2008_10_30

Page 1

9 771827 881004

81030

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Luci e ombre del più probabile vincitore delle elezioni

e di h c a n o cr

Ho visto l’America con Obama presidente

di Ferdinando Adornato

OGGI LO SCIOPERO GENERALE È almeno da una settimana che molti, governo in testa, soffiano sul fuoco dello scontro con il movimento degli studenti. E, come da copione, sono arrivati gli incidenti. Ma Berlusconi si ostina a non capire che le grandi riforme devono essere condivise

di Michael Novak una settimana dalle elezioni, Barack Obama sembra essere in testa di almeno 6 punti calcolati come media dei vari sondaggi. Sembra essere anche in testa in tutti gli stati-chiave che fin qui sembravano in bilico. A questo punto sembra quasi impossibile che Obama perda. D’altro canto, i sondaggi che si sono rivelati più affidabili in passato stanno convergendo: ad esempio, il Gallup and investor business daily (il più preciso nel 2004) ci dice che tra i votanti “affidabili” il distacco si è avvicinato da 49 a 47 per cento per Obama che è ancora all’interno della forchetta d’errore. Durante le primarie, contro Hillary Clinton, Obama era stato sempre in testa con margini più grandi, anche quando la senatrice aveva avuto un ritorno di fiamma nella fase finale. s eg u e a pa gi n a 1 4

A

Questa sedia è partita otto giorni fa

Le discussioni sul 4 novembre novant’anni dopo

In quell’anno l’Europa si suicidò: ma anche oggi non sta tanto bene di Piero Melograni

A

alle pagine 2 e 3

Le mire di Veltroni sulla Vigilanza

Richiamati i tibetani dopo l’aut-aut

Continua la battaglia per la riforma elettorale europea

Pd-Idv verso uno scambio Rai-Abruzzo?

Pechino riapre al dialogo col Dalai Lama

Oggi a Montecitorio l’assemblea per le preferenze

di Antonio Funiciello

di Massimo Fazzi

Il Partito democratico sembra aver deciso di tenere buono Antonio Di Pietro sostenendo Costantini alla Regione, e aprendosi di fatto una strada per la Vigilanza Rai.

Se si vuole ottenere qualcosa dalla Cina, è necessario usare la forza. La diplomazia non funziona con il governo di Pechino, che davanti alle richieste delle feluche è abile a fare orecchie da mercante.

Si terrà questa mattina a Montecitorio la riunione di tutte le opposizioni per coordinare la battaglia in difesa delle preferenze alle Europee. E Berlusconi dice: senza convergenze, la legge non cambia.

pagina 6

pagina 10

pagina 4

GIOVEDÌ 30 OTTOBRE 2008 • EURO 1,00 (10,00

gli inizi del Ventesimo secolo, gli europei potevano ancora ragionevolmente credersi i signori del mondo. Nell’anno 1913 dominavano in forma diretta o indiretta l’84% delle terre emerse, quasi l’intero globo. Avevano conquistato quasi l’intera Africa e controllavano quasi l’intera Asia. L’Australia era un dominion britannico. Anche il Canada lo era. E perfino gli Stati Uniti d’America potevano apparire come una propaggine dell’Europa, anche se nel 1913 questo non era più tanto vero. Ma nel 1914, con lo scoppio della Grande guerra fratricida, il vecchio continente si avviò alla catastrofe.

CON I QUADERNI)

di Franco Insardà

• ANNO XIII •

NUMERO

208 •

WWW.LIBERAL.IT

se gu e a p ag in a 12

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


prima pagina

pagina 2 • 30 ottobre 2008

Riforma e protesta. La nostra Carta tutela l’autonomia di religione, magistratura e università

Uno sciopero “costituzionale” di Francesco D’Onofrio

Chi ha soffiato sul fuoco

Cattivi maestri (unici) al governo i vento, il governo ne ha seminato tantissimo. E ora tutti raccogliamo tempeste di piazza. Spranghe, manganelli, sangue, sedie che volano. Paura, soprattutto. Paura che una protesta nata a-politica e motivata dall’assenza di futuro dei giovani si trasformi in uno scontro violento nel quale pochi estremisti imbrigliano le ragioni di una maggioranza inquieta. Il “vento” del governo è cominciato con la presentazione di un decreto sulla scuola? Quali motivi d’ugenza c’erano? Urgenza di mettersi il grembiule? Urgenza per i tagli? Quelli erano già in finanziaria. Il “vento”è continuato con il proclama sui poliziotti nelle scuole (su imbeccata colpevole del direttore di Libero). Ed è sfociato, il “vento”, negli scontri di piazza, perché le tensioni tra frange di estrema destra e frange di estrema sinistra ci sono sempre state. La tempesta è quella sedia che vola a Piazza Navona e che abbiamo messo in copertina: non è stata solo la mano di un “facinoroso”a lanciarla. Sono stati anche i cattivi maestri del governo. Che non sono mai unici.

D

ue manifestazioni: quella promossa dai sindacati per la scuola e quella dagli studenti per l’università sono oggi a Roma ad un tempo punto di arrivo dei movimenti della scuola da un lato e dell’università dall’altro e, auspicabilmente, punto di partenza per costruire insieme un solo grande e nuovo equilibrio costituzionale prima ancora che politico.

D

Nelle molteplici iniziative studentesche che hanno preso spunto da questo o da quell’ateneo, un punto è apparso fondamentale e necessariamente non traducibile in schieramenti politici o partitici: la Costituzione italiana non consente di intervenire sull’università senza una previa ed adeguata consultazione della medesima. Nell’equilibrio costituzionale originario è infatti scritto che la religiosità; la magistratura; i sindacati; gli enti locali; le università sono tutti soggetti specifici dotati di garanzia costituzionale particolare proprio nei confronti del governo pro tempore. Se infatti questo è costituzionalmente legittimo, in quanto sostenuto da una maggioranza parlamentare, esso non può rapportarsi alle cinque realtà sopra indicate senza riconoscere a ciascuna di esse un’autonoma specificità che impedisce pertanto di procedere con strumenti legislativi adottati a

maggioranza di governo, senza una previa ed adeguata consultazione di ciascuna di esse, in riferimento agli intendimenti che il Governo e la sua maggioranza parlamentare intendono perseguire in riferimento appunto a ciascuno di essi. Le manifestazioni universitarie che hanno avuto ad oggetto proprio questo punto, hanno pertanto affermato un principio di ordine costituzionale prima ancora che partitico, ed è per questo – molto probabilmente – che si è trattato di manifestazioni non riconducibili a questo o quello schieramento di partito. Se le cose stanno in questo modo è necessario ritenere che si tratta di un insieme di manifestazioni di grande rilievo politico e costituzionale perché si tende a costituire un argine di tipo democratico – pluralistico al potere normativo della maggioranza di governo. La lunga deriva che ha portato al progressivo deperimento dell’originario primato del Parlamen-

Il “movimento” ha avuto una grande intuizione politica che richiede una risposta altrettanto lungimirante da parte dei partiti

«Perché i ragazzi difendono i privilegi?»: ne parlano Calabresi, Fabbri e Volli

Eco e gli altri in campo contro i baroni di Riccardo Paradisi

ROMA. «Il taglio dei fondi annunciato dal governo danneggia più i professori che gli studenti. È molto curioso che facciate una battaglia del genere per i baroni». Le dichiarazioni di Umberto Eco, rilasciate a Siena in margine a un confronto con studenti e ricercatori, ha aperto un dibattito serrato. C’è chi come il portavoce di Forza Italia Daniele Capezzone ha subito cavalcato le parole di Eco dirigendole contro l’opposizione: «Mi auguro che per il Pd finisca il tempo delle chiassate e riprenda il tempo del ragionamento».

Ma a impugnare le parole del semiologo è stato anche il senatore a vita Francesco Cossiga nel colorito discorso al Senato per spiegare le ragioni del suo voto a favore del provvedimento del governo. Ma questa, si dirà, è polemica politica, anche se le parole di Eco hanno un loro peso specifico. Non solo perché vengono da una figura chiave della sinistra intellettuale italiana ed europea ma anche perché Eco è sempre stato attento alla vita e al linguaggio dei movimenti giovanili. Ma che ne

to nel sistema politico-costituzionale italiano può pertanto vedere in questo movimento universitario – che non a caso vede accomunati studenti e docenti a differenza del ’68 – un movimento che tende a non voler vedere concluso in senso negativo proprio il deperimento del Parlamento e le connesse garanzie di pluralismo normativo che la Costituzione ordinaria contiene. Lo slogan crisi «Questa non la pagheremo noi» è infatti quello che più costantemente è risuonato in tante parti d’Italia, a dimostrazione del fatto che non è con le spese per l’università che si possa concorrere a risanare il bilancio nazionale o a garantire l’equilibrio finanziario delle banche. Non dunque una riforma universitaria sulla quale è del tutto evidente che si possono avere idee diverse, ma una questione di principio e di fondo: non si può procedere a fare leggi sull’università neanche se si tratta di questioni di equilibrio finanziario nazionale,

se non si confronta in anticipo la proposta del Governo con la realtà universitaria autonoma. Questo appare il motivo per il quale gli studenti universitari hanno manifestato - anche se embrionalmente - per la scuola elementare e media e, allo stesso tempo, ha visto gli studenti medi occuparsi anche di università e di conseguenza le famiglie occuparsi conclusivamente dell’intero sistema scolastico.

Questa appare la più rilevante differenza di questo movimento rispetto al ’68. Allora non vi era un continuum tra scuola e università, perché questa era una sorta di corpo separato nella società italiana. Oggi, invece – anche grazie a quel che è accaduto dopo il ’68 – vi è non solo l’obbligo scolastico che la Costituzione prevede di otto anni, ma una nuova idea di merito scolastico che va salvaguardato sia in riferimento a singoli studenti sia in riferimento alla garanzia di eguali punti di partenza universitari che è stato ed è oggetto di duri scontri anche parlamentari. Ed è pertanto questa la ragione per la quale ogni ipotesi di strumentalizzazione partitica del complesso e non sempre ordinato movimento in atto finisce con il colpire al cuore proprio il valore del movimento che è innovativo se visto nel suo insieme di scuola e università. La questione politica che si apre in

pensano della riflessione di Eco gli echiani? Ovvero i suoi vecchi amici semiologi e i suoi allievi? Come leggono la dinamica della contestazione studentesca e universitaria in corso? Ugo Volli, semiologo dell’Università di Torino è moderatamente critico verso gli studenti e sostanzialmente d’accordo con Eco. Volli lamenta l’assenza di criterio con cui si vogliono fare i tagli a ricerca e università. «Sono indiscriminati» dice, però Volli è anche meravigliato di come la protesta degli studenti non abbia un obiettivo preciso: «Si mobilitano su temi che non li riguardano direttamente, come il tetto al 20 per cento del turn over dei docenti che avverrà con i pensionamenti dei prossimi anni. Un provvedimento che effettivamente toglie ai cosiddetti baroni molto potere di cooptazione. Perciò Eco ha sollevato questo paradosso, e cioè che gli studenti rischiano di portare acqua al mulino di una categoria che è a loro lontana». Anche la fisionomia del nuovo movimento studentesco ha tratti anomali: «Le loro iniziative sono incentrate sulla creazione di eventi da far rimbalzare nel circuito mediatico che ne amplifica le proporzioni. I giornali hanno scritto che Lettere e filosofia di Torino è occupata. Io insegno in quella facoltà: c’è uno striscione e un gruppo di ragazzi che fa delle riunioni nell’atrio dell’università. Per il resto l’attività didattica prosegue indisturbata. Ho l’impressione che si sia di fronte a una coazione ritualistica della protesta. Le-


prima pagina

30 ottobre 2008 • pagina 3

Due arresti e molti feriti in una mattinata di guerriglia

Cronaca di un disastro annunciato, da 8 giorni di Vincenzo Faccioli Pintozzi

ROMA. Sbaglia chi pensa che i Palazzi del potere siano sempre delle realtà avulse da quelle che vivono i cittadini ogni giorno. Ieri, quanto meno, Palazzo Madama era lo specchio esatto di quello che accadeva sui marciapiedi che lo costeggiano. Rissa fuori, rissa dentro. Facinorosi fuori, facinorosi dentro. Ecco perché è rilevante – oggi più che mai – presentare una cronistoria comparata fra i due lati della medaglia di quella che, dopo gli anni bui che hanno caratterizzato il nostro Paese alle soglie del 1980, rischia di essere la prima, vera contestazione studentesca più grande dei suoi componenti.

questo contesto è proprio quella concernente la rappresentanza politica del movimento, che non è e non può essere ricondotta ai due schieramenti che si sono scontrati nelle ultime elezioni politiche. Ed è sempre questa la ragione per la quale la manifestazione – che mi auguro grande – promossa dai sindacati sul tema generale della scuola, non può continuare a lungo ad ignorare la questione dello sbocco universitario degli studi scolastici, perché di questo oggi si tratta ed è di fronte a questo nuovo problema che si misurerà l’intelligenza politica di sindacati e partiti vecchi e nuovi. Mai come oggi quel che appare ne-

cessario è pertanto un nuovo equilibrio tra rappresentanza e decisione, tra maggioranza popolare e soggetti politici autonomi che costituiscono un limite al potere stesso della maggioranza di governo: quello vecchio privilegiava la rappresentanza a scapito della decisione; il rischio odierno è invece che la decisione cancelli la pluralità delle realtà autonome. Da questo punto di vista si può pertanto dire che quella che è alla base dei movimenti in corso sia una grande intuizione politica e costituzionale che richiede una risposta altrettanto lungimirante da parte dei vecchi e dei nuovi partiti.

gittima, necessaria forse, ma ciclica, come se ne vedono molte in questi anni».

Insomma, traducendo, un protesta del sentimento più che della ragione: tanto che un’altra osservazione mossa da Eco agli studenti è proprio l’assenza di un progetto politico preciso, un’idea di riforma dell’università. Insieme a Umberto Eco, Paolo Fabbri, ordinario di semiotica all’università di Venezia, studiò il linguaggio del movimento del ’77: «Parlavano tutti in prima persona. Ponevano l’io al centro di tutto: rispetto al ’68 – quando si usava sempre l’impersonale – era cambiato tutto». E oggi? «Oggi stanno tutti assieme – questa è la loro caratteristica principale – destra e sinistra; i linguaggi di ieri si mescolano e si ricombinano in qualcosa di nuovo. Hanno un’identità narrativa, un’identità in movimento». Un movimento che porta acqua al mulino dei baroni, come dice Eco? «L’analisi di Umberto – dice Fabbri – è un po’ vecchio stile, una posizione da intellettuale classico. L’assenza di una coscienza di classe porta a mobilitare energie per chi una coscienza di classe ce l’ha. Però si deve ammettere che il rischio che lui denuncia oggettivamente esiste». Omar Calabrese, semiologo anche lui, getta però un po’ d’acqua nel fuoco: «A Siena – dice – io c’ero. Eco ha parlato del rischio che qualcuno imbrigli a suo vantaggio la protesta. Un consiglio strategico agli studenti più che una scomunica. Perché la realtà è che il governo poteva intervenire nel malcostume universitario con criterio, invece ha usato il machete».

Ore 9.00 – Fuori al Palazzo. Sotto una pioggia leggera, i primi studenti arrivano con striscioni e megafoni nella zona del Senato. Si tratta di giovanissimi, iscritti ai licei della capitale, accompagnati dai loro insegnanti. Questi cercano di garantire l’ordine. Partono i primi slogan. Ore 9.00 – Dentro al Palazzo. Ignorando la pioggia grazie alle macchine di servizio, arrivano i senatori italiani. Le facce sono scure, e c’è poca voglia di commentare ai numerosi giornalisti presenti cosa sta succedendo. Fra gli iscritti, il senatore a vita Francesco Cossiga che, nel corso del suo intervento, dice: «Quando feci picchiare a sangue gli studenti che contestavano Lama, venni applaudito dal Partito comunista».

Ore 11.04 – Fuori al Palazzo. Tutti i senatori dell’opposizione scendono in strada per parlare con gli studenti. La capogruppo del Pd a Palazzo Madama, Anna Finocchiaro, annuncia un referendum contro il decreto che, sostiene, «è una buona idea». Applausi, non troppo convinti, dalla folla. Ore 11.04 – Dentro al Palazzo. Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, dopo l’approvazione del Dl da parte del Senato, commenta in Aula: « La scuola cambia. Si torna alla scuola della serietà, del merito e dell’educazione». Applausi, non troppo convinti, dai presenti. Ore 11.31 – Fuori al Palazzo. Tensione a piazza Navona: diverse migliaia di studenti stanno manifestando contro il decreto Gelmini, quando un gruppo di studenti di destra del Blocco Studentesco attacca la testa della manifestazione, aggredendo i ragazzi presenti. Un ragazzo ferito alla testa viene portato via in ambulanza; stessa sorte per una ragazza di 16 anni, colpita anche lei alla testa. Ore 11.31 – Dentro al Palazzo. Il vicepresiden-

Piazza Navona devastata, tra cariche della polizia e scontri fra giovani di destra e di sinistra. Siamo a Roma, ma sono passati 40 anni dall’ultima volta

Ore 10.05 – Fuori al Palazzo. Arrivano davanti al Senato anche gli universitari: circa 1.500 studenti. Intanto in molte zone di Roma si creano piccoli cortei di studenti che puntano verso il centro storico. Il diluvio che si abbatte su di loro, dicono, «non fermerà la protesta».

Ore 10.05 – Dentro al Palazzo. Il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, invia una nota che recita: «Gli attivisti di Veltroni mandati a contestare il decreto Gelmini dovevano fare una tendopoli e vegliare davanti al Senato. Alle prime piogge si sono dissolti come le bugie che stanno seminando, istigati dai mestatori del Partito democratico e dintorni. Per essere dei giovani rivoluzionari temono già i reumatismi». Ore 10.36 – Fuori al Palazzo. Scatta l’urlo «L’hanno approvato», ma gli studenti non reagiscono. Inizia però a serpeggiare il malcontento, ben espresso dal coro che si alza: «Governo, governo, vaff..». Ore 10.36 – Dentro al Palazzo. Il Senato approva, in via definitiva, la conversione in legge del decreto Gelmini sulla scuola con 162 a favore, 134 contrari e tre astenuti. Il provvedimento, approvato il 9 ottobre dalla Camera, non è stato modificato dai senatori e ora è legge.

te vicario dei senatori del Pdl, Gaetano Quagliariello, intervenendo al Senato dichiara: «Il governo andrà avanti con le sue riforme nel settore dell’istruzione, perché l’università è malata e bisogna cambiarla con interventi che rispondono al principio in base al quale la meritocrazia è sinonimo di democrazia». Nessun accenno, ancora, a quanto avviene per le strade.

Ore 12.16 – Fuori al Palazzo. La situazione precipita: parte una carica delle forze dell’ordine contro gli studenti riuniti in piazza Navona, mentre riprendono gli scontri tra studenti di destra e di sinistra. La piazza è teatro di guerra, da cui fuggono anche i vigili urbani. Diversi fermi, (poi ci saranno due arresti) mentre volano sedie e tavolini. Devastato il bar Navona, gravemente danneggiata un’edicola. In fuga anche i turisti. La polizia rimane a guardare mentre i ragazzi si picchiano fra di loro. Ore 12.16 – Dentro al Palazzo (di Confcommercio, stavolta). Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, commenta l’approvazione del decreto: «È andato come era logico che fosse. Gli studenti che stanno manifestando sono stati presi in giro dalla sinistra. È una vera truffa alle loro spalle perchè questo decreto riguarda la scuola primaria e le elementari, quei ragazzi non c’entrano e anche per l’università nulla è stato deciso. Dispiace davvero vedere la capacità della sinistra di truffare i propri sostenitori. Nel decreto non c’è nulla di ciò che ho letto nei volantini». E questo conferma che, molto spesso, i Palazzi vivono in una realtà avulsa da quella dei cittadini comuni.


pagina 4 • 30 ottobre 2008

politica

Autogol. Scuola e legge elettorale: perché Berlusconi sta perdendo consensi

L’arrocco del Cavaliere I sondaggi gli suggeriscono onnipotenza: così non sente più nessuno e comincia a sbagliare di Franco Insardà on si ferma. Non ascolta nessuno. Per lui quel 72 per cento di gradimento che, secondo i dati raccolti dai sondaggisti di fiducia di Euromedia Research, gli italiani gli riconoscono sono una carica vitale che lo rende sempre più sicuro di poter decidere da solo. Arroccato sulle sue posizioni Silvio Berlusconi detta regole e tempi, non ascolta più nessuno e sta perdendo consensi. Sul decreto Gelmini è stato inamovibile. È arrivato a minacciare, smentendo subito dopo, l’uso della polizia contro gli studenti. Non ha voluto sentire ragioni e ha imposto la conversione al Senato del decreto Gelmini che dalle 10 e 36 di ieri è legge. E la polizia alla fine è anche intervenuta per sedare, dopo giorni di proteste, gli scontri tra gruppi di studenti davanti al Senato. «Certo – ha ammesso ieri alla Confcommercio un po’ a malincuore – con un consenso così alto si può soltanto scendere

N

e le proteste sul decreto Gelmini mi faranno perdere qualche punto». Ma con la solita verve è ripartito all’attacco: «Subito l’opposizione dirà che sono in caduta libera, ma io sono superiore a queste cose. Le invettive e gli insulti non mi toccano, io vado avanti a fare il mio lavoro». Sulle proteste degli studenti ha ribadito: «Tutti hanno il diritto di manifestare, ma non contro cose che non esistono. Le occupazioni di aeroporti e stazioni - ha detto Berlusconi - non sono un atto di democrazia, non sono espressione diretta di democrazia, sono una violenza contro i cittadini, le istituzioni, lo Stato».

«Certo con percentuali così alte – ha ammesso il premier – si può soltanto scendere»

Insomma il Cavaliere non si piega né alle proteste della piazza, né agli inviti del Colle e nemmeno a quelli dei vescovi. Quando decide che è arrivato il momento di premere sull’acceleratore lo fa senza indugio e molla la presa soltanto quando è sicuro che ha raggiunto l’o-

Polemica tra Casini e Scajola

Intanto scoppia la lite sui fondi per il Sud di Francesco Capozza

biettivo. Se poi ha una platea a disposizione il suo spirito istrionico ha il sopravvento e tra attacchi, puntualizzazioni e barzellette passa in rassegna tutti i temi caldi e per ognuno ha la sua personale soluzione.

Non si era ancora insediato a Palazzo Chigi che già aveva fatto saltare la trattativa tra Alitalia e Air France cavalcando l’onda dell’italianità e ieri ha ribadito la validità della sua decisione: «È stata una cosa sacrosanta non aver venduto Alitalia ad Air France. Dobbiamo essere grati alla ventina di imprenditori italiani per aver messo mano al portafoglio e iniziato un’avventura che non è facile». Lo schema ”vincente” si è ripetuto con il pacchetto sicurezza, con l’emergenza spazzatura in Campania e con il lodo Alfano. Silvio Berlusconi ormai lo ripropone sempre, tanto i numeri in Parlamento gli danno ragione e quelli dei sondaggi gli confermano che sta facendo bene. Per lui esistono soltanto le percentuali e più aumentano più lui si arrocca con i fedelissimi a fare quadrato e a difendere ad oltranza le posizioni, senza ascoltare nessuno.

ROMA. Ieri alla Camera è scoppiato il caso Sud. Durante l’esame di un emendamento presentato dal Movimento per le Autonomie sulla promozione economica del Mezzogiorno al Ddl sviluppo collegato alla manovra economica, il capogruppo dell’Udc Pier Ferdinando Casini, rivolgendosi ai banchi dell’esecutivo, si è lanciato in un affondo: «il governo sta facendo un gigantesco trasferimento di risorse dal Sud al Nord del Paese: lo fa con una chiara e lampante ragione politica e per una scelta precisa». Rivolgendosi poi ai deputati meridionali del Pdl, li ha invitati a fare «quello che ritenete più opportuno su questo emendamento, ma non ditemi di non aver capito quello a cui mi riferisco». Pronta è arrivata la replica, come sempre sprezzante, del ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola presente in aula: «in molti non hanno ancora chiara la situazione difficile del

Il dibattito sulle preferenze monta, ma il Cavaliere non vuole sentire ragioni. Anche sulla riforma della legge elettorale per le europee l’arrocco è assoluto, nonostante un fronte del no che giorno dopo giorno aumenta. Oltre all’ Udc, il Pd, l’Italia dei Valori e il Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo, che questa mattina si riuniranno in assemblea ”per concordare iniziative adeguate alla gravità della situazione”, si

registra la presentazione dell’emendamento che chiede due preferenze firmato da una ventina di parlamentari del Pdl. Martedì il Colle ha fatto sentire la sua voce. Infatti il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha auspicato la ”scelta di un metodo condiviso e di un testo che non comprima il pluralismo”. E il quotidiano della Cei Avvenire ha pubblicato un editoriale dal titolo molto chiaro: ”Salviamo le preferenze”.

Paese, come non è chiaro, forse, che si è votato quattro mesi fa e non si tornerà alle urne per un po’». Per Scajola, infatti, «c’è un governo legittimato dal voto popolare e ora dobbiamo cercare di usare il tempo del Parlamento per approfondire i temi, non per fare demagogia. La politica, quella con la “p” maiuscola deve prendere in tempi brevi provvedimenti chiari e concreti come questo che è oggi all’esame dell’aula». Il ministro ha rimarcato che il governo ha scelto di non ricorrere alla fiducia sulla base del confronto sviluppatosi in commissione che prevedeva un ampio consenso sul provvedimento in oggetto. La tesi contraria a quella di Casini, e quindi di uno spostamento di risorse dal Nord al Sud, è stata energicamente confutata da Italo Bocchino, vice capogruppo del Pdl, e dal leghista Matteo Brigandì. Tra le contro-repliche dell’opposizione, il leader dell’Udc


politica

30 ottobre 2008 • pagina 5

Oggi l’assemblea “trasversale” sulle preferenze

«La nostra proposta può riaprire i giochi» colloquio con Silvano Moffa

ROMA. Pier Ferdinando Casini ne è cer-

Il Cavaliere ha risposto picSecondo i dati raccolti che, ma poi ieri all’Assemblea dai sondaggisti di Confcommercio ha detto: «Io di fiducia sento l’opposizione, ma se ci di Euromedia danno delle proposte concrete Research non solo offese. Siamo sempre il gradimento aperti a tutte le suggestioni e le degli italiani raccomandazioni che ci arrivanel premier no». Davanti ai commercianti è al 72%, cala si è lamentato di come i media invece quello hanno affrontato la crisi: «Cerdel governo, cherò di fare il possibile perché che in una le tv pubbliche e private non settimana è passato dal 63 al 59,6% siano dei fattori ansiogeni, coPier Ferdinando Casini, riprendendo la parola, ha attribuito al governo un ”delirio di onnipotenza” e una coacerva minaccia sul continuo ricorso alla fiducia («noi oggi dovremmo ringraziare il governo per la sua benevolenza», ha ironizzato il leader centrista riferendosi a ciò che Scajola aveva precedentemente detto sulla scelta di non ricorrere alla prova di forza ponendo la questione di fiducia). Casini, nella sua replica, ha respinto al mittente le accuse: «Cosa c’entra che quattro mesi fa abbiamo perso le elezioni? Io non sto delegittimando il governo, ma vorrei capire nel concreto cosa lei ha in mente per i Fondi Aree sotto utilizzate ( Fas). Occorre rispondere nel merito ad una questione che gli amici dell’Mpa hanno sollevato e che noi ci sentiamo di appoggiare». Mentre nell’emiciclo di Montecitorio accadeva tutto questo, il governo ha rischiato di andare per ben due volte

me purtroppo stanno diventando. La Rai, che dovrebbe cooperare perché le cose vadano al meglio, è il punto principale di diffusione del pessimismo». Il Cavaliere non ha neanche risparmiato un consiglio per gli acquisti ai commercianti, arricchito, ovviamente, da un sondaggio: «Andate tutti in vacanza in Kazakistan. Lì c’è un signore che è mio amico, non a caso ha il 91 per cento dei voti e ha fatto cose straordinarie».

“sotto”, la prima per un solo voto, la seconda per quattro. Appena percepito il pericolo i capigruppo della maggioranza hanno preso tempo per attendere che i colleghi richiamati all’ordine tornassero in aula. Eguale atteggiamento tra i banchi dell’opposizione: già arrivati nella Sala della Regina al secondo piano di palazzo Montecitorio, dove era prevista la riunione di tutti i parlamentari contrari al Ddl del governo che prevede l’abolizione delle preferenze nel sistema elettorale europee (riunione aggiornata ad oggi), sono accorsi in aula, nel tentativo di mettere in minoranza il governo, il segretario del Pd Walter Veltroni e quello dell’Udc Lorenzo Cesa oltre al capogruppo dell’Italia dei valori Massimo Donadi. L’emendamento dell’ Mpa, relativo all’individuazione delle aree del paese da sostenere, è stato infine riformulato su sollecitazione dell’esecutivo e approvato dall’aula.

to: molti, nel Pdl, guardano con favore all’inserimento delle preferenze nella legge elettorale per le Europee. «Ci sono molti ordini del giorno che sono stati votati anche da esponenti del centrodestra nei consigli regionali di Liguria, FriuliVenezia Giulia, Basilicata e Calabria, solo per citarne alcuni, per non parlare poi dei tanti Comuni tra cui Roma e Palermo. Auspico che i parlamentari del Pdl sottolinea Casini - non vogliano negare ciò che reclamano a gran voce i loro colleghi di centrodestra sul territorio. La battaglia sulle preferenze - ha detto ancora Casini - non è una battaglia né di sinistra, né di destra, ma una battaglia di libertà, e mi fa piacere che molti esponenti della maggioranza siano a favore di un diritto di tutti i cittadini elettori». Intanto questa mattina alle 9 si svolgerà a Montecitorio l’assemblea, convocata dei parlamentari Pd, Udc, Idv e anche Mpa sulla riforma della legge elettorale per le Europee in discussione alla Camera che era in programma ieri e che è stata aggiornata per impegni d’Aula. Ma a favore delle preferenze si sono espressi anche autorevoli esponenti del centrodestra come Carlo Giovanardi, mentre una ventina di parlamentari del Pdl hanno presentato un emendamento che chiede l’introduzione di ben due preferenze. ll primo firmatario del provvedimento è Silvano Moffa che non ci sta a una strumentalizzazione dell’iniziativa. Allora onorevole Moffa il centrodestra è diviso? No. Il nostro tentativo è quello di aprire un confronto su un tema delicato. Il processo evolutivo del sistema bipolare è ancora incompleto. Come possono incidere le preferenze? Occorrono delle regole interne ai partiti che possano garantire la partecipazione popolare e le preferenze possono essere l’ultimo baluardo. Ma le primarie non potrebbero essere utili per scegliere i candidati. Certamente. Ma è necessario che siano regolamentate e i partiti non sono ancora organizzati per questo.

Qualcuno ha visto dietro il vostro emendamento il tentativo di un gruppo di An di mantenere una posizione autonoma. È esattamente il contrario. Stiamo tutti già partecipando al progetto unitario del Pdl. Non è corretto ragionare con il sistema delle quote. Questo rischio potrebbe esserci adesso e ci potrebbe essere la tentazione di formare le liste tenendo conto della quota di An e di quella di Forza Italia. Con le preferenze si introduce un po’ di competizione che nella democrazia non può far paura. Tra l’altro vorrei sottolineare il fatto che tra i firmatari ci sono anche colleghi di altri partiti che sono confluiti nel Pdl. Oggi la conferenza dei capigruppo decide se lo scrutinio sarà palese o segreto. Il vostro emendamento non potrebbe creare confusione nel centrodestra? Noi siamo perfettamente d’accordo con il presidente Berlusconi e con la sua intuizione di partito unico. Forse altri hanno qualche idea diversa non certamente chi ha sottoscritto l’emendamento. La posizione intransigente di Berlusconi dopo l’invito del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a non comprimere il pluralismo ha lasciato perplessi. La reazione di Berlusconi va inquadrata in maniera più generale nella polemica per l’atteggiamento ostruzionistico del Partito democratico. È necessario che ci sia un dialogo ampio. Lei, quindi, è d’accordo con il Capo dello Stato? Nell’invito di Napolitano ci sono elementi di ragionevolezza. La sua posizione merita il massimo rispetto. La riforma elettorale, come altre riforme istituzionali hanno bisogno di un consenso superiore a quello della sola maggioranza. Secondo lei, il vostro emendamento può essere utile al dibattito che si è aperto sulle preferenze? Lo spero. Sicuramente rappresenta un’apertura che potrebbe contribuire a uscire da una situazione di stallo, affidando al Parlamento la discussione e la decisione finale. (f.i.)

Silvano Moffa ha firmato con altri 20 parlamentari del Pdl un emendamento sulle preferenze


pagina 6 • 30 ottobre 2008

politica

Baratti. Il Pd avrebbe deciso di tenere buono Di Pietro sostenendo Costantini alla Regione, aprendosi una strada per la Vigilanza

Verso uno scambio Rai-Abruzzo? di Antonio Funiciello

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Crisi auto: Barroso pensa ad intervento Il presidente della Commissione europea Josè Barroso ha indicato che «la Commissione è aperta a sostegni alla competitività dell’industria automobilistica purché le decisioni siano prese nel quadro delle attuali regoli di concorrenza degli aiuti di Stato». In particolare Barroso ha detto che «è comunque presto per una decisione». In discussione la possibilità di interventi a sostegno dell’industria automobilistica per la protezione di veicoli «puliti». L’Italia, vista le industrie presenti nel settore, è molto interessata alla problematica.

Berlusconi contro i “writers”

ROMA. Dalle parti del Nazareno si parla poco dell’alleanza siglata a L’Aquila tra Pd e Idv intorno alla candidatura del dipietrista Costantini. I più rimandano alla struttura federalista del partito, che prescrive l’autonomia decisionale degli organismi locali anche sulle alleanze elettorali: «Hanno deciso a L’Aquila l’alleanza con l’Idv, così come a Trento hanno deciso quella con l’Udc». È chiaramente un modo per eludere la questione, vista la centralità che il voto regionale abruzzese ricopre, insieme a quello per la provincia trentina, nel caotico dibattito politico nazionale. Dibattito che lega le vicende abruzzesi a quelle romane della commissione Vigilanza Rai e del nuovo assetto di viale Mazzini. In quest’ottica si strutturava l’ipotesi di accordo a cui aveva nei giorni scorsi lavorato Franco Marini, che era molto diversa da quella chiusa intorno al dipietrista Costantini. Soprattutto perché comprendeva l’Udc. La reticenza che al Nazareno regna sovrana si spiega solo a partire dalla considerazione diffusa nel Pd che l’Abruzzo sia ormai perso. E che farne, dunque, un campo di battaglia interno al centrosinistra, sia del tutto inutile. Ieri Veltroni e Marini hanno provato a spiegarlo a Donato Di Matteo, assessore regionale ai Trasporti della fu giunta Del Turco, che pretende di candidarsi nonostante il veto dipietrista. Di Matteo è indagato nell’ambito di un’inchiesta in quanto presidente dell’Azienda Consortile Acquedottistica abruzzese. Accada, comunque, a L’Aquila quello che deve accadere: il PD romano non intende più occuparsene.

Perso l’Abruzzo, Veltroni punta tutto sulle elezioni per il rinnovo di presidente e consiglio provinciale trentino. Non solo per portare a casa la riconferma di Dellai, ma specialmente per affermare un nuovo schema di alleanza elettorali da sperimentare alle prossime amministrative di primavera. Schema di cui è protagonista assoluto l’ingresso dell’Udc nel campo del centrosinistra. Se infatti non è valsa la pena di insistere più di tanto con l’Udc affinché sostenesse il dipietrista Costantini in Abruzzo, valutate perse queste elezioni, l’orizzonte delle allean-

Il leader di Idv pare aver capito che su Orlando non c’è nulla da fare. La maggioranza non lo voterà mai, forte anche dell’aver sostituito Pecorella con Frigo alla Consulta ze di ”nuovo conio”è quello entro cui Veltroni intende iscrivere il futuro del Pd. I primi scricchiolii del consenso al governo Berlusconi, dopo le vicende legate al decreto (da ieri legge) Gelmini, hanno convinto ancor più Veltroni che la strada di un’unione delle opposizioni presenti in Parlamento è quella de seguire spediti. L’Udc prima di tutto, quindi, tenendo buono Di Pietro sostenendo Costantini in Abruzzo e aprendosi a scenari nuovi per la vigilanza Rai. Perché Di Pietro pare aver capito che su Orlando non c’è nulla da fare. La mag-

gioranza non lo voterà mai, forte anche dell’aver sostituito Pecorella con Frigo per la Consulta, iniziativa che si è conquistata in primis l’apprezzamento del Quirinale. Un passo indietro di Orlando è nelle cose e, incassato l’appoggio incondizionato del Pd per il suo candidato in Abruzzo, Di Pietro sarebbe pronto a farlo. Almeno così si mormora dalle parti del Nazareno. Questo scenario apre le danze nel Pd per scegliere il futuro candidato alla presidenza della commissione. Se non dovesse registrarsi nessun ingresso dell’ultima ora tra i membri della Vigilanza Rai e si dovesse sceglierlo tra quelli presenti, non pare probabile una contrapposizione tra un candidato veltroniano (tipo Melandri) e uno dalemiano (tipo Latorre o Cuperlo). Questo perché entrambi,Veltroni e D’Alema, indicando nella soluzione degli assetti generali della Rai lo sfondo entro cui collocare la scelta per il presidente della Vigilanza, sono più concentrati sul futuro presidente della Rai che su quello della commissione. Indicano la luna (presidente Rai) e non guardano il dito (presidente Vigilanza) che la indica, malgrado tutti si concentrino su questo benedetto dito. Perciò entrambi sarebbero disposti a lasciarla a un dipietrista di nuovo ingresso in commissione (oltre a Orlando per l’Idv c’è solo l’altrettanto impresentabile Pancho Pardi) o, a scelta, a un popolare (il napoletano Villari) o al rutelliano Gentiloni. La prima ipotesi piace più a D’Alema, la seconda più a Veltroni. Ma tutti e due sono disposti a barattarla per la presidenza di viale Mazzini.

Al Consiglio dei ministri di venerdì prossimo sarà approvato il provvedimento che istituisce «il reato penale per gli imbrattatori dei muri». Lo ha riferito il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel suo intervento al consiglio di Confcommercio. Cassonetti dati alle fiamme o divelti, muri imbrattati, autobus e metro terreno di conquista di writers e graffitari, verde pubblico deturpato: costo per lo Stato, ogni anno, più di 5 milioni di euro. Ma non tutti sono vandali. Alcuni sono veri e propri artisti. E anche per loro, gli “artisti” con la bomboletta spray, sono in arrivo tempi duri. Oltre al decreto annunciato da Berlusconi, all’esame delle commissioni parlamentari di Camera e Senato ci sono infatti sette proposte di legge. L’intento sarebbe quello di modificare l’articolo 639 del codice penale, prevedendo, fino a due anni di carcere, una multa fino a 5 mila euro e l’obbligo di ripulire a proprie spese i beni deturpati.

Fini, spiacevole episodio su 4 novembre «Non è piacevole leggere che alcuni insegnanti non ritengono opportuno celebrare il quattro novembre perché la bandiera tricolore offenderebbe la sensibilità dei bambini immigrati». Lo ha affermato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenendo al convegno su “La grande guerra nella memoria italiana” nella sala della Lupa a Montecitorio, facendo riferimento alla notizia di alcune maestre di Villafranca Padovana che avrebbero deciso di non portare i propri alunni alle celebrazioni del 4 novembre per non urtare la sensibilità dei bambini immigrati.

A Milano il Pdci abbandona Penati I Comunisti italiani escono dalla maggioranza di centrosinistra che governa la provincia di Milano. Lo ha annunciato il segretario del Pdci milanese, Francesco Francescaglia, spiegando che si è trattato di una scelta obbligata. Il problema, ha spiegato il responsabile, è che «il Pdci ha registrato differenze insanabili di metodo, di merito e di proposta politica con il presidente della Provincia, Fillippo Penati». Lasciare la maggioranza, ha concluso Fracescaglia, è «una scelta sofferta ma ponderata. Siamo di fronte al fallimento personale di Penati, che, non essendo capace di fare sintesi, governa con l’autoritarismo».

Alluvione, Soru commissario straordinario Il Consiglio dei ministri venerdì nominerà il presidente della regione Sardegna«Commissario di governo per l’emergenza» che ha colpito il cagliaritano con l’alluvione del 22 ottobre scorso. È stato annunciato dal capo della protezione civile, Guido Bertolaso, in un vertice che si è concluso in regione con il governatore Soru, i sindaci del capoluogo ed il prefetto. Bertolaso ha confermato che la prima esigenza dopo l’emergenza è la messa in sicurezza di tutta l’area, per la quale, il governo, stanzierà risorse proprie in aggiunta a quelle già disposte dalla Regione. Soru ha riconosciuto il lavoro del sistema regionale di protezione civile: «Debbo riconoscere - ha detto - che ha funzionato abbastanza bene».


politica ROMA. Il Pd ci ha tenuto a dimostrare che la manifestazione di ieri sera, organizzata nel chiostro chiesetta romana di San Gregorio al Celio, a favore dei cristiani perseguitati in Iraq e in India riguarda tutto il partito. E non le solite minoranze militanti. Ecco perché a chiudere il ciclo di testimonianze e interventi - primo fra tutti quello di Philip Najim, Procuratore della Chiesa Caldea presso la Santa Sede - c’era Walter Veltroni. Il segretario del Partito democratico, in particolare, si è soffermato sulla necessità di rompere il silenzio che circonda le vittime innocenti della persecuzione e di stimolare i governi ad intervenire concretamente per fermare un massacro che sembra inarrestabile. Basta pensare che proprio due giorni fa, dopo una lunga agonia, è morto uno dei sacerdoti barbaramente pestato nella regione indiana dell’Orissa. L’iniziativa è andata avanti per circa un’ora e ha visto alternarsi vari protagonisti impegnati nei paesi in cui la libertà religiosa è più a rischio. Ad esempio la dottoressa Chiara Castellani, da tempo in Congo. «La volontà del Pd sostiene Andrea Sarubbi, deputato alla Camera - è quindi quella di rompere il silenzio generalizzato su questa situazione. C’è da dire che l’opinione pubblica se ne sta rendendo conto, tanto che in Orissa sono stati obbligati ad istituire una Commissione d’inchiesta per far luce sui massacri dello scorso agosto. Ma un conto è l’opinione pubblica, un altro è la politica che momentaneamente è venti passi indietro. Ecco perché abbiamo organizzato un’iniziativa politica, coinvolgendo anche Walter Veltroni. L’obiettivo è dire che la politica non può restare inerme ed inerte». Ma a detta di altri, il fatto di coinvolgere Veltroni in persona, serve ad indebolire l’impatto del “fuoco amico”di altri esponenti del Partito che continuano ad accanirsi contro cattolici più militanti - Luigi Bobba, Renzo Lusetti, Paola Binetti, Andrea Sarubbi -, accusandoli di essere un fattore di divisione più che un collante all’interno della formazione. Ma Sarubbi non ci sta e parla di dietrologie che

30 ottobre 2008 • pagina 7

Iniziative. I teodem scelgono temi importanti, ma non centrali, in cerca di visibilità

Quei cattolici democratici in continua ricerca d’autore di Francesco Rositano hanno un unico e deleterio effetto: quello di indebolire tutto il partito. «In politica - prosegue Sarubbi- regna la dietrologia, per cui ogni iniziativa sarebbe provocata da interessi personali. Ma questo non ci fa assolutamente bene. D’altra parte, finché non ci sarà una deposizione delle armi degli uni verso gli altri sarà difficile andare avanti». Il punto è che - sostengono altri osservatori - per non creare spaccature all’interno del partito

recentemente una partecipata lettera su L’Unità, è stata Rosy Bindi. «La moderna laicità proposta Rutelli - scriveva la vicepresidente della Camera - dopo la breve esperienza dei teodem con cui ha separato i cattolici dai cattolici, innestando nella Margherita una enclave integralista, ha un volto vecchio, quello della strumentalità con cui spesso sono stati utilizzati i cattolici in operazioni politiche di stampo moderato». Ed esprimen-

posta. E di guardare alle ricerca di nuove alleanze per il Pd, necessaria a costruire l’alternativa a Berlusconi, rafforzando e non snaturando il profilo ideale e programmatico del partito».

Un attacco forte, quello dell’ex ministro della Famiglia nel precedente esecutivo di Romano Prodi, che rende l’idea del clima di sospetto che attraversa il partito e non risparmia nemmeno i

Ieri alla manifestazione a Roma in difesa dei cristiani perseguitati in India e in Iraq c’era anche Walter Veltroni. Ma ognuno va per conto proprio. E la Bindi attacca Rutelli: «Di separatezza in separatezza il passo verso l’irrelevanza culturale è breve» scendendo in campo su temi scottanti quali eutanasia e testamento biologico, gli ex teodem sono in qualche misura obbligati a scegliere temi importanti nel dibattito pubblico, ma non centrali. L’ultima ad attaccare Francesco Rutelli e gli ex popolari, scrivendo

do la sua contrarietà per la nascita dell’associazione PeR (Persone e Reti) da parte degli ex-teodem, concludeva: «Di separatezza in separatezza il passo verso l’irrelevanza culturale è davvero breve. La scelta non può che essere quella di tornare al progetto e alla pro-

La polizia parla di un ubriaco. Per il Vaticano, gli omicidi sono stati commessi in momenti diversi

Mosca, assassinati due gesuiti MOSCA. Due sacerdoti gesuiti sono stati trovati munità e lavoravano nella pastorale della comunità morti nel loro appartamento a Mosca ieri sera verso le 21.20 (ora locale). I corpi presentavano ferite profonde. Lo denuncia l’agenzia di stampa AsiaNews. L’ipotesi della polizia è che entrambi i sacerdoti siano stati uccisi da un ubriaco, forse nello stesso momento, la sera prima del loro ritrovamento. Il direttore della sala stampa vaticana, padre Lombardi, ha invece detto che con ogni probabilità gli assassinii sono avvenuti in due momenti diversi, a distanza di giorni. Le due vittime sono padre Otto Messmer e padre Victor Betancourt. Entrambi vivevano nell’appartamento sede della co-

cattolica della capitale. Il segretario generale della Conferenza dei vescovi cattolici russi, padre Igor Kovalevsky, ha detto che a trovare i due uccisi sono stati i loro confratelli. Per il momento non si conosce il motivo della loro uccisione. Una nota del direttore della sala stampa vaticana precisa che «l’aggressione a padre Betancourt risale verosimilmente alla fine della settimana scorsa, perchè domenica non era andato a celebrare messa come d’abitudine; Messmer invece si trovava all’estero ed è tornato a Mosca lunedì sera. Verosimilmente è stato ucciso al rientro».

cattolici. Tanto che anche al loro interno continuano ad esserci iniziative distinte. Basta pensare, ad esempio, all’ultimo incontro ad Assisi, organizzata dall’associazione “Quarta fase” che fa riferimento a Giuseppe Fioroni e Dario Franceschini e ha coinvolto altri padri nobili del Pd, tra cui Franco Marini, Pierluigi Castagnetti, circa 80 parlamentari d’area, militanti ed amministratori locali. Un gesto dall’evidente obiettivo di riposizionare il cattolicesimo democratico all’interno del panorama ecclesiale italiano, dopo l’appello fatto a Cagliari dal Papa per una nuova generazione di politici cattolici. Quanto basta per dimostrare che i cattolici della nuova casa politica nata dalla fusione di Ds e Margherita siano ancora lontani dall’unità. Ma Paola Binetti smorza la tensione e legge l’attuale dialettica come un fattore fisiologico interno al mondo cattolico. «Come sempre il mondo dei cattolici, più di ogni altro mondo, è il mondo la libertà interiore. E ci sono tanti di modi di esprimere il consenso, tanti modi di esprimere il dissenso. Ho il rispetto assoluto per chi fa delle scelte diverse, in questo caso per Rosy Bindi. Ma noi, manifestando a favore dei cristiani perseguitati, abbiamo voluto assumere il valore di una scelta pubblica». Per ora la partita rimane aperta. Resta comunque un interrogativo: basterà l’arbitro Veltroni per mantenere il gioco all’interno di un sano agonismo?


pagina 8 • 30 ottobre 2008

politica

Ritratto. Renato Brunetta e il pericolo della sovraesposizione

Il rischio di Aladdin È il ministro più gettonato del governo, ma non sempre il genio gli esce dalla lampada di Roselina Salemi li economisti, in fondo, sono persone romantiche. Proprio come Renato Brunetta, ministro per la Funzione Pubblica e l’Innovazione: non hanno il senso delle proporzioni e immaginano utopie meravigliose, falansteri, interi sistemi galattici, società dai perfetti meccanismi di compensazione, operai felici alla catena di montaggio o addirittura economie etiche. Forse per questo il vulcanico Brunetta, veneziano, ottimista e narciso per sua stessa definizione, 57 anni, altezza 1,52 («Sono l’unico politico più basso di Berlusconi», scherza) ha almeno un’idea la settimana, sempre legata a una meravigliosa visione di efficienza e assapora la dolce vanità di vedere le sue idee riportate ovunque con grande rilievo, molto più degli interventi al Comitato Manodopera e Affari Sociali dell’Ocda, molto più dei severi studi che gli hanno fatto vincere la cattedra di Economia del Lavoro all’Università di Roma Tor Vergata. La battaglia contro i “fannulloni”, che ripropone il

G

vero «enorme risparmio, enorme investimento nella ricerca, enormi risorse per la sicurezza e le infrastrutture dal Baltico al Mediterraneo, da far impallidire il tunnel sotto la Manica e il ponte sullo Stretto» (ma questo lo diceva a giugno). La digitalizzazione globale e finalmente, tutti in Rete: addio carta nella Pubblica amministrazione, nella scuola e

Dai fannulloni ai tornelli per i magistrati: un ministro a cui «piace da pazzi lavorare». Forse è per questa ragione che riesce a produrre un’idea al giorno. Tutte con un perfetto ricasco televisivo tormentone dell’assenteismo e il totem della produttività. Il taglio drastico dei cinquecentomila consulenti degli enti pubblici, («due miliardi e mezzo di costi ulteriori, ma si può?») ove è facile tirar fuori la storia del «grande comune con tanti dipendenti che ingaggia un architetto per disegnare le nuove fioriere». Il grande patto europeo per costruire cinquanta centrali nucleari di quarta generazione entro il 2020, al costo spannometrico di sette miliardi di euro l’una, che fa 350, finanziate con eurobond, «titoli europei garantiti con le eccedenze auree e valutarie della Bce», ov-

nella giustizia: «Via mail si faranno pratiche, certificati, licenze, andranno su Internet anche le pagelle».

L’ultima è la storia dei tornelli anche per i magistrati (al ministero ci sono già), perché gli risulta che molti lavorino due/tre giorni la settimana e sarebbe ora di avere uno strumento per misurare produttività ed efficienza. E solo perché la disastrosa congiuntura mondiale distoglie un po’ l’attenzione, non si è scatenata, non ancora almeno, la prevedibile polemica sui giudici che si portano il lavoro a casa e per ora, a parte la reazione ufficia-

le del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, rimane tutto sotto traccia nel gran calderone di internet, dove c’è chi lo vuole “santo subito”, chi presidente delle Repubblica e chi è pronto a espatriare pur di non vederlo intervistato a destra e a sinistra. Anche i Didorè (Diritti e DOveri di REciprocità dei conviventi) non erano male, cioè i

Pacs senza Pacs e i Dico senza Dico, un accordo all’interno della coppia, privo di diritti “sociali” come per esempio la reversibilità della pensione, («Un assalto alla diligenza del welfare»), un matrimonio gay, se proprio vogliamo, ma a costo zero per lo Stato «che non deve entrare in camera da letto». Non un progetto di legge, ma una riflessione, lanciata per la prima volta su Libero in un articolo firmato con Giuliano Cazzola e maturata man mano, parlandone con Gianfranco Rotondi, ministro per l’Attuazione del programma. Un’ideuzza alla quale si è affezionato, disposto però a lasciarla perdere se dovessero esserci problemi, perché diciamolo, «ci sono anche questioni più serie». Quanto agli sprechi, li vede nella Sanità e anche in alcuni sostegni all’impresa («Non daremo un soldo alla Fiat») e

mostra i muscoletti senza timore, deciso a andare avanti, anche se Massimo D’Alema gli dà “dell’energumeno tascabile”, scusandosi poi, quando la definizione era stata già rilanciata da migliaia di blog.

Certo, l’impegno politico (e la folgorazione per Berlusconi è stata determinante), gli impedirà di avere il Nobel per l’Economia, questo è chiaro: anche se si è prese tante belle rivincite, non può avere tutto. L’ha dichiarato a Matrix: «Ero... non dico lì lì per farlo, però ero nella giusta... ha prevalso il mio amore per la politica, ed il Premio Nobel non lo vincerò più». Non scherzava, perché Renato Brunetta ha amici che hanno vinto il Nobel, «e non sono molto più intelligenti di me». Siccome nella satira c’è sempre qualcosa di vero, la caricatura un po’ ovvia di Crozza Italia (minuscolo ministro, enorme poltrona e scalettina per salirci sopra), colpisce il suo inattaccabile ottimismo, la sua volontà, nei mesi scorsi, quando la crisi era

agli albori, di minimizzarla e di vederne il lato positivo. «Il declino non esiste, la recessione non esiste». E sembrava il piccolo buddha di Matrix, che di fronte ai dubbi di Neo, in attesa davanti alla porta dell’Oracolo, gli diceva che il problema non è piegare il cucchiaio con lo sguardo, perché «il cucchiaio non esiste». Lui però non cambia opinione, è un ottimista recidivo: «La crisi sta finendo, deve finire, finirà». Gli hanno dato dell’incompetente, ma è troppo facile, troppo rituale. Possono rimproverargli, questo sì, l’ampiezza degli scenari, una certa tendenza visionaria a cambiare il mondo della quale i tornelli, elemento concreto, ma simbolico, rappresentano il lato pittoresco, un dettaglio. Sorvolando poi sulle implicazioni materiali del disseminarli in tutta Italia. E però, dando per scontata la credibilità dei sondaggi, al 60 per cento degli italiani Brunetta piace, anche se molti, della sua storia professionale hanno una percezione molto vaga: non sanno della lunga navigazione come consigliere economico dei governi Craxi, Amato e Ciampi, prima che di Berlusconi; non potrebbero citare uno solo dei suoi li-


politica

30 ottobre 2008 • pagina 9

Qui accanto, Giuliano Amato: Renato Brunetta è stato consigliere anche del suo governo. Al centro, il ministro con la sua giovane compagna Nella pagina a fianco, Giulio Tremonti

Una carriera lunga e varia: è stato consulente dei governi Craxi, Amato e Ciampi. Gli manca il premio Nobel: «Non dico che ci sono andato vicino, ma ero sulla strada giusta...»

Da Berlusconi alla Cai, dal Nobel al governo, tutto il meglio del ministro più amato

Breviario del Brunetta-pensiero La carriera «Volevo vincere il Premio Nobel per l’Economia. Ero non dico lì lì per farlo, però ero nella giusta direzione. Ha prevalso il mio amore per la politica, ed il Premio Nobel non lo vincerò più. Ho molti amici che hanno vinto il premio Nobel e non sono molto più intelligenti di me». (Matrix, 18 giugno 2008) La crisi economica «Al momento non siamo in recessione, non so se in futuro ci sarà. La nostra economia reale tiene, il governo c’è, è forte, ha fatto degli interventi che piacciono anche all’opposizione, quindi questo non può che rassicurare. La situazione internazionale è un po’ fragile, però si sta reagendo. Io direi ’calma e gesso’, guardiamo alla parte piena del bicchiere piuttosto che a quella mezza vuota». (La Repubblica, 12 ottobre 2008) Il sindacato «Mi dispiace che in tutta questa vicenda [relativa alle polemiche sui fannulloni ndr] il sindacato si sia limitato ad assistere, indifferente, indispettito, corrucciato, spiazzato, inutile». (Il Giornale, 22 ottobre 2008) L’Alitalia «Suvvia, l’Alitalia è una robetta da un miliardo, anche se è un fatto emblematico.Voglio dire che non condiziona l’economia italiana». (Il Tempo, 11 agosto 2008)

La Cai «I nuovi padroni di Alitalia sono davvero capitani coraggiosi, capaci di dar vita a una compagnia dinamica e agguerrita. Mostreranno che cosa sanno fare gli imprenditori italiani. Le garantisco che i risultati positivi si vedranno molto presto. Nei prossimi sei mesi, direi». (La Stampa, 1 settembre 2008) I miei difetti «Sono incazzoso, ma mi passa». (Il Tempo, 11 agosto 2008) I miei pregi «Sono buono e leale». (ibid.) Il governo «C’è la percezione che la gente è con noi e questo accade in un momento difficile. Prodi ha preso in mano il Paese quando era in espansione e aveva un tesoretto da 35 miliardi e nonostante questi fattori vantaggiosi è riuscito a mettersi contro l’opinione pubblica. Noi invece abbiamo il Paese dalla nostra parte nonostante la crisi dell’economia e una Finanziaria con tagli» (Corriere della Sera, 23 luglio 2008) Napoli e Berlusconi «Napoli è pulita. Quanti giorni sono passati? Meno di sessanta. Questo successo lo si deve all’intelligenza e alla tenacia di Silvio Berlusconi.Viva Berlusconi!». (La Repubblica.it, 19 luglio 2008)

bri (Il modello Italia, La fine della società dei salariati, Economia del lavoro); né elencare uno dei numerosi incarichi ottenuti dal 1999 a oggi, come deputato di Forza Italia al Parlamento europeo. Certo, non si preoccupano minimamente di sapere quale contributo Brunetta abbia dato come membro della delegazione parlamentare mista UECroazia. Colpisce di più, e lui ne è cosciente, la vicenda personale, il figlio del venditore ambulante di gondolette di plastica nella rumorosa Venezia per turisti, che diventa ministro e rivendica la povertà orgogliosa, la vita minimalista, nove persone in novanta metri quadrati in affitto, dove non c’erano né soldi, né spazio per i libri: poi gli studi conquistati per merito, la maturità con il massimo dei voti nel “liceo dei siori”, il Foscarini, l’orrore per i ragazzi ricchi che all’Università chiedevano “il trenta politico”.

C’è da credergli quando dice che tutti hanno diritto, più che al lavoro, alla casa (le case sono la sua passione, ne ha comprate due, a Venezia e a Todi, ed è fidanzato con Tiziana detta Titti, bella e slanciata arredatrice) e naturalmente ha un’idea: «Non serve costruire, basta rendere proprietari gli inquilini delle case ex Iacp, trasformando l’affitto in un mutuo». C’è da credergli quando assicura (e lo sta scrivendo) che i futuri dirigenti generali non potranno essere nominati senza aver passato almeno sei mesi in un’organizzazione internazionale, all’Osce all’Onu. Sfonda una porta aperta quando giudica la pubblica amministrazione «ammuffita, polverosa, formalista» e invoca «il senso di appartenenza, che prima c’era e

adesso non c’è più». E trova le giuste: “motivazione”, “orgoglio”,“stimolo”,“premio”. Ma ti sorprende sentirlo parlare con durezza della borghesia, «miope, egoista e compradora», lui che non ama il Sessantotto e attribuisce al post-Sessantotto più colpe di quelle che ha. Viene fuori la formazione socialista che gli fa dire: «Sono un uomo di sinistra». Si vede anche nell’elogio di chi costruisce un muretto («Costruire un muretto è una cosa bellissima, difficilissima, complicatissima, come fare un’intervista, come fare il ministro»), nel suo definirsi, più che laico, «diversamente credente». Crede in altre cose (la competitività, l’efficienza, la Costituzione), non nella religione e nei suoi miti. Crede nella famiglia tradizionale, ma non al punto di farsene una, almeno per ora. Crede fortemente in Berlusconi e nel governo, quasi avesse trovato una new age dell’armonia politica: «Non ho mai visto una luna di miele così lunga».

Alla fine, comunica l’impressione di un uomo felice, “un genio” che insieme “a un altro genio” (il ministro dell’Economia Giulio Tremonti) sta scrivendo la nuova utopia italiana, adorato dai suoi collaboratori («Io li tiranneggio e loro mi amano», racconta ad Alain Elkann), riformista convinto e anche umano, sì. Architetto mancato, collezionista di macchine fotografiche, «maestro della pasta e fagioli», della quale ha dato la sua ricetta, molto classica, su La7. Sincero, anche. Lavora tanto, dalle 8,30 alle 21,30, ma se glielo chiedono, a differenza di altri, ammette che non gli pesa, che a fare il ministro si diverte «come un pazzo».


pagina 10 • 30 ottobre 2008

mondo

Ricatti. Dopo l’aut aut del leader buddista, il governo cinese chiama al tavolo del confronto i rappresentanti tibetani

Pechino riapre il dialogo con il Dalai Lama di Massimo Fazzi

d i a r i o e si vuole ottenere qualcosa dalla Cina, è necessario usare la forza. La diplomazia, e lo dimostrano i fatti, non funziona con il governo di Pechino, che davanti alle richieste delle feluche è abilissimo a fare orecchie da mercante. Ma quando viene schiaffeggiato, risponde con toni sommessi. L’ultima prova in ordine temporale di questo teorema viene dal rapporto con il Dalai Lama, che nei giorni scorsi ha annunciato di non voler più continuare sulla strada del dialogo con la controparte governativa e ha gettato la spugna del confronto con gli invasori. L’annuncio, che apre la porta all’attivismo violento di gruppi tibetani paramilitari, ha provocato sgomento nel mondo. E un cambio di marcia a Zhongnanhai (la sede del governo cinese), che ha ieri annunciato la ripresa «nel prossimo futuro dei colloqui con i rappresentanti del Dalai Lama». La notizia, diramata dall’agenzia di stampa ufficiale del governo Xinhua, finisce in una riga. Da parte sua, il ministero degli Esteri cinese – che solitamente bacchetta il leader buddista – ha aggiunto di non avere alcuna dichiarazione da fare. A dimostrazione che il nuovo corso di colloqui vuole partire, se non con propositi positivi, almeno senza rancori.

S

Il terzo incontro di quest’anno fra il governo e i rappresentanti del leader tibetano, recita un breve articolo del People’s Daily (quotidiano governativo) «avrà luogo nonostante gli incidenti di Lhasa in marzo e le gravi azioni di disturbo e sabotaggio dei Giochi Olimpici di Pechino da parte di un pugno di secessionisti del “Tibet Indipendente”». Che poi sarebbero i tibetani di terza generazione, nati in India dopo la fuga dalla regione del 1959, che sopportano a stento i richiami alla non violenza del Premio Nobel per la pace e si attivano da anni per un approccio più violento con i cinesi. La serie di incontri tra i rappresentanti del Dalai Lama e il governo cinese è iniziata nel 2002. Da parte tibetana, hanno sempre presenziato due parenti stretti del leader buddista, mentre per la Cina sono scesi in campo alcuni funzionari del ministero degli Esteri e dell’Ufficio affari religiosi. Questi colloqui non hanno mai prodotto risultati concreti. Così come è molto probabile che anche i prossimi finiranno nel nulla, data l’insanabile ferita che divide i partecipanti. Eppure, il risultato di far tornare Pechino sui suoi passi è stato ottenuto. E questo grazie ad una prova di forza, che ha dei precedenti illu-

d e l

g i o r n o

Pakistan, terremoto colpisce il Belucistan È di almeno 160 morti il bilancio - tuttora provvisorio - del terremoto che ha colpito all’alba di ieri la provincia sud occidentale pachistana del Belucistan. A rendere nota la cifra è Dilawar Khan Kakar, sindaco di Ziarat, capoluogo della vallata epicentro del sisma, circa settanta kilometri a nord est della capitale provinciale Quetta. La cifra è destinata ad aumentare, perché il numero dei feriti è molto maggiore e molti abitanti risultano dispersi. Otto villaggi della valle più colpita sono stati completamente devastati. Il sisma ha raggiunto un’intensità di 6,5 gradi Richter e si registrato verso le 5.10 del mattino ora pakistana, mentre in Italia era da poco passata la mezzanotte. Le operazioni di soccorso, cui stanno collaborando le forze armate con gli elicotteri, sono ostacolate dalla natura impervia dell’aerea e molte strade sono rimaste bloccate da frane e smottamenti. Sempre in Belucistan, nell’ottobre del 2006, una scossa sismica di 7,6 gradi Richter provocò almeno 73mila vittime.

Damasco, ambasciata Usa verso la chiusura L’ambasciata statunitense a Damasco potrebbe chiudere in seguito al raid aereo lanciato domenica scorsa in territorio siriano da elicotteri Usa provenienti dall’Iraq. La notizia è stata data in prima battuta dalla tv Al Jazeera ed è stata poi confermata dalla stessa sede diplomatica a Damasco, che nel suo sito internet parla di chiusura “per un periodo di tempo indeterminato”, in riferimento “all’azione militare al confine tra Siria e Iraq” di domenica scorsa.

Somalia, ondata attentati kamikaze, strage in base Onu

Il XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso, leader dei buddisti tibetani e Nobel per la pace. Da anni, il religioso cerca una via di dialogo con la Cina stri in vari ambiti considerati “scomodi” dal governo cinese. Per fare soltanto un passo indietro, si può citare l’assegnazione del Premio Sakharov per la libertà di espressione al dissidente in carcere Hu Jia. Il Parlamento europeo, che assegna il prestigioso riconoscimento, aveva ricevuto il giorno prima

Tibet, dissidenti, vescovi cattolici: l’esperienza insegna che soltanto dando una dimostrazione di forza si mette al muro il dragone un avvertimento di tipo mafioso da parte dell’ambasciatore cinese presso l’Unione. Nella lettera inviata al presidente Ue Hans-Gert Poettering, il diplomatico aveva sconsigliato di premiare quello che in patria viene considerato «un pericoloso sovvertitore». Ignorando la minaccia, i 27 hanno messo la Cina con le spalle al muro: e questa non ha fatto altro che chinare la testa e prendere atto della situazione.

Stesso discorso, anche se leggermente diverso, può essere fatto per la nomina del nuovo arcivescovo cattolico di Pechino, monsignor Li Shan. Il candidato, infatti, ha fatto sapere di voler avere anche l’approvazione vaticana prima di indossare la mitria, e alcuni leader cattolici hanno fatto sapere di non essere disposti a sopportare un nuovo prelato imposto dal governo. Che ha fatto, una volta di più, buon viso a cattivo gioco e si è piegato al dialogo con una controparte a stento sopportata.

Tutto questo dimostra che il dragone asiatico è sì un monolite che tende al dispotismo e all’isolamento diplomatico - che difende sbandierando la sua forza commerciale - ma è anche in grado di accogliere un discorso pragmatico, quando gli viene presentato. L’importante è capire che, per trattare in maniera conveniente con culture straniere, è necessario conoscerne la mentalità che la formano. E il confucianesimo intriso in tutti gli strati della società cinese insegna che davanti a una sfida che non si può vincere si deve chinare la testa. Anche a costo di perdere faccia.

Decine i morti, numerosissimi i feriti. È il bilancio dei tre attentati messi a segno ieri mattina nel Somaliland, che hanno colpito una sede dell’Undp (il programma Onu per lo sviluppo), un consolato etiope e il palazzo presidenziale. Un’ondata di mortali attacchi suicidi, ancora non rivendicati, ma secondo ogni evidenza di matrice islamica, ha sconvolto Hargeisa, capitale del Somaliland (nord est della Somalia) e Bosasso, principale città del Puntland (nord ovest). Tutto si è scatenato, quasi contemporaneamente, intorno alle 9 locali (7 di mattina italiane). I principali obiettivi (ma non gli unici) sono stati l’ambasciata etiopica, la sede Onu ed il palazzo presidenziale ad Hargeisa; a Bosasso il centro di polizia dove, secondo un bilancio ufficiale, sei poliziotti sono stati uccisi in un duplice attacco kamikaze. Gli obiettivi, a parere unanime degli osservatori, indicano con chiarezza la matrice islamica: le forze Onu, loro nemiche per definizione; gli etiopici, che “occupano” la Somalia col tallone di ferro da quasi due anni; la polizia del Puntland, che è il feudo del presidente somalo Abdullahi Yusuf, arcinemico degli islamici, ed alleato degli etiopici. Tutto ciò, certo non casualmente, mentre a Nairobi si svolge il vertice dell’Igad (l’organismo regionale, raggruppa sette Paesi), dedicato proprio alla tragedia somala.

Morto padre Digal, martire dell’Orissa Padre Bernard Digal, sacerdote picchiato in maniera brutale dai fondamentalisti indù la notte del 25 agosto in Orissa, è morto dopo una lenta agonia durata più di due mesi. Il religioso è deceduto dopo essere stato ricoverato d’urgenza. In una testimonianza pubblicata integralmente da liberal il 12 settembre scorso, padre Bernard aveva denunciato «senza acredine, ma anche senza dolcezza» la brutalità dell’assalto, in seguito al quale per una notte intera è rimasto senza conoscenza e seminudo nella foresta, finché non è stato ritrovato dal suo autista. Padre Bernard Digal ha ricevuto la corona dei martiri.


mondo

30 ottobre 2008 • pagina 11

Profughi in fuga. In basso, Laurent Nkunda. Autodefinitosi guardiano della pace, Nkunda sta oggi guidando i ribelli contro le forze armate regolari e ha provocato la debacle dell’esercito del Congo, costringendo alla ritirata le truppe del Munoc, la missione dei caschi blu Onu che con ben 17mila uomini dispiegati sul territorio è attualmente la più imponente nel mondo a guerra sconosciuta del Congo (ex Zaire) si è riaccesa. Le truppe ribelli del Cndp (Congresso Nazionale del Popolo) al comando del generale dissidente filoruandese Laurent Nkunda sono alle porte di Goma, il capoluogo della provincia del Nord Kivu. In fuga forze dell’ordine regolari e residenti. «La gente si sta accalcando e la città è nel panico» ha detto Julien Paluku, governatore della provincia. E mentre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si riuniva ieri sera per un vertice d’emergenza, atterrava nella regione il Commissario Ue per lo Sviluppo, Louis Michel, per valutare la situazione umanitaria.

L

Quella del Congo è una guerra che dura da 14 anni e ha provocato sei milioni di vittime. Si tratterebbe della prosecuzione della guerra ruandese del passato, che ha visto la contrapposizione delle etnie tutsi e hutu, sebbene l’intenzione dei guerriglieri – tutti di etnia tutsi - sembrerebbe essere quella di “liberare” l’intero Congo. Di etnia Tutsi è anche Laurent Nkunda, autodefinitosi guardiano della pace e ricercato per crimini di guerra fin dal 2005. Nkunda, 41 anni, ex ufficiale dell’esercito del Congo-Kinshasa, ex alleato dell’attuale presidente Kabila, nella rivolta contro Mobutu, sta oggi guidando i ribelli contro le forze armate regolari e ha provocato la debacle dell’esercito regolare del Congo, costringendo alla ritirata le truppe del Munoc, la missione dei caschi blu dell’Onu che con ben 17mila uomini dispiegati sul territorio è attualmente la più imponente nel mondo. Alan Dosse, capo della missione Onu a Kinshasa, ha tuttavia precisato che solo meno della metà del

Congo. Convocato nella notte vertice urgente Consiglio Sicurezza Onu

Goma, esercito in fuga avanzano i ribelli di Franz Gustincich contingente è attualmente impiegato nella regione.

Nkunda, che per molti è solo un tirapiedi del vicino Ruanda, è a capo del “Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo”(Cndp), una formazione da lui creata che ha il controllo del territorio abitato dai tutsi nel nord est della Repubblica Democratica del Congo. Ex studente di psicologia, Nkundu ha combattuto nel 1994 contro gli hutu, nella guerra che provocò oltre ottocentomila vittime tra i tutsi e gli hutu moderati, in Ruanda. La guerra in Congo si manifestò poco dopo il termine del genocidio ruande-

na di chilometri da Goma, capoluogo del Nord Kivu, al confine con il Ruanda. Si tratta del campo di Rumangabo, già conquistato dai ribelli all’inizio di ottobre e abbandonato pochi giorni dopo su richiesta della Missione delle Nazioni Unite nel Paese. Goma, seicentomila abitanti, è anche il prossimo obbiettivo dichiarato dai guerriglieri e né le forze armate, né i caschi blu sembrano essere in grado di difendere la città.

Il Cndp è solo uno, benché il più grande, dei gruppi ribelli del Congo, e quando ha ufficialmente dichiarato di rompere ogni

giunti negli ultimi sessanta giorni nei campi, ma altre centinaia di migliaia sono in movimento senza tregua, forse «un milione di persone sfollate nella regione», dice Ron Redmond, dell’agenzia Onu. «Una grande parte della popolazione ha bisogno di aiuto: è difficile lavorare in questa situazione. Quelli che sono stati costretti a lasciare le loro case devono venire da noi, perché noi non possiamo mandare delle nostre squadre nelle campagne, dove sono in corso gli scontri e vige l’anarchia». Statistiche sui morti non ce ne sono, perché è più urgente occuparsi dei vivi, ma già corrono voci di

Capo della guerriglia è il tutsi Laurent Nkunda, 41 anni, ex ufficiale dell’esercito del CongoKinshasa, ex alleato dell’attuale presidente Kabila e ricercato per crimini di guerra fin dal 2005 se. La ripresa delle ostilità nella martoriata regione di Kivu, sembrano dovute al presunto mancato rispetto degli accordi da parte del governo di Kinshasa, che prevedeva anche il ritiro dei ribelli. Con l’offensiva lanciata ieri, gli uomini di Nkunda hanno anche ripreso il controllo di un importante campo militare situato su un asse strategico nell’est dell’ex Zaire, a una cinquanti-

trattativa, ha trascinato gli altri Fdlr, Pareco e Mai Mai - nell’incertezza, abbandonando la regione nord orientale a razzie, saccheggi e reclutamenti coatti di bambini da avviare alle armi. Sono almeno cinquantamila i bambini-soldato congolesi, secondo le associazioni umanitarie che gridano all’emergenza. Come la Ong di Medici senza Frontiere: sono 250mila i profughi

un milione di vittime solo nell’ultimo anno. Intanto, nei campi d’accoglienza – spesso improvvisati – è emergenza sanitaria: colera e diarrea hanno già ucciso decine di persone. Gli uffici

del’Onu a Goma, intanto, sono stati circondati dai manifestanti che accusano l’organizzazione di non aver fatto nulla per proteggere la popolazione civile fin dal 28 agosto, data del riesplodere del conflitto. Quella del Congo è la più grande guerra del continente africano e, dopo il ventennale conflitto del Sud Sudan, la più lunga.

Da Kinshasa, il presidente del Congo, Laurent Kabila, fa sapere di aver costituito un nuovo governo, «una squadra da combattimento a cui sono state assegnate le missioni principali di sicurezza e di ricostruzione», ma le proteste della popolazione per non essere stato in grado di evitare l’avanzata dei ribelli, crescono di ora in ora. Lo scenario che si prospetta per il Congo non è dei più rosei, stretto tra l’inefficienza del proprio esercito, l’incapacità dell’Onu e l’irruenza di ribelli: solo un deciso intervento internazionale potrebbe evitare il massacro che da più parti si presagisce. I gorilla di montagna, che al tempo della guerra in Ruanda meritarono la copertina del settimanale Time, sono ancora una volta in pericolo: nella regione del Nord Kivu ed in particolare nel Parco Nazionale di Virunga al confine con il Ruanda, le truppe di Nkunda hanno fatto fuggire le 50 guardie armate, poste a protezione di duecento degli ultimi settecento animali rimasti al mondo. E ieri sono arrivate le dimissioni del capo dei caschi blu in Congo, il generale spagnolo Vincente Diaz de Villegas: lascia dopo un mese, ufficialmente per motivi personali.


pagina 12 • 30 ottobre 2008

il paginone

La Grande guerra segnò l’inizio del declino del Vecchio continente mentre si consolidava la potenza degli Usa. Novant’anni dopo, le prospettive sembrano ribaltate, in realtà manca ancora un grande progetto di rinascita segue dalla prima Eppure, fin dal 1852, un grande filosofo francese come Auguste Comte, nel suo Corso di filosofia positiva (lezione 57°), aveva messo in luce fino a qual punto le guerre fossero diventate incompatibili con lo spirito della modernità. Comte aveva ragione, ma precorreva i tempi. Precorse i tempi anche Norman Angell, un giornalista britannico che nel 1933 ottenne il Premio Nobel per la pace. Nel 1910 Angell pubblicò un libro, La grande illiusione, venduto in milioni di copie, nel quale fece sperare che in futuro non ci sarebbero state più guerre, poiché l’interdipendenza commerciale fra le nazioni era cresciuta a tal punto da rendere economicamente disastroso ogni conflitto militare. Come fece giustamente osservare Giovanni Amendola nella rivista La Voce del 2 marzo 1911, Angell poteva aver le sue ragioni ma non teneva conto del fatto che le motivazioni alle guerre potevano essere le più varie e irrazionali. Nel 1914, in effetti, tanti uomini politici e quasi tutti gli uomini di affari, consapevoli del pericolo che la guerra poteva rivelarsi economicamente un disastro, furono favorevoli alla pace. Ma

Ernst, partirono volontari. La guerra del 1914 scoppiò soprattutto perché le classi militari delle varie nazioni erano legate a idee arcaiche e si lasciarono travolgere dal meccanismo delle mobilitazioni: il grande impero zarista, che per raccogliere i suoi soldati aveva bisogno di un lasso di tempo molto più lungo degli altri Stati, mobilitò per primo. Ma a quel punto tutte le altre mobilitazioni si susseguirono precipitosamente. Nel 1918 l’Europa riuscì a concludere la guerra grazie soltanto grazie all’intervento degli Stati Uniti d’America. La Germania e l’Austria Ungheria, più che sul campo di battaglia, furono sconfitte dal crescente peso economico e militare dello schieramento alleato, dovuto essenzialmente all’intervento in guerra degli Usa, avvenuto nell’aprile 1917. All’inizio molti europei sottovalutarono il valore di questo intervento, non rendendosi conto del potenziale economico e militare del nuovo intervenuto. Pochi sapevano quali caratteri moderni fossero stati assunti dalla Guerra di secessione (1861-1865) e quanto fossero gigantesche le risorse tecnologiche degli Usa. Basti dire che se nell’anno 1913 le industrie aeronautiche statunitensi si

La Germania e l’Austria Ungheria, più che sul campo di battaglia, furono sconfitte dal peso economico e militare dello schieramento alleato, dovuto essenzialmente all’intervento in guerra degli Usa, avvenuto nell’aprile 1917 tanti intellettuali, tanti piccoli borghesi e tanti giovani studenti e soprattutto gli ambienti militari spinsero le nazioni europee a combattersi. Perfino Sigmund Freud accolse la dichiarazione di guerra con un entusiasmo spontaneo e quasi fanciullesco. Come lui stesso disse in quel fatale 1914: «Tutta la mia libido si riversa sugli austro-ungarici». Per una quindicina di giorni fu così eccitato da cadere in continui lapsus e due suoi figli, Martin ed

limitavano a fabbricare 14 aerei militari, arrivarono a fabbricarne 13.991 nel 1918, moltiplicando la loro produzione per mille in soli cinque anni. Il numero di uomini alle armi, che raggiungeva un totale di 155 mila unità nel 1913, balzava a circa tre milioni di unità nel 1918. Gran parte di essi - nel 1918 - erano già in Europa o in procinto di arrivarci. Gli Stati europei, che dal 1914 si stavano massacrando fra loro, ebbero bisogno che intervenisse

la superpotenza di un altro continente per porre termine al massacro.

Il Trattato di Versailles, con il quale quella guerra si concluse, provocò conseguenze nefaste. Alla Germania e agli altri Stati sconfitti furono imposte condizioni esageratamente punitive; la Russia di Lenin venne totalmente esclusa dalle trattative di pace; gli Stati Uniti d’America e in particolare il suo presidente, Thomas Woodrow Wilson, apparvero alquanto incoerenti. Wilson, infatti che nei 14 punti programmatici del gennaio 1918 aveva affermato di voler rispettare il principio di nazionalità, consentì poi ripetute e gravi violazioni di esso. Il presidente americano era un intellettuale ricco di fascino, ma un po’ libresco e utopista, forse troppo in anticipo rispetto alla cultura dell’Europa di allora. Ebbe modo di assistere alla crisi della sua politica: gli bastò registrare ciò che tanti capi di governo facevano e disfacevano nei saloni dell’Hotel Crillon, sulla Place de la Concorde, all’interno del quale una lapide sta ancora a indicare che i veri luoghi della conferenza di Parigi si trovavano là, in quei saloni riservati di un albergo, a dispetto della diplomazia aperta, pubblica e priva di segreti auspicata nei 14 punti. E anche Wilson partecipò a quei maneggi. Gli Stati Uniti, che per garantire la pace avevano proposto l’istituzione di una Società delle nazioni, decisero poi di non entrare a farne parte. E il fatto che nel 1920 il Senato di Washington rifiutasse di ratificare il Trattato di Versailles la dice lunga sulle contraddizioni in cui gli americani si trovarono invischiati durante la conferenza parigina. L’assenza della Russia da tale Conferenza fu un altro elemento che contribuì al fallimento del Trattato di Versailles. Fino al 1917, la Russia era stata una grande potenza militare ed economica. La guerra, la rivoluzione di febbraio e il successivo avvento dei bolscevichi avevano

1918, il suic di Piero Melograni prodotto nell’ex-impero zarista un grande caos. Nel 1918 le armate tedesche costrinsero i bolscevichi alla pace di Brest Litowsk, e Lenin, subito dopo e per sopravvivere, strinse un accordo con i tedeschi. Alla fine del 1918, dopo la sconfitta della Germania, i bolscevichi tentarono di accordarsi con l’Inghilterra, gli Usa e le altre potenze vittoriose. Nel dicembre 1918 Maxìm Litvìnov spiegò che, pur di essere riconosciuta dagli altri Stati, la Russia di Lenin era pronta a offrire un’amnistia politica, la fine della censura sulla stampa, l’autodeterminazione per la Polonia e l’Ucraina, nonché un riesame dei debiti contratti dai governi zaristi con gli Stati esteri. Il premier britannico David Lloyd George sarebbe stato favorevole a un’intesa. Ma gli americani e i france-

si si mostrarono contrari. Il segretario di Stato americano, Robert Lansing, ordinò segretamente a un suo funzionario, William C. Bullitt, di andare a Mosca, da Lenin. Il 14 marzo 1919 il ministro degli Esteri bolscevico, Georgy V. Cicèrin, consegnò a Bullitt un documento, con il quale Lenin rinunciava a territori immensi, corrispondenti ai quattro quinti della futura Unione Sovietica. Le grandi potenze vincitrici esitarono. Avevano due scelte: accordarsi con Lenin o abbatterlo con le armi. Non perseguirono seriamente né l’uno né l’altro obiettivo, così che i russi non firmarono nessun trattato di pace con gli Alleati. Le premesse dei patti russo-tedeschi del 1920 (Rapallo) e del 1939 (Hitler-Stalin) furono poste allora. Wilson che, voleva favorire la


il paginone

30 ottobre 2008 • pagina 13

Le risorse economiche e militari degli Usa erano dunque enormemente cresciute rispetto alla prima guerra mondiale e la stessa Unione Sovietica riuscì a combattere vittoriosamente perché attinse ampiamente a esse. Dopo due guerre mondiali cruente e distruttive, l’Europa fu lacerata da una terza guerra mondiale, la guerra fredda, durata quasi mezzo secolo, destinata a concludersi anch’essa, nel 1989-90, grazie al peso economico e militare esercitato dagli Usa. Al termine della guerra fredda, l’Europa era materialmente più ricca e istruita di prima. Ma restava lontanissima dall’influenza raggiunta nel 1913. Il controllo diretto o indiretto del globo era stato perduto

smi europei, a ben riflettere, erano il sintomo di un ritardo culturale assai più vasto, generale e profondo. Un’ulteriore causa del declino europeo deve essere poi trovata nel successo che il movimento comunista ottenne in Russia con la rivoluzione del 1917 e più tardi, nel 1945, grazie alla forza delle armi, in una vasta parte dell’Est europeo. Per valutare il danno provocato dal sistema comunista all’Europa nel suo insieme si pensi al fatto che nel 1913 il prodotto lordo dell’Europa dell’Est (impero zarista incluso) aveva superato il 17% del prodotto mondiale. Nel 1992, dopo decenni di una disastrosa economia pianificata, il peso dell’Europa dell’Est si era più che dimezzato, scendendo

Nel dicembre 1918 Maxìm Litvìnov spiegò che, pur di essere riconosciuta dagli altri Stati, la Russia di Lenin era pronta a offrire un’amnistia politica, la fine della censura, l’autodeterminazione per Polonia e Ucraina, e un riesame dei debiti

cidio dell’Europa pace europea, accettò poi che alla Germania fosse imposta una pace «cartaginese» foriera di vendette e dannosa per tutti. L’interdipendenza economica fra le nazioni faceva sì che nessuno avesse da guadagnare imponendo alla Germania esose riparazioni di guerra. Anche il grande economista John Maynard Keynes, che faceva parte della delegazione britannica alla Conferenza della pace, aveva messo in guardia gli Alleati dall’imporre quelle riparazioni. Ma non fu ascoltato. L’economia tedesca entrò in crisi e le riparazioni furono pagate dai tedeschi solo in piccola parte. Nel 1929 la loro cifra venne fortemente ridotta e si previde che la Germania avrebbe finito di pagarla nel 1988. La punitiva pace di Versailles non soltanto impedì agli Alleati di far rifiorire vantaggiosi commerci, ma pose le basi, in

terra germanica, di quello spirito di rivincita che consentì a Hitler di conquistare il potere e di avviare il mondo verso una seconda grande guerra. Il nazionalsocialismo tedesco, il comunismo russo e il fascismo scaturirono dalla Grande guerra, dall’infelice pace di Versailles e dalle angosce che il progresso tecnologico stava generando. La guerra aveva infatti dimostrato che il progresso materiale poteva essere produttore di ricchezze, ma anche di incomparabili danni. Tutti e tre i totalitarismi europei interpretarono un rifiuto della modernità. Accettarono gli arsenali militari moderni, indispensabili alla sopravvivenza del potere, così come accettarono le moderne forme di propaganda politica. Ma rifiutarono la modernità nella sua essenza, vale a dire le aperture verso le innovazioni, le flessibilità, gli scambi, e l’interdipen-

denza fra le nazioni. Preferendo invece l’autarchia. Non fu casuale che nell’estate del 1939 tutti e tre i totalitarismi europei si trovassero schierati dalla stessa parte contro le democrazie. L’Unione sovietica fu poi aggredita da Hitler nel 1941, replicò con energia all’imprevista aggressione e alla fine della guerra si trovò dalla parte delle nazioni vittoriose. L’Italia si staccò dall’Asse nel 1943 e le fu riconosciuto lo status di nazione cobelligerante. Tuttavia la nuova guerra mondiale si risolse ancora una volta grazie all’intervento degli Stati Uniti d’America, guidati dal presidente Franklin D. Roosevelt. Gli Usa, nel 1938 producevano soltanto 1.800 aerei militari. Dal 1941 al 1945, gli anni di guerra, ne produssero 294 mila. Nel 1938 avevano alle armi poco più di 300 mila uomini. Nel 1945 più di 12 milioni.

insieme con le colonie e con gli imperi. L’economia di tutta l’Europa occidentale unita insieme risultava ormai inferiore a quella statunitense. E una notevole inferiorità doveva essere registrata anche nel campo della ricerca scientifica. Mentre nel primo decennio del secolo Ventesimo la quasi totalità dei premi Nobel per la fisica, la chimica e la medicina era attribuita a studiosi europei, negli ultimi anni di quel secolo i due terzi dei premi Nobel erano assegnati a scienziati extra-europei. Al termine della guerra fredda, dopo l’uscita di scena dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti restavano l’unica grande potenza che potesse aspirare al ruolo di poliziotto del mondo. Il declino degli europei è strettamente intrecciato con l’ascesa degli americani. Ma sarebbe sbagliato pensare che l’ascesa degli uni sia stata la causa del declino degli altri, anche perché in tutte le grandi guerre del Ventesimo secolo, gli americani si comportarono sempre come amici dell’Europa. Le cause del declino europeo devono essere invece cercate all’interno del vecchio continente e in particolare nelle tante idee arcaiche di cui gli europei si sono fatti così spesso portatori. I tre totalitari-

sotto l‚8% del prodotto mondiale. Non vi sono dubbi sul fatto che l’impero sovietico abbia rappresentato, per lo sviluppo dell’Europa, la ferita più grande: e di certo anche per motivi ben più vasti e drammatici che la discesa del prodotto interno lordo. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, l’Europa occidentale cercò di reagire sia alle catastrofi belliche sia alla minaccia comunista, dando vita alla Ceca, al Mercato comune europeo e poi all’Unione europea. I risultati sono stati notevoli, al punto che, dopo la caduta del comunismo, molti Paesi dell’Est sono entrati a far parte dell’Unione. Tuttavia, nelle difficili condizioni attuali, non si può credere che il modello sociale europeo, assai più costoso del modello statunitense, possa facilmente consolidarsi. Al fine di conseguire questo ambizioso obiettivo l’Europa dovrebbe essere molto più competitiva di oggi e molto più forte militarmente. Ma è probabile che un autentico rinnovamento dell’Europa possa avverarsi solo se porrà le sue radici in una cultura nuova e trascinante, oltre che in una politica più chiara ed energica, capace di contrastare un secolo e più di declino. Il che, al momento, non sembra accadere.


pagina 14 • 30 ottobre 2008

mondo

Casa Bianca. A una settimana dal voto i sondaggi dicono Barack

Ecco l’America di Obama Luci e ombre del più probabile vincitore della corsa presidenziale di Michael Novak dalla prima Ma c’è qualcosa di inconsistente riguardo al sostegno per il senatore Obama. La gente non si fida. Ci sono troppe zone del suo passato che sono rimaste segrete. Tutte le informazioni sulla sua vita passata che conosciamo veramente, mostrano la sua provenienza da ambienti dell’estrema sinistra che fondamentalmente avversavano le idee base dell’America. La loro idea di change è quella di fare dell’America un Paese più eurosocialista dove le politiche redistributive siano determinanti. Provano un certo disprezzo per i valori fondanti dell’America, perché basati sullo sforzo personale e sul merito individuale, quindi non sufficientemente redistributivi. Obama ha anche un amico molto stretto che è stato in passato un assistente di Yasser Arafat ed è fortemente anti-israeliano. Questa storia è stata tenuta segreta. Per tutte queste ragioni non sono ancora convinto che Obama emergerà come il vincitore la mattina del 5 novembre.

Molti sono convinti che avrà una vittoria schiacciante, come quella di Ronald Reagan nel 1980 o nel 1984. La prova dei fatti sembra andare in quel senso. I realisti affermano che sarà così. I sondaggi appaiono dalla loro parte. Ancora, alcuni sondaggi considerano Obama avanti di 13 punti, altri di due soli. Cosa potrebbe fare la differenza? I sondaggisti fanno valutazioni molto diverse sulla reale natura dell’elettorato 2008. Alcuni danno ai democratici un insolito vantaggio sui repubblicani, nella misura del proprio campione. Altri assegnano, quest’anno, un maggior numero di voti “neri”rispetto al passato. Altri ancora pensano che l’elettorato sotto i 25 anni (formato specialmente da studenti universitari) sarà molto numeroso. Infine ci sono quelli che, sulla base delle passate esperienze, non vedono grandi cambiamenti. La qualità dei sondaggi dipende sempre dal

numero del campione. Se una rilevazione è fatta sulla base di un migliaio di votanti , anche un errore di sole venti dichiarazioni di voto può pregiudicare tutto. Il mio atteggiamento personale è fortemente contro Obama su argomenti come l’interruzione di gravidanza (è il più strenuo sostenitore dell’aborto nella storia degli Usa), e la fondamentale importanza per le classi meno abbienti e per la classe media di avere una libera impresa e un’inventiva molto attive, che possano creare nuove industrie e milioni di posti di lavoro come è accaduto, con Ronald Reagan, con l’invenzione del pc, del telefono cellulare, delle compo-

nenti elettroniche per automobili e per altri dispositivi in precedenza solo meccanici. Obama confonde l’innalzamento della pressione fiscale (vorrebbe aumentarla per tutto specialmente alle imprese) con gli introiti provenienti dalle tasse. Ad esempio, quando Reagan divenne presidente, il prelievo fiscale nella fascia più alta era del 70 per cento. Reagan tagliò sostanzialmente questa aliquota a circa il 35 per cento. Ma gli introiti fiscali dello Stato non furono mai così alti. I ricchi pagarono più tasse, in parte perchè il prelievo percentuale per dollaro era più basso. Reagan prese una grande massa di denaro dalle classi benestanti,

I temi che dividono di più: l’aborto, le tasse sulle imprese e quelle sul capital gain. Molti dicono che dietro la fuga da Wall Street ci sia la paura degli investitori. Ma se vincerà, gli Usa faranno squadra

recuperando da loro più tasse di quanto non avesse fatto nessuno prima di lui. Nell’opinione di alcuni, una delle ragioni del cattivo andamento della Borsa risiede nell’annuncio di Obama di voler raddoppiare la tassa sul capital gain. In altre parole, invece di essere tassati del 15 per cento sui guadagni, Obama tasserà gli investitori del 30 per cento. Nessun dubbio che ora tutti stiano correndo a vendere le proprie azioni. Se lo facessero dopo la nomina di Obama dovrebbero pagare una tassa extra del 15 per cento. Il senatore non sembra conoscere l’arte dell’utilizzo dell’incentivo umano per ottenere ciò che vuole. Preferisce essere punitivo.

Nella vita reale raramente funziona. Non è stato san Francesco di Sales a raccontare la parabola del vento gelido e sferzante che tentava di convincere un uomo a togliersi il mantello,


mondo

30 ottobre 2008 • pagina 15

Cina, Russia e islamici vogliono un cambio o un avversario più debole?

Anche i nemici degli Usa preferiscono lui di Enrico Singer a Georgia fa il tifo per McCain, la Russia per Obama. E ancora, le Filippine, la Cambogia e perfino il comunista Laos sono per il candidato repubblicano, mentre la Cina e tutti i Paesi islamici sono dalla parte del candidato democratico che stravince anche in Africa e in Europa, naturalmente, sia pure con le significative eccezioni di Polonia, Estonia, Lituania e Lettonia. Dal maxi-sondaggio della Gallup condotto in settanta Paesi e dalle altre indagini demoscopiche che si sono intrecciate in questi giorni, si ricava una fotografia del mondo apparentemente semplice - se a scegliere non fossero gli americani, Barack Obama avrebbe già vinto - ma che, in realtà, è molto più complessa perché dietro ogni preferenza raccolta ai quattro angoli del pianeta c’è una motivazione e un’aspettativa diversa. E il 56 per cento degli italiani che scommette su Obama non è nemmeno comparabile al 56 per cento della media dei Paesi africani.

L

altro esempio. Ma ci sono anche tutti i ”nemici”di Washington: dalla Russia alla Cina, dal fronte dei Paesi islamici a quello dell’America Latina più antiyankee.

Che cosa spinge i palestinesi (33 per cento contro 11 per cento) a preferire Obama a McCain? Che cosa spinge Mosca o Pechino a sperare che alla Casa Bianca entri il candidato democratico? E che cosa fa preferire il candidato repubblicano ai georgiani che hanno appena vissuto l’esperienza dell’invasione dei carri armati russi? Attenzione: anche in questo caso sarebbe troppo semplicistico, e quindi sbagliato, dire che l’asse del male, come Bush definì i Paesi nemici degli Usa, parteggia per Barack Obama. Il problema è capire se chi si augura di non avere a che fare con un presidente di nome John McCain lo fa perché si attende dal nuovo capo della Casa Bianca una rottura con la politica di Bush e l’apertura a una visione dei rapporti internazionali più rispettosa del multilateralismo, oppure perché considera Obama più debole e, quindi, un avversario più facile da battere in una logica di confronto o di nuova guerra fredda. Insomma, si tratta di scegliere una lettura ottimistica o pessimistica dei numeri delle indagini demoscopiche. E questo è ancora più vero per i dati che la Gallup ha raccolto in Europa. Ma c’è anche una terza via d’interpretazione che potrebbe rivelarsi la più corretta nel caso di una vittoria - anche nelle urne - di Barack Obama su John McCain. È vero che i due sfidanti hanno programmi assai diversi, soprattutto in politica interna ed economica. Ma è altrettanto vero che la storia degli Stati Uniti ci ha insegnato che, al di là dell’alternanza democratici-repubblicani, ci sono dei valori, c’è una scelta di campo che, specialmente in politica estera, rappresentano una costante per tutte le amministrazioni. Presidenti democratici hanno deciso gli interventi nelle due guerre mondiali, come in quella del Vietnam, hanno gestito le crisi con Cuba e con l’Iran. Con buona pace dei sondaggi.

Il candidato democratico raccoglie consensi trasversali all’estero, ma le attese e le speranze sono l’effetto dei conflitti con gli Stati Uniti

Al successo internazionale ma questi se lo teneva ancora più stretto intorno? Solo quando un sole gentile e raggiante cominciò a comparire, l’uomo cominciò a sfilarsi il mantello fino a toglierselo del tutto. Infine sono preoccupato della naiveté del senatore Obama sull’uso della forza in questo mondo povero e peccaminoso. Mi ricorda gli oppositori di san Pio V, nel 1571, quando il Papa, da solo, aveva avvertito il pericolo della grande flotta musulmana che stava risalendo le coste dell’Italia, mentre la maggior parte dei sovrani del Nord preferivano vedere nei turchi dei partner commerciali. Solo per la grazia del Signore, don Giovanni d’Austria e la sua flotta evitarono un disastro per la civiltà il 7 ottobre di quell’anno con un attacco preventivo (la battaglia di Lepanto, ndr). Da parte mia, giudico che una presidenza Obama precipiterebbe gli Stati Uniti in una crisi fondamentale riguardo la propria identità. Il suo non è un “cambiamento” in cui possa credere. Ma forse mi sbaglio. Supponiamo che vinca. Allora sarà il mio presidente, ed

io lo sosterrò. Non credo in un sistema dove se vince il partito avverso, gli altri fanno ogni tentativo per spingerlo in fondo al pozzo. No, dobbiamo aiutarli affinché riescano.Visto che abbiamo solo un presidente per volta. È importante per noi fare squadra. Inoltre mi consolerà la vista dell’orgoglio dipinto sulle facce dei miei amici di colore e su quelle dei loro figli.

Una vittoria di Obama sarà di enorme importanza per loro. E se per caso Obama dovesse uscire sconfitto il 4 novembre, molti neri, specialmente quelli di estrema sinistra, non crederebbero mai in un’elezione senza brogli. Alcuni potrebbero dare sfogo alla rabbia. Non hanno mai davvero perdonato le due vittorie di Bush nel 2000 e nel 2004. La loro furia per una sconfitta nel 2008 sarebbe inimmaginabile. La tragica rovina della sinistra è che le sue idee più belle semplicemente non funzionano in pratica. La sua visione del mondo è gnostica. Come dire che non è all’altezza della complessità della natura umana, rot-

ta al peccato e imperfetta. La sinistra non è edotta sull’arte degli incentivi e su come ottenere quel che di buono c’è negli uomini, non aspettandosi da loro troppa virtù. Naturalmente può essere troppo tardi per un realismo biblico e umanistico in questa campagna elettorale. I media ( carta stampata e digitale) sono stati incantati dallo gnosticismo e dallo scarso realismo di Obama. Non hanno mai sottoposto la sua vita, la sua personalità, lasciando stare le sue idee radicali, ad una critica intelligente. Hanno presentato al pubblico un Grande Sconosciuto. La tragica rovina per gli americani è la vulnerabilità al sentimentalismo e a un ingenuo idealismo. Ora dobbiamo avere fiducia che la volontà divina continui a benedire l’America, a dispetto della nostra debolezza nazionale. Comunque, fino a quando non sarò costretto a capitolare davanti all’incontrovertibile realtà del totale dei voti continuerò a sperare che, ancora una volta, saremo salvati da noi stessi e benedetti più di quanto non meritiamo.

del candidato democratico c’è una spiegazione già nella sua biografia. Figlio di un africano del Kenya e di una bianca americana, nato nelle isole Hawaii (politicamente uno degli States, ma geograficamente Oceania), cresciuto in Indonesia con un patrigno musulmano, in corsa per diventare il primo presidente nero degli Usa, Barack Obama è talmente multietnico e trasversale che per lui ottenere consensi in parti anche estremamente diverse del globo è quasi scontato. Ma questa prima spiegazione non basta. È troppo facile dire che Obama vince nell’opinione pubblica mondiale perché ognuno ritrova nella sua personalità e nella sua storia un pezzetto di se stesso. Se si rovescia il discorso e si mettono in fila i Paesi che hanno preferito - almeno stando ai sondaggi - lo sfidante democratico a quello repubblicano, emerge una classifica particolare. È vero che con Obama ci sono molti Paesi amici degli Usa, compresa l’Italia o la Gran Bretagna, per fare soltanto un


pagina 16 • 30 ottobre 2008

società

Ritorni. Maradona, genio disperato sulla panchina argentina

Ultimo tango a Baires Un solista può guidare un gruppo? A Diego serve un’altra “mano di Dio” di Pier Mario Fasanotti lcuni capitoli della sua vita li ha scritti un commissario di Polizia, al quale doveva rispondere del reato di droga, dell’uso e dell’abuso della cocaina e altre schifezze chimiche, e del sospetto di frequentare malavitosi di grossa panza, quelli con le banconote arrotolate e la pistola in faccia invece delle fidejussioni. Ecco, si deve pur partire dalle notizie - i verbali non sono pettegolezzi - per commentare la scelta di Diego Armando Maradona, 48 anni oggi, quale nuovo allenatore della nazionale di calcio argentina. Pardon: Selection, si deve dire così, in omaggio al funambolismo sudamericano, all’entusiasmo populistico che le scarpe con i chiodi raccoglie nelle periferie, a tutto vantaggio del potere in sella a Buenos Aires.

A

C’è sempre tanta retorica quando si scrive, come effettivamente è stato scritto, che «era destino». Il “pibe de oro” che il 30 ottobre 1997 aveva annunciato il definitivo ritiro dal calcio, sale ora in cattedra. E c’è da giurarlo: la prima lezione ai convocati in maglia bianco-celeste sarà ispirata alla sua eccezionale abilità di cadere e rialzarsi. Il destino di un singolo potrà diventare destino collettivo? Chissà. I dirigenti argentini devono aver familiarità col gergo e il modo di pensare dei partenopei, spassosi nelle esagerazioni, chiassosi, enfatici, generosamente e pericolosamente inclini ad affidare il proprio destino sempre in bilico per non dire sull’orlo del burrone - al San Gennaro o alla Sophia Loren di turno, al divo, all’eroe che

quando riesce a far qualcosa di buono inesorabilmente viene additato come “quello del miracolo”. Un consiglio a quei simpaticoni di argentini: traducete in lingua castigliana certi versi napoletani scritti in onore del pibe, alias “la mano de Dios”(di gol con la mano ne ha fatti, non c’è che dire). Per esempio: «Chist’è nu diavulillo, e ce ne vonn ciento p’o fermà». E ancora: «Maradona piensace tu… finalmente ce putimmo vendicà». La vittoria con la palla, a Napoli ma anche nelle Pampas, è certamente allegria, ma prima ancora riscatto e rabbiosa ri-

vincita. La Selection bianco-celeste ha fatto un po’ schifo in quest’ultimo periodo. Pure nelle qualificazioni sudamericane in vista del 2012 a Londra, data del campionato mondiale, resa dei conti con molte vittime e spunto per filosofeggiare sulle formazioni.

Pratica, questa, che si è sostituita al socratico ragionar quotidiano. Anche in casa, mica solo al bar di sotto. I von Clausewitz di oggi sono i coach, i mister, quelli che siedono in panchina e non sulle poltrone di pelle dei comandi militari supremi. Il vero “Vom Kriege” (Trattato sulla guerra) è l’anticipazione fatta dalla Gazzetta dello Sport. Oggi la volpe del deserto non è più Rommel - e chi se lo ricorda più, qualcuno potrebbe pensare che sia un refuso di rimmel - ma un centravanti tunisino o marocchino. I libici meglio non considerarli, sono troppo impe-

lo premiarono come “Maestro ispiratore di sogni”. Dove? All’Olympic Stadium di Stratford? Ma va. Nientemeno che all’austera Oxford University. Quei parrucconi così bene educati dimenticarono, davvero o per finta, quel suo gol all’Atzeca Stadium di Città del Messico che ferì a morte la di-

tura per riuscire a obbedire a regole ferree? Fidel Castro è suo amico. Tra lider maximi ci si intende al volo. All’uomo d’oro la gente comune dice poco. Sul braccio ha il tatuaggio del Che, che era argentino, come non ricordarlo. “Victoria siempre”, non è così? Ma i dubbi rimangono. E sono forti. Fantasista eccezionale, i lobi cerebrali tutti nei piedi in quei momenti fatali, un nuovo Pelè (nome da cancellare se si vuole compiacere il permaloso Dieguito: non accetta questo imbarazzante confronto).

Il “pibe de oro” che il 30 ottobre 1997 aveva annunciato il definitivo ritiro dal calcio, sale in cattedra. E la prima lezione sarà ispirata alla sua eccezionale abilità di cadere e rialzarsi gnati a comprare azioni in Italia. Di banche, non di soccer club come piacerebbe al figlio del Colonnello. Il campo di calcio è ormai la più vasta e condivisa serra onirica. In ogni angolo del mondo, anche se Cina e Usa peccano ancora di tiepidezza malgrado le operazioni alla David Beckham, insomma le importazioni di uomini-cartelloni pubblicitari. Anche i gentlemen della Britannia, che compassati lo sono sempre di meno, son rimasti rapiti da Diego gesticolante tribuno di popoli e di curve nord e sud a digiuno di idoli e di allori. Tanto è vero che nel 1995

fesa inglese, colpaccio che s’infilò subito nel miglior archivio calcistico. Una cannonata, ben più efficace di quelle sparate dalla marina argentina nella guerra delle isole Falkland, o Malvinas per dirlo nell’idioma iberico (contro gli inglesi, nel 1982). Il pallone è diventato Accademia.

L’ex fanciullino prodigio del Boca Junior pare avere oggi le carte, e ci auguriamo anche la testa, di nuovo in ordine. Di anni fetenti alle spalle ne ha parecchi, questo sì: strafatto di droga, imbolsito, delirante in certe sue affermazioni, sparatore di fucile con giornalisti un po’ troppo curiosi, Maradona è andato a Cuba a disintossicarsi. Che meglio c’è di una ditta-

Ma come allenatore, che è mestiere diverso da quello del solista? Spesso le grandi firme dei giornali si sono dimostrate mediocri come direttori di testata. Non ce lo vedo il geniale e psicotico Vincent Van Gogh alla direzione delle Belle Arti di Amsterdam. Nemmeno Charles Baudelaire a riorganizzare l’Accademia di Francia. Come non vedrei con entusiasmo Umberto Bossi nelle vesti di curatore di un enciclopedia storica del Mezzogiorno italiano (per lui esempio vibrante di ossimoro). I primi segnali sono comparsi, a conferma della perplessità. Il presidente della


società

30 ottobre 2008 • pagina 17

stica significa giocare bene e avere sempre in mente la disposizione tattica della squadra. Punto e basta. Lionel Messi sarà capitano della squadra? Può darsi, e va bene, ma ciò non gli impedirebbe di essere «libero di giocare».

Federazione argentina, Grondona, gli ha affiancato Carlos Bilardo come preparatore atletico e ha detto che ormai a nessun livello non c’è un solo uomo a comandare. Bella frase. Soltanto che Diego ha tenuto subito a precisare:«Convoco io i giocatori, nessun altro». Non si è limitato a dir questo.

La voglia di parlare, in circostanze irripetibili come questa, mette in secondo piano la sua frenesia muscolare, almeno quello che gli è rimasta.

Il quotidiano argentino Clarin (mezzo milione di copie vendute al giorno) ha riassunto ieri il Maradona-pensiero in sei

Qui a destra, il famoso gol di mano di Maradona all’Inghilterra durante i Mondiali del 1986. A sinistra, un murales a Napoli. Sopra, Diego con la coppa sempre nel 1986. Nella pagina a fianco, il campione appesantito, negli anni recenti

punti, partendo da una dichiarazione d’amore: 1) «Per la Selection, lascio tutto». 2) «La squadra la faccio io». 3) «Parlare con i giocatori sarà il mio primo impegno, convincerli uno ad uno. Bisogna rispolverare l’orgoglio d’indossare la maglia dell’Argentina. E il denaro non ha nulla a che fare

con la gloria». 4) «I giocatori del calcio locale devono tornare a sentirsi sostenuti». 5) «Messi è un giocatore fenomenale, a lui bisogna togliergli le responsabilità e lasciarlo libero di giocare. Gli trasmetterò la mia esperienza, a lui come al ’Kun’ (Aguero, ndr) e a Tevez servirà molto». 6) «Veron e Riquelme avranno un posto nella mia Selection». L’entusiasmo della prima ora, è risaputo, può generare confusione lessicale, addirittura concettuale.

Capita. Un punto del proclama di Maradona non è chiaro, e ciò depone male sulla sua lucidità strategica. A proposito dell’attaccante del Barcellona Lionel Messi, davvero un fuoriclasse argentino, non si capisce che cosa significhi «togliergli le responsabilità». Mica fa l’amministratore delegato della Nazionale bianco-celeste. A modestissimo avviso non solo mio ma credo di tutti, responsabilità calci-

Piglio da manager, a parte certi punti oscuri. Che abbia forse seguito da vicino la biografia vanitosissima dell’allenatore dell’Inter, Jose Mourinho detto Mou. Il bell’uomo che sa di esserlo diventa castigatore, il severo che fa epurazioni (fuori Adriano e Cruz: vedremo se non si pentirà), quello che prende appunti su un taccuino manco fosse a una lezione di Karl Popper, accigliato come un assistente universitario con voglia di carriera. Non me lo immagino Maradona come il portoghese Mou. Però condivide con lui l’abilità a curare la propria immagine, positiva (inteso come droga nel sangue) o negativa che sia. Mourinho s’è tagliato i capelli quasi a zero, la sua faccia somiglia al sergentegigante di Full Metal Jacket, ricordate quei signorsì alla West Point che parevano un cascame nazista in versione anti-Vietnam? Non si sa se è vero, ma si dice che quello spendaccione sorridente di Moratti avesse pensato a Maradona come “consigliori”del sergente portoghese: idea strampalata, una di quelle che non vale la pena nemmeno di smentire. Però, la voglia di “fare immagine”dopo l’ingaggio (gratuito) di Beckham da parte dei rossoneri di Ancelotti… In ogni caso la stampa italiana ha accolto con fremiti di entusiasmo il ritorno - e che ritorno trionfale! - di Diego. Un quotidiano è incappato in un involontario umorismo con titolo “L’Argentina nelle mani di Maradona”. Verrebbe da pensare che gli undici gauchos in campo potranno segnare reti con la mano, visto che il loro neo-allenatore del contatto mano-pallone se ne intende. Sacrosanti i “rumours” da Bar Sport: bravo il Maradona, ma riuscirà a essere anche autorevole, credibile come direttore d’orchestra calcistica? Nella domanda s’incista il dubbio più tremendo, quello che preludo a una sola risposta: no. Aspetto che qualche vignettista particolarmente maligno, e bravo, disegni Diego Armando chino sulla striscia bianca di centrocampo convinto di sniffare la più lunga pista di coca mai vista dall’alto. Mi auguro però, amando l’Argentina del grande Jorge Louis Borges, che il pibe conduca i suoi alla vittoria. “Sempre” no, visto che sono tifosissimo della nazionale italiana e in secondo luogo di quella francese.


pagina 18 • 30 ottobre 2008

società

Il libro. “La paga dei padroni” vela i conti in banca dei manager più invidiati, da Tronchetti a Romiti a Geronzi

La lista ragionata dei Paperoni d’Italia di Alessandro D’Amato robabilmente non avrà lo stesso successo de La Casta dei citatissimi Stella & Rizzo, però La paga dei padroni, di Gianni Dragoni e Giorgio Meletti è un libro che andrebbe letto in tutte le scuole. Perché il giornalista del Sole 24 Ore e il suo collega di La7 non si sono rivolti a una casa editrice controllata da un consiglio di amministrazione composto da imprenditori e banchieri per parlar male dei politici, ma si sono limitati a pubblicare per ChiareLettere una serie di informazioni nominalmente pubbliche - e quindi accessibili a tutti - ma nei fatti seppellite all’interno di dati di bilancio spesso incomprensibili ai più.

P

«Concordo con le critiche alle alte remunerazioni della classe dirigente, io mi ritengo esente», dice Cesare Geronzi nella prima pagina del libro, e a proposito dell’ex presidente di Capitalia si ricorda che nel 2007 ha ricevuto un “premio alla carriera” di 20 milioni di euro. «In Italia l’introito di uno banca su ogni conto corrente è in media di 204 euro, contro i 186 della Germania, i 124 della Francia e i 133 della media europea», si ricorda ancora. E nella prima riga dell’introduzione si ricordano i 9 milioni e 426mila euro di stipendio per Alessandro Profumo, amministratore delegato di quella Unicredit che ha avuto nel 2007 profitti in crescita del 9% e un valore di mercato delle azioni in perdita del 17%, mentre la retribuzione dell’amministratore delegato è cresciuta del 39%. Ricorda le proporzioni con gli operai, Dragoni, facendo presente che l’ad di Piazza Cordusio guadagna in un giorno quanto un operaio porta a casa in un anno. E nel proseguio del libro ne ha per tutti: Tronchetti, Buora, Romiti, Agnelli, Geronzi, Bazoli,

Passera, Profumo, Arpe, Pesenti, Ligresti, De Benedetti e il “salotto buono” riunito attorno a Mediobanca. Il paragone con La Casta di Stella & Rizzo lo affrontano anche gli autori, quando scrivono che il tema dei “costi della politica”, che da qualche anno appassiona il Paese, fa riferimento a un onere per la comunità stimato in circa quattro miliardi di euro l’anno. Mentre Dragoni e Meletti ricordano che le famiglie italiane avevano al 31 dicembre 2007 investimenti diretti in Borsa per almeno 200 miliardi di euro, dei quali nei sei mesi dell’anno in corso ne sono stati bruciati 40: dieci volte i costi della politica. Ma è inutile far parlare i numeri: questa progressiva e clamorosa “distruzione di valore” non fa così no-

due partecipanti. Mediobanca ha il controllo delle Assicurazioni Generali (un altro membro del patto Pirelli), che sono anche tra i principali azionisti di Intesa Sanpaolo, a sua volta socia di Tronchetti in Pirelli e Olimpia (la scatola che controllava Telecom), tra i compratori c’erano Intesa San Paolo e Benetton, partecipanti al patto di blocco che controlla Pirelli. C’era poi Mediobanca, che non solo partecipa al patto di blocco Pirelli ma ha anche Pirelli e Benetton tra i suoi membri del sindacato di controllo».

Dragoni scrive per il “giornale dei padroni”, ovvero quel Sole 24 Ore controllato dalla Confindustria. Proprio in quel luogo ha vergato fantastici articoli sulla Cai (la cordata per Alitalia), nonostante a parteciparvi ci fosse anche quella Emma Marcegaglia che degli industriali è il presidente. Questo a dimostrazione del fatto che la libertà di stampa non dipende solo dalle strutture o dalle proprietà, ma anche da chi nei media lavora (e per questo è inutile discutere di “libertà dei media”pensando che sia - ad esempio - il finanziamento/non finanziamento a renderli pluralisti: l’obiettività dei giornalisti dipende dalle persone, in una categoria nella quale i cavalieri senza macchia e senza paura sono storicamente rarissimi). E proprio del fratello della Marcegaglia, per soprannumero, Dragoni ricorda la condanna ad undici mesi di reclusione per corruzione, a causa di una tangente da un milione di euro e spiccioli pagata a un ex project manager di Enipower, dalla quale la Marcegaglia spa si era aggiudicata una commes-

Il volume di Gianni Dragoni (Sole24Ore) e Giorgio Meletti (La7) mette in serie dati di bilancio nominalmente pubblici ma spesso incomprensibili ai più tizia come i viaggi in prima classe dell’assessore regionale.

Anche se colpisce molto di più i portafogli dei cittadini. Il motivo? E’perfettamente spiegato dall’intreccio pressoché inestricabile che lega famiglie e imprese del capitalismo all’italiana, del quale la vecchia catena di controllo di Telecom Italia è solo uno degli innumerevoli esempi: «Mediobanca, Ligresti e Benetton sono, come membri del patto Pirelli, alcuni dei soci forti che potrebbero mandare a casa Tronchetti. Ma a sua volta Tronchetti, con Ligresti e Benetton, fa parte del patto di sindacato che controlla Mediobanca, un mostro con ben trenta-

sa da 92 milioni. Il libro si chiude con un elenco telefonico: è la classifica dei cento manager più pagati d’Italia, basata su i compensi riportati nei bilanci 2007 e al lordo delle tasse. E così il grande pubblico può scoprire che Matteo Arpe, per salutare una Capitalia della quale ha comunque decuplicato il valore in Borsa, ha portato a casa 37 milioni e mezzo di euro; il suo presidente, Cesare Geronzi, ne ha presi 24 mentre Renato Ruggero 17 e Carlo Buora 11 da Telecom Italia. Scrivono gli autori: «I cento manager più pagati hanno avuto, un aumento retributivo del 17 per cento sull’anno precedente (circa otto volte l’inflazione) e hanno messo insieme in tutto 403 milioni di euro, in media 4 milioni a testa. Anche nel 2006 i compensi dei cento manager più pagati erano cresciuti del 17 per cento rispetto all’anno precedente».

L’epoca dei grandi manager non finirà a causa di un libro, ma molto probabilmente è destinata a darsi una bella ridimensionata nell’Italia dove si parla (per scherzo) di “Profumo di Passera“, ovvero di una fusione tra Banca Intesa e Unicredit che somiglia a nozze riparatrici con tanto di neonato settimino ma robusto in arrivo. Rimane che negli anni è rimasta sottesa la guerra infinita tra i “McKinsey boy” (scusate la semplificazione) alla Profumo e i “grandi vecchi” alla Geronzi. Oggi è chiaro che nello scontro ormai si sta delineando un vincitore e uno sconfitto: le locuste italiane stanno sbaragliando il campo, più per gli errori altrui che per oggettivi meriti. E questo significa che anche qui, come nella politica, il “rinnovamento” è roba da sognatori. E l’indignazione a cottimo nei confronti di questo e di quello è semplicemente folklore.


spettacoli

30 ottobre 2008 • pagina 19

Cinema. Al Festival di Roma la “delusione-Galantuomini”

I gentleman di Winspeare non valgono un Tolstoj di Alessandro Boschi près nous, le déluge. Se il direttore del Festival del cinema di Roma Gianluigi Rondi voleva un segnale deciso da qualcuno in alto, questo segnale due sere fa sera è arrivato forte e chiaro. Un diluvio che ha costretto molti a compiere la circumnavigazione delle sale più esposte alle intemperie, come la Sala cinema Lotto, per raggiungere la terra ferma. Se Rondi, dicevamo, voleva un’investitura, quella di martedì sera è stata davvero formidabile.

A

Questo festival saprà sopravvivere anche al diluvio perché dopo di lui un diluvio più grande non ci potrà essere, in senso buono. La proiezione di Galantuomini, ultima fatica di Edoardo Winspeare della quale parleremo tra poco, è stata flagellata da un tempo di tregenda. Sotto i teloni che sembrava-

tutto ciò abbiamo anche visto il film del pugliese Winspeare, che dopo la pausa di qualche anno, ricordiamo Il miracolo del 2003 come sua ultima fatica, si riaffaccia alla ribalta con questa storia d’amore e malavita. Ammesso e non concesso che un film voglia non solo mostrare ma anche dimostrare qualcosa, non si capisce questo qualcosa cosa sia. La storia tra la boss in gonnella Donatella Finocchiaro e il magistrato Fabrizio Gifuni fa da sfondo (siamo negli anni Novanta) alle lotte tra la Sacra corona unita e la vecchia malavita leccese. Oppure è il contrario? Ecco, il problema del film è proprio questo. Nel senso che va bene do-

racconta il tuo villaggio e racconterai il mondo».

Con tutto il rispetto per Tolstoj, e ci mancherebbe, ci viene da dire che così magari era una volta. Adesso non siamo del tutto convinti che le cose funzionino alla stessa maniera. Ma forse è il precetto stesso del grande russo che non viene seguito fino in fondo. Galantuomini parla di una storia d’amore che si intreccia con una storia di droga e morti ammazzati. Ma della storia di morti ammazzati ciò che funziona davvero sono le figure di contorno, che naturalmente a poco a poco ci lasciano le penne.

Ammesso e non concesso che il film voglia mostrare e dimostrare qualcosa, non si capisce questo qualcosa cosa sia

to atto a Winspeare di avere realizzato un prodotto riconoscibile, con una cifra registica originale, vuoi per la fotografia di Paolo Carnera che rende bene i due livelli temporali in cui si svolge il racconto, vuoi per la cura nella costruzione del cotè salentino. Memorabile lo scambio di battute sulla possibilità di acquistare il Lecce calcio da parte dei malavitosi e rinforzarlo con il centravanti Marco Van Basten, il tutto come se vincere il campionato fosse l’unico scopo di tutti quei crimini. Discussione che ovviamente si conclude con pesanti ingiurie nei confronti dei baresi. Per un debole nei confronti di un regista che assomiglia molto a Massimo D’Alema (fisicamente) vi ricordiamo che circa un anno fa sullo stesso argomento della Sacra corona unita è stato realizzato un altro film interpretato da Claudio Santamaria e diretto da Davi-

Il nuovo film di Winspeare “Galantuomini” (in alto e a sinistra alcune immagini e, sotto, la locandina), proiettato al Festival del Cinema di Roma, ha deluso per confusione e banalità

no cedere da un momento all’altro, a stento si riuscivano ad ascoltare i dialoghi. In certi momenti le sparatorie del film si confondevano con i non speciali effetti del temporale ottobrino. Alla faccia dell’ottobrata romana. All’uscita l’agghiacciante sorpresa: mezzo metro d’acqua. Uscire si poteva, ma solo mettendo a repentaglio scarpe e vestiti. Abbiamo anche apprezzato chi, incurante del freddo, le scarpe si è tolto e, come un eroe, ha sfidato le gelide acque. Gelide acque che anche ieri mattina, in parte, picchettavano certe zone dell’Auditorium. In

sare gli ingredienti, calibrare l’aspetto privato e quello sociale, ma nessuna delle due strade percorse risulta compiuta. «Il mio interesse è sempre quello di raccontare sentimenti universali partendo da una storia locale», spiega il regista citando Tolstoj. «Il tuo villaggio è il centro del mondo,

E nel rapporto tra Ignazio e Ada la chimica a non funziona. La raffinatezza di cui Gifuni è titolare non gli permette di rendere credibile lo scatto “muscolare” che avviene nel personaggio, nel quale non c’è rabbia, solo dolore. Donatella Finocchiaro, senza la quale il film, a detta del regista, il film non si sarebbe fatto, funziona meglio anche se in certi momenti sembra una Anna Magnani depressa, il che dal nostro punto di vista è un complimento. Però va da-

de Barletti e Lorenzo Conte, che non solo per non il fatto di non essere fratelli non possono essere paragonati a Luc e Jean-Pierre Dardenne.

Si intitolava Fine pena mai, e vi assicuriamo che era un titolo molto indovinato. Prosegue intanto l’operazione Gratta e vota, altra trovata davvero notevole del nuovo corso. Con una schedina del tutto simile a quelle che si trovano dai tabaccai è possibile esprimere il proprio voto per il film preferito. Un uomo un voto, si sarebbe detto una volta. Adesso un uomo non è un uomo e una donna non è una donna se non ha una schedina da grattare, almeno al festival. Divertente. L’unico dubbio ci viene dal fatto che le schedine vengono consegnate all’uscita del film, una per ogni biglietto. Ora, dal momento che anche per il recente jackpot pare si siano messe in ballo anche delle finanziarie, non è possibile che le major distribuiscano un gran numero di biglietti a spettatori compiacenti? Quando si dice un premio grattato.


pagina 20 • 30 ottobre 2008

cultura

Un quadro una storia. “Une dimanche après-midi à l’Île de la Grande-Jatte”

Il “pittore scienziato” Il dipinto del neoimpressionista Georges Seurat è forse il primo “moderno” della pittura occidentale di Olga Melasecchi a recente mostra Georges Seurat-Paul Signac e i neoimpressionisti, inaugurata a Milano lo scorso 10 ottobre, ha riportato l’attenzione della critica su questo particolare movimento pittorico francese della fine dell’Ottocento, non così famoso come la corrente impressionista, da cui discende, ma, per altre ragioni, altrettanto importante. Sicuramente l’opera più nota, il vero e proprio manifesto della pittura neoimpressionista, volendo usare il termine coniato da un ardente difensore di quel movimento, il critico Félix Fénéon, e adottato dall’esposizione milanese, è Une dimanche après-midi à l’Île de la Grande-Jatte, ora conservato presso l’Art Institute di Chicago, il capolavoro del maggiore e primo rappresentante Georges Seurat (1859 – 1891).

L

re, e al di là la terraferma con altri alberi e in alto una nuvoletta. Indimenticabile è la coppia a destra in primo piano, perfetta nei vestiti da festa secondo la moda parigina, la dama è sotto un ombrellino che la copre da un sole in quel momento assente, e tiene al guinzaglio una scimmietta.

Il soggetto farebbe pensare pertanto a una bella veduta parigina nel gusto della coeva pittura impressionista, per qualche verso analogo alla splendida Terrace at

l’acqua per gli effetti luminosi del riverbero e degli azzurri. Fissavano la propria emozione davanti ai trapassi di luce, cercavano di cogliere la poesia degli sfumati, e l’anima delle persone ritratte. Avevano ereditato le conquiste cromatiche e luminose, insieme all’acutezza di introspezione psicologica, di Rembrandt e di Goya, a loro volta eredi della tradizione rinascimentale.

Seurat rompe con questa tradizione e realizza un’opera veramente rivoluzionaria, forse la prima opera moderna della pittura occidentale. Non è interessato alla veduta, alle sensazioni del giorno di festa, alla psicologia dei personaggi, all’emozione che l’opera può suscitare nel riguardante perché lui per primo non prova emozioni nel dipingere questa grande tela. Il suo è un lavoro puramente mentaSaint-Adresse di Monet del 1867. le. E infatti in questa istantanea Il dipinto, purtroppo non pre- In realtà l’effetto è totalmente di- non c’è vita, le figure sono bloccasente in mostra per problemi di verso. Il soggetto è un puro prete- te, rigorosamente poste di fronte o conservazione, deve la sua fama sto per esprimere altro. I pittori im- di profilo, perfino ridicolizzate nelalla straordinaria tecnica pittorica pressionisti si erano distaccati dal- l’ostentazione di valori formali in impiegata e alle inusuali dimensio- lo stile accademico, e quindi dalla fondo privi di vero contenuto, siani della tela, grande 2 m x 3m. Con- pomposa pittura di storia o sacra, mo di fronte ad un mondo irreale, templare questo grande dipinto si- per andare a dipingere all’aperto, abitato da marionette, dove la gnifica entrare in un altro mondo, per fissare immediatamente sulla grande ombra del primo piano in un’altra dimensione. E’ il giorno tela, in genere di piccole o medie sembra l’ombra gigante del pittore dell’Ascensione del 1886, dunque dimensioni, le impressioni lumino- che la sovrasta e dove l’unico perun giorno di festa tra la fine di apri- se dell’ora del giorno in un luogo sonaggio che guarda dritto verso le e i primi di giugno, e l’isolotto particolare, in preferenza vicino al- di noi è la bimbetta al centro vestidella Grand Jatte sulla Senta di bianco, la personificana presso Neully è una delzione dell’innocenza. Insiele mete preferite della buome a questo velana borghesia parigina dove to messaggio di Pittore colto e sofisticato, di agiate origini incontrarsi e prendere il denuncia sociale, borghesi, Georges Seurat è considerato il sole. La composizione è diche pure è un’opemassimo esponente del neoimpressionismo. visa in tre parti: la scena in razione mentale Nasce a Parigi il 2 dicembre del 1859. Nel primo piano con alcuni dell’artista, Seurat 1878 si iscrive all’Ecole des Beaux-Arts. Ripersonaggi seduti o in piecrea un’opera fiutando i delicati effetti della pittura imdi tutti rivolti verso il fiume d’arte che è anche pressionista, elabora una tecnica innovativa entro una vasta zona d’ome soprattutto un più “scientifica”, il puntinismo, in base alla bra, subito dietro il resto esperimento ottiquale applica su fondo bianco piccole penco, e quindi sciendella riva dell’isola piena di nellate di colore puro. Nel 1884 espone al Salon des tifico. Come molti suoi colsole di cui possiamo immaIndépendants la sua prima grande opera di rilievo, leghi all’inizio della sua ginare l’ampiezza con que“Un bagno ad Asnières”, ma il suo capolavoro rimane carriera artistica, egli scelse sto punto di fuga così alto, “Una domenica pomeriggio all’Ile de la Grande Jatte”. di non seguire il percorso dove sono alcuni alberi in Seurat non solo influenza artisti isolati come Gauaccademico ma piuttosto la ordine regolare e gruppi di guin e Van Gogh, ma svolge un ruolo fondamentale strada indicata dalla nuova famigliole sparse, e sulla sinella storia della pittura moderna perché riorganizza corrente impressionista, nistra il tratto di fiume che l’eredità spontanea degli impressionisti e getta le basi per gli effetti luministici di lambisce l’isola con piccole per la nascita del Fauvismo e del Cubismo. Nel 1891, quelle nuove e rivoluzionabarche a vela, un vaporeta Gravelines, muore improvvisamente a soli 32 anni. rie opere, in un momento in to, una canoa a quattro, cui la pittura stessa cominuna barchetta con pescato-

L’opera, che raffigura il giorno dell’Ascensione del 1886, deve la sua fama alla straordinaria tecnica pittorica impiegata e alle inusuali dimensioni della tela, grande 2 m x 3

l’autore


cultura

30 ottobre 2008 • pagina 21

In queste pagine, alcune tra i più significativi dipinti di George Seurat (nella pagina a fianco): “Une dimanche après-midi à l’Île de la Grande-Jatte” (a sinistra), “La Tour Eiffel” (nella pagina a fianco), “Le modelle” (in basso a destra), “Il Circo” (a destra) e “Un paesaggio” (a sinistra)

ciava a perdere la sua ragion d’essere di fronte all’avanzare della tecnica fotografica. E’ difficile per noi, abituati da sempre alla fotografia, immaginare quale incredibile reazione possa aver suscitato questa scoperta ed insieme le nuove teorie ottiche, come quelle di Eugène Chevreul della “miscela ottica” e del “contrasto simultaneo”, che fin dal 1860 avevano ispirato alcuni fotografi sperimentatori. Costoro, seguendo infatti queste teorie, riuscirono, agli inizi del Novecento, a realizzare le prime fotografie a colori, le autocromie, messe a punto a Parigi dai fratelli Lumière, il cui risulatato è straordinariamente simile ai quadri neoimpressionisti.

Seurat segue le teorie di Chevreul e, in una sorta di competizione con la tecnica fotografica, accostando tra loro punti di colore complementari (da cui questa tecnica è nota anche come puntinismo dal francese pointillisme) costruisce forme che, in una visione a distanza, si sarebbero ricreate nella retina dello spettatore attraverso la mescolanza dei toni cromatici. L’ansia di catturare le giuste vibrazioni luminose condusse Seurat verso un lavoro lungo ed estenuante per la realizzazione del suo capolavoro, iniziato nel 1884 e ripreso e modificato nel corso del-

l’inverno 1885-1886. La mattina, con la luce migliore, il pittore si recava alla Grande-Jatte per abbozzare scene dipinte a olio con tecnica impressionista - si contano più di trenta tavolette di studi - mentre il resto della giornata veniva passato nell’atelier, disegnando a matita singoli particolari e spesso arrampicato su una scala a ritoccare la tela, sulla quale aveva steso uno strato di colore base.

«Il fine ultimo della tecnica del neoimpressionismo», scriverà nel 1898 l’amico pittore e teorico della nuova tecnica pittorica Paul Signac, «è di ottenere il massimo di colore e di luce. [...] Per giungere a questa esplosione di luce e di colore i neoimpressionisti usano esclusivamente i colori puri, i più prossimi, nei limiti in cui la materia può avvicinarsi alla luce, ai colori del prisma». Ancora così veniva positivamente commentato dal citato critico Fénéon: «Perseguendo l’espressione della massima luminosità, si comprende dunque che gli impressionisti - come talvolta Delacroix - vogliono sostituire alla mescolanza sulla tavolozza la mescolanza ottica. Georges Seurat, per primo, ha presentato un paradigma completo e sistematico di questa nuova pittura. Il suo immenso quadro, La Grande-Jatte, in qualunque parte lo si esamini, si

distende come una monotona macchia, come un arazzo: qui, in effetti, ogni trucco è impossibile, nessun posto per i pezzi di bravura, il risultato non è affidato alla mano, ma all’occhio che deve essere agile, perspicace e sapiente». Tuttavia i volumi costruiti con questa operazione pittorica così meccanica, risultano privi di plasicità, «hanno uno sviluppo volumetrico a cui non corrisponde un peso di massa», scriveva Giulio Carlo Argan nel 1970, «sono fatti dello stesso pulviscolo multicolore che pervade lo spazio; non interrompono la vibrazione della luce». La luce annulla il volume, ed insieme le emozioni, e si può concordare dunque con Argan, quando scrive ancora che «c’è in Seurat un lato inquietante. Il suo stile ha qualcosa di voluto, di artificioso. Le sue teorie sulla divisione dei toni e sulla costituzione della luce sono astratte [...] Seurat giunge a un Impressionismo fondato su un modo di rappresentazione della luce un po’ diverso dal precedente. Ma non basta sostituire il divisionismo alla

macchia impressionista per fondare uno stile, vale a dire una visione, registrazione cosciente dei nuovi rapporti tra gli oggetti o tra oggetto e soggetto. In Seurat la trama della rappresentazione spaziale è assolutamente tradizionale: rispetto dello spazio cubico, delle prospettive lineari. In breve, è un passo indietro rispetto all’Impressionismo. E la sua tecnica sa di ricetta [...] Seurat è, malgrado tutto, importante».

Seurat, che segue le teorie di Chevreul, crea un’opera d’arte che è anche e soprattutto un vero e proprio esperimento ottico. E quindi del tutto scientifico

«Seurat non ha dimostrato, contrariamente a quanto si sostiene talvolta, come i contrasti di colore possano servire a costruire lo spazio: questa è la lezione di van Gogh. L’esperienza di Seurat si è fatta, principalmente, sulle figure e [...] ha mostrato come si possano rappresentare corpi a tre dimensioni in uno spazio bidimensionale per mezzo di processi non imitativi. È vero che anche qui la lezione di Seurat si congiunge a quella dei contemporanei, specialmente di Cézanne».


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale

da “The American Conservative“ di novembre 2008

Fukuyama vuole Obama per scordare il “disastro-Bush” di Francis Fukuyama oterò per Barack Obama in Novembre per una ragione molto semplice. È veramente difficile immaginare un’amministrazione presidenziale più disastrosa di quella messa in campo da George W. Bush. Sufficientemente cattiva da metter in campo già nel primo mandato, una guerra inutile minando la collocazione e il prestigio internazionale degli Stati Uniti. Ma nella fase calante del suo mandato, sta su-

V

pervisionando il collasso del sistema finanziario americano e più in generale quello dell’economia che avrà delle conseguenze negli anni a venire. Come regola generale, le democrazie non funzionano bene se chi vota scopre che i partiti politici non sono responsabili degli errori che fanno.

Mentre John McCain tenta disperatamente di simulare di non aver mai avuto nulla che vedere con il Partito repubblicano, penso che sia una parodia attribuire ai repubblicani un errore di così vasta

portata. L’appeal di McCain è stato sempre il dare l’impressione d’essere autosufficiente, ma con l’avanzare della campagna elettorale, è sembrato essere soltanto imprevedibile e precipitoso. La sua scelta di Sarah Palin, come compagna nella corsa presidenziale, è stata decisamente irresponsabile. Abbiamo sofferto per l’attuale presidente che è entrato in carica senza una grande conoscenza sulle questioni mondiali ed stato facilmente blandito da cattivi consiglieri. McCain ondeggiando fra liberomercatismo alla Reagan e populismo tribunizio ci ha fatto dubitare se proprio esistessero dei principi guida nella sua politica.

L’America è vissuta in un mondo onirico, staccato dalla realtà, negli

ultimi anni, perdendo i suoi valori tradizionali basati sulla parsimonia e sulla prudenza, vivendo ben al di sopra dei propri mezzi; anche se ha poi dato lezioni al resto del mondo affinché seguisse il proprio modello. In un periodo in cui il governo statunitense ha appena nazionalizzato buona parte del settore bancario, abbiamo bisogno di ripensare a tante delle verità del reaganismo della passata generazione, riguardo alle politiche su tasse e normative. Tanto sono state importanti in passato, durante gli anno Ottanta e Novanta, quanto sono inadatte per il periodo che stiamo per affrontare. Obama è in una posizione migliore per reinventare un “modello America” e certamente presenterà al resto del mondo un faccia migliore del nostro Paese.

PIÙ POTERI ALLA BCE E AL FMI

UN PROBLEMA DI DENTI Il colmo per un caimano? Avere un’ottantina di denti aguzzi e non masticare quasi mai. In effetti questo rettile sudamericano (fam. Alligatoridae) usa le zanne per trattenere e uccidere le prede, ma non per sminuzzarne la carne. Per fortuna a digerire simili ”macigni” ci pensa il suo stomaco di ferro, che contiene acidi potentissimi capaci di assimilare persino ossa, gusci e piume

Una considerazione dolorosa da chi frequenta le banche non da consigliere di amministrazione ma da utente indifeso. Fino a ieri abbiamo imprecato contro l’irragionevole aumento dei costi dei vari servizi impostoci dagli istituti di credito, una vera prepotenza, e ora dobbiamo anche porgere l’altra guancia! In anni di quasi recessione, con stagnazione economica aggravata da una fortissima perdita di potere di acquisto, le banche, come da bilanci, hanno straguadagnato. Bravi i banchieri, infame la mancanza di politica che l’ha consentito! Ma i nodi per molte vengono al pettine e le “poverine” adesso hanno problemi per la finanza creativa dei loro pagatissimi giocolieri; si passavano il cerino fra banche d’affari ed assicurazioni e alla fine qualcuno si è bruciato le dita. Invece di cacciare i creativi daremo loro ancora una volta i nostri danari! Possibile che per alcuni sia sempre Natale? Uno strumento come i derivati, positivo se usato correttamente, lo hanno fatto diventare un gioco da casinò e si sono inventati un liberismo che di liberale non aveva niente. Ora siamo con l’acqua alla gola e, per non danneggiare ulteriormente i più deboli, subiamo il ricatto. Speriamo che, dopo le vicine e determinanti elezioni americane, si pongano condizioni per l’uso che si farà di questo danaro e si intervenga a livello europeo con il dare più poteri alla Bce e, se possibile, al Fmi.

Dino Mazzoleni Gualdo Tadino

BENTORNATO STATO, BENTORNATA POLITICA È assurdo pensare di dare più poteri a Bce e a Fmi quando queste istituzioni fino ad oggi hanno tenuto in ostaggio le politiche economiche dei governi nazionali. La prima, con la sua politica di rigidità per bloccare le spinte inflazionistiche ed evitare di immettere liquidità pubbliche nei Paesi aderenti alla zona euro portando, questi Stati, a un lento declino economico e ad una stagnazione economica. Il secondo, parlo dell’Fmi, da 50 anni detta le sue politiche liberiste e liberticide affamando mezzo mondo e incentivando la corruzione nei Paesi in via di sviluppo. Quindi ben venga una limitazione delle prerogative e dei poteri verso questi giganti finanziari, tanto forti e tanto poco controllati.

Paolo Sommariga - Genova

VIVA LA MERITOCRAZIA E I TALENTUOSI Introdurre la meritocrazia nella scuola italiana non significa segnare alla lavagna la demarcazione tra buoni e cattivi; significa fare in modo che la scuola non diventi piatta, come mostra l’evidenza oggettiva di una cultura povera di idee e contenuti, che imperversa in Italia. Anche alcuni registi e scrittori che hanno cercato di interpretare di nuovo e riscrivere eventi storici, sono stati aspramente criticati dalla cultura di base che è in mano alla sinistra. La meritocrazia significa anche che venga fuori il vero talento, altrimenti i primi della classe della società saranno sempre i soliti volti.

Lettera firmata


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog

dai circoli liberal

Il tuo amore: un affare diplomatico, un piano di guerra Ti chiedo con la massima serietà e umiltà di rendermi le mie lettere! Non ti vedrò più, pertanto perché dovrebbero rimanere nelle tue mani le sole cose che ti inducono a tenermi in antipatia? Ieri mi hai detto che non sapevi quali passaggi (di un libro) avessi inteso per te. Sinceramente, nessuno che fosse passibile di equivoco. L’amichevole inclinazione che dimostravi per una bambina insieme alla profonda fiducia che grazie a inviolabile fedeltà avevo desiderato conquistare erano per me una necessità in tali circostanze… Ieri a mezzogiorno è venuto da me il tuo guardacaccia e mi ha consegnato un pacchetto chiuso in malo modo, senza sigilli e senza indirizzo, le mie lettere. Avevo il presentimento che mi avrebbero ferito profondamente. Stanotte le ho lette e la lettura mi ha fatto soffrire, cosa che tu probabilmente non sospettavi affatto. Sono abituata a tirarmi l’acqua addosso. L’amor tuo non era un affetto che sgorgasse limpido, spontaneo, copioso dall’anima, era un affare diplomatico, concertato, un piano di guerra. Durante tutta la notte ho contrastato i diritti che potrei avanzare verso di te e comunque quanto mi stupisce e mi piace questo amore. Ah, Puckler, che tesoro in queste pagine velate e briose mi hai gettato ai piedi, come un albero morto getta le proprie foglie. E che offerta per grazia ricevuta al tuo genio ti è stata tributata per mia mediazione. Bettina Brentano al principe Hermann von Puckler-Muskau

LE CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA

ACCADDE OGGI

Il maestro unico con conseguente aumento delle insegnanti di sostegno per disabili, dei corsi di italiano per bambini stranieri da inserire nelle nostre scuole e dell’offerta di tempo pieno. Gli esami a settembre e la possibilità della bocciatura per condotta valutata insufficiente. Le divise differenziate soltanto per sesso e i voti numerici. La chiusura dei diplomifici e delle università sotto casa. La drastica selezione tra la miriade di corsi di laurea e la possibilità di assumere e licenziare docenti pur pescati tra i vincitori di concorsi nazionali. Con questi strumenti il ministero potrà finalmente ridurre l’abbandono scolastico aumentando il numero di diplomati, laureati e cittadini comunque più produttivi perché acculturati, critici e consapevoli. P.s. Giugno 1989: il ministro Dc della Pubblica Istruzione Giovanni Galloni fece approvare la riforma che aboliva il maestro unico in favore di una triade. La Repubblica reagì con veemenza. Ecco un pezzo dell’epoca: «La maestra sarà rimpiazzata non da un essere umano in senso stretto, ma da un organismo polimero dell’umano. Ci riferiamo a quell’oggetto misterioso che va sotto il rispettabile nome di Equipe. Proprio così: al posto della maestra vagherà per le

30 ottobre

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

classi un gruppo di tre insegnanti indistinguibili».

Matteo Maria Martinoli - Milano.

1905 Lo Zar Nicola II di Rus-

BERLUSCONI È MEGLIO DI MARADONA

sia concede alla Russia la sua prima costituzione, creando un’assemblea legislativa 1938 Orson Welles trasmette per radio un realistico adattamento de La guerra dei mondi, causando il panico in tutti gli Stati Uniti 1941 Seconda guerra mondiale: Franklin Delano Roosevelt approva un prestito da 1 miliardo di dollari all’Unione Sovietica 1953 Guerra Fredda: Il presidente statunitense Dwight D. Eisenhower approva formalmente il documento top secret denominato National Security Council Paper No 1965 Guerra del Vietnam: A pochi chilometri da Da Nang, i Marines statunitensi respingono un intenso attacco a ondate di truppe Viet Cong 1968 Prima del film Il leone d’inverno, con Katharine Hepburn

L’avvento di Maradona alla guida dell’Argentina calcistica, dimostra che per decollare dalla crisi o dall’assenza del successo, occorre un leader eclettico e, talvolta, anche controverso; discusso per la sua voglia di vivere bene ma inequivocabilmente attore principale del suo destino e seriamente intenzionato a lavorare fino all’ultimo dei giorni, perché si crede nella forza della vita. È questa l’unica vera lotta che merita encomio, non le infime proteste contro un leader tanto discusso come il premier, che ha segnato spesso, portando l’Italia al successo, e qualcuno provi il contrario. Stiamo perdendo tempo prezioso sulle delle leggi che non sono assolutiste come la sinistra proferisce, ma possibiliste come l’opposizione non è riuscita mai neanche ad intentare. Perché la sinistra non crede nei talenti, negli eroi e nei leader, anzi se nascono nel partito si costruiranno mille oppositori, come le congiure staliniste. L’unica differenza per un paragone simpatico tra il premier e Maradona, è che il secondo qualche volta ha segnato aiutandosi con la mano, il primo aiutandosi con la gente.

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

Bruno Russo - Napoli

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani,Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Roselina Salemi, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

BAD COMPANY Ritengo che la chiave di lettura autentica che spiega la crisi finanziaria mondiale dei mercati sia in primis geopolitica. La tesi è che di fronte a una situazione finanziaria difficile creata dai mutui subprime, alcune potenze produttrici di energia e avverse agli Usa, invece di sostenere il sistema finanziario, hanno coordinatamente scelto di aggravarla allo scopo di indebolire gli Yankee ed affermare definitivamente il multilateralismo. Non si contano oramai le compiaciute dichiarazioni che con questa crisi gli Stati Uniti sono finiti. La volontà di dividere il mondo a zolle infatti, ha lo scopo di impedire agli Usa politiche ed interventi che possano limitare il potere “energetico”, che è pari al 75% della produzione mondiale, di quei paesi. Quale sarebbe il prezzo del petrolio se l’America dimettesse gran parte delle 600 basi militari che i contribuenti americani sostengono nel mondo? Siamo in presenza insomma della seconda puntata del film “Twin Towers”, attentato che avrebbe dovuto collassare il sistema finanziario. La leadership di un paese si basa sulla sua potenza militare, controllo delle fonti di energia, il primato tecnologico ed essere moneta ed economia di riferimento. Questo sono i quattro pilastri Usa che la “bad company” da anni cerca di demolire, dove convivono integralismi religiosi, ex burocrati comunisti arricchiti, regimi monarchici medioevali, volontà di distruggere Israele, dittatori sudamericani novelli Fidel, neocomunisti, no global. Li accomuna il desiderato di un nuovo ordine mondiale a zolle che ha alla base sistemi politici tutt’altro che democratici e sistemi economici tutt’altro che basati sul lavoro, la libertà, la produzione,la concorrenza e soprattutto la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. Sono basati sul binomio “petrolgas e potere militare” il che vuol dire futuri nuovi e gravi conflitti, forme di sfruttamento, protezionismo, illiberalismo e neocolonialismo. Ricordo che il processo di modernizzazione dell’apparato militare russo ha avuto origine prima dell’Osssezia. La riforma dell’esercito è da sempre un pallino di Putin. Fino a poche settimane fa, per l’alto prezzo del petrolio, i piani di dominio e di potenza potevano finalmente essere realizzati. 200 sono i miliardi di dollari destinati al potenziamento dell’esercito Russo nei prossimi anni. Leri Pegolo CIRCOLO LIBERAL PORDENONE

APPUNTAMENTI VENERDÌ 7 NOVEMBRE 2008, ALLE ORE 11, PRESSO PALAZZO FERRAJOLI A ROMA Riunione Nazionale con i coordinatori regionali, provinciali e comunali dei Circoli liberal

Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma

Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via di Santa Cornelia, 9 00060 Formello (Rm) - Tel. 06.90778.1

Amministratore Unico Ferdinando Adornato

Diffusione Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia 06.69920542 • fax 06.69922118

Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Marco Staderini Amministratore delegato: Angelo Maria Sanza Consiglio di aministrazione: Ferdinando Adornato, Lorenzo Cesa,Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Emilio Lagrotta, Gennaro Moccia, Roberto Sergio Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: Gaia Marcorelli Tipografia: edizioni teletrasmesse Editrice Telestampa Sud s.r.l. Vitulano (Benevento) Editorial s.r.l. Medicina (Bologna) Agenzia fotografica “LaPresse S.p.a.”

Abbonamenti

Gaia Marcorelli 06.69924088 • fax 06.69921938 Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro

Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc

e di cronach

via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 92 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it

Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.