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ISSN 1827-8817 81111

di e h c a n cro

Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui.

Ezra Pound

9 771827 881004

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA

Cosa significano per gli Usa e per L’Europa le misure cinesi a difesa dell’economia reale

Keynes a Pechino: un segnale globale di Gianfranco Polillo a grande partita a scacchi è già iniziata. Il 15 novembre, il G20 si riunirà a Washington per tentare di ridisegnare la geopolitica del mondo. Si discuterà delle cause recenti (l’eccesso di finanza) e remote (gli equilibri tra le diverse valute) all’origine dell’attuale crisi finanziaria. Dal relativo compromesso deriveranno gli equilibri di potere e la nuova carta geografica del pianeta. In vista di questa scadenza, la Cina ha già fatto la prima mossa. Era prevedibile che uno dei protagonisti - il suo contributo alla crescita mondiale sfiora il 30% - non rimanesse con le mani in mano. Più sorprendente il merito delle decisioni prese. Investirà in 2 anni 586 miliardi di dollari. Una somma pari al 20% del suo Pil. Una cifra da capogiro se confrontata con la stessa manovra americana: 700 miliardi di dollari, ma con un Pil dieci volte tanto.

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se gu e a p ag in a 15

Due suore italiane rapite in Kenya di Faccioli Pintozzi a pagina 17

Divisi tra Camus e Berlusconi

Romantici o aziendali? I dubbi di An di Riccardo Paradisi l diavolo i fatti! Abbiamo bisogno di storie», urlava negli anni Sessanta Ken Kesey, scrittore anarchico in rivolta contro i realisti e la realtà: troppo giovane per essere un beatnik e troppo vecchio per essere un hippie. Per la task force giornalistica e intellettuale che da un paio d’anni sulle colonne del Secolo d’Italia ha rimesso in funzione la macchina mitologica della destra ex missina, aggiornandone miti e leggende, l’esclamazione di Kesey indica, alla vigilia della grande fusione tra An e Forza Italia nel Popolo della libertà, un metodo per marcare distanze e differenze rispetto a Forza Italia e al suo pragmatismo anti-ideologico.

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di Ferdinando Adornato

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

TRASPORTI: LO SCIOPERO BLOCCA IL PAESE ALITALIA: ESPLODONO LE PROTESTE Prima l’attacco al movimento della scuola. Ora il muro contro muro con i piloti. Sembra che la parola mediazione non sia più nel vocabolario di Palazzo Chigi. Ma serve all’Italia una caricatura del thatcherismo?

Il governo dello scontro alle pagine 2, 3, 4 e 5

L’inedita alleanza Dellai-Pd-Udc sfiora il 60% alle provinciali. La Lega supera il Pdl

Trento, vince il nuovo polo di Franco Insardà

ROMA. Nel Trentino di Alcide De Gasperi il centro ripren- È la dimostrazione che con l’arroganza non si va lontano e de vigore con la riconferma netta alla guida della Provin- che il centro fa vincere grazie alla sua politica responsabicia del presidente uscente. Lorenzo Dellai, centrista da le e costruttiva. L’accordo con il presidente Dellai prevede sempre, avviò per primo l’Ulivo e la Margherita, ma non si un gruppo federato in Consiglio provinciale, un’intesa tra è iscritto al Partito democratico. Si è l’Unione di centro e la sua lista, l’Upt». presentato con una propria lista, Il ruolo dell’Udc è stato sottolineato anUnione per il Trentino, e in alleanza che dal segretario del Partito democracon l’Udc, esclusa all’ultimo momentico, Walter Veltroni che ha riconosciuto to dal voto per la mancanza di una l’apporto che il partito di Casini ha dafirma, e ha raccolto il 56,99 per cento to alla vittoria di Dellai: «Il risultato del delle preferenze, con 7 partiti (Patt, Partito democratico è di grande valore: Leali al Trentino, Di Pietro, Pd, Uniosiamo il primo partito del Trentino e ne per il Trentino,Verdi e Ual), contro l’insieme delle forze che compongono il 36,5 per cento di Sergio Divina, l’area riformista supera il 40 per cento. parlamentare leghista, candidato del Davvero significativo il contributo dato centrodestra. alla stessa dall’Udc. Questo conferma il Il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, fatto che parte consistente dell’elettoraIl centrista Lorenzo Dellai è di nuovo analizzando il voto si è detto giustato moderato guardi con sempre magpresidente della Provincia autonoma mente soddisfatto: «I nostri elettori giore interesse ad uno schieramento di di Trento, eletto con la lista Unione hanno votato massicciamente per centrosinistra moderno e credibile». per il Trentino e in alleanza con l’Udc Dellai e siamo contenti del risultato. se g ue a p a gi na 8

segu2008 e a pa•giE nURO a 9 1,00 (10,00 MARTEDÌ 11 NOVEMBRE

CON I QUADERNI)

• ANNO XIII •

NUMERO

216 •

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IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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Conflitti. Premier e ministri scelgono sempre la linea dura. E moltiplicano le tensioni nonostante lo straordinario consenso iniziale

Il decisionismo dilettante I piloti non si rassegnano ai diktat. Gli studenti ridanno fiato a una sinistra smarrita. E il dirigismo agitato del governo rischia di apparire una debolezza di Errico Novi

ROMA. Il centrodestra di qualche anno fa aveva un problema: era sempre “all’opposizione dello Stato”. Anche quando stava al governo. Il ceto dei burocrati, gli alti funzionari, tutta quella parte di establishment radicata nella pubblica amministrazione, continuavano a rispondere al centrosinistra. Un fenomeno legato a una diffusione della cultura di governo, nell’allora Casa delle libertà, solo parziale, e a un’ancora più limitata consuetudine con il potere. Oggi che il problema è superato – non foss’altro perché tutto l’establishment, praticamente in blocco, ha smesso di sabotare Berlusconi – il Pdl sceglie di complicarsi la vita. Aggredisce la controparte, anziché discutere. Lo fa con i piloti dell’Alitalia, quando minaccia con Maurizio Sacconi di negare gli ammortizzatori sociali a chi rifiuta l’accordo; con gli studenti che contestano la Gelmini, agitando lo spauracchio degli sgomberi forzati nelle scuole; persino con il presidente della Camera, costretto a usare le cattive maniere per scongiurare il voto di fiducia sulla Finanziaria. I risultati? Il blocco dei voli che rischia di ripetersi a giorni alterni; le contestazioni sempre più diffuse e irriducibili a una riforma dell’istruzione che non è stata neanche presentata; il malumore montante tra gli stessi parlamentari della maggioranza,

preoccupati dalla sempre più evidente retrocessione al rango di schiacciabottoni.

E tutto questo in nome di che cosa? Di un’agognata e forse utopistica maggiore efficienza dell’azione di governo. Ma l’origine di questa “politica-contro” nasce anche dalla difficoltà nell’imporre il discorso politico vero e proprio. In parte si tratta di un limite strutturale: la classe dirigente dei partiti di maggioran-

Con un simile approccio si corrono rischi enormi. Innanzitutto perché la crisi economica rischia di intaccare pesantemente l’enorme massa di consenso accumulata a partire dalla scorsa primavera. E nel giorno in cui l’esecutivo dovesse trovarsi asserragliato nel proprio fortino sarà senz’altro più difficile sostenere l’impatto, vista la scarsa

diplomazia messa in campo nel frattempo. C’è tutta una fenomenologia fatta di ultimatum, di toni aggressivi e sferzanti rivolti a chi non si allinea. La rottura con i piloti di Alitalia è l’esempio più lampante. Il piano di recupero della compagnia è stato disegnato su alcuni punti fermi: l’italianità (almeno iniziale), il dialogo preferenziale con una parte del sindacato, il bilanciamento tra rischi della nuova cordata (modesti) e costi per la colletti-

Persino un uomo mite come Matteoli è costretto a fare il giustiziere. Ma anche il trasporto pubblico non ci sta. E cresce il dubbio che la linea intransigente serva a coprire i limiti di un ceto politico complessivamente impreparato za, Lega esclusa, non è cresciuta in termini di qualità e di spessore, e la semplificazione aggressiva aiuta anche ad occultare questo deficit. Ma anche nei casi in cui la capacità di interloquire con le parti sociali ci sarebbe, si preferisce non modificare lo stile abituale. Forse perché a Palazzo Chigi e nelle pochissime altre sedi in cui si decide qualcosa, temono di diffondere cattive abitudini. Si preferisce rafforzare l’idea dell’esecutivo dai muscoli sempre irrigiditi, evitare cedimenti che possano modificare

La sfida vista dall’Anpac

«Palazzo Chigi dice no per poter conquistare i confedrali» di Vincenzo Bacarani

l’impostazione generale del “governo contro”.

ROMA. Cresce la rabbia dei piloti e degli assistenti di volo esclusi dalla nuova compagnia, la Cai, e soprattutto esclusi dal governo nel corso della trattativa che ha portato all’accordo “virtuale” di settembre quando alla fine anche i sindacati autonomi, che raccolgono la stragrande maggioranza del personale navigante, avevano accettato «per senso di responsabilità» l’intesa con governo, Cai e i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil con Ugl. Il fatto è che a ottobre, nell’incontro con Cai che avrebbe dovuto essere risolutivo dell’intera vicenda, le carte in tavola sono improvvisamente cambiate. Rocco Sabelli, amministratore delegato della nuova compagnia, si alza dal tavolo e rompe la trattativa accusando i sindacati autonomi di voler mantenere privilegi per lui inaccettabili. Piloti e assistenti di volo respingono le accuse e comincia un ennesimo braccio di ferro con la compagnia di Roberto Colaninno e - soprattutto - con il governo che assume un atteggiamento intransigente nei confronti dei

vità (notevoli). Si è marciato convinti che la strada fosse giusta. Con una tale determinazione da dimenticare un dettaglio importante: senza piloti gli aerei non volano. Si è dato per scontato che anche questa parte del personale si sarebbe dovuta adeguare alle illuminate intuizioni del governo. Chi è fuori, chi non accetta, semplicemente resta per strada. Visione non solo semplificata ma anche piuttosto presuntuosa, che fa agio sull’idea di un consenso inestinguibile. Così ampio e solido da rendere

sindacati autonomi. La Cai, forte del sostegno incondizionato dell’esecutivo Berlusconi, annuncia che ormai è finito il tempo delle trattative, minaccia di assumere piloti di Ryanair (la compagnia irlandese low-cost) e di procedere alle chiamate nominali dei piloti per le assunzioni e chi non si presenta o rifiuta non viene assunto.

Ora all’Anpac (il sindacato che ha 900 piloti iscritti su circa 1200 operativi) l’atteggiamento del governo non piace. «Il governo vuole farci fuori, vuole cancellarci - dice un dirigente - questa è la verità. Il disegno è chiaro: eliminare tutti i sindacati autonomi e ha deciso di cominciare da noi. Poi toccherà a medici, giornalisti e altre categorie». Secondo l’Anpac, il governo ha voluto l’accordo con Cgil, Cisl, Uil e Ugl e ha snobbato gli autonomi perché spererebbe di ottenere in cambio atteggiamenti meno intransigenti da parte dei confederali su alcuni fronti particolarmente caldi(pubblico impie-

impossibile la sopravvivenza per qualsiasi minoranza riottosa. Figurarsi per i piloti. Considerati evidentemente assimilabili alla casta in virtù dei loro privilegi e dunque troppo impopolari per permettersi una resistenza. E invece la resistenza c’è, come quella di tutto il trasporto pubblico: non è servito l’estremo appello di uno dei ministri più dialoganti, quell’Altero Matteoli costretto a svolgere un ruolo a cui non è abituato.

A parte i rischi futuri, ci sono effetti già visibili. La ritrovata centralità della Cgil, che fino a poco più di un mese fa sembrava dilaniata dai conflitti interni. E soprattutto la boccata d’ossigeno concessa alla sinistra di lotta, che ha ritrovato nelle piazze degli studenti un’autostima smarrita con il voto di aprile. Le condizioni dello stesso Pd, malandate alla fine dell’estate, sembrano migliorate d’incanto grazie al combinarsi di poche ma utilissime circostanze: la rivolta nelle scuole, appunto, e la sensazione diffusa di un governo che rincorre i conflitti anziché alleviare la crisi. A furia di digrignare i denti, l’esecutivo finisce per apparire più debole. E in tempi difficili come questi – che pure Giulio Tremonti era stato abile nel profetizzare – basta poco, anche una sconfitta in Trentino, per far precipitare il morale della squadra.

go, riforma della contrattazione ad esempio). Ora l’atteggiamento delle cinque sigle autonome (oltre all’Anpac e all’Unione piloti che proprio in questi giorni si stanno unificando in un solo sindacato, Avia e Anpav che rappresentano hostess e steward e Sdl) è unitario: sì ai 14 giorni di sciopero proclamati e no – almeno per ora – al blocco totale dei voli. «Per far sì che la nostra lotta faccia paura - ha detto il presidente dell’Anpac, Fabio Berti - bisogna avere continuità. Il problema quindi è fare le cose in modo giusto. Stiamo lottando per qualcosa di vero e spaccarci sarebbe un grave errore. Mi meraviglio che gli altri sindacati non siano qui a lottare per noi». Per questo, tutte le 5 sigle sindacali non hanno condiviso nemmeno la proclamazione di 24 ore di sciopero immediato a partire da ieri sera decisa dall’assemblea del no alla quale ha partecipato in maniera attiva la Cub (Confederazione unitaria di base), una sigla che rappresenta soprattutto assistenti di volo e lavoratori di terra e che in queste ultime


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Alitalia. Lo sciopero spontaneo blocca Fiumicino e Malpensa

Aerei a singhiozzo, l’Aquila torna selvaggia di Alessandro D’Amato

ROMA. L’appuntamento se l’erano dati nella sala mensa che era già stato teatro delle ultime assemblee, e avevano anche bypassato il problema del contemporaneo sciopero dei trasporti chiedendo agli associati di usare l’automobile. E l’assemblea ha finito per svolgersi, invece che nella tradizionale sala mensa, nel piazzale del varco equipaggio: è iniziata alle 10 e 30, sotto un grande striscione dove campeggiava la scritta: «Alitalia. No a privatizzazione e precarietà. Nazionalizzazione». Una pretesa irragionevole, visti i tempi e la “cattiva stampa”dei piloti. Intanto, già otto voli registravano ritardi in partenza (alcuni anche di un’ora). C’era un gruppo abbastanza folto di operai di AZ Airport, mentre capillari misure di sicurezza venivano predisposte dalle forze dell’ordine, sia carabinieri che agenti di polizia, in tutta l’area nei pressi del varco equipaggi e all’esterno della zona arrivi.

settimane è sempre stata molto presente nelle fasi più calde della vertenza.

«Basta applicare il regolamento alla lettera» affermano all’Anpac. E i risultati non si faranno attendere: tre ore di ritardo per tutti i voli. Siamo sotto organico in tutti i reparti – dicono – e per non fare ritardi abbiamo sempre saltato alcune procedure previste dal regolamento. «E ora non lo faremo più». «La verità – sostiene ancora Berti – è che ci aspettavamo che la Cai si presentasse al tavolo con il contratto modello Air One. In realtà ci è stato proposto un mosaico di pezzi di vecchi contratti. Inaccettabile». Ma a dar maggiore fastidio è il filo che lega, sulla vertenza Cai-Alitalia, governo e sindacati confederali. «Cgil, Cisl e Uil – dice un rappresentante dell’Unione piloti – rappresentano appena il 10 per cento del personale viaggiante. Sbagliato firmare un accordo su Alitalia senza tenere nel minimo conto chi li aerei li fa volare, chi ha il diretto e più immediato contatto con gli utenti e cioè piloti, hostess e steward».

Dall’alto in basso, alcune immagini delle proteste dei piloti di Alitalia e di quelle degli studenti in queste settimane: in entrambi i casi, il governo ha scelto di rispondere «no» a chi chiedeva una mediazione. A destra, il leader dei piloti, Fabio Berti

Ad aprire i lavori è stato il coordinatore nazionale della Sdl Paolo Maras. «Le battaglie non hanno una fine predeterminata e la nostra risposta finirà quando noi avremo deciso che ci sono le condizioni per farla finire». E queste condizioni verranno soddisfatte quando, ha proseguito Maras «saranno rispettati i principi di solidarietà, democrazia e diritto al lavoro. A Matteoli diciamo che è inaccettabile che migliaia di lavoratori devono ingoiare l’inferno che è stato loro preparato. Qui non ci sono i ribelli del no ma chi vuole difendere la democrazia, libertà e il diritto al lavoro. Tutti devono sapere che Alitalia è un banco di prova. C’è una santa alleanza tra poteri forti e i sindacati complici contro quei principi ai quali noi vogliamo rinunciare». Poi è arrivata la bomba: Maras ricorda che Cai «verserà 275 milioni di euro di risorse liquide e incasserà 200 milioni grazie agli sgravi fiscali che otterrà assumendo personale in cassa integrazione». Parole, queste, che hanno scatenato la reazione dei lavoratori al grido di “ladri, ladri”. La proposta “indecente”non si è fatta attendere: sciopero di tutto il personale. Ad avanzarla è stato il “comitato di lotta” formatosi nei giorni più difficili della trattativa con Cai, e che già nell’assemblea della settimana scorsa si era contraddistinto come il latore della “linea dura”, anche al di là dei rappresentanti ufficiali degli stessi sindacati di piloti ed hostess.

più».Tutto inutile: un folto gruppo di assistenti di volo, piloti e lavoratori di terra, sedendosi a terra, ha bloccato l’ingresso del centro equipaggi. A sua volta Berti, invitato da grida polemiche di hostess e personale di terra, ha detto che «il fronte del no non si è spaccato. Piuttosto esistono fronti di lotta diversi. Ma ha aggiunto - le 3 categorie di terra, volo e piloti devono rimanere unite perché è l’unità che fa la forza. La nostra azione non finisce oggi ma deve andare lontano». E ai manifestanti che chiedevano «Fuori la Cai, fuori la Cai», ha replicato che «questo non sarebbe sufficiente. Fino a quando non ci sarà un effettivo investimento della cordata in questa azienda noi combatteremo verso il vuoto. Bisogna essere pronti a lottare fino al momento finale quando ci sarà qualcuno che ha qualcosa da perdere. La lotta non finisce oggi perché con un’azione traumatica avremmo una precettazione dopo 20 minuti». Poi si è diffusa la notizia che a causa dell’assemblea era rimasto bloccato a Fiumicino un aereo cargo MD11 con 10 miliardi di euro della Banca d’Italia, e qualcuno se n’è uscito con la battuta: «Assaltiamolo!».

Il risultato è: 20 voli mentre si viaggia con ritardi dai 30 minuti alle tre ore; cancellati sette volti in partenza e otto in arrivo a Linate e uno a Malpensa, i banchi delle informazioni finiscono nel caos: passeggeri sono inferociti. Intanto le agenzie cominciavano a passare le reazioni della politica: si va dall’“irresponsabili” di Maurizio Lupi al “ricatto”di Fabrizio Cicchitto, mentre più cauti erano i ministri Claudio Scajola e Altero Matteoli. Il senatore dell’Italia dei Valori Stefano Pedica, presente con Marco Ferrando all’assemblea, invece, ha chiesto lo “sciopero ad oltranza”. Il presidente della Commissione di garanzia sullo sciopero nei servizi pubblici, Antonio Martone, ha convocato le organizzazioni dei piloti e degli assistenti di volo di Alitalia, e le altre sigle autonome, per giovedì prossimo alle 10. «Subito dopo l’incontro - spiegava una nota - la Commissione adotterà gli eventuali provvedimenti di sua competenza in merito agli scioperi annunciati ieri. Il presidente della Commissione ha rivolto un forte invito a soprassedere da ulteriori iniziative in violazione delle regole vigenti che possano recare grave pregiudizio al diritto alla mobilità garantito ai cittadini dalla Carta costituzionale». Così è cominciata l’ultima battaglia, con lo spettro di Aquila Selvaggia nei ricordi di chi ha combattuto le altre. Ma questa, con l’opinione pubblica contraria e il governo sulla linea dura, sembra quasi impossibile da vincere.

Malgrado l’invito alla prudenza dei leader dei sindacati autonomi, la protesta dei piloti ha bloccato le attività dell’aeroporto

Il varco equipaggi è diventato il centro del sit-in degli scioperanti, nonostante i tentativi inutili dei presidenti di Anpac ed Up, Fabio Berti e Massino Notaro, di farli desistere. Più volte ripreso dai manifestanti, Notaro ha sottolineato che «con il cervello si ragiona di


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Tensioni. «Per alcuni ministri il sindacato va soltanto informato. E questa difformità di comportamenti crea non pochi problemi»

«Il governo vuole il dialogo?» Il segretario Uil pronto a incalzare Palazzo Chigi su scuola, riforma dei contratti e taglio delle tasse colloquio con Luigi Angeletti di Francesco Pacifico

ROMA. Sembra lontano il tempo nel quale un Silvio Berlusconi, fresco vincitore delle elezioni, implorava Luigi Angeletti e Raffaele Bonanni. «Aiutatemi, così ci aiuteremo». Perché a dispetto delle speranze del fronte riformista del sindacato, di una comunanza di vedute con il governo, le grandi intese sono state poche: nessun passo avanti sulla riforma dei contratti, nessun passo indietro sui tagli a scuola e università, mentre in Finanziaria mancano le misure di sviluppo. Il leader della Uil, Luigi Angeletti, non fa tragedie: «Non è facile trattare con noi. E me ne accorgo anche con persone che dovrebbero avere esperienza in questo campo». Il governo è deficitario nella mediazione con voi? L’errore sta in una valutazione squisitamente politica: l’esecutivo guarda innanzittutto alle forze in campo e a quelle che servono per raggiungere un obiettivo. In base a tutto questo, si decide a che condizioni si può stringere un accordo». Risultato? Prenda Alitalia. Con pragmatismo al limite del tollerabile, governo e Cai hanno trattato più con gli autonomi che con noi. Per far firmare i piloti hanno riaperto un’intesa già chiusa. E questo perché credono che il

consenso nei trasporti è più importante che in un’impresa manifatturiera. Non è andata così. Perché a differenza nostra i piloti hanno posto alla privatizzazione delle condizioni dimostratesi irrealizzabili. Lei e Bonanni sieti ospiti fissi a cena di Tremonti… Non esageriamo, trasformando evento sporatici in appunta-

Il leader confederale attacca la Cgil: «Facile fare come loro. Ma i nostri iscritti non ci chiedono soltanto di andare in piazza» menti fissi. Resta il fatto che il governo fa fatica a gestire le parti sociali. Direi, piuttosto, che non c’è un atteggiamento unico, una politica omogenea. Ci sono esponenti che hanno attitudine, anche culturale, a gestire una parte dei problemi in un rapporto dialettico con le parti sociali. E altri che non considerano il dialogo una condizione necessaria: pensano che basti soltanto “informare”il sindacato. Ed è questa difformità di comporta-

ROMA. La produzione industriale continua calare: secondo i dati Ista, a settembre è diminuita dello 0,4% rispetto a settembre 2007 e del 2,1% rispetto ad agosto 2008. In ogni modo, l’indice della produzione corretto per giorni lavorativi ha registrato un calo tendenziale del 5,7% (settembre ha avuto 22 giorni lavorativi contro i 20 del settembre 2007). Il calo congiunturale è il maggiore dal dicembre 1998. Guardando ai dati per settore, rispetto ad agosto, registra un vero e proprio crollo la produzione di prodotti in pelle e calzature (-12,4%), seguita da quella di prodotti in legno (-6,8%), apparecchi elettrici e di precisione (-5,8%), derivati dal petrolio (-5,8%), mezzi di trasporto (-5,7%), prodotti tessili e abbigliamento (-4,2%). Gli indici sono tutti in calo, fatta eccezione per quello sull’e-

menti a creare problemi. Tremonti in che gruppo è? Dal punta di vita della disponibilità al confronto appartiene al gruppo che considera importante il sindacato. Ma prima di promuoverlo, bisogna misurarlo sulle questioni fiscali o sul modello contrattuale, per il quale noi chiediamo uno sgravio a favore del secondo livello. Quindi? Sicuramente c’è un problema di metodo, ma questo non ci impedisce di trattare con il governo su tre aspetti centrali. Quali sono? Intanto la scuola. Sulla riforma il governo non ha mai voluto aprire una discussione con noi. Non basta illustrarcela, ma spiegarci come l’orientamento precedente debba essere modificato. Sull’università ha cambiato registro: speriamo che faccia lo stesso sulla scuola. Non sembravate contrari al decreto Gelmini? Certo c’è bisogno di tagliare, ma non si può fare un intervento contro tutta la scuola. Abbiamo fatto sciopero per chiedere modifiche, non soltanto per i contratti da cambiare. Secondo tema? La politica contrattuale: fatta l’intesa con Confindustria, lavoriamo per fare lo stesso con altre associazioni d’impresa. Ma il governo si deve fare regi-

Ieri città bloccate per lo sciopero degli autotranvieri, che chiedono l’introduzione di un contratto unico per tutta la categoria. In basso, Luigi Angeletti, segretario generale della Uil. Nella pagina a fianco, in basso, il collega e leader della Cgil, Guglielmo Epifani

sta della cosa, perché né il sindacato né le imprese possono convocare tutte le parti. Deve farle convergere sul modello che proponiamo. Che la Cgil boccia. L’accordo separato l’abbiamo già fatto. Ora il governo deve farlo proprio, perché non si de-

Per l’Istat il calo tendenziale è del 5,7%: non succedeva dal 1998

del ministero dell’Economia ha comunicato, attraverso il Bollettino sulle entrate tributarie, che nel periodo gennaio-settembre 2008 le entrate erariali, al lordo delle una tantum, sono risultate pari a 290,2 miliardi di euro, superiori di 6.429 milioni di euro (+2,3%) a quelle dello stesso periodo del 2007. Al netto delle una tantum la crescita è stata di 5.787 milioni di euro (+2,0%). Al contrario, nei primi nove mesi dell’anno il gettito dell’Ires, l’imposta sulle società, è stato di 26.171 milioni di euro, il 5% in meno rispetto al corrispondente periodo del 2007. Il ministero dell’Economia spiega che «la flessione del gettito è ascrivibile ai minori versamenti a saldo 2008 dovuti ad acconti molto elevati effettuati nell’anno 2007 e commisurati all’imposta dovuta per il 2006».

L’industria è in crisi, produzione in caduta libera strazione di minerali. Prevale il calo di produzione di beni di consumo (3,3%). Mentre su base annua il dato peggiore riguarda la produzione di beni strumentali (che servono cioè a produrre altri beni): -8,2%. Per i beni intermedi il calo è del 6,4%, per i beni di consumo del 5,7%, ma si registra un aumento della produzione di energia dello 0,2%.

Guardando ancora alle rilevazioni tendenziali, il settore che ha registrato le riduzioni maggiori è quello degli au-

toveicoli: è stata registrata una flessione del 26,3% rispetto a settembre 2007. Nei primi nove mesi del 2008 la produzione di autoveicoli è calata invece del 10,9%. Le altre diminuzioni tendenziali più marcate hanno riguardato i settori delle pelli e calzature (-19,3%), del legno e prodotti in legno (-13,2%), dei mezzi di trasporto (-12,8%) e degli apparecchi elettrici e di precisione (9,7%). L’unica variazione tendenziale positiva è nel settore dell’energia elettrica, gas e acqua (+3,5%). Intanto il Dipartimento delle Finanze

ve ripetere quanto accaduto con il Patto per l’Italia, che fu lasciato cadere. Ha parlato di tre fronti. C’è, infine, la politica economica. Oltre a far fronte ai problemi delle banche, abbiamo bisogno di misure che guardino al rilancio dell’economia: investimenti pubblici e sostegno ai redditi dei lavoratori, quindi delle famiglie. Penso alla ridu-


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Maggioranza e opposizione unite nel calpestare l’unità confederale

Il sindacato ignorato Da destra e da sinistra di Giuliano Cazzola accontano che alla recente kermesse della Cgil Guglielmo Epifani, solitamente di temperamento freddo, si sia fatto prendere la mano al cospetto di una platea agguerrita e fiera della propria diversità. Dopo aver programmato una lunga serie di scioperi ‘solitari’ e minacciato un’astensione generale dal lavoro, il segretario (ex socialista) si è lanciato in un virtuosismo poetico. «Dicono che il sindacato – ha affermato – sia ormai un vecchio arnese. A noi non spaventa questa definizione, perché anche la falce e il martello sono vecchi arnesi». Così il leader di un grande e moderno sindacato per simboleggiare il lavoro non trova di meglio che evocare oggetti di grande valore storico, ma ormai inutilizzati da decenni persino in quelle aree meno sviluppate dell’Africa che sono ancora lì ad attendere l’arrivo di Walter Veltroni.

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La falce e il martello ormai campeggiano sol-

zione del carico fiscale o alla detassazione delle tredicesime. Intanto non a tutti dispiace il governo che vada allo scontro e vi dica dei no. Perché spesso le nostre trattative vengono percepite come un rito. Sento dire: “i sindacati sono una tragedia perché non chiudono mai”. Il problema è che i tempi sono una necessità, altrimenti non si capirebbero i benefici e le trasformazioni in atto: la riforma dei contratti non porterà soldi domani mattina, ma darà vantaggi quando, negli anni, si faranno le intese. Allora? Magari sarebbe tutto diverso se il governo, non soltanto noi, comunicasse meglio con i cittadini. Per stile di vita frequento persone normali, non certo degli economisti. Bene, tutti i miei amici mi chiedono che cos’è la riforma della scuola, vogliono valutare cosa c’è di buono e cosa invece non va. Non si esagera un po’ con le discussioni? È vero che abbiamo un sistema di comunicazione e di rapporti interni arcaio, figlio di un’economia più lenta nelle sue trasformazioni, ma il problema di spiegare le riforme esiste. La Cgil, con i suoi no, appare più chiara e coerente

di Uil e Cisl. È molto più facile fare come loro. Noi però abbiamo un tipo di persone che ci chiedono delle risposte e delle soluzioni, non soltanto di manifestare in piazza il loro disagio. Tutta colpa degli iscritti? Non è che esistono tre sindacati per pigrizia o per un errore della storia. In Italia c’è un terzo degli abitanti che non condivide il modello nel quale vive: non sono d’accordo con l’economia di mercato, non accettano i licenziamenti perché l’azienda va male, salvo dire che nel mondo questo succede. Non sono i vostri. E questi non vogliono un dialogo con il governo. E c’è un terzo di persone che non vuole che il governo parli con il sindacato. Ma fortunatamente c’è anche un terzo che non pretende da noi soltanto l’organizzazione di uno sciopero. Da un sondaggio di Mannheimer si scopre che per il 46 per cento degli italiani “il sindacato è un ostacolo per lo sviluppo”. Ho letti altre rilevazioni con esiti peggiori. Sarebbe però interessante fare la stessa domanda su istituzioni come i partiti o le banche. Non so se ne uscirebbero meglio.

tanto nei simboli di qualche frazione irriducibilmente comunista. Eppure quelle immagini antiche sono calate su di una platea di dirigenti e quadri - pronti a scendere in trincea anche a costo di mentire a se stessi prima ancora che a quei lavoratori che si accingono a condurre allo sbaraglio – ma che non avrebbero mai creduto di essere costretti ad intonare – quarant’anni dopo – il ritornello di Contessa («compagni dai campi e dalle officine, prendete la falce e portate il martello…») come quando da giovani pensavano di mandare al potere la fantasia senza accorgersi di quanto fosse malata. Se la scelta della Cgil guarda al passato non resta che prenderne atto. Ormai è evidente che il rapporto unitario è saltato. Troppo aperte ed esplicite sono le polemiche tra i gruppi dirigenti. Ma soprattutto sono troppo divaricate le strategie. I motivi di contrasto si aggiungono uno dopo l’altro in un crescendo inquietante: da quelli meno noti all’opinione pubblica ad altri che – come la vicenda Alitalia poi ricomposta in zona Cesarini – hanno suscitato un grande clamore. Tra i primi va annoverato il rinnovo del contratto nazionale del commercio, un settore che rappresenta un intero comparto dell’economia. Il negoziato si è trascinato per mesi fino a quando le federazioni di categoria della Cisl e della Uil hanno ritenuto che vi fossero le condizioni per sottoscrivere l’accordo. La Cgil non lo ha fatto. Si è arrivati così ad un’intesa separata, che potrebbe essere il segnale di quanto potrebbe succedere (mentre scriviamo è obbligo usare il condizionale) sul tavolo dove si gioca il futuro delle relazioni industriali: quello del negoziato con la Confindustria sulle regole e la struttura della contrattazione, un impegno che si trascina inevaso da alcuni anni.

L’organizzazione di viale dell’Astronomia, nelle scorse settimane, si è assunta la responsabilità di mettere sul tavolo una proposta di riforma, apprezzata dai leader di Cisl e Uil, criticata dalla Cgil (che pure è rimasta seduta al tavolo a dire i soliti no) e respinta con toni ancora più accesi da parte della Fiom, la quale ha proclamato persino uno sciopero per il 12 dicembre. Nei giorni scorsi, Dario Franceschini ha espresso delle forti preoccupazioni per la crisi dell’unità sindacale e ha accusato il Governo di lavorare per consolidare questa divisione, ancorché a suo avviso sarebbe utile un interlocutore forte ed autorevole, in questa fase difficile per il Paese. Il fatto è che il Pd – pur avendone la possibilità – non fa nulla per favorire la ricostruzione di corretti rapporti tra le confederazioni.

La vicenda è singolare. Per la prima volta nella storia del Paese le maggiori confederazioni sindacali sono schierate dalla stessa parte nell’ambito di un sistema divenuto bipolare. Certo, molti lavoratori votano per le formazioni del centro destra o per la Lega; ma i gruppi dirigenti sono in larghissima maggioranza militanti o simpatizzanti del Partito democratico, il quale non è capace di rapportarsi correttamente con questa realtà e finisce per privilegiare la sola Cgil. Poiché un momento della verità si avrà al tavolo con la Confindustria sulle regole della contrattazione, c’è da chiedersi se sarà disposta la Confindustria a stipulare un accordo separato che escluda la Cgil. Se in viale dell’Astronomia ci fosse ancora Luca Cordero di Montezemolo la risposta sarebbe negativa. Oserà, invece, la presidente Marcegaglia ? Bonanni ed Angeletti sono necessariamente disposti ad una firma separata al solo scopo, almeno, di dimostrare di esistere e di contare. Nulla è peggio per un sindacato della sua irrilevanza, di non essere considerato neppure dalle controparti naturali. Il problema dovrebbe porselo pure il Governo. Pensano davvero Berlusconi e i ministri di riferimento di aver costruito un quadro di relazioni tale da consentire a Cisl e a Uil di fronteggiare il conflitto con la Cgil? Ben sapendo che tale scelta comporterebbe un duro scontro nei posti di lavoro, dove i padroni sarebbero i primi a lisciare la confederazione rossa per il verso del pelo (lo si è già visto nel 2002 dopo il Patto per l’Italia). In sostanza, se la Cisl e la Uil sono del tutto ignorate dal Pd, il Governo, al di là delle parole, sembra non fare alcuna distinzione tra le organizzazioni sindacali. Almeno fino ad ora.

Il vero paradosso è che in piena stagione bipolare, la gran parte dei militanti è schierata da una sola parte, quella del partito democratico


società

pagina 6 • 11 novembra 2008

Bioetica. La Cassazione dovrà decidere se sospendere o meno il nutrimento e l’idratazione alla ragazza di Lecco

Caso Englaro, oggi si decide di Francesco Rositano ggi la Cassazione prende ancora una volta in esame il caso di Eluana Englaro, la ragazza originaria di Lecco in stato vegetativo dal 1992, dopo un tragico incidente stradale. La Suprema Corte, infatti, riunita stavolta a sezioni unite civili, presiedute dal primo presidente Vincenzo Carbone, dovrà esaminare il ricorso presentato dalla Procura generale di Milano contro il decreto con cui, la Corte d’appello del capoluogo lombardo, il 9 luglio scorso, diede il via libera all’interruzione del trattamento sanitario per la donna. Preoccupazione nel mondo cattolico e in parte del mondo politico.

O

Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, spera che la Cassazione ci ripensi. «Si sta verificando - ha affermato - la stessa situazione della ragazza americana Terry Schiavo: una situazione in cui un giudice decide della vita e della morte di una persona. Si lascia cioè morire un essere umano attraverso un decreto di un giudice, e questo lo trovo angosciante». La Roccella, parlando a margine della presentazione del censimento 2007 sui test genetici, poi ha aggiunto: «Quanto alla irreversibilità dello stato di coma, ha concluso il sottosegretario, la commissione preposta sugli stati vegetativi ha già affermato che non è possibile attestare la irreversibilità di uno stato vegetativo, tanto che non si parla più di stati vegetativi permanenti ma persistenti». Oggi, nell’aula magna di Palazzaccio, sarà presente anche Beppino Englaro, il papà di Eluana, che da tanti anni porta avanti la battaglia giudiziaria assieme all’avvocato Vittorio Angiolini. Gli ”ermellini”si pronunceranno sul ricorso con cui la Procura milanese lamenta «l’erronea applicazione del principio di diritto» enunciato nell’ottobre dello scorso anno, quando la Suprema Corte decise di annullare con rinvio la decisione dei giudici del merito che avevano negato l’autorizzazione allo stop delle cure. I giudici di piazza Cavour, infatti, con la sentenza 21748/07, stabilirono che sia possibile interrompere i trattamenti sanitari, nel caso in cui «la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pur fle-

in breve Ciampino, aereo Ryanair fuori pista Nessuna delle 166 persone che erano a bordo del volo Ryanair proveniente da Francoforte che ha compiuto un atterraggio di emergenza a Ciampino sarebbe rimasta ferita e le procedure di evacuazione dall’aereo si sono svolte senza incidenti attraverso gli scivoli d’emergenza e le porte del velivolo.

Marcelletti, revocati i domiciliari Il tribunale del riesame di Palermo ha disposto la revoca degli arresti domiciliari per il cardiochirurgo Carlo Marcelletti, accusato di concussione, truffa, abuso d’ufficio e produzione di materiale pedopornografico. Il collegio ha imposto al medico l’obbligo di firma per tre volte alla settimana alla polizia giudiziaria in qualunque città risieda o sia domiciliato.

Università, venerdì lo sciopero

Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, parla di un nuovo caso ”Schiavo” e spera in un ripensamento dei giudici: «In Italia sarebbe la prima volta che qualcuno muore di fame e di sete» bile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno», sempre che «tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero della sua personalità, dal suo stile di vita, e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignita’ della persona». La Procura, nel suo ricorso, sottolinea invece (ricordando anche il caso di Terry Schiavo) che «non vi è certezza sul fatto che il paziente in stato vegetativo permanente sia del tutto privo di consapevolezza». L’udienza pubblica di oggi, dunque, si aprirà con la relazione del giudice Mario Rosario

Morelli e, poi, ci sarà la requisitoria del procuratore generale Domenico Iannelli. Non è possibile prevedere i tempi della decisione: di norma, infatti, i verdetti per le controversie civili vengono resi noti con il deposito della sentenza, che deve avvenire entro un mese dall’udienza, ma per questa causa, indicata al numero trentasette del ruolo come «particolarmente importante», si pensa che la Cassazione cercherà di accelerare i tempi del deposito. Quello di Eluana è stato un caso delicato che ha acceso un forte dibattito all’interno della società civile, creando delle divisioni tra chi, in particolare, la Chiesa cattolica ha sempre sostenuto che interrompere il trattamento equivarebbe a far morire Eluana di fame e di sete. E chi, invece, sostiene il diritto

della ragazza a smettere di soffrire, e si appella alle dichiarazioni da lei rilasciate quando era ancora capace di intendere e di volere dalle quali risulterebbe che avrebbe preferito smettere di vivere al posto di continuare a stare in quello stato.

Insomma, secondo lo stesso Beppino Englaro, Eluana avrebbe fatto implicitamente ”testamento biologico”, lasciando detto quali disposizioni prendere in caso lei non fosse stata più in grado di badare personalmente a se stessa. Un precedente che ha provocato un’accelerazione sul dibattito riguardante l’adozione nel nostro paese di una legge sulle cosiddette questioni di fine vita. Un provvedimento su cui si sono dimostrati favorevoli anche i vescovi italiani. Recentemente, infatti, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, aveva detto mostrato una chiara apertura per un simile passo «a patto che essa non fosse il primo passo per introdurre forme surrentizie di eutanasia».

Nuova settimana di passione per l’università, che si prepara a scendere in piazza venerdì a Roma per lo sciopero generale proclamato dai sindacati di categoria contro i tagli e la riforma Gelmini. Riforma che ieri ha visto concretizzarsi il primo tassello, quel decreto legge ”tecnico” varato giovedì dal Consiglio dei Ministri: da Viale Trastevere, dove il testo è stato aggiornato (per la parte relativa agli associati) per quanto riguarda gli imminenti concorsi (già banditi da tempo e le cui domande scadono proprio oggi), assicurano che il Dl arriverà al Quirinale per la firma del Capo dello Stato, prima di essere pubblicato in serata sulla Gazzetta Ufficiale, giusto in tempo per poter mandare avanti la complessa macchina dei tanto attesi concorsi.

Alemanno: «La Shoah male assoluto» «Questo fu il male assoluto, l’uccisione dell’uomo sull’uomo, la logica di Caino che torna nei tempi moderni». Lo ha detto il sindaco di Roma, AleGianni manno, in visita con oltre 250 studenti romani ad Auschwitz, riferendosi alla tragedia dei campi di sterminio. Poi ha aggiunto: «Se non si resta vigili possono ripetersi».


politica ROMA. Approda alla Camera la Finanziaria 2009-2011 e, con molta probabilità, rimarrà blindata, così come voleva il numero uno dell’Economia Giulio Tremonti. Il principio che ha ispirato la Finanziaria triennale impedisce la discussione (ma anche gli assalti alla dirigenza) fissando rigidamente i saldi di finanza pubblica su lungo periodo. Poche modifiche saranno possibili al testo ora in aula a Montecitorio. Le misure sull’economia reale, ovvero il pacchetto anti-crisi per famiglie e imprese, troverà posto più in là, magari nei collegati alla stessa Finanziaria o in altri provvedimenti legislativi entro dicembre, ma non con la Finanziaria. A darne conferma è stato il sottosegretario all’Economia Giuseppe Vegas nella discussione generale alla Camera. E soprattutto ad aver anticipato l’agenda del governo è stato, intervenendo a un convegno Italia-Cina, lo stesso Tremonti. «Entro Natale, i diversi Paesi europei vareranno i propri piani di sostegno all’economia contro la crisi», ha detto Tremonti. «Prima dello scorso lunedì - ha spiegato - quando sono stati diffusi i dati sulla crescita dei Paesi Ue da parte dell’eurogruppo, non era possibile mettere in campo interventi».

Il pacchetto per le imprese, a dire il vero, potrebbe essere presentato anche a breve e dovrebbe anticipare quello per le famiglie. Diverse le misure allo studio. Si parte dallo sblocco degli investimenti pubblici. Tremonti ha annunciato lo ha annunciato «attraverso una riunione straordinaria del Cipe e altre cose che saranno comunicate dal Presidente del Consiglio». Si tratta in questo caso di circa 16,3 miliardi di euro di risorse per le infrastrutture. Nel pacchetto per le imprese rientrano le garanzie sui prestiti per le Pmi e i Confidi, con estensione anche all’artigianato del Fondo del ministero dello Sviluppo economico (la dotazione sale a 600 milioni), gli incentivi all’innovazione con interventi mirati al risparmio energetico e con l’estensione di Industria 2015. Dentro anche una misura che permetterà il pagamento dell’Iva non all’emissione della fattura ma al ricevimento del pagamento di cui ha parlato il premier due giorni fa. Più difficile che trovi posti una “Tremonti Ter”, ovvero la detassazione per gli utili reinvestiti in beni strumentali. Il pacchetto famiglie - si parla di bonus bebè e allargamento della detassazione degli straordinari agli statali - invece, dovrebbe arrivare in un secondo tempo.Tremonti ha rilevato come stia «avanzando in Europa la proposta italiana di inserire le Casse Depositi e Prestiti nella Bei utilizzando quest’organo per far ripartire gli investimenti infrastrutturali. Sarebbe anche - ha concluso un simbolo politico».

11 novembre 2008 • pagina 7

Duelli. Inizia l’iter di una manovra solo apparentemente blindatissima

Imprese o federalismo? Il rebus della finanziaria di Francesco Capozza Ritornando alle modifiche alla Finanziaria,Vegas ha detto chiaramente che ci sarà spazio per alcuni ritocchi al Patto di stabilità e ai finanziamenti per le scuole private. Ma in corsa c’è anche l’irrobustimento della dote da 450 a 600 destinata alla proroga degli ammortizzatori sociali. Il dibattito di questi giorni sulla Finanziaria «è stato percorso da un certo livello di nostalgia del passato, quando le finanziarie erano il catalogo di Leporello di conquiste desiderate e mai raggiunte», ha detto Ve-

meno risorse abbiamo per aiutare le famiglie più deboli e le imprese che restano comunque un obiettivo indispensabile per riagganciaci allo sviluppo. Ma abbassare la pressione fiscale non può essere realistico se ci sarà una finanza allegra». Parlando delle possibili modifiche, Vegas si riferisce al patto di stabilità. Ci sarà, secondo il relatore, «un emendamento per i comuni virtuosi per le spese che erano state programmate e per fornire liquidita’ alle imprese locali».

Giancarlo Giorgetti, le indicazioni sono tutte per il no alla fiducia. La maggioranza è «assolutamente compatta» e pronta a ritirare i propri emendamenti alla Finanziaria, ha detto Bocchino al termine della riunione. Questa surreale situazione idillica descritta da Bocchino è però smentita da voci altrettanto autorevoli che danno il premier e il ministro dell’Economia in rotta di collisione sul quanto e sul come finanziare le Banche e gli investitori. Su una boccata di ossi-

Da un lato, il ministro Tremonti non può tradire le aspettative della Lega che punta a ottenere i fondi per la riforma. Dall’altro, il premier ha scommesso tutto sugli aiuti alle banche e alle aziende. Chi vincerà, alla fine?

in breve Ue, Corte Conti dà giudizio positivo Ci sono ancora errori, soprattutto per i fondi destinati alle regioni, ma anche per gli aiuti al settore agricolo, tuttavia la Corte dei conti ha espresso un giudizio positivo, per la prima volta dopo 14 anni, sul bilancio 2007 dell’Unione europea.

Scuola, Veltroni: «Stop a decreto» La «sospensione degli effetti del decreto Gelmini ormai approvato»; «modificare con la legge finanziaria le scelte di bilancio sulla scuola e sull’università fatte in estate con la manovra triennale», quindi l’apertura di un tavolo di “confronto”con «le parti sociali, il mondo della scuola e le forze di opposizione» sul tema della scuola. Sono queste le richieste che il segretario del Pd Walter Veltroni affida ad una lettera inviata al ministro dell’Economia Giulio Tremonti e al ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini.

Oggi incontro sindacati-Gelmini Oggi pomeriggio alle ore 15 la “Triplice” Cgil, Cisl e Uil del settore università e ricerca incontreranno il ministro della Pubblica Istruzione, Mariastella Gelmini, al ministero di Viale Trastevere. Lo hanno fatto sapere ieri i sindacati. L’incontro avviene a pochi giorni dalla manifestazione nazionale di venerdì a Roma, contro i tagli ai fondi per l’università previsti nella Finanziaria.

Eni, pronto film su Mattei In questa foto, da sinistra a destra: Giancarlo Giorgetti, Umberto Bossi, Carlo Giovanardi e, di spalle, Giuseppe Vegas gas. Ma «la finanziaria di una volta non esiste più per questo non si può più parlare di assalto alla diligenza questo anche perché - ha proseguito - le ombre rosse non ci sono più». La Finanziaria «serve solo a fissare i saldi. Pensiamo a cosa sarebbe potuto avvenire se il governo non avesse presentato il decreto 112. Quale pericolosa situazione per l’economia italiana avremmo vissuto se non avessimo preparato l’ombrello per il temporale che si annunciava imminente». In questo quadro dunque non saranno ospitati interventi per le famiglie più deboli e le imprese e questo perché occorre «proseguire nella strada del consolidamento della stabilità per alleggerire il costo del debito pubblico. Più ci costa e

Altra modifica riguarderà le scuole private e paritarie: «Il governo è disponibile a rivedere la cifra implementandola se è necessario». Ma di fronte alle proteste di questi giorni Vegas ha sottolineato anche che «non si capisce perchè il costo medio di un alunno italiano sia 1.000 euro superiore alla media dei paesi Ocse». Mentre sull’eventuale ricorso alla fiducia l’orientamento emerso dal governo è tendente più al non che a farlo. Dopo l’incontro che il numero uno dell’Economia Giulio Tremonti ha avuto a Montecitorio con i capigruppo del Pdl (Italo Bocchino, Fabrizio Cicchitto e Roberto Cota) il relatore della Finanziaria Gaspare Giudice e il presidente della commissione Bilancio,

geno a questi ultimi, infatti, Berlusconi ha posto una questione di credibilità personale, ma il “dottor no” Giulio Tremonti, avrebbe invece fatto notare che non ci sono altre risorse disponibili.Tremonti non dice il vero e il capo del Governo lo sa. Il ministro dell’Economia, infatti, avrebbe già pensato ad una considerevole somma di denaro pubblico per accontentare il suo amico personale e alleato di governo Umberto Bossi. Alla Lega, infatti, preme che in Finanziaria rientrino anche i soldi per il Federalismo e di Berlusconi non si fida, e ha ragione. Ora, però, la resa dei conti non è più tra Bossi e il premier, ma tra qest’ultimo ed il suo superministro dell’Economia.

L’Egitto di Nasser, l’Iran, i paesi africani di nuova indipendenza, la rivolta algerina, la visita in Cina, gli accordi con la Russia, il ruolo nella nascita dell’Opec. Questo lo sfondo storico del documentario dal titolo “Potere & petrolio, la sfida di Enrico Mattei” che sarà presentato oggi a Roma e che ripercorre la vita del presidente di Eni, dal 1945 fino alla morte nel 1962. Il film, la cui regia è di Fabio Pellarin, è stato realizzato da Croce del Sud Cinematografica e dall’Istituto Luce con la collaborazione di Fox International Channels Italy.


politica

pagina 8 • 11 novembre 2008

Esperimenti. Risultato eclatante alle elezioni provinciali in Trentino: sconfitto il candidato leghista Sergio Divina

Il trionfo di Dellai Vince (57%) l’alleanza inedita Pd-Udc La Lega supera il Popolo della libertà di Franco Insardà segue dalla prima Ma soprattutto da parte dei centristi del Partito democratico sono venuti i commenti più lusinghieri sull’alleanza con l’Udc. Il ministro del Welfare del governo ombra, Enrico Letta, guarda già al futuro e alle prossime alleanze: «Credo che si debba riflettere sul modello Trento. È l’unico con il quale possiamo vincere anche a livello nazionale».

A questo proposito, Lorenzo Cesa ha voluto chiarire che «in Trentino abbiamo creato un rapporto con il presidente Dellai perché ha un movimento con caratteristiche compatibili con l’Unione di centro. Abbiamo stretto un accordo elettorale con un democratico-cristiano che ha avuto la determinazione di lanciare una sfida coraggiosa e autonoma per il governo della Provincia di Trento. È stato un esperimento positivo che abbiamo sostenuto con convinzione in tutta la campagna elettorale, sia io che Casini, recandoci più volte a Trento, insieme a tanti altri esponenti del partito». Savino Pezzotta, presidente della Costituente di Centro è ancora più esplicito: «I risultati elettorali del Trentino dicono in modo chiaro che al centro si vince. Il bipartitismo non passa è questa una lezione per il Paese». Anche da Francesco Rutelli sono arrivati i complimenti al presidente eletto e all’alleanza. L’ex vicepremier ha ricordato come il Trentino abbia anticipato negli anni passati la Margherita e promosso un profilo di «autonomismo riformista e non populista» e sul piano politico intravede con chiarezza la strada per il futuro è: «una alleanza di nuovo conio anche a livello nazionale, che va costruita con tenacia, proposte coraggiose e prendendo il tempo necessario a un cambiamento così grande». Per Giuseppe Fioroni: «È stata premiata la capacità di proposta politica e di governo e, al tempo stesso, anche la scelta di allargare l’alleanza all’Udc e ai settori moderati, da questa esperienza emergono chiaramente due dati: il primo è che quando il Pd si pone al ”centro” delle risposte da dare ai cittadi-

Il segretario dei centristi Lorenzo Cesa: «Abbiamo stretto un accordo elettorale con un democratico-cristiano che ha avuto la determinazione di lanciare una sfida coraggiosa» ni e ai territori si vince. Il secondo che l’alleanza con i moderati ci premia». A frenare gli entusiasmi ci ha pensato il veltroniano Giorgio Tonini: «Il modello Trento non è facilmente esportabile. Se la strategia è quella che la partita si vince al centro, sono d’accordo. Ma se il “nuovo conio” è solo Pd più Udc, allora non basta».

L’alleanza tra Pd e Udc è il tema all’ordine del giorno. Sulle possibili ripercussioni a livello nazionale il segretario dell’Udc Cesa è stato molto chiaro: «L’Udc è un partito di centro e sceglierà le alleanze sulla base dei programmi e delle personalità dei candidati, come Dellai. È una linea sostenuta e condivisa nel partito e ribadita nell’ultima riunione dell’esecutivo nazionale, in modo molto convinto». Marco Follini, oggi senatore del Pd, uno che di centro se ne intende, pone l’accento sull’accordo: «La vittoria a

Trento dovrebbe convincere sia il Pd che l’Udc. Quando le alleanze sono giuste, gli elettori sono più numerosi». Lo stesso concetto è stato ripreso anche da Paolo Gentiloni secondo il quale: «Al primo test concreto la fiducia degli italiani nel centrodestra, tanto sbandierata dal presidente del Consiglio, si è dimostrata evanescente. La sconfitta del Pdl è stata pesante, aggravata dai voti risucchiati dalla Lega che ha cannibalizzato gli alleati. Oggi è stata tracciata una via nuova che apre importanti prospettive per il futuro».

Sul fronte opposto, quello del Pdl, si cercano giustificazioni alla debacle e le analisi che si fanno spesso arrivano a conclusioni diverse tra loro. La sconfitta nelle provinciali in Trentino per Ignazio La Russa, ministro della Difesa e ”reggente” di Alleanza nazionale, «deve essere un campanello di

allarme che suona per noi, affinché non prendiamo sotto gamba le prossime provinciali e riflettiamo a fondo sulla differenza dei risultati che il Pdl ottiene nelle elezioni politiche e in quelle amministrative».

Mentre per Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e leader dei Popolari liberali: «Il Pdl deve essere costruito sul territorio come un partito vero, democratico, di ispirazione cristiana, costola del Ppe, che sappia vincere e convincere anche quando non è impegnato direttamente Silvio Berlusconi e che valorizzi tutte le componenti che con convinzione ne vogliono far parte». E Gianfranco Rotondi, altro centrista del Pdl e ministro per l’Attuazione del programma, lancia un messaggio all’Udc: «Trento non è un laboratorio, escludo che l’Udc vada a sinistra. Ritengo che non abbiamo ancora una strategia comune, ma i nostri

elettori e quelli dell’Udc la esigono». La Lega, comunque, ci tiene ad evidenziare il successo ottenuto e il senatore del Carroccio Piergiorgio Stiffoni dice: «È indubitabile che la Lega Nord ha quadruplicato i consensi, considerandola come parte integrante la lista Civica Divina. C’è, però, da sottolineare la scarsa performance della Pdl, che evidentemente non era convinta del test elettorale».

Un’altra voce critica è quella del presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan da tempo in polemica con i vertici del centrodestra e profondo conoscitore del territorio: «La campana suona a festa per Lorenzo Dellai che saluto con simpatia e stima, nella certezza che non verranno interrotte le già positive collaborazioni messe in essere da tempo tra la regione del Veneto e la provincia di Trento. Al contrario non suona certamente a festa la campana del centrode-


politica

11 novembre 2008 • pagina 9

Letta e Rutelli parlano di “Laboratorio Trentino”: la risposta di Adornato

«Se Trento è un nuovo modello, non parlate di centrosinistra» colloquio con Ferdinando Adornato di Susanna Turco ra le tante letture che durante lo spoglio dei voti si rincorrono per analizzare la netta vittoria di Dellai a Trento, Ferdinando Adornato sceglie una delle meno pacificate, quella di Gianfranco Rotondi. Perché si adatta bene a spiegare, per paradosso, quale è la lettura e l’intenzione dell’Unione di Centro. «Trento non è un laboratorio, escludo che l’Udc vada a sinistra», dice il segretario della Dca. «E infatti», spiega Adornato, «Trento non è un laboratorio, ma può diventarlo: ma solo se il Pd è disponibile a ridisegnare un nuovo polo, un’alleanza che non possa più essere chiamata, nel suo complesso,“centrosinistra”». L’Udc, dunque, non andrà in nessun caso «a sinistra», ma è certamente interessata alla costruzione di una coalizione moderata che si lasci definitivamente alle spalle il finto bipartitismo all’italiana. Tutto ciò potrebbe avere origine dal voto di domenica a Trento? Ci sono due ottiche per leggere il voto trentino. Una più pragmatica, coerente, fattuale, che segnala il buon giudizio che gli elettori hanno dato di Dellai e il ruolo che in questo risultato ha giocato l’Udc, il cui apporto è indubbio, anche se purtroppo non misurabile. Il centro, complessivamente, esce vincitore, mentre il centrodestra rimane molto indietro, con la Lega che addirittura supera il Pdl: il che dimostra come l’Unione di centro possa essere un forte elemento di attrattiva per i moderati, soprattutto di centrodestra. Nella parole dei leader politici c’è già qualcosa di più. Enrico Letta dice che questo è «l’unico modello col quale possiamo vince-

T

ne senza il Prc e, mi auguro, anche senza l’Italia dei Valori meriterebbe una definizione diversa. Insomma, non può trattarsi di centrosinistra: ed è questa l’unica condizione nella quale Trento diventa un modello. E al di là del nominalismo? Quello a cui vogliamo puntare, sempre nel modello del se, è la creazione di un nuovo polo politico, di governo, riformista e moderato, che lascia a sinistra quello che già Veltroni ha lasciato fuori dal Pd, senza recuperi, e che si rivolte agli elettori moderati del centrodestra. L’Udc, che vorrei ricordare fa parte del Ppe, sente come sua prima tensione politica quella di rivolgersi agli elettori moderati del centrodestra per segnalare che l’impronta data dal Berlusconi di oggi non corrisponde ai loro valori. Il nostro compito è quindi quello di aprire un nuovo spazio di riferimento politico, che unisca i moderati italiani e ci porti tutti fuori da questo finto bipartitismo. Se il Pd vuol far questo, siamo pronti ad avviare la discussione. Diversamente? In questo caso Trento non è e non diventa un laboratorio: se l’obiettivo del Pd è sostituire l’Udc alla Margherita e riformulare un nuovo centrosinistra, non si sta certo lavorando a un modello nuovo. E allora Rotondi avrà avuto ragione. Pararadossalmente sì. Ma deve anche cominciare a capire che i moderati non possono essere rappresentati da questo Berlusconi e che noi non siamo disponibili a rientare in categorie come

Siamo disponibili a ragionare sulla creazione di un polo politico, di governo, riformista e moderato, che lasci a sinistra quello che già Veltroni ha lasciato fuori dal Pd e che si rivolga anche agli elettori moderati del centrodestra

Lorenzo Dellai. A destra, Letta, Adornato e Rutelli. Nella pagina a fianco, Pier Ferdinando Casini stra trentino, e lo stesso va detto per quanto già accaduto a Bolzano. Il Popolo della libertà se non riuscirà al più presto a realizzarsi come effettivo soggetto politico di riferimento - sia rispetto alla società civile sia delle istituzioni della politica, a partire dai propri iscritti e militanti - conoscerà altre cocenti delusioni elettorali, e questo di qui a pochi mesi». Il coordinatore nazionale di Forza Italia, Denis Verdini, tenta di buttare acqua sul fuoco sia delle polemiche interne al centrodestra che sugli entusiasmi del centrosinistra: «Spostare in chiave nazionale un dato locale, che per giunta è assolutamente particolare come quello del Trentino, non è corretto. Le elezioni amministrative si confrontano con le elezioni amministrative».

re», Francesco Rutelli parla di «un’alleanza di nuovo conio anche a livello nazionale». Io credo che ci si possa anche avventurare in questa lettura. Ma bisogna prima sgombrare il campo dalla sensazione che questa sarà la linea politica di qui in avanti. Il caso di Trento, voglio dire, non costituisce una condotta univoca e invariabile, anzi è una scelta contingente e particolare. Come abbiamo detto più volte, le alleanze nelle elezioni locali non si traducono in diktat nazionali. Insomma, l’Udc non è abbonata all’alleanza col Pd. Dopodiché? Con Letta e Rutelli è opportuno interloquire. È chiaro che l’Udc deciderà molto più avanti la sua posizione alle prossime politiche. Però questo di Trento è il modello di un “se”. Se? Se, e come Mina sottolineo se, la storia italiana renderà possibile l’incontro tra l’Udc e il Pd, il voto trentino ci dice che questo è possibile solo a una condizione: l’Unione di centro non può entrare in una coalizione di centrosinistra, non può sostituire la Margherita. Può essere invece disponibile alla formazione di un nuovo polo politico, che ora è prematuro definire ulteriormente. Beh, per il voto trentino Veltroni ha parlato di «centrosinistra riformista». Ecco, appunto, il termine «riformista» non è tale da segnalare il superamento del problema. Con l’uscita dell’Udc dal centrodestra e con la scelta del Pd di non allearsi più con Rifondazione, trovo improprio e incongruo che si continui a parlare di centrosinistra. Anche per l’ex Unione: il Pd può dire di sé di essere un partito di centrosinistra, ma una coalizio-

centrodestra e centrosinistra. La verità è che persone come Enrico Letta sono più avanti, nella riflessione sul superamento dei poli, di quanto non lo sia il segretario della Dca e gli altri dirigenti di stampo moderato del Pdl, i quali accettano abbastanza serenamente il superamento nei fatti del tanto decantato moderatismo del Pdl. Nel Pd non sono tutti d’accordo con Letta, anzi. Lui, Rutelli ed altri stanno ponendo un problema, Veltroni mi auguro se lo porrà, e con lui tutto il Pd. L’alleanza sperimentata a Trento è un’evoluzione del Pd veltroniano? Il bileaderismo sta mostrando tutti i suoi aspetti di inconsistenza politica, penso che l’abbia capito anche il segretario del Pd. Non è un modello che possa funzionare in Italia. Ritiene che il Pd possa riaprire una finestra di dialogo con i vendoliani? Dubito che si possa tenere insieme Vendola e Letta, sarebbe il residuo di un recupero del vecchio centrosinistra, mentre di fronte all’Italia c’è un progetto più ambizioso, che può partire dalla intesa tra Pd e Udc, ma che dovrebbe arrivare alla scomposizione del centrodestra, per costruire un nuovo polo di moderati. E il centrodestra guidato da Berlusconi si lascerà scomporre? Per ora si può parlare solo di una scommessa. Bisognerà vedere come il premier consumerà il suo consenso elettorale nei prossimi anni. Ma resto convinto che il Pdl non sarà in grado di rappresentare i moderati, né soprattutto di dare stabilità nel tempo a quella politica. Un partito costruito dal notaio quella forza non può averla.


panorama

pagina 10 • 11 novembre 2008

Enogastronomia. Gambero Rosso passa a una cordata di cui fanno parte anche noti produttori di vino

Arrivano i furbetti del bicchierino di Francesco Capozza

ROMA. Fine di un sogno. Anche la critica enogastronomica rischia di perdere quella sua credibilità che negli ultimi anni l’aveva portata alla ribalta, alla faccia della crisi economica. Rischia, cioè, di non essere più attendibile perché dei magheggi economici hanno oscurato quell’alone di probità che circondava un mondo che del buono e del sano ha fatto il suo unico Karma. Un gruppo editoriale che pubblica guide che recensiscono ristoranti e vini con 20 anni di credibilità che viene acquistata da una cordata di imprenditori al cui interno ci sono vari produttori di vino. Stiamo parlando dell’intreccio economico che ha coinvolto il Gambero Rosso ed estromesso dalla direzione il suo fondatore storico, Stefano Bonilli. E di Carlin Petrini, fondatore dello Slow Food, membro dell’esecutivo del Pd e coeditore della Guida dei Vini del Gambero Rosso che è ora dipendente del gruppo Espresso (che edita una Guida, diretta concorrente del

IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio

Gambero), presieduto da Carlo De Benedetti.

Sembra strano, ma anche a chi si occupa di soffritti e barrique si applica la logica del risiko finanziario. Tre fatti sono noti: i pieni poteri ai vertici sono di Paolo Cuccia, il vicepresidente operativo di Fwf e di Sergio Cel-

mobiliare e Corsera) ma che ha come soci di maggioranza i commercialisti Aldrighetti, si potrebbe pensare ad un intreccio editoriale; se invece, come sembra più probabile la Cfn costudisce il pacchetto di maggioranza del Gambero Rosso in nome e per conto di altri, allora c’è una traccia che potrebbe dare

Il celebre marchio legato all’arte del buon bere e del buon mangiare ha cambiato proprietà, suscitando qualche perplessità per il suo futuro lini, amministratore delegato di Grh, che hanno estromesso Stefano Bonilli dal controllo delle società. Il secondo fatto è che Gambero Rosso Holding è gravata da pesanti debiti verso le banche (lo stock risaliva al 2005 ad oltre 8 milioni di euro) e avrebbe accusato negli ultimi due esercizi noti (2005 e 2006) perdite per oltre 2 milioni di euro. Il terzo è un giallo finanziario: capire, cioè, in nome e per conto di chi Paolo Cuccia è assurto ai vertici del piccolo impero di carta. Se è un uomo della Cfn di cui è socio Pesenti (Italim-

quache indicazione in più. Paolo Cuccia, ai tempi in cui lavorava per Abn-Amro, sedeva nel consiglio di aministrazione della Cia (Compagnia Immobiliare Azionaria) la società nata dallo scorporo del patrimonio immobiliare di Class Editori e quotata in Borsa. Cuccia avrebbe dunque avuto la fiducia di Paolo Panerai editore di Class ma anche vignaiolo di peso (ha tenute in Chianti e in Maremma) e che da sempre con i suoi giornali si occupa dell’italian style e di economia. Insieme a Cuccia nel consiglio di amministrazione di Cia

sedevano anche Gianni Zonin (altro noto produttore di vini) e suo figlio Domenico. E in quel consiglio di amministrazione vi era anche un altro nome di spicco: Diego DellaValle che con Luca Cordero di Montezemolo partecipa al fondo Charme che si occupa di investimenti in alberghi, agriturismi di lusso, e coltivava il progetto di acquistare partecipazioni azionarie significative in tutti i settori del Made in Italy. Come dire tra Cuccia e i nomi del vino italiano che contano c’è una certa conoscenza.

Questo non significa nulla, forse, tuttavia finché perdura l’incertezza sul vero volto dei padroni del Gambero Rosso è plausibile pensare che i protagonisti del mondo del vino italiano abbiano avuto interesse a controllare il gruppo editoriale di maggior peso nel settore. Una faccenda da furbetti del bicchierino, che ha sconvolto il dorato mondo del food&beverage alla moda, dando adito e pretesto al pensiero che sia sempre di più un mondo, non del ”mercato”, ma delle ”marchette”enogastronomiche.

La tragica fine di Miriam Makeba a Castel Volturno e l’utopia dell’“ultima recita”

Morire sul palco. Un grande sogno d’artista l sogno dei grandi artisti è quello di morire davanti al loro pubblico. Davanti al suo pubblico è morto Molière, al culime del suo trionfo seicentesco. Davanti al suo pubblico è morto Antonio Petito, a Napoli, quando ormai l’Italia era fatta ma i napoletani vedevano nel loro Pulcinella un baluardo di identità non calpestata. Come loro, Miriam Makeba è morta davanti al suo pubblico. A Castel Volturno. Lì c’è stata la infame strage dei sei africani e lì “Mama Africa” aveva voluto portare la sua forza vocale e la sua forza morale. Un concerto dedicato a Roberto Saviano in un paese italiano che cade nel territorio di Gomorra. Castel Volturno è parte di una speciale apartheid e la cantante anti-apartheid non ha fatto mancare il suo canto di passione, di dolore e di gioia. L’ultimo.

I

Aveva appena finito di cantare e salutava il pubblico: poche decine di africani. Tra gli applausi ha chiuso gli occhi ed è svenuta. Il suo cuore si è fermato dopo aver cantato per l’ultima volta il suo ritmo più famoso: Pata Pata. Nelson Mandela ha detto: «È giusto che i suoi ultimi momenti siano stati vissuti sulla scena. Le sue melodie hanno dato voce al dolore dell’esilio che provò per trentun anni.

Allo stesso tempo la sua musica effondeva un profondo senso di speranza». È giusto che sia stato Nelson Mandela a tributarle ancora un applauso che non sarà l’ultimo: infatti, proprio Mandela riuscì a convincerla a ritornare in patria dopo il lunghissimo esilio: un “ostracismo” che il governo di Pretoria inflisse a lei, ma anche e soprattutto alla sua splendida voce, alle sue canzoni, al suo naturalissimo ritmo, ai suoi dischi. Via, tutti fuori dal SudAfrica. Ma in giro per il Mondo. Miriam Makeba è morta e non è una morte comune. Perché morire così, sulla scena, significa vincere anche l’ultima battaglia, quella contro la morte. Significa finire senza finire, morire senza morire. Significa uscire dal tempo per consegnarsi all’immortalità. Cos’è l’immortalità se non ciò che è degno di essere ricordato per sempre dagli altri uomini? Il canto li-

bero di Miriam Makeba è degno di memoria e la sua morte è un’astuzia di chissà chi per far cantare in eterno la sua Africa. “Mama Africa” è morta a Gomorra, è morta lì dove l’Africa è sfruttata, offesa, uccisa. In questa morte c’è un destino. Era nata settantasei anni addietro a Johannesburg e per tutta la vita aveva lottato per la dignità e la libertà del suo popolo e della sua patria: il SudAfrica. Ma anche a Nord dell’Africa c’è da cantare per la dignità e la libertà. Gomorra non è meno vergognosa dell’apartheid.

L’arte musicale di “Mama Africa” è universale. Perché il ritmo è universale “Dove finiscono le parole inizia la musica” ha detto qualcuno e non ricordo più chi (e non mi va neanche di battere la frase su Google per trovare l’autore, tanto esprime una verità comune). La carriera di Makeba è

stata ricordata e i suoi successi anche. Harry Belafonte, con il quale cantò e incise un disco, era entusiasta della sua voce. Ho riascoltato quell’album: lo stile, l’eleganza, il fascino, la classe. La gentilezza. Proprio così: eleganza e gentilezza. Non interessa ora ricordare carriera e successi commerciali. Il vero successo di Miriam Makeba è l’arte libera. Questa donna ha sconfitto il regime dell’apartheid cantando. Retorica? Cronaca.

La musica nera ha due origini: il ritmo e la sofferenza, l’Africa e la schiavitù. Due “elementi” che si ritrovano nell’arte e nella musica di “Mama Africa” che canta per far cantare l’Africa. Il suo canto di opposizione, critica e libertà ci fa capire quanto siano piccini gli uomini e le donne dello spettacolo di casa nostra che scagliandosi contro questo o quel governo assumono pose da mattatori di battaglie civili. A Castel Volturno è morta l’africana Miriam Makeba. E non poteva essere diversamente. Cantando davanti a pochi africani che l’attendevano per vederla e sentirla dal vivo. Aveva addosso la febbre. Non stava bene. Ma non poteva, non voleva deludere. Pata Pata, poi il dolore, la fine, la morte. L’immortalità.


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11 novembre 2008 • pagina 11

Scontri. L’asse Fini-D’Alema segna un cambio di rotta significativo nella strategia dei democratici

Federalismo, parte l’ennesima battaglia nel Pd di Antonio Funiciello

ROMA. L’intesa tra D’Alema e Fini sulla bicamerale per il federalismo fa virare sensibilmente il timone del Pd dall’orientamento assunto prima delle elezioni sullo stesso tema. Non sono lontane le immagini della campagna (elettorale) del nord-est di Veltroni, con piazze piene a cui sono anche corrisposti, come non altrove, incrementi di consenso per il Pd nel voto di Aprile, rispetto alla somma dei risultati precedenti di Ds e Margherita. Solo che Veltroni non è andato in giro da Mantova a Belluno e da Bergamo a Trieste promettendo, sull’argomento più sensibile per quel particolare elettorato, l’istituzione di una bicamerale per il federalismo. Avrebbe fatto la figura del burocrate romano in viaggio premio. Il programma del Pd era assai diverso.

L’esempio che nei suoi comizi Veltroni tirava fuori a ogni pie’ sospinto era quello della collaborazione tra governo Prodi e regione Lombardia sulle politiche infrastrutturali. Obiettivo: estensione a tutte le

bilmente distanti dallo slogan «Ci vuole una commissione bicamerale». Insomma, se Formigoni è rimasto dello stesso avviso («applichiamo le procedure più veloci», non la bicamerale), il Pd ha scelto di rallentare. Le parole d’ordine sul federalismo erano già cambiate alla conferenza economica del Pd di tre settimane fa, quando il ministro ombra dell’economia Bersani aveva derubricato il capitolo programmatico, annunciando la necessità di promuovere una commissione ad hoc. E Veltroni s’era subito detto d’accordo con questa nuova soluzione.

La “Bicamerale” non era nel programma elettorale, ma prima Bersani, poi Anna Finocchiaro avevano invocato un tavolo per le riforme regioni italiane di quel federalismo infrastrutturale che prevede una robusta cogestione stato-regione nella realizzazione delle grandi opere pubbliche. In tal senso, già nella primavera del 2007 la Lombardia aveva presentato una proposta di leg-

ge, sulla scorta di quanto previsto dell’art.116 della Costituzione. Formigoni puntava ad avocare alla regione Lombardia una dozzina di funzioni legislative di pertinenza centrale. Anche sul federalismo fiscale non mancavano indicazioni sensi-

L’asse D’Alema-Fini segue coerentemente il susseguirsi di questi eventi, con l’ufficializzazione del cambio di rotta. Non a caso già ieri mattina, il capogruppo del Pd al Senato, la dalemiana Finocchiaro, ha convocato per giovedì prossimo un’assemblea del gruppo per definire le strategie d’aula e arrivare a quell’emendamento annunciato da D’Alema nel week end asolano. Se sul fronte del centrodestra, il

Aiuti. Secondo il ”Times”, il governo avrebbe stanziato 20 miliardi di euro per le banche

Arriva il piano Paulson italiano di Alessandro D’Amato

ROMA. Se ne occupa il Times, mentre l’argomento, anche se caldo, non sembra essere considerato prioritario dalla stampa italiana: in un breve articolo comparso nell’edizione di domenica, il quotidiano inglese informa che il governo italiano nel week end ha messo a punto un piano di salvataggio da 20 miliardi di euro per le banche, che lo porterà a detenere una quota importante di azioni in ciascuno degli istituti di credito interessati. Che, sempre secondo il giornale, sarebbero Unicredit, Intesa, Monte dei Paschi di Siena e Banco Popolare, e restituiranno interessi tra il 7 e il 9% per il denaro prestato dallo Stato: meno del 12% richiesto ai colleghi banchieri inglesi per il piano Brown.

tando il coefficiente tra il 9 e l’11%. In più, è vero che, a parte Unicredit, poche istituzioni italiane hanno impieghi all’estero, ma gli esborsi per acquisizioni a volte esagerati hanno influito in qualche caso anche troppo sui bilanci. Ma d’altra parte all’esecutivo manca ancora di fare il passo decisivo: quello dell’emanazione dei regolamenti attuativi, che il Tesoro sta ritardando anche per l’opposizione dei banchieri, che non ve-

la Commissione Europea, che ha aperto a sorpresa (e in sordina) un’indagine per sospetti “aiuti di Stato”, restringendo così al legislatore il campo d’azione.

Poi c’è il problema che attanaglia gli azionisti, quello del controllo: mentre molti aspettano con timori giustificati le assemblee e le trimestrali, al loro interno ci si rende conto benissimo che ormai si trovano di fronte a un bivio. Posto che sicuramente quest’anno dovranno dimenticarsi i succosi dividendi a cui il management li aveva abituati, a breve dovranno far fronte alla sottocapitalizzazione: tirare fuori altri denari, in un momento difficile per la liquidità, oppure accettare l’intervento del Tesoro. Ma soprattutto: i consigli di amministrazione basati sul controllo pressoché monolitico di un azionista in maggioranza assoluta (o di un gruppo legato ad un accordo) rischiano di ricevere in ogni caso un duro colpo. Forse decisivo.

Il giornale inglese anticipa piani e cifre. In realtà in Italia ancora si discute molto di rischi e limiti dell’operazione. Soprattutto per i management

Ma tra i manager c’è ancora molto dibattito sull’accettare o meno la proposta governativa. Le difficoltà patrimoniali esistono, e i banchieri non se lo legano: il core tier 1, che rappresenta la quota più solida facilmente disponibile del patrimonio della banca al netto di obbligazioni e altri strumenti finanziari, è vicino o di poco superiore al 6%, in un’Europa dove i maggiori istituti hanno già usufruito dell’aiuto governativo, ripor-

drebbero di buon occhio sia una serie di norme che obblighino o consiglino la sostituzione del management (come vorrebbe il ministro Tremonti), né l’intervento “automatico” di Bankitalia solo in base al coefficiente: anche a via Nazionale il dibattito è aperto, visto che l’innalzamento senza se e senza ma dei coefficienti non pare essere l’obiettivo considerato più corretto per una valutazione oggettiva, secondo alcuni dei tecnici. Senza contare che l’intervento tedesco utilizzato per il salvataggio di Commerzbank è finito sotto la lente del-

protagonismo del presidente della Camera va letto come un nuovo tentativo di smarcarsi dal Cavaliere, per circoscrivere intorno a sé uno spazio sempre più ampio di autonomia politica, sul fronte del centrosinistra si assiste ad altro. A quelli del Pd lo schieramento a tre Berlusconi-Bossi-Temonti appare ormai come una nuova Invencible Armada: troppo robusta sia per i molti anni di navigazione, sia per il favorevole consenso di cui gode nel paese. D’Alema ha così intercettato lo scoramento di Fini e sta con lui cercando di disegnare una manovra di aggiramento. Casini, per il momento, sta saggiamente a guardare, ma a D’Alema non spiace affatto se dalle parti dell’Udc quella della bicamerale viene letta come uno sforzo per rallentare le vele del Cavaliere. In fondo la diffidenza verso il federalismo è un tratto che unisce D’Alema e Casini e potrebbe essere uno dei tasselli principali (dopo la vittoria del nuovo conio alle provinciali trentine) per costruire l’alleanza nazionale con l’Udc e prendersi la rivincita nel 2013.


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L’opinione del politologo Gianni Baget Bozzo

il paginone

I dubbi di Alleanza nazionale alla vigilia della confluenza nel Pdl e dell

«An sta sbagliando, la politica non ha bisogno di miti» l Novecento è finito, i miti ideologici non servono a nessuno, indeboliscono una forza politica, non creano cultura, azione, ma solo memoria». Politologo vicino a Forza Italia Gianni Baget Bozzo è stato l’ideologo di Silvio Berlusconi quindici anni fa, quando Forza Italia muoveva i primi passi nell’arena politica del Paese. «Ci provai a dare un profilo liberale al partito, a dotarlo di un’ideologia. Berlusconi non voleva saperne nulla. Aveva ragione lui e avevo torto io». Dentro An, alla vigilia della fusione con il Pdl, ora c’è chi marca le differenze rispetto a Forza Italia: a destra rivendicano l’estetica, il romanticismo politico, la loro identità… La cultura di destra post-fascista non ha prodotto nulla politicamente. La cultura di destra intransigente che marcava la sua identità, che non cedeva sui principi è stata sconfessata dallo stesso Fini che ai suoi ha detto: dovete essere antifascisti. Forza Italia non ha questi complessi, è un movimento che vive nel presente. A destra cercano però nuovi riferimenti, addirittura Kerouac, John Fante, i Beatles. La cultura di destra era Nietzsche, era Evola: eliantidemocratica. taria, Grande rigore, nessuna politica. Cominciò per la verità Almirante quando portò il Msi su posizioni cattoliche a smobilitare quel nucleo ideologico che da allora è politicamente morto, come quello della sinistra. Si può sostituire Evola con Kerouac ma si fa costume non si fa cultura. Tanto meno cultura politica. Però Don Gianni lei ammetterà che i miti aiutano a vivere e che Forza Italia ne ha pochi, se non nessuno. Almeno quelli di An possono richiamarsi a D’Annunzio, a Marinetti. Letteratura. Forza Italia non ha bisogno di miti: parla al popolo comune, è il movimento che ha dissolto ogni residuo ideologico. Eppure Berlusconi dentro Forza Italia ha assunto le dimensioni di un mito vivente. Berlusconi è un dio minore, un mito della porta accanto. Non è il grande uomo inavvicinabile come Mussolini, l’uomo d’eccezione, come D’Annunzio. Berlusconi è uno di noi: ha qui la sua forza. È il grande esecutore testamentario del Novecento. Ma la fusione tra An e Forza Italia nel Pdl produrrà dei cortocircuiti secondo lei? No. Resteranno formalmente uniti ma sostanzialmente divisi. Una confederazione, dentro cui ognuno tesserà la sua tela. Ma sarà un’intesa che non andrà in crisi come il Pd. Perché? Perché nel Pd la crisi è stata determinata da un eccesso di culture politiche. Qui ci sono due forze pragmatiche. Forza Italia sa di esserlo e si muove con più agilità, An ha ancora qualche riserva mentale ma al dunque eccome se sono pragmatici. Fini non (ric.par.) muove verso D’Alema perché legge Chatwin.

«I

Berlusconi è un dio minore, un mito della porta accanto. Non è il grande uomo inavviccinabile come Mussolini, l’uomo d’eccezione come D’Annunzio. Berlusconi è uno di noi

Siamo roman di Riccardo Paradisi

segue dalla prima Un sottile antagonismo tra questi due mondi c’è sempre stato per la verità e nelle settimane che hanno preceduto l’assemblea nazionale di An, che ha istruito la pratica di smobilitazione del partito, è emerso con una certa evidenza. Ma ora, alla vigilia della fusione prevista per il prossimo febbraio, le differenze vengono dichiarate esplicitamente, declinate a chiare lettere nell’inserto domenicale del quotidiano di via della Scrofa che marca una frontiera precisa quasi antropologica tra “loro”e “noi”.

Dove “loro”, i forzisti, sono «I moderati, i perbenisti, i secchioni, i fautori dello Statoazienda», “noi”, le donne e gli uomini di An, «I donchisciotteschi, scanzonati e colorati». Si diceva che un antagonismo

sommerso tra alcune componenti di An e Forza Italia c’è sempre stato: all’ultima assemblea nazionale di An, nel luglio scorso, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha espresso viva preoccupazione sul fatto che la destra italiana possa consegnarsi a un moderatismo generico. Alemanno invitava il partito a dare un contributo alla nascita del nuovo soggetto politico, ma «senza facili entusiasmi e con la consapevolezza che i rischi esistono, a partire da quello di generare un grande contenitore indistinto», che potrebbe «essere subalterno alla sinistra come il Ppe è subalterno al Pse». Non esistono, assicurava Alemanno, le divisioni interne di cui i giornali parlano. «È una tendenza un pò giornalistica di cercare per forza la notizia anche quando non c’è, perchè divi-

sioni e contrasti non ci sono affatto stati. L’importante è però che nel momento in cui creiamo un grande contenitore questo non sia indistinto, che si lavori perché emerga chiaro un progetto di sviluppo politico, culturale e sociale che dia anima all’Italia e all’Europa. Serve un grande lavoro culturale, dobbiamo rileggere tutte le tematiche».

Rileggere tutte le tematiche. Il Secolo d’Italia comincia da quelle pop, come è nelle sue corde: murales, rivolte studentesche, i diritti civili, la goliardia: titolando l’inserto di domenica “Ma che colpa abbiamo noi se ci piacciono queste cose”? Se cioè ci piace cavalcare l’onda o almeno provarci? E poco importa che il titolo musicalizzante scelto per la copertina sia quello di una canzone degli anni Sessanta dei capellu-


il paginone

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la fusione con Forza Italia. Tra realismo politico e esigenze di marcare le differenze culturali

Ecco il Pantheon della nuova destra cco chi sono alcuni dei miti richiamati nell’album di famiglia del Secolo d’Italia. Il primo è Gabriele D’Annunzio, (qui in basso) l’autore del famoso volo su Fiume nel periodo immediatamente successivo alla “Grande Guerra”, per protestare contro la cosiddetta vittoria mutilata. E poi c’è anche Filippo Tommaso Marinetti, (qui a lato) il fondatore della prima avanguardia storica del Novecento: il movimento futurista. È lui che detta suoi ai compagni nel famoso Manifesto del Futuriun smo, programma fortemente rivoluzionario: «occorre chiudere i ponti col passato, distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie»; «glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore del libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna». Ma non mancano nemmeno gli attori: pensiamo all’americano James Byron Dean (qui sopra), il protagonista di Gioventù bruciata e autore della celebre frase: «Sogna come se tu dovessi vivere per sempre, vivi come se tu dovessi morire oggi». Infine, “il vagabondo” scrittore britannico Bruce Charles Chatwin (qui sopra), autore di racconti di viaggio e romanzi, scritti in giro per il mondo. Tra gli altri, oltre ai Beatles, John Fante, Frodo e Atreju, ma anche i Queen, Gaber, De André, Guccini.

E

ntici o aziendali? ti rokes (roba da museo per un ragazzo di oggi) è significativo il marcare appunto una differenza, interpretando un disagio diffuso tra militanti e quadri intermedi di An, soprattutto giovanili, per il pericolo di smarrire quel residuo di identità militante che gli ex missini ci tengono a mantenere.

E così ecco sfilare il pantheon della nuova destra italiana dove trovi tutti insieme i Beatles e Marinetti, Chatwin e James Dean, John Fante e Atreju. Uno sforzo di sprovincializzazione apprezzabile in un ambiente chiuso per decenni nel culto dei medaglioni ideologici del fascismo in cui però si fa un po’ fatica a trovare una logica, un filo rosso. Che del resto non vuole esserci come spiegava Filippo Rossi – autore con Luciano Lanna di Fascisti immaginari (Vallecchi) – sulla rivista Charta minuta dello scorso dicem-

bre: «La passione al posto dell’interpretazione. L’ironia al posto delle note a piè pagina. Certo la politica è fatta di programmi di contenuti, di strategie di sintesi, tutto vero. Ma la politica

dosi ripetutamente dal presidente del Consiglio: nell’analisi delle mobilitazioni studentesche, nella critica al metodo decisionista teso a scavalcare il dibattito parlamentare, nel ri-

Ma basterà il movimentismo, il vagamondo Chatwin, l’hobbit Baggins, il futurista Marinetti a garantire alla destra italiana che si prepara a confluire nel Pdl una carta d’identità? è impastata anche forse soprattutto di un retroterra esistenziale fondato nell’immaginario, con passioni, pulsioni sogni».

La supremazia dell’immaginario insomma, la politica come estetica. Il momento tattico sta nel far calare la carta della differenza nel momento in cui il leader di An Fini dopo una fase di relativo smarrimento ha dimostrato di voler riprendere l’iniziativa politica distinguen-

lancio con Massimo d’Alema di una commissione bicamerale per le riforme istituzionali.

È una strategia di negoziazione consolidata del resto quella mettere sul piatto le differenze alla vigilia di un accordo per trovare poi la mediazione finale. Ma basterà il movimentismo e la goliardia, basteranno il vagamondo Chatwin, l’hobbit Frodo Baggins, l’esistenzialista Camus, il futurista

Marinetti e l’anarchico Fante a garantire alla destra italiana che si prepara a confluire nel Pdl e nel Partito popolare europeo una carta d’identità?

Ma poi il ministro Ignazio La Russa – che pure garantisce che An porterà dentro il Pdl tutta la sua identità – avverte che la fusione dovrà avvenire velocemente, che non c’è tempo da perdere, che in fondo un congresso vero per metterle a confronto queste presunte differenti identità non è necessario, è addirittura superfluo. Senza considerare che Forza Italia sarà pure un partito azienda ma come dice Baget Bozzo, lì dentro le culture politiche cattolica liberale e socialista nazionale mantengono ancora dei presidi. Basterà l’immaginario per marcare una presenza politica? Senza considerare che Chatwin potrebbe chiedersi che ci faccio io qui?


mondo

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Economia. Il Fondo monetario internazionale spera in un effetto domino positivo sull’economia globale

Keynes alla pechinese Messi sul piatto 460 miliardi di euro per frenare la caduta del Pil di Pierre Chiartano ono 4mila miliardi di yuan. Ovvero 586 miliardi di dollari, o 460 miliardi di euro, o se volete ciò che il governo di Pechino butta sul piatto della crisi economica che ha ormai investito anche il gigante asiatico. Dominique Strass-Kahn, a capo del Fondo monetario internazionale, ha commentato positivamente la mossa di Pechino, dicendosi convinto che possa innescare un «effetto domino positivo sull’economia globale». Grandi progetti d’infrastrutturazione, una spesa pubblica a sostegno di progetti sociali, tutto per sostenere uno sviluppo che non può e non deve scendere sotto la fati-

S

i vincoli per concedere prestiti e sarà spinto il credito.

Lo Shangai composite index di lunedì ha risposto positivamente alla manovra. Tang Min del China development and research foundation, si è detto fiducioso che lo stimuls package potrebbe portare una crescita incrementale del Pil cinese di circa due punti percentuali. «I dati degli ultimi trimestri si stavano confermando tutti negativi. Con questa operazione si punta ad una ripresa dei consumi, grazie alla maggior fiducia nel futuro che avranno mercati e famiglie». L’annuncio della manovra è avvenuto una settimana prima del

Lo Stato investirà solo 145 miliardi: il resto sarà elargito sotto forma d’investimenti delle grandi imprese pubbliche, dai governi locali, da prestiti bancari e dalla vendita di titoli e obbligazioni dica soglia dell’8%. Una linea Maginot della crescita, per impedire rivolte sociali e lo sgretolamento del Chung Quo. La doppia natura dell’intervento è chiara. Da un lato cercare di rivitalizzare la domanda interna, dall’altro aiutare le fasce deboli e prevenire turbolenze sociali. Ieri la notizia è rimbalzata dalle agenzie fino al G20 di San Paolo del Brasile, una conferenza che dovrebbe preparare il terreno al meeting di Washington del 15 del mese, dove si cercherà una risposta concertata alla crisi finanziaria globale e al rallentamento dello sviluppo. Se calcoliamo la cifra per potere d’acquisto, la massa di denaro che verrà investita cresce di un valore impressionante. Domenica sera l’organo del Consiglio di Stato ha annunciato il provvedimento per contrastare l’indebolimento dell’economia cinese, già evidente da mesi: con i dati sulla perdita dei posti di lavoro delle piccole e medie imprese, circa 2,5 milioni di lavoratori saranno disoccupati per fine anno. Un vero incubo per il Partito comunista e il governo cinese. Da notare una certa convergenza d’interventi nel settore finanziario, che di fatto anticipa la concertazione internazionale già auspicata dall’Europa e sperata da Washington.Verranno abbassati

viaggio del presidente Hu Jintao al Global economic summit di Washington. Un segnale preciso dell’intenzione di Pechino per collaborare con gli Usa per la risoluzione della peggior crisi economica mondiale dalla Grande Depressione del 1929. Già il responsabile della Chinese central bank, Zhou Xiaochuan, aveva espresso ottimismo sull’incontro

del G20 in Brasile. Sabato il presidente cinese aveva avuto un colloquio telefonico con Barack Obama, su di un certo numero di argomenti, compreso quello sulla crisi economica.

Secondo le fonti ufficiali della tv di Stato cinese, si è parlato di come i due Paesi potessero collaborare per superare questo momento. La Cina dopo tanti anni piange, per il rallentamento della crescita, per la domanda interna che langue, per le esportazioni che frenano e per un mercato azionario e immobiliare seriamente compromesso. La chiusura di molte fabbriche nel sud del Paese ha provocato migliaia di licenziamenti e le prime proteste pubbliche. Le proiezioni del Pil nel quarto trimestre lo danno al 5,8%, e questa è la ragione di un’azione così determinata del governo. Per fare le proporzioni fra Cina e Stati Uniti, basta pensare che il Congresso americano ha varato una legge per 700 miliardi di dollari. In un Paese il cui Pil nel 2007 è stato di 14mila miliardi. La Cina nello stesso anno ha prodotto “solo” 3.300 miliardi di dollari di ricchezza, mettendo mano al portafogli per una cifra non tanto inferiore. Nell’ultima crisi, quella del 1997, la Cina prese delle misure simili ma

Concluso il G20 che apre all’ingresso di nuovi membri

Sao Paulo spiana la strada agli Usa Viviamo in tempi straordinari. Forse è questa la cifra per capire il clima che si respirava domenica scorsa a San Paolo del Brasile per il G20. È stato Stephen Timms, ministro del Tesoro britannico, ad averle pronunciate aggiungendo «l’economia globale ha subito uno shock senza precedenti e occorre un nuovo approccio». I leader della finanza dei venti Paesi più sviluppati del mondo si sono incontrati per due giorni di lavori e hanno deciso che per affrontare la crisi serve che tutti i governi intervengano rapidamente sul taglio dei tassi d’interesse e con un forte intervento di spesa pubblica. Un più deciso controllo sui mercati, un migliore coordinamento internazionale e finalmente dare voce anche ai Paesi emergenti: sono queste le linee guida che servi-

ranno come agenda per il summit di Washington del 15 novembre. Durante l’incontro è stato distribuito un documento dell’International monetary fund che spiega come il taglio del tasso di sconto sul denaro e un allentamento dei requisiti per il credito «siano misure con un impatto abbastanza limitato sulla fiducia dei mercati, anche in quei Paesi dotati di grandi riserve monetarie». Nello stesso documento si legge come «l’espansione della leva fiscale sia un rischio (…) ma che in questo contesto i vantaggi potrebbero essere superiori ai costi». In questo clima è arrivata la notizia della manovra di Pechino da 586 miliardi di dollari che ha registrato i commenti favorevoli dei molti delegati presenti.


mondo

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L’intervento cinese è per salvare l’economia reale

È un segnale globale di Gianfranco Polillo segue dalla prima

Il presidente cinese e capo del Partito comunista, Hu Jintao Nella pagina a fianco, un momento del G20 brasiliano

dalle dimensioni più ridotte, che produssero poi la forte crescita che ha caratterizzato il Paese nei due anni successivi.

Ci sono anche voci discordanti

Ora i governi hanno 100 giorni di tempo per trovare un accordo ed agire. La pensa così Nicolas Sarkozy che per bocca del suo ministro dell’Economia, Christine Lagarde, presente al G20 di San Paolo, ha dichiarato: «L’Fmi dovrà diventare il centro di gestione delle emergenze finanziarie, occorre dargli maggiore legittimità di mezzi e di peso politico». Intanto il prezzo del barile di greggio al Nymex di New York di lunedì ha reagito con un aumento di 2,38 di dollari attestandosi sui 63,42. Gli

analisti ritengono che la manovra cinese porterà ad un aumento dei consumi di idrocarburi. Sostenere l’economia significa sostenere i consumi, anche quelli di petrolio. Le esportazioni cinesi si stanno avvicinando pericolosamente ad una crescita zero.

rispetto al coro di plausi per la mossa cinese. «Non credo che lo stimolo economico da solo sia sufficiente per tenere in piedi i ritmi della crescita cinese. È un po’ come la partenza a strappo per un’auto. Sono gli investimenti delle aziende e i crediti bancari ad essere il vero carburante per la crescita», ha dichiarato Tao Wang, capo economista del settore obbligazionario della Ubs. Comunque, della cifra dell’intervento, solo 145 miliardi dovrebbero arrivare dalla casse centrali dello Stato: il resto sarà elargito sottoforma d’investimenti delle grandi imprese pubbliche, dai governi locali, da prestiti bancari e dalla vendita di titoli e obbligazioni.

Un intervento – ed è questa la seconda differenza – rivolto non a salvare le banche, essendo quelle cinesi poco esposte ai “titoli tossici”; ma l’economia reale, per evitare ogni contagio. È un opera di prevenzione e di contrasto per abbattere i primi germi di un malessere, che si è già manifestato. Il tasso di crescita è in flessione: dall’11,7% del 2007, al 7,5 – almeno secondo le previsioni – del 2009. Una soglia troppo vicina a quel 7%, considerato dai dirigenti cinesi come un evento da scongiurare. Sotto quell’asticella comincerebbero, infatti, i problemi. I contadini che lasciano la terra – 20 milioni all’anno – non troverebbero occupazione nelle industrie. I giovani, sfornati dalle scuole, rimarrebbero a spasso. Quella coesione sociale che, grazie al maggior tasso di sviluppo, ha potuto fare a meno delle più elementari regole democratiche risulterebbe minacciata. Di fronte a questi pericoli, i dirigenti cinesi hanno agito in fretta. L’intervento pubblico riguarderà tutto il mercato interno: aiuti alle industrie, maggiori investimenti nelle infrastrutture, case a basso prezzo, defiscalizzazione per aumentare i consumi. Crescita della domanda interna, quindi, per far fronte alla caduta delle esportazioni, minacciate dagli sviluppi recessivi della crisi. Ma anche un segnale chiaro a tutti i partner internazionali.

È il gioco dei cerchi concentrici. Con questa mossa, la Cina vuol rassicurare innanzitutto i Paesi limitrofi. Quell’enorme bacino attirerà, come una calamita, le economie dei Paesi più deboli: dalla Corea al Vietnam. Dimostrerà che, a livello regionale, sono ormai cambiati i rapporti di forza e che l’economia giapponese non è più l’unico faro che illumina l’orizzonte. L’altro occhio è invece rivolto agli Stati Uniti d’America. Dopo questa mossa, nessuno potrà accusare il gigante asiatico di pratiche protezionistiche o di chiusura del suo mercato interno. Il liberismo, in crisi in Occidente, sembra risorgere nell’ultimo baluardo del sociali-

smo realizzato. Come reagirà Bush, ma soprattutto Obama, che sulle promesse di una maggiore protezione ha costruito le sue fortune elettorali? La situazione è ancora troppo fluida per poter esprimere un giudizio ponderato. Obama ha preso tempo, come dimostra il mancato pronunciamento sul nome dei suoi più stretti collaboratori. Manifestazione di saggezza, ma anche il sintomo che qualcosa bolle nella pancia del Partito democratico. Tra le sue diverse anime– soprattutto tra la sinistra ed il centro – è in corso un braccio di ferro che ha consigliato al neopresidente un adeguato periodo di riflessione. C’è chi vorrebbe una dimostrazione di réel politique e chi invece pensa che il rapporto con gli altri Paesi occidentali – l’Europa in testa – non debba essere sacrificato sull’altare di un rapporto quasi esclusivo con l’altra sponda del Pacifico.

Non potendo uscire allo scoperto, queste posizioni la buttano in teoria. Ecco allora che prestigiose Università rievocano l’amarcord dei tempi andati. Bretton Woods – si ricorda – fu il frutto dell’accordo bilaterale tra Usa ed Inghilterra. Gli altri fecero da spettatori. Negli anni ’70, quando si pose fine alla convertibilità del dollaro, fu l’asse franco–americano a prevalere. E lo stesso avvenne dieci anni dopo, nella trattativa nippo–americana per la stabilizzazione dei tassi di cambio. Insomma – questa è la conclusione – non perdiamo tempo. La Cina è vicina, come titolava un vecchio film di Bellocchio. L’Europa può, invece, attendere. Sarebbe un grave errore. Non tanto e non solo di politica economica, ma di politica tout court. Il mondo in questi ultimi dieci anni – l’orizzonte che racchiude l’industrializzazione cinese – è divenuto troppo piccolo. L’interdipendenza, ormai, è totale. La crisi finanziaria che stiamo vivendo è stata la conseguenza di una politica economica pensata giorno per giorno, come ha dovuto riconoscere lo stesso Greenspan. A differenza di quanto era solito dire John Maynard Keynes è al lungo periodo che dobbiamo guardare, se non vogliamo morire.


mondo

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in breve Ue: riprendere i colloqui con Mosca Via libera dell’Unione Europea alla ripresa dei negoziati per la conclusione del nuovo accordo di partenariato con la Russia. La decisione è giunta nel quadro del Consiglio Affari generali e relazioni esterne, unica contraria la Lituania ma per questa decisione non era richiesta l’unanimità. Lo scorso settembre, i capi di Stato e di governo dei Ventisette avevano deciso di rinviare le trattative a causa dell’atteggiamento di Mosca rispetto alla regione del Caucaso.

Libano e Siria si accordano sul terrorismo

Islam. Fucilati gli attentatori che nel 2002 fecero 202 vittime in uno degli episodi più violenti post 11/9

Morti i “martiri” di Bali di Osvaldo Baldacci

a fucilazione di tre terroristi islamici indonesiani implicati nelle stragi di Bali e i conseguenti scontri tra le forze dell’ordine e manifestanti che ne osannavano il martirio riportano l’attenzione su un quadrante spesso trascurato ma fondamentale nella geopolitica dell’Asia e del fondamentalismo islamico. Occorre ricordare che le terre del sud-est asiatico e particolarmente quelle intorno allo stretto di Malacca rivestono un ruolo molto rilevante nell’economia mondiale, per il commercio marittimo, per lo sviluppo delle ”tigri” asiatiche, per la forza dei nuovi potenziali mercati e anche per la vicinanza alla Cina nonché all’India. Si ricordi anche che l’Indonesia farà parte del prossimo G20 sull’economia mondiale. Ed è un quadrante dove il fondamentalismo islamico, spesso nella distrazione dell’occidente, svolge negli ultimi anni un ruolo crescente, almeno pari a quanto si può registrare in altre zone più pubblicizzate del pianeta. Non è un caso che l’attentato di Bali sia stato tra i primi a seguire quelli dell’11 settembre, e con i risultati più devastanti. Il 12 ottobre 2002 due esplosioni uccisero 202 persone inclusi 88 australiani, 38 indonesiani e diversi altri occidentali nella striscia di Kuta, a Bali, in zone molto turistiche. Zone induiste e simbolo dell’occidente e dei suoi “vizi libertini”. Un bersaglio quindi altamente simbolico per la Jemaah Islamiyah (il gruppo estremista islamico indonesiano con contatti diretti con al-Qaeda) e allo stesso tempo molto concreto, in quanto colpire il turismo vuol dire penalizzare l’economia e quindi indebolire il governo di Giakarta, accusato di non essere sufficientemente islamico. Nel 2003 tre islamisti erano stati condannati a morte per aver partecipato all’organizzazione dell’attentato: domenica Ali Ghufron,

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48 anni, suo fratello Amrozi, 47 anni, e Imam Samudra, 38 anni sono stati fucilati nell’isola di Nusakambangan.

Le spoglie dei tre giustiziati sono state accolte da folle inneggianti al martirio e al loro modello di combattenti contro i nemici della fede. Gli scontri con le forze dell’ordine si sono accesi soprattutto nei luoghi di origine dei terroristi,Tenggulun (est dell’isola di Giava) e Serang (ovest della medesima isola), e in qualche modo vanno ricondotti anche alle logiche claniche e tribali, ma non per questo vanno sminuiti. I legali dei tre attentatori hanno dichiarato che non erano state programmate vere manifestazioni e preannunciato che queste si svolgeranno durante la settimana. Già il fatto che, suscitando le ovvie proteste dell’Australia, il governo indone-

movimenti laici. La legge è un’ennesima dimostrazione della crescente islamizzazione della società indonesiana. Un rischio di fondamentalismo che è reale anche nei Paesi circostanti, soprattutto la Malaysia, scossa da instabilità politica legata anche a questo tema, e la Thailandia, il cui sud islamico dà seguito armato alle sue istanze separatiste, come accade anche nelle isole musulmane delle Filippine. Tutte aree in cui la presenza di al-Qaeda è reale, sia per il passaggio diretto di suoi esponenti accertato negli anni passati, sia per l’affiliazione ideologica e logistica ricercata da gruppi terroristi originari di queste aree.Tutto questo costringe a dare il debito peso al rischio islamista a queste latitudini del mondo. Senza dimenticare che l’Indonesia è il primo Paese al mondo per numero di abitanti di fede musulmana, ed è quello in cui queste tensioni religiose (in realtà quasi sempre strumentalizzate a fini politici) sono più volte esplose in modo molto sanguinoso e sono tuttora vive. Basti ricordare l’Aceh, le Molucche, Papua, Timor e tanti altri casi meno reclamizzati. Uno dei problemi dell’enorme arcipelago è la sua frammentazione, e questo aspetto può avere un legame col crescere del fondamentalismo: a volte infatti esso diventa la bandiera da usare per accrescere la propria identità e rivolgerla contro le comunità rivali o il governo centrale; altre volte invece può servire proprio a superare la frammentazione e creare un’identità religiosa superiore e sovrastante a quelle locali, creando un elemento di compattamento che rompe gli equilibri esistenti, creandone di nuovi (e con nuovi leader). Peraltro il prossimo anno si terranno elezioni parlamentari e presidenziali, e nessuno vuole alienarsi il sentimento islamico della popolazione.

Nel Paese è molto forte la tensione per l’approvazione di una legge che sembra contraria alla pornografia, ma che in realtà nasconde un tentativo di islamizzare ancora di più la società siano sia stato costretto a permettere esequie pubbliche per i giustiziati è termometro della tensione cui è sottoposto e che lo costringe a concessioni all’ala islamista della società e della politica. Non è un caso che il governo in occasione dell’esecuzione abbia diramato la massima allerta in tutto l’arcipelago e abbia rafforzato il dispositivo di sicurezza in tutti i luoghi sensibili. Proprio in questi giorni è molto forte in Indonesia la tensione anche per l’approvazione di una legge contro la pornografia che in realtà fa rientrare nella categoria una serie di realtà molto ampie, filtrate alla luce di una interpretazione restrittiva dell’islam, motivo per cui trova l’opposizione di vaste categorie, dagli indù di Bali timorosi per l’impatto sul turismo alle chiese cristiane ai

*senior analyst Ce.S.I.

Il Libano e la Siria creeranno una commissione che discuterà le modalità di cooperazione tra i due Paesi nella lotta al terrorismo e di sviluppo di un meccanismo congiunto per il controllo dei confini. La decisione è il frutto della visita in Siria del ministro degli Interni libanese Ziyad Barud, che a Damasco ha incontrato l’omologo Bassam Abdel Majid. Beirut e Damasco annunciano inoltre di aver affrontato la questione della ripresa dei contatti tra i due dicasteri degli Interni, soprattutto per quanto riguarda questioni inerenti la sicurezza e la lotta al terrorismo e alla criminalità. Compito della commissione sarà coordinare gli sforzi nella lotta al terrorismo e ai crimini di ogni tipo e lo sviluppo di un meccanismo di controllo del confine.

Le Maldive si comprano una nuova patria Le Maldive sono intenzionate a creare un fondo per potersi così comprare una nuova patria nel caso in cui l’oceano Indiano dovesse per davvero sommergere l’arcipelago, causa riscaldamento globale, come indicano molte previsioni. Lo ha dichiarato al Guardian il nuovo presidente Mohamed Nasheed. Le Maldive, con la loro altezza media sul livello del mare di 1,5 metri, potrebbero essere infatti tra le prime vittime di quel cambiamento climatico che rischia di innalzare i mari in tutto il mondo.


mondo uor Caterina Giraudo e suor Maria Teresa Oliviero sono state rapite nella notte fra il 9 e il 10 novembre a Elwak, nel nord-est del Kenya e a ridosso della frontiera con la Somalia. Prelevate da un commando composto da circa 20 uomini armati, che hanno attaccato la cittadina accanendosi contro la casa delle religiose. La conferma viene da don Pino Isoardi, responsabile del Movimento contemplativo missionario Padre de Foucauld di Cuneo, a cui appartengono le due religiose. Entrambe le suore sono originarie della provincia di Cuneo e hanno rispettivamente 67 e 61 anni. Le due religiose si trovavano in Kenya da molti anni, dove lavorano con i profughi somali. Suor Giraudo, infermiera, si occupa in maniera particolare dei malati di epilessia. Per la Radio Vaticana, il commando cercava proprio loro: non si tratterebbe, dunque, di un tentativo di rapina finito male. In un’intervista telefonica all’agenzia missionaria Misna, una consorella racconta: «Intorno alla mezzanotte e mezza del 9 novembre è squillato il cellulare dei nostri confratelli a Mandera, che abitano a 200 metri dalla nostra casa. La chiamata proveniva da el Wak, dal cellulare di suor Mariateresa, ma nessuno ha risposto. Abbiamo provato a richiamare, ma ancora non risponde-

S

Ostaggi. Secondo le consorelle, l’attacco è opera di un commando armato

Due suore italiane rapite in Kenya di Vincenzo Faccioli Pintozzi va nessuno, fino a quando un ufficiale di polizia nostro amico ci ha confermato che erano state rapite». Fonti della polizia e amici che lavorano nella zona, prosegue la religiosa, «ci hanno detto che oltre 200 uomini armati, a bordo di una ventina di macchine, hanno attaccato la cittadina durante la notte e che i colpi d’arma da fuoco erano indirizzati principalmente contro la casa delle missionarie». Oltre a rapire le due donne, aggiunge la suora, gli assalitori avrebbero «sequestrato altra gente, dei keniani, e rubato almeno tre o quattro macchine e furgoncini di organizzazioni umanitarie locali». Secondo la missionaria, inoltre, la sparatoria è durata a lungo: «Almeno mezz’ora di spari, che si sono conclusi solo quando gli assalitori, a bordo delle macchine e dei camioncini, sono andati via verso la frontiera». Informazioni in parte confermate anche

Ancora incerta l’identità degli assalitori: potrebbero venire dalla confinante Somalia o far parte di due comunità del distretto di Mandera impegnate da anni in una faida

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dalla ricostruzione ufficiale delle autorità keniane. Secondo l’emittente pubblica keniana Kbc, infatti le due suore italiane sono state portate via al termine di un attacco condotto da «un gruppo di banditi pesantemente armati» che hanno attaccato anche alcuni edifici governativi in città.

Ancora del tutto incerta l’identità degli assalitori: secondo alcune fonti, infatti, il gruppo di uomini armati entrato nella notte a Elwak proveniva dalla confinante Somalia, mentre secondo altre le violenze (e quindi anche il sequestro) potrebbero essere ricollegate alle tensioni tra due comunità locali del distretto di Mandera impegnate in una faida che va avanti da anni e che nelle ultime settimane ha fatto registrare un’impennata di violenze. Una fonte missionaria di Nairobi, che chiede di rimanere anonima, spiega: «Il governo del Kenya una settimana fa ha cercato di disarmare le due comunità e lo ha fatto con mano pesante creando maggiore ostilità nella gente». Anche le consorelle delle due suore rapite, contattate dalla Misna nel nord del Kenya, fanno sapere di non avere idea di chi possa aver compiuto un simile gesto: «Qui gira voce che gli aggressori provenivano dalla Somalia, ma è ancora tutto molto confuso.


cultura

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Miti crollati. Parabola discendente dello 007 più famoso al mondo: oggi non più al servizio di sua Maestà britannica ma del botteghino

Dentro il vestito, niente Da film a film frana l’identità di James Bond Da Connery a Craig, storia di un modello ridotto a cliché di Alessandro Boschi o scrittore londinese Kingsley Amis ha detto: «James Bond non è l’uomo con cui preferiremmo pranzare, giocare a golf, conversare: è l’uomo che vorremmo essere» (e qualcuno ha maliziosamente aggiunto: «Sì, ed è anche l’uomo con cui le donne preferirebbero coricarsi…»). Ma oggi, quarantasei anni dopo Licenza di uccidere, è davvero ancora così? Le mirabolanti imprese dei vari Timothy Dalton, Pierce Brosnan e buon ultimo Daniel Craig… no, un momento, c’era anche George Lazenby, passato del tutto inosservato nonostante il suo unico Al servizio di sua Maestà potesse contare su una fantastica sceneggiatura, queste mirabolanti imprese, dicevamo, sono ancora compiute dall’uomo che vorremmo essere eccetera eccetera?

L

Roger Moore) avrebbe dovuto pretendere che sui suoi film apparisse una scritta simile a quella che appare sul frontespizio de La settimana enigmistica: “Lo 007 che vanta innumerevoli tentativi di imitazione”. Sentite cosa dice lo stesso Con-

Oggi non sarebbe possibile nemmeno farne la parodia perché non c’è abbastanza sostanza. Perfino le deliziose battute sono state sacrificate del tutto

Nel 2002 quel simpatico mattacchione di Jackie Chan realizzò un film intitolato Tuxedo, che in italiano venne tradotto in Lo smoking. Era la storia di un abito, uno smoking appunto, che rendeva invincibile chiunque lo indossasse. Curioso no? Tra le tante parodie e imitazioni di James Bond (la nostra preferenza va allo 007 nano delle Filippine, esiste, lo abbiamo visto) questa non è forse la più divertente ma di certo è la più indovinata, o quanto meno la più profetica. Forse Sean Connery (e a essere buoni

nery a proposito del suo personaggio e del suo successore: «Io e Roger Moore siamo diversi… E francamente non ho avuto nessun rimpianto. Diciamo che (nei film successivi) ebbi la conferma di una sensazione che avevo provato ai tempi del mio ultimo 007. E cioè che i produttori erano sempre meno interessati alle storie di spionag-

gio, ai loro retroscena psicologici, e sempre più agli effetti speciali e ai marchingegni vari».

Chiaro no? 007 non è più 007, anzi, paradossalmente lo è ancora di più: diventa davvero un numero, uno tra tanti. Andare a vedere un film di James Bond è come andare a mangiare da Mc Donald: non solo si sa già quello che ci aspetta, ma quello che ci aspetta è esattamente quello che vogliamo. Resta la desolazione di un personaggio che ha davvero colonizzato l’immaginazione di generazioni e che oggi si è ri- Sopra e a sinistra, due immagini dotto a cliché. tratte dall’ultimo James Bond Oggi non sareb“Quantum be possibile Of Solace”, nemmeno farne interpretato la parodia, perché non c’è ab- da Daniel Craig. Sotto, tutti bastanza sostanza, come i grandi interpreti sul grande quegli uomini politici che si la- schermo dello 007 più famoso mentano perché nesdel mondo: suno fa loro la caricaSean Connery, tura. Ma dico, ve lo ricordate il fantastico George Lazenby, Roger Moore, Lando Buzzanca di James Tont operazione Timothy Dalton, Pierce Brosnan U.N.O. e D.U.E. di Bruno e Daniel Craig Corbucci? In cui il mascelluto Lando interpreta lo scombiccherato

agente il cui vero nome è Giacomino Tontonatti? Imperdibili. A proposito, questo ci dà il destro per dire altre due cose: la prima riguarda il fatto che esistono anche degli 007 apocrifi, vale a dire quelli non prodotti dalla famiglia Broccoli, e sono Climax! Casinò Royale, realizzato per la tv nel 1954 ed interpretato da Barry Nelson, poi James Bond 007 - Casinò Royale del 1967 con Peter Sellers, infine Agente 007 – Mai dire Mai, del 1983, che vide il ritorno di Sean Connery.

Quello che ci interessa è proprio il secondo, quello del 1967. Lo 007 del film (la faccenda è più complicata ma fidatevi) era Peter Sellers, il quale pochi anni prima aveva lavorato proprio con il nostro Lando Buzzanca nel film di


cultura piazzatura. Bei tempi, l’ironia degli ultimi film è merce rara e, quello che è peggio, spesso è anche greve.Vi dobbiamo una spiegazione, perché il citato in apertura Kingsley Amis non ha certo la stessa notorietà di Ian Fleming, che nelle intenzioni della Glidrose, casa di produzione da Fleming stesso fondata, avrebbe dovuto sostituire il creatore di James Bond. Amis era un appassionato della saga ed era anche amico personale di Fleming, ma questo non l’aiutò se non a realizzare, con lo pseudonimo di Robert Markham, un unico romanzo sull’agente segreto intitolato Il Colonnello Sun, del 1968.

Vittorio De Sica Caccia alla volpe… Ed ecco la seconda cosa interessante.

Buzzanca

racconta

che durante la lavorazione di quel film strinse amicizia con lo scorbutico ma meraviglioso attore inglese al quale confidò di avere girato un film nel quale interpretava la parte di un improbabile agente segreto. «Questa storia lo fece ridere a crepapelle» e, secondo il re della commedia degli anni ’60 e ‘70 (di un certo tipo di commedia) è molto probabile che Sellers prese spunto per il personaggio di Casinò Royale, che infatti è successivo a Caccia alla

volpe. Insomma, da quanto emerge James Tont ha fatto scuola e uno dei film più divertenti e scombiccherati che ha come protagonista il pluridecorato agente segreto è frutto di una sco-

I continuatori di Fleming sono stati piuttosto numerosi, ma non si è mai raggiunta l’eccellenza del creatore. Uno di questi, John Gardner, affermava: «Negli anni settanta Bond subì un’eclisse, poi è riapparso, come la minigonna, come gli speculatori finanziari, che negli anni Cinquanta si chiamavano spiv e adesso yuppie. Ciò non fa che complicare la mia impresa. Io non posso riprendere Bond come se il tempo si fosse fermato il giorno della morte di Ian Fleming, sarebbe una mummia». Tutto giusto, non c’è dubbio. Ma forse Gardner, scomparso l’anno scorso, non avrebbe mai immaginato l’inane deriva degli ultimi film. Non c’è dubbio che se si continua a misurare un prodotto con quello che incassa (è ovvio che è così), 007 funziona ancora alla grande. A noi, nostalgici ma solo in questo caso, resta un grande rimpianto. Che si siano perdute le battute lievi, deliziose, tra James Bond e le sue donne. Come quella sentita in Goldfinger (1964, Sean Connery), quando Bond si china su Pussy e le mormora: «Mi avevano detto che i tuoi desideri andassero solo alle donne» e lei: «Sì, ma ancora non sapevo cosa fosse un uomo». Ecco invece come si rivolge Bond (1999, Pierce Brosnan) a Christmas Jones (interpretata da Denise Richard) nella stessa situazione: «Credevo che Natale venisse solo una volta all’anno». Più che da 007 una battuta da vero doppio zero.

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Arriva la raccolta “The Best Of Bond… James Bond”

Consoliamoci almeno con le colonne sonore di Stefano Bianchi a voce che lievita, graffiando l’orchestra. La melodia che si mette a giocare d’azzardo con l’easy listening. Anno di grazia 1964, Shirley Bassey intona il tema principale di Goldfinger. Di questi tempi adrenalinici, dove lo 007 di Quantum Of Solace mostra i bicipiti senza pronunciare nemmeno una volta «Il mio nome è Bond… James Bond», vale la pena affidarsi alle più belle canzoni che hanno accompagnato le intrepide gesta dell’agente segreto più famoso al mondo. Per riacciuffare, in un pugno di vincenti refrains, quello “spirito Bond”impeccabilmente indossato da Sean Connery, Roger Moore, Pierce Brosnan,Timothy Dalton e per una sola occasione (’69: Agente 007 – Al servizio segreto di Sua Maestà) da George Lazenby. Siccome non ci sono più le mezze stagioni, e Bond non è più quello d’una volta, al posto del dandy sciupafemmine c’è un “proletario” regolatore di conti molto agitato e zero mescolato. Per un’oretta, lasciate pure che Daniel Craig meni le mani e spari all’impazzata. Fate finta di nulla, voltategli le spalle e ascoltate The Best Of Bond… James Bond (Capitol/EMI, 19,50 euro). (Ri)scoprirete maiuscole interpretazioni, al principio della saga: come il crooning vellutato di Matt Monro, alle prese con From Russia With Love (’64); l’ugola con gli attributi di Tom Jones, sublime in Thunderball (’65); la verve melodica di Nancy Sinatra, che accarezza You Only Live Twice (‘67); l’inconfondibile canto scartavetrato di Louis Armstrong, che trasforma We Have All The Time In The World (’69) in un evergreen. E che dire del pezzo dei pezzi, lo struJames Bond mentale Theme orchestrato nel ‘63 da John Barry e riveduto e corretto film dopo film, sino all’ultima versione (funkeggiante assai: niente male) di John Arnold? Va poi ricordato che James Bond, grande amatore, dal ’71 in avanti s’è fatto sonorizzare da un tripudio di voci femminili, tutte presenti in questa compilation: da Shirley Bassey, nuovamente al microfono per Diamonds Are Forever e Moonraker; a Lulu, grintosa e poppeggiante in The Man With The Golden Gun. Da una Carly Simon ipermelodica (Nobody Does It Better) a una zuccherosa Sheena Easton (For Your Eyes Only), passando per Rita Coolidge (All Time High) e Gladys Knight (Licence To Kill), fino a quel miracolo d’energia “black”di Tina Turner (Goldeneye) e agli eleganti guizzi cantautorali di Sheryl Crow (Tomorrow Never Dies) e k.d. lang (Surrender). Perfino Madonna, nel 2002, s’è fatta apprezzare in Die Another Day, fior di techno nobilitata dagli archi. D’altronde, se ti chiamano per dare un contributo alla causa “bondiana” che fai, rinunci? Dai il massimo, perbacco. Vedi i gruppi, Paul McCartney & Wings su tutti, con quell’autentica gemma di Live And Let Die (’73). E i Duran Duran, colti al volo in piena new wave (’85) con gli effetti speciali di A View To A Kill. Idem per i norvegesi A-Ha, protagonisti due anni dopo con una prorompente e melodrammatica The Living Daylights. Fino al ’99, coi Garbage che sfruttano il respiro orchestrale di The World Is Not Enough per restituire al tutto un’impronta lounge. Come ai tempi di Sean Connery e Shirley Bassey. Quando 007 era puro glamour seduttivo. Ma ditelo sottovoce: il nuovo Bond potrebbe incazzarsi.

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Tutta la musica di 007: da “Goldfinger” di Shirley Bassey a “Goldeneye” di Tina Turner


cultura

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A sinistra, una dura immagine che racconta la miseria e le atrocità della seconda guerra mondiale. Guanda ha di recente pubblicato le annotazioni dell’intellettuale tedesco Ernst Jünger (sotto) nel volume “Giardini e strade, diario 1939-1940” (in basso, la copertina del libro), in cui l’autore descrive con esasperante neutralità il dramma di quegli anni

a banale follia della guerra tradotta in diario. Scandita dalle pagine di un ufficiale tedesco che del partecipa all’invasione Belgio e della Francia nel 1940. Non si tratta però di un soldato qualsiasi, ma di uno degli intellettuali più raffinati e discussi: Ernst Jünger, da una parte accusato di filonazismo e dall’altra scagionato persino da Hanna Arendt. Anche per questo, e non solo per questo, la lettura di Giardini e strade, Diario 1939-1940. In marcia verso Parigi, pubblicato recentemente da Guanda, è particolarmente intrigante.

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Il libro è bellissimo, degno della grandezza del suo autore. Si passa dalla descrizione della normale vita di un tranquillo signore che coltiva porri, spinaci, rafano, ravanelli nell’orto di Kirchhorst, all’inizio della guerra, raccontato con piatta indifferenza: «Stamattina, a colazione, il cameriere mi ha chiesto, con un’espressione eloquente sul volto, se avessi sentito le notizie di oggi. Si diceva che le nostre truppe sarebbero entrate in Polonia. Nel corso della giornata, nell’andirivieni delle faccende da sbrigare, ho appreso ulteriori novità, che confermavano anche nei particolari lo scoppio della guerra contro la Francia e l’Inghilterra. La sera, annunci stringati, disposizioni, oscuramento della città». Una prosa che non tradisce nemmeno un brivido: fosse di paura o d’indignazione o semplicemente di eccitazione per la novità. E l’intero diario sarà così: scene terribili, inquietanti che l’autore guarda e racconta splendidamente, ma con esasperante neutralità. Non una parola di condanna, di fastidio, di schifo. Ne risulta una prosa limpida, veristica, bellissima: in mezzo ai morti, agli scoppi, alle urla si leggono le illuminanti riflessioni su Boezio o su Tolstoj o su Bernanos e Maupassant, ma non si trova neanche un giudizio sulla guerra, su Hitler, sul nazismo. Ecco qualche esempio dalla cavalcata trionfale delle truppe tedesche verso Parigi a cui Ernst partecipa – una cavalcata piena di riferimenti a quella perdente della prima guerra mondiale. Siamo a Bucy-les Pierreponts, 29 maggio 1940: «Passeggiata nei giardini dove pascolano i polli, conigli e maiali. Vi giacevano anche dei cadaveri, disseminati nelle aiuole. Ho sgranocchiato dei piselli freschi e delle radici, e ci ho cavato qualche ravanello». Oppure: «Tutta la strada dell’avanzata militare

Arriva da Guanda “Giardini e strade”, che ripropone le annotazioni dello scrittore dal 1939 al 1940. Un volume bellissimo, ma che non tradisce nemmeno un brivido di indignazione verso le atrocità del nazismo. Si può essere neutrali davanti al male assoluto?

Libri. La seconda guerra mondiale nel “Diario” dell’intellettuale tedesco

Il silenzio colpevole (o la sindrome Jünger) di Gabriella Mecucci è disseminata di bottiglie di spumante, Bordeaux e Borgogna.

Ne ho contata una a ogni passo, a parte i bivacchi, dove sembrava che ci fosse stata una pioggia di bottiglie. Ma questa per una campagna militare in Francia, è tradizione. Ogni marcia dell’esercito tedesco è accompagnata da una bella bevuta, come facevano gli dei dell’Edda, senza uscire alcuna riserva». Sia chiaro, questa crudezza per certi versi sottolinea ancor più la crudeltà della guerra. Così

come l’episodio in cui i vincitori tirano qualcosa da mangiare ai prigionieri: «Quelli più indietro spingevano sulle prime file che si accalcavano per raccogliere a terra una galletta. Per raggiungere anche l’altro lato della colonna, ho fatto lanciare in un’ampia parabola le lattine di carne, ma non erano che gocce sulla pietra rovente. Una dozzina di volte ho cercato di mirare con le scatolette un vecchio, che avanzava lentamente, zoppicando – immancabilmente gli venivano strappate da una confusione di mani, finché non l’ho visto sparire nel flusso della corrente».

Insomma, questo diario di Ernst Jünger appare, pagina dopo pagina, episodio dopo episodio, sempre più lo straordinario racconto della guerra vista con gli occhi dei vincitori. Questi, al massimo, possono provare compassione o riflettere amaramente sulla vita e sulla natura umana. Poco si occupano di comprendere gli sconfitti, tantomeno di aiutarli davvero.

Per certi versi, questo libro è speculare a Suite francese di Irene Némirovsky. In quel testo drammatico e coinvolgente troviamo al contrario il racconto dei vinti: i sentimenti, le paure, le grandezze, le meschinità di donne e uomini che sono costretti a scappare davanti all’invasore tedesco. È consigliabile leggerseli in contemporanea o l’uno vicino all’altro per

osservare le due facce dell’identica medaglia: la guerra, l’invasione. Si scopre che fra una bottiglia e l’altra, una flutte de champagne e una cena elegante, l’ufficiale Ernst Jünger non s’era accorto che il suo esercito organizzava la deportazione degli ebrei nei campi di sterminio. Eppure quest’uomo è lo stesso che nel 1944 prese parte al piano Rommel, all’organizzazione cioè dell’attentato a Hitler che sino al 1940 si limitava a sognare.

È vero, Jünger non collaborò col nazismo sebbene gli fosse stato chiesto, ma la sua colpa – almeno sino ad un certo punto – fu la sua indifferenza. Ma si può essere neutrali di fronte al male assoluto? Questo diaro non è importante solo per quello che c’è scritto, ma forse lo è ancor più per quello che non c’è scritto. Per non aver visto, o non aver guardato, o non aver detto. E non è forse questa la vera colpa tedesca?


società

11 novembre 2008 • pagina 21

11/11/08. A dodici mesi dalla morte di Gabriele Sandri, un libro ricostruisce la dinamica dell’omicidio per mano dell’agente Spaccarotella

Un anno senza giustizia di Tommaso Della Longa

re 9.18 di un anno fa. Sull’autostrada A1, nell’area di servizio di Badia al Pino (nei pressi di Arezzo), si consuma una tragedia. L’agente scelto della Polizia stradale, Luigi Spaccarotella, apre il fuoco contro una macchina che sta rientrando in autostrada dopo una breve sosta. Un proiettile viaggia da una parte all’altra delle carreggiate, attraversa sei corsie e uno spartitraffico, e colpisce alla base del collo il ventiseienne dj romano, Gabriele Sandri, che morirà pochi istanti dopo.

O

Era una domenica come tante altre. Ma da quel momento, sarebbe diventata una delle pagine più buie della nostra storia recente. Nel giro di pochi minuti, era chiaro a tutti che si trattasse di omicidio. C’era la persona uccisa, l’identità dell’assassino, la pistola ancora fumante, la dinamica (più o meno) esatta del delitto. Eppure, dopo un paio d’ore, veniva immessa nel circuito delle agenzie di stampa la notizia della morte di un tifoso laziale in seguito a scontri tra opposte fazioni. Poco dopo, si aggiungeva la notizia di alcuni colpi sparati in aria da un poliziotto. Poi, nient’altro che il caos. Smentite, nuove informazioni, dirette tv, edizioni speciali dei telegiornali. Mentre negli stadi scoppiavano tafferugli e scontri. Nello spazio che va dalle 9 alle 24 di quella domenica, si consuma una vera e propria emergenza sociale che finisce

con le note immagini degli assalti romani alle caserme di polizia e carabinieri. Ma alla fine della giornata, e soprattutto nei giornali del 12 novembre, ancora non viene raccontata, se non in rari casi, la notizia: quella di un ragazzo ucciso da un agente di polizia che ha preso la mira

In alto, il giovane dj romano Gabriele Sandri, ucciso l’11 novembre del 2007 dall’agente della Polstrada Luigi Spaccarotella. Sopra, la copertina del libro di Maurizio Martucci, che ne ricostruisce minuziosamente l’omicidio

e sparato un colpo senza una reale situazione di emergenza. A distanza di un anno non è ancora stata fatta chiarezza, come neppure si è arrivati alla giustizia per Gabriele. Dopo un processo rinviato per vizi procedurali, l’udienza preliminare che vede come imputato per omicidio volontario Luigi Spaccarotella è stata fissata per il 16 gennaio 2009. Nel frattempo, hanno tenuto banco le solite polemiche tutte italiane: il proiettile che forse è stato deviato da una rete metallica, o la versione del poliziotto che spara per sedare una rissa tra ultras della Lazio e della Juve. I testimoni oculari ascoltati nelle settimane successive hanno poi messo a tacere ogni altra versione: Spaccarotella ha sparato a braccia tese verso la macchina che si stava immettendo sull’autostrada. L’imputazione è quella di omicidio volontario con dolo eventuale.

Quel che più rimane impresso è forse il silenzio in cui, da un certo momento in poi, è sprofondato l’omicidio di Gabriele, e il modo composto ma sempre fermo con cui la famiglia Sandri ha reagito davanti alla tragedia. Dalla fine dell’estate, a gettar luce sul caso è arrivato il libro 11 novembre 2007 – L’uccisione di Gabriele Sandri, una giornata buia della Repubblica (Sovera editore - 11 euro). A scriverlo, Maurizio Martucci, giovane giornalista e studioso

delle scienze e tecnologie della comunicazione, che ha voluto ricostruire quella giornata, passo dopo passo, per spiegare con esattezza gli eventi e la gestione dell’informazione da parte di media e istituzioni. Il volume è stato stampato con il patrocinio del Comune di Roma e il suo

abbandonati al loro dolore. Mentre l’iter giudiziario deve ancora rendere giustizia, il libro, come ha spiegato l’autore, «vuole ricollocare al posto giusto l’informazione che dopo quell’11 novembre è stata carente, deficitaria e con grandi omissioni». Oggi, a un anno

Il volume, curato dal giornalista Maurizio Martucci, «vuole ricollocare al posto giusto l’informazione che dopo quell’11 novembre è stata carente, deficitaria e con grandi omissioni».Aspettando l’udienza preliminare fissata per il 16 gennaio 2009 acquisto contribuirà alle attività della Fondazione intitolata a Gabriele. Il libro inizia con uno spaccato della vita del dj romano, la sua passione per la musica e per la Lazio. Poi vengono ripercorsi minuziosamente tutti gli eventi di quell’11 novembre 2007. La ricostruzione del viaggio con gli amici verso Milano, la sosta all’autogrill di Badia al Pino, la dinamica dell’assassinio, l’interpretazione del reato e la sua “notiziabilità mediatica”. Poi l’emergenza sociale, le proteste, le violenze e gli scontri; l’analisi della gestione della comunicazione di crisi da parte del ministero dell’Interno e della Questura di Arezzo. Infine un’intervista esclusiva al fratello di Gabriele, Cristiano, che racconta (unica testimonianza) il modo in cui i Sandri hanno appreso la notizia dell’omicidio: prima stretti dalla morsa massmediale e poi

esatto dall’omicidio, sono previsti diversi appuntamenti per ricordare “Gabbo”. Un gruppo di donatori volontari di sangue ha voluto dedicare alla memoria di Gabriele il proprio gesto e si ritroverà a partire dalle 7.30 presso l’entrata principale del Bambino Gesù.

Un sorriso per i bambini in ricordo di Gabriele: è questo lo spirito di coloro che offriranno un po’ di sé presso il centro trasfusionale dell’ospedale pediatrico. A seguire, alle 18 sul sagrato della chiesa di San Pio X, in piazza della Balduina a Roma, si svolgerà una fiaccolata e subito dopo, alle 19, una messa in suffragio celebrata dal parroco della zona. Inoltre, per tutta la giornata, un’immagine del giovane verrà affissa in piazzale Ponte Milvio, luogo simbolo per le tante serate trascorse dagli amici insieme a Gabriele.


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dal “Sunday Times” del 09/11/2008

Sulle ali... di una quattro ruote di Richard Fleury ino a Timbuctù su di un’auto volante: sembrerebbe uno dei viaggi meno probabili del mondo, uscito dalle fervide pagine di Giulio Verne. Ma questa non è fantasia e l’automobile vola sul serio. Potrebbe succedere presto, all’inizio del nuovo anno, quando due baldi esploratori partiranno da Londra, su di una dune buggy fornita di elica, facendo rotta sul Sahara. Il seme della follia è stato piantato quattro anni or sono, nella testa di Gilo Cardozo un costruttore di motori ad elica per parapendio e ultraleggeri. Per chi non fosse pratico del settore basterebbe immaginare un paracadutista con una grossa elica motorizzata sulle spalle, che spinge quel tanto che basta per tenerlo in aria e farlo viaggiare. Il colpo di genio di Cardozo è stato semplicemente attaccare il tutto ad una quattro ruote. «Ho cominciato costruendo ultraleggeri su ruote, dove ti siedi metti in moto e parti» racconta l’inventore. Uno di questi mezzi ha volato sulle cime himalayane lo scorso anno. «E mi sono subito chiesto: perché non avere un’auto che possa fare tutto questo?». Il progetto di una macchina volante è stato una specie di Santo Graal per gli inventori da mezzo secolo e molti progetti si sono arenati davanti a soluzioni costose e scarsamente pratiche. Uno di questi è la Skycar di Paul Moller, il cui prototipo, dopo 40 anni di prove e sviluppo, è costato circa 100 milioni di sterline.

F

La Skycar di Cardozo è qualcosa di estremamente più economico ed esiste già un listino. Basterebbero 35mila o 40mila sterline per i modelli base e 60mila per la versione sportiva ad alte prestazioni. Cardozo, un ingegnere autodidatta, sembra avercela fatta con una semplice frazione dei soldi spesi da Moller: «Fin

da ragazzino ho sempre sognato di costruire macchine volanti» ha confessato. «Guardavo e studiavo gli altri progetti sbocciati in giro per il mondo, per capire dove avessero sbagliato. Nessuno è mai arrivato a costruire qualcosa che potevi andare ad acquistare. Qui c’è l’idea forte: è economica, sicura, funziona, è piena di tecnologie». «Doveva essere costruita e l’abbiamo fatto». Senza le ultime scoperte sui profili alari non rigidi (quali sono i paracadute ala, ndr) l’idea non sarebbe decollata. I nuovi profili aerodinamici e i materiali più recenti permettono di sollevare veicoli dal peso di circa 700 chilogrammi, con passeggeri, senza la tradizionale e pericolosa instabilità che li caratterizzava fino a ieri. Tutto molto facile.

«La apri e parti. Più acceleri e prima raggiungi la velocità di decollo che è di 55 chilometri orari. L’ala ti salirà sopra la testa e resterà lì per tutto il volo, senza ondeggiamenti, fino ad una velocità superiore ai 125 chilometri orari». L’auto è perfettamente omologata per andare su strada e viaggia a metanolo. La Skycar ha un motore Yamaha R1 da 140 cavalli, modificato, che può passare dai parametri di volo a quelli su strada in pochi minuti, con un’autonomia di 230 chilometri. Il sistema chiave è il passaggio senza complicazioni dalle ruote all’elica e viceversa. Con il comandante pilota Neil Laughton partiranno il 14 gennaio, per un viaggio di circa 5.800 chilometri verso Timbuctù nel Mali, che dovrebbe durare 40 giorni. Il team di progettisti ha speso 130mila sterline, per rendere il mezzo sicuro, anche nel deserto. Il primo grande balzo la Skycar lo farà attraversando il Canale della Manica. Poi di

nuovo, per volare sopra la catena dei Pirenei e infine sui cieli dello stretto di Gibilterra, lungo un percorso misto, aria-terra. Sono stati studiati anche dei sistemi di galleggiamento d’emergenza in caso di ammaraggio forzato. Il mezzo è dotato di paracadute di sicurezza che verrebbe estratto con l’ausilio di un piccolo razzo.

Naturalmente i pericoli non vengono solo dalle fasi di volo, anche l’attraversamento del deserto nasconde insidie non meno pericolose. Lo scorso anno la Parigi-Dakar è stata interrotta per il pericolo di azioni terroristiche. Ma i nostri amici hanno ricorso a delle precauzioni.“Non ho preso alla leggera il problema, se avessimo ascoltato gli avvisi del nostro ministero degli Esteri, non saremmo partiti. Avremo l’attenzione di non comunicare la nostra rotta esatta, per non cadere in imboscate” precisa Cardozo. Nessun sogno di gigantismo industriale comunque. Saremmo già molto contenti di venderne una ventina di esemplari.

L’IMMAGINE

Le reazioni provinciali degli italiani all’elezione di Barack Obama Ogni giorno, da almeno sei mesi, le pagine dei nostri quotidiani e i servizi dei nostri telegiornali ci hanno proposto ogni aspetto della campagna elettorale statunitense. Dalla vittoria del candidato democratico, poi, l’entusiasmo è salito alle stelle e – di conseguenza – lo spazio dedicato a Barack Obama è aumentato in maniera esponenziale.Tutto giusto, per carità, e in un certo senso auspicabile. Ma fa riflettere quanto il nostro Paese si dimostri, una volta di più, marginale nel grande scacchiere mondiale: pur essendo una provincia del grande Impero Usa, infatti, ci comportiamo come se potessimo in qualche modo influenzare la politica d’oltre Oceano. La Melandri nei bassifondi di Philadelphia – da cui tra l’altro è stata cacciata – e il leader del Pd Veltroni che pare “il cugino non africano” di Obama danno un’immagine disperata del nostro Paese. Quella dello sfigato che si accoda al vip per entrare in una discoteca, dove altrimenti non sarebbe mai ammesso.

Nicola Pedone – Gallipoli

CAUSE CIVILI, LUNGHI RINVII Nel momento in cui si parla di riforma del sistema giudiziario per accelerarne il corso, ho appreso con stupore che presso alcuni tribunali i magistrati in funzione di giudici monocratici rinviano le cause civili per prescrizione delle conclusioni perché mature per la decisione anche a 24 mesi. Ciò avviene perché l’enorme carico di lavoro assegnato loro non gli consente rinvii più brevi. Non credo che occorrono molte parole per rappresentare la delusione di chi attende giustizia. Ora mi permetto di chiedere: nell’attesa delle riforme non sarebbe più opportuno affidare parte di tali ruoli civili stracarichi ai Got (Giudici onorari di Tribunale)? O non si può ricorrere a tale soluzione perché il modesto

gettone di udienza attribuito ai Got incide nel bilancio del ministero della Giustizia? Non è preferibile cercare di diminuire la pendenza utilizzando al massimo i Got? O si provvederà quando la pendenza delle cause civili continuerà ad aumentare provvedendo ad istituire nuovamente i Goa (Giudici onorari aggregati)?

Luigi Celebre - Milazzo

SOLO FUMO Nell’immediato dopoguerra, essendo la mia tribù più o meno benestante, alla mia nascita, mi aprì un deposito bancario per coprire il costo dell’università.Venti anni dopo ci ho comperato un paio di scarpe! Chi aveva depositi in lire dall’avvento dell’euro ad oggi ha subito, per l’aumento dei prezzi, una tassa di circa il 50% in pote-

Tappeto o tapis roulant? Cosa vi sembra? Un soffice tappeto di alghe disteso sul fondo dell’oceano? Non lasciatevi ingannare dalle apparenze. Quella che vedete è la superficie interna delle tube di Falloppio, i due “tunnel” che collegano le ovaie femminili all’utero. Le pareti delle tube sono tappezzate da migliaia di minuscole ciglia che ondeggiando ritmicamente costituiscono una sorta di “tapis roulant” che trasporta lo zigote fino all’utero re di acquisto. L’Italia ha cosi’ silenziosamente dimezzato, per entrare nella moneta unica, il debito in bot, cct, btp ecc ecc. La Lupa dell’Inferno dantesco è sempre fra noi ed il Veltro non arriva mai. Recentemente ho ascoltato un ”empio” lupastro riparlare di aumentare la tassazione delle rendite finanziarie quale panacea per salari ed investimenti.

Evidentemente non sa, o non vuole sapere, che ciò che lo Stato paga è in relazione con quello delle altre nazioni: è come una bancarella dove tutti espongono il loro prodotto e ognuno sceglie quello adatto alla propria condizione. È facile capire che aumentando la tassazione dal 12,50 al 20%, dello stesso esiguo importo si dovrà aumentare la rendita, al-

trimenti i nostri titoli rimarrebbero invenduti: guadagno zero per lo Stato, non potendo la norma essere retroattiva, e messaggio allarmante per il mercato. Questi ululatori che riempiono le loro onorevoli tasche alle spalle del gregge ”cornuto e mazziato”sono esperti in fumogeni arcobaleno, non certo in economia.

Dino Mazzoleni - Gualdo Tadino


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LETTERA DALLA STORIA

Un sole che mi ha scaldato il sangue Ma che succede? Cielo! Fiamme ovunque! Da dove viene questo incendio? Da dove verrà il soccorso? Povero cuore, povero cuore in pericolo! A cosa servirà la ragione? Lei che sa tutto, e sempre meglio di tutti, non sa come soccorrerti e, incapace di agire, lascia cadere le braccia. Quando la vita scorre fredda e vuota di senso, lo si definisce «stato di salute»; ma quando essa osa fare un passo in più nel sentimento, le passioni la travolgono e l’infiammano, e lei si consuma su se stessa. Devo chiudere gli occhi per non vedere ciò che amo. Ahimè! Il minimo ricordo mi riempie di un desiderio iroso; se ti seguissi sempre con il pensiero, sarei sempre irritata e piena di rancore. Quando allungo le braccia, è verso pareti nude; quando parlo, è al vento; e quando ti scrivo, il cuore si rivolta per non potere volare oltre questo ponte di tre giorni che mi separa da te, per sdraiarmi ai tuoi piedi. Come sei dolce e buono nella tua cara lettera! Mi ha portato un giorno di sole che mi ha scaldato il sangue nel pieno dell’inverno. Che cosa desiderare di più? Non so se l’amore sia la più grande delle passioni e se sia possibile vincerlo; ma quello che so è che per me è una volontà potente, irresistibile. Buona notte, tutto è silenzioso, ciascuno dorme nella propria casa, ciascuno sogna ciò che ha desiderato; io sola veglio con te. Bettina Brentano a Johann Wolfgang Goethe

ACCADDE OGGI

PREMIAMO IL PUBBLICO DEI REALITY! La televisione italiana sta diventando sempre più un circo, un immenso pentolone di cibi cotti e crudi, troppo poco salato per i miei gusti. I reality ci bombardano e con essi le finzioni e le scenette che ne sono il motore.Tra i più famosi c’è La Talpa, in onda su Italia Uno, condotto dalla nuova regina dei reality targati mediaset Paola Perego e dalla risorta Paola Barale nelle vesti di inviata speciale. Non sto qui a raccontare la puntata che ho avuto l’occasione di gustare, ma vorrei porre alla vostra attenzione una riflessione spontanea. Dunque, i concorrenti, vip di quarta categoria, sono per la maggior parte ex concorrenti di altri reality, nello specifico del Grande Fratello, chiaramente di diverse edizioni. Il pubblico si ritrova, quindi, ad osservare personaggi riciclati che passano dalla casa del Grande Fratello alla jungla della Talpa. Saranno anche cresciuti, maturati, qualcuno avrà anche lavorato nel frattempo, ma le facce sono sempre le stesse. Qual è allora il meccanismo che sta sotto ai reality? Trovare un lavoro, seppur a tempo determinato, a questi concorrenti ormai assuefatti dalla costante presenza delle telecamere o premiare il pubblico per la costanza con la quale sopporta da più di 5 anni un palinsesto ripetitivo e di basso livello? Spegniamo le telecamere nella giungla e a cinecittà, accendiamole piuttosto nelle case dei vip: che ognuno faccia ciò che vuole chez lui!

Francesco Del Vecchio - Bologna

I GIOVANI HANNO TANTO DA DIRE

11 novembre 1417 Il Concilio di Costanza elegge Papa Martino V

1675 Gottfried Leibniz dimostra per la prima volta il calcolo integrale trovando l’area della funzione y=x 1887 A Chicago vengono impiccati ingiustamente cinque esponenti anarchici in piazza Haymarket, ritenuti responsabili della morte di alcuni poliziotti durante uno sciopero di lavoratori. Furono definiti in seguito i martiri di Chicago 1889 Washington diventa il 42° stato degli Usa 1918 Conclusione della Prima guerra mondiale, con la firma dell’armistizio da parte della Germania in un vagone ferroviario nei pressi di Compiègne in Francia 1922 Eugenio Tosi, arcivescovo di Milano (7 marzo 1922 - 7 gennaio 1929) è nominato cardinale da Papa Pio XI 1938 Usa: “God Bless America”viene eseguito per la prima volta 1966 La Nasa lancia la navetta Gemini 12 con a bordo gli astronauti James Lovell e Edwin Aldrin

La riforma voluta dal ministro Gelmini

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Francesco Rositano, Enrico Singer, Susanna Turco Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio,

non mi convince e non credo porterà frutti all’istruzione del nostro paese. Mi emoziono, invece, nel vedere milioni di studenti manifestare per le strade della capitale. Non è giusto affermare che i giovani d’oggi non hanno dei valori seri e condivisibili. Basta paragonarli ai sessantottini. I tempi sono cambiati, anche la gioventù probabilmente, ma lasciamoli esprimere: anche loro hanno tanto da dire.

Flavio Capomagi - Roma

CRISI… DI LUSSO C’è crisi in Italia, crisi che investe tutti, nessun settore escluso. Eppure trovare un piumino, di cui non posso specificare per correttezza la marca, non è affatto facile, impossibile direi. I negozianti di diversi punti vendita rispondono che certi capi di abbigliamento vanno acquistati a luglio, durante le svendite della merce estiva. Il lusso in Italia non risente di alcuna crisi: l’italiano preferisce fare la fame, ma guai a risparmiare sul capo firmato. Ho imparato la lezione: ho accantonato l’idea della giacca, da oggi inizio a cercare il bikini da sfoggiare ad agosto 2009.

dai circoli liberal

L’EVOLUZIONE DELL’ISLAM È ormai convinzione che con l’Islam non moderato ci sia ben poco da fare. Anche chi conosce profondamente il problema ritiene sia impossibile un’evoluzione moderata. Questo è l’improduttiva matrice della nostra visione occidentale che è arrivata a distinguere il sacro dal profano attraverso determinati ed irripetibili processi storici. Storicità che ne ha determinato anche i limiti. L’Europa ebbe un nuovo inizio: l’Illuminismo: da qui tutto ciò che apprezziamo dell’Occidente in termini di affermazione dei diritti civili, di tolleranza, di libertà di religione e di emancipazione dei popoli. Ma sappiamo anche ciò che ha portato l’Illuminismo “deviato” dalla trascendenza. Mi riferisco alle idee che poi hanno considerato la ricerca della felicità, avversando tutto ciò che in qualche modo poteva intralciare la realizzazione di un uomo nuovo concepito in laboratorio: l’ateismo, il nichilismo, il relativismo concepito come totale assenza di un metro di misura per giudicare il bene dal male. È vero che in tema di tolleranza, ad esempio, è stata fondamentale la fase storica delle guerre di religione europee. Le religioni arrivarono su alcuni principi in grande ritardo: talvolta le subirono per realpolitik. Ma in tema di diritti e legge naturale ne furono straordinari anticipatori. Inoltre quando la Religione trasforma in dogma un’idea etica, questa assume un valore e un’efficacia straordinaria che nessuna filosofia o ideologia politica riesce ad essere in termini di trasformazione del pensiero in azione a beneficio dell’uomo. Ma l’Illuminismo, questo è il punto, non ha avuto come unica sorgente il pensiero occidentale. La sua forza innovatrice è data dal fatto che è stata una produzione del pensiero umano universale, perché ha attinto anche da fonti antiche cristiane e pre-cristiane greche e orientali, cioè non solo occidentali. E fu salvifico e di stimolo anche per il cristianesimo moderno. Per questo ritengo che l’evoluzione dell’Islam religioso e civile non può avvenire per imitazione (umiliante) dell’Occidente laico, ma soprattutto recuperando conoscenze spirituali e filosofiche originali più antiche di Maometto. Sono sorgenti di conoscenza patrimonio di tutta l’umanità. Come le radici originarie linguistiche sono uniche e come uniche sono le fonti di molti miti, come il diluvio, e le radici delle religioni monoteistiche. È il pensiero dell’Uomo e di ciò che elaborò spiritualmente e razionalmente vivendo e pensando all’ineffabile, affinché fosse utile e servisse. Leri Pegolo CIRCOLO LIBERAL PORDENONE

APPUNTAMENTI

Chiara Morbidoni - Firenze

LO STUPIDO RAZZISMO DELLA SINISTRA Obama un po’ abbronzato? Se il razzismo è l’affermazione rivolta verso una caratteristica somatica di un popolo o di una fede, cosa avete pensato della prima pagina del manifesto con la foto del premier e, in caratteri cubitali, la scritta “Faccetta nera”?

Lettera firmata

Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

VENERDÌ 21 E SABATO 22 NOVEMBRE 2008 OTTAVA EDIZIONE COLLOQUI DI VENEZIA PALAZZO CAVALLI FRANCHETTI La nuova America. Come cambierà il mondo dopo l’era Bush. Gli amici dei Circoli Liberal sono invitati a partecipare Vincenzo Inverso

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PAGINAVENTIQUATTRO L’antieroe della domenica. La “Scala del calcio” ha la sua Maria Callas

Il divo che recita (e stecca) dalla

PANCHINA di Francesco Napoli e lo stadio San Siro di Milano è la Scala del calcio, da oggi in avanti si può dire che è tornata anche la sua Callas: José Mourinho. Il Divo casto o non casto non importa, lui preferisce farsi chiamare Special One come nei flipper di prima generazione - sembra aver già dato il meglio del suo fantastico repertorio mediatico: acuti capaci di spaccare i vetri, assoli dietro i quali ogni orchestra farebbe fatica a tenere e duetti di inaudita (letteralmente) forza espressiva durante i quali dà e toglie la parola agli altri, fingendo di non conoscere bene il nome dell’altro (Mario Beretta, allenatore del Lecce), salvo poi riparare con un invito a cena. Ma anche a distanza tiene perfettamente botta, prevalendo sul “matusalemme”, per lui, Ranieri, non Massimo ma Claudio, colpevole di non sapersi rinnovare tatticamente e che dopo diversi mesi in Inghilterra a stento sapeva dire “good morning”, lui che appena sbarcato in Italia alla sua prima affollatissima conferenza stampa ha esclamato “non sono un pirla!” Il tempo è signoree ci dirà da quale parte sta la ragione.

S

Ma domenica l’apoteosi alla Scala è stato il suo gesto visto e stravisto in ogni televisione d’Italia, quello che neppure Riccardo Muti in auge si poteva permettere di compiere: zittire con un dito l’intera mormorante platea. L’ha poi sparata grossa, come si addice a una prima donna alla quale si perdona ogni bugia pur quando è

palesemente falsa: voleva tacitare Costinha, suo ex giocatore in Portogallo, ha dichiarato. Ma perché gli regala il biglietto, allora? E un inciso che non suoni ad offesa in questo clima: anche Roberto Mancini l’aveva provato quel fatidico gesto, correva l’anno 2005 ed era Inter-Sampdoria. Che il “mancho”ce l’avesse con Gianluca Vialli, tifosissimo doriano? Anche lui da allora, niente biglietto.

Il repertorio di Mourinho-Callas, affettuosamente detto anche Mou, come una mitica caramella ma senza averne né la dolcezza e neppure la morbidezza, con questa mania tutta meneghina di accorciare i nomi e i cognomi fino al ridicolo, non ha proprio niente a che vedere con alcune recite improvvisate da predecessori e figuranti. Come quella mal riuscita di

Più che un tecnico, Mourinho è una primadonna, sempre al centro del campo che litiga con giocatori e giornalisti. Anche vincere diventa secondario Mancini in conferenza stampa (e credo scuserà il paragone essendo a suo vantaggio) all’indomani di una brutta eliminazione in Champions l’anno passato; niente a che vedere con qualche tentativo di duettare in scena con lui da parte di un oscuro dirigente del

Catania; e niente a che vedere con la stampa radio-televisiva schierata davanti a lui, pronta a rimbeccarlo o a provocarlo. Se provocare significa rivolgergli delle domande, come da contratto Rai e televisioni varie stipulato, se non erro, con Figc e i suoi tesserati. Forse Maria Callas, appena lasciato il palcoscenico roboante di una Norma o un’Aida o una Traviata aveva il suo Sconcerti o Varriale Due immagini di José Mourinho, al centro della situazione lì, delle polemiche per i suoi atteggiamenti da divo pronti a chiederle della Tebaldi? Certo che no. Forse Maria Callas aveva uno visivo della domenica: mandare scudetto da difendere e la neces- all’aria il microfono e l’auricolasità di dare all’intero organico re che lo collega allo studio di un’identità? Certo che no, già turno, e che un po’ lo tiene anche stentava a riconoscere la sua. For- in vita, non lo dimentichi. Non se Maria Callas aveva i riflettori ha saputo o potuto farlo a una puntati su di lei 24 ore su 24, dal domanda peraltro difficile da inlunedì alla domenica? Forse no o terpretare da parte del volgo calforse si è perfino consumata in cistico (la maggioranza) eppure questa sovraesposizione. E allo- di notevole acume tecnico: quanra… lasciatelo lavorare in pace, do vedremo un Inter con identità giornalisti e opinionisti dell’Italia calcistica pari a quello delle altre sferica, i risultati si vedranno, e in tue squadre, questa in sintesi la parte si vedono, per quel bel gioco domanda del Sacchi nazionale. che lo ha condotto alla corte di Ci sono cose che non si possono dire davanti alle telecamere e ai Moratti si sta attrezzando. microfoni della televisione, e ci Ma c’è stato un solo direttore risiamo. Ma a cena ne possiamo che nella turbolenta domenica parlare molto meglio a quatpallonara appena trascorsa è tr’occhi, e ci risiamo pure con la stato in grado di te- cena, il tenore e il senso della rinerlo a bada ed è Ar- posta. Certo, si può anche allora rigo Sacchi che visto essere d’accordo con Giampiero in televisione stenti Mughini che da Controcampo sempre a riconoscere ha lanciato l’ironica proposta a se è lui, proprio lui, o tutta la categoria giornalistica l’imitazione magi- di passare a Mourinho il 20% strale di Crozza. Da- della propria busta paga per vanti al vecchio mae- quanto fa scrivere e dire: questo stro del calcio all’o- Special One lo merita, a onor landese, della diago- del vero. Aggiungo alla proponale e dalle idee fer- sta: diamogli pure il 20%, ma me Mourinho forse con tasse da pagare e non devoleva fare il suo ge- traibili, di questi tempi è il ministo tipico, quello che mo, ma lui regali a tutti la stessa ormai lo contraddi- quota di savoir faire che certo stingue in tutto l’uni- ha nel suo bagaglio (se Malpenverso calcistico-tele- sa non ha fatto scherzi).


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