. Quel che è grave è che nessuna delle due parti ha voluto tendere per prima la mano verso l’avversario.

In questo quadro, restando legati alla retorica, si potrebbe dire che quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Nel contesto palestinese, infatti, l’impennata di tensioni fa comodo a chi vuole risolvere il “problema sionista” unicamente con le armi. L’Anp, quindi, dimostra le sue conflittualità interne. Hamas, che ha vinto le elezioni, pretende di imporre una linea politica molto dura. Fatah, che non riconosce la vittoria del suo antagonista, resta invece alla guida dell’Anp e controlla la Cisgiordania. In realtà, le divergenze tra i due movimenti – che rifiutano di confrontarsi, anche alla presenza di un mediatore – sono molto più ideologiche. Se si tiene conto di questo, si capisce il perché del contrasto. Il presidente Abu Mazen non ha saputo trasmettere al suo popolo il mes-

saggio di dialogo necessario con gli israeliani che, al contrario, era stato capace di passare alla conferenza di Annapolis un anno fa. La sua leadership viene messa in discussione perché troppo aperta nei confronti del nemico. Anzi, c’è chi lo accusa di essersi letteralmente svenduto all’Occidente. E certo non gli giovano i bizantinismi con cui sta cercando di prolungare il suo mandato. Il desiderio di restare al potere ancora un anno, facendo coincidere le elezioni presidenziali con quelle per il Consiglio Legislativo – in agenda nel 2010 – appare come un gesto ispirato da meri interessi personalistici.

D’altra parte, se c’è un protagonista della politica palestinese che da sempre ha dimostrato buona volontà a confrontarsi con gli israeliani questo è proprio Abu Mazen. Per l’Occidente, ma anche per Israele, lasciare che se ne vada potrebbe risultare svantaggioso. Hamas, dal canto suo, sembra essere quella che più ci guadagna dalla fine della tregua. La sua fama di custode dei valori della resistenza palestinese potrebbe far pensare che, oggi, le si offra una gamma di possibilità, nell’assumere effettivamente il controllo del-

Il presidente Abu Mazen, che ieri ha incontrato Bush, sembra l’unico dotato di buona volontà. Per l’Occidente, ma anche per Israele, lasciare che se ne vada può risultare svantaggioso l’Anp e, quindi, nell’aprire un vero conflitto contro Israele. Ma, oltre alla sua forza operativa, non va sottovalutato il consenso di cui gode. La condizione umanitaria dei palestinesi di Gaza è disastrosa, come denunciano gli osservatori internazionali. Automatico, quindi, che si rivolti contro chi vede come il responsabile del suo disagio e si avvicini a chi le promette un sostegno, morale quanto concreto. In questo caso, Hamas, la cui politica di Welfare risulta essere

sempre più efficiente – ma anche sempre più simile a quella di Hezbollah nei confronti delle fasce più povere della popolazione libanese – non fa che guadagnarci.

Tuttavia, la realtà del movimento islamico è molto più caleidoscopica di quanto si pensi. Ricordiamoci, infatti, che fu proprio Haniyeh il primo a manifestare scetticismo quando, nel giugno 2007, l’ala estremista del suo partito – capeggiata da

Turchia. La politica estera secondo il consigliere diplomatico di Erdogan, Ahmet Davutoglu

Diplomazia alla turca: critiche alla Nato di Pierre Chiartano ncorata all’Europa, ma con lo sguardo verso oriente e Africa. È questa la Turchia che cerca di emergere come attore internazionale. Ankara vorrebbe abbandonare la politica «zero problem» che ha molto limitato la sua proiezione politica esterna. Un approccio che ha inevitabilmente ridotto la capacità turca di apparire come partner e mediatore politico sui vari scenari, dove le cancellerie occidentali sono in difficoltà. Primo fra tutti il teatro iraniano. Non sempre le sue posizioni sa-

A

ranno facilmente digeribili, specialmente a Washington, ma danno un punto di vista che merita delle riflessione sul ruolo di Ankara e dell’Occidente.

«Il 2009 sarà un anno cruciale, soprattutto per le tornate elettorali che si svolgeranno in molti Paesi, tra cui Israele e Iran», è l’analisi Ahmet Davutoglu, influente consigliere diplomatico del premier Recep Tayyp Erdogan, in una recente intervista su le Monde. Nel 2006 fu la guerra libanese ha vanificare l’intermediazione

turca su Tehran. Considera sbagliato isolare la vicenda nucleare dal resto dei problemi della regione. C’è una grande aspettativa rispetto alle promesse del neopresidente Usa. «Dovrà sostituire il concetto di “asse del male” – continua Davutoglu - con quello di “asse della stabilità”, evitando la retorica del confronto. Se i giocatori vengono isolati od esclusi, a cominciare dai palestinesi, ci sarà sempre una escalation della tensione». Una filosofia che prevede il dialogo anche con Hamas e con tutte le

parti in conflitto in Libano. Questo rende più chiaro quale sarà il ruolo di Ankara, oggi. La sensibilità della più grande democrazia “islamica” può cambiare l’ottica della diplomazia.

«Il primo contatto deve essere amichevole. Se l’approccio è punitivo si creeranno solo nuovi problemi. L’Iran è uno degli Stati più antichi al mondo e il suo dibattito interno è intenso. In più l’Iran ha qualcosa da dire sulle elezioni che si terranno in Iraq, Libano e Palestina». E sulla situazione irachena ed af-

gana la posizione del professore di Relazioni internazionali della Beykent University di Istanbul è abbastanza chiara. «In Iraq la guerra contro al Qaeda non è stata vinta dagli americani, ma dai gruppi sunniti! hanno rifiutato questa forma di islam che feriva le loro tradizioni. Gli americani si sono dimostrati pragmatici e hanno organizzato questi gruppi. In Afghanistan non credo che tutte le fazioni anti-Karzai o anti-occidentali siano affiliate ad al Qaeda. I talebani non sono l’equivalente di al Qaeda. L’ap-


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Il 58% degli israeliani favorevole alla ripresa delle ostilità

Ma la crisi aiuta solo gli estremisti di Luca La Bella a domanda è: cui prodest? Una crisi, come quella che si sta aprendo con il mancato rinnovo della tregua a Gaza, non può che favorire le frange più facinorose, nella già elettrizzata campagna elettorale israeliana. Chi voleva lo scontro diretto sta per essere accontentato. Certo, si può sostanzialmente escludere che lo Stato Maggiore di Tzahal decida per un ritorno in grande stile nella Striscia. È vero che il ministro della Difesa Barak l’ha più volte ventilato, in questi sei mesi di tregua. D’altro canto, quale premier israeliano, dopo Olmert, con il “caso Shalit” e i 120 morti della guerra in Libano nel 2006, sarebbe disposto a presentarsi al suo elettorato con un simile fardello? A meno di due mesi dalla apertura delle urne e con un elettorato così sensibile al tema della sicurezza – secondo il Jerusalem Post il 58% degli israeliani sarebbe favorevole a rompere la tregua – i sondaggi danno favorito chi rilancia. Il problema di questo meccanismo, però, è che, continuando ad aumentare con le promesse, si arriva a palesi esagerazioni. Così, fatta luce su chi è soddisfatto degli avvenimenti di questi giorni – vedi l’esponente dell’estrema destra del Likud, Moshe Feiglin – bisogna capire chi ci rimette. Nella rottura della tregua ci perde Tzipi Livni che, in qualità di ministro degli Esteri, leader di Kadima, ma soprattutto premier incaricato – con buone chance di vittoria alle elezioni – non è riuscita a far prevalere il suo orientamento. Pur essendo a capo della rappresentanza del suo governo nel Comitato permanente istituito ad Annapolis, per il processo di pace non ha potuto evitare che la Striscia andasse alla deriva. Non è un buon risultato, questo, per una candidata alla premiership di Israele. A rimetterci è poi Barak. I suoi tentennamenti fra l’intransigenza – minacciando di tornare a Gaza – e la mano tesa verso l’Anp mettono in discussione la già precaria sopravvivenza politica del suo Partito laburista. Barak, il soldato israeliano più decorato nella storia del Paese, ma anche il Premier della grandi concessioni mancate a Camp David, nel 2000 di fronte ad Arafat, oggi paga il prezzo delle sue indecisioni.

L

Mahmud Zahar – decise di assumere il controllo di Gaza con la forza, dichiarando de facto guerra a Fatah. Lo stesso Kahled Meshal, dal suo ufficio di Damasco, ha più volte ammonito i suoi “fratelli”a non far sì che la situazione degeneri. Com’è invece accaduto. Per loro, tornare allo scontro con Israele significa arroccarsi in posizioni che possono tornare utili nel rinforzare l’alleanza – ammesso che fosse necessario – con i nemici di Israele, Iran ed Hezbollah; la Siria è un caso particolare in questo momento.

D’altra parte vuole anche dire rinunciare al rilascio di qualsiasi suo esponente in carcere in Israele e sottoporre la sua

proccio al dialogo con i talebani, sponsorizzato dai sauditi, è positivo. Grazie alle buone relazione che mantiene con tutti i gruppi etnici afgani, la Turchia può dare il suo contributo. Inoltre è una vergogna per la Nato e per tutti noi che sette anni dopo il primo intervento, non ci sia stato ancora nessun miglioramento sul piano delle infrastrutture, specialmente delle strade, eccetto che per la costruzione dell’ambasciata Usa. L’altra condizione è aiutare la stabilizzazione del Pakistan. I bombardamenti sulle regioni montuose e in territorio pakistano non fanno che indebolire il governo di Asif Ali Zardari». Serve precisare che le difficoltà a infrastrutturare l’Afghanistan nascono proprio dallo scarso controllo del territorio, una realtà de-

Donne palestinesi si disperano dopo una controffensiva dell’esercito israeliano. Nei giorni scorsi, tre razzi sono caduti su Sderot. A destra, un militante dell’Anp popolazione a una prevedibile ulteriore stretta nei rifornimenti, oltre che ai raid dell’Aviazione israeliana. Ma quel che è peggio è compromettere la sua già discussa immagine sul piano internazionale. La disponibilità che alcuni Paesi arabi – in primis l’Egitto, ma anche il Qatar – avevano offerto nel farsi mediatori, sia verso Fatah sia verso Israele, adesso è possibile che venga meno. *Analista Ce.S.I.

nunciata da tempo dai generali della Nato sul campo. Sul versante euroasiatico anche sul tavolo russo Ankara vorrà giocare le sue carte: «nessuno meglio dei turchi conosce sia i russi che gli iraniani». Qui Mosca si prende una tirata d’orecchie dal consigliere di Erdogan, tacciata di eccessiva ambizione sulla vicenda georgiana.

«Possiede una borghesia che si starebbe bene integrando col mondo globalizzato e, come in Iran, ha una distribuzione del potere interno diviso tra elite». L’approccio critico verso la Nato, è segno che la Turchia ha forse intenzione di riconsiderare l’ortodossia atlantica fin qui dimostrata, grazie alla fedeltà del kemalismo militare.

del processo di pace. Perché il Paese pretende sì sicurezza, ma è anche stanco di sessant’anni di guerra. E in Occidente, anche a Washington – dove l’Amministrazione Obama potrebbe essere molto meno accondiscendente di quanto sia stata quella di Bush con Ariel Sharon a suo tempo – ci sarà qualcuno che chiederà al futuro premier di Israele un risultato definitivo nel conflitto con i palestinesi. Su questa base, allora, nemmeno per il Likud la rottura della tregua a Gaza torna utile.

Ed è così che una grossa fetta delle buone intenzioni espresse ad Annapolis viene a mancare. Il 2008, quello che Olmert aveva auspicato come “l’anno della pace”, si chiude con un grosso fallimento, che rischia di fare da traino agli altri negoziati in corso. Non dimentichiamoci, infatti, che Israele aveva riaperto il confronto con la Siria, proprio sulla base di An-

Nella rottura con l’Anp perde di più Tzipi Livni, che ha visto la sua posizione ignorata. Ma anche Barak rischia, con i suoi tentennamenti politici, di perdere il partito Labour

D’altra parte, nemmeno Netanyahu può cantare vittoria. Già la scorsa settimana, dopo le primarie che lo avevano confermato alla guida del Likud, l’appoggio di un elettorato spostato sensibilmente più a destra era risultato motivo di disagio. Netanyahu, che è un political animal a tutti gli effetti, non può che essere consapevole del fatto che, nel caso di vittoria, potrà seguire solo una strada: quella

napolis. E che questo, grazie soprattutto alla mediazione europea e della Turchia, era a buon punto. Poi il governo Olmert è caduto e tutto è stato messo in stand by. Difficile pensare che, ora, Damasco torni a confrontarsi con un altro governo israeliano facendo finta di nulla sui fatti di Gaza. Stesso discorso per l’Anp. Olmert e Abu Mazen, entrambi scarsamente popolari in patria, si erano comunque aggiudicati l’apprezzamento in sede internazionale proprio perché volenterosi nell’arrivare alla pace. E mentre il primo esce di scena, il secondo traballa anch’egli per colpa di Gaza. Se anche lui dovesse cadere, lo “spirito di Annapolis” sarebbe irrimediabilmente compromesso. *Analista Ce.S.I.


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in breve Belgio, si dimette il governo

Stoccolma. La procura svedese apre un’inchiesta per corruzione su alcuni membri del comitato

Ombre cinesi sul Nobel di Silvia Marchetti segue dalla prima Evento che avrebbe messo all’allerta la magistratura: una serie di viaggi gratis più o meno documentati che i giurati Nobel avrebbero fatto direttamente in Cina, stando alle notizie uscite sui giornali nazionali. Il governo comunista di Pechino avrebbe invitato a sue spese alcuni importanti esponenti della giuria per la medicina, la fisica e la chimica. Stando alla procura svedese, le visite dei suddetti tecnici sarebbero avvenute in due occasioni differenti, l’ultima nel gennaio scorso, e tutte le spese sarebbero state sostenute dal ministero cinese dell’istruzione. L’obietti-

al mondo. Nessun cinese ha infatti mai vinto il premio per la medicina, la fisica o la chimica. Nei campi scientifici il Dragone non è mai riuscito a distinguersi, e si capisce come oggi - con la Cina che guida i Paesi più tecnologizzati - il prestigioso premio lanciato da Alfred Nobel all’inizio del secolo sia uno “status symbol mondiale” a cui non si può certo rinunciare. L’ultimo premio vinto da Pechino è stato nel campo della letteratura nel 2000 con le opere dello scrittore Gao Xingjan.

L’inchiesta, coordinata dal pubblico ministero Nils-Erik Schultz, è stata avviata dopo che una radio svedese ha ri-

to nel soggiorno», ha detto a France Press.

Non solo, Schultz farà le pulci anche a Pechino: «Il mio obiettivo è anche quello di capire l’esatta ragione per la quale il governo cinese ha invitato in patria queste persone e se c’era una qualunque intenzione di influenzarli nella loro scelta». Nel corso dei sopralluoghi effettuati in Cina, i giurati sono stati assediati dalle domande di giornalisti, scienziati e funzionari governativi del governo comunista. Tutti con lo stesso quesito: come avviene la selezione dei candidati, cosa serve per vincere il Nobel e che deve fare la Cina per ottenere final-

mato, anche perché non ci sono indiziati precisi - ha negato qualsiasi tentativo di corruzione. Ma qualora le indagini portassero alla luce la colpevolezza degli indagati, i giurati rischiano fino a due anni di prigione. Un esito simile rappresenterebbe un colpo alla reputazione e al prestigio dell’istituto di Stoccolma. Sta di fatto che non è la prima volta che il meccanismo d’assegnazione dei Nobel si macchia di sospetti.

Già nel 2002 otto membri del comitato si recarono in visita in Giappone, molto probabilmente, anche in questo caso, su invito diretto e generoso del governo di Tokyo. Inoltre, anche il brand “Nobel” potrebbe passare dei guai. Il procuratore Schultz sta infatti valutando il caso di avviare una seconda inchiesta preliminare - sempre per corruzione - contro l’azienda farmaceutica anglo-svedese AstraZeneca, che quest’anno ha firmato un accordo di sponsorizzazione con due organizzazioni dipendenti della Fondazione Nobel: la Nobel Web e la Nobel Media.

Il governo di Pechino avrebbe cercato “scorciatoie” per l’assegnazione del Premio in una delle discipline (medicina, fisica e chimica) in cui i suoi scienziati non sono mai riusciti ad imporsi

vo di Pechino sarebbe stato quello di “sondare”le possibilità che avrebbe l’Impero di Mezzo di vincere per i suoi scienziati il più importante riconoscimento

portato la notizia della trasferta pagata dei giurati in Cina. Schultz ha intenzione di andare fino in fondo e di analizzare ogni minimo dettaglio. «Voglio scoprire gli esatti costi delle visite e dei viaggi aerei, i nomi di tutti coloro che hanno partecipato, dove sono stati portati dalle autorità cinesi, che grado di posizione hanno all’interno del comitato per i Nobel e soprattutto quali itinerari hanno segui-

mente il riconoscimento più ambito nel campo medico e scientifico? Insomma, interrogatori non troppo blandi per esercitare in qualche modo pressioni indebiti sul comitato di Stoccolma. Il governo pechinese avrebbe riservato loro un trattamento davvero speciale, a dir poco all-inclusive: biglietti aerei di prima classe, hotel a cinque stelle e pasti vari nei maggiori ristoranti. Dal quartiere generale svedese tutte le bocche sono rigorosamente cucite: un portavoce dei membri indagati dalla procura - le identità specifiche restano per ovvi motivi investigativi nell’anoni-

Ci sarebbe infatti un piccolo conflitto d’interessi. Quest’anno metà premio per la medicina è andato al tedesco Harald zur Hausen per la scoperta del papilloma virus, responsabile del cancro cervicale. E, guarda caso, la AstraZeneca è titolare delle royalty per i soli due vaccini attualmente in commercio sul mercato.

Il governo belga di Yves Leterme ha deciso di presentare le dimissioni al re Alberto II dopo che lo stesso premier, insieme al ministro dell’Interno Patrick Dewael, aveva lo proposto scioglimento dell’esecutivo dopo le dimissioni del Guardasigilli, Jo Vandeurzen. Al centro della vicenda, sempre lo scandalo Fortis. Ieri il presidente della Corte di Cassazione, Ghislain Londers, aveva ribadito le accuse lanciate già giovedì, affermando di avere «prove consistenti» che il governo avesse fatto forti pressioni sulla Corte d’Appello, cercando invano di evitare la sentenza di stop alla cessione di Fortis alla francese Bnp-Paibas.

Tesoro Usa: fondi per l’industria automobilistica Dopo il “no” del Senato, è stato trovato un accordo per il salvataggio dell’industria automobilistica americana. Il Dipartimento del Tesoro Usa erogherà 13,4 miliardi di dollari (quasi 10 miliardi di euro) a favore di Gm, Ford e Chrysler entro la fine dell’anno. E una seconda tranche di 4 miliardi verrà erogata a febbraio. I prestiti dovranno essere restituiti dai produttori di auto se entro il 31 di marzo non avranno dimostrato di essere in grado di risanare le proprie attività. «È un passo necessario per evitare il collasso», ha commentato Barack Obama, aggiungendo che «le compagnie automobilistiche devono approfittare di questa possibilità e cambiare le consuetudini dei loro dirigenti».

Muore a 95 anni la “gola profonda” del Watergate “Gola profonda”, l’uomo che rivelò i segreti dello scandalo Watergate provocando le dimissioni del presidente Richard Nixon, è morto all’età di 95 anni. Per molti anni l’identità della fonte segreta che aveva informato i giornalisti del Washington Post (Bob Woodward e Carl Bernstein) era rimasta riservata. Dopo oltre trent’anni, nel 2005, W. Mark Felt, numero 2 dell’Fbi all’epoca, era uscito allo scoperto.


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Rivolte. Parla il celebre scrittore: «Siamo di fronte a una delusione generalizzata, che si sfoga con la violenza» ATENE. «La gente è esasperata. Se non fosse stata la morte di un adolescente, la miccia sarebbe stata un’altra. Ma la bomba sociale sarebbe comunque scoppiata». Così sintetizza gli attuali disordini che sconvolgono la Grecia lo scrittore Nikos Themelis. Dopo l’uccisione del 15enne Alexis Grigoropulos da parte di un poliziotto, la Grecia si è incendiata. Migliaia di studenti, insegnanti e lavoratori sono scesi nelle strade a più riprese. Il Politecnico di Atene, simbolo di ogni protesta contro le autorità, perché da lì il 17 novembre 1973 scoppiò la rivolta che portò alla caduta della dittatura dei colonnelli, è occupato, come quasi tutti gli altri atenei e molti licei da Salonicco a Creta. Il premier conservatore Karamanlis ha ordinato alla polizia di starsene sulla difensiva, per evitare che ci scappasse un altro morto. Tuttavia, non solo la capitale sembra bombardata, ma due giorni fa è stato ferito alla mano un altro ragazzo, rinvigorendo la protesta. L’opposizione chiede elezioni subito. In questo scenario “rabbioso”, abbiamo chiesto una riflessione a Nikos Themelis, uno dei più famosi scrittori greci: la sua trilogia “La

Ricerca”, “La Svolta”, “L’Illuminazione” (tradotti i Italia da Crocetti editore) ha venduto in patria oltre un milione di copie, in un Paese di dieci milioni di abitanti. Perché Themelis, nato ad Atene nel 1947, è stato anche il braccio destro e portavoce dell’ex primo ministro socialista Kostas Simitis fino alla vittoria dei conservatori nel 2004. Ed è stato lui, dietro le quinte, il maggior fautore della politica dello scongelamento fra Atene ad Ankara. Un protagonista a tutto campo della vita politica e culturale ellenica. Un intellettuale con antenne finissime per i cambiamenti della società. Si poteva prevedere un’esplosione di simili dimensioni? Non era mai successa una rivolta di questa portata, dal dopoguerra prima e dalla caduta dei colonnelli a oggi. Le cosiddette frange “anarchiche”finora erano considerate gruppetti isolati di 150-200 persone in tutto. Ora si parla di 3000 individui. A scagliare pietre, ormai, accanto a loro sono gli stessi liceali, coetanei di Alexis, il

«La mia Grecia, una bomba che sta per esplodere» colloquio con Nikos Themelis di Gilda Lyghounis ragazzo ucciso. Siamo davanti a una nuova realtà. A una delusione generalizzata, che si sfoga nell’ira. Eppure Alexis non è stato il primo studente ucciso dalla polizia negli ultimi anni: per rimanere nel quartiere “difficile”di Exarchia un altro quindicenne, nel 1985, epoca del governo Pasok (Movimento socialista panellenico), aveva fatto la stessa fine. Sì, ma ora anni di scandali accumulati hanno raggiunto il colmo. E riguardano ogni aspetto della vita pubblica: l’Istruzione, con una nuova riforma che premia le università private (e chi se le può permettere) a scapito di quelle pubbliche, che di-

anche a quelli del passato. Come le malversazioni di cui si era macchiata l’amministrazione del Pasok, al potere in 23 sui 30 anni di rinata democrazia in Grecia? Certo. Gli scandali c’erano anche nell’era di Andreas Papandreu, padre di George Papandreu, attuale leader dell’opposizione. Basta ricordare l’incredibile scalata del finanziere Koskotas, che si era mangiato i risparmi di tanti cittadini. O la gestione clientelare delle assunzioni nel pubblico impiego che c’erano allora come oggi. Senza contare che la Grecia, negli anni Novanta, nel mondo si faceva ridere dietro per le imprese di Mimì, la seconda moglie di Andreas Papandreu. Ma duran-

La fiducia nei confronti dello Stato è arrivata a un punto di rottura. Le ferite sono ormai troppo profonde. Il governo non è più credibile, ma neppure l’opposizione ha le idee chiare venteranno di serie B. La corruzione: dal 2004 a oggi siamo precipitati dal 47esimo al 56esimo posto nella graduatoria di Transparency International, l’osservatorio internazionale e super partes. E ricordate l’impotenza del governo Karamanlis a gestire, nell’estate 2007, gli incendi dei piromani che hanno ridotto in cenere mezzo Paese, addirittura sfiorando lo stadio di Olimpia? A ciò aggiungiamo la crisi economica, che in Grecia ha preceduto lo scoppio dell’attuale “bolla” finanziaria. La gente è esasperata. Se non fosse stata la morte di un adolescente, la miccia sarebbe stata un’altra. Ma la bomba sociale sarebbe comunque scoppiata. Lei ha parlato di scandali favoriti non solo dall’attuale governo conservatore di Nuova democrazia, ma

te il governo di Kostas Simitis il Paese aveva ritrovato la propria dignità: siamo entrati nell’euroclub nel 2001, dopo una “cura” economica di lacrime e sangue la cui necessità abbiamo spiegato ai greci, abbiamo organizzato per l’estate 2004 le migliori Olimpiadi della storia dei giochi, migliaia di tecnici e operai hanno lavorato nelle grandi opere come la nuova metropolitana, il ponte di Rio che collega il Peloponneso all’Ellade continentale, per finire la ripresa economica è ripartita anche grazie a nuovi accordi commerciali con i Balcani e la Turchia. E adesso dove va la Grecia? Pensa che il governo Karamnalis sia arrivato al capolinea? La fiducia dei greci verso lo Stato è arrivata a un punto di scollamento. Qualsiasi

cosa faccia Karamanlis, le ferite sono troppo profonde. Certo, nemmeno l’opposizione è compatta: all’interno dello stesso Pasok ci sono diverse correnti, mentre i comunisti del Kke accusano la Coalizione della Sinistra Radicale “Syriza” di “accarezzare le orecchie”ai vandali in passamontagna nero. Se dovesse descrivere in un suo romanzo l’attuale dramma greco, che trama sceglierebbe? Sicuramente non parlerei delle saghe politiche familiari che occupano da decenni la storia ellenica: a sinistra la dinastia Papandreu, a destra quella dei Karamanlis (l’attuale premier è nipote dell’omonimo zio Kostas Karamanlis, il primo

ministro che avviò la stagione della rinata democrazia dopo la caduta dei colonnelli, ndr) e dei Mitsotakis (l’attuale potente ministra degli Esteri Dora Bakojannis, di cui si parla per un eventuale cambio della guardia con Karamanlis, è figlia dell’ex premier di centrodestra Kostas Mitsotakis, al potere dal 1990 al 1993 ma parlamentare fin dagli anni Sessanta, ndr). Queste cose non interessano ai greci: a loro, più che un cognome, importano i risultati di una gestione governativa. Se dovessi scrivere un romanzo, mi soffermerei su una famiglia qualsiasi, di quelle che in questi giorni assistono attonite agli scontri e alle devastazioni, e magari fanno fatica a pagare il mutuo e a mettere insieme il pranzo con la cena. Forse una famiglia discendente da immigrati greci dall’Anatolia, arrivati per cercare una vita migliore dopo il crollo dell’impero ottomano, come quelle di cui parlo nella mia trilogia. Riflettere sui drammi del passato, fa capire meglio le origini del presente.


cultura

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Un quadro una storia. L’autore di Linea azzurra, Luce meridiana, Dopo il vento d’Occidente e Giardino sul muro giallo

Il cielo in una... tela Viaggio allegorico nei dipinti “celesti e celestiali” del pittore siciliano Piero Guccione di Olga Melasecchi avanti a un paesaggio marino di Piero Guccione si rimane folgorati, emozione che oramai raramente è possibile provare davanti a opere di maestri contemporanei. Sono quadri dipinti olio su tela dove domina il colore celeste, protagonista dell’opera più che lo stesso mare, o il cielo che lo sovrasta, e che rappresentano in realtà il medium che meglio ne esprimono le più profonde e perfino sovrannaturali proprietà. Sono opere “celestiali”, nelle quali questo particolare colore non viene percepito a livello cerebrale, come in un lavoro di pop-art, ma sentito attraverso le vibrazioni che riesce a suscitare nell’anima. Si tratta sempre di pittura figurativa appartenente a buon diritto alla categoria della pittura di paesaggio marino, priva tuttavia dei connotati tradizionali, come barche, pescatori, scogli, lunghe spiagge. Niente di tutto ciò.

D

La veduta marina di Guccione è solo mare e cielo, un’unica sinfonia di azzurri, dove l’uno sfuma nell’altro, in modo impercettibile eppure riconoscibile. Ora la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma dedica al maestro siciliano una personale in cui sono esposte le opere fondamentali della lunga carriera dell’artista settantenne, e che riflettono l’evoluzione di una certa storia dell’arte italiana degli ultimi cinquant’anni e nel contempo la storia personale dell’artista. Si vede e si comprende come nel corso degli anni egli si sia distaccato dai furori del mondo moderno per concentrarsi esclusivamente sul tema del mare. Come un antico maestro Guccione sembra aver intuito e afferrato, in un preciso momento del suo lavoro, la vera magia del colore, sembra aver sperimentato e trovato il segreto della risonanza di certi timbri cromatici sull’anima umana. I suoi

celesti, perché è proprio nell’afferrare e interpretare le infinite sfumature di questo colore che risiede la grande maestria di Guccione, risuonano nell’anima come una dolce melodia che dilata il cuore e restituisce il respiro.

Ecco, davanti a una sua raffigurazione del mare insieme al respiro del mare sentiamo il nostro respiro, come antiche tecniche yoga insegnano attraverso lunghi e faticosi esercizi. Prendiamo ad esempio un dipinto come Il nero e l’azzurro. Realizzato nel 2007 in

il nero che si rischiara nell’azzurro, con tracce impercettibili di rosso. Poco più in alto questo mare blu violaceo è interrotto da una piccola onda scura, senza schiuma, resa in una tonalità intensa e pura di blu e azzurro; al di là dell’onda il mare ha leggerissime increspature che si spianano man mano che l’immensa distesa d’acqua si espande fino alla linea dell’orizzonte. L’onda segna un passaggio,

nea appena visibile dell’orizzonte si riflettono con delicate sfumature sul mare, segnale di un’imminente aurora o di un appena avvenuto tramonto. «Ho bisogno di stare su un soggetto per anni per trovare il suo significato recondito», ha detto l’artista, «secondo me è quando il reale e l’ideale

L’artista, nell’afferrare e interpretare le infinite sfumature degli azzurri, risuonano nell’anima come una dolce melodia che dilata il cuore e restituisce il respiro tecnica mista e olio su tela, presenta, alla base, in tecnica mista, una striscia nera e lucida come una lunga scia di catrame che invade uno stretto lembo di spiaggia, riconoscibile in rade tracce di sabbia. Oltre questo rapido accenno di terraferma inizia il blu profondo del mare, è

una linea di confine tra il colore sporcato dal nero come il mare sporcato dal catrame, e il colore pulito e innocente del mare che si allontana verso l’orizzonte, verso la luce, quanto più si allontana da noi tanto più si rischiara e si congiunge al cielo, si fonde nel cielo, nella sua limpida luce celeste. Tracce di un rosato quasi impercettibile dalla li-

si congiungono che si ottiene un’immagine irresistibile». Come davanti a una vera veduta di mare i nostri occhi planano sulla sua superficie calma e piatta appena segnata da linee d’ombra e di luce come scie chiare di invisibili battelli e da linea a linea ci inoltriamo sull’immensa distesa per vedere fin dove il mare arrivi, così nel quadro

siamo magneticamente attratti dalla linea dell’orizzonte, per vedere dove finisce il mare e comincia il cielo, e restiamo incantati dalla verosimiglianza di quelle inesprimibili sfumature di cielo e di mare, che vibrano vive e limpide grazie agli adamantini impasti dell’antica pittura ad olio.

Dietro queste vedute è la scelta di vita di un grande arti-

Dalle prime opere, che ritraggono scene della vita quotidiana, ai famosi “D’après”

La mostra alla Gnam di Roma a Galleria nazionale d’arte moderna di Roma presenta fino al prossimo 25 gennaio 2009 la mostra “Piero Guccione”. Nonostante l’attenzione di scrittori quali Alberto Moravia, Giorgio Soavi, Tahar Ben Jelloun, che in gallerie private della Capitale (l’esordio di Guccione ebbe luogo proprio a Roma nel 1960) hanno accolto la sua opera, questa è la prima volta che la Roma ufficiale dedica al maestro siciliano una grande esposizione antologica, dove l’arco della sua produzione viene ripercorso attraverso più di cento opere, provenienti da collezioni pubbliche e private. La mostra, organizzata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dalla Galleria naziona-

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le d’arte moderna e contemporanea e dal Cigno GG Edizioni, propone nel nucleo centrale i lavori esposti da luglio a settembre 2008 a Palazzo Reale di Milano, cui si aggiungono numerose opere che documentano i vari aspetti della poliedrica attività dell’artista.

Le opere esposte alla Gnam di Roma, realizzate con varie tecniche, dall’olio su tela al pastello su carta e alle tecniche miste, dimostrano la continua originalità dell’arte di Piero Guccione. Considerato uno dei principali esponenti della figurazione contemporanea, nel corso degli anni ha continuato lucidamente la propria ricerca che ha come punto di partenza e d’arrivo la natura, sempre più minacciata dalla volgarità e dal consumismo della civiltà in-


cultura

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l’autore Nato a Scicli, in provincia di Ragusa, nel 1935, il pittore Piero Guccione ha vissuto a Roma dal 1954 al 1979. Nella capitale è stato assistente del conterraneo Renato Guttuso alla cattedra di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Roma, cattedra di cui diventa poi lui stesso titolare fino a quando decide di tornare nella sua Sicilia. A Roma si era accostato alla pittura figurativa del realismo romano che vedeva protagonisti artisti come Attardi, Ferroni, Vespignani, e ha sperimentato tecniche espressive diverse, in alcuni casi con l’uso di materiali poveri, secondo l’insegnamento di Burri, in altri affrontando le tematiche della emergente pop-art, relazionandosi al gruppo della scuola di Piazza del Popolo, evitando però, secondo le parole di Maurizio Calvesi, «di dipingere con i colori sfacciati» di quegli artisti. I suoi sono quadri dipinti olio su tela dove domina per lo più il colore celeste e che rappresentano il medium che meglio ne esprimono le più profonde proprietà.

sta, nato a Scicli, in provincia di Ragusa, nel 1935 e che ha vissuto a Roma dal 1954 al 1979. Nella capitale è stato assistente del conterraneo Renato Guttuso alla cattedra di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Roma, cattedra di cui diventa poi lui stesso titolare fino a quando decide di tornare nella sua Sicilia.

A Roma si era accostato alla pittura figurativa del realismo romano che vedeva protagonisti artisti come Attardi, Ferroni, Vespignani, e ha sperimentato tecniche espressive diverse, in alcuni casi con l’uso di materiali poveri, secondo l’insegnamento di Burri, in altri affrontando le tematiche della emergente popart, relazionandosi al gruppo

In queste pagine, alcuni dei paesaggi più belli dipinti da Piero Guccione (a sinistra). Le opere dell’artista siciliano sono attualmente in mostra, fino al prossimo 25 gennaio 2009, alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma

dustriale. In mostra a Roma vi sono opere che illustrano i vari momenti della singolare esperienza artistica di Piero Guccione. Dalle prime tele che ritraggono oggetti e contesti della vita quotidiana, come lo Studio per televisore, Giardino sul muro giallo, Balcone, tutti del 1965, a Luna d’agosto (2005), Linea azzurra (2006), Luce meridiana (2007) e Cielo e mare (2008). Vi sono i pastelli su carta del Dopo il vento d’Occidente e quelli Per Tristano e Isotta.

Non mancano i D’après che Maurizio Calvesi definisce «gli esempi forse più emozionanti della capacità di un artista contemporaneo di far proprie immagini di sommi maestri di ogni tempo, senza violentarle, né snaturarle; ma senza perdere alcun tratto della propria identità espressiva…». La mostra si snoda attraverso il racconto degli scrittori,

della scuola di Piazza del Popolo, evitando però, secondo le parole di Maurizio Calvesi, «di dipingere con i colori sfacciati» di quegli artisti. In mostra questo periodo è rappresentato da splendide opere, come Il ritratto di A. Mon-

eterna nel contenuto: «Il nostro Sud», ha così giustificato la sua scelta esistenziale, «è inconciliabile con l’idea della modernità».

Era alla ricerca di espressioni meno effimere, e infatti lo spirito di calma serenità che pervade i suoi paesaggi marini è lo spirito classico dell’antica civiltà mediterranea, la quiete e la forza di Apollo. Guccione si pone davanti al mare come l’uomo di Friedrich, non a caso uno dei suoi pittori preferiti, si poneva di fronte alla vastità dei paesaggi montani, il sentimento romantico della natura che sovrasta l’uomo accanto alla calma certezza di un mare e di un cielo in cui tutto si placa. Tornato nella sua Sicilia «per trent’anni», ha detto Guccione, «ogni mattina ho guardato il mare per vedere l’anima del mare», attratto dal senso dell’infinito che il mare ispira. Su di lui hanno scritto molto, ma le sue stesse parole sono quelle che, come sempre, meglio spiegano il senso della sua opera.

Come un antico maestro, ha intuito e afferrato la vera magia del colore. E ha trovato il segreto della risonanza di certi timbri cromatici sull’anima umana dadori del 1969 o, dello stesso anno, l’Attesa di partire, intensa atmosfera dell’interno di un aereoporto simile alle atmosfere sospese dei quadri dell’americano Hopper.

Dopo 25 anni di lontananza dalla sua terra d’origine, dal suo mare e dai suoi colori, Guccione torna a Scicli, e abbandona i diversi stili seguiti fino a quel momento per dedicarsi ad una pittura antica nella tecnica, ma

talogo della mostra, edito dalla casa editrice Il Cigno GG Edizioni, contiene i testi critici di Maurizio Calvesi e Vittorio Sgarbi, insieme a testimonianze sull’opera di Guccione di numerosi protagonisti del mondo artistico e culturale contemporaneo.

editori, poeti, collezionisti, artisti che hanno scritto di lui, da Leonardo Sciascia a Dino Buzzati, da Renato Guttuso a Gesualdo Bufalino. Delle immagini immergono il visitatore nell’universo di Guccione, dove appunto si può confrontare il suo mondo con le sue opere. La mostra, che ha come commissario interno della Galleria nazionale d’arte moderna la dottoressa Carla Michelli, è divisa in varie sezioni; straordinaria è quella sul lavoro grafico, essendo Guccione l’autore delle illustrazioni per il primo - e unico - volume di Galileo Galilei stampato con la prefazione di un pontefice: Giovanni Paolo II. Il ca-

«Guccione ha la capacità e soprattutto il talento di saperci comunicare le sue prime emozioni. Non le conserva solo per sé stesso. Le utilizza, le lavora, le espone. Sono mediterranee, scendono dalla magia di un cielo stellato, cadono nell’acqua per disegnare poi un paesaggio, un viso, il volto di una donna che volta le spalle all’amore, un corpo proteso nella violenza del silenzio verso l’attesa” (Tahar Ben Jelloun). «I quadri di Guccione, belli, solenni, appassionati, hanno un vigore contemplativo che rende difficile considerarli semplicemente rilevanti. Quando saranno concluse tutte le rassegne, costruite le scuole, ratificate le clamorose transazioni d’influenza, queste opere continueranno a parlare nel loro registro necessario di singolarità, di amore per la pittura stessa».


cultura

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mese dopo mese le derrate alimentari necessarie. Sulla base di questo accurato studio, i quattro medici hanno calcolato che Oliver «assumeva ogni giorno circa 1,76 litri di farina d’avena cotta, per un totale di 106 grammi di cereale proveniente da Berwick (Scozia). Non solo non poteva essere magro, con una così massiccia assunzione di vitamine, ma doveva tendere a una pinguetudine sostanziale». Anche perché, come riporta Pereira, nelle sei diete a disposizione degli orfanotrofi c’erano «considerevoli quantitativi di carne di manzo e montone, che venivano non soltanto consegnati agli istituti (che avrebbero potuto rivenderli), ma cotti e distribuiti dagli stessi funzionari statali incaricati della consegna».

liver Twist? Mangiava abbastanza. E la sua dieta, per quanto povera a livello quantitativo, era altamente qualitativa: sono “esagerate” le descrizioni di Charles Dickens che parlano degli orfanotrofi vittoriani come di “prigioni dell’alimentazione”. Lo afferma un lungo articolo apparso sul blasonato British Medical Journal, che ha ricreato in cucina - sulla base dei documenti e delle leggi dell’epoca sull’argomento - i programmi nutrizionali degli istituti pubblici della prima metà dell’800. Trovandoli adeguati alle necessità biologiche dei bambini di quegli anni.

O

Secondo i medici, il grande autore inglese «ha voluto esagerare per motivi letterari una situazione che non era così pessima: la “misera dieta composta da zuppa acquosa di cipolle” citata nel suo capolavoro non è mai apparsa, con ogni probabilità, sulle tavole degli orfanotrofi inglesi». Basandosi su una coscienziosa ricostruzione anche giuridica, gli autori citano la Legge per i poveri ratificata dal Parlamento britannico nel 1834, che regolava i valori nutrizionali minimi da rispettare nelle strutture pubbliche che accoglievano orfani e giovani condannati al riformatorio. La dieta prevista «era sicuramente desolante, poco attraente e monotona, ma piena di vitamine e carboidrati e adatta per i bambini dell’età di Twist». Nel romanzo, Dickens scrive che gli orfani ricevevano «tre ciotole di acqua e avena al giorno, una cipolla due volte a

Scoperte. Uno studio “smentisce” Dickens: la dieta degli orfani era corretta

Oliver Twist? Una buona forchetta

Se anche si suppone l’esistenza della corruzione a ogni strato della società inglese dell’epoca, «è impossibile che un orfano non beneficiasse mai di quanto previsto per lui dalla legge». Insomma, «la dieta descritta da Dickens non avrebbe sostenuto la crescita o lo sviluppo di un bambino di nove anni. Anzi, lo avrebbe condotto a una disabilità fisica permanente entro otto mesi. Invece, quelle previste dallo Stato e descritte da Pereira garantiscono una sussistenza che, per quanto non abbondante, era comunque sufficiente ai bambini». Gli attacchi di Dickens agli orfanotrofi, suggerisce il British Medical Journal, potrebbero derivare non da una realtà storica ma dalla sofferenza dello stesso autore: figlio di una coppia separata, costretto

di Vincenzo Faccioli Pintozzi tato documenti dell’epoca relativi alla vita negli istituti e hanno ricreato in cucina la dieta descritta dall’autore, arrivando a ricostruire pentolame e utensili con i materiali disponibili nell’epoca vittoriana. Sulla base di questo studio sul campo, hanno confermato che molto probabilmente «le malattie che affliggevano gli ospiti di orfanotrofi e di istituti di correzione

settimana e mezza polpetta la domenica. I giorni di festa, venivano concessi 64 grammi extra di pane».

Per i quattro medici che firmano l’articolo – un pediatra, un nutrizionista, uno storico della medicina e un medico generale – una dieta del genere «avrebbe ucciso o mutilato i bambini: questi avrebbero tutti sofferto di anemia, scorbuto, rachitismo e altre malattie connesse alla mancanza di vitamine che caratterizza una dieta del genere». Per preparare la loro “smentita”al capolavoro inglese, gli autori hanno consul-

derivavano, più che dal cibo fornito, dai materiali con cui erano costruite all’epoca le pentole di cottura». Queste, ricche di piombo, «ad alta temperatura rilasciavano particelle del dannosissimo materiale nel cibo: una strada ottima per garantire malattie intestinali e, in alcuni casi, cerebrali». La fonte più importante rimane tuttavia la ricerca del fisico Jonathan

Pereira, scritta cinque anni dopo la pubblicazione di Oliver Twist, secondo cui c’erano ben sei piani nutrizionali a disposizione dei direttori di istituto, completamente a carico dello Stato, che potevano così scegliere e variare le diete dei loro ospiti. In pratica, il governo di Londra garantiva dei fondi, che venivano gestiti da appositi dipartimenti, con cui acquistare

Secondo i quattro medici che firmano l’articolo, la «zuppa acquosa di cipolle» descritta nella novella «avrebbe ucciso o mutilato i bambini: questi avrebbero tutti sofferto di anemia, scorbuto, rachitismo o altre malattie»

In alto, una scena dal film di Roman Polanski tratto dal capolavoro di Charles Dickens. Che ha ispirato, nel corso degli anni, miriadi di opere teatrali e cinematografiche

ad assistere all’arresto del padre per debiti, nello scrivere Oliver Twist «potrebbe aver gettato nella pochezza della dieta la disperazione di un bambino abbandonato».

Tuttavia, l’articolo si chiude con un comprensibile – e condivisibile – beneplacito all’opera letteraria: «La novella di Dickens rimane senza ombra di dubbio una delle cronache più incisive di tutti i tempi sugli abusi commessi a danno dei minori. L’unica pecca è che la “verità della finzione”, in questo caso, proprio non si adatta alla realtà storica».


spettacoli

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Musica. Successo per “Elephants... Teeth Sinking Into Heart”, il nuovo album della Yamagata

La fumosa poesia di Rachael di Valentina Gerace a 31enne metà giapponese metà italo-tedesca Rachael Yamagata ha sicuramente colto al volo l’occasione per trasformare un cuore infranto in magica poesia. Dopo quattro anni dal suo primo album da solista, Happenstance del 2004, ritorna col doppio cd Elephants… Teeth Sinking Into Heart, prodotto dalla Warner Bros, in uscita già dal 7 ottobre. Yamagata parla come una veterana della solitudine e del dolore amoroso, e fa musica come una compositrice affermata. Elephants… Teeth Sinking Into Heart è diviso in una prima parte che contiene nove brani e una seconda che ne contiene cinque. Un disco contemplativo, logorroico, espressivo, lacerante, contorto.

L

Un disco particolare e diverso dal solito pop.Visionario e al tempo stesso introverso e comunicativo pronto a sbagliare per eccesso, esagerato e palpitante. Caratterizzato dalla chitarra inconfondibile di Kevin Salem, che trasforma cinque brani di pura urgenza espressiva in altrettanti proiettili di rock and roll urbano, è un tributo a una concezione vitalistica totalizzante e bohemienne degli esorcismi della tristezza e della pena attraverso lo spartito. Quindici tracce che Rachael confessa di aver composto durante un periodo trascorso nel suo rifugio di Woodstock. Immersa nella natura. Lontana da tutti, dove ha composto circa 160 canzoni. Testi profondi che si creano da sé, dalla semplice introspezione, senza eccessivo lavorìo. Due album che rispec-

prima parte è un brano profondo, intimista, una ballata lenta per voce e piano, con degli archi che contribuiscono a rendere ancor più vivi la malinconia del pezzo. Una musica che ritrae il dolore e la tristezza di una persona ferita. E se non si tratta di ossessione, è il fascino delle relazioni umane e dei comportamenti che la giovane pianista vuole ritrarre. Duet vede l’accostamento perfetto Ya-

scritto. Una interessante tensione creata da una magica dicotomia:una morbida voce incastonata in un flusso di percussioni tribali. Nelle ultime 5 tracce Yamagata cerca di trovare speranza e forza dopo esperienze angosciose. E quasi sull’orlo del cinismo, arriva a ridere sui turbamenti stessi in Sidedish Friend, spregiudicata, che parla del rischio di essere una amante part-time, mentre con-

Nuovo album degli U2 a marzo Uscirà il prossimo 2 marzo in Europa e il giorno dopo nel nord America il nuovo album degli U2 No Line On The Horizon, come annunciato sul sito ufficiale della band. Il disco è stato registrato in Marocco, a Dublino, New York e Londra. L’ultimo album della band How to Dismantle an Atomic Bomb era stato pubblicato nel 2004.

Una nuova opera di Arvo Part su San Nicola Il compositore estone Arvo Part ha composto un lavoro dedicato a San Nicola, Alleluia Tropus, e lo eseguirà per la prima volta stasera nella Cattedrale di Bari nell’ambito della rassegna “Le Voci dell’Anima - occidente oriente” organizzata dal Comune. Arvo Part ha scritto AlleluiaTropus per coro e otto violoncelli, utilizzando un testo della liturgia cristiana dedicato a San Nicola e cantato in slavo antico.

Sopra, la cantante pop Rachael Yamagata, che torna sulla scena della musica leggera internazionale col nuovo album “Elephants... Teeth Sinking Into Heart”

magata-La Montagne. Un duo cupo, intimo. Due tonalità calde ed evocative. Semplicemente perfette insieme. Racconta false promesse e la consapevolezza di un amore che non può funzionare. Horizon chiude la prima parte. Otto minuti di gemito pianistico. L’amore si è spento. E lei osserva un tramonto in un mondo cambiato, in cui deve ricercare ancora una volta il proprio equilibrio.

tinua la sua predisposizione alle metafore in Pause The Tragic Ending in cui parla di un vampiro che le succhia il sangue. La seconda parte si conclude con Don’t, un avvertimento sfacciato. Di nuovo un epilogo all’amore perduto ma questa volta da qualcuno che sa quello che vuole.

Dopo aver studiato teatro per anni, all’Università, Yamagata comincia a cantare per una band funk-fusion, i Bumpus di Chicago, con cui registra tre album e fa un tour negli Usa. Nel 2001, dopo aver scritto alcune canzoni che non erano adatte allo stile punk della band, decide di intraprendere la carriera da solista. Nel 2002 esce con due registrazioni con la Arista e il primo cd che porta il suo nome. Cinque canzoni pop con infusioni jazz. Il suo primo album completo, Happenstance, esce nel 2004 e rievoca molto le atmosfere create da Carol King o Elton John. Un disco emotivamente ricco e musicalmente innovativo, prodotto da John Alagia.Yamagata ripropone alcuni brani di Ep tra cui Worn Me Down (con Kevin Salem alla chitarra) che diventa il singolo del disco. Ma vi aggiunge una dozzina di

Il disco è diviso in una prima parte che contiene nove brani e una seconda che ne contiene cinque. Un album contemplativo, logorroico, espressivo, lacerante, contorto chiano due stati d’animo differenti, atmosfere diverse. Due lati della sua personalità. Uno complementare all’altro. Che rappresentano i turbamenti che seguono alla sofferenza amorosa. E la successiva reazione. La forza necessaria che bisogna tirar fuori se non si vuole restare vittime del proprio dolore. Il primo disco utilizza i suoni della natura, quello della pioggia, dei rami degli alberi che cadono sui tetti. Suoni che rendono il disco fumoso, quasi ipnotico. Ma estremamente vero, autentico. E si basa sulla similitudine tra l’istinto degli animali e quello dell’uomo. Da cui deriva la scelta del titolo. Elephants che apre la

brani originali, sensuali ed eccellenti. Ballate che contengono un qualcosa di classico in sé. Melodie piene di anima, senza tempo.Il cui leit motif è sempre la disperazione amorosa. Interessante Letter Read il cui riff di piano ricorda molto Fiona Apple. O ballate come I’ll Find a Way caratterizzate da un’onestà lirica e arrangiamenti perfetti di chitarra, piano e percussioni. Più carnevalesca

in breve

Una metafora naturalistica poetica e memorabile. Il secondo disco è meno cupo, più personale. Musicalmente più rock. Un inno all’esigenza di liberarsi dalla schiavitù psicologica dell’amore. Non si tratta di cinismo ma di fisiologica reazione alla sofferenza e alla perdita di un amore che l’ha lacerata e le ha lasciato un segno indelebile nell’animo.

In “Sunday afternoon”, nove minuti di epico strumentalismo, alla Pink Floyd Yamagata accetta la sua sofferenza ma invita a non esserne vittima e a non rinunciare a se stessi. What If I Leave è una tra le prime canzoni che Yamagata ha

ed eccentrica Paper Doll, un brano innovativo e sperimentale. Il suo amore per la musica popolare e la sua capacità di incorporare timbri nuovi si coniugano splendidamente in I want you, una canzone sull’ossessione amorosa caratterizzata dall’uso dei corni e da ritmi particolari. Una melodia di piano estremamente originale e una voce acrobatica.

Un ascolto piacevole, delicatamente venato di malinconia. Una voce distratta, quasi stanca. Sofferente. Che di certo non manda messaggi semplici. Una musica quasi psichedelica che evoca dolori e ferite profonde. Ossessioni amorose e passioni tumultuose. Andando in cerca di un senso a tutto questo. Semmai ce l’abbia.Tutto questo trasmette, abbinato a dei testi sorprendenti e delle melodie ariose o estremamente ostinate, la sensazione di un tuffo in sè stessi, in un profondo sconosciuto, ricamato di momenti in cui la voce quasi scompare, sopraffatta dagli strumenti o dal frusciante silenzio. Yamata non tralascia niente nella sua narrazione dolorosa, alternando la sua voce, di natura fragile, a increspature fumose alla Janis Joplin. Elephants… Teeth Sinking Into Heart è sicuramente un disco su cui meditare.

Sarkozy premia Alessandra Martines L’attrice italiana Alessandra Martines è stata insignita da Sarkozy dell’onorificenza di “Cavaliere dell’ordine nazionale del merito”. «Questa sera - aveva annunciato ieri detto il presidente francese - grazie a lei è tutto il sole dell’Italia che entra in questa sala. Non proprio tutto: c’è anche Carla. Una bella ambasciatrice della cultura e della relazione d’amicizia che lega la Francia e l’Italia». La Martines, 45 anni, ha sposato il regista francese Lelouche.

Gino Paoli un cd per i 50 anni di carriera Nel 2009 Gino Paoli festeggia i 50 anni di carriera e per l’occasione tornerà dal 23 gennaio con un nuovo disco di inediti. Il 21 gennaio all’Auditorium Parco della Musica di Roma un concerto-evento presenterà in anteprima il nuovo lavoro insieme ai successi di sempre. Un nuovo tour accompagnerà nel corso dell’anno questo momento nella carriera dell’artista. Il nuovo cd arriva a sette anni di distanza da Storie.


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dal ”South China Morning Post” del 19/12/2008

La Cina di Miao la Cina di «miao», non di Mao, il grande timoniere della rivoluzione, ma dei gatti che compaiono in molte diete. Sono delle prelibatezze, ma ora hanno trovato dei difensori appassionati, anche nello sterminato Chung Quo (Impero di Mezzo). Giovedì si è svolta a Pechino la prima protesta animalista della storia cinese, anche se l’impressione è che non a tutti importi molto dei gatti. Da «vivi» s’intende.

È

Perché sulla tavola quei simpatici animaletti rendono ancora meglio. «I gatti hanno un sapore forte. Il gusto dei cani è più buono, ma se proprio lei volesse della carne di gatto, dovrei aver una consegna per domani», racconta un macellaio donna della provincia del Guangdong. I felini sono infatti l’ingrediente principale di una zuppa tipica di quella regione. E da quelle parti la notizia della protesta animalista ha provocato solo delle alzate di spalle. Potrebbe essere stato proprio quest’atteggiamento ad aver ispirato l’iniziativa dei 40 attivisti. Hanno steso striscioni davanti alla sede “pechinese” – oops un cane - di rappresentanza di quella provincia, che tanto ama i felini, bolliti o in salmì. È diventato un piccolo business per tanti pensionati che si sono messi ad allevare gatti per poi venderli ai commercianti di carne. Wang Hong Yao è scandalizzato da questo comportamento «incivile» e ha organizzato la protesta, che prevede anche la consegna di una lettera indirizzata al governo del Guangdong. Si chiede di reprimere duramente commercianti e ristoranti, nonostante non sia stata violata alcuna legge. Un episodio che evidenzia lo scontro tra le antiche tradizioni e le nuove sensibilità, rese possibili dall’emergere di una nuova ricchezza. Non è il primo e non sarà l’ultimo scontro tra la vecchia e la nuova Cina. Un tempo era il partito comunista a impedire il possesso di cani o gatti - un’a-

bitudine così «borghese» - ma anche le condizioni di assoluta miseria non permettevano di poter sfamare altre bocche, anche se quelle di un micetto. Così ora, sempre più spesso, i media si occupano di questa «incivile» tradizione che fa prosperare il commercio di carne felina. Lunedì scorso, il quotidiano del Guangdong, Southern Metropolis Daly – conosciuto per le sue inchieste – spiegava come in quella provincia, ogni giorno, arrivasse un carico di mille gatti destinati alla pentola. Esiste un centro specializzato per la “raccolta”, la città di Nanchino dove è in voga la caccia grossa al felino, meglio la «pesca». Il fenomeno è tanto diffuso che la gente evita di far uscire di casa le proprie bestiole per paura che vengano catturate. Da lì la “merce” viene buttata dentro gabbiette e trasportata – generalmente su due ruote – sulle piazze del Guangdong.

«Non è mai andata così male per i gatti. Forse per via della crisi economica che ormai si sente in giro», afferma un uomo che, per prudenza, si qualifica solo con il cognome, Lai. Si vocifera che il business dei gatti possa essere gestito dalla malavita. Qualche volta dei gruppi di animalisti sono riusciti a bloccare dei camion, diretti nella ben nota provincia, pieni di gabbie di bambù riempite all’inverosimile. Le autorità possono fare ben poco, perché quando fermano questi carichi la risposta è sempre la stessa: sono animali da compagnia. E anche la polizia ha le mani legate per impedire questo commercio. People for ethical treatment of animals (Pe-

ta) ha rilasciato una dichiarazione ufficiale dove descrive bene la situazione cinese.

«La Cina non ha alcuna legge per la protezione degli animali e in tutto il Paese si può constatare come cani e gatti vengano catturati, caricati su camion, per viaggiare per giorni in condizioni terribili, prima di raggiungere i mercati, dove vengono uccisi a bastonate, strangolati o bolliti vivi», afferma il leader del gruppo, Michael V. McGraw. Un piatto popolare cinese vede insieme carne di serpente, di pollo e di gatto, in un melange che dicono sia delizioso. Una zuppa che chiamano «Drago, tigre e fenice». Comunque la tradizione vuole che i cantonesi – che vivono nel Guangdong – siano gente dagli appetiti forti, in grado di mangiare «tutto ciò che vola, eccetto gli aeroplani, e tutto ciò che abbia delle zampe, fuor che le sedie».

L’IMMAGINE

La nostra società si erge troppo sulla sicurezza finanziaria e troppo poco su quella sentimentale La generazione dei bamboccioni, come definì un ministro di un sinistro governo trascorso, fu un modo molto triste di rappresentare coloro che, già prima di una improbabile partenza per la responsabilità della famiglia, o al ritorno da tale viaggio, si accomodano nel riparo più sicuro della propria casa genitoriale, dove una mamma è sempre pronta. La sensibilità con la quale si capisce che oggi si preferisce vivere con la sicurezza dell’infanzia, dovrebbe essere monito per cambiare una società che si erge troppo sulla sicurezza finanziaria e poco su quella sentimentale, che ad un determinato livello della crescita, dovrebbe sentire il bisogno di amare e creare una famiglia, con tutte le controindicazioni del caso. Il materialismo, anche politico come la sinistra anela, non ha un approccio di tipo umano con il problema, perché apostrofa da sempre i resoconti della massa e non i fenomeni individuali, che hanno i variegati colori, sia nel bello che nel brutto, della nostra anima sempre pulsante.

Bruno Russo - Napoli

“LOFT” CONTRO “LOFT” Italia, Pd studios. E’ in questi teatri di posa che ha preso vita gran parte delle avventure della nuova sinistra. Se le sedi locali sono quelle vecchie, storiche, dove avvengono sempre le medesime cose, l’essenziale loft a Roma è il luogo in cui si consumano i momenti più romantici della saga della sinistra ex comunista ed ex democristiana finalmente unite. Dietro all’ambientazione in stile moderno e minimale c’è il genio scenografico e cinematografico di Walter Veltroni e di quel mezzo architetto di Francesco Rutelli, il duetto delle spettacolari notti bianche romane. Il contorno in cui si muovono per loro è importante quanto gli attori che li affiancano. Ecco perchè apprezzano la Melandri, Morando, Letta e Fran-

ceschini e non vedono di buon occhio D’Alema, Bersani e Marini. Troppo vecchi, logori e superati questi ultimi. Ora è il loro turno, sono loro in pole position, pensano i Nostri. Che i vecchi leaders lascino spazio alla loro creatività, che da sempre segue questa filosofia: partire dalla realtà e parlare dei problemi è noioso, meglio immaginarne una nuova, più scintillante, progressista, briosa e alla moda. Cosa davvero molto difficile, per noi, distinguere il vecchio dal nuovo. Grato dell’attenzione. Distinti saluti.

Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)

QUESTIONE DI NUMERI Il problema sulla caparbietà con la quale il primo cittadino di Napoli continua a voler resistere al

Berlino in technicolor L’autunno è buio e nebbioso, ma non a Berlino! A ottobre scorso infatti ogni angolo della capitale tedesca si è “accesa” in occasione del Festival delle Luci. Questa foto ritrae la Porta di Brandeburgo in un’insolita veste technicolor suo posto, nonostante tutto è di tipo comunicativo, prima che sostanziale, e la forma con la quale si enuncia il proprio lavoro non può essere dismessa dalle realtà oggettive che attanagliano l’ambito nel quale si opera: sentenziare infatti che la criminalità a Napoli è sotto controllo, che il problema rifiuti è stato risolto prima

dell’intervento di Bertolaso o che il processo di rinnovamento della sua giunta è in corso, non sono delle verità. Bene ha detto uno dei sindaci intervistati a Porta a Porta, affermando che un assessore può anche sfuggire al controllo di un sindaco, ma tanti no. Cordialmente ringrazio per l’ospitalità.

Lettera firmata

CHIUDE GUANTANAMO? Finalmente il neoeletto presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, l’uomo che incarna il sogno americano, ha fatto sapere di voler chiudere l’orrendo “campo di progionia” di Guantanamo. Spiragli di vera civiltà? Me lo auguro davvero. E come me, molti altri.

Gaia Miani - Roma


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LETTERA DALLA STORIA

Due libri e un sassolino per il tuo compleanno Ecco qui caro Max due libri e un sassolino. Mi sono sempre sforzato, per il tuo compleanno, di trovare qualcosa che per il suo essere insignificante non potesse mutarsi, né andare perduto, né rovinarsi e non potesse essere dimenticato. E poi, dopo aver riflettuto per mesi, ecco che non so cavarmela altrimenti che spedendoti un libro. Ma con i libri è un tormento, se da un lato sono significanti, dall’altro tornano proprio per questo a essere più interessanti, e poi mi attirava verso quelli insignificanti solo la mia convinzione, che per me non è affatto decisiva, e alla fine, benché fossi sempre di altro avviso, tenevo in mano allora un libro che bruciava perfino, da quanto era interessante. Una volta ho anche dimenticato di proposito il tuo compleanno, certo questo era meglio che spedire un libro, ma bello non era. Per questo ora ti spedisco il sassolino e te lo spedirò finché vivremo. Se lo conservi nel taschino ti proteggerà, se lo lasci in un cassetto non rimarrà comunque inerte, ma se lo getti via è la cosa migliore. Perché, lo sai Max, il mio amore nei tuoi confronti è più grande di me e sono io a vivere in esso assai più di quanto esso non viva in me. Franz Kafka a Max Brod

ACCADDE OGGI

LA CIVILTÀ CHE NON C’È La radio qualche giorno fa ha parlato dell’ennesima lapidazione di una povera bambina di soli 13 anni, avvenuta nel sud della Somalia da parte dei soliti fondamentalisti e fatta passare per una esecuzione di una venticinquenne accusata di adulterio. Di palo in frasca si è ripresentata tutta la bruttura che in un certo mondo, che inutilmente si tenta di civilizzare con le democrazie e le globalizzazioni, viene oggi perpetrata ai danni di donne e bambini. Dobbiamo essere stufi di sentire queste notizie, e ancor di più di registrare che esse vengono recepite tramite le organizzazioni internazionali per gli aiuti in quei luoghi, che le comunicano, le condannano e poi tacciono per sempre. Lasciamo che questa Terra sia condannata a un tragico destino di sofferenze sparse, perché mai, forse, si è tentato di far capire che le lotte che un tempo si organizzavano tra potenti, adesso si dovrebbero fare per togliere dei mostri e per sempre, dai pensieri di poveri innocenti, il cui tragico destino resta relegato all’incertezza e all’approssimazione, di tutto ciò che si spende per aiutare e che poi diventa, purtroppo, un’arma. Cordialità.

Lettera firmata

L’ITALIA “DISFA-IMPRESE” Sono una giovane trentenne romana che un paio di anni fa, con un gruppo di amici cari, ha tentato la carta dell’impresa aprendo una piccola società a responsabilità limitata. E abbiamo tutti fatto molto male! In questo stra-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

20 dicembre 1860 La Carolina del Sud diventa il primo stato a secedere dagli Stati Uniti 1915 Le ultime truppe australiane vengono evacuate da Gallipoli 1951 Per la prima volta viene prodotta elettricità da un reattore nucleare sperimentale costruito nelle vicinanze di Arco, nell’Idaho 1960 Viene costituito il Fronte Nazionale per la Liberazione del Vietnam 1973 Il primo ministro spagnolo Luis Carrero Blanco muore a Madrid a seguito di un attentato dell’Eta 1989 Gli Stati Uniti inviano truppe a Panama per rovesciare il governo di Manuel Noriega 1995 La Nato inizia le operazioni di peacekeeping in Bosnia 1999 La Corte Suprema del Vermont stabilisce che le coppie omosessuali hanno diritto agli stessi benefici e garanzie delle coppie sposate eterosessuali 1999 Macao viene restituita alla Repubblica Popolare Cinese dal Portogallo 2006 Muore Piergiorgio Welby in Italia, il primo vero caso pubblico di eutanasia nel paese

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Francesco Rositano, Enrico Singer, Susanna Turco Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio,

nissimo Paese chiamato Italia, non è proprio possibile realizzare nemmeno un sogno piccolo piccolo, come quello di mettersi in proprio pensando scioccamente di poter vivere e far vivere così una famiglia. La burocrazia, se possibile, si mette di mezzo ritardando l’apertura dell’impresa attraverso inezie. Le banche non aiutano neanche se a chiedere un prestito si presentano dei giovani ventottenni con tanta voglia di fare, bene e onestamente. Ma soprattutto, se non si hanno le conoscenze “giuste” (ma forse bisognerebbe dire, visto che siamo in Italia, se non si hanno i soliti rapporti clientelari di basso profilo) è praticamente impossibile entrare in contatto con possibili clienti. Risultato: la mia piccola società esiste ancora, ma è destinata a fallire nel giro di pochissimo, forse già entro il 2009. Sentiti ringraziamenti a tutti gli ultimi governi che si sono succeduti in Italia.

Annarita Biscardi - Roma

DOV’È ANDATA A FINIRE LA CULTURA? Come mai un Paese come il nostro, che ha una Tradizione (sì, con la “T” maiuscola) millenaria, una storia straripante, una memoria sterminata... beh, come mai oggi l’Italia non si interessa più della cultura? Notate anche voi un’ignoranza dilagante, soprattutto nelle giovani generazioni? Ma soprattutto, notate anche voi l’assenza di un vero e proprio (e nuovo) cenacolo di intellettuali? Dove sono finiti i letterati, quelli veri? Cordialmente ringrazio la redazione per l’attenzione.

Amelia Giuliani - Potenza

Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

dai circoli liberal

IL DIALOGO, CONDIZIONE NECESSARIA PER LA DEMOCRAZIA In un momento estremamente difficile come quello attuale, il dialogo tra le forze politiche rappresenta una condizione essenziale. Il Paese vive una fase estremamente delicata, attanagliata da una profonda crisi economica, dalla crisi di un sistema finanziario, talvolta poco trasparente, le cui anomalie si riversano puntualmente su famiglie e imprese, dal riproporsi della questione morale che da circa quindici anni si ripresenta a intervalli regolari, mostrando come la stagione di “mani pulite” non abbia rappresentato la risoluzione di tutti i mali, dagli annosi ed ormai insostenibili problemi della giustizia italiana, oggi aggravati dall’accentuarsi di una continua delegittimazione reciproca tra magistratura e forze politiche fino a giungere al paradosso dello scontro tra diverse procure. Tutti questi problemi sono concause di una crescente sfiducia nelle istituzioni, dell’appannarsi del senso dello Stato, del venir meno della necessaria coesione sociale, da cui discende una chiusura nella tutela dei singoli interessi particolari a discapito dell’interesse generale. A complicare la situazione si presenta l’incapacità, o la mancata volontà, da parte delle forze politiche, di trovare un terreno di incontro per cercare una soluzione condivisa dei mali che attanagliano il Paese nel momento attuale, come dovrebbe avvenire in una democrazia matura, pur nel rispetto delle diverse posizioni e del diritto della maggioranza di governare. Lo spirito di autosufficienza orgogliosamente rivendicato dalla maggioranza cui fa da contraltare l’incapacità di una parte dell’opposizione di smarcarsi da alcune posizioni “frontiste”, invece, determinano una condizione di scontro permanente tra le forze politiche, che crea la percezione nei cittadini di insufficiente cultura di governo e scarso senso delle istituzioni. Il sistema Italia necessita di riforme profonde, e la crisi di questi giorni non consente ulteriori rinvii. E’ necessario, pertanto, un atto di responsabilità da parte di tutte le forze politiche; è questo l’appello che sentiamo di dover levare, da cittadini ancor prima che da osservatori della politica e della società italiana. Mario Angiolillo Presidente Nazionale Liberal Giovani

APPUNTAMENTI VENERDÌ 16 GENNAIO 2009 ROMA - PALAZZO FERRAJOLI - ORE 11 RIUNIONE NAZIONALE DEI CIRCOLI LIBERAL

ATTIVAZIONI IL COORDINAMENTO REGIONALE DELLA CAMPANIA VERSO LA COSTITUENTE DI CENTRO HA ATTIVATO IL NUMERO VERDE PER LE ADESIONI: 800910529

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



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