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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Premiato lo studioso-opinionista fiero avversario del Bush liberale

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Il Nobel economia a Krugman: vince il conformismo neo-statalista

di Ferdinando Adornato

SPIRAGLI DI BUON SENSO Cresce il fronte di coloro che, davanti alle grandi emergenze del Paese, chiedono a maggioranza e opposizione di abbandonare il muro contro muro. Ce la faranno?

di Carlo Lottieri he un neo-keynesiano come Paul Krugman – professore nella prestigiosissima Princeton University e opinionista di successo – prima o poi dovesse vincere il premio Nobel era dato per scontato: soprattutto se si considera la cultura prevalente all’interno dell’accademia internazionale e, in particolare, le idee che vanno per la maggiore tra gli economisti svedesi. Quello che però mette tristezza è che l’americano non ha vinto il Nobel nel 2007 o nel 2006, ma invece nell’ottobre del 2008, e quindi nel pieno della crisi che ora sta squassando la finanza globale e presto avrà ricadute pesantissime (aggravate dalle scelte politiche che i governi stanno compiendo in questi giorni) sull’intera economia. se gu e a p ag in a 1 3

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Nelle foto, dal basso verso l’alto: Gianni Letta, Enrico Letta, Pier Ferdinando Casini, Carlo Azeglio Ciampi

Domani a Ginevra la conferenza sulla sicurezza della Georgia

Il partito

dell’unità nazionale alle pagine 2 e 3

La manifestazione di liberal e Udc

Il nuovo libro del cardinal Sepe

Una preferenza per la democrazia

«Ma io combatto Gomorra»

di Francesco Capozza

di Crescenzio Sepe

di Enrico Singer

Venerdì 17 ottobre, in difesa del voto di preferenza per la legge elettorale delle Europee, liberal e Udc daranno vita ad una manifestazione di piazza. L’opposizione si fa sentire.

Grande rilievo istituzionale al lancio del volume scritto dal prelato, che parlerà di fronte al presidente della Repubblica. Una denuncia dei mali della città, ma anche un inno alla speranza.

La Borsa di Milano chiude a +10,93, in linea con tutte le altre piazze mondiali. I mercati hanno apprezzato la scelta europea - dettata da Sarkozy e Brown - di sostenere le banche in diffcoltà.

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MARTEDÌ 14 OTTOBRE 2008 • EURO 1,00 (10,00

Dopo il salvataggio delle banche deciso dall’asse franco-inglese

Per le Borse arriva il “grande rimbalzo”

• ANNO XIII •

NUMERO

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WWW.LIBERAL.IT

di Dimitri Sanakoev ominciano domani a Ginevra i negoziati sulla sicurezza e la stabilità nei territori georgiani dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Sono una diretta emanazione del piano negoziato dal presidente francese Sarkozy, che cerca di conseguire il “cessate il fuoco” nella guerra scatenata in agosto dalla Russia in Georgia. I delegati a questa conferenza sentiranno molto parlare di Ossezia, perché la Russia sostiene ancora in modo non plausibile - di aver invaso la Georgia per proteggere i cosiddetti suoi cittadini che vivono in quella regione.Vorrei pertanto con questo articolo fare un po’di chiarezza in tema di Ossezia del Sud.

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se g ue a p a gi na 11

pagina 4 CON I QUADERNI)

Io, presidente dell’Ossezia denuncio: la guerra l’ha voluta Mosca

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


pagina 2 • 14 ottobre 2008

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Il richiamo all’unità nazionale è l’unica prospettiva possibile per superare il finto bipartitismo

Un’occasione da non perdere di Renzo Foa unità nazionale è possibile? Il dibattito che sta prendendo quota in questi giorni – con interventi autorevoli ed importanti da Pier Ferdinando Casini a Gianni Letta e Giulio Tremonti, da Carlo Azeglio Ciampi all’altro Letta, Enrico, fino a Walter Veltroni – sta aprendo una possibile finestra alla realizzazione non tanto di una generica formula, quanto di un’azione molto concreta in una situazione particolare come questa, cioè la crisi globale dei mercati finanziari e la difficoltà della politica in quanto tale di farvi fronte con prontezza ed efficacia. Se questa è una domanda che ormai riempie le pagine dei giornali e occupa il dibattito, c’è un’altra domanda da porsi in via preliminare. Cosa può significare la formula dell’unità nazionale oggi in Italia? Cosa può significare dopo circa un quindicennio di regime bipolare, quasi sempre blindato e militarizzato in cui i due schieramenti non sono mai riusciti ad avviare un vero e proprio dialogo? E soprattutto cosa può significare in una situazione in cui Silvio Berlusconi e la sua maggioranza formata dal Pdl e dalla Lega non solo hanno i numeri per fare agevolmente ciò che vogliono in entrambi i rami del Parlamento, ma godono di un largo consenso popolare dopo il già grasso risultato

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ROMA. «Non c’è possibilità di dialogo con chi ha rispolverato l’antiberlusconismo e decide di scendere in piazza contro il governo né con chi raccoglie le firme per un referendum contro una legge dello Stato com’è il Lodo Alfano». Con queste dure parole Gianni Baget Bozzo - sacerdote e direttore responsabile di Ragionpolitica, ex parlamentare europeo e consigliere berlusconiano della prima ora - intervistato da liberal, chiude ogni spiraglio alla possibilità di ripresa del dialogo tra maggioranza e opposizione. Professor Baget Bozzo, si può aprire una nuova stagione di dialogo dopo le aperture del Pd? Innanzi tutto bisognerebbe

elettorale di aprile? E ancora cosa può significare in una situazione in cui le opposizioni stentano a darsi un profilo stabile, a contare, a rappresentare un’alternativa credibile al governo?

A queste domande non è facile rispondere con precisione per tante ragioni. Al punto che le parole trovate sembrano al di sotto dell’importanza della svolta evocata dalla formula «unità nazionale». Ancora ieri Casini, che è il maggiore sostenitore di questa soluzione, ha parlato soprattutto di «una cabina di regia» comune per affrontare la

piombo». Fu allora che, con protagonisti come Aldo Moro, Giulio Andreotti ed Enrico Berlinguer, quei partiti che insieme rappresentavano quasi il 70 per cento dell’elettorato cooperarono intensamente, non solo per far fronte all’ondata terroristica ma dando vita ad una stagione di riforme sociali nella direzione dell’estensione del Welfare e di ogni forma di tutela. Ma la Dc e il Pci, le loro leadership e i loro elettorati – questa la differenza fondamentale rispetto a quella stagione – per quanto fossero tra loro antagonisti erano comunque consapevoli della possibilità di un fruttuoso incontro al fine di stabi-

le sia per i favorevoli sondaggi di cui gode, e per «demagogia» del Pd gli argomenti usati nella polemica politica che lasciano ancora trapelare una volontà di demonizzazione dell’avversario. Già questo è un punto di partenza abissalmente distante dal quadro esistente trent’anni fa. Ma c’è anche molto altro. C’è, a sinistra, una visione della politica che non presuppone davvero una linea di incontro, al di là di qualche possibile atto parlamentare e di qualche telefonata del ministro-ombra Bersani al ministro Tremonti. Questo per la concorrenza che si è aperta tra Pd e Di Pietro, per la volatilità dell’elettorato sem-

Ancora non siamo all’ipotesi di un “compromesso storico” come negli anni Settanta, ma quella del dialogo, oggi, è la migliore opportunità per sbloccare una democrazia ingessata crisi, negando di pensare ad un nuovo governo, anzi insistendo sul mantenimento del ruolo di ciascuna forza. In altre parole un incontro istituzionalizzato, una collaborazione tra partiti, come in esperienze passate. L’esperienza passata più importante, direi anche l’unica se si esclude la stagione dei governi tra il 1943 e il1947, è quella dell’incontro soprattutto tra la Democrazia cristiana e il Partito comunista nel decennio Settanta, durante gli «anni di

lizzare una situazione di ordine pubblico e di coesione sociale divenuta molto precaria.

Oggi non c’è quasi nulla che ricordi il clima o gli intenti di allora. Ieri in un’analisi su La Stampa, puntuale come sempre, Luca Ricolfi indicava nella «demagogia» di Veltroni e del Partito democratico e nel «populismo» di Berlusconi e del Pdl i due grandi ostacoli al dialogo. Per «populismo» di Berlusconi intendeva la pretesa di autosufficienza della maggioranza, sia per i risultati conseguiti in apri-

pre pronto a radicalizzarsi in assenza di risultati concreti sul terreno del potere. E c’è nel centro-destra un’altra visione della politica, che ha paura del dialogo perché conserva un complesso di inferiorità, perché è impregnato di una cultura che contrappone la democrazia della decisione alla democrazia del dialogo, scegliendo ovviamente la prima e trincerandovisi dietro le spesse mura della maggioranza parlamentare.

Sono questi, ovviamente, gli effetti di un quindicennio di bi-

Contro. Per il politologo del Pdl il rapporto con Di Pietro impedisce il dialogo

«Orlando mai, Ciampi di parte, e Veltroni è solo un bluff» colloquio con Gianni Baget Bozzo di Francesco Capozza capire a nome di parla chi parla di dialogo all’interno del Pd e da chi è condivisa la sua apertura. Quello democratico mi sembra un partito piuttosto “frastagliato” dal punto di vista di correnti interne e c’è chi smentisce cose dette dall’altro. A parlare è il segretario politico del partito, si può ipotizzare lo faccia con una certa autorevolezza... Anche su questo avrei dei dubbi, ma lasciamo stare. Comunque lo ripeto: non c’è possibi-

lità di dialogo con questa opposizione fino a quando sarà legata all’Italia dei valori di Di Pietro. Chi manifesta al grido di “salviamo l’Italia” non può pretendere poi di aprire una strada del dialogo parallela a quella della protesta. Ma poi, mi chiedo, salvare l’Italia da chi? Da un governo che una stragrande maggioranza dei cittadini hanno legittimato a guidare il Paese? Mi sembra un controsenso in termini letterali e politici.

E se il Pd abbandonasse Di Pietro? Non lo farà mai, perché Di Pietro catalizza i consensi della sinistra estrema e al Pd fa comodo, e parecchio, che Rifondazione, i Verdi e il Pdci siano stati spazzati via dal Parlamento. Quindi, niente unità nazionale?

polarismo militarizzato. Effetti, come si vede, ben più paralizzanti della contrapposizione ideologica che ci fu tra la Dc ed il Pci e che non impedì la «solidarietà nazionale» del decennio Settanta. Tanto più importanti sono quindi sia nel Pdl che nel Pd quelle voci che si sono espresse con favore all’ipotesi non tanto di una formula politica, quanto di una soluzione concreta come appare l’unità nazionale evocata in questo 2008 da esponenti di «terze forze», come in primo luogo Casini. Queste voci indicano una finestra che si apre, che non ha paura né del confronto diretto né di una collaborazione di cui nessuna delle parti in causa avrebbe qualcosa da perdere, la maggioranza non vedrebbe sminuito il ruolo del governo, le opposizioni manterrebbero in ogni modo la propria autonomia nel Parlamento e nella società. È la prima volta che succede dal 1994. Si tratta di per sé già di un passo in avanti rispetto a blindature che finora hanno avuto solo l’effetto di paralizzare l’Italia e di produrre alternanze senza vere e proprie alternative. E non è un paradosso pensare che la prima vera alternativa da quasi un quindicennio a questa parte non è il prevalere di uno schieramento sull’altro, ma la possibile, anche se certamente difficile, unità nazionale, anche nella blanda versione 2008.

Non siamo mica in tempo di guerra o di ricostruzione! No, comunque, finché le condizioni politiche sono queste nessun appello della sinistra può essere recepito. Ma siamo nel bel mezzo di una crisi internazionale. Certamente, ma, a parte che non credo ci sia grande pericolo per l’Italia (in Europa siamo quelli più al sicuro), il governo è assolutamente autonomo e legittimato a prendere le misure necessarie e a recepire le di-


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Nel Pdl si rafforza il fronte del dialogo

Ma dalla crisi può davvero arrivare la svolta di Errico Novi

ROMA. «Scongelare». Il presidente del Senato ricorre a un’espressione insolita ma efficace. Dopo mesi di polemiche roventi, i rapporti tra maggioranza e opposizione hanno bisogno di un’iniziativa che rompa il ghiaccio. Con la disponibilità manifestata sia da Veltroni che da Casini a sostenere il decreto salva banche, una prima condizione è assicurata. Ma per evocare quel clima di «coesione nazionale» auspicato da Gianni Letta sabato scorso serve un segnale di disponibilità dalla maggioranza. Nel Pdl e nella Lega c’è chi percepisce il problema e comprende quanto sarebbe velleitario pretendere la convergenza di Pd e Udc sui provvedimenti imposti dalla crisi senza proporre un minimo di apertura.

La voce meno timida è appunto quella del presidente del Senato, che prova a liberare dalle macerie i campi più infidi: «Mi auguro che il clima di dialogo sul decreto relativo alla finanza e al salvataggio degli istituti di credito possa scongelare questa contrapposizione sulla commissione di Vigilanza Rai e sull’elezione del posto vacante alla Consulta. Come anticipato da Fini, di fronte all’ennesimo nulla di fatto convocheremo a oltranza il Parlamento per sbloccare l’impasse». Vuol dire che l’impazienza di qualche settore del Pdl comincia a farsi strada. Di per sé le due fumate bianche non basterebbero, ma potrebbero contribuire a loro volta ad avvicinare gli schieramenti e a preparare passi più significativi.

sa per intercettare con più prontezza le attese dei cittadini è un disastro».

Con una disposizione d’animo cambiata sarebbe possibile parlare di snellimento del processo legislativo senza imbattersi nel fantasma del dirigismo. Non è un traguardo facile. Servirebbe il coraggio di accantonare la frenesia da spot quotidiano e di aggiornarsi sulla gravità delle questioni che incombono in campo economico. Se le dichiarazioni che arrivano in queste ore dalle prime file del Pdl non sembrano assecondare le esortazioni di Letta e Ciampi, la Lega rivendica a suo modo la capacità di svolgere un ruolo diverso. Roberto Cota tiene a dire che nell’immediato non si possono immaginare iniziative più efficaci di quelle adottate dal governo contro la crisi e che «bisognerà vedere in che misura l’opposizione darà seguito alle buone intenzioni dichiarate finora». Ma il capogruppo del Carroccio a Montecitorio si dice anche certo che la vicenda Rai si sbloccherà in tempi rapidi: «È nella natura delle cose, e dal nostro punto di vista non abbiamo posto alcuna particolare pregiudiziale, non abbiamo messo veti su Leoluca Orlando. Siamo stati i primi a compiere dei passi avanti».

Schifani: «Bisogna scongelare i rapporti». Lupi: «Aperture possibili su economia e federalismo». Cota: «Disponibili a discutere i decreti»

Pier Ferdinando Casini e Gianni Letta. A destra: in alto, Renato Schifani; in basso, Maurizio Lupi. Nella pagina a fianco: sopra, Carlo Azeglio Ciampi; sotto, Gianni Baget Bozzo

sposizioni comunitarie. E sulla Vigilanza Rai e la Consulta? Mi sembra che il presidente del Consiglio sia stato piuttosto chiaro: su una rosa di nomi ci si può confrontare, ma se il nome continua ad essere uno solo e quello lì è impensabile una convergenza. Sulla Consulta non so, non mi risulta che la situazione si stia sbloccando. Veti incrociati anche all’interno della maggioranza, si dice. Non ne sono al corrente. Quindi ribadisce l’ennesimo no alla candidatura Orlando per la vigilanza Rai. L’indisponibilità a votarlo, da parte della maggioranza, è ormai cosa nota. È an-

che inutile insistere a parlarne. Sarebbe più costruttivo cercare un’alternativa, piuttosto. Professor Baget Bozzo, il Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha fatto appello ad un’unità nazionale in un momento di crisi internazionale. Non sarebbe irresponsabile non recepirlo? Ciampi è stato un uomo di parte durante la sua presidenza e continua ad esserlo. Ma è stato uno dei Presidenti della Repubblica più amati. Amato… da Amato. Amato dagli italiani. Amato dalla stampa, piuttosto.

La concretezza imposta dalla crisi può essere d’aiuto. Lo dice a liberal il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi: «Il terreno delle misure contro l’emergenza finanziaria è assai fertile. Così anche quello del federalismo fiscale. Molti dicono di volere il dialogo, poi ci si impigrisce dietro le parole, senza trovare soluzioni concrete». A parte il decreto salvabanche approvato ieri da un Consiglio dei ministri orfano del premier, Lupi lascia intendere che la necessità di alzare argini contro l’ondata recessiva potrà suscitare aperture anche su altri provvedimenti. Verrà poi il tempo delle riforme istituzionali, decentramento fiscale in testa. Ma il vicepresidente della Camera nota che si potrà davvero parlare di nuovo corso quando e se si arriverà a discutere di regolamenti parlamentari: «Quello dovrebbe essere il punto di caduta di tutto il percorso, sarebbe auspicabile arrivarci. Non possiamo andare avanti in questo modo, è evidente che se i due schieramenti non fanno qualco-

Se Schifani chiede una soluzione anche per lo sconcertante ritardo sul posto vacante alla Corte costituzionale, Cota spiega che a essere oppresse dal disagio più grave sono le famiglie, ed è in loro nome che bisognerebbe sacrificare l’impulso autodifensivo: «Servono risposte concrete e veloci come quelle offerte dal Consiglio dei ministri.Vedremo come si comporterà l’opposizione, certo le priorità sono quelle poste dalla maggioranza. Nel momento in cui si entrerà nel merito si potrà discutere». Ed già questa è una novità rispetto alle schermaglie tardoestive. Già si intravede peraltro un passaggio del decreto anticrisi varato ieri sul quale potrebbe registrarsi una mobilitazione trasversale dei cattolici: il ricorso formale al fondo del 5 per mille per garantire eventuali salvataggi di istituti di credito in difficoltà. «Comprendiamo la necessità e l’urgenza di tutelare i risparmiatori», dicono i democratici Roberto Della Seta e Luigi Bobba, «ma questo è l’ennesimo, inaccettabile tentativo di sottrarre ai cittadini la libertà di esprimere scelte. Non si possono cancellare queste risorse in modo surretizio, bisogna lasciarle all’associazionismo e al volontariato». Non sembra una battaglia destinata a restare entro il recinto dell’opposizione.


economia

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La risalita. La copertura totale dei crediti dà nuova fiducia alle banche. In questo modo, l’Europa ha aperto una stagione fatta di nuove alleanze politiche

L’asse franco-inglese Le misure della Ue finalmente risollevano i mercati Vince la linea Sarkozy-Brown contro la Merkel di Enrico Singer desso tutti tirano un sospiro di sollievo. E con ragione. Il piano concordato dai quindici Paesi dell’euro, domenica a Parigi, ha restituito una buona dose di ossigeno ai mercati che, ieri alla riapertura, sono tornati finalmente positivi ed è facile prevedere che nel vertice a Ventisette che si terrà domani a Bruxelles anche gli altri Paesi adotteranno le stesse misure e l’ottimismo per lo scampato disastro si riaffaccerà nei discorsi ufficiali. Ma attenzione: come era esagerato il catastrofismo di chi pensava che nulla avrebbe potuto fermare il crollo delle Borse e il collasso del sistema finanziario, così sarebbe ingenuo credere che la crisi sia già alle spalle e che, soprattutto, la Ue abbia ritrovato d’un solo colpo slancio ed efficacia. In realtà, quello che è successo negli ultimi giorni ha dimostrato che la tempesta economica ha messo in moto anche una tempesta politica che deve ancora trovare il suo punto di caduta. Per prima cosa ha dimostrato che i quindici signori dell’euro hanno dovuto copiare il piano varato già venerdì scorso dal

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Molti titoli bancari sospesi per eccessivo rialzo

Milano chiude a +10,93

Brown, che in patria è considerato un sopravvissuto dell’era, tramontata, dello splendore la-

Nel borsino virtuale degli equilibri europei, alla risalita di Gordon Brown corrisponde la discesa di Angela Merkel che ha giocato fino all’ultimo la carta dell’autonomia nazionale di fronte alla crisi, ma poi ha dovuto accettare il compromesso del piano europeo. Il pragmatimo britannico ha avuto ragione delle rigidità tedesche e all’asse, ormai in declino, tra Parigi e Berlino, Nicolas Sarkozy ha subito trovato un’alternativa in un nuovo asse con Londra. Anche se va riconosciuto alla Merkel che su un punto-chiave non ha ceduto: piano europeo, sì, ma non fondo europeo per salvare le banche: come dire che ognuno salverà - se mai sarà il caso le proprie banche con i propri soldi e che i soldi dei tedeschi rimarranno in Germania. Ma la crisi non ha avuto ripercussioni soltanto sulle delicate alchimie politiche della Ue. Ha messo in luce anche la fragilità delle istituzioni comuni.

Conciliare la solidarietà europea con le esigenze nazionali è esattamente il compito della Ue e dei suoi tanti organismi operativi: dal presidente della Commissione, Manuel Barroso, al commissario agli Affari economici e monetari, Joaquin Almunia, a quello per il Mercato interno, Charlie McCreevy, o al ”mister euro”, Jean-Claude Juncker. Sarebbe ingiusto imputare la colpa di non avere previsto la crisi a queste persona-

on il piano europeo, «la crisi finanziaria si è risolta, ma rimane una grande incognita sull’atteggiamento che terranno le Borse nelle prossime settimane. In ogni caso, è positivo che i risparmiatori non siano più costretti a vendere azioni per avere liquidità, date le garanzie fornite dagli Stati europei alle banche». È il commento del professor Jean-Paul Fitoussi, economista francese di fama mondiale, sul recente salvataggio varato dall’Europa. Un salvataggio che, sottolinea il presidente del consiglio scientifico dell’Iep di Parigi in una conversazione con liberal, «ha funzionato perché doveva funzionare. Dimostra che gli Stati sono solvibili».

Professore, dopo giorni di attesa le Borse mondiali finalmente mostrano segni positivi. Il piano europeo funziona? Il piano funziona, perché era necessario che funzionasse. Quando c’è una crisi di fiducia, bisogna far entrare lo Stato a garantire le transazioni. E questo è quello che è successo. La garanzia delle transazioni finanziarie è stata varata in due forme. La prima garantisce i prestiti tra le banche; la seconda ri-capitalizza le banche, se necessario. Questa garanzia significa che nessuna banca può andare in fallimento: i depositi sono salvi, qualsiasi sia la loro grandezza. Questo era necessario per risolvere la crisi dei crediti, il cosiddetto credit crunch.

La crisi delle Borse è leggermente diversa: le cause del loro crollo dipendono da altri fattori, non semplicemente dal credito. La crisi dipende dalle anticipazioni di crescita e dal bisogno di finanziamento di quelli che possiedono delle azioni. Quindi, l’andamento delle Borse è meno chiaro rispetto alla soluzione della crisi finanziaria. Mi pare che questa seconda sia risolta: il bisogno di vendere azioni per avere liquidità è molto minore rispetto ai giorni precedenti l’approvazione del piano. Si può dire che, nelle settimane a venire, le Borse andranno meglio. Questa è una certezza? No, questa è un’aspettativa che mi faccio, ma so bene che non è così semplice. Non basta la ra-

MILANO. Dopo le decisioni di domenica dei leader europei a sostegno dei crediti delle banche, le Borse mondiali hanno tirato un sospiro di sollievo: Londra chiude a +6,78%, Francoforte sale del 10,18%, Zurigo dell’11,08% e Parigi dell’8,93%. Tokio a 9,62. Piazza Affari chiude a 10,93, uno tra i migliori risultati in Europa: i titoli bancari, in particolare, hanno fatto segnare forti recuperi, addirittura alcuni sono stati sospesi per eccessivo rialzo. Rimbalzano anche le Borse asiatiche. A Wall Street, in apertura il Dow Jones guadagna il 2,78%, lo Standard & Poor’s il 2,45% e il Nasdaq il 5,16%. Intanto, il Consiglio dei ministri ha approvato le misure anti-crisi varato ieri l’altro a Parigi. La Germania, invece, ha varato il maxipiano da 500 miliardi di euro, mentre anche Parigi e Londra hanno stanziato somme ingenti.Voci dissonanti, intanto, sono quelle del presidente della Commissione europea Almunia: («Peggioreranno i conti pubblici») e della Confindustria («Non basta un giorno positivo per uscire dalla crisi»).

I leader dell’area euro hanno dovuto copiare il piano già varato dal premier dell’unico grande Paese che non ha adottato la moneta comune premier dell’unico grande Paese europeo che non ha adottato la moneta comune. Per Gordon

L’economista francese

«La finanza è salva, resta il rischio recessione» colloquio con Jean-Paul Fitoussi di Vincenzo Faccioli Pintozzi

burista, è una bella soddisfazione. Anche se il riconoscimento degli altri leader europei, forse, non gli servirà per recuperare popolarità - e voti - in casa.

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economia

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Il presidente Bush riceve Berlusconi Qui accanto, il Cancelliere tedesco Angela Merkel con il primo ministro inglese Gordon Brown a Londra. Nella pagina a fianco, l’economista francese Jean-Paul Fitoussi. Nella fotina, il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush e il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi

lità - e ai loro staff - dal momento che nessun altro è riuscito a prevederla, almeno nelle dimensioni che poi ha assunto. Ma è anche vero che da Bruxelles non è partita alcuna iniziativa e che questa Commissione si è rivelata ancora una volta l’immobile vestale di norme che, molto probabilmente, saranno ripensate per adeguarle alla mutata realtà. A cominciare dalle regole relative agli aiuti di Stato che non si conciliano, cer-

to, con gli interventi pubblici per salvare le banche. La crisi, infine, ha riproposto un problema strutturale irrisolto. La Ue è la sola ”Unione di Stati nazione” - questa è la formula da tutti accettata - che si è dotata, sia pure a quindici, di una moneta comune senza accompagnarla da un’autorità politica in grado d’indirizzare le scelte economiche di fondo. La Banca centrale europea, nella sua autonomia dai governi nazionali,

zionalità. Si è risolta la crisi finanziaria, ma sulle Borse permane una grossa incognita. Ma il piano, di fatto, non lancia una statalizzazione degli istituti bancari? Assolutamente sì, una statalizzazione parziale delle banche. Nessuno può dire se gli Stati si ritireranno dagli istituti una volta superata la crisi, ma ora il bisogno è quello di essere pragmatici. Bisogna vedere quale sia il miglior modo per far funzionare il sistema finanziario, con particolare attenzione per quello del credito. Su questo, lo Stato può cambiare dopo un po’ di tempo, contro la garanzia di una regolamentazione più forte. E può anche forzare un’operazione del genere, perché si viene a trovare in una posizio-

ne di forza. Se lo Stato forza, può andarsene dalle banche, ottenendo inoltre un buon profitto per i suoi cittadini. Compra le banche a poco prezzo, e le rivende con un margine altissimo. C’è un cambiamento dei leader europei, alla luce di questa firma? L’atteggiamento tedesco è cambiato in corso d’opera, spinto dalle circostanze. La realtà è diversa dalla dottrina: i tedeschi lo hanno capito e hanno seguito il piano. Quello che ha creato tutto è stato Gordon Brown, insieme a Nicolas Sarkozy. Questi sono stati seguiti dagli altri. L’input è stato senza dubbio franco-britannico, perché i due erano d’accordo sin dal-

decide sui tassi e sulle iniezioni di liquidità e così ha fatto anche questa volta. Ma per arrivare al piano definito domenica a Parigi ci sono voluti quattro giorni di estenuanti trattative dopo il fallimento del primo incontro a quattro che liberal definì ”il crack della Ue”. Ora che il crack sembra evitato ci sarebbe da calcolare quanti miliardi sono andati in fumo per dare ai leader europei il tempo di trovare l’accordo.

l’inizio. Il Nobel per l’economia assegnato ieri premia, in un certo senso, lo statalismo. Ha senso parlare oggi di statalismo in economia? Lo statalismo va capito, senza retorica. Questa consiste nel dire che lo Stato torna nell’economia, da dove però non se ne è mai andato. È sempre stato con noi, e le tasse che paghiamo lo dimostrano. Quello che viene dimostrato oggi è che, quando lo Stato ha bisogno di denaro, lo trova senza difficoltà. Questo perché lo Stato può indebitarsi, se ha il favore dei suoi cittadini. La firma dello Stato è, nel nostro mondo, ancora la più sicura di tutte.

L’ultimo duetto alla Casa Bianca di Guglielmo Malagodi n’accoglienza con tutti gli onori, di solito riservata solo ai capi di Stato e non ai leader di governo: così il presidente americano George W. Bush ha dato ieri il suo caloroso benvenuto alla Casa Bianca al premier italiano Silvio Berlusconi, «statista di una grande Nazione e un cordiale amico degli Stati Uniti». Un Berlusconi raggiante ha contraccambiato il benvenuto, definendo Bush un leader che «la Storia definirà un grande, grandissimo presidente». La Casa Bianca, in occasione del Columbus Day, ha preparato un cerimoniale di alto profilo per Berlusconi per ricordare l’amicizia tra Italia e Stati Uniti, ma anche per sottolineare il feeling tra il presidente americano e il presidente del Consiglio italiano. Bush ha ricevuto Berlusconi con una folla di invitati South sul Lawn, insieme alla moglie Laura e a vari membri dell’esecutivo, tra cui il vicepresidente Dick Cheney e il segretario di Stato Condoleezza Rice. Bush e Berlusconi hanno passato in rassegna il picchetto d’onore e sono state esplose 19 salve di cannone in onore dell’ospite italiano. Tra strette di mani e gesti di familiarità, sul palco i due leader non hanno risparmiato le lodi ai rispettivi Paesi. Bush ha sottolineato che l’Italia sta «servendo la causa della pace e della stabilità» su vari fronti, dal Kosovo al Libano e alla Bosnia, e si è detto orgoglioso di lavorare con gli italiani in Afghanistan.

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hanno sottolineato come l’incontro a Washington avvenga in un momento di grande tensione sui mercati, affermando che Stati Uniti e Unione Europa hanno pronti i rimedi e, nelle parole di Bush, stanno «prendendo decisioni forti».

La situazione economica è stato uno dei temi centrali affrontati, subito dopo, in un incontro nello Studio Ovale. Nella conferenza stampa congiunta dopo l’incontro, Berlusconi si è detto «assolutamente d’accordo» con l’idea del presidente americano di organizzare «nelle prossime settimane» una riunione del G8 per affrontare la crisi finanziaria. «Credo - ha aggiunto il premier - che tutto ciò che si può fare per un’azione coordinata, che è l’unico metodo per un comportamento nei confronti di questa crisi globale, è assolutamente positivo». Dal canto suo, Bush non ha lesinato i complimenti al “collega” italian o. «Ho con il presidente Berlusconi un rapporto eccellente, e un genuino rispetto - ha detto - Ne ho apprezzato l’amicizia e la saggezza. È un uomo sincero, capace di parole chiare e leali, capace di mantenere la parola data e mi piace il suo ottimismo senza limiti». Bush ha anche affermato che l’Italia «serve la causa della pace e della stabilità in Libano, Kosovo e Bosnia» e ha mostrato il proprio impegno a sostegno della «crescita delle democrazie e della difesa degli innocenti» in Afghanistan e in Iraq. «L’America è orgogliosa ha detto Bush a Berlusconi - di essere vostro alleata in missioni che porteranno un mondo migliore e più sicuro». Perfetto accordo, infine, anche sull’Iran. Bush e Berlusconi sono d’accordo «sul fatto che all’Iran non deve essere permesso di avere armi nucleari», ha detto il presidente americano. «Abbiamo discusso - ha concluso Bush - l’importanza di attuare pienamente le sanzioni dell’Onu contro il regime di Teheran».

La crisi finanziaria al centro dell’incontro. E gli Usa ringraziano l’Italia per l’impegno nelle missioni di pace

«Sarò sempre grato all’America - ha detto Berlusconi per aver salvato il mio popolo dal fascismo, dal nazismo e dal comunismo. Negli anni a venire continuerò ad avere lo stesso rapporto di gratitudine verso l’America». Entrambi


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politica

Un’assemblea “trasversale” venerdì a Roma indetta da liberal e dall’Udc sulla legge elettorale

Una preferenza per la democrazia di Francesco Capozza

d i a r i o ROMA. Un vero e proprio blitz, secondo le opposizioni, quello con cui la maggioranza ha adottato, la scorsa settimana, il testo base della riforma della legge elettorale per le Europee in commissione Affari costituzionali alla Camera. Mentre in Aula, infatti, si attendeva lo spoglio delle schede per l’ennesima votazione (andata, al solito, a vuoto) del Parlamento in seduta comune sul giudice costituzionale e mentre il partito che ha fatto della difesa delle preferenze la sua battaglia prioritaria - l’Udc - era riunito in Direzione, Pdl e Lega hanno adottato il testo messo a punto dal relatore Peppino Calderisi, ovvero la fedele trascrizione del pensiero del premier Silvio Berlusconi: soglia di sbarramento al 5% ed eliminazione delle preferenze.

L’Unione di centro ha già annunciato battaglia: Pier Ferdinando Casini fa sapere che dopo il pomeriggio no-stop organizzato a Montecitorio dalla Fondazione liberal il 17 ottobre in difesa del voto di preferenza, a novembre sarà organizzata una manifestazione di piazza. Ma la protesta si farà sentire anche in Parlamento, Ferdinando Adornato ha infatti annunciato, nel corso della dichiarazione di voto finale sul dl istruzione, che l’Udc assegna un «quattro in educazione civica» alla maggioranza per il “blitz” in Commissione. Se non si cambierà atteggiamento, ha precisato Adornato, l’Udc «farà un’opposizione molto dura, fino all’ostruzionismo sui decreti». A difendere il testo adottato è Italo Bocchino, primo firmatario della proposta quasi interamente recepita dal relatore Calderisi. Il vicepresidente dei deputati del Pdl ha ricordato che «la proposta della Farnesina ai tempi di D’Alema, prevedeva la riconsiderazione del voto di preferenza e la necessità di diminuire i costi visto che l’Italia è l’unico tra i grandi e medi Paesi ad utilizzare il voto di preferenza». Niente di nuovo

quindi, ma qualcosa cui la sinistra aveva già pensato, secondo Bocchino. All’interno del Pd, tuttavia, la pensano diversamente, se è vero che Enrico Letta, intervistato in merito al reciproco studiarsi di questo ultimo periodo fra Udc e Pd ha affermato, tra l’altro, che «l’Udc è fondamentale anche per il posizionamento del Pd nel futuro. Il terreno della lotta contro l’eliminazione delle preferenze, per esempio, è un terreno comune». E proprio Enrico Letta sarà tra coloro che venerdì prossimo, 17 ottobre, si alterneranno davanti ai microfoni in occasione del sit in organizzato da liberal per prote-

Anche Francesco Rutelli, Enrico Letta, Clemente Mastella, Franco Giordano, Francesco Storace saranno a Montecitorio

sia Francesco Storace - ai Verdi con Grazia Francescato in prima fila. Tra i partiti contrari alla legge elettorale europea così come la vorrebbe il premier c’è anche Rifondazione comunista: «Oggi è il tempo di fare una lotta tutti insieme per bloccare questa legge che è un vero e proprio colpo di Stato. Se dovesse sciaguratamente passare, allora - sottolinea il segretario di Rc Paolo Ferrero - discuteremo di come andare alle elezioni Europee».

Il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, appoggiando e caldeggiando l’iniziativa di liberal, ha ribadito la sua contrarietà a una modifica della legge elettorale per le Europee che preveda sbarramenti troppo elevati e soprattutto che cancelli le preferenze. Casini ne ha parlato con i cronisti a Roma in occasione della firma della petizione organizzata dal movimento giovanile del suo partito proprio per la conservazione

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Fini: aumentano xenofobia e razzismo Per favorire i processi di integrazione c’è la necessità di combattere «la tendenza all’isolamento da parte delle minoranze di stranieri» e ”impedire il prodursi di fenomeni di razzismo e xenofobia che nel nostro paese tendono purtroppo ad aumentare per effetto di paura, ignoranza, degrado». Lo ha sostienuto il presidente della Camera Gianfranco Fini, intervenendo a un convegno organizzato dalla fondazione ”Fare futuro”. Nella stessa occasione Marco Minniti, ministro ombra dell’Interno, ha detto che occorre«puntare sui ricongiungimenti familiari» per favorire una vera integrazione degli immigrati nella società italiana «dal momento che l’immigrato che ha accanto la famiglia è più portato a comprendere le ragioni degli altri».

Obbligo di dimora per Del Turco E’ tornato in libertà ieri, ma con l’obbligo di dimora, dopo tre mesi di detenzione tra carcere e arresti domiciliari, l’ex governatore della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco. Lo ha deciso ieri mattina il Tribunale del Riesame dell’Aquila che si è pronunciato sui ricorsi presentati contro l’ordinanza con cui il gip di Pescara, Maria Michela Di Fine, aveva trasformato la detenzione in carcere in quella domiciliare. Del Turco, con altri indagati eccellenti, è coinvolto nell’inchiesta sulla “sanitopoli” abruzzese che il 14 luglio scorso decapitò la Giunta regionale con gli arresti di assessori, consiglieri, consulenti, oltre allo stesso Del Turco. Obbligo di dimora anche per gli altri indagati ancora ai domiciliari.

Petrella, Sarkozy: con Roma tutto ok «Gli italiani sono stati tenuti al corrente, non credo ci sia mai incomprensione quando c’è una ragione umanitaria». Lo ha detto il presidente francese, Nicolas Sarkozy, in merito alle reazioni in Italia alla sua decisione di ritirare il decreto sull’estradizione dell’ex br Marina Petrella. «La donna rischiava di morire, ho anche parlato con il suo medico», ha aggiunto. «Bisognava interrompere lo sciopero della fame e della sete».

Calearo, la manifestazione del 25 ottobre è necessaria

stare contro l’abolizione delle preferenze dalla legge elettorale per le Europee. Oltre a lui, Francesco Rutelli, Clemente Mastella, Franco Giordano e molti altri esponenti di un po’ tutte le formazioni politiche contrarie a quella che molti già definiscono la “porcata europea”, da La destra - che vedrà, per una volta, intervenire d’accordo sia Daniela Santanchè

delle preferenze. «Gli italiani - ha detto Casini - non possono accettare le nomenklature alla vecchia maniera, nomenklature alla russa. I cittadini vogliono scegliere con la propria testa i propri parlamentari. Vogliono decisionismo ma anche libertà». Casini ha sottolineato come «in Italia non abbiamo bisogno di putinismo, ma di democrazia».

«In questi giorni, mio malgrado, mi sono visto iscritto alla lista dei contrari alla manifestazione del 25 ottobre. Credo che il compito dell’opposizione, tanto più in un momento drammaticamente difficile come quello che stiamo vivendo, sia quello di vigilare con grande attenzione e spirito critico sulle iniziative del governo. Pronti ad offrire il nostro contributo per la risoluzione dei problemi e a votare in Parlamento quei provvedimenti necessari a difendere le famiglie, le imprese e chi vi lavora dalla tempesta che si è scatenata in questi giorni sui mercati finanziari mondiali». Lo ha sottolineato in una nota Massimo Calearo, deputato del Partito democratico. «Credo che la manifestazione del 25 ottobre sia importante e necessaria. Non tanto per protestare contro qualcuno, ma per dare forza e far conoscere al Paese le nostre proposte per risollevare, realmente, l’Italia».

Eluana, le condizioni rimangono stabili Restano stabili le condizioni di Eluana Englaro, in coma vegetativo dal 1992, colpita nei giorni scorsi da una emorragia interna. A confermarlo è stato ieri pimeriggio Carlo Alberto Defanti, il neurologo che da anni segue Eluana e che è in stretto contatto telefonico con i medici della casa di cura dove è ricoverata la donna. «La notte è passata tranquilla - ha detto - e le condizioni di Eluana sono stabili. L’emoglobina è ancora a livelli bassi ma non è scesa e questo è un segnale moderatamente positivo».


politica ROMA. E alla fine, provocato dallo sciopero della sete di Marco Pannella, è arrivato il giorno della riunione dei capigruppo che dovrebbe risolvere il busillis delle elezioni del giudice costituzionale e del presidente della Vigilanza. In realtà, pare, questo pomeriggio non si risolverà nulla e quindi Gianfranco Fini e Renato Schifani dovranno procedere alla minacciata convocazione a oltranza delle Camere. E qui la faccenda si complica: negli ultimi giorni si è assistito infatti a una sotterranea frizione all’interno della maggioranza che ha avuto per protagonisti proprio Fini e Schifani. I fatti: il presidente della Camera ha tentato in queste settimane di richiamare il governo a un maggiore rispetto del Parlamento e in questo senso ha mostrato particolare attenzione all’iniziativa radicale per ristabilire un minimo di legalità costituzionale. Fini ha insistito, in privato e in pubblico, perché Pannella sospendesse lo sciopero garantendogli il suo impegno diretto per risolvere la faccenda: il leader radicale, incontrandolo giovedì scorso a Montecitorio, gli ha però fatto notare come fossero quasi solo parlamentari del centrosinistra ad aver firmato il testo per la convocazione a oltranza delle Camere. «Non puoi lasciare questa battaglia al centrosinistra. Dovete firmare pure voi», ha spiegato Pannella al leader di An, il quale a sua volta ha girato l’incombenza a Italo Bocchino, che ha fatto partire l’sms di sostegno all’iniziativa radicale che gli è valso l’ennesimo scontro con Fabrizio Cicchitto. Fini vs Schifani. Il fatto è che la proposta radicale prevede un vero voto a oltranza, sensato solo in quanto interrompe del tutto l’attività ordinaria del Parlamento mettendo a rischio anche la conversione dei decreti. Questa è - o sarebbe anche la posizione di Fini, ma decisamente non quella dell’ala più berlusconiana del Pdl, fra cui c’è ovviamente anche il presidente del Senato. Schifani ieri ha infatti chiarito a

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Nuovi attriti tra Fini e Schifani: è scontro sulla convocazione a oltranza

Dalla Rai alla Consulta A quando una soluzione? di Marco Palombi mezzo stampa la sua idea di “oltranza”: una votazione al giorno, ma attività delle Camere garantita. «Così si va a finire a febbraio», sbuffava un deputato di centrodestra. L’ipotesi, per quanto incredibile, circola già da un po’ nel Palazzo, ma è improbabile che questo avvenga almeno per la commissione di Vigilanza. Il fatto è che a viale Mazzini, alla chetichella, continua ad esserci un cda a maggioranza di centrosinistra e nelle strutture interne e, soprattutto, nelle redazioni il clima è di schizofrenia da incertezza. L’uni-

co che pare aver capito che deve fare le valigie è Gianni Riotta: il direttore del Tg1 che dieci giorni fa è stato accusato di eccessivo berlusconismo in una riunione a porte chiuse cda-direttori di testata ieri ha scritto un articolo per il Corsera sulla crisi internazio-

nale e stamattina intervisterà Veltroni su Youdem Tv. La soluzione sulla Vigilanza è comunque complicata assai: il Pd sembra convinto a insistere sul diritto di Idv alla presidenza, che però per Forza Italia è inaccettabile. Se decidessero per la soluzione di forza,

nenza alla Corte Costituzionale, un’ipotesi «che considero semplicemente ingiuriosa». Nel pomeriggio, poi, aveva convocato Berlusconi nel suo studio per rendere anche visiva l’idea del richiamo.AddioViolante e Pecorella, hanno pensato tutti. Dal Quirinale, poi, hanno fatto notare ad alcuni interlocutori che Gaetano Pecorella ha un processo aperto a Milano per favoreggiamento (una brutta storia che trae origine dal dibattimento sulla strage di piazza della Loggia) e non è mai accaduto che un giudice della Consulta si trovasse in questa situazione. I due coimputati del deputato azzurro, si è risposto sempre riservatamente dal Pdl, sono stati assolti e lui lo sarà a breve, quindi il problema non c’è. E qui ritorna in scena Berlusconi. Due giorni dopo la strigliata del

Il presidente della Camera appoggia la proposta radicale, quello del Senato invece rilancia: una votazione al giorno va bene, ma l’attività delle Camere sia garantita quelli del Pdl potrebbero eleggere un commissario dell’Udc o il radicale Marco Beltrandi confidando nel fatto che non si dimettano.

Berlusconi vs Napolitano. Sulla Corte costituzionale il livello di scontro sotterraneo è ancora più alto e coinvolge nientemeno che il capo dello Stato e quello del governo. Ricapitoliamo: martedì mattina sulla Stampa compariva una lettera di Napolitano che spiegava come il Colle avrebbe vigilato sull’uso eccessivo dei decreti (di cui Berlusconi si era vantato) e rifiutato l’idea di qualunque «contrattazione» tra i partiti della nomina di sua perti-

Quirinale, il premier in conferenza stampa parla della Consulta e “brucia” il nome di Giuseppe Pericu: me lo hanno proposto, sostiene, ma alla Corte serve un penalista (tradotto: Pecorella) e lui non lo è. L’ex sindaco di Genova, però, non era stato proposto al premier: era uno dei papabili individuati da Napolitano per succedere a febbraio a Giovanni Maria Flick. Si dice che alla fine il nome buono da far eleggere alle Camere possa essere quello di Giorgio Spangher, che peraltro è penalista. La tentazione del Pdl, anche in questo caso, è di fare da soli: c’è chi dice che i numeri ci sarebbero - anche se assai risicati - per eleggersi un giudice costituzionale, ma il rischio di figuraccia per assenze e franchi tiratori è altissimo.


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società

Grande rilievo istituzionale al lancio del volume del prelato che parlerà di fronte al presidente della Repubblica. Una denuncia dei mali della città, ma anche un inno alla speranza: «Nessuna notte dura per sempre»

«Ma io combatto Gomorra» Oggi a Roma la presentazione del nuovo libro del cardinal Sepe Un diario di viaggio scritto camminando tra i vicoli di Napoli di Crescenzio Sepe on ho difficoltà ad ammettere che il giorno prima della festa di san Gennaro ero in preda all’ansia, avevo la stessa tensione di quando, da ragazzo, dovetti affrontare la maturità. Il giorno prima degli esami passai la notte a studiare, a ripetere, anche se il mio cervello non riteneva più niente. Ormai leggevo e rileggevo senza capire, ma quell’ultimo estenuante e inutile sforzo mi serviva a mantenere l’illusione di poter dominare l’imponderabile, perché si sa che, per quanto si possa essere preparati, un esame è sempre un esame e qualcosa può andare storto Ma questa volta dovevo affrontare ben altra prova: la folla che attendeva il miracolo. C’era poco da studiare o da ripetere, potevo solo pregare san Gennaro e la Madonna che il miracolo avvenisse. Certo, sapevo bene che non c’era nessun nesso tra la liquefazione del sangue e il lavoro che mi aspettava, sapevo anche che non avrei perso la simpatia dei fedeli, ma in ogni caso, se il miracolo non fosse avvenuto, non avrebbe incoraggiato la mia gente a lottare con caparbietà per la rinascita della nostra terra. La Chiesa, giustamente, ha sempre ribadito che il fenomeno della liquefazione del sangue è un segno prodigioso, misterioso, ma non riconducibile a un miracolo. E se al mio «primo san Gennaro» a Napoli il sangue non si fosse liquefatto, confesso che un po’ ci sarei rimasto male, come se il mio primo anno di governo della diocesi non iniziasse con la benedizione del santo patrono. Avevo già preparato l’omelia, l’avevo letta e riletta cento volte, ma non facevo altro che pensare a cosa avrei detto alla gente, che avrebbe gremito la cattedrale e via Duomo, se non si fosse avverato il prodigio. L’unica cosa di cui ero certo era il fatto che, proprio perché era la mia prima volta, ci sarebbe stata una folla esagerata. Mi tornava alla mente l’immagine di una Napoli bloccata da una fiumana di persone, in cammino verso la cattedrale, come descritta da Matilde Serao nelle indimenticabili pagine de Il paese di cuccagna. Scesi in chiesa a pregare, sentivo il bisogno, come la mia gente, di parlare un po’con san Gennaro. Avvertivo l’esigenza di stare un po’ solo e così, nella speranza che non ci fosse nessuno, andai nella cappella del tesoro, m’inginocchiai e, come un bambino,

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supplicai il santo patrono di aiutarmi a superare l’esame. In una delle prime panche, una vecchierella con il velo nero in testa e il santo rosario stretto tra le mani, pregava con le lacrime agli occhi. Mi avvicinai, le misi una mano in testa in segno di benedizione e le dissi: «A zi’, ’na preghiera anche per me.» «Eminenza, e secondo voi io per chi sto pregando? San Gennaro, faccia gialla, è grande e potente e io lo sto pregando di intercedere per voi, perché Gesù Cristo vi deve tenere le mani in testa. Qua a Napoli stiamo inguaiati e voi tenete una bella responsabilità: le vedete quelle ampolle? Napoli è come quel sangue, si devono sciogliere tutti i grumi! Con questi chiari di luna, è mai possibile che io non prego per voi? State tranquillo che san Gennaro il miracolo lo fa.» Non so se furono le preghiere della vecchierella o le mie, fatto sta

Per il Capo dello Stato quella della Campania è una sfida comune che chiama in ballo sacerdoti e parlamentari

che d’improvviso la mia ansia si placò e la sera, quando andai a letto, dormii profondamente sino all’indomani. Quella mattina, il vero miracolo fu avere nelle mie mani quella teca. Mai da bambino avrei potuto immaginare che un giorno sarebbe toccato a me. Sentire lo sguardo commosso e l’attesa palpitante delle migliaia di fedeli che gremivano la cattedrale fu un’emozione indescrivibile, ma avvertivo anche tutta la responsabilità del mio ministero. Pregai intensamente la Santissima Trinità e, in quel momento, raccolsi le speranze e le attese dei fedeli. Sapevo che il prodigio per loro era importante e lo era anche per me, perché la mia missione di vescovo fosse accompagnata anche dalla benedizione del santo. Non ebbi il tempo di pensare come mi sarei sentito se il miracolo non fosse avvenuto, che un tripudio di folla, un applauso gioioso, provocato dallo sventolio del fazzoletto bianco, annunciarono l’immediata liquefazione. Qualche giorno dopo mi raccontarono che tra la folla, molti gridavano: «Pure san Gennaro ’o vo’ bene!». *** Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, conosce la straordinaria vicenda storica e civile della nostra città, è egli stesso napoletano ma, soprattutto, è uno che Napoli l’ha sempre vissuta da protagonista, come uomo di studio e di politica. Conosce i quartieri «di sotto», i senza nome. Nel novembre del 2006, dopo l’elezione a capo dello Stato, venne a Napoli per la sua prima visita ufficiale. Fu programmato un incontro alla Sanità, luogo em-

Nelle due pagine, alcuni dettagli della Napoli descritta dal cardinale Crescenzio Sepe (nella foto in basso) nel suo libro “Non rubate la speranza”

blematico per calarsi nel cuore della vicenda umana dei napoletani e restare ammirati dalla grandezza e dalla povertà della gente. Alla Sanità per lanciare un progetto a favore dei ragazzi, offrendo loro non parole ma proposte concrete. Insieme al ministro per le Riforme e l’Innovazione tecnologica Luigi Nicolais siglammo un protocollo d’intesa che avrebbe portato in cento parrocchie della diocesi laboratori informatici per permettere ai giovani non solo la conoscenza dei nuovi linguaggi ma la possibilità di un futuro inserimento lavorativo. Una risposta alla strada per favorire la rinascita della speranza nei quartieri «di sotto». Forse è troppo poco per parlare di uno schiaffo alla camorra, ma dalla Sanità è partito un progetto, una rete che collegherà via internet non solo le parrocchie ma, in uno scambio sinergico di nuova comunicazione, l’intera diocesi e soprattutto i giovani, che potranno meglio attrezzarsi per definire insieme ai loro educatori un presidio di legalità. Uno sguardo coraggioso sul futuro per lasciarsi alle spalle un passato pesante che fa fatica a passare. Il presidente fu ben lieto dell’iniziativa. «Signor presidente» gli dissi, «venga alla Sanità, nella parrocchia di Santa Maria, dove s’intrecciano, come a Napoli, violenza e folclore, la camorra più violenta e il ricordo del grande attore napoleta-


società

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Per il porporato la Chiesa non può sostituirsi allo Stato

L’appello alla politica: «Non lasciateci soli» di Francesco Rositano

ROMA. Ci vogliono scarpe buone per poluogo partenopeo - rischia di diven-

no Totò, che lì è nato. Dove si possono trovare i pittoreschi panni appesi ai balconcelli e i fuochi d’artificio per festeggiare i boss del clan.» Ci sedemmo vicini, come compagni di viaggio, l’uno accanto all’altro, e collegammo in rete due mondi difficili, le Salicelle, note per le sue siringhe, e la Sanità, con la speranza di riemergere. «Lo Stato e la Chiesa» affermò il presidente, «hanno una comune missione educativa e sono chiamati a servire gli stessi valori di moralità, eticità, soprattutto nelle situazioni sociali più difficili. Il futuro è nelle vostre mani, nelle vostre e nelle nostre. Non siamo due cose differenti, i giovaniì e gli adulti, lo Stato e la Chiesa. Siamo impegnati nella stessa battaglia. E sono convinto che la vinceremo, anche in un quartiere in condizioni così difficili come il vostro.» *** Vi chiedo un atto di coraggio: in questi giorni che ci separano dalla Pasqua portate nelle Chiese tutte le armi che rinnegano la vita, deponete davanti a Cristo Crocifisso i coltelli, le lame che uccidono la speranza e infangano la vostra giovinezza e la vostra dignità di uomini. Non abbiate paura, non spargete altro sangue fraterno, non chiudetevi all’Amore vero! I coltelli che deporrete e tutti gli altri strumenti di morte saranno distrutti e trasformati in arnesi utili a coltivare la terra, realizzando così la Parola di Dio: «”Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra”» (Is 2,4). A questa lettera, inviata a tutti, indistintamente, risposero tanti giovani prestandosi a essere postini d’amore: senza troppo rumore, senza cercare i riflettori, andarono per strada, nelle piazze, nei luoghi di ritrovo, all’uscita dei pub, delle

pizzerie, delle discoteche per distribuire la lettera. Soprattutto nelle scuole. Tanti ragazzi raccolsero la provocazione. Tanti coltelli furono deposti ai piedi della Croce, tanti ne arrivarono anche da lontano. Il Venerdì Santo, nella stupenda piazza del Gesù, un tempo porta di Napoli che si apriva al mondo, celebrai la Via Crucis e in quel luogo, nel fuoco della speranza, bruciai le lame, strumenti di sopruso e di violenza, per trasformarli simbolicamente in arnesi che producono solidarietà, giustizia e pace, per spezzare le catene dell’odio. Quante famiglie distrutte! Quanti bambini senza genitori e senza futuro! Quanta responsabilità di tutti! Quanti calvari pieni di croci nelle nostre strade, nelle nostre piazze, nelle nostre case! Quante vite spezzate! «Lasciate cadere i coltelli» fu un grido dell’anima. Bruciare gli strumenti di odio e di vendetta significava illuminare la notte di speranza. Non mi illudevo di risolvere i gravosi problemi dei ragazzi della mia città, ma con quell’invito volevo dare loro una carezza, volevo far emergere la volontà di bene che c’è – ne sono sicuro – nel cuore dei giovani, se non sono soli e dimenticati.Volevo ribadire la mia vicinanza ai più deboli, l’indisponibilità al crimine e all’ingiustizia, la denuncia del malaffare, la voglia di riscatto. Non sono un illuso, ma un uomo di speranza, e le migliaia di giovani che gremirono piazza Dante nella «Giornata della gioventù» mi fanno sperare che ce la possiamo fare. A volte basta una carezza per dire presenza. I giovani, i miei giovani, l’hanno avvertita e io ripeto con loro: «C’a putimm’ fa!». Combattere il male

sopravvivere a Napoli. Lo sa bene il cardinale Crescenzio Sepe che ha attraversato la città e ne ha conosciuto gli angoli più nascosti come arcivescovo. E lo ribadisce nel suo libro Non rubate la speranza (Mondadori, 2008), di cui si discuterà stasera a Roma presso l’Auditorium Augustinianum alla presenza del capo dello Stato Giorgio Napolitano. «Nel rione Salicelle di Afragola - scrive in modo appassionato il porporato - le scarpe sono necessarie se si vuole attraversare un lembo di terra dove la legge della non legge è diventata sistema; dove bisogna proteggersi le punte dei piedi per attraversare i viottoli, trasformatisi col tempo in manti di siringhe sporche di sangue. Mai nella mia vita, girando il mondo, soprattutto quello più povero e degradato, avevo visto l’asfalto diventare memoria viva di dosi consumate. Ogni siringa una storia, ogni siringa un approccio con il degrado». Pagine appassionate, frutto di un rapporto diretto con la città, che lanciano da sole una denuncia: alla politica, alla religione e anche all’economia.

tare sempre più una lotta tra poveri, «un conflitto tra chi sente incombere la minaccia perfino sul suo poco o addirittura sul suo niente».

Una vera e propria emergenza, a tratti più grave di quella riguardante i rifiuti, di fronte alla quale la politica non può voltare le spalle. È stato lo stesso porporato a scriverlo sul sito della sua diocesi lo scorso agosto, quando un centinaio di extracomunitari africani rimasti senza abitazione a causa dell’incendio della palazzina in cui vivevano nel quartiere di Pianura avevano occupato per nove ore il duomo di Napoli: «La Chiesa è accanto ai poveri, ma non ha il potere di sradicare la povertà. Alle politiche sociali, quando mancano o sono carenti, non è possibile rispondere in termini di supplenza. Una Chiesa che supplisce è una Chiesa posta, talvolta, nelle condizioni di agire semplicemente come una sorta di agenzia umanitaria». Parole forti dal significato inequivocabile cui si è cercato di rispondere in vari modi. Non è un caso che alla presentazione di questa sera saranno presenti diversi esponenti della cosiddetta “casta”: a rappresentare il governo ci saranno il ministro della Cultura Sandro Bondi e il sottosegretario Gianni Letta. Invitati, poi, anche diversi esponenti dell’opposizione.Tra costoro Rosy Bindi, Vannino Chiti e il leader del Partito democratico Walter Veltroni. Non mancheranno poi i vertici dei più importanti organi istituzionali tra cui Giovanni Maria Flick, vicepresidente della Corte costituzionale. Diversi elementi che fanno percepire chiaramente come l’appello del cardinal Sepe abbia colto nel segno. D’altra parte sarebbe stato a dir poco disdicevole se dinnanzi a una situazione così grave, che ha messo a dura prova anche l’immagine dell’Italia all’estero, la politica non fosse scesa in campo anche attraverso iniziative dal valore simbolico. Come ad esempio quella di convocare le riunioni del Consiglio dei ministri nel capoluogo partenopeo. Gesti importanti ma non decisivi. Da soli, infatti, non possono lenire le ferite di una terra in cerca del suo riscatto.

Ecco il pericolo più grave: quello di una lotta tra poveri, che sentono incombere la minaccia perfino sul loro niente

A introdurre il volume ci saranno Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e lo scrittore Erri De Luca, protagonista di un’altra iniziativa dell’arcivescovo, quella dei Dialoghi d’Avvento con gli esponenti della cultura laica. «La marcata esclusione sociale – prosegue il porporato – ha cause molteplici: politiche, culturali, religiose, ma bisogna avere il coraggio di segnalare che, oggi, una delle cause principali che alimenta tutte le altre è la cattiva economia. Da questa ingiustizia economica nascono le conseguenze strutturali di una società malata che genera conflitti attizzati dall’indigenza, dal divario sempre più marcato tra benestanti e nullatenenti, tra fortunati e sfortunati, così che la violazione dei diritti fondamentali alimenta il conflitto civile. La malavita di Napoli è, in se stessa, un conflitto civile e la violenza non è altro che il linguaggio che questo conflitto produce». Una guerra civile che - come ha sottolineato il cardinale intervenendo a proposito di altri episodi di violenza registratesi nel ca-


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mondo

Il Paese alle urne cerca di distanziarsi dalla politica Usa, soprattutto sulla questione irachena e sull’energia

Canada al voto,avanzano i conservatori di Valentina Cosimati

d i a r i o n questi giorni, i riflettori sono tutti puntati sulle elezioni statunitensi e sulla crisi finanziaria dei grandi mercati. Ma se si guarda attraverso le luci abbaglianti delle telecamere ci si accorge che a pochi chilometri a nord di New York, nel secondo Paese più grande al mondo in termini di estensione geografica, si sta decidendo chi governerà per i prossimi anni una delle democrazie più ricche in risorse naturali ed energetiche del pianeta. Oggi, i cittadini canadesi eleggeranno il nuovo governo federale, ora in mano ad una minoranza guidata dal conservatore Stephen Harper, coinvolto nei giorni scorsi in una polemica de-

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servatore Stephen Harper (attualmente in carica con un governo di minoranza), il liberale Stéphane Dion (a capo dell’opposizione ufficiale), Jack Layton del New Democratic Party (Ndp), Gilles Duceppe per il Bloc Québécois e la leader dei Verdi, Elizabeth May. I sondaggi danno i Conservatori decisamente in vantaggio con il 35%, i Liberali al 22%, l’Ndp attorno al 20%, i Verdi al 13% e il Bloc Québécois attestato su un 9% nazionale.

stabilizzare una situazione di incertezza, certamente non utile alla risoluzione della crisi finanziaria che si sta abbattendo come un ciclone anche in Canada.

I Liberali, a capo dell’opposizione ufficiale, hanno sempre accusato Harper di essere più attento agli interessi dell’amministrazione Bush che a quelli nazionali, sia sul piano delle risorse energetiche che su quello della lotta al terrorismo internazionale. L’opposizione Un po’ a sorpresa il vantaggio contesta al premier in carica di dei Conservatori, secondo il son- aver tentato di “svendere” parte daggio Harris/Decima-Canadian delle preziose risorse energetiche Press: questo, infatti, coinvolge canadesi agli Usa proprio mentre una provincia liberale come l’On- l’intervento in Iraq assumeva sempre più i tratti di un’azione militare a cui i canadesi, tradizionalmente impegnati solamente in operazioni di mantenimento della pace e fortemente coinvolti in organizzazioni internazionali volte alla riduzione netta dell’uso della forza, non hanno nessuna intenzione di partecipare. A poche ore dall’inizio delle operazioni di voto iniziate come di consueto tra qualche polemica per i costi di tali procedure e una grande partecipazione da parte dei soldati impegnati nelle operazioni di pace i Liberali hanno diffuso un vecchio discorso del premier, mettendolo a confronto con quello del suo omologo australiano, in cui si riscontra più che Il presidente canadese e leader conservatore Stephen Harper, in corsa per la rielezione. una comunanza di Gli contendono il posto Stéphane Dion e Jack Layton intenti una vera e propria identificagna del tapiro d’oro. Le consulta- tario, categorie di elettori quali gli zione tra i due. Scandalo a corte? zioni elettorali in questa parte del- abitanti “metropolitani” (contrap- Non proprio. D’altronde, la notil’America settentrionale sono una posti a quelli “rurali”) e le donne. Il zia non è freschissima e sono babattaglia all’ultimo elettore: vige Quebec mantiene forti i valori in- state le scuse ufficiali da parte infatti l’uninominale secco e un so- dipendentisti della provincia fran- della persona che l’ha scritto – e cofona con una maggioranza ab- che si è giustificata ammettendo lo voto può fare la differenza. bastanza netta del Bloc Québé- di aver preso in prestito pezzi del Per questo, i candidati si presen- cois. L’Ndp, la “sinistra” più vicina discorso di John Howard – per tano nelle case e nei luoghi di ritro- ai sindacati, sembra voler fare mettere tutto a tacere. Certo, l’avo, spiegando i programmi ed illu- spazio ai Verdi, sempre più radica- ver ripetuto le parole della sua strando quello che hanno fatto fino ti nel territorio. Stando ai sondag- controparte australiana su una a quel momento. Interi quartieri e gi, quindi, la questione sarà, anche questione così delicata come l’apcondomini si tingono dei colori per questa quarantesima tornata poggio all’intervento militare in elettorali in una pacifica e molto elettorale, giocata sui seggi alla Iraq non depone a favore del leacivile dimostrazione di opinioni, i Camera; bisognerà contare i voti der Conservatore, ma la diffusiodibattiti si susseguono e ognuno in ogni distretto, insomma, per sa- ne di questo video potrebbe anche ha la possibilità di incontrare il pere se i Conservatori riusciranno risolversi in un auto-goal per l’opproprio candidato e di chiedere ad ottenere un numero sufficiente posizione, che secondo molti non conto delle azioni politiche. A sfi- di deputati per garantire la mag- ha saputo contrapporsi al governo darsi per la guida del Paese, il con- gioranza effettiva in Parlamento e in modo efficace.

È una battaglia all’ultimo voto: vige infatti l’uninominale secco e una singola preferenza può fare la differenza. L’Ontario tifa Harper

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Israele, pronto il governo Mentre il ministro della Difesa di Gerusalemme annunciava che per il periodo della festa ebraica del Sukkot, vi sarà il blocco della Cisgiordania, l’attuale ministro degli esteri israeliano Zipi Livni, ha fatto un passo avanti verso la carica di primo ministro dello Stato ebraico. Secondo quanto riferito ieri dallo radio israeliana il ministro è riuscito a raggiungere un accordo con il partito laburista che dovrebbe rendere possibile la formazione di un prossimo governo di coalizione con la forza politica creata dall’ex primo ministro Sharon, Kadima. I due partiti avrebbero espresso il loro consenso anche alle linee guida del prossimo esecutivo di Gerusalemme. L’accordo è stato sottoscritto da un deputato di Kadima e dal consigliere del capo del partito laburista Ehud Barak. Il provvedimento di blocco della Cisgiordania entrerà in vigore oggi a mezzanotte per restare valido fino al 21 ottobre.

Lituania, conservatori in testa Dallo scrutinio parziale delle schede, a Vilnius si delinea la vittoria dell’Unione patriottica. Il partito conservatore, dopo lo spoglio di oltre un quarto dei voti, sarebbe in testa sia pur di stretta misura, con il 16 percento delle preferenze. Subito dietro vi è il cartello elettorale Ordine e giustizia, dell’ex presidente Roland Paksas, seguito dai socialdemocratici del primo ministro Gediminas Kirkilas. In fondo il partito d’opposizione nazional-populista. La partecipazione elettorale, che ha raggiunto il quaranta percento dei 2,7 milioni di lituani aventi diritto, è però in calo. I sondaggi davano l’ex presidente Paskas favorito a guidare il prossimo governo. Nel 2004 Paskas era stato costretto alle dimissioni in quanto accusato di malversazione e corruzione.

Russia, Abramovich torna alla politica Il miliardario russo Roman Abramovich, tre mesi dopo aver rinunciato all’incarico di governatore della regione di Tuschukotka è stato rieletto col 96,99 percento dei voti al parlamento della stessa repubblica. Abramovich, che lo scorso luglio era stato spinto a lasciare le redini delle piccola repubblica della federazione russa molto vicina all’Alaska dal presidente Medvedev, era governatore dal 2001. Da allora la popolazione della Tuschukotka aveva sempre sperato il ritorno dell’oligarca alla politica. Durante il suo mandato, per stimolare il debole sviluppo della repubblica,Abramovich aveva dato fondo anche al suo patrimonio personale .

Lukashenko, l’Ue toglie l’embargo Il divieto di ingresso nei Paesi Ue per il presidente bielorusso Lukashenko è finito. Questo è quanto filtra da ambienti diplomatici europei. Le sanzioni economiche e finanziarie continuano invece a restare in vigore hanno detto fonti vicine al vertice del ministri degli Esteri dell’Unione in Lussemburgo.

Azerbaigian, mercoledi presidenziali Mercoledì a Baku si svolgeranno le elezioni presidenziali ma secondo il giornale indipendente azero Lo Specchio, durante la campagna elettorale non è stata posta la sola domanda veramente importante per il futuro di questa repubblica petrolifera dell’Asia centrale: l’Azerbaigian abbandonerà la politica di equilibrio tra Mosca e l’occidente? La guerra in Georgia sembra aver messo in discussione quelle che fino a poco tempo fa sembravano gli sviluppi acquisiti del Paese. Per questi timori, i dirigenti azeri avevano messo in guardia i colleghi di Tblisi dal cedere alle tentazioni di risolvere le questioni delle repubbliche separatiste georgiane attraverso la forza militare. «Riconosciamo l’integrità territoriale della Georgia. Ma se ci propongono di riconoscere Abkhazia e Ossezia del sud, siamo più esitanti», ha ammesso il consigliere diplomatico del presidente in carica. Da mercoledì il “nuovo” presidente azero,Aliev, non potrà evitare di sciogliere questo dilemma.


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I due presidenti dell’Ossezia: sopra, Eduard Kokoity, nominato da Mosca; sotto, Dimitri Sanakoev, eletto dalla Regione

Un appello-denuncia rivolto alla conferenza di domani a Ginevra sulla Georgia

Il presidente dell’Ossezia: «La guerra l’ha voluta Mosca» di Dimitri Sanakoev segue dalla prima Conosco l’Ossezia del Sud. Sono osseto, parlo l’osseto e il russo, non il georgiano. Sono nato e cresciuto in Ossezia e vi ho vissuto fino a due mesi fa, quando i separatisti appoggiati dalla Russia hanno cacciato la popolazione di etnia georgiana e chiunque fosse in qualche modo associato alla Georgia. In questo mio breve articolo, sottolineo tre punti: la presidenza russa di Vladimir Putin ha segnato una svolta in negativo per l’Ossezia; dal 2004, Mosca e il regime separatista di Tskhinvali volevano la guerra; i separatisti appoggiati dalla Russia hanno effettuato in Ossezia la pulizia etnica della popolazione georgiana. Il tutto iniziò con provocazioni, disordini politici e tumulti. Nel momento in cui si disintegrò l’Urss, Mosca sfruttò le tensioni etniche nel Caucaso meridionale per opporsi all’indipendenza della Georgia e, nel caso non fosse riuscita in questo intento, per paralizzarla. La Georgia, non appena conquistata la sua indipendenza, reagì con retorica ed azioni immature. La guerra civile lasciò l’Ossezia del Sud a far parte della Georgia, controllata però dai separatisti appoggiati dalla Russia. Io ero uno di quelli. Sebbene successivamente furono in molti a fuggire, l’Ossezia rimase un patchwork di villaggi osseti e

georgiani. Nel 1992, l’allora presidente russo Yeltsin ed il presidente del Consiglio di Stato georgiano Eduard Shevardnadze firmarono un “cessate il fuoco”imperniato su quattro principi: ripristino della fiducia fra osseti e georgiani; accordo su una struttura di sicurezza reciproca; sviluppo dei legami economici fra Ossezia del Sud e Georgia; risoluzione dei conflitti tuttora in corso.

elezioni del 12 novembre 2006. Le aree controllate dai separatisti rielessero Kokoity e avallarono l’indipendenza dell’Ossezia del Sud. Le aree controllate dai georgiani – 25 villaggi con 1/4 della popolazione della regione – elessero me come presidente. Creai una commissione di governo e mi misi a lavoro. Risolvemmo problemi reali per la gente reale: costruimmo strade, scuole, un teatro e un ospedale.

Per il resto degli anni ’90 del secolo scorso, sui primi tre principi si ottennero risultati piuttosto positivi, anche grazie al contributo della Russia. Purtroppo sul quarto principio - la risoluzione dei conflitti - la situazione languiva. Successivamente, nel 2001, apparve chiaro che il nuovo presidente russo considerava l’Ossezia uno strumento geopolitico per destabilizzare la Georgia. Il leader separatista che era da poco salito al potere, Eduard Kokoity, faceva la spola fra Tskhinvali e Mosca. Ne seguì una vera e propria guerra verbale e vi furono scontri con la polizia georgiana. Il nuovo presidente georgiano eletto, Mikheil Saakashvili, chiuse il mercato nero di Ergneti, importante fonte di denaro per la consorteria di Kokoity. La Russia distribuiva passaporti per crearsi suoi“cittadini” all’istante. Nel 2004, la guerra appariva ormai inevitabile. La svolta fu segnata dalle

Ero così orgoglioso di poter ricevere chi veniva in visita nella nostra regione per vedere la nuova scuola di Tamarasheni:

dava libero sfogo alla propaganda contro i georgiani. Saakashvili cercò di negoziare, ma senza frutti. Si arrivò al punto di massima tensione frutto di una campagna ben orchestrata - in agosto, quando tutti erano in vacanza o ad assistere alle Olimpiadi in Cina. Ora si fa un gran parlare – sia in Georgia che in Occidente – di come sia iniziata la guerra e di cosa Saakashvili abbia fatto o non fatto quel 7 agosto. Non bisogna cadere nella trappola della retorica russa. Alla fine di luglio e ai primi di agosto sparatorie e bombardamenti era-

I separatisti appoggiati dal governo russo hanno effettuato una pulizia etnica della popolazione georgiana sin dal 2004. Ora non si deve cadere nella retorica di Mosca una scuola così l’avevo vista soltanto in televisione. Rinnovammo e ristrutturammo le abitazioni.

La polizia lavorava per la gente. Alcune famiglie iniziarono a trasferirsi nella nostra regione dalle aree controllate dai separatisti. Ma tutto ciò fece montare la rabbia del regime di Kokoity: bloccarono le strade, vessarono e molestarono i visitatori. Aumentarono le sparatorie. Con il chiaro incitamento della Russia, Tskhinvali

no aumentati. La forza di interposizione russa non aveva fatto nulla per impedire tutto ciò. Nella notte fra il 2 ed il 3 agosto, le forze di pace georgiane reagirono alle sparatorie nei villaggi di Nuli ed Avnevi. I separatisti risposero con i carri armati e morirono due georgiani. Il tentativo di negoziato del ministro di Stato georgiano per la Reintegrazione, Temur Yakobashvili, fu rispedito al mittente. Infine, il 7 agosto, il Generale Marat Kulakhmetov (comandante della forza di in-

terposizione russa) informò Yakobashvili che i rappresentanti politici russi si erano resi indisponibili e che Mosca aveva perso il controllo sul regime di Kokoity. Ad ogni modo, era ormai troppo tardi.

Il 6 agosto, pattuglie esplorative russe avevano già attraversato il Tunnel di Roki ed erano arrivate fino a 20 chilometri da Tskhinvali. La Russia aveva iniziato la sua guerra. Sono morte 500 persone: russi, osseti, georgiani. In 2mila sono stati feriti. 20mila persone – per lo più georgiani, ma anche alcuni osseti – sono stati costretti a fuggire. Coloro che non sono stati abbastanza rapidi nel fuggire, sono stati catturati e gettati in prigioni e campi d’internamento a Tskhinvali. Quelli che hanno opposto resistenza - 42, credo sono stati uccisi. Le case sono state saccheggiate e i villaggi bruciati. Oggi, non restano più di un centinaio di georgiani in Ossezia del Sud. La colpa di tutto ciò è della Russia. Ora la conferenza di Ginevra deve affrontare questa situazione. Ci vorranno tempo e denaro. È necessario che Tbilisi, Mosca, Washington e Bruxelles prendano delle decisioni. I delegati a Ginevra devono decidere se vogliono essere i veri promotori di questo processo oppure una semplice nota a piè di pagina della storia.


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il paginone

UN NOBEL CONFORMISTA Il riconoscimento per l’economia è stato assegnato a Paul Krugman, neo-keynesiano, titolare di una popolare rubrica sul «New York Times» e acceso contestatore di George W. Bush. In tempi di crisi, una decisione al passo con le mode di oggi mericano, 55 anni, professore alla Princetown University e columnist del New York Times. Oltre che, come afferma il Silicon Alley Insider, profilico blogger (all’indirizzo http://krugman. blogs.nytimes.com). Paul Krugman ha vinto il premio Nobel per l’economia, e a molti è sembrata una vittoria quasi annunciata, visto che ora è il momento dei neokeynesiani, e quindi il risultato è quanto di più mainstream ci si potesse aspettare. E, in omaggio a una fama di persona modesta e scanzonata, lo stesso Krugman ha annunciato la sua vittoria sul blog con un «A funny thing happened to me this morning…», con tanto di link al sito ufficiale che annunciava il premio, e corredato da un migliaio di commenti di congratulazioni dai lettori. Particolarmente gettonati, nella sua opera omnia, i due libri La deriva americana e La coscienza di un liberal.

A

Nella motivazione con cui l’Accademia reale di Svezia gli ha conferito il premio si citano i suoi studi sui modelli di commercio e sui rapporti fra economie di scala e commercio internazionale. O, per meglio dire, sugli effetti del free trade e della globalizzazione, sulle forze trainanti dell’urbanizzazione mondiale: la sua teoria chiarifica perché il commercio mondiale è dominato da paesi che non solo hanno condizioni di partenza similari, ma commerciano in prodotti similari, perché la specializzazione e la produzione in larga scala ne sono favorite. Ma molti, nella vittoria, hanno voluto anche vedere un riconoscimento della sua analisi attuale sui rischi che hanno poi generato la crisi finanziaria. Vedendo anche una profezia nel suo libro scritto nel 2001 Il ritorno dell’econo-

mia della depressione. Stiamo andando verso un nuovo ’29?. Le sue prime parole da premio Nobel hanno voluto comunque lasciare qualche speranza: «Sono molto meno preoccupato oggi di quello che ero venerdì», ha sottolineato, aggiungendo poi: «Stiamo andando verso una recessione e forse durerà a lungo, ma allo stesso tempo forse non sarà un collasso». Il Nobel ha anche avuto parole di elogio per il “modello britannico”di azione nell’attuale crisi: “Non sappiamo ancora se funzionerà - ha scritto nel suo ultimo articolo per il New York Times a proposito del piano di Gordon Brown -. Ma la politica è infine guidata da una chiara visione di quello che bisognerebbe fare. Perché questa visione deve venire da Londra invece che da Washinghton?». E la risposta è un duro attacco al sottosegretario al Tesoro Usa: «È difficile non pensare che la prima risposta di Paulson fosse dettata dall’ideologia. Ricordate che lavora per un’amministrazione la cui filosofia potrebbe essere riassunta con il motto “private good, public bad”che avrebbe reso difficile la parziale nazionalizzazione del settore finanziario».

Spulciando nella sua biografia, si osservano una serie di prese di posizione interessanti, insieme a qualche fatto discutibile. È stato un inesorabile critico della new economy, dei regimi di cambio fisso dei paesi insulari asiatici e della Thailandia prima della crisi del 1997, dell’affidamento ai governi per difendere i cambi fissi sul quale si sono basati investitori (quali i gestori di capitali a lungo termine) prima della crisi debitoria russa del 1998. Ma ha anche studiato i modelli in base ai quali i paesi potrebbero gua-

dagnare dall’imposizione di barriere protezionistiche. Tra le sue attività politiche c’è l’impegno in favore di John Kerry (ma è stato anche consigliere di Ronald Reagan) nelle elezioni del 2004, che secondo molti lo avrebbe portato a ricoprire un ruolo chiave nell’amministrazione in caso di vittoria dello sfidante di George W. Bush. E l’attuale presidente americano è stato spesso oggetto dei suoi strali dalle colonne del New York Times, soprattutto per la sua politica fiscale “doppia” e fatta di promesse mai onorate, secondo lui il vero e proprio “marchio di fabbrica” dell’ultima amministrazione. Ma Krugman lo ha anche difeso, affermando che, anche se Bush ha qualche responsabilità per la scarsa performance dell’economia in questi anni, la gran parte delle colpe è nei politici passati, che hanno perso le occasioni per le riforme. L’Economist cinque anni fa lo ha anche attaccato per le sue spiccate simpatie democratiche: «Un’occhiata ai suoi articoli mostra una tendenza crescente nell’incolpare Bush di tutti i mali del mondo. L’impressione che ne trae il lettore non specialistico è che le idee politiche personali, certamente rispettabili, di Krugman siano empiricamente derivanti dalla teoria economica». Da segnalare anche le polemiche seguite alla sua parteci-

Il fondamentalis di Alessandro D’Amato pazione al comitato consultivo della Enron nel 1999 e la sua partecipazione a due riunioni del consiglio di amministrazione, prima che le regole del New York Times gli imponessero di dimettersi per incompatibilità. Allo scoppio dello scandalo, molti hanno criticato Krugman per il suo silenzio sull’azienda, ma il futuro Nobel ha rintuzzato con vigore tutte le accuse e sottolineando come, in omaggio all’usanza americana, lui non avesse mai nascosto il suo legame con l’azienda protagonista di uno dei più grandi crack della storia, nemmeno

È stato critico nei confronti della new economy ma ha fatto parte dei primi consulenti della Enron. Ha contestato il presidente ma è stato consigliere di Ronald Reagan. Ma il riconoscimento non ha destato troppe sorprese negli Stati Uniti: tutti sapevano che prima o poi avrebbe vinto


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Più che uno studioso, un osservatore politico

Perché premiare un editorialista? di Carlo Lottieri segue dalla prima Ben più noto quale commentatore da quotidiano che quale studioso, Krugman appartiene alla schiera degli economisti americani che guarda all’Europa come a un modello, e che vorrebbe trasferire anche oltre Atlantico il sistema sanitario pubblico e, più in generale, quel welfare state pervasivo che fece i suoi primi passi proprio nel Vecchio Continente su iniziativa di Otto von Bismarck. Nelle ultime ore, in un articolo sul New York Times Krugman ha anche difeso a spada tratta il piano britannico di statizzazione delle banche con i soldi dei contribuenti. Uno degli aspetti più tristi del Nobel dato a Krugman sta comunque nel fatto che egli non è un teorico: in nessun senso. Egli non ha dato alcun contributo alla scienza economica. Non c’è una“teoria krugmaniana”, mentre c’è ad esempio una teoria kirzneriana dell’imprenditore (da Israel M. Kirzner), né c’è un “effetto Krugman”, mentre c’è invece un“effetto Tanzi”(daVito Tanzi). E l’elenco potrebbe essere lungo.

Sono insomma numerosi gli studiosi del nostro tempo che hanno dato un contributo reale alla disciplina, ma tra loro non figura Krugman, che è ormai principalmente un commentatore di fatti politici. E per giunta un commentatore assai fazioso, che ha molto attaccato le politiche di Bush degli ultimi anni (con più di un buon motivo), mentre non ha mai fatto la stessa cosa quando presidente era Clinton e le politiche economiche erano sostanzialmente analoghe. Premiare il militante di un partito (quello democratico) solo perché ha una rubrica sul primo quotidiano d’America, e quindi del mondo, segnala il degrado del premio stesso. Sebbene Krugman non sia certo democratico “per caso”. Il suo essere e rimanere un democratico del XIX secolo – ad inizio Ottocento, infatti, quello democratico era un partito fortemente avverso all’intervento pubblico – è strettamente connesso al suo essere keynesiano e rooseveltiano, legato quindi all’idea che ogni problema non è davvero tale perché lo Stato è sempre in grado di affrontarlo e risolverlo. Negli scorsi anni, d’altra parte, di fronte al disastro giapponese – le cui cause principali non sono distanti da quelle all’origine dell’attuale disordine globale – Krugman non seppe parlare d’altro che di «una trappola della liquidità». Ricuperando la

ismo statalista quando ne aveva parlato sulla stampa. Pochi mesi dopo gli attentati dell’settembre 2001, nei giorni in cui falliva Enron, Krugman aveva previsto in un editoriale pubblicato sul New York Times che il secondo evento sarebbe stato più grave del primo, in termini di conseguenze sulla storia degli Stati Uniti. Una previsione che oggi molti rivendicano come esatta. «Sono sorpreso e anche un po’ scioccato per la velocità con cui il ricordo degli scandali come il collasso di Enron o Worldcom sono scomparsi dall’attenzione del pubblico», aveva dichiarato alla fine del 2002. E le reazioni a caldo, in America, sono infatti contraddittorie: esulta l’Huffington Post, che annuncia la vittoria in un “post” a mezza pagina; molto meno entusiasta The Corner, che prima fa le congratulazioni di rito ma poi non si risparmia qualche critica: «Molti lettori mi dicono che è uno scherzo o una

questione politica… Io dico che erano anni che si parlava di una sua vittoria; e voglio ricordare che anche Noam Chomsky è un grande linguista, ma le sue capacità accademiche non sono indicative del suo talento politico».

scolastica dell’autore della Teoria generale, egli sostenne insomma non già che il Giappone pativa di una serie di investimenti fallimentari causati da una politica ultra-espansiva (che è giunta perfino a tassi di interesse nulli!), ma che il problema era da riconoscere nell’assenza di denaro, così che un’ulteriore immissione avrebbe quindi aiutato la ripresa. A Tokyo le lezioni krugmaniane hanno avuto anche un certo seguito, ma l’adozione di ingenti programmi pubblici non ha dato affatto i risultati attesi.

Il Giappone dell’ultimo decennio, bloccato e con un pesante debito pubblico, è però l’immagine di ciò che diventeranno con ogni probabilità i paesi occidentali che sposeranno simili strategie, tanto care al professore di Princeton, che anche quando sostiene politiche più ragionevoli (come la riduzione delle imposte, ad esempio), lo fa in una prospettiva sbagliata. Per due ragioni. In primo luogo perché egli vede in tasse ridotte uno stimolo per l’economia, e quindi egli tende a suggerire una politica che avvantaggi taluni gruppi al posto di altri. Perfino il taglio delle imposte è insomma inquadrato in una politica economica grazie alla quale il governo orienta l’economia in quella o quella direzione. Per di più, egli non vuole la riduzione delle tasse “per sé”. Meno tasse vanno bene se servono a far crescere la spesa, perché – da keynesiano – egli continuare a credere alla fola del moltiplicatore: all’idea, insomma, che se io compro un bene sto aumentando la ricchezza non già perché uno scambio migliora la condizione di entrambi gli attori, ma perché il mio consumare fa arrivare denaro al produttore che a sua volta poi consuma, e via dicendo. L’illusione – facilmente smontabile – che i consumi producano crescita domina larga parte dell’insegnamento del Nostro. Se il premio è Krugman è un segno dei tempi, in questo trionfo quasi completo dello statalismo più militante c’è almeno un dato positivo. Mentre gli anni passati sono stati descritti – a torto – come caratterizzati dal libero mercato, la consacrazione di Krugman proprio nel momento in cui viene costruita una rete a protezione di ogni banca, viene nazionalizzata una parte rilevante del sistema creditizio e si continua ad immettere moneta (con la riduzione dei tassi di interesse), attesta che ora sono le politiche e le retoriche neo-keynesiane a dominare la scena. Oggi va di moda chi crede si possa fare economia scavando buche e per poi riempirle di nuovo, o progettando impianti siderurgici di Stato a Gioia Tauro.Tra qualche anno, almeno, le responsabilità dello sfascio non saranno più addossate ai «fondamentalisti del mercato».


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Somalia. Il Golfo di Aden è la Tortuga del XXI secolo. Ecco dove si nascondono, quanto guadagnano e come assaltano le navi i terroristi del mare

Il bottino dei pirati Solo nel 2008 il giro d’affari ufficiale è di 50 milioni di dollari. Ma la cifra è più alta di Franz Gustincich n barchino equipaggiato con due potenti motori fuoribordo Evinrude affianca una portacontainer, atteso da un marinaio armato di Kalashnikov. Un’altra minuscola imbarcazione, gemella, effettua una virata e si appresta ad arrembare l’imponente nave con scale di corda e rampini. Ne segue una sparatoria, ma dal primo barchino minacciano di usare un lancia granate e i marinai, impotenti si lasciano abbordare, pur con la certezza che diverranno ostaggi dei pirati. «Tra il momento in cui vengono avvistati e quello in cui prendono il controllo dell’imbarcazione, passano al massimo 15 minuti» dice il capitano de Le Ponent, il lussuoso yacht francese dirottato in aprile. All’inizio ha dato ordine di reagire, ma poi non poteva mettere a repentaglio le vite dei membri del suo equipaggio e si arreso. Ricorda che i pirati erano tutti giovani somali sulla ventina e masticavano continuamente foglie di Kat, una droga leggera, diffusissima a tutti i li-

U

velli tra la popolazione in Somalia e nello Yemen. L’arrembaggio è una scena consueta nel golfo di Aden. I comandanti delle navi transitate dal canale di Suez sono ben consapevoli dei rischi a cui sottopongono se stessi e gli equipaggi, ma naturalmente i commerci internazionali non si possono arrestare, sebbene siano in balìa di poche decine di pirati somali.

A dire il vero è stata ventilata da più parti l’ipotesi di chiudere il canale di Suez, ma fino ad ora è parsa poco più di una provocazione, per spingere con più vigore le nazioni occidentali ad intervenire con serrati pattugliamenti da parte delle forze navali. In attesa che l’Unione Europea invii forze navali dei membri che hanno aderito alla richiesta del presidente di turno, Sarkozy, per implementare quanto stabilito dalla risoluzione 1816 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’Onu è intervenuta su pressione di governi e di compagnie marittime concedendo l’ingresso alle

forze straniere nelle acque territoriali somale, e autorizzando persino delle operazioni a terra, per contrastare la pirateria. Nel frattempo i premi assicurativi per le navi che transitano per il golfo di Suez sono decuplicati. I pirati somali, secondo il Bureu’s Piracy Reporting Center in Malesia, hanno arrembato nell’area del golfo di Aden 67 navi solo quest’anno, delle quali 17 nelle prime due settimane di settembre. Il fenomeno è in rapida crescita se comparato ai 13 attacchi subiti lo scorso anno. 300 sono invece i marinai ancora sotto sequestro a tutt’oggi. I somali hanno a disposizione armi e strumentazioni militari sempre più sofisticate, ma mantengono le minuscole imbarcazioni che sfuggono all’intercettazione dei radar civili. Le grandi compagnie di navigazione cominciano a fare i conti, per scoprire che il passaggio per Suez è sempre più simile ad una scommessa. L’alternativa, ancora troppo costosa, è doppiare il Capo di Buona

Senza governo da 17 anni e in balia delle Corti islamiche e dei Signori della guerra

L’incubo di Mogadiscio PRIVA DI UN GOVERNO nazionale ormai da 17 anni, la Somalia è tristemente nota come il Paese simbolo dell’instabilità politica e della precarietà delle condizioni di vita di adulti e bambini. In carenza di un potere centrale, l’accesso degli abitanti ai servizi sociali più elementari è negato dalla povertà o subordinato all’arbitrio di fazioni, clan ed eserciti privati. La storia recente della Somalia è segnata dalle tappe della lotta armata per il potere, che vede oggi protagonisti il Governo di transizione (appoggiato anche militarmente dall’Etiopia) e le Corti islamiche, soggetto relativamente nuovo noto per avere a sua volta scalzato nel 2006 il potere dei cosiddetti ”signori della guerra”. Sono oltre 3,2 milioni le persone vittime di un’emergenza complessa in cui guerra, disas-

tri naturali e penuria alimentare si cumulano aggravando le condizioni di vita di una popolazione ridotta allo stremo. I bambini direttamente colpiti dall’emergenza sono più di 640mila; circa un milione le persone sfollate. I mesi di agosto e settembre sono stati i più sanguinosi del 2008. Gli attacchi delle milizie legate alle Corti islamiche contro le truppe etiopi e del Governo di transizione continuano in tutta la Somalia centro-meridionale, con la capitale Mogadiscio divenuta teatro costante di stragi di civili innocenti: solo nel bombardamento del più grande mercato della capitale, compiuto lo scorso 23 settembre, più di 100 persone sono state uccise e altre 200 ferite. Negli ultimi giorni, più di 12mila persone hanno abbandonato Mogadiscio in fuga dai combattimenti.

Speranza, seguendo la rotta tracciata dal navigatore portoghese Bartolomeu Dias, percorrendo, per andare ad esempio dall’Italia all’India, quindi, circa settemila miglia in più, al costo compreso tra i venti ed i trentamila euro al giorno.

Una nave catturata dai pirati, fino a pochi anni fa, veniva portata in un porto sicuro e scaricata, poi lasciata andare. Oggi le cose sono cambiate e i pirati sembrano preferire il riscatto: in media un milione di dollari, da pagare in una banca di un paradiso fiscale tramite un fiduciario. Il totale dei pagamenti accertato dalle autorità navali internazionali, supera i 50 milioni di dollari solo per quest’anno, secondo il giornale dell’industria marittima Lloyd’s list, ma alla cifra bisogna ag-

giungere il costo del fermo dell’imbarcazione, che può variare tra poche decine di migliaia di dollari, fino ad alcune centinaia di migliaia. Molti armatori, inoltre, preferiscono non denunciare il fatto, per non perdere la fiducia dei noleggiatori, ma questo è possibile solamente se il carico non viene toccato e non è, quindi, necessario, denunciare l’accaduto all’assicurazione. Per il recente sequestro della nave ucraina Faina che trasportava 33 carri armati russi T72, oltre ad armi più leggere ed ammunizionamento vario, i pirati consci dell’importanza del carico, ancorché prima del suo valore, e dell’impossibilità per le loro piccole organizzazioni, di sbarcarlo e rivenderlo, hanno chiesto un riscatto di 35 milioni di dollari.


mondo

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foto grande, il mercantile ucraino “Faina” sequestrato con il suo carico di armi e tank il 27/9. I pirati hanno chiesto un riscatto di 35 mln di $. In basso, il veliero da crociera francese Le Ponant. Altre foto: pirati in azione e dopo un arresto

La Nato nel Golfo La Nato, assieme alla Ue, rafforzerà entro due settimane la sua presenza nell’Oceano Indiano con sette unità navali, per contrastare il fenomeno della pirateria al largo della Somalia. La decisione, fortemente voluta dall’Onu e del Programma alimentare mondiale (Pam), è stata presa durante il recente vertice Nato di Budapest e approvata dai ministri della Difesa dei 26 Paesi dell’Alleanza. «La pirateria costituisce una minaccia per la popolazione somala, che per il 40% dipende dagli aiuti alimentari del Pam», ha sottolineato il portavoce della Nato James Appathurai. Aggiungendo: «La missio-

Secondo i dati dell’Office of naval Intelligence civile, nel 2007 sono state 263 le navi il cui controllo è stato preso dai criminali in seguito ad un atto di pirateria, ma il punto più caldo sul mappamondo è improvvisamente diventato il golfo di Aden, sorpassando anche lo stretto di Malacca, in Malesia, già tristemente famoso per la crudeltà dei pirati locali: nel 2004 si registrarono 21 marinai uccisi e 71 dispersi.

Il costo effettivo della pirateria non è stato ancora calco-

rebbe ancora di più in termini di sofferenze umane dei beneficiari. E ancora i costi ambientali, di cui ci si è resi conto in aprile, quando i pirati hanno causato danni alla cisterna di una petroliera giapponese, che ha riversato in mare alcune tonnellate di petrolio. Attraverso il canale di Suez passano ogni anno 22mila navi e il 4% del petrolio del mondo. Ed è su questa enorme quantità di passaggi che alcune aziende, specializzate in sicurezza terrestre, stanno pun-

Attraverso il canale di Suez passano ogni anno 22mila navi e il 4% del petrolio mondiale. È su questo business che alcune aziende, specializzate in sicurezza terrestre, stanno puntando per ampliare il mercato lato nei dettagli, sebbene la rivista Foreign Affairs, stimava le perdite al livello globale per atti di pirateria nel 2004 a 16 miliardi di dollari. La protezione delle rotte, sebbene ancora solo parziale, comporta investimenti in termini di risorse e di mezzi. La sorveglianza delle aree a rischio è effettuata a “zona”, prendendo in prestito un termine calcistico, mentre le scorte son dedicate esclusivamente dalla Canadian Navy ai carichi umanitari, la cui depredazione coste-

tando per ampliare il mercato verso l’oceano.

La ricetta è semplice: circondare la nave con del filo spinato elettrificato per impedire, o almeno rendere molto più difficoltoso, l’abbordaggio. Sembra che qualche compagnia di assicurazioni sia disposta a ridurre il premio per chi metterà in atto elementi di dissuasione come questo. Per diventare pirati occorre innanzitutto godere dell’appoggio di qualcuno a terra, di un luogo dove rifugiarsi senza essere traditi. Le coste della Somalia, di questo statonon stato (vedi box a sinistra), si prestano perfettamente a questo genere di operazioni. La Tortuga moderna, la mitica isola dei pirati celebrata dal-

le leggende e dal cinema, si trova qui, tra capanne di paglie e palafitte, dove è praticamente impossibile scovare i barchini e le armi utilizzate per gli assalti e dove, soprattutto, non esiste uno stato centrale.

ne della flotta Nato sarà duplice, scorterà i convogli del Pam e sorveglierà il mare» al largo del Corno d’Africa. La missione di controllo non poteva che basarsi su una motivazione a prevalente carattere umanitario, visto che viceversa l’operazione avrebbe potuto sollevare reazioni diplomatiche con la Somalia. Restano ancora da definire i dettagli e la nazionalità dei Paesi che vi parteciperanno, ma certamente l’Italia non sarà fra questi, come annunciato dal nostro ministro della Difesa, La Russa. Secondo un diplomatico Nato, la forza navale comprenderà delle fregate.

Chissà se tra quattro o cinquecento anni qualcuno celebrerà le gesta di questi banditi, come fu per gli oramai immortali Barbanera e soci, o se verranno ricondotti alla realtà dell’essere semplicemente dei criminali.


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cultura

Editoria. Lo scrittore brasiliano inaugura stasera la Fiera di Francoforte Poi, da domani apre i battenti il mercato più importante dell’anno

L’invasione degli ultralibri Alla Buchmesse vanno forte Coelho e Pamuk ma tutti scommettono sul trionfo degli e-book di Livia Belardelli

FRANCOFORTE.

Il giro del mondo in cinque giorni. Ecco cosa promette la Fiera Internazionale del libro di Francoforte. Dal viaggio letterario di Jules Verne nel 1873 le cose sono cambiate. Oggi, assicurano dalla Germania, si può esplorare il mondo muovendosi comodamente tra i padiglioni della Buhmesse che, dopo l’inaugurazione di stasera sarà aperta da domani a domenica. 7000 espositori e ben 101 paesi per oltre 400.000 titoli che abbracciano la letteratura mondiale. I tempi cambiano. La produzione aumenta. È ben lontano il 1949, quando

ne dei professionisti del settore e del loro lavoro. C’è chi parla addirittura di un’inevitabile “IPod moment” per l’industria del libro.

Qualcuno invece, come il Presidente dell’Associazione Italiana Editori Federico Motta, insiste sulla differenza tra “palco e realtà”: «Un conto è la presentazione di strumenti nuovi e all’avanguardia, un altro è l’effettivo impatto che hanno sul mercato. Gli ebook potranno avere una fruizione diversa, efficaci in alcuni settori editoriali, ad esempio la scolastica e i set-

Gli editori italiani puntano tutto su Niffoi, Calasso, Melania Mazzucco e Francesco Piccolo. Ma è passato il tempo dei grandi affari: la grave crisi mondiale si fa sentire anche qui una neonata Fiera apriva timidamente i battenti ai suoi 10.000 visitatori. Oggi, per l’edizione 2008, gli organizzatori ne aspettano oltre 280.000. Ancor più sono cambiati i tempi dall’epoca di Jules Verne, quando un libro era pur sempre un libro. Oggi invece tra audio book, Dvd ed e-book la letteratura spalanca le porte alla tecnologia. E all’insegna della tecnologia e della digitalizzazione sarà la prossima Buchmesse. «Molte sono le forme di media che sono state introdotte, all’inizio c’erano le audiocassette, poi i Cd-rom e oggi i prodotti online. Gli e-book rappresentano un settore in grande crescita» spiega Juergen Boos, direttore della Fiera, sottolineando come la digitalizzazione non abbia solo creato nuovi contenuti ma soprattutto abbia reso il mercato più accessibile. Questa forte crescita ha portato alla proliferazione di prodotti complessi e diversificati che ha come risultato la trasformazio-

tori professionali come il giuridico e il tecnico. Bisogna capirne l’effettiva utilizzazione che, almeno per ora, non è quella di sostituti del libro cartaceo». Entusiasmi e malumori a parte, ciò che è certo è che quest’anno ben 361 espositori includeranno e-book nel loro assortimento con un incremento del 2 per cento. Internet e i supporti digitali non rappresentano la fine del libro ma una nuova via/opportunità per il libro di essere creato. Lo dimostrano i colossi americani Google e Amazon e il tedesco Libreka!. Così, oltre alla presentazione dei prodotti, molti eventi della Fiera saranno dedicati proprio a questa nuova frontiera e alle sue prospettive. Tema dalla doppia faccia che vede da un lato l’affacciarsi di un nuovo e vivace mercato ma dall’altro, attraverso la possibilità di fruire testi cartacei sul formato elettronico, anche un rischio per il diritto d’autore.

Internet tra l’altro ha avuto un forte impatto anche nel regno del marketing. Non è un caso che un autore di fama mondiale come il brasiliano Paulo Coelho abbia usato a suo vantaggio i new media riuscendo ad arrivare al traguardo dei cento milioni di copie vendute. Sarà proprio lui a dare inizio alla Buchmesse nella conferenza stampa d’apertura di stasera dove, oltre ai festeggiamenti per il traguardo raggiunto, verrà presentato il suo nuovo romanzo, O vencedor está só.

Tra i grandi scrittori attesi quest’anno anche il premio Nobel della letteratura nel 2006 Orhan Pamuk che, dopo Altri colori pubblicato a settembre da Einaudi, presenterà il suo nuovo romanzo, Il museo dell’innocenza, in traduzione in Italia a febbraio. Una storia d’amore sullo sfondo di una Istanbul divisa tra ricchezza e povertà, all’apparenza di un solo colore, tra il grigio e l’amaranto, ma che costringe, secondo le intenzioni dell’autore, a indagare e attraversare tutti i colori della nostra interiorità. Così, proprio la «Turchia in tutti i suoi colori» sarà l’ospite d’ono-

A sinistra, lo scrittore brasiliano Paulo Coelho che questa sera aprirà ufficialmente la Buchmesse di Francoforte. Nella pagina a fianco, Orhan Pamuk: la Fiera di quest’anno è dedicata alla sua Turchia

re della Fiera di quest’anno, oggetto di incontri e focus per conoscere meglio una cultura e una tradizione letteraria di grande e spesso ignorato spessore. Uno sguardo particolare è puntato anche sui mercati del futuro, Cina e India in testa, che possiedono un potenziale enorme. Proprio la Cina sarà l’ospite d’onore della Buchmesse del prossimo anno. Alla cerimonia di chiusura sarà presente per la delegazione cinese anche la scrittrice Zhang Jie, candidata al Nobel per la letteratura, in Italia la settimana successiva per presentare il suo libro, Senza Parole, tradotto e pubblicato in anteprima mondiale dall’editore Salani.

Il nostro Paese sarà presente istituzionalmente con un “Punto Italia”: oltre trecento saranno gli editori italiani presenti. Eppure quest’anno, come ci racconta il Presidente dell’AIE Federico Motta, il clima non sembra così incoraggiante nonostante l’anniversario importante per la Fiera, giunta alla sua sessantesima edizione. «Credo

che per la prima volta non si potrà certo registrare euforia vista la tendenza generale del 2008. Quest’anno non possiamo dimenticare il contesto al di fuori della Fiera. Si terrà conto dello stato generale di preoccupazione nei confronti dell’economia mondiale e tutto dipenderà dall’ottimismo o pessimismo che i singoli operatori avranno nei confronti del 2009». Stesso clima si respira nelle opinioni di tanti editori italiani che vedono la Fiera come luogo di incontro e di relazioni piuttosto che di grandi scoperte e frenetiche trattative commerciali per accaparrarsi il best seller dell’anno. «Ormai si è sviluppata una tale quantità di contatti che di fatto le novità arrivano attraverso tanti altri canali. Comunque, Francoforte rimane un importante luogo di confronto con gli editori internazionali» ci dice Laura Piccarolo dall’Ufficio Diritti di Einaudi. E viene da chiedersi a che livello “i giochi siano già stati fatti”. Motta, che conferma questa tendenza almeno per quel che riguarda narrativa e letteratura in genere, sottolinea invece un grande


cultura

scambio in altri settori. «Nel campo delle edizioni scientifico-tecniche, per i libri d’arte e di architettura, la Fiera ha un ruolo fondamentale e permane un forte scambio a livello sia commerciale che progettuale».

Anche da Adelphi viene confermata la mancanza di entusiasmo. Tra le proposte per la Fiera presenta i tre italiani pubblicati quest’anno, Salvatore Niffoi in primis, che conferma il pluriennale sodalizio con la casa editrice, e il nuovo libro di Roberto Calasso, La folie Baudelaire, che sarà portato alla Fiera e come sempre verrà tradotto in molte lingue dai suoi editori di fiducia. Nella rosa di romanzi di Einaudi invece compariranno Diego De Silva, già tradotto in Spagna e Germania, e Le lettere editoriali di Pavese, autore che continua a essere molto tradotto all’estero, per celebrare il centenario dalla nascita. «Due titoli su cui puntiamo molto sono Cinacittà di Tommaso Pincio, una Dolce vita annegata nello sporco di una Ro-

ma invasa dai cinesi, specchio delle paure dei nostri tempi e riflessione sulla diversità e il nuovo libro di Francesco Piccolo, La separazione del maschio. Per entrambi ci sono in corso delle trattative per i diritti cinematografici». Tra le novità anche l’anteprima di Educazione siberiana di Niklaj Lilin, libro che uscirà nel 2009 ma anticipato a Francoforte. Rizzoli invece punta su una formazione tutta al femminile portando alla Fiera, oltre al romanzo della Maraini, due ultime novità: il romanzo postumo di Oriana Fallaci, Un cappello pieno di ciliege e il nuovo romanzo di Melania Mazzucco, La lunga attesa dell’angelo. Tra le straniere, due titoli in uscita su cui puntano molto: La gabbia d’oro del premio Nobel per la pace Shirin Ebadi, mémoire che racconta tutte le fasi della rivoluzione iraniana e di cui Rizzoli ha i diritti mondiali e Cuba Libre di Yoani Sanchez, la famosa blogger cubana che “racconta” sul web la vita all’Avana.

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Ma un italiano su due non legge neanche un libro all’anno FRANCOFORTE. La Fiera internazionale del riata nei primi mesi del 2008 con un mercalibro di Francoforte sarà l’occasione per presentare cifre, tendenze e prospettive sul mondo editoriale italiano. Proprio la kermesse tedesca sarà infatti il palcoscenico per esporre alla stampa e agli addetti ai lavori il «Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2008». La narrativa e la saggistica italiana sono in grande crescita, in controtendenza con il peso dei libri di autori stranieri che diminuisce progressivamente sul totale della produzione.

to contraddistinto da bassi indici di crescita della lettura in assenza di importanti interventi di promozione pubblica nel settore. Il mercato editoriale cresce invece dello 0,87% nel 2007 con un valore complessivo delle vendite di libri a prezzo di copertina che raggiunge la cifra di 3.702,2 milioni di euro ma i primi mesi del 2008 non confermano questa crescita a causa della contrazione dei consumi delle famiglie.

Il settore straniero in-

del libro italiano sia in crescita del 2% il valore denota una scarsa dinamicità del commercio estero del libro italiano che negli ultimi anni è aumentato in maniera poco significativa. I libri maggiormente esportati sono quelli di arte, design, immagine, che costituiscono l’eccellenza dell’editoria italiana. In Italia le case editrici sono 2901 e con 38mila addetti. Nel 2006, ultimo anno in cui si hanno dati definitivi sulla produzione, si contano oltre 61mila titoli, 268 milioni di copie vendute con una tiratura media di 4300 copie. Nel 2008 i titoli commercialmente vivi sono 609.287 con un incremento del 4,9% rispetto all’anno precedente. (l.b.)

Secondo i dati del rapporto annuale degli editori il mercato è in crescita, ma i lettori diminuiscono ancora

fatti, da un valore medio che si attestava intorno al 24-25% per tutti gli anni Novanta, è sceso oggi al 22,5%. 1 titolo su 5 è estero. Se la letteratura italiana è in crescita, risultano però in calo i lettori. Nel 2007 solo 24 milioni hanno letto almeno un libro, con un calo dell’1% rispetto all’anno precedente, e solo 3,2 milioni ne leggono uno al mese: in sostanza, più di metà degli italiani non legge neanche un libro all’anno. Le fasce infantili e giovanili si confermano composte da lettori più forti così come le donne si attestano al 48,9% rispetto agli uomini che si fermano al 37%. La tendenza rimane inva-

Nonostante

l’export


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letture Rileggendo un libro, quello di Magdi Allam, che fa ancora discutere

aro direttore, ho letto di recente il libro di Magdi Cristiano Allam Grazie Gesù. Permettimi di inviarti qualche personale considerazione sul volume, che sarà presentato oggi a Bari presso il circolo liberal, e che introduce temi che certamente non possono “sbiadirsi” col passare del tempo. Il percorso personale di una conversione di fede attraverso le tappe fondamentali del battesimo, della prima comunione e della cresima: questo è il tema che Magdi Cristiano Allam affronta nel suo libro grazie gesù (Mondadori 2008), il cui sottotitolo la mia conversione dall’islam al cattolicesimo ben descrive apparentemente più del titolo stesso. Ma così non è perché come insegna Papa Benedetto XVI «non si incomincia ad essere cristiano in forza di una decisione etica o di una grande idea, bensì per l’incontro con una Persona che dà un nuovo orizzonte alla vita». Questa persona è Gesù, che l’autore incontra e ci fa incontrare nel suo lungo cammino di conversione sin dall’inizio: «Cominciai a leggere con interesse e partecipazione la Bibbia e i Vangeli, rimanendo particolarmente affascinato dalla figura umana e divina di Gesù». La figura di Cristo è baricentrica in ogni percorso di conversione e di fede cristiana. Per imitare il Signore, per essere davvero suoi discepoli, «bisogna rispecchiarsi in Lui». Non è sufficiente avere un’idea generica dello spirito di Gesù; bisogna imparare da Lui dettagli e atteggiamenti. E, soprattutto, contemplare il suo passaggio sulla terra, le sue orme, per trarne forza e pace.

C

Con il suo “grazie gesù” Magdi Cristiano Allam sintetizza in modo corretto e sensibile l’immedesimazione nella vita di Cristo che deve accompagnare la vita di ognuno di noi ricordandoci che tutto quanto ci viene donato deriva da Lui. Il percorso di conversione dell’autore è un viaggio, pertanto, all’interno della spiritualità di quest’ultimo ma, anche e soprattutto, un riproporre al lettore con forza la riscoperta delle ragioni della propria fede. «Stavo rinascendo in Cristo, mi apprestavo a fare i primi passi da autentico cristiano», con queste parole Allam descrive il momento prima del suo battesimo per poi concludere, subito dopo, «finalmente ero rigenerato in Cristo». La conversione è uno dei temi più affascinanti nella Chiesa e uno dei convertiti più conosciuti dai fedeli, San Paolo, ci ricorda che in un istante ha visto tutto chiaro, e la fede, la conversione lo portano alla donazione, all’assoluto abbando-

Il fattore San Paolo (se ciascuno incontra Gesù) di Ignazio Lagrotta A fianco, un’immagine del battesimo di Magdi (Cristiano) Allam e, sotto, il Giovanni Battista dipinto da Guido Reni. Sotto, la copertina del libro di Magdi Allam ”Grazie Gesù”, presentato oggi a Bari alla presenza dell’autore

luti, universali e trascendenti come il fondamento della vita, del pensiero e dell’azione, l’adesione al cristianesimo si traduce in un cambiamento radicale dell’insieme della personalità e dell’esistenza. Certamente ci vorrà tempo affinché questa adesione alla fede di Gesù sia sempre più piena e partecipe. Mi sento come un bambino che sta sperimentando i primi passi della nuova vita cristiana. Ma la voglia di camminare e di correre da cristiano è tanta». Dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passo beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo…(At 10, 34-38)”. “Pertransivit benefaciendo…, passò beneficando”. Così si può riassumere la vita terrena di Cristo. Così deve essere la sintesi della vita di ogni battezzato, poiché tutta la vita si svolge sotto l’influsso dello Spirito Santo. Questa voglia di camminare e

correre da cristiano è ben vissuta nel libro. L’orgoglio, cioè, di vivere con ardore la nostra fede nella vita di tutti i giorni, con la consapevolezza, però, che ci vuole l’aiuto del Signore da cercare attraverso la preghiera. Infatti San Luca ci ricorda che Gesù, dopo essere stato battezzato, «stava in preghiera» (Lc 3, 21).

Il libro è anche un accorato appello al coraggio di essere cristiani: «Ebbene, oggi Benedetto XVI, con la sua testimonianza, ci dice che bisogna vincere la paura e non avere alcun timore nell’affermare la verità di Gesù anche con i musulmani». Riflessione che porta l’autore ad augurarsi di poter «essere testimone di una verità storica e promotore del riscatto dei valori e di un’identità senza cui l’Occidente, che affonda le sue radici nella fede giudaico-cristiana, non potrà affrancarsi e La felicità di Paolo, come la confrontarsi costruttivamente nostra, non consiste nell’assenanche con i muza di difficoltà, ma sulmani». Si tratnell’aver incontrato ta di un concetto Gesù e nell’averlo condivisibile atteservito con tutto il so che in un’epoca storica in cui si cuore e tutte le forNel solco dell’impegno culturale dell’Asinvoca il dialogo, ze.C’è molta similisociazione Identità e Dialogo e della Fonquale fattore nedazione liberal, la presentazione del litudine con quanto cessario per lo bro grazie gesù, di Magdi Cristiano Alscrive Magdi Crisviluppo, per la pace stiano Allam dopo il lam, è una delle tessere più significative del mosaico e per la comprensiobattesimo: «Dentro e che le due realtà intendono costruire. La presentazione ne reciproca, è alfuori di me tutto si terrà oggi a Bari, presso il Circolo della Vela, alle ore trettanto importante cambierà. Nulla sarà 18. Oltre all’autore, interverrano: Michele Emiliano, sinriscoprire la propria come prima. Per chi daco di Bari, Onofrio Mangini, presidente Circolo della identità, perché solo Vela, Mario de Donatis, presidente Identità e Dialogo, come me, considera dalla scoperta di sé e Ignazio Lagrotta, presidente Fondazione liberal Puglia. la fede religiosa e la possibile il “vero” risfera dei valori assono nelle mani di Dio. «So infatti a chi ho creduto…», così Paolo descrive il suo personale rapporto con Gesù. Ha conosciuto Cristo, e da quel momento tutto il resto è come un’ombra a paragone di questa ineffabile verità. Paolo impernia la sua vita sul Signore. Per questo, alla fine della sua vita, quando si trova quasi solo e abbandonato, potrà dire: «Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione».

Bari, un’iniziativa del circolo liberal

conoscimento dell’altro. Da questo angolo di visuale il libro testimonia anche un appassionante e deciso invito al dialogo ma senza i toni del buonismo che troppo spesso condizionano la cultura pseudo-cattolica. «Dico no all’slam e, al tempo stesso, dico sì ai musulmani di buona volontà. La mia mente sarà sempre aperta e il mio cuore sempre pronto ad accogliere tutti i fratelli che, amando il prossimo, credono nella Verità, nella Vita e nella Libertà. Ciò è quanto mi insegna il cristianesimo». La condivisione, pertanto, in larga massima di alcuni valori laici difficilmente opinabili.

Ci sono state critiche al libro tacciato di essere troppo “integralista”. Tali critiche al dire il vero appaiono ingenerose in quanto Magdi Cristiano Allam afferma che «pur prendendo radicalmente e definitivamente le distanze dall’islam in quanto religione, sono assolutamente convinto che si possa e si debba dialogare con tutti i musulmani che, in partenza, condividono, senza se e senza ma, i diritti fondamentali della persona e perseguono il traguardo di una comune civiltà dell’uomo». Il fatto che il libro coltivi l’auspicio di un dialogo ponendo la sacralità della vita umana, la libertà di pensiero ed espressione, la pace e la serena convivenza fra i popoli tra i diritti inalienabili ed inviolabili, come prescrivono, tra l’altro le Costituzioni di tutti gli stati democratici moderni, mi sembra già molto importante e significativo per tacitare dette critiche. D’altronde è necessaria una ripresa dei valori cristiani nell’Occidente in quanto la democrazia è nata proprio grazie alla religione cristiana. «Cristo fu un rivoluzionario» - come ricorda Adornato - «il quale a differenza di Maometto non si pose il problema di unificare lo Stato e di costruire le sue leggi, bensì quello di contestare la religione degli Scribi e dei Farisei». Gesù gettò le basi per la libertà del singolo individuo. Così come prima di lui fece il filosofo greco Socrate. In conclusione i valori che emergono dalla lettura di grazie gesù costituiscono la base di partenza per una riflessione sugli insegnamenti che derivano dalla vita di Gesù e dal pensiero filosofico più sensibile e attento al primato della persona e all’irriducibilità della sua libertà. Non tralasciando l’orgoglio, a volte in noi troppo sopito, con il quale il neo-cattolico Magdi Cristiano Allam, senza vergogna e timore, manifesta la forza vitale della fede cattolica.


società

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Viaggio nelle tifoserie d’Italia dopo i disordini di Sofia. Parla Ivan Luraschi, 40 anni, capo storico della curva interista

Critica della ragion ultras di Cristiano Bucchi olti incollati qua e là nei fatti di cronaca. Nomi (tanti) richiamati specialmente nei momenti peggiori, difficilmente nei tempi tranquilli. Abbiamo imparato a conoscere l’idiozia degli ultras, appunto, proprio dalla cronaca. E i resoconti dei cori e dei gesti di questi giorni da Sofia fanno particolarmente male. Ma in fondo si può entrare nel grande pianeta ultras anche attraverso i successi editoriali di John King, di Tim Parks, di Cass Pendant. Senza contare che, cercando con attenzione nelle librerie dello sport si scopre che il tifo in Italia ha una sua lunga storia. In questo caso i libri sono almanacchi di date, fatti, avvenimenti, foto, emozioni, dolori, incomprensioni. Sono raccolte che comprendono tante cose, anche la violenza, perché nel calcio purtroppo c’è anche questo e farci i conti è inevitabile.

V

Per esempio, Ivan Luraschi ha 40 anni, è uno dei capi storici della curva Nord nerazzurra di Milano, ma è anche autore di libri sul mondo ultras e sul fenomeno della violenza negli stadi. «La prima volta che sono entrato a San Siro avevo solo nove anni. Ero un mocciosetto di quarta elementare. Andai allo stadio assieme a mio padre. La cosa più bella che ricordo sono quelle scale che non finivano mai, quei gradini che ti separano dal campo di gioco. Vincemmo quella partita 3 a 1 ma io guardai poco i giocatori. Sai perché? Perché un ultras lo vedi già da bambino... e per novanta minuti guardai solo la curva dell’Inter, i suoi cori, le bandiere e mi colpì vedere che tutti stavano in piedi mentre io ero seduto». Così Luraschi diventa a tutti gli effetti un supporter nerazzurro. A dieci anni il primo abbonamento, tre anni più tardi le trasferte. «Il tifo allora era ancora abbastanza artigianale, le sciarpe erano di lana (molto spesso fatte in casa), le bandiere tutte uguali e per tambu-

ri si usava quello che capitava. A noi la comodità quasi ci spaventava, ci bastava poco per stare bene, un transit, un vagone, un pullman. Ho girato l’Italia con qualsiasi mezzo e ovunque abbiamo mostrato le nostre insegne. Questo significa essere un ultras e non quello che una parte dell’opinione pubblica e della stampa vogliono fare credere. Significa attraverso il proprio incitamento andare oltre il semplice stare seduti a vedere la partita. Ci si sente rappresentati dai giocatori in campo e dalla società. Più semplicemente è una testimonianza di fede, e più in generale di attac-

le piazze, anche perché spesso i giovani che si riuniscono dietro gli striscioni dei cortei del sabato sono gli stessi che, dietro altri striscioni, cantano i cori alle partite. Poi qualcosa si rompe nel rapporto tra tifosi e forze dell’ordine. È il 29 gennaio del 1995. Prima della partita Genoa-Milan viene accoltellato a morte un giovane tifoso rossoblu, Vincenzo Spagnolo. L’omicida è un ragazzo di appena 18 anni, Simone Barbaglia, che all’epoca frequentava solo da qualche mese la curva del Milan. Sarà condan-

ze dell’ordine. Tre anni fa dopo calciopoli ho tentato di riorganizzare la curva B dell’Inter. Volevamo rilanciare un’immagine positiva e più sana del tifo ma mi sono reso conto che non è possibile. Ho capito che gli ultras sono in tutto e per tutto prodotti di questa società, in Italia come nel resto d’Europa. Tuttavia, altrove il problema della violenza negli stadi è stato in qualche

«Essere un ultras significa andare oltre il semplice stare seduti a vedere la partita. Sostenere la squadra, testimoniare una fede. Non quello che una parte dell’opinione pubblica e della stampa vogliono fare credere»

camento alle proprie tradizioni, alla propria città. Ho sempre pensato che l’ultrà è un tifoso vero. Quello che soffre ed è sempre e comunque vicino alla sua squadra. La sostiene in casa e in trasferta, a volte sacrificando molto della sua vita privata». Alla fine degli anni Ottanta il fenomeno ultras in Italia coinvolge praticamente tutte le tifoserie. La politica diventa un fattore di fermento sociale fortissimo e le aggregazioni da stadio ne sono influenzate enormemente: cori, nomi e comportamenti hanno direttamente a che fare con ciò che attraversa

nato a 15 anni di carcere. Tre anni più tardi nel dopopartita di Treviso-Cagliari muore Fabio Di Maio, 32 anni, per un arresto cardiaco in seguito all’intervento della polizia per sedare un accenno di rissa tra le opposte tifoserie. «È allora che gli interventi della polizia si inaspriscono - ricorda Luraschi aumentano i controlli e anche le azioni preventive. Gli agenti spesso sono prevenuti contro l’ultrà e lo Stato crea una situazione di repressione: l’ultrà va condannato a prescindere e la polizia è il tramite per porre in essere la condanna. Per questo si va contro le forze dell’ordine, per difendere l’esistenza dei gruppi». «Quella che ancora considero una sana rivalità e che può anche degenerare in una scazzottata - ricorda Ivan purtroppo con la repressione che è stata attuata, è degenerata in un odio incondizionato verso le istituzioni e le for-

modo depotenziato, se non risolto. Nel nostro Paese, invece, si è lontani da una soluzione che vada oltre un senso apparente di ordine pubblico. Calcio e politica temono gli ultrà, li coccolano, se li tengono buoni. Per ora. Forse un giorno si libereranno di loro, quando lo riterranno opportuno».

Così per non restare troppo scottati meglio allontanarsi per primi, in attesa che torni il calcio e la domenica della brava gente. «Mi piacerebbe andare allo stadio con mio figlio – confida Luraschi – ma il clima deve cambiare. Oggi basta uno sguardo, un coro sbagliato e ti ritrovi nei casini. Ci sono troppi rischi, troppe eventualità che non possono essere gestite e che non dipendono da te. Lo sport è un’altra cosa. Come la fatica degli atleti alle Olimpiadi».


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arte

Un quadro una storia. La solidità statuaria conferita da Andrea Mantegna ai suoi eroi, così precisa e xilografica da sembrare scolpita nella pietra

La tela nella roccia Viaggio allegorico nelle opere del grande pittore allievo dello Squarcione e cognato del Bellini di Claudia Conforti olte volte un’opera d’arte è il frutto di una profonda intesa tra l’artista e il comittente, ed esistono, nella storia dell’arte, numerosi esempi di questi felici connubi. Senza ombra di dubbio alcuni tra i massimi capolavori della pittura italiana sono nati alla corte dei Gonzaga a Mantova, e in particolare al tempo della presenza presso quella corte del pittore veneto Andrea Mantegna (1431 - 1506). Per il marchese Ludovico Gonzaga, committente colto e illuminato, Mantegna come è noto, dipinse gli straordinari affreschi nella Camera degli Sposi in Palazzo Ducale, ma poco tempo prima, e questo è forse meno noto, anche la decorazione della distrutta cappella privata del marchese nel Castello di S. Giorgio.

M

tura antiquaria coltissima, disseminati come sono di dotte citazioni di statuaria, topografia e numismatica antica. Nel contempo il repertorio iconografico e stilistico assimilato dallo Squarcione viene aggiornato sulle novità formali del nuovo stile rinascimentale fiorentino trapiantato in Veneto: dalle potenti sculture di Donatello a Padova, agli affreschi di Andrea del Castagno a Venezia. La rigorosa impostazione etica delle opere

scritto Giulio Carlo Argan, «risente dell’indirizzo storicistico dello Studio padovano, e non si dimentichi che il numen di Padova è Livio, lo storico per eccellenza, che ha trasformato la memorialistica tradizionale in una costruzione anche artistica, in un monumento in cui si inquadrano come statue le figure dei grandi protagonisti».

Solidità statuaria è conferita dal Mantegna ai suoi eroi, come il trafitto San Sebastiano del Louvre, e persino il ductus pittorico è quanto di meno pittorico si possa immaginare, così preciso e xilografico da sembrare scolpito nella roccia. Anche un evento drammatico come la morte della Vergine, e si pensi alla interpretazione che dà il Caravaggio di questo soggetto, viene dal Mantegna letto come Trasferitosi da Padova a Veroun evento storico attualizzato. In na, dove aveva appena finito di dimolte sue opere l’ambientazione è pingere il polittico di San Zeno legata all’antichità romana, e per l’omonima chiesa, una delle spesso nel fondo si riconoscono sue opere più famose, nel 1460 espliciti riferimenti all’antica RoMantegna viene chiamato a Man- degli artisti fiorentini ben si adat- ma, solida base su cui costruire il tova come pittore di corte, onore ta alla cultura storica del Mante- presente. Per la cappella privata che indica quanto già, a trent’an- gna, che mette proprio la storia, del marchese Gonzaga realizza ni, fosse diventato un artista sti- come dottrina carica d’insegna- invece, oltre al progetto architettomato e ricercato. Il suo era stato il mento morale, al centro del suo nico e ai particolari ornamentali destino di un genio. Nato da un messaggio artistico: «La sua cul- di tutto l’ambiente, opere di tono e umile carpentiere a Isola di Cartu- tura non è soltanto figurativa, ma formato più intimo, vista anche la ro in provincia di Vicenza, ancora anche storica e filosofica», aveva destinazione delle tavole. Oltre aladolescente era entrato lo splendido trittico con la nella bottega di uno dei sontuosa Circoncisione, l’Adorazione dei Magi più noti pittori padovani, e l’Ascensione, ora Francesco Squarcione. L’aagli Uffizi, il Mantelunnato presso lo SquarAndrea Mantegna nasce a Isola di Carturo nel 1431. gna dipinge appuncione, che lo teneva come L’irreprensibile, come lo chiamavano alcuni suoi conto una piccola tavofiglioccio, è stato fondatemporanei, si forma nella bottega padovana dello la devozionale con mentale per la formazione Squarcione, dove matura il gusto per la citazione arla Morte della Vergiartistica ma soprattutto incheologica. Viene presto a contatto con le novità dei ne, ora al Prado, che tellettuale del giovane Antoscani di passaggio in città: Fra Filippo Lippi, Paolo era completata nella drea, che aveva abbracciaUccello, Andrea del Castagno, e sopra tutti Donatello. parte superiore da una to con entusiasmo gli inteSi distingue per la perfetta impaginazione prospettiscena con Cristo che sorressi antiquariali del suo ca, il gusto per il disegno nettamente delineato e per la regge l’animula della Mamaestro e del colto amforma monumentale delle figure. Il contatto con le donna, ora nella Pinacotebiente dell’antica e prestiopere di Piero della Francesca, avvenuto a Ferrara, ca Nazionale di Ferrara. giosa università patavina. marca ancora di più i suoi risultati sullo studio proLe prime opere del Mantespettico tanto da raggiungere livelli “illusionistici”, tiOccasione rara e felice è gna, dagli affreschi della pici di tutta la pittura nord italiana. Sempre a FerraCappella Ovetari nella quella di rivedere finalmenra conosce il patetismo delle opere di Rogier van der Chiesa degli Eremitani di te, dopo secoli, riunite queWeyden rintracciabili nella sua pittura devozionale; Padova, quasi del tutto diste tavole nella importante attraverso la conoscenza delle opere di Giovanni Belstrutti dai bombardamenti mostra Mantegna (1431lini le forme dei suoi personaggi si addolciscono, sendella Seconda guerra 1506) da poco inaugurata al za perdere monumentalità. Muore a Mantova il 13 mondiale, ai successivi diMuseo del Louvre di Parigi settembre del 1506. pinti devozionali, dispiee che rimarrà aperta fino al gano un repertorio di cul5 gennaio 2009. La precisio-

Scrisse di lui Argan: «La sua cultura non è soltanto figurativa, ma anche storica e filosofica. Risente dell’indirizzo storicistico dello Studio padovano»

l’autore

ne da miniaturista mostrata in queste opere, specialmente nella Circoncisione, si espande in un respiro più ampio e poetico nella Morte della Vergine, dove, come un quadro dentro al quadro, dal portico in cui è ambientata la scena sacra si ammira una indimenticabile veduta della laguna di Mantova.

Non a Roma, né nell’antica Palestina il Mantegna ha voluto ambientare l’episodio, tratto dai Vangeli apocrifi, ma nella città del suo nuovo committente e dove lui stesso morirà nel 1506. Forse dietro espressa richiesta di Ludovico Gonzaga la verità storica diventa attualità e al di là del parapetto riconosciamo proprio il ponte e il castello di S. Giorgio, immersi nelle calme acque del fiume Mincio che a Mantova si riposa. Due scene nettamente divise: nel primo piano, all’interno di una rigorosa griglia prospettica suggerita dai riquadri pavimentali, secondo la lezione di Andrea del Castagno e di Piero della Francesca che Mantegna aveva potuto conoscere e ammirare, sono disposti dieci apostoli in circolo intorno al letto di morte della Madonna, mentre l’undicesimo è al


arte

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Tra le diverse e significative opere realizzate dal grande Andrea Mantegna (che una mostra al Musée du Louvre di Parigi celebra fino al prossimo 5 gennaio 2009), a destra: un particolare della “Camera degli Sposi” (Palazzo Ducale) e, sotto, la flagellazione di “San Sebastiano”. A sinistra, la famosissima e toccante “Morte della Vergine”

La mostra al Louvre di Parigi fino al 5 gennaio 2009

Dal ”Trionfo di Cesare” al ”San Giovanni Battista” di qua del letto, ci volge la schiena per aspergere incenso sul corpo di Maria. Con le spalle al parapetto, perfettamente al centro è San Pietro che legge la preghiera dei defunti, mentre gli altri apostoli ai lati sorreggono ceri accesi e cantano forse antiche litanie sacre. Sembra la descrizione cronachistica di un episodio reale, di una cerimonia funebre a cui lo stesso artista avrebbe potuto assistere, sentiamo le voci degli apostoli, vediamo il lento movimento dell’incensiere, percepiamo la gravità della situazione. Non c’è tragedia, così come non si percepisce mai letizia nelle opere del Mantegna, l’atmosfera è severa, cosi come severa è la storia, sempre ineluttabile. Ma al di là del parapetto, l’anima del riguaradante si rischiara di fronte alla visione di acqua e di cielo, una sinfonia di azzurri perlacei che Mantegna, sempre così terragno, può avere appreso solo da Giovanni Bellini, suo cognato dopo che nel 1453 ne aveva sposato la sorella Nicolosia.

La natura entra nella storia e si fa tramite di certezze di resurrezione perché attraverso quel cielo, invisibile, sale l’anima della Madonna per essere accolta, come si vede nel riquadro purtroppo staccato, tra le braccia del Figlio.

er la prima volta in Francia un’esposizione monografica ripercorre, attraverso un percorso cronologico e 190 capolavori, l’età e le opere e di uno tra gli artisti più rappresentativi del Rinascimento italiano, che tanto ha contribuito al rinnovamento del linguaggio figurativo in Italia e nel resto d’Europa: Andrea Mantegna. Sulla scia delle grandi esposizioni organizzate a Londra e a New York nel 1992, l’esposizione del Louvre vuole essere una retrospettiva cronologica dell’opera del Mantenga. Il museo francese, che dispone della più grande collezione del Mantegna nel mondo, ha ottenuto prestiti d’eccezione di opere molto conosciute dell’artista, tra cui San Giovanni Battista dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, e il Trionfo di Cesare, esposto a Hampton Cout.

P

Uso originale e talvolta audace della prospettiva, monumentalità scenica, plasticità e nettezza delle figure ritratte denotano la profonda conoscenza dell’arte antica acquisita dall’artista negli anni della sua formazione che determinano l’unicità delle sue opere. Già in Italia dal 16 settembre 2006 al 14 gennaio 2007 il Comitato Nazionale per le celebrazioni del quinto centenario della sua morte, ha celebrato Andrea Mantegna attraverso una mostra in ognuna delle città nelle quali la presenza del maestro e delle sue opere è documentata: Padova, Verona, e Mantova. La mostra “Mantegna (1431-1506)”, iniziata lo scorso 26 settembre e di cui Eni è Mécène Principal, è ospitata dal Musée du Louvre di Parigi fino al prossimo 5 gennaio 2009.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Scuola: scioperi e cortei serviranno a qualcosa? SCIOPERARE E CONTESTARE È PIÙ CHE GIUSTO, IL RISCHIO È TORNARE INDIETRO DI CENT’ANNI La scuola è il luogo che accompagna e ha accompagnato le prime fasi di tutte le nostre vite. La scuola è il luogo in cui entriamo in contatto con “l’altro”, il primo confronto con la società, la porta verso la cultura e la crescita. La scuola deve essere un ambiente sano, perché solo in una ambiente sano si possono formare valori veramente sani, solo in una ambiente sano si può crescere veramente. Il sistema scolastico italiano non garantisce niente di tutto ciò. Ci siamo opposti alla riforma “morattiana” che proponeva mostruosità incomprensibili, che si prefiggeva di trasformare la scuola in un ambiente settario di mero avviamento al lavoro (basti pensare ai curriculum che sarebbero diventati discriminanti per qualsiasi esperienza futura), che pavoneggiava la misura delle tre “i”, proposta propagandistica di facciata. Abbiamo ascoltato le promesse di Fioroni sul modello ideale, forse ci illudevamo che questa sinistra potesse cambiare qualcosa. Fino ad ora, invece, nel più assoluto silenzio, il ministro ha fatto molto... di preoccupante. Il piano, da lui chiamato “riforma a cacciavite”, gli ha consentito di cambiare passo dopo passo importanti principi e

LA DOMANDA DI DOMANI

No francese all’estradizione di Marina Petrella. Che cosa ne pensate? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

normative che credevamo intoccabili. Adesso assistiamo a un processo fatto di mille passi indietro ad opera del ministro Mariastella Gelmini, fatto di tagli, maestro unico, esami di riparazione eccetera eccetera. Credo sia inaccettabile la reintroduzione di un concetto già vecchio alla sua nascita, anacronistico e semplicemente dannoso per l’educazione, crediamo sia inaccettabile perché gli unici effetti che darà saranno orrendi: un boom di iscrizioni a scuole private, un’ennesima esplosione delle ripetizioni a peso d’oro e l’alimentazione di tutte quelle lobby che consentono di avere il sospirato “pezzo di carta” con poca fatica e molto denaro.

Alessandra Montani - Firenze

FIN QUANDO NON SI AVRÀ UNA VISIONE ”NUOVA” DELLA SCUOLA È INUTILE SCENDERE IN PIAZZA Pare proprio che l’ipotesi della grande manifestazione indetta per il 30 ottobre inizi a perdere i primi significativi pezzi. Ad aprire la breccia o la frattura sulla ritrovata condivisione di intenti della Triplice (Cgil, Cisl e Uil), le dichiarazioni di due giorni fa del segretario della stessa Cisl, Raffaele Bonanni, che si è detto disponibile «a rinunciare volentieri allo sciopero se palazzo Chigi ci convocasse insieme agli enti locali per discutere come riorganizzare la scuola, perché ci sono altri problemi gravi sul tappeto». Una posizione che ieri ha trovato concorde anche la Uil di Angeletti. Ma la domanda dunque è: quali che siano gli scioperi e le manifestazioni, serviranno davvero (oltre che a lanciare qualche breve segnale al governo) a risollevare le sorti della scuola e dell’istruzione italiana? Francamente penso proprio di no. Licei e Università da sempre scendono in piazza contestando questo o quell’altro provvedimento e decreto, così come i sindacati da sempre alzano la voce, minacciano scioperi e così via. La verità, come giustamente ho letto su liberal, è al di là delle contestazioni, manca un vero disegno, una reale visione innovativa dell’intero sistema scolastico italiano. Manca al governo (anzi, ai governi) così come manca alle diverse voci d’opposizione.

FEDERALISMO E DINTORNI È noto che da un lato le regioni meridionali temono di non avere denaro sufficiente per sostenere le proprie strutture di riferimento, e dall’altro le regioni settentrionali si auspicano di trattenere il più possibile la ricchezza prodotta al fine di poter dare migliori servizi ai propri cittadini, che si traduce in una migliore qualità della vita. In questa ottica che divide anziché unire, probabilmente si inserisce il tentativo di un deputato leghista di inserire una norma, all’interno di un provvedimento all’esame del Parlamento, secondo la quale, a parità di punteggio nei concorsi pubblici, deve prevalere il candidato residente nella regione. Si avverte in questo modo la chiara intenzione di voler escludere, o quanto meno, rendere più difficile la presenza di cittadini italiani del Sud nell’Italia prosperosa del Veneto, Lombardia, Friuli etc. Questa iniziativa ha aspetti in comune con l’altra, sempre di matrice leghista, relativa alla cosiddetta “residenza a punti”. In merito ai flussi economici, va ricordato che le aziende do-

... DA FAR PERDERE LA TESTA Quello che vedete è uno dei personaggi “decapitati” oggi in mostra a Sydney, al museo di arte contemporanea. Per vestirli, Yinka Shonibare, inglese di origine nigeriana, utilizza abiti “contaminati”: taglio occidentale ma fabbricati con coloratissimi tessuti africani

GRAZIE, ELUANA Come conferma il professor Carlo Alberto Defanti, neurologo dell’ospedale Niguarda di Milano e suo medico curante, un’emorragia interna profusa sta compromettendo la situazione clinica di Eluana Englaro in coma dal 18 gennaio del 1992. Per l’incredibile amore dei genitori, delle suore misericordine e di Dio mai nulla di grave era accaduto alla donna in tutti questi lunghi anni e ora la sua vita è appesa ad un filo per una causa naturale. Al capezzale di Eluana Englaro, le cui condizioni sono gravissime da ieri notte, nella Casa di Cura “Beato Luigi Talamoni” di Lecco ci sono suo padre Beppino Englaro e Suor Rosangela, che accudisce la giovane da molti anni, entrambi sereni nell’accettare la fine naturale della lunga agonia di Eluana. Il

dai circoli liberal Carlo Roversi - Napoli

vrebbero essere tassate là dove producono reddito, cioè non dove hanno le sedi legali ma dove insiste l’insediamento produttivo. Un evidente esempio è dato dallo stabilimento Ilva a Taranto, una delle acciaierie più grandi d’Europa che senz’altro non è tassata in Puglia. Relativamente poi alla questione della norma (incostituzionale?) sui concorsi pubblici bisognerebbe sostenere che siamo un popolo ancora abbastanza giovane per non aver perduto la memoria rispetto ai flussi migratori che, nel dopo guerra, dal Sud muovevano verso le grandi città, come Torino e Milano. Fu un fenomeno di integrazione lenta e difficile che oggi, evidentemente, si vuole rimuovere. Per quanto riguarda, infine, la questione della residenza per i nuovi popoli migratori, mi sembra sia acclarata la sostanziale impraticabilità della norma. Il nostro Paese ha già notevoli difficoltà a espellere i detenuti stranieri rinchiusi nelle nostre carceri e pertanto è difficile pensare che una sorta di patente a punti possa risolvere il problema. La questione del Federalismo è com-

relatore del testamento biologico oggi afferma, smentendo (oltre al proprio progetto legislativo), colleghi medici, magistrati e rispettivi atti e sentenze proeutanasici: «La decisione - circa attuali interventi terapeutici - va lasciata ai familiari e ai sanitari». Grazie Eluana, di tutto ciò che ci hai testimoniato e insegnato nella tua preziosissima vita ancora tenuamente accesa; crocifissa all’Ottavo Comandamento hai così intensamente reso testimonianza alla Verità che i frutti di conversione ad essa, cioè a Gesù Cristo crocefisso al tuo fianco, già fioccano copiosi vicino e lontano: da Lecco fino ai confini della terra dove la libertà umana accetterà la Grazia della tua testimonianza.

Matteo Maria Martinoli Milano

plessa e, probabilmente, deve essere dibattuta ancora per molto tempo. Nel frattempo è opportuno che l’attenzione sia sempre molto alta per evitare che il federalismo si trasformi in una politica disaggregante, o peggio, distruttiva di un percorso di crescita che il Paese ha registrato dalla seconda metà del secolo scorso in poi. Poiché in politica tutto è possibile, sarà opportuno prevedere dei giusti paletti. Francesco Facchini CIRCOLO LIBERAL LEVANTE BARI

APPUNTAMENTI VENERDÌ 17 OTTOBRE, PRESSO LA SEDE DELLA FONDAZIONE (VIA DELLA PANETTERIA - 10), ALLE ORE 11 Riunione del coordinamento nazionale con i coordinatori regionali dei Circoli Liberal ALLE ORE 17 MANIFESTAZIONE DI PROTESTA CONTRO LA RIFORMA ELETTORALE PER LE EUROPEE SOTTO MONTECITORIO

Vincenzo Inverso SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Il dire rimane sempre un tormento Hannah, ti ringrazio affettuosamente per i saluti e gli auguri, per il tuo fedele ricordo e non da ultimo per il tuo inestimabile aiuto nel lavoro di traduzione. La tua buona proposta con le due copertine del libro è già stata realizzata; e la prima copia dei Saggi e discorsi è arrivata in baita per il mio compleanno. Alcuni particolari non li conosci ancora. Tutto quanto è stato ulteriormente rivisto. Il libro non potrà ancora arrivarti per il tuo compleanno. Perciò ti saluto adesso affettuosamente oltre le onde dell’oceano e ti auguro di poter svolgere il lavoro che più ti appaga interiormente. Cosa faccio? Sempre le stesse cose. In generale, comincio proprio adesso a vedere un po’ più chiaramente e liberamente ciò che ho sempre cercato. Ma il dire rimane ancor sempre un tormento, e questo non significa altro se non che il vedere è difficilissimo. E se si riuscisse a sciogliere il linguaggio dalla dialettica? Martin Heidegger ad Hannah Arendt

QUASI TUTTI SIAMO SCHIAVI Scarseggia – in Italia – una vera cultura laica, leale, liberale, liberista e libertaria. Imperano sessuofobia, ipocrisia, femminismo, clericalismo, fondamentalismo, dogmatismo e ideologismo: schiavizzano il libero pensatore. Il sesso – non finalizzato alla procreazione – può essere considerato turpe, sporco, immondo, osceno e peccaminoso; più ancora di corruzione, concussione e tangentopoli. La prostituzione di strada è stata favorita anche dalla chiusura delle case chiuse. I bigotti ritengono schiave le ragazze che praticano l’amore mercenario, ma queste sono di diverso avviso. Se è schiavo chi vende il corpo, lo è maggiormente chi cede l’anima e lo spirito. Quasi tutti siamo schiavi o sfruttati. Lo sgobbone è schiavo dell’ozioso, l’onesto competitore del raccomandato, il contribuente del fisco rapace. Il “solista” indipendente soccombe al protetto dalla cricca; il carrierista è sottomesso al potente che lo agevola; il detentore di terreni agrari è indirettamente sfruttato da chi ottiene l’edificabilità delle sue aree. Schiavista – sosteneva un manifesto della Lega – è colui che vuole

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

14 ottobre 1964 Il premio Nobel per la Pace viene assegnato al 35enne leader del movimento per i diritti civili Martin Luther King. Il più giovane a ricevere l’onorificenza decide di donare il premio al movimento 1964 Il presidente dell’Unione sovietica Nikita Krusciov viene destituito 1967 Il film “Blow up” di Michelangelo Antonioni viene sequestrato per oscenità su ordine della Procura della Repubblica di Ancona. La pellicola ha vinto la Palma d’oro al festival di Cannes 1977 In Spagna muore il 73enne cantante americano Bing Crosby 1980 Scendono in piazza gli impiegati della Fiat. In oltre 40mila contro il sindacato, per una vertenza che da troppo tempo li tiene lontani dal lavoro1995 Un uomo armato sequestra un autobus di 1980 La Grecia, dopo sei anni, torna a far parte della Nato

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

l’immigrazione debordante e selvaggia, per sfruttare lo straniero come prestatore d’opera malpagato. Schiavo e impotente risulta talvolta l’essere umano, nei confronti della natura matrigna. Nei rapporti amorosi ed erotici – anche regolarizzati - vi può essere scambio tra sfruttamento economico e sfruttamento sessuale. Papale, papale: senza reticenze o mezzi termini.

Gianfranco Nìbale

LA PIAZZA DI GRILLO NON C’È PIÙ Effetivamente la piazza di Grillo non c’è più, e forse neanche lui. La ragione non si trova solo nella crisi della sinistra, ma nel fatto che il comico occupava un trono vuoto, facendo la parte del giullare di corte che nell’attesa dei cambiamenti, ironizza su tutto ciò che sta attorno. Grillo non pensava che il Riccardo Cuor di Leone sarebbe tornato ad occupare quel trono, dando personalità e valenza ad un ruolo, quello del premier, che adesso può rappresentare il nostro carattere, ed essere vincente. Ma, diciamolo veramente, Grillo ha pagato anche il suo avvicinamento all’Italia dei Valori, perché i valori non si raccolgono per terra o urlando.

Bruno Russo - Napoli

PUNTURE Dunque, il 30 ottobre sciopero generale della scuola che sciopera ininterrottamente da 40 anni.

Giancristiano Desiderio

Se non sai portare il tuo peccato, non è colpa del tuo peccato; se lo rinneghi, non il tuo peccato è indegno di te, ma tu di lui MARCEL JOUHANDEAU

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani,Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Roselina Salemi, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di PDL, SETTIMANA DECISIVA. ANZI NO Diciamo la verità: alle decisioni in limine litis il centrodestra abruzzese ci aveva abituato. Non è dunque una novità se si dovranno attendere altre quarantotto ore – ad appena due settimane dalla presentazione delle liste – per conoscere il nome del candidato governatore. Con ogni probabilità, martedì prossimo Gaetano Quagliariello sarà di nuovo a Pescara per comunicare che a Gianni Chiodi sarà affidato il compito di guidare la coalizione per le elezioni di fine novembre. Ma il cammino dell’ex Sindaco di Teramo è stato certamente meno agevole del previsto e non sono mancati i colpi a sorpresa. Innanzitutto da parte dei competitors. L’unico ad aver giocato la propria partita secondo le regole sembra essere stato Fabrizio Di Stefano che, forte della propria leadership all’interno di An, ha messo subito sul piatto delle possibili candidature il proprio nome, accompagnandolo dall’iniziativa del Cantiere Abruzzo con cui ha alimentato, dal punto di vista dei contenuti, le proprie aspirazioni. Discorso ben diverso per tutti gli altri. Tanto per cominciare, Filippo Piccone: alzi la mano che avrebbe scommesso, due mesi fa, che sulla linea d’arrivo, assieme al quotatissimo Chiodi, sarebbe arrivato proprio il Senatore azzurro. Da questo punto di vista, comunque vada (e Piccone ripone ancora qualche speranza nel niet

che potrebbe arrivare da An alla candidatura di Chiodi), Filippo Piccone incassa un indiscutibile successo, avendo rafforzato la propria posizione all’interno della coalizione a livello regionale. E non è escluso – visto i sommovimenti che hanno attraversato Fi durante l’estate – che la cosa non possa avere conseguenze nella designazione del nuovo coordinatore regionale del partito azzurro. Poco convincenti – o forse, meglio ancora, poco convinti – sono sembrati gli altri aspiranti. Maurizio Scelli non ha mai mostrato di far salti mortali per raggiungere l’obiettivo, così come Nazario Pagano, nonostante fosse accreditato da sondaggi romani del maggior gradimento degli abruzzesi (dopo Chiodi). Infine Giuseppe Tagliente che i maligni sospettano più interessato ad un posto nel listino che non effettivamente alla candidatura a Presidente per la quale non sembra aver mai avuto particolari chance. A proposito di listino, liste, assessorati promessi e posti di sottogoverno: non si esauriranno certo martedì prossimo le fibrillazioni in casa PdL. Pur se verrà deciso il candidato governatore, resteranno aperte tutte le altre partite che – c’è da scommetterci – vedranno tutti i protagonisti impegnati fino ad un attimo prima dalla chiusura delle liste. In bocca al lupo a tutti e buona domenica.

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



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