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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

A sette anni dall’11 settembre un saggio del grande politologo

di e h c a n cro

Quel giorno tutto il mondo era americano: poi gli Usa sono rimasti soli

di Ferdinando Adornato

di Robert Kagan l mondo, oggi, non è come la maggior parte di noi aveva previsto dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, quando si riteneva che la competizione fra grandi potenze avrebbe ceduto il posto ad un’era di geoeconomia. Allora si pensava che la competizione ideologica fra democrazia ed autocrazia sarebbe terminata con la “fine della storia”. Erano in pochi a prevedere che il potere senza precedenti degli Stati Uniti avrebbe dovuto affrontare così tante sfide, non soltanto da parte delle potenze emergenti, ma anche per mano di vecchi e cari alleati. Fino a che punto questo destino era già scritto nelle stelle e fino a che punto nella natura stessa degli americani? E che cosa può fare ora l’America a tale riguardo – ammesso che qualcosa possa fare? Per quanto possa essere difficile da ricordare, i problemi degli Stati Uniti con il resto del mondo - o, piuttosto, i problemi del mondo con gli Stati Uniti - iniziarono ben prima che George W. Bush andasse al potere. Il ministro degli Esteri francese, Hubert Védrine, si lamentava di questa “iperpotenza”già nel 1998. Nel 1999 Samuel Huntington affermava che gran parte del mondo considerava gli Stati Uniti una «superpotenza canaglia», «invadente, interventista, sfruttatrice, unilateralista, egemonica ed ipocrita».

PARTECIPAZIONE BIPARTISAN ALLA FIACCOLATA DI LIBERAL

Cattolici e laici insieme contro la persecuzione dei cristiani

9 771827 881004

ISSN 1827-8817 80911

I

Si è rotto il silenzio alle pagine 2 e 3

Parla il segretario Cascini

Ancora bloccata la trattativa

«L’associazione Nuova Alitalia o dei magistrati nuova AirOne? Lite non è una lobby Tremonti-Bersani

Napolitano da Helsinki torna sulla polemica dell’8 settembre

«Valori e principi costituzionali, una questione ancora aperta»

se gu e a p ag in a 1 4

Da oggi la festa dei centristi

Tre domande sul federalismo fantasma

di Franco Insardà

di Alessandro D’Amato

di Guglielmo Malagodi

di Francesco D’Onofrio

Anm sott’accusa. L’associazione dei magistrati da più parti viene considerata il potere forte del sistema giudiziario italiano, ma Il segretario, Giuseppe Cascini, non si scompone più di tanto.

Duro botta e risposta, in Commissione trasporti, sulla soluzione del nodo Alitalia. Ma, intanto, la trattativa non si sblocca: il commissario Fantozzi minaccia: «O accordo o mobilità per tutti».

Nella conferenza stampa dopo la visita di Stato in Finlandia, Napolitano dichiara: «Credo che in Italia ci sia ancora una questione aperta sulla piena identificazione nei principi e nei valori della Costituzione».

Con un focus sulla riforma fiscale, si apre oggi a Chianciano la kermesse dei centristi. Un’occasione per chiedere a Berlusconi e alla Lega quale Italia vogliono, quando parlano di federalismo.

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GIOVEDÌ 11

SETTEMBRE

2008 • EURO 1,00 (10,00

CON I QUADERNI)

• ANNO XIII •

NUMERO

173 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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nessuno tocchi abele

Anche il presidente della Camera alla manifestazione promossa da liberal e Udc

Una fiaccola per i cristiani Per una volta insieme tutti i partiti e esponenti di diverse fedi per fermare la guerra di religione in India e nel mondo di Errico Novi

ROMA. «Solo oggi riusciamo a rompere il silenzio, la battaglia può cominciare». Ferdinando Adornato si rivolge a una piazza attenta e forse persino sorpresa di essere lì. Davanti a Montecitorio sventolano bandiere e si accendono le fiaccole, con la sensazione chiara a tutti che è davvero la prima volta. Per la prima volta ci si raduna davanti a Montecitorio per difendere la causa e gridare al martirio dei cristiani perseguitati nel mondo. Solo i missionari uccisi sono 604, ricorda il presidente di liberal, e «la guerra non si ferma, tra il silenzio dei media dell’Occidente e del nostro Paese. E il silenzio stesso uccide».

alibi, nemmeno quello dello scontro di civiltà da evitare e scongiurare in ogni modo possibile: «Se c’è un cristiano messo al rogo, cosa facciamo, dobbiamo rerstare in silenzio? Almeno evidenziamo quello che sta capitando. Chi pensa ad uno scontro di civiltà è uguale a chi pensa che si possa uccidere in nome di Dio».

Il silenzio uccide, ribadisce Casini. Ed è quello che Adornato spiega in tutti i modi possibili all’inizio della manifestazione. Ricorre anche alle parole di padre Thomas Challan: «Si deve rompere il silenzio sulla situa-

FERDINANDO ADORNATO

Ieri sera dunque si è fatto un

Il silenzio uccide. Ecco perché siamo qui: per rompere l’indifferenza, per far presente all’Unione europea e all’Onu che la libertà religiosa è la libertà fondamentale della nostra civiltà

primo importante passo, si è superata la timidezza, grazie all’iniziativa promossa da questo giornale, dal presidente dell’Udc Pier Ferdinando Casini, e alla quale hanno aderito esponenti di primo piano da tutti gli schieramenti. “Nessuno tocchi Abele” ha unito le parti politiche e fatto emergere una tragedia inspiegabilmente sottovalutata. Centinaia di persone hanno colto e voluto infrangere l’embargo mediatico che si lascia dietro una scia di migliaia di vittime. Anche il presidente della Camera Gianfranco Fini è salito sul palco di piazza Montecitorio e ha espresso compiacimento per la mobilitazione: «Il diritto di professare la propria fede religiosa va salvaguardato in ogni parte del mondo a prescindere dal credo, in Italia c’è attenzione e consapevolezza verso il tema, lo dimostra proprio il fatto che l’iniziativa abbia unito la politica in modo trasversale, in tempi in cui è difficile trovare argomenti in comune». Casini ha ricordato che non possono esserci

zione dei cristiani perseguitati nel mondo. Non è giusto che l’Occidente e le sue istituzioni – l’Unione europea, l’Onu e lo stesso Parlamento italiano – non esprimano alcuna condanna davanti a questi fatti». E le parole del sacerdote, scampato per miracolo all’assalto di un gruppo di estremisti indù che poi hanno bruciato viva una volontaria all’interno dell’orfanotrofio cattolico, lo dimostrano. Sullo stesso tema anche Andrea Riccardi, presidente della Comunità di Sant’Egidio e secondo relatore, che invita i politici e le persone presenti a «guardare in faccia Abele. Chi vuole ricordare queste situazioni di persecuzione rimane isolato. Quella di liberal è un’iniziativa importante per FRANCESCO RUTELLI tenere desta l’attenzione delNon possiamo non l’Italia e del mondo sulla siguardare con angoscia tuazione dei cristiani». Che alle sofferenze di tanti devono godere della stessa atnostri fratelli cristiani tenzione riservata alle altre nel mondo. La libertà comunità religiose: «Come religiosa è un diritto ben sa il presidente Pacifici, fondamentale. E l’Italia che rappresenta le comunità dev’essere ebraiche d’Italia, i cristiani in prima linea sono al fianco dei perseguitaper tutelarlo ti di tutto il mondo. Ricordiamo i cristiani d’Orissa ma an-

che don Andrea Santoro, il sacerdote romano ucciso in Turchia, e Hrant Dink, il giornalista armeno morto perché voleva rimanere una voce libera». Un riferimento anche per Giovanni Paolo II che, ricorda Riccardi, «già nel 2000 ci aveva messo in guardia: questo sarà un secolo di martirio per i cristiani di tutto il mondo».

PIER FERDINANDO CASINI

Il nostro silenzio uccide più della violenza. Non è vero poi che si rischi lo scontro di civiltà manifestando per la libertà di religione. Anzi: sono proprio l’indifferenza e il relativismo etico i primi alleati dei terroristi

Perché si dimentica? Ha una sua spiegazione il deputato Udc e leader della Rosa per l’Italia Savino Pezzotta: «Siamo molto impressionati da tutto quanto è legato all’Islam. L’idea della guerra di civiltà ci ha spinti ad una assurda semplificazione, che ci fa dimenticare l’esistenza di altre forme di fanatismo, come quelle che si verificano in India. Io non ho alcuna difficoltà a denunciare le persecuzioni anti-cristiane perché non sono mai stato anticlericale. Ma non credo che il problema sia questo, dal momento che l’iniziativa promossa da liberal difende l’idea laica della libertà come valore assoluto».

ecclesiastici e laici in India e Pakistan, l’attenzione della comunità internazionale sembra a sua volta dissolversi. E invece occorre vigilare, poiché ciò che a noi sembra un dato acquisito, il rispetto delle libertà religiose e di culto, per una buona fetta della popolazione mondiale è motivo di profonde sofferenze, umiliazioni e discriminazioni». Secondo il presidente del Comitato di controllo sui servizi «non si tratta di un fenomeno confinato ad aree remote o instabili del pianeta: dobbiamo coltivare la memoria dei massacri etnici e religiosi che hanno insanguinato i Balcani e mantenere alta la guardia rispetIn molti si uniscono al grido d’al- to a rigurgiti antisemiti che riaffioralarme lanciato da Montecitorio pur no in Europa, riportando spettri che non essendo fisicamente presenti.Tra speravamo di poter considerare archiviati per sempre». Sarebbe giusto far sentire la pressione della comunità internazionaANDREA RICCARDI le, fa intendere Rutelli: «La Questi martiri non più larga democrazia del domandano vendetta, mondo, l’India, deve sentire la ma memoria, parole responsabilità che spetta a e attenzione. Questa una nazione che ha grandi è la posizione di noi meriti, che sulle orme di cristiani: il sangue non Gandhi ha costruito una nuochiede sangue. Ma va emergente potenza econoneanche autorizza mica, confermando la forza la dimenticanza del suo pluralismo politico e e il disinteresse religioso. Fu Gandhi a dire, nei momenti più aspri del conflitto religioso, che ”bisoquesti il ministro ai Beni culturali gna combattere la violenza, il bene Sandro Bondi, l’ex governatore Anto- che pare derivarne è solo apparente, nio Fazio. Francesco Rutelli, poi, in il male che ne deriva rimane per sempiazza insieme a Realacci, dice: «So- pre”. L’appello di Benedetto XVI per no milioni le persone che ogni anno la fine di ogni persecuzione religiosa perdono la libertà, o la vita, per il deve essere motivo di riflessione cosemplice fatto di professare un credo. stante, anche per evitare il rischio di Esiste un concreto rischio-indifferen- una mobilitazione intermittente, baza. Quando i riflettori si spengono sata sull’emozione del momento, che sulle proteste che hanno accompa- non colga l’estrema gravità di dinagnato le recenti celebrazioni olimpi- miche che rischiano di radicalizzarsi che o sulla crudeltà della violenza e radicarsi», ha detto ancora il rapperpetrata nei confronti di volontari, presentante dei democratici, «non


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la luce che vuole squarciare il buio che avvolge questa siGIANFRANCO FINI tuazione di dolore e persecuIl diritto alla fede zione». religiosa va tutelato Diversi e molteplici i parteciin ogni parte del mondo panti “non politici” che si aca prescindere dal credo. calcano sulla piazza. Si passa Stavolta la politica dai membri di diverse Orgaha dimostrato nizzazioni non governative consapevolezza italiane che operano in India e attenzione. ai Cristiano riformisti, dai laiE, in questa fase, ci ai religiosi. Particolarmennon era facile te attivo un gruppo di religiose che, fiaccole in mano, invitano i partecipanti alla manicristiani perseguitati in India, finia- festazione a pregare insieme, in cermo appunto per assoggettarci a que- chio, il rosario. Solo la preghiera, dista regola, che in realtà non può e ce suor Maria, «può essere un antinon deve estendersi a chi viene ucci- doto alla violenza. Come ha detto so per la fede che professa». qualcuno sul palco, il sangue dei cristiani versato dalla violenza nel Ci sono anche altre ragioni, scon- mondo non chiama altro sangue, non certanti, a spiegare secondo Rocco vuole vendetta. Al contrario, esige Buttiglione questa colpevole indiffe- preghiera e ricordo, perdono e conrenza dell’Occidente: «C’è il diffon- solazione». E le sue parole riechegdersi di una cultura laica che quasi giano quelle di suor Nirmala Joshi, trova compiacimento nel vedere i cri- superiora delle Missionarie della Castiani perseguitati eppure continua rità (l’ordine fondato dalla Beata Tead attribuire loro il marchio di perse- resa di Calcutta) che in un appello ha cutori. Il motivo per cui proprio i mis- chiesto a tutti di «dimenticare la viosionari e i fedeli cristiani subiscono lenza e portare per sempre nella mequeste violenze sta proprio nella loro moria il ricordo di una religione che vocazione a opporsi allo scontro di chiama il perdono». civiltà. I fanatici che vogliono alimentarlo usano l’uccisione dei cri- Spicca sulle teste dei partecipanti – stiani per eccitare il popolo e indivi- fra le bandiere di liberal e quelle delduare un nemico». Una considerazio- l’Udc – anche il drappo della Repubne vicina a quella del vicepresidente blica islamica del Pakistan. A sventodella Camera arriva da Antonio Maz- larla è Mobeen Shahid, cattolico zocchi, leader dei Cristiano riformi- pakistano che vive a Roma, dove lasti, che è presente in modo assai visi- vora come assistente presso la cattebile in piazza Montecitorio con le dra di filosofia contemporanea all’ubandiere del suo movimento: «Ho ap- niversità Lateranense. Viene da Islaprezzato molto l’intrervento di Ador- mabad, capitale del Pakistan, e a libenato, in particolare l’idea che la dife- ral dice: «Si doveva essere qui, anche sa della libertà religiosa sia una que- per ricordare la situazione dei cristione da affrontare con spirito laico. stiani perseguitati in tutto il mondo. E in piazza abbiamo radunato ap- Nel mio Paese, la situazione per la punto laici e cattolici, in modo bipar- nostra comunità ha avuto un leggero tisan, e abbiamo così condiviso ideal- miglioramento sotto Musharraf, che mente quanto detto da Papa Benedet- ha concesso alcuni diritti politici ai to XVI a proposito della cultura cri- cristiani e ha – con un complesso sistiana e democratica e del rischio che stema elettorale – spinto i politici ansi arrivi al loro azzeramento».

Dovrebbe far sentire la propria voce presso l’Unione europea e l’Onu, dice per esempio Margherita Boniver, convinta che «la timidezza nel denunciare queste persecuzioni nasce anche dalla comprensibile e motivata prudenza del Vaticano, che cerca di non alzare ulteriormente la tensione». D’altra parte, dice il vicesegretario del Pd Dario Franceschini, «ci sono tragedie che raggiungono più facilmente l’opinione pubblica e altre che, in modo assurdo, scivolano via. In questo caso si deve evitare che la paura dello scontro di civiltà faccia da ostacolo al dialogo. Coinvolgere l’Unione europea e l’Onu è possibiPAOLA BINETTI le». Anche il ministro GianEcco il merito franco Rotondi raggiunge i di un’iniziativa come manifestanti e spiega il silenquesta: essere riuscita zio dei media con amara iroa creare un asse nia: «Ai giornalisti che afcondiviso in cui frontano l’esame da profesle diversità politiche sionista viene insegnato copassano in secondo me una notizia lo sia in funpiano per difendere zione della sua importanza il coraggio dei testimoni ma anche dei chilometri che della fede ci separano dal luogo in cui il fatto avviene. Nel caso dei

possiamo non guardare con angoscia alle sofferenze di tanti nostri fratelli cristiani in molte parti del mondo. Alle limitazioni dolorose che subiscono nella regione mediorientale, alle minacce tuttora insidiosamente pendenti nelle Filippine e in altre località asiatiche, ai recenti drammatici sviluppi nel subcontinente indiano, solo per citare alcune situazioni più evidenti. Tra i diritti umani fondamentali, c’è quello di espressione delle proprie convinzioni religiose. L’Italia dev’essere in prima linea nel mondo per tutelarlo e promuoverlo».

Ha aderito anche il presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, che ricorda come nelle scuole ebraiche «si insegni innanzitutto la cultura e la tradizione di origine, strumento fondamentale per potere conoscere le altre. È quello che in tutta Europa dovrebbe avvenire per la tradizione cristiana e giudaica». La deputata Pdl Beatrice Lorenzin fa notare come però «in Occidente si soffra di una sorta di peccato originale, che ci spinge a dimenticare e sottovalutare il martirio dei cristiani». Il presidente dei senatori del Pdl a Palazzo Madama Maurizio Gasparri spiega che difendere la libertà religiosa sia «un impegno per il quale bisogna battersi, i cristiani devono combattere e non si può lasciare che le notizie passino nell’indifferenza». Conclusi gli interventi, si accendono le fiaccole che - nelle parole degli organizzatori - «rappresentano

RICCARDO PACIFICI

Viviamo in un momento di relativismo culturale che sta producendo un effetto assolutamente negativo: quello di indurre le cosiddette minoranze a vergognarsi di se stesse

che musulmani del Pakistan a dare più attenzione alle aree a maggioranza cristiana, fortemente sottosviluppate». Il raid anti-cristiano in Orissa, dice, «mi stupisce. L’induismo è una religione di pace, e la lezione di Gandhi, padre dell’India moderna, lo dimostra senza ombra di dubbio. Non dobbiamo però dimenticare che esistono i fondamentalisti in ogni fazione e che sono loro a dare il via ai massacri. Per questo è ancora più importante essere qui: per non dimenticare mai, perché il silenzio uccide».


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società

Energia senza petrolio e viaggi nel tempo: ecco gli scenari avveniristici che si potrebbero aprire con l’esperimento del Cern per ricreare il big bang

Ritorno al futuro La sfida di Ginevra può cambiare la storia dell’uomo colloquio con Erasmo Recami di Riccardo Paradisi antimateria, la particella di Dio, i buchi neri, il viaggio nel tempo: suggestioni che escono dai libri di fantascienza ed entrano in un tunnel d’accelerazione di 27 chilometri costruito a Ginevra che spara protoni uno contro l’altro per vedere l’effetto che fa. E sugli esiti di questo esperimento, definito storico, gli addetti ai lavori sono i più curiosi. Erasmo Recami attualmente docente di fisica dell’università di Bergamo è impegnato in ricerche sulla relatività speciale, sulla fisica delle particelle elementari e sulle relazioni tra micro e macro-universi. Con lui parliamo dell’esperimento di Ginevra ieri proiettato anche a Roma e Milano. Professore l’esperimento del Cern di Ginevra potrebbe dimostrare addirittura che il vuoto non esiste. Non è una vecchia teoria metafisica? L’antimateria, l’etere. L’etere è passato di moda, adesso quel concetto è però sostitutivo da un’altra definizione: “lo spazio vuoto” che è poi paradossalmente il più ricco di struttura visto che permette la trasmissione di onde elettro-

L’

magnetiche ed è la sede di creazione continua di particelle. La fisica è una materia ”filosofica”. Una delle cose interessanti che potrebbero venir fuori dall’esperimento di Ginevra è la scoperta della particella di Higgs: la particella di Dio Non bisognerebbe mai nominare il nome di Dio invano. Personalmente non sono convinto che esista anche se la maggior parte dei colleghi sono convinti che ci sia una possibilità che dallo scontro di particelle la

colose per mezzo mondo. Stravaganze? Una volta – fino agli anni Ottanta intendo – gli americani erano avanti agli europei nella ricerca sull’accelerazione delle particelle, avevano fatto anche un progetto con un anello di 200 km, poi Reagan ha tagliato i fondi della ricerca. Da quel momento in poi è stata la ricerca europea a conquistare l’avanguardia in questo tipo di esperimenti. I due americani che hanno criticato l’esperimento del Cern con quelle motivazioni forse l’hanno fatto per invidia. Gli urti tra parti-

Lo “spazio vuoto”, che una volta si chiamava etere, è lo spazio più ricco di struttura, visto che permette la trasmissione di onde elettromagnetiche ed è la sede di creazione continua di particelle materia venga generata, provando l’esistenza del ”bosone di Higgs”. Alcuni fisici americani hanno sostenuto fino a un giorno prima dell’esperimento che l’esplosione prodotta dall’acceleratore del Cern avrebbe potuto avere come effetto collaterale una serie di esplosioni a catena peri-

celle ad altissima velocità avvengono nel cosmo ogni giorno e non è sparito il creato. Il balzo in avanti dell’Europa sulla ricerca è stato anche un balzo in avanti dell’Italia? Si malgrado la nessuna sensibilità politica che porta sostegno alla ricerca. Peccato, perchè tra i fisici italiani esistono delle eccellenze assolute, il guaio è che i no-

stri governanti nemmeno lo sanno. Pensi che il primo che ha avuto l’idea di far scontrare tra loro le particelle invece di spararle contro un bersaglio fisso fu Bruno Touschek a Frascati così che tutta l’energia prodotta dall’esperimento sarebbe servita a creare energia di massa elevata senza perderla in energia cinetica. Agli inizi degli anni Sessanta l’Italia era la prima nel mondo in questo campo. Esistevano la macchina Ada e Adone per gli urti di fasci incrociati di elettroni. Per mancanza di fondi la superadone non potè essere costruita. L’hanno fatta gli americani, da un’idea italiana, vincendo subito il premio Nobel. L’esperimento di Ginevra servirà per la creazione dell’energia futura professore? È presto per dirlo. Ernest Rutherford il fisico che ideò il modello planetario dell’atomo una volta ha detto che chiunque si aspetti una sorgente di energia dalle trasmutazioni atomiche sta dicendo una gigantesca sciocchezza. La sciocchezza la diceva lui ma è difficile fare previsioni in fisica. La mia risposta alla sua domanda è dunque “chissà”. La teoria della relatività di Einstein è stata sempre

chiamata in causa ogni volta si è tornati a parlare di velocità assolute e viaggi nel tempo. Esiste una remota possibilità che si possa viaggiare nel tempo professore? Io me ne sono occupato molto dell’ipotesi del viaggio nel tempo. Ho esteso la teoria della relatività all’antimateria e ai moti più veloci della luce rilevati in seguito sperimentalmente. La teoria è affascinante ma i corpi all’indietro nel tempo non si possono mandare. Questa finora è fantascienza. Certo poi ci sono i profeti, c’è la meccanica quantistica con le particelle che reagiscono all’unisono a distanza di spazio e di tempo. Ma siamo in regioni spaziali strane, paradossali. Gliel’ho detto: la fisica è anche una disciplina filosofica.


società

ROMA. Varcare l’androne di Palazzo Lante nel tepore di questo speciale mattino apocalittico, equivale a sentirsi soggiogati dall’intricato sistema di spinte e controspinte che regolano l’equilibrio umano. Qui all’Istituto nazionale di fisica nucleare, sono passate da poco le 8 e 30, e attorno al cortile cinquecentesco, i due ordini di arcate sovrapposte sembrano poter inghiottire la secolare resistenza delle colonne doriche in un tonfo definitivo. Intrisi di malafede, e decisi a contrastare fermamente qualunque simbolo vagamente iettatorio possa emergere dalle rose degli Orsini o dalle piume di struzzo dei Medici che fregiano il palazzo, ci dirigiamo verso la sede dell’esperimento con passo malfermo. Il generoso teleschermo piazzato davanti alle nostre pupille, quasi ci rassicura. Tra pochi minuti, in diretta da Ginevra, ci mostrerà le prove tecniche del big bang, e il fatto che ci sia la tv a fare da diaframma, ci riconsegna per un attimo alla nostra paciosa condizione di teledipendenti.

Lo schermo ci depriva per un attimo delle complicate ansie millenaristiche che hanno preceduto l’evento. Dura pochissimo. Il tempo che qualcuno accenni con un sorrisetto saccente, a quei buchi neri che molti temono possano formarsi a seguito dell’esperimento. Nella saletta, intanto, gli scienziati prendono posto. Sono il ritratto di una calma olimpica, di un animo titanico calmierato dalla scienza. Un relatore impugna il microfono e introduce gli ospiti. Sono presenti fra gli il presidente del Cnr, Luciano Maiani, e il celebre scrittore Andrea Camilleri. Di fronte alla fine del mondo, neppure Benedetto Croce è riuscito a dividerli. Scienza e lettere sono fianco a fianco, in attesa di cantare il motore primo

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Cronaca in diretta dell’esperimento del secolo

9.30: via al primo raggio protonico di Francesco Lo Dico dell’universo. Viene ricordato a tutti che il fine dell’esperimento è il tentativo di ricreare le condizioni d’origine del pianeta. Si è in cerca del bosone di Higgs, la particella delle particelle elementari, che a dispetto del nome, più simile a una varietà di maccherone, è invece la mamma della materia. Qualcuno l’ha restituita a dignità, denominandola “la particella di Dio”. Il momento tanto atteso arriva attorno alle 9 e 30. Il superacceleratore Lhc, che fa capolino sullo schermo, è qualcosa di molto vicino alle strepitose macchine spaziali che comparivano nei cartoni animati della nostra infanzia. Una sorta di mostro tecnologico ottagonale, con un’apertura che fa pensare alla grotta della Sibilla. Dentro quel tunnel lungo 27 chilometri, a cento metri dal livello del suolo, stanno per partire per un viaggio supersonico i fasci di protoni incaricati di collidere e schiantarsi alla velocità della luce. Faranno il giro completo del circuito in venti microsecondi. Le immagini che vengono dal Cern improvivsamente calamitano l’atten-

zione di tutti. Ci siamo. Con qualche minuto di ritardo, l’esperimento è partito, e tutti i membri del Cern liberano l’emozione in un caloroso applauso. Meglio non distrarsi, viene da pensare nel solito sussulto scaramantico. Le spie luminose sugli schermi di controllo confermano che l’operazione è partita con successo. Pare che funzioni tutto a meraviglia, e che il fiato sia tornato a fluire nelle narici di tutti gli astanti, ma anche questa volta si tratta solo di un momento di decompressione. Ci viene spiegato che, visto l’esito felice dell’operazione uno, si passa all’operazione due.Verrà immesso un secondo fascio di protoni che percorrerà il circuito dell’ acceleratore in senso

contrario. Il timor panico prende improvvisamente forma nelle lettere della parola collisione. Collisione, big bang. Big bang, buco nero. Associazioni ineluttabili corrono per la mente di molti che devono ancora far la spesa prima che i negozi chiudano. Speriamo ci siano ancora, anche dopo l’apocalisse, ma gli scienziati ci confortano. La collisione è al momento impossibile perché il primo fascio di protoni è stato bloccato. Ci passa però davanti agli occhi, saettante tra i cristalli del display, un piccolo lampo. Una potente minuscola folgore che ci fa aguzzare gli sguardi e sospendere per un minuto qualunque pensiero di senso compiuto.

È un’istantanea del big bang, la polaroid dell’infinito che ritorna alla finitezza. Le particelle del superacceleratore che si scontreranno all’imponderabile energia di 7mila miliardi di volt, ci fanno pensare con terribile imbarazzo alle patetiche manie di grandezza dei nostri ventilatori. Sono gli uomini che fanno fare alle cose, cose che loro non potrebbero mai concepire. Persino le particelle. Le abbiamo spinte indietro a miliardi di anni fa, e le abbiamo obbligate a farci rivedere il big bang alla moviola dei millenni. Non c’eravamo e vogliamo sapere. La particella di Dio è vicina anche se non la vediamo ancora, davanti al teleschermo. Più tardi il Cern deciderà se procedere con le prime collusioni tra fasci protonici. Per ora può bastare, dicono. Conclusa la diretta, ciondoliamo verso il bar. Prima di tornare sulla terra su cui camminiamo, pensiamo, ciascuno a modo nostro, all’Homo Noeticus di Teilhard de Chardin, a quel punto Omega in cui tutto collassa nell’abbraccio finale tra il creatore e la creatura. Poi i fumi del caffè annebbiano tutto. Ci siamo ancora tutti, sembra.


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politica

Duro botta e risposta fra Tremonti e Bersani in Parlamento. Mentre la trattativa si sblocca e la Corte dei conti chiede chiarimenti sui crediti

Nuova Alitalia o nuova AirOne? di Alessandro D’Amato

R OMA .

Prima Giulio Tremonti, poi Augusto Fantozzi: gli interventi del ministro dell’Economia e del commissario di Alitalia scuotono la giornata politica. In mattinata è arrivata l’audizione alla Camera del responsabile di via XX Settembre, ancora fresco dello scontro avuto durante Ballarò con Massimo D’Alema: «La privatizzazione interrompe il processo di nuove perdite – ha esordito – e comunque nessuno si è voluto fare carico delle passività dall’azienda; accumulate l’alternativa è il fallimento». Poi il ministro ha avuto gioco facile a ricordare l’eredità del governo Prodi: «Il prestito ponte è stato frutto

di 22 mesi di inerzia» ha detto. Sul piano di salvataggio, ha aggiunto, sarà possibile dare risposte concrete solo «a valle della trattativa», a causa dell’alto «grado di complessità» della partita.

Le repliche non hanno tardato. E quella del ministro dell’Economia-ombra del Pd, Pier Luigi Bersani, è stata particolarmente aggressiva: «Tremonti è un bugiardo: perché si poteva fare un commissariamento vero ai sensi della legge Marzano, senza dar vita a una bad company, invece si tratta di un fallimento atipico con il commissario che si occupa di liquidare l’azienda. Così non si fa una nuova Alitalia, ma una

Venduta la società, scaricati i debiti, il più furbo di tutti si defila…

Molti già lo chiamano Toto le Moko ROMA. Della vicenda ci informa un trafiletto non firmato comparso ieri sul Corriere della Sera, che per ora non ha ancora trovato alcuna conferma ufficiale. Carlo Toto, l’imprenditore abruzzese patròn di AirOne starebbe ripensandoci: non vuole più entrare nella Compagnia Aerea Italiana, la cordata raccoltasi dietro BancaIntesa e il governo per rilevare gli asset proficui di Alitalia. I motivi, secondo via Solferino: nessuna delega operativa oltre alla vicepresidenza per Toto, e nessuna assunzione in Cai per i precari di AirOne. Quest’ultima, una motivazione poco credibile, visto che se avesse davvero avuto a cuore la sorte dei lavoratori, avrebbe potuto stabilizzarne i contratti prima di sedersi al tavolo. In ogni caso, se davvero l’imprenditore molto amico di Raffaele Bonanni restasse fuori dalla cordata, tanto male non gli andrebbe: per il “modico”prezzo di 300 milioni – così viene valutata AirOne nel piano Intesa – vende una compagnia che l’anno scorso ha trasportato 7,5 milioni di passeggeri, ma con un coefficiente di riempimento degli aerei inferiore alla concorrenza, e un bilancio che mostra un utile di 7 milioni di euro, e debiti a 12 mesi pari a 367 milioni (più altri 31 a scadenza differita). E nemmeno reinvestirebbe la fiche da 100 milioni nella nuova cordata, mentre rimane da vedere che fine faranno gli impegni assunti con Airbus per l’acquisto degli A320 – 2,16 miliardi di prezzo – che servivano a rinnovare la flotta: questi consumano meno dei vecchi MD80 di Alitalia, ma il canone sarebbe molto più elevato, e in più il totale di macchine previsto dalla Cai è di 139, mentre la somma di quelle oggi usate da AirOne e Alitalia è di 238. Vero è che il debito contratto con Intesa ed altre banche (104 milioni) gli rimarrà in carico. Ma Toto può permettersi di pagarlo con calma, grazie ai leasing. E così, avremmo preso due piccioni con una fava: oltre ad Alitalia si è indirettamente salvata anche AirOne. Dando così ragione a quell’adagio che recita: «Se hai centomila euro di debiti, è un problema tuo; se ne hai cinquecentomila, è un problema della banca; se ne hai più di un milione, è un problema della collettività». (a.d’a.)

nuova AirOne, ovvero una compagnia più piccola che all’estero dovrà chiedere con il cappello in mano un passaggio alle grandi». La replica di Tremonti è stata sferzante: «Potevate pensarci voi, a privatizzare», ha detto il ministro. Che poi è stato protagonista di un botta e risposta con Colaninno, il quale aveva fatto notare che nel 2001, sotto il governo Amato, le azioni dell’azienda valevano 10 euro e adesso ne valgono meno di uno: «Se si riferisce alla Borsa non può dare i valori rettificati, ma quelli di

Sopra, Giulio Tremonti e Pier Luigi Bersani Accanto, il patron di AirOne Carlo Toto allora». Savino Pezzotta dell’Udc ed ex leader della Cisl, ha invece espresso delusione per l’audizione: «Non ha offerto grandi novità sul piano industriale e sulla gestione sociale ed occupazionale. Si ridimensiona la compagnia e suscita perplessità il ruolo di AirOne, perché non vorremmo che si sommassero difficoltà a difficoltà. E in più, nulla si sa su come verranno rimborsati azionisti ed obbligazionisti». Intanto è arrivato l’ennesimo ultimatum – forse quello decisivo – stavolta firmato Augusto Fantozzi durante

voro e ad aprire le procedure di mobilità», e quella di tutti i contratti in essere. Un aut aut legalmente fondato che però non ha riscosso favore tra i sindacati: «C’è il rischio che salti tutto in aria», ha detto un loro rappresentate all’entrata del ministero del Welfare. «Siamo alle spalle al muro e questa pressione è impropria ha detto il segretario generale della Uil Trasporti Giuseppe Caronia – ma noi siamo determinati a non cedere sui livelli salariali».

I n t a n t o , c i s o n o da registrare le critiche della Corte dei conti, la quale ha detto che le modifiche alla Marzano sono «un segnale in controtendenza e poco rassicurante per i contribuenti: la deresponsabilizzazione degli amministratori delinea una poco comprensibile deroga a principi universali di buona e corretta gestione».

Il commissario della «bad company» lancia un aut aut ai sindacati: «Se non si arriva a un accordo entro oggi, sarà indispensabile mettere tutti in mobilità e disdire i contratti» l’incontro che si è tenuto alla Magliana con le sigle sindacali. «Vi ho convocato per dirvi che auspico per domani un buon esito della trattativa: se buon esito non sarà ha annunciato - doverosamente, dovrò procedere alla disdetta dei contratti di la-

Mentre il Codacons ha presentato atto di insinuazione al passivo nel fascicolo presente in Tribunale e relativo ad Alitalia, chiedendo la restituzione del valore dei titoli posseduti da alcuni azionisti, e contestando la dichiarazione di insolvenza.


politica

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Riforme/4. Il segretario dell’Associazione nazionale magistrati ROMA. Anm sott’accusa. L’associazione dei magistrati da più parti viene considerata il potere forte del sistema giudiziario italiano. Il pdl Filippo Berselli, presidente della Commissione giustizia del Senato, non ha dubbi: «L’Anm è la lobby più potente d’Italia», ma il segretario dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Cascini, non si scompone più di tanto. Vi sentite la lobby più potente d’Italia? L’Anm non svolge un ruolo politico, né di supplenza delle forze politiche, ma fornisce un contributo ragionato al dibattito libero sui temi della giustizia a partire dall’esperienza maturata sul campo. L’ascolto delle nostre ragioni da parte della politica e della pubblica opinione è legato soltanto all’ascolto dei nostri argomenti. Per molti, però, l’Anm incide pesantemente sul Csm. Mi sembrano delle affermazioni molto generiche che non aiutano a ragionare. Il Consiglio superiore della magistratura esprime pareri su provvedimenti legislativi. Penso, francamente, che una democrazia avanzata non dovrebbe preoccuparsi di un organo di rilevanza costituzionale che decide spesso con l’unanimità di tutti i componenti. Quindi, secondo lei il Csm così com’è funziona? Sì. Assolve pienamente al suo compito. Quella dell’Assemblea costituente è stata una scelta felice che ha assicurato l’indipendenza della magistratura e rappresenta una garanzia per tutti i cittadini. E sulla sua composizione? Vorrei che qualcuno mi spiegasse perché il Csm funzionerebbe meglio con più membri di nomina politica. È sotto gli occhi di tutti che nel nostro Paese l’invadenza della politica è enorme. Non penso che i criteri di merito, di efficienza e di funzionalità possano essere garantiti dalla presenza di più laici nel Csm. Il rimedio sarebbe peggiore del male. Si tratterebbe di un riequilibrio dei poteri. Mi si passi il termine, è una “bestemmia costituzionale”. Secondo questa tesi più membri laici dovrebbero compensare la mancanza dell’immunità parlamentare. Il Csm sul piano istituzionale non ha influenza sulla giurisdizione. All’iniziativa giudiziaria sono sottoposti tutti i cittadini, a maggior ragione i politici che hanno responsabilità anche di carattere istituzionale. È assurdo pensare di correggere una situazione introducendo una patologia.

«L’Anm non è una lobby e la Costituzione non si tocca» colloquio con Giuseppe Cascini di Franco Insardà

Per Giuseppe Cascini, segretario dell’Associazione nazionale magistrati, non c’è alcun motivo per modificare il Consiglio superiore della magistratura Propone di reintrodurre l’immunità parlamentare? Nell’intenzione del Costituente quest’istituto tutelava le minoranze, purtroppo la maggioranza ne ha fatto un abuso, non concedendo quasi mai l’autorizzazione a procedere. In Germania, invece, viene concessa nel 99 per cento dei casi. Ieri è stato reso noto il «piano Pecorella» che va in tutt’altra direzione. Sulla Costituzione non ci sono reali esigenze per intervenire. Rispetto al 1948 l’esecutivo ha già maggiori poteri rispetto al ruolo del Parlamento. Bisognerebbe addirittura rafforzare le istituzioni di garanzia. Il processo penale, invece, evidenzia problemi seri. Noi dell’Anm abbiamo più volte sottolineato che il processo penale attualmente non è in grado di funzionare. Bisogna

prima di tutto fare chiarezza sulle garanzie che non possono valere soltanto per alcune categorie. Mi riferisco agli strumenti cautelari, alla norme sulla microcriminalità. Per tutti la principale garanzia deve esse-

re gli uffici, evitare la scarcerazione preventiva per scadenza dei termini per i reati gravi. In una parola sola: fare giustizia. Oggi si celebrano 500mila processi all’anno, una cifra impressionante aggravata dall’ipertrofia degli adempimenti. Cioè? Spesso al terzo grado arriva la nullità per un difetto di notifica, quando si potrebbe ovviare utilizzando la posta elettronica del difensore di fiducia. E gli incentivi per i magistrati che accettino di andare in sedi disagiate? È la politica del “pannicello caldo”. Così non si risolvono i

Attualmente il processo penale non è in grado di funzionare: i tre gradi di giudizio non si possono applicare per tutti i tipi di reato re la celerità del procedimento. Come si può fare? Non è possibile che il processo accusatorio che prevede i tre gradi di giudizio si possa applicare a tutti i tipi di reato, ma deve essere riservato soltanto per quei fatti che prevedono una pena detentiva. Per le pene pecuniarie bisognerebbe istituire un solo grado di giudizio. Questo significherebbe sgrava-

problemi. Bisogna impedire che in queste sedi ci vadano giudici di prima nomina, ma soprattutto è necessario riorganizzare gli uffici giudiziari. Sul banco degli imputati ci sono anche i pubblici ministeri accusati di agire in maniera discrezionale nell’azione penale. Il pubblico ministero esercita sempre l’azione penale, alcuni

procedimenti li tratta prima tenendo presente la gravità dei casi. Il problema vero è l’ingolfamento degli uffici giudiziari. La patologia non può essere trasformata in una norma, bisogna correggerla. Alcuni vorrebbero ampliare il ruolo della polizia giudiziaria nell’ambito del procedimento penale. È giusto? Nel 1988 il legislatore fece una scelta garantista condivisa da tutti; quella, cioè, di attribuire il controllo su tutta la fase delle indagini preliminari al pm in un regime di legalità assoluta per la tutela di tutti i cittadini. Perché tornare indietro? Il rapporto che esiste oggi tra polizia giudiziaria e magistratura inquirente è un rapporto virtuoso. La polizia svolge una funzione insostituibile. In concreto ritiene che si possa arrivare a una riforma condivisa? Da un lato registro delle contraddizioni nelle dichiarazioni d’intenti della maggioranza sulla riforma della giustizia penale. Dall’altro l’iniziativa diretta ad aumentare gli apparati di sicurezza è un messaggio di rigore che si accompagna, però, all’assenza di iniziativa di modifica del processo penale.


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festa Udc

Oggi a Chianciano si apre il meeting dei centristi. La riforma fiscale è il primo grande tema in discussione

Il federalismo fantasma Tutti ne parlano, ma né la Lega né Berlusconi hanno spiegato ancora quale Italia vogliono di Francesco D’Onofrio i ha molto spesso l’impressione che si stia parlando di federalismo fiscale quasi esclusivamente in termini di rapporto tra Nord e Sud del Paese, lasciando impregiudicate alcune questioni di fondo che riguardano anche il nuovo problema del rapporto tra questione settentrionale e questione meridionale, ma che in qualche misura prescindono da questa fondamentale questione. Sarebbe molto negativo se si finisse con l’affrontare il tema del federalismo fiscale come si è fatto per l’europeismo alla luce del trattato di Lisbona: quasi unanimità di facciata, ma profonde divisioni sulla sostanza del problema. C’è invece chi ritiene che il federalismo fiscale non sia una moda ma una straordinaria riforma di tutte le strutture che hanno costituito la sostanza di una unità nazionale centralistica quale è quella che si è realizzata in Italia da oltre 150 anni, come ci accingiamo a riflettere nelle tante occasioni di ricordo di quegli straordinari anni della metà dell’Ottocento. C’è chi cre-

S

de, dunque, che la riforma federalista dello Stato italiano comporti una radicale revisione di tutto l’armamentario culturale, sociale ed istituzionale che ha costituito la trama unitaria che ha attraversato 150 anni senza mettere in discussione la sostanza della unità nazionale centralistica quale è quella che l’Italia ha vissuto fin dall’inizio della propria unità politica.

È questa pertanto la ragione che induce – anche chi come me crede fino in fondo in un federalismo serio e rigoroso – a porre

riassumere in un interrogativo soltanto: qual è l’idea di Italia che si ha in mente allorché si parla di federalismo fiscale? La prima questione concerne la collocazione dell’Italia tutta, nel contesto mondiale nel quale essa è immersa: chi paga gli interessi sul debito pubblico accumulato dall’Italia nel corso dei decenni passati? Ed è infatti di tutta evidenza che è in gioco in questo caso la credibilità stessa dell’Italia – federalista o centralista che sia il suo ordinamento statuale – se si vuole assicurare il suo supremo interesse alla credibilità nei con-

Prima di modificare i meccanismi fiscali, bisogna aver chiaro il risultato finale: quali saranno gli equilibri fra Comuni, Regioni e Stato centrale? E quale sarà il ruolo delle Città metropolitane? tre domande fondamentali alle quali sembra che fino ad ora non vi sia stata risposta alcuna da parte di chi ha fatto e fa del federalismo fiscale una questione di fondo e non solo una questione di bandiera. Le domande si possono perfino

ROMA. Comincia oggi pomeriggio alle 16 la festa nazionale dell’Unione di Centro a Chianciano Terme. Saranno il presidente nazionale Rocco Buttiglione e il sindaco della cittadina toscana, Guido Bombagli, ad aprire la manifestazione. Poi già alle 18 in Area Bruco comincerà il primo dibattito sul tema del federalismo fiscale. Introduce Savino Pezzotta, coordinatore dell’Unione di Centro e modera il professor Francesco D’Onofrio. Intervengono il leghista Roberto Calderoli (ministro per la Semplificazione normativa), il senatore Pd Francesco Rutelli, il segretario nazionale Udeur Clemente Mastella, il governatore lombardo Roberto Formigoni e quello veneto Giancarlo Galan. Alle 19 in area Bianca, invece, rappresentanti dei movimenti ecclesiali e dell’associazionismo cattolico daranno il loro contributo sulla cosiddetta ”questione cattolica”.

fronti di quanti ne sono creditori. Occorre infatti che l’ordinamento fiscale del federalismo sia costruito comunque in modo da garantire il pagamento dell’interesse sul debito pubblico italiano: ciò significa che il sistema fiscale italiano complessivo deve distin-

guere visibilmente e nettamente tra le fonti di reddito necessarie a pagare gli interessi sul debito nazionale e quelle sulle quali viene costruita l’autonomia impositiva locale e regionale. La seconda questione concerne un aspetto che sembra ancora molto confuso: che rapporto vi è tra funzioni regionali proprie, funzioni concorrenti tra Regioni e Stato e funzioni statali esclusive? Nella riforma costituzionale approvata dal centro destra nel 2005 e respinta dal referendum popolare nel 2006 si era infatti costruita l’ipotesi del federalismo fiscale soltanto dopo la definizione delle rispettive sfere di competenza statali, concorrenti, regionali.

Oggi non si capisce più se si deve procedere ad una revisione dell’ordinamento fiscale vigente lasciando impregiudicata la questione delle rispettive competenze: e naturalmente vi è una strettissima correlazione tra funzioni e fabbisogno. Questa questione diventa particolarmente delicata in riferimento all’istruzione: nel

Ecco il programma della festa Intenso già dal mattino il programma di venerdì 12 settembre. Alle 9.30 in area Bruco, si dibatterà sulla situazione difficile in cui versano i sindaci italiani schiacciati tra l’incudine di offrire più servizi ai cittadini e il martello di avere sempre meno risorse a disposizione. Il dibattito sarà animato da diversi politici impegnati nell’amministrazione locale. Alle 10 in Area Bianca avrà luogo il dibattito sull’amministrazione delle Regioni. Tra gli ospiti diversi governatori: quello siciliano Raffaele Lombardo, quello del Friuli Venezia Giulia Renzo Tondo, il presidente del Trentino Alto Adige Lorenzo Dellai e quello della Sardegna Renato Soru. Sarà presente anche il presidente della I° Commissione Affari Costituzionali Giorgio Oppi. Alle 11 in Area Bruco, si affronterà il

capitolo ”liberalizzazioni”. Intervengono il ministro ombra del Pd, Enrico Letta, Giorgio Natalino Guerrini, presidente di Confartigianato, Maurizio Beretta, direttore generale di Confindustria, Bruno Tabacci deputato Udc. Centrali, poi, gli incontri del pomeriggio: da quello sul problema della sicurezza (ore 15.30 in Area Bruco) a quelli su pensioni salari e tutela del mondo del lavoro (ore 16 Area Verde) fino al dibattito sull’ordinamento più efficace da dare a Roma Capitale. Un incontro al quale, nel novero degli importanti ospiti, parteciperanno il sindaco Gianni Alemanno e Piero Marrazzo, il governatore del Lazio. Da non perdere, per il tema trattato e per gli ospiti, l’ultimo dibattito della giornata: quello sulla riforma della legge elettorale. Ore 18 in Area Bruco. In-

testo vigente della costituzione – articolo 117 lettera n - le «norme generali sull’istruzione» sono di esclusiva competenza statale. Di quali norme generali si intende parlare? Della carriera nazionale dei docenti (concorso e trasferibilità)? Dell’ordinamento degli studi (Maestro unico o maestri plurimi)? Del rapporto tra scuola secondaria e università (accesso libero o selezione all’ingresso)? Del rapporto tra scuola e lavoro (educazione alla cittadinanza o formazione professionale)? E altre domande ancora che si possono riassumere sotto l’espressione di «norme generali sull’istruzione». Terza questione particolarmente complessa - anche e soprattutto dal punto di vista fiscale - è quella concernente i rapporti tra Regioni ed Enti locali: consideriamo tutte le autonomie locali sostanzialmente su un piede di parità costituzionale – come afferma l’art 114 della costituzione - o

troduce Calogero Mannino, deputato Udc e modera Michele Vietti vicepresidente del partito. Intervengono Ciriaco De Mita, Massimo D’Alema, Fabrizio Cicchitto, Giuseppe Fioroni e Ferdinando Adornato.

Appuntamento centrale della giornata di sabato 13 settembre sarà l’intervista al leader Udc Pier Ferdinando Casini da parte di Enrico Mentana. Ore 17.30, Area Bruco. Al mattino alle 9.30 nell’Area Bianca i segretari comunali, provinciali e regionali dell’Udc. Alle 10 in Area Bruco si parlerà delle sfide rappresentate dall’istruzione. Intervengono il ministro Maria Stella Gelmini e la collega ombra del Pd, Mariapia Garavaglia. Oltre a numerosissimi e prestigiosi esperti del settore. Alle 11,30 nell’Area Bianca, la festa prosegue con un dibattito sull’energia. Intervengono il sottosegretario allo Sviluppo Economico Al-


festa Udc

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Sempre più spesso, la società mette all’angolo i diritti dei cristiani

Cronache da un paese senza buon senso di Luca Volontè l festival delle bufale estive non si placa: purtroppo quest’anno si è accresciuto di nuovi attori tra i chierici cattolici. Non voglio proporre nessuna riflessione sulla «scoperta» eclatante delle relazioni, anche economiche, tra Rifondazione Comunista e le Farc colombiane. Chi si stupisce della vicenda dimostra d’aver dedicato pochissima attenzione agli interventi parlamentari e alle vari interviste di questi anni. Semmai, sarebbe simpatico, ma forse troppo incredibile, riflettere sulle vicissitudini straniere, l’ultima delle quali riguarda la paternità del figlio della bellissima Ministro della Giustizia francese: d’altra parte, tanti e forse troppi quotidiani si avvalgono di splendidi professionisti delle cronache rosa o scandalistiche, taluni si giovano della collaborazione di notisti di cronaca nera, tanto cara ai Tg Rai, ma ormai pochi annoverano tra le proprie penne altro.

I

Qui sopra, il leader della Lega Umberto Bossi. Sotto, Lorenzo Cesa. A destra, una chiesa di provincia: la quotidianità dei cristiani è sempre più minacciata dalla società dei consumi.

immaginiamo che le regioni siano in qualche modo sovraordinate, anche dal punto di vista delle funzioni, ai Comuni, alle Città metropolitane e alle Province? Sembra che si intenda comunque partire dalla situazione attuale: 15 Regioni a statuto ordinario e 5 Regioni a statuto speciale, una delle quali divisa in due Province autonome; 103 Province di diversa dimensione e natura; un certo numero – sembra 9 - di Città metropolitane da costruire ex novo; 8.000 Comuni enormemente diversi quanto a popolazione e dimensione territoriale. Queste tre domande sono una premessa politica fondamentale per capire di cosa si stia seriamente parlando, per non cadere appunto in quella sorta di unanimismo alla moda che costituisce – esso sì – il più pericoloso rigurgito centralistico dal quale gli autentici federalisti devono guardarsi.

fredo Urso ed Ermete Realacci, ministro ombra del Pd. Anche in questo caso i politici avranno l’occasione di confrontarsi con autorevoli rappresentanti del settore. Alle 16 nell’Area Bruco, il ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta e il deputato Udc Bruno Tabacci affornteranno la questione nodale dell’ammodernamento dello Stato. Naturalmente alla festa dell’Udc non poteva mancare una finestra sulla difesa dei diritti umani. A tal proposito - ore 15.30, Area Bianca - verrà presentata la campagna per la liberazione di Aung San Suu Kyi, premio nobel per la pace.

La giornata conclusiva di domenica sarà scandita tre appuntamenti: la santa messa (ore 9), il dibattito su una nuova politica fiscale a favore delle famiglie (ore 10, Area Bruco) e l’intervista conclusiva a Lorenzo Cesa, segretario nazionale Udc (ore 11.30, Area Bruco).

È ben vero, invece, che la realtà è straordinaria. C’è dell’altro, appunto: pensate alle chiese in gomma gonfiabili, di gran moda nella Gran Bretagna di Sua Maestà, e non di meno usate sulle spiagge italiane quest’anno. Basta cinque minuti a gonfiarle e in dotazione c’è pure un organo a canne, un altare, un pulpito e i candelieri; scusate il sorriso ma nella mia giovinezza l’unico oggetto gonfiabile che si sapeva in vendita, e nessuno ha mai visto, era un manichino dalle sembianze femminili. C’è da immaginare che una donna vera sta a quel manichino come una bella Chiesa sta alla cattedrale pneumatica, eppure pare che tutto faccia brodo.

sa gommosa, non potete appoggiarvi e dovete stare ben attenti a non portarvi oggetti appuntiti; nella Fuksas Church invece non troverete un curva, un abside, un cupola, è tutto un cubo e persino l’entrata pare quella delle trappole per topi che si usavano nelle case di campagna. Ogni palato hai suoi gusti. D’altronde, quest’estate c’è stato un assessore della Svp, partito autonomista cristiano dell’Alto Adige, che si è pure dimesso per protesta, dopo la rimozione dell’opera «d’arte» della rana verde crocefissa. Nulla di più assurdo però della blasfema scultura presentata alla mostra di Gateshead (Inghilterra): Gesù con un’erezione. Nostro Signore tira sempre, nonostante le offese fatto sta che lo «tirano» da tutte le parti, infatti proprio in Gran Bretagna si è consumata la nomina del primo vescovo gay anglicano. Dopo tanto patire…

L’Andalusia, dopo che si sono rotti gli argini a favore dei diritti umani alle scimmie macachi, si accaniscono con la protervia degli scimpanzé sui medici che tentano fino all’ultimo di salvare i malati, si potrà rischiare sino a 1 milione di euro di multa se alla fine, ti salvano il nonnino morente. La gente di campagna italica aveva già previsto tutto, quando un contadino ti chiamava ”macaco” era come darti dello stupido patentato, senza nessuna possibilità di guarigione. C’è di più. Sempre in Italia, negli ultimi tempi è successo di tutto: fuochi artificiali prima del ”riavvio” della stagione. I Frati Minori di Sassoferrato in Ancona hanno ceduto il loro convento per il seminario dell’Ucoii (islamici fondamentalisti italiani). Altri frati francescani, invece, sono stati manganellati per aver nascosto i soldi delle offerte vicino a Torino e il cardinale di lassù, Monsignor Poletto, ha stracciato tutti gli insegnamenti di San Francesco e Madre Teresa sui lebbrosi pur di apparire arrabbiato. Sarebbe forse utile, salvare l’insegnamento della dottrina sulla carità e sulla testimonianza (Francesco docet) e riportare non solo i francescani ma anche parte del clero ordinario (Gallarate a Varese per esempio) all’interno del buonsenso, se non della dottrina.

Dalla moschea di Gallarate alla rana crocifissa, dai frati picchiati alle campane condannate: qual è lo spazio per chi vive la sua fede, in Italia?

Mettete però a paragone la «gommachurch» e la cubica Chiesa di San Giacomo a Foligno, disegnata dall’architetto Fuksas che pure si sarebbe convertito nel frattempo, grazie alla guida di Monsignor Betori e agli assegni della Diocesi di Foligno. Se entrate nella chie-

Atro eccesso. Il tribunale di Genova - città nella quale è aperta la discussione sulla costruzione di una Moschea da dove canterà il muezzin - ha condannato un parroco di Lavagna a pagare 60.000 euro di multa perché ha suonato le campane nelle ore comandate. Addirittura il Tribunale ha condiviso la tesi per cui la signora denunciante avrebbe perso una parte dell’udito, del sonno e chissà cos’altro; e stabilito giorni, orari e intensità del suo delle campane. Assurdità al massimo livello. Per l’appunto, l’estate è finita con i suoi eccessi, speriamo che almeno le campane siano suonate per tutti.


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politica

redo che in Italia ci sia ancora una questione aperta sulla piena identificazione che ci dovrebbe essere da parte di tutti nei principi e nei valori della Costituzione repubblicana. Principi che sono rispecchiati nella Costituzione europea richiamata nel Trattato di Lisbona». Le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante la conferenza stampa conclusiva della visita di Stato in Finlandia, rimbalzano come macigni sulle agenzie di stampa e sui siti Internet italiani. Provocando un pandemonio. Napolitano ha appena incontrato il presidente del parlamento finlandese, Sauli Vanamo Niinisto, e il primo ministro Matti Vanhanen. Poi, rispondendo a una domanda sulla presunta caduta di tensione dell’antifascismo europeo, fa partire la “bordata”. Rispondendo alle domande successive dei giornalisti, che gli chiedono di spiegare più compiutamente il suo pensiero, Napolitano approfondisce: «Non ho detto che in Italia manchi più che in altri paesi la tensione per l’integrazione europea. Come ho ribadito tante volte in questi giorni, nella stessa chiave, ho ribadito per l’Italia l’esigenza di un forte moto di patriottismo costituzionale».

«C

Forse il presidente ha ancora in mente l’intervista pubblicata, sempre ieri, dal Riformista in cui Giuseppe Ciarrapico - senatore del PdL e fascista “non pentito” - criticava pesantemente il discorso dell’8 settembre. «Ma ‘de che s’incazza Napolitano - aveva detto l’imprenditore ciociaro - S’informasse prima di mettersi lì con le due mani sulle corone. A Porta San Paolo non c’erano partigiani. Anzi, ce n’era uno solo, Raffaele Persichetti. Finalmente sta venendo fuori la verità ineluttabile sul fascismo». Ma la verità “ineluttabile”, almeno secondo Napolitano, è che non tutti gli italiani (e i partiti politici?) si riconoscono nella Costituzione repubblicana e antifascista. Il presidente cerca di smorzare il tono delle polemiche nate dopo il discorso pronunciato, proprio a Porta San Paolo, l’8 settembre. Di fronte a domande specifiche sull’argomento, rifiuta qualsiasi commento diretto e si limita a sottolineare: «Ho solo espresso il mio punto di vista. Non ho fatto polemiche con alcuno, né ho tirato per la giacca nessuno, né ho risposto ad alcuno. Ho svolto il mio intervento per ultimo, come era previsto». Ma quando il discorso si “allarga” alla situazione europea, i toni soft lasciano spazio al j’accuse. «Penso che ci siano tutte le condizioni - aggiunge Napolitano - perché si vada verso questo comune riconoscimento dei valori e dei principi della nostra Costituzione. Questo discorso non ha nulla a che

Il presidente, da Helsinki, ritorna sui temi che lo hanno opposto a La Russa

Napolitano attacca: «Non tutti si identificano nella Costituzione» di Guglielmo Malagodi

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Gran Bretagna: incontro Berlusconi-Brown Berlusconi e Brown hanno annunciato che Italia e Gran Bretagna lavoreranno insieme nel settore dell’energia nucleare, per le questioni energetiche e per la lotta ai cambiamenti climatici. «I tecnici italiani e britannici sono all’avanguardia in questo settore ha affermato Brown - con l’Italia coopereremo sul nucleare, alla ricerca di soluzioni tecniche per contrastare i cambiamenti climatici. » Il premier è intervenuto anche sulla Robin «Hood» Tax, definendola «un tributo evidentemente temporaneo», poichè il governo è stato costretto ad intervenire «nei confronti di società che profittavano e profittano del rialzo dei prezzi energetici per aprire quindi un fondo di aiuti per i cittadini più esposti all’aumento di prezzi», sia petroliferi che alimentari.

Georgia: ucciso poliziotto di Tblisi In un incidente avvenuto in un posto di controllo russo nell’Ossezia del sud, un poliziotto georgiano ha trovato la morte. Il poliziotto ucciso si trovava a circa un chilometro dal check-point russo di Karaleti presso una delle vie di comunicazione più importanti dell’Ossezia del sud, ha comunicato il ministero degli interni di Tblisi. Il militare sarebbe deceduto in ospedale. Secondo quanto dichiarato la televisione del piccolo Paese caucasico, Rustawi-2, le autorità russe hanno affermato di non aver sparato. È possibile che a colpire il georgiano siano state forze separatiste ossetine.

Ue: osservatori anche in Ossezia e Abkhazia Il presidente Giorgio Napolitano ad Helsinki ricevuto dal primo ministro finlandese Matti Vanhanen vedere con quello che riguarda le possibili, necessarie e concertate modifiche della seconda parte della Costituzione. Quindi ho considerato con grande favore il fatto che nelle scuole primarie fra gli insegnamenti si introduca la disciplina “Cittadinanza e Costituzione”». «Mi auguro - conclude l’inquilino del Quirinale - che sia l’inizio di uno sforzo maggiore della cultura, della politica, dell’informazione. Non so se nel celebrare il 60° anni-

sulla ricerca e la formazione» per risolvere i problemi della nostra economia. Vista la congiuntura internazionale nell’anno di grazia 2008 sembrerebbe impossibile, ma sono proprio le polemiche su fascismo e antifascismo a monopolizzare ancora una volta l’attenzione dei media, tanto da costringere il Quirinale a diffondere un comunicato con cui si precisa che «il titolo “Non tutti si riconoscono nella Costituzione” con cui alcune agenzie hanno sintetizzato le dichiarazioni rese dal presidente della Repubblica non corrisponde ai contenuti e ai termini delle risposte del capo dello Stato». Tanto rumore per nulla (o quasi nulla), insomma. Anche se qualcuno dovrebbe spiegarlo all’ex ministro e leader di Prc, Paolo Ferrero, che si dice «pienamente d’accordo» con Napolitano e ne approfitta per chiedere (di nuovo) le dimissioni di Ignazio La Russa. A leggere solo i titoli delle agenzie di stampa si rischia quasi sempre di fare brutta figura.

La frase, particolarmente dura, arriva dopo l’«incidente» di lunedì. Poi il Quirinale ha diffuso un comunicato per ammorbidire i toni dello scontro versario della Costituzione si sia fatto abbastanza per mantenere gli impegni. Prima di chiudere l’anno non dobbiamo ancora considerarci pienamente soddisfatti». Naturale che, dopo questa accelerazione finnica delle polemiche che hanno tenuto banco nei giorni scorsi, gli altri temi toccati da Napolitano nella conferenza stampa siano passati in secondo piano. Come la necessità di «puntare su fattori fondamentali come la debolezza della capacità di concentrarsi

Davanti alla commissione esteri dell’Unione europea i’incaricato per la politica estera di Bruxelles, Javier Solana, ha dichiarato che lo «spirito» della missione che gli osservatori europei si apprestano a svolgere in Georgia non deve avere limitazioni. Gli inviati della UE devono poter essere «stazionati ovunque», anche nei territori separatisti dell’Ossezia del Sud e Abkhazia. Durante il soggiorno a Mosca di Sarkozy, lunedì scorso, il luogo di posizionamento degli osservatori UE non era stato affrontato. Secondo Solana in alcuni punti le interpretazioni di Mosca e quelle dell’Unione divergono. Per bocca del suo ministro degli esteri, Lavrov, la Russia ha dichiarato che la questione dovrà essere affrontata con i «rappresentanti dei nuovi Stati»

Spagna: onorificenza per Betancourt Il premio Principe delle Asturie è stato conferito a Ingrid Betancourt. Nelle motivazioni dell’onorificenza si afferma che la donna, prigioniera per sei anni dei ribelli colombiani delle Farc, è diventata un simbolo mondiale della «libertà e la dignità della persona». La sua battaglia ha rappresentato un esempio di speranza e coraggio. Il premio consiste in un donazione di 50mila euro e una scultura dell’artista catalano Joan Mirò. L’anno scorso il riconoscimento era andato al museo dell’olocausto Jad Vaschem.

Svezia: aggiornata la dottrina militare La guerra del Caucaso ha spinto il ministro della Difesa di Stoccolma, Sten Tolgfors, a chiedere l’aggiornamento dell’analisi della sicurezza nazionale. Il «Dossier strategico 2010-2014» che doveva essere pronto entro dicembre di quest’anno, vedrà la luce solo a marzo del 2009, riferisce lo Svenska Dageblatt. Il ministro della Difesa confermando le anticipazioni del quotidiano, ha detto cha ai parametri della nuova strategia stanno lavorando i ministeri della Difesa e degli Esteri.


mondo

cammini di Unione europea e Russia si incrociano su un ennesimo fronte promettendo nuove scintille. Questa volta terreni di scontro non sono l’Ucraina, la Polonia o la Georgia. Ad alcuni mesi di distanza dall’indipendenza del Kosovo, che aveva provocato un duro scontro diplomatico, si sono riaperti i grandi giochi sul delicato scacchiere dei Balcani. Il Parlamento della Serbia ha infatti approvato due accordi che sembrano poter mettere Belgrado in condizione di giocare allo stesso tempo su entrambi i tavoli. Da una parte è stato ratificato l’accordo di preadesione all’Unione europea sottoscritto dall’allora governo serbo nello scorso aprile. Dall’altra è stato approvato anche l’accordo energetico con il Cremlino grazie al quale il monopolista russo Gazprom costruirà un gasdotto nel sud della Serbia e un deposito sotterraneo nella provincia settentrionale di Vojvodina. Inoltre Gazprom acquisterà il pacchetto di maggioranza dell’azienda petrolifera serba Nis in cambio di 400 milioni di euro sull’unghia e della promessa di ulteriori investimenti del valore minimo di 500 milioni.

I

Pur ricordando che l’accordo di preadesione serba dovrà essere sottoposto alla ratifica da parte dei Parlamenti di tutti i 27 Stati membri della Ue, la Commissione europea ha mostrato grande soddisfazione «incoraggiando con tutti i mezzi la Serbia a compiere i passi necessari che la avvicineranno alla Ue». Inoltre, attraverso l’ufficio

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Dopo la crisi georgiana, la Serbia ratifica l’adesione Ue

Lo scontro con Mosca passa da Belgrado di Raffaele Cazzola Hofmann del commissario per l’Allargamento, Olli Rehn, ha affermato di essere favorevole, dopo l’arresto di Radovan Karadzic, «a un’apertura degli aspetti commerciali relativi all’accordo». Detto in altri termini: in Europa sono ancora molte le diffidenze politiche nei confronti della Serbia. È infatti vero che l’arresto di Karadzic è stato una svolta epocale e che prima ancora le elezioni serbe dell’11 maggio avevano fugato il timore di una deriva anti-europea di Belgrado dopo l’indipendenza del Kosovo grazie alla riconferma alla presidenza del filo-occidentale Boris Tadic, che pochi giorni fa ha ribadito l’obiettivo della piena adesione alla Ue. Così come è vero che i nazionalisti serbi, dopo avere sfiorato il colpaccio elettorale in maggio, si sono spaccati fino alle dimissioni da loro leader di Tomislav Nikolic, ex candidato presidente che aveva tentato invano di far votare i suoi deputati a favore dell’accordo di preadesione. Ma lo è altrettanto che l’integrazione politica della Serbia nella Ue rappresenta ancora un traguardo di lunghissimo pe-

riodo. Proprio per questo la Commissione europea sembra intanto voler premere sul pedale dell’acceleratore a livello economico e commerciale.

Ma l’influenza nelle vicende commerciali serbe da parte del Cremlino e dell’onnipresente Gazprom - che già prima dell’accordo ratificato ieri dal Parlamento serbo aveva una forte presenza nel mercato energetico locale grazie al controllo del 50 per cento dei pacchetti azionari di JugoRosGaz e di Progress Gas - rimane fortissima. Ed è il più pericoloso ostacolo per le ambizioni della Ue. L’acquisizione della Nis da parte di Gazprom mette una nuova ipoteca da parte russa sull’autonomia energetica dell’Unione europea. Mosca ha il già il pieno controllo delle forniture di gas che arrivano in Occidente attraverso l’Ucraina e il Caucaso. Inoltre ha in mano sia il cantiere per la costruzione dei gasdotti offshore che collegano la Russia e la Germania attraverso il Mar Baltico, sia (con l’Eni) il cantiere della condotta che

L’Unione europea cerca di fare della Serbia il pilastro di una crescente presenza strategica nei Balcani. La Russia, forte del suo dominio energetico, non gradisce l’idea porterà risorse energetiche nel Mediterraneo attraverso la Turchia. Da ieri tutto lascia immaginare che pure la rotta balcanica sarà appannaggio del monopolista russo. Passato lo scontro dei mesi scorsi sul Kosovo che per alcune settimane aveva riacceso i riflettori sui Balcani, finora la vera partita tra Europa e Cremlino si è sempre giocata in un altro scacchiere. Cioè a cavallo dei confini tra la Russia, tra i vecchi Paesi satellite dell’Urss nel frattempo divenuti membri della Ue e della Nato e tra le Repubbliche ex sovietiche (Ucraina, Georgia e Moldova) che invece aspirano alla piena integrazione con l’Occidente per uscire dall’ingombrante cono d’ombra di Mosca. Ma ora – mentre il fronte principale resta

comunque caldissimo: ieri il comandante delle forze missilistiche russe ha annunciato l’operatività entro l’anno di 65 nuovi missili Topol e affermato candidamente di non escludere che «una parte dei nostri missili strategici avrà come bersagli le strutture dello scudo spaziale Usa in Polonia e Repubblica Ceca» - sembra avvicinarsi a grandi passi il momento in cui toccherà all’economia causare un nuovo confronto globale tra Ue e Russia nei Balcani.

I ruoli sembrano già definiti: gli europei puntano a fare della Serbia, oggi ben lontana dall’essere almeno tra i primi venti partner commerciali della Ue, il pilastro di una crescente presenza strategica nei Balcani; invece i russi, forti del loro dominio energetico, puntano proprio su Belgrado per contrastare i piani della Ue. Ma gli esiti appaiono molto incerti.


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segue dalla prima

SEBBENE HUNTINGTON ed altri ne attribuissero la colpa al fatto che l’Amministrazione Clinton si vantasse costantemente della «potenza americana e della virtù americana», non erano stati i clintoniani ad inventare il moralismo americano. L’origine del problema andava ricercata nel cambiamento geopolitico che era seguito al crollo dell’Unione sovietica ed ai sottili effetti psicologici che questo cambiamento ebbe sul modo in cui gli Stati Uniti e le altre potenze percepivano se stesse ed i loro reciproci rapporti. Alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, si parlava già di una crisi delle relazioni transatlantiche e, nonostante i reciproci scambi di accuse, la causa fondamentale era semplice da individuare: gli alleati non avevano più bisogno gli uni degli altri come in passato. La spinta a cooperare durante la Guerra Fredda era per un quarto dovuta ad una sorta di illuminata virtù e per i

11 settembre Sette anni dopo l’attacco alle due Torri: il più famoso politologo contemporaneo spiega come sono cambiati gli Usa e il mondo ne di istituzioni internazionali. In molti Paesi del mondo, ma in particolar modo in Europa, un nuovo dibattito internazionale in tema di “governo globale” soppiantò i vecchi timori dell’epoca della Guerra Fredda. Le preoccupazioni relative ai cambiamenti climatici portarono all’elaborazione del Protocollo di Kyoto. Una nuova Corte Penale Internazionale era in fase di gestazione. In molti operarono a favore della ratifica internazionale del Trattato sulla messa al bando degli esperimenti nucleari, di un rafforzamento del regime di non-proliferazione nucleare e della redazione di un nuovo trattato per la messa al bando delle mine anti-uomo. Il primo Ministro

La “War on terror” è stato il maggior successo di Bush. Nessun osservatore nel 2001 avrebbe immaginato che sarebbe passato tanto tempo senza un nuovo attacco in territorio Usa

restanti tre quarti ad una fredda necessità. La dipendenza reciproca, e non certo l’affetto reciproco, erano state il fondamento dell’alleanza. Quando venne meno la minaccia sovietica, le due parti furono libere di andarsene ognuna per conto proprio. Ed in un certo qual modo esse lo fecero. Liberata dalla minaccia dell’Unione Sovietica, l’Europa si concentrò con tutte le sue forze nella difficile opera di reiventarsi. Negli

britannico Tony Blair parlava di una «dottrina della comunità internazionale» nella quale gli interessi comuni della comunità internazionale avevano la meglio sui singoli interessi delle nazioni. Negli Stati Uniti, il dibattito rimase di natura più tradizionale. I funzionari dell’amministrazione Clinton condividevano la prospettiva europea, ma ritenevano altresì che gli Usa avessero un ruolo speciale da svolgere quali garante della sicurezza internazionale – il lea-

be avallato il Trattato sulle mine anti-uomo o il Tribunale Penale Internazionale senza salvaguardie per garantire il ruolo speciale degli Stati Uniti a livello mondiale. Ammoniva sul fatto che esistessero ancora “predatori” internazionali, terroristi e “nazioni fuorilegge”alla ricerca di “arsenali di armi nucleari, chimiche e biologiche nonché dei missili necessari ad utilizzarle”. Neppure i funzionari dell’Amministrazione Clinton riuscivano a nascondere la loro insofferenza nei confronti di ciò che consideravano una mancanza di serietà da parte dell’Europa in relazione a questi pericoli, in special modo l’Iraq. Come ebbe a dire l’allora Segretario di Stato Madeleine Albright, «se dobbiamo usare la forza è perché siamo l’America. Vediamo oltre, guardiamo al futuro».

L’Europa guarda altrove La fine della Guerra Fredda dette a tutti la possibilità di guardarsi con una prospettiva nuova ed agli europei, in particolare, non piacque ciò che videro. La società americana appariva loro grossolana e brutale – proprio come era apparsa ai loro predecessori del XIX secolo.Védrine chiedeva all’Europa di opporsi all’egemonia degli Stati Uniti, in parte come forma di difesa contro il diffondersi dell’americanismo. Dichiarò: «Non possiamo accettare un mondo politicamente unipolare e stiamo lottando per uno multipolare». Alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, i tempi del

Il fattore Amer Ame di Robert Kagan anni Novanta, la Ue definì un nuovo corso dell’evoluzione umana, dimostrando che le nazioni possono mettere in comune le loro sovranità e sostituire il potere della politica con il diritto internazionale. Ciò ha contribuito ad alimentare un’era caratterizzata dalla codificazione di norme e dalla creazio-

der “indispensabile” della comunità internazionale – secondo modalità tradizionali, orientate al potere e stato-centriche. Di fronte alle crisi a Taiwan o in Iraq e in Sudan, inviavano portaerei e lanciavano missili, spesso in modo unilaterale. Persino Bill Clinton non avreb-

multipolarismo sembravano maturi. Anche le relazioni degli Stati Uniti con la Cina e la Russia si stavano inasprendo. Per lungo tempo i cinesi si erano lamentati delle ambizioni “superegemoniche degli Stati Uniti”e Pechino legittimamente riteneva Washington ostile nei con-

fronti del crescente potere della Cina. Il nazionalismo anti-americano esplose dopo il bombardamento accidentale dell’ambasciata cinese a Belgrado nel 1999 da parte di piloti statunitensi durante la guerra in Kosovo, che sia i cinesi che i russi ritenevano illegale. Il Ministro

degli esteri russo, Igor Ivanov, definì quella guerra la peggiore aggressione verificatasi in Europa dalla Seconda guerra mondiale. A questo sentimento russo non contribuiva di certo il fatto che il 1999 fu anche l’anno in cui la Repubblica ceca, l’Ungheria e la Polonia entraro-


11 settembre la Cecenia ed in meno di un anno passò a guidare la Russia con una politica più nazionalistica e meno democratica.

Il realismo di Bush

Tre mesi dopo gli attacchi, la bandiera americana sventola alle spalle della Statua della Libertà in occasione della sua riapertura

erica no a far parte della Nato. Stavano finendo i giorni di una Russia quiescente, desiderosa di integrarsi nell’Occidente liberale, alle condizioni dell’Occidente stesso. Nell’agosto del 1999 il presidente russo Boris Yeltsin nominò primo ministro Vladimir Putin che, a settembre, invase

George W. Bush salì al potere in questo mondo sempre più diviso. Anche prima di essere eletto, i vignettisti lo ritraevano come un cowboy texano con la rivoltella a sei colpi ed il laccio. Il politico francese Jack Lang lo definì «assassino seriale». Il 7 gennaio 2001 Martin Kettle del Guardian scrisse sul Washington Post che «la crescente insofferenza del mondo» nei confronti degli Stati Uniti risaliva a ben prima di Bush, ma che la sua elezione rappresentò il «miglior sergente reclutatore che il nuovo anti-americanismo avesse mai potuto sperare». Ironia della sorte – una delle tante – fu che Bush salì al potere con la speranza di ridurre le pretese degli Stati Uniti a livello mondiale. In politica estera il realismo era di moda. Durante i dibattiti elettorali per le presidenziali, quando veniva chiesto quali principi avrebbero dovuto ispirare e guidare la politica estera degli Stati Uniti, il candidato democratico, Al Gore, affermava che si trattava di una «questione di valori», mentre Bush affermava che si trattava di capire «cosa fosse nel supremo interesse degli Stati Uniti». Gore dichiarava che gli Stati Uniti, il «leader naturale» a livello mondiale, dovevano avere la «consapevolezza di dover svolgere una missione» e fornire agli altri popoli «una sorta di modello che li avrebbe aiutati ad essere più simili a noi». Bush affermava che gli Stati Uniti non sarebbero dovuti «andare in giro per il mondo dando lezioni su come comportarsi necessariamente in ogni situazione» e che questo era «un modo per non farci più considerare, una volta per tutte, gli americani cattivi». Ma neppure il realismo dell’amministrazione Bush si rivelò in grado di guadagnarsi consensi ed alleati a livello mondiale. I funzionari dell’Amministrazione Bush avevano sprezzo per il dibattito internazionale degli anni Novanta. Nei primi nove mesi, l’Amministrazione si ritirò dal negoziato di Kyoto, dichiarò la propria opposizione nei confronti della Corte Penale Internazionale e del Trattato sulla messa al bando degli esperimenti nucleari ed iniziò a ritirarsi dal Trattato sui Missili anti-balistici. Alcuni di questi trattati erano già morti e sepolti all’epoca di Clinton, ma mentre quest’ultimo aveva cercato di placare la rabbia a livello internazionale tenendo viva la speranza che gli Stati Uniti avrebbero potuto in fondo ratificarli in futuro, Bush vi si opponeva in via di principio. Come negli anni

Venti del secolo scorso, i Repubblicani temevano quegli accordi che avrebbero potuto ridurre la sovranità americana. E Condoleezza Rice, allora consigliere di Bush in materia di politica estera, disse che la politica estera degli Stati Uniti doveva essere radicata nel «solido terreno degli interessi nazionali» e non negli «interessi di un’illusoria comunità internazionale». Alla base della nuova impostazione vi era un calcolo realistico: nel nuovo mondo post Guerra Fredda, gli interessi e gli obblighi degli Usa si erano ridotti. Si rendeva necessaria una politica estera più circoscritta e basata sugli interessi nazionali. La maggior parte dei funzionari dell’Amministrazione concordavano con la critica del politologo Michael Mandelbaum, secondo la quale l’Amministrazione Clinton si era impegnata in una sorta di “opera sociale” internazionale nei Balcani e ad Haiti, dove

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ro stati affrontati non con gli eserciti, bensì con i missili di precisione. L’unica minaccia immediata – proveniente dagli Stati canaglia muniti di missili a lungo raggio – avrebbe potuto essere affrontata unilateralmente tramite la difesa missilistica. Era il momento di una “pausa strategica”, durante la quale gli Stati Uniti avrebbero potuto alleggerire il peso dei loro oneri a livello mondiale e prepararsi ad affrontare le minacce che avrebbero potuto emergere di lì ai

In un mondo egoista si guarda sempre al proprio tornaconto. L’errore della Casa Bianca è stato quello di non aver capito che ben pochi Paesi ritenevano il terrorismo la sfida principale da raccogliere

non erano in gioco interessi nazionali vitali. Rispondendo alla domanda se avrebbe inviato truppe in Rwanda, il candidato Bush affermò che gli Stati Uniti non avrebbero dovuto «inviare truppe per fermare la pulizia etnica ed il genocidio in Paesi al di fuori della portata dei nostri interessi strategici». Una volta saliti al potere, i realisti dell’amministrazione Bush – dal vicepresidente Dick Cheney a Condoleeza Rice, dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld al segretario di Stato Colin Powell – erano tutti concordi nel ritenere che gli interventi umanitari e quelli di creazione, ricostruzione e consolidamento delle nazioni andassero evitati.

Lo sceriffo riluttante La strategia era quella di trasformare gli Stati Uniti in qualcosa di simile ad un fattore di equilibrio d’oltremare, un salvatore di ultima istanza, o, per dirla con le parole di Richard Haass, uno «sceriffo riluttante». Durante la campagna del Duemila, la Rice parlò di una «nuova divisione del lavoro», nella quale le potenze locali avrebbero dovuto mantenere la pace a livello regionale, mentre gli Stati Uniti avrebbero fornito sostegno logistico ed informativo, ma non truppe di terra. Richard Perle invocava una nuova posizione militare nelle quale le forze di terra americane sarebbero state dimezzate. I problemi mondiali sarebbe-

prossimi venti o trenta anni. Secondo il parere dei realisti, un mondo nel quale gli interessi nazionali americani non fossero gravemente minacciati, era un mondo nel quale il potere e l’influenza degli Stati Uniti avrebbero dovuto ridursi. Per dirla in altri termini, gli Stati Uniti non erano più impegnati ad essere leader mondiale, per lo meno non come lo erano stati durante la Guerra Fredda. Nel 1990, a seguito della sconfitta del comunismo e dell’impero sovietico, Jeane Kirkpatrick sosteneva che gli Usa avrebbero dovuto cessare di accollarsi il peso di quegli «insoliti fardelli» che la leadership comporta e, «con il ritorno alla normalità tornare ad essere un paese normale». Come scrisse John Bolton in un suo saggio del 1997, era giunto il momento «di riconoscere che la nostra maggiore sfida ce la eravamo ormai lasciata alle spalle». Ormai il mondo era in grado di badare a se stesso e lo stesso valeva per gli Stati Uniti. Questa fu essenzialmente la politica che Bush adottò nei primi nove mesi del suo mandato ed il resto del mondo comprese rapidamente il messaggio.

Siamo tutti americani, ma... Era questo il sentimento prevalente all’epoca in cui vi fu l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001. Naturalmente gli attentati portarono ad una modifica della politica estera del-

l’Amministrazione Bush, ma non si trattò di una vera rivoluzione dottrinale. L’amministrazione non abbandonò la sua impostazione basata sugli interessi nazionali. Il fatto era che la tutela d’interessi definiti in modo ancor più restrittivo – quali la difesa della madrepatria – richiesero all’improvviso una strategia più espansionistica ed aggressiva a livello mondiale. La “pausa strategica” era terminata e gli Stati Uniti si lanciavano di nuovo in un’estesa operazione di coinvolgimento a livello mondiale in quella che divenne nota come “guerra al terrorismo”. Ciò significava che gli Stati Uniti erano tornati ad impegnarsi in un’attività di leadership mondiale? L’amministrazione Bush ritenne di sì. Tuttavia, nel mondo successivo alla fine della Guerra Fredda ed all’attacco dell’11 settembre, gravi ostacoli si frapponevano sulla via del ritorno al vecchio stile di leadership dell’epoca della Guerra Fredda. Uno di questi era il comprensibile ripiegamento su se stessi degli americani e dei loro leader a seguito dell’11 settembre. Le prime avvisaglie del fatto che non si sarebbe facilmente ricreata la vecchia solidarietà nei confronti degli Stata Uniti vennero dall’Afghanistan. L’invasione dell’ Afghanistan – a differenza della Guerra in Kosovo e della prima Guerra del Golfo – aveva come primo obiettivo la sicurezza degli Stati Uniti e non la creazione di un nuovo ordine mondiale. A differenza della guerra del Golfo nel 1991, quando George Bush cercò in tutti i modi di chiamare a raccolta la comunità internazionale, nella guerra in Afghanistan, la seconda Amministrazione Bush, con molte delle sue figure di spicco ancora in posizioni di rilievo, si preoccupò di eliminare le basi di al Qaeda e di rovesciare il regime dei talebani. Ciò significò agire rapidamente e senza quei problemi di gestione dell’alleanza che avevano assillato il generale Wesley Clark in Kosovo. Questo approccio più restrittivo non sorprende affatto, considerato il panico e la rabbia degli Stati Uniti. Ma non sorprende neppure il fatto che il resto del mondo non considerasse gli Usa un leader mondiale alla ricerca del bene a livello planetario, bensì un furioso Leviatano concentrato a distruggere coloro che li avevano attaccati. Il mondo dimostrava meno comprensione e sostegno per questa iniziativa. E questo fu il secondo ostacolo che si frappose sulla via del ritorno al vecchio stile di leadership americana nel mondo: il resto del mondo, ivi compresi i più stretti alleati degli Usa, era anch’esso ripiegato e concentrato su se stesso.


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anuel Lezertua, direttore del Consiglio giuridico e di diritto internazionale pubblico del Consiglio d’Europa a Strasburgo, è oggi uno dei più vicini consiglieri del suo segretario generale, Terry Davis. Considerato uno dei maggiori esperti di lotta al terrorismo, ha tracciato un bilancio di questi ultimi sette anni post 11 settembre 2001. Direttore Lezertua, si parla molto di un nuovo corso delle relazioni internazionali dopo l’attacco alle Torri gemelle. Il mondo è davvero cambiato da allora? E quanto? Personalmente credo che sì, il mondo delle relazioni internazionali sia cambiato, in particolar modo è cambiata la gestione della propria politica estera da parte degli Stati Uniti in contemporanea all’ascesa ed al rafforzamento della Russia. I precedenti governi americani lavoravano soprattutto all’interno dei fori internazionali e ne accettavano le regole del gioco. Dopo l’11 settembre gli Stati Uniti hanno cominciato ad agire da soli e hanno ritenuto di poter agire in maniera unilaterale senza essere vincolati alle decisioni della comunità internazionale. In questo modo hanno rotto il dialogo privilegiato instaurato con

11 settembre

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segue da pagina 13 Non si trattava di una fuga dalla realtà del dopo 11 settembre. Ciò che era accaduto agli Stati Uniti era accaduto soltanto a loro. In Europa e nella maggior parte degli altri Paesi del mondo, la gente reagì con orrore, dolore e comprensione. Ma gli americani attribuirono a queste manifestazioni di solidarietà un significato molto maggiore rispetto al loro effettivo significato. La maggior parte degli americani, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, ritennero che il mondo condividesse non soltanto la loro sofferenza ed il loro dolore, ma anche i loro timori, le loro ansie e paure nei confronti della minaccia terroristica e ritennero altresì che il mondo si sarebbe unito ad essi in una risposta comune. Alcuni osservatori americani ancora si aggrappano a questa illusione. Ma, in realtà, il resto del mondo non condivide-

Per Lezertua, esperto di lotta al terrorismo della Ue, tutto è cambiato. A favore di Putin

L’Europa ha più paura della Russia che dei militanti di al Qaeda colloquio con Manuel Lezertua di Benedetta Buttiglione Salazar l’Europa. Dal 2001 in poi gli Usa preferiscono cercare l’appoggio individuale dei vari Paesi europei piuttosto che un appoggio collettivo. Stabiliscono allora una serie di dialo-

ghi bilaterali ed abbandonano la ricerca del consenso all’interno delle Nazioni Unite. Cercano anche di approfittare delle divisioni interne all’Unione Europea.

Sta dicendo che gli Stati Uniti non vedono di buon occhio una forte integrazione europea? Sì, io credo che a questa Amministrazione, come anche alla

precedente, non convenga un’Europa forte ed unita e non l’ha voluta. Non è sempre stato così, perché finora anche le altre Amministrazioni repubblicane avevano visto di buon occhio la creazione di un terzo polo di potere. Bush invece ha

va né i timori americani né la loro urgenza nel reagire. Gli europei provarono solidarietà nei confronti della superpotenza americana all’epoca della Guerra Fredda, quando l’Europa stessa era minacciata e gli Stati Uniti garantivano sicurezza. Ma con la fine della Guerra Fredda, ed anche dopo l’11 settembre, gli europei si sentivano relativamente sicuri. Soltanto gli americani erano spaventati.

l’America aveva dovuto affrontare», dall’altro, un numero altrettanto vasto di essi (il 70% degli intervistati nel mondo ed il 66% nell’Europa occidentale) riteneva che fosse «un bene per gli americani sapere cosa vuol dire essere vulnerabili». Molti leader d’opinione in tutto il mondo, ivi compresa l’Europa, affermarono di ritenere che «le politiche e le azioni americane nel mondo» fossero state una delle «cause principali» degli attacchi terroristici e che, in un certo senso, quelle azioni si erano loro ritorte contro. Molti ritenevano altresì che gli Stati Uniti stessero intraprendendo la lotta contro il terrorismo esclusivamente nel loro interesse. Nell’Europa occidentale, il 66% dei leader d’opinione intervistati affermava di ritenere che gli Stati Uniti stessero pensando solo a se stessi. Ciò non sorprendeva affatto considerato che l’Amministrazione Bush stava facendo ben poco per

convincere gli alleati del contrario o trasformare la lotta in Afghanistan in una lotta per l’ordine internazionale. Tuttavia gli americani non si percepivano affatto come egoisti ed interessati soltanto a se stessi. Un buon 70% dei leader d’opinione Usa affermava che gli Stati Uniti stessero agendo anche nell’interesse dei loro alleati. Questa discrasia delle relative percezioni metteva in luce uno dei problemi fondamentali del paradigma della “guerra al terrorismo”. Gli americani, ritornati improvvisamente a svolgere un’opera di vasto coinvolgimento a livello mondiale, pensavano di essere tornati anche a svolgere il ruolo di leader mondiale. La maggior parte dei Paesi nel mondo non condivideva questa convinzione. Giudicata di per sé, la guerra al terrorismo è stata di gran lunga il maggior successo di Bush. Dopo l’11 settembre nessun serio osservatore avrebbe imma-

ginato che sarebbero trascorsi sette anni senza che si verificasse un ulteriore attacco terroristico sul suolo americano. Solo una nuda e cruda partigianeria ed un giustificabile timore di sfidare troppo la sorte hanno impedito all’Amministrazione Bush di attribuirsi il merito di ciò che sette anni fa la maggior parte di noi avrebbe considerato quasi un miracolo. Inoltre, molti dei successi dell’Amministrazione Bush sono stati resi possibili da una vasta cooperazione internazionale, in special modo con le potenze europee nei settori dello scambio di informazioni, delle attività di polizia e della sicurezza interna. Indipendentemente da eventuali insuccessi dell’Amministrazione Bush, va rilevato che essa è riuscita a proteggere gli americani da un ulteriore attacco in patria. La prossima Amministrazione potrà ritenersi fortunata se potrà dire altrettanto – e sarà perdente nel confronto con l’ammini-

Una guerra non condivisa Quando lo shock e l’orrore vennero meno, apparve chiaro che l’attentato terroristico dell’11 settembre non aveva modificato il fondamentale atteggiamento del mondo nei confronti degli Stati Uniti. I risentimenti restavano. Un sondaggio del Pew Research Center effettuato nel dicembre 2001 su un campione di leader d’opinione rivelò che se, da un lato, la maggior parte di essi «si doleva della triste esperienza che


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preferito la vecchia Europa alla nuova, puntando sulle divergenze all’interno dell’Unione Europea. Credo che questo abbia a che vedere anche con la posizione che gli Usa hanno assunto nei confronti della lotta contro il terrorismo. Dopo l’11 settembre il terrorismo è cambiato? Sì, è mutata la percezione del terrorismo soprattutto da parte degli americani. Considerato prima un fenomeno locale di Paesi isolati che avevano problemi interni e non erano capaci di risolverli. Dopo l’11 settembre il terrorismo è diventato un problema globale, interessa la comunità internazionale e quindi la volontà di cooperazione da parte di tutti i

Paesi è di gran lunga maggiore. Il fatto che il mondo e gli Stati Uniti fossero occupati negli ultimi anni a combattere il terrorismo crede che abbia favorito l’ascesa della Russia? Non so se questo abbia favorito la Russia, mi sembra piuttosto che gli Stati Uniti continuino ad applicare alla loro relazione con la Russia gli stessi schemi mentali della Guerra fredda. Negli ultimi anni gli Usa hanno sviluppato una maniera di pensare in diplomazia, nel commercio, nella politica e nell’esercito che risponde di più ad una logica di scontro e non l’hanno ancora cambiata, forse per pigrizia intellettuale. Nel frattempo la

strazione Bush nel caso in cui non possa farlo. Il problema insito nel paradigma della “guerra al terrorismo” non è il fatto che essa abbia fallito nel suo principale obiettivo di vitale importanza. Il problema è che il paradigma sul quale basare tutta la politica estera degli Stati Uniti era e rimane insufficiente. In un mondo di Stati e di popoli egoisti – qual è il mondo attuale – la domanda che ci si pone sempre è: «Cosa ce ne viene in tasca»? L’inadeguatezza del paradigma della “guerra al terrorismo”deriva dal fatto che ben pochi Paesi a parte gli Stati Uniti ritengono che il terrorismo sia la sfida principale che essi debbano raccogliere. La battaglia Usa non è stata considerata una battaglia per il “bene pubblico” internazionale della quale il mondo possa essere loro grato. Al contrario, la maggior parte dei Paesi ritiene di fare un favore agli americani quando invia truppe in Afghani-

stan (o in Iraq) e spesso hanno l’idea di star sacrificando i loro stessi interessi.

Russia ha saputo sfruttare pienamente le opportunità offerte dallo sviluppo della sua società, che negli ultimi anni è stato notevole. Certo, continua ad avere problemi per quanto

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riguarda il rispetto dei diritti umani, ma non sono ormai della stessa ampiezza di prima. Occorre quindi rendersi conto che la Russia è cambiata, non le si possono più applicare gli schemi mentali della guerra fredda e considerarla sempre come l’antico nemico, cercare di toglierle potere ed influenza. Continuare ad accusarla ed ad insultarla non potrà dare un buon risultato. La Russia continua ad essere una super-potenza ed io credo che gli Stati Uniti non abbiano saputo adattare la loro politica alle trasformazioni avvenute in questo grande Paese. L’Europa ci sta provando e sta cercando formule di avvicinamento e di cooperazione anche importanti, gli Stati Uniti danno invece l’impressione di

Nessun Paese europeo - e questo vale anche per le nazioni anticamente nell’orbita sovietica come la Polonia - è disposto oggi a reagire di fronte a Mosca. La logica dello scontro non interessa più nessuno

Il paradigma del 12 settembre Ovviamente tutti i paradigmi di politica estera hanno le loro pecche. Anche il paradigma del contenimento in funzione anti-comunista era inadeguato in quanto dal 1947 al 1989 stava accadendo molto di più nel mondo che non la sola lotta fra il comunismo ed il capitalismo democratico. Certo l’anti-comunismo tendeva ad attirare la lealtà degli altri Paesi nei confronti degli Stati Uniti ed a persuaderli ad accettare la leadership americana. Ciò era più importante dell’immagine stessa degli Stati Uniti, che non era sempre specchiata, pura ed incorrotta. Se la guerra del Vietnam non provocò nelle alleanze Usa quelle stesse spaccature provocate dalla guerra in Iraq, la ragione non sta nel fatto che l’America di Lyndon Johnson e di Richard Nixon fos-

sero più amate dell’America di Bush. Il motivo è che gli Stati Uniti stavano allora fornendo qualcosa di cui gli altri popoli ritenevano di aver bisogno – in primo luogo protezione dall’Unione sovietica – e che non fece loro prestare attenzione alle azioni americane in Vietnam e ad una cultura americana che, nello spazio di soli sette anni, riuscì a produrre l’assassinio di Martin Luther King Jr. e di Robert Kennedy, le rivolte di Watts, le sparatorie della Kent State ed il Watergate. La guerra al terrorismo non ha mai attirato quello stesso tipo di lealtà internazionale. La Cina e la Russia la hanno accolta con favore in quanto distoglieva da esse l’interesse strategico degli Stati Uniti – e poichè entrambe avevano compreso l’utilità di

una guerra al terrorismo che per Mosca ha significato una guerra contro i ceceni e per Pechino una guerra contro gli uighuri. Ma per la maggior parte dei tradizionali alleati degli Stati Uniti, essa è stata, nella migliore delle ipotesi, un’indesiderata distrazione dalle questioni alle quali tengono maggiormente. In Europa, si è rivelata essere ben più di una semplice distrazione. Gli americani ritengono che gli europei condividano le loro preoccupazioni in materia di Islam radicale. Ma le preoccupazioni europee sono di diversa natura. Per gli americani, il problema sta principalmente “laggiù”, in quelle terre lontane da dove i terroristi islamici radicali possono sferrare i loro attacchi e pertanto la soluzione è anche ”laggiù”. Per gli europei,

preferire continuare a vederlo come nemico pericoloso. Nei recenti avvenimenti in Georgia l’Europa ha cercato di mostrarsi unita e di parlare all’unisono. Questa unità è vera o solo apparente? L’Europa ha paura di Putin? Sì. Gli interessi europei in Russia sono enormi, non solamente quelli legati al settore energetico, ma penso a tutti gli investimenti italiani, spagnoli, tedeschi. In un certo senso l’Europa è più vicina alla Russia oggi di quanto non lo fosse prima e sí, penso che l’impressione di unità che l’Europa vuole dare sia dettata dagli interessi, dalla paura e dalla mancanza di un’alternativa. Nessun Paese europeo - e questo vale anche per le nazioni anticamente nell’orbita sovietica come la Polonia - è disposto oggi a reagire di fronte alla Russia.Vorrebbe dire tornare ad una logica di scontro che non interessa più nessuno. In questo senso Sarkozy è riuscito a captare questo sentimento collettivo di desiderio di soluzioni costruttive e sta rappresentando la collettività dei Paesi europei in modo molto intelligente direi, comprendendo molto bene quello che è accaduto e che sta avvenendo adesso in Russia.

il radicalismo islamico è innanzitutto una questione nazionale, per capire se ed in che modo i musulmani possano essere integrati ed assimilati nella società europea del XXI secolo. Agli occhi degli europei, le azioni americane possono soltanto infiammare ulteriormente i problemi dell’Europa. Quando gli Usa vanno a stuzzicare un nido di vespe, suscitando un vespaio, tutto ciò si ripercuote sull’ Europa, o per lo meno questo è ciò che gli europei temono. Per dirla in breve, la guerra al terrorismo è stata più fonte di divisione che di unità. Gli Stati Uniti, che negli anni Novanta erano già considerati da molti una potenza egemonica prepotente ed arrogante, dopo l’11 settembre sono stati considerati allo stesso modo, ma concentrati su stessi e privi di attenzione verso le conseguenze delle proprie azioni. La seconda e ultima parte del saggio verrà pubblicata domani


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speciale educazione

Socrate

Il nodo scuola tra le contestazioni dei sindacati e l’aumento del costo dei testi. Il commento dell’editorialista di Repubblica Mario Pirani

LE PAGINE PIÙ CARE DELLA NOSTRA VITA

«Più che il prezzo dei libri o il grembiule, conta l’avvenire dei nostri ragazzi»

colloquio con Mario Pirani di Antonella Folgheretti pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico, il brusco aumento dei prezzi dei libri di testo ha infiammato il dibattito intorno al sistema scolastico, mentre, di pari passo, è salita la mobilitazione di sindacati, associazioni, insegnanti e studenti per i tagli nella scuola. Il problema è incontestabile: le associazioni dei consumatori denunciano un nuovo caro-libri, i movimentisti alzano il vessillo di una presunta difesa della qualità della scuola pubblica. Addirittura il direttore generale di Confindustria Maurizio Beretta ha proposto di inserire pubblicità nei libri di testo, facendo montare su tutte le furie le associazioni dei genitori. Ma c’è chi lancia l’idea di chiedere spiegazioni nei consigli d’istituto a proposito delle adozioni troppo care e non rispettose delle tabelle ministeriali, di ricorrere all’usato, o di acquistare solo i libri considerati indispensabili fin dall’inizio. Sulla spinosa questione abbiamo raccolto l’opinione di una delle più grandi firme del giornalismo italiano, Mario Pirani, editorialista di Repubblica.

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Il caro-libri è solo l’ultimo capitolo di un profondo stato di malessere del nostro sistema educativo. Sta nascendo una scuola per ricchi, come dicono alcuni, o è ancora aperta a tutti, come recita l’articolo 34 della Costituzione? L’articolo 34 dispone che i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i più alti gradi dell’istruzione. A questo proposito credo che fin dal suo proemio l’azione del ministro Gelmini rassicuri piuttosto che preoccupare. Fra l’altro, credo che il malessere che vive la scuola duri da almeno trent’anni. Non c’è anno scolastico che non si sia aperto con polemiche, alcune direi reali, altre per cause pretestuose, altre ancora per nulla, come celebrazioni liturgiche ricorrenti. Molto rumore per nulla, quindi? Una delle cause del caro-libri sta certamente nel fatto che i libri di testo vengono continuamente ritoccati, con un guadagno effettivo dell’autore e dell’editore. Ma questo, naturalmente, non deve far di-

menticare il vero problema: lo stato disastroso in cui si trova la scuola italiana. Le riforme che si sono succedute negli anni hanno introdotto idiozie ed eccessi che hanno condotto ad una degenerazione del “sistema scuola”. Forma di direttive, norme burocratiche, imposizioni didattiche, dissennatezze che si sono venute accumulando sotto la denominazione di «riforme». Per tornare ai libri, il Codacons è stato diffidato dal procedere con la sua iniziativa “Libri gratis”. La legge, sostengono gli editori, è dalla loro parte. La legge è legge: penso che gli editori abbiano ragione. C’è una legge che regolamenta la proprietà intellettuale. Il mancato rispetto del diritto d’autore è e resta un reato. Che ne pensa della proposta del governo, di lasciare inalterati i testi dei libri scolastici per almeno cinque anni? Si tratterebbe di un provvedimento molto opportuno, che il ministro Gelmini ha fatto proprio. Guardo con favore allo sperimentalismo pratico del ministro.

Si riferisce a qualcosa in particolare? Certamente. Ho idea che ridare importanza al voto in condotta possa disincentivare le frange bulliste e recuperare il buon senso pedagogico. La condotta rappresenta un recupero di valori essenziali dell’insegnamento scolastico, e può spingere i giovani verso un maggiore impegno e un grado di cultura ben più solida per l’avvenire. Mi pare invece che ci sia stata una drammatizzazione eccessiva, rispetto ai tagli alla scuola. Ieri il ministro Gelmini è stato contestato all’istituto Newton di Roma, da un insegnante che ha affermato: «Io non difendo solo il mio posto di lavoro, ma la qualità della cultura italiana». Ma è proprio vero che i tre maestri per classe erano la punta di eccellenza della scuola italiana? La globalizzazione del bilancio pubblico impone dei tagli, che non è detto debbano essere ragionieristici. Occorrono soldi per l’edilizia scolastica, interventi radicali nel settore. E poi il ritorno del maestro uni-


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Il prezzo dei libri di testo non supera l’inflazione programmata

Una scomoda verità e tante menzogne di Giuseppe Bertagna l riflesso condizionato del cane di Pavlov. Immancabile, a ogni settembre la polemica giornalistica sul costo dei libri di testo che sarebbero aumentati più dell’inflazione. E poi che sarebbero editi in nuove edizioni nelle quali si cambiano soltanto le copertine, pur di impedire il mercato dell’usato. E via di seguito. Roba da behavioral economics piuttosto che di verità delle cose. Infatti, molto più dell’inflazione, aumentano i grembiulini (ma perché solo i grembiulini per le femmine e non anche le bluse per i maschi?) che autorevoli sponsorizzazioni hanno involontariamente spinto verso l’alto. Aumentano, e in maniera pesante, i materiali di contorno: ci sono diari che giungono fino a 11 euro, oppure astucci e zaini griffati che vanno ben, ben oltre. In ogni caso, i libri scolastici non aumentano mai quanto i costi delle chiamate o degli sms degli strausati telefonini che non si dovrebbero nemmeno portare in classe. No, l’editoria scolastica non è mai stata glamour: non può permettersi queste libertà. E, infatti, mentre i prezzi dei libri di testo delle scuole primarie sono disposti da un decreto ministeriale (come al tempo del fascismo!) e dunque sono ben lontani dal rincorrere l’inflazione reale, il prezzo dei libri per gli altri ordini di scuole, che è libero, per un accordo Aie, non va oltre l’inflazione programmata, cioè è molto meno dell’inflazione reale. Quanto ai libri che cambierebbero solo la copertina è un altro riflesso pavloviano.

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co non comporta necessariamente licenziamenti. Sembra che il tempo pieno non verrà toccato… Da parte del governo mi pare ci sia l’impegno a mantenere l’orario prolungato anche con l’insegnante unico alle elementari. E poi sarà potenziato il blocco del trascinamento dei debiti, la proibizione del cellulare, il mantenimento dell’insegnante di sostegno e il ritorno all’egualitario grembiule che ha la doppia valenza di permettere di fissare la concentrazione degli studenti sui temi veramente seri. L’autunno caldo, però, è già cominciato… Non credo nelle mobilitazioni, già previste per la ripresa dell’anno scolastico, e per tutto l’autunno. Penso che, finalmente, invece di domandarsi e basta perché è esploso in questi anni un bullismo incontrollato, perché il grado di apprendimento, misurato secondo parametri internazionali – è molto recente la bocciatura dell’Ocse del sistema educativo italiano, che però non deve far dimenticare le eccellenze e le eccezioni – veda lo scivolamento verso il basso dei nostri ragazzi, si pensi a misure che possano servire alla scuola. Le nuove proposte possono rappresentare un recupero di valori essenziali e comportare per i giovani maggior impegno e fatica. Ma il gioco vale la candela, perché più del costo dei libri o del grembiule, conta il loro avvenire.

Sempre l’Aie, infatti, ha disposto per i suoi associati che non si possa accreditare come nuova edizione quella di un testo nel quale non siano modificate almeno il 20 per cento delle pagine. A meno che dunque esistano editori non dell’Aie, e pirati, la circostanza è esclusa. Ma qui perché non intervengono con un minimo di vigilanza anche i genitori e i dirigenti, quando, a maggio, si devono scegliere i libri? Come ha insegnato Marc Bloch in un famoso saggio del 1921, però, il ruolo delle menzogne, nella storia, è straordinario. E così è accaduto che per risolvere l’annosa questione sia addirittura intervenuto il governo, promettendo di spingere su internet i libri di testo e facendo credere che tutti guadagneranno da questa operazione. Pia illusione. Pia illusione perché, a parte la confusione che si creerebbe sui banchi, se tutti dovessero davvero portare a scuola pagine stampate a casa, tra costo dell’investimento e usura del computer, costo della cartuccia della stampante (a colori, naturalmente), della carta (maggiore se non si ha una stampante che usi il fronte e il retro di ogni foglio), dell’energia elettrica, dell’abbonamento Adsl e degli annessi e connessi si spenderebbe almeno il quadruplo di quanto si spende oggi per un libro di testo. Vediamo allora di riportare la questione ai suoi fondamentali. Finché esisterà un docente che inse-

gnerà una disciplina di studio a gruppi di allievi, ha ragione Comenio, quando, nel 1632, nella sua Grande didattica, teorizzava l’indispensabilità e l’insostituibilità del libro di testo. Libro di testo che, a suo avviso, deve contenere «cose che, col progredire dell’età, non dovranno essere disimparate o scordate in mezzo alle faccende»: essere insomma il traliccio dei saperi disciplinari; ispirarsi «ai principi di facilità, solidità, brevità, e contenere tutte le cose in modo completo, solido, accurato (…) in linguaggio familiare e comune»; possibilmente «scritti in forma di dialogo… poiché la maggioranza della nostra vita è fatta di conversazione».

Comenio invitava anche a integrare il libro di testo con un’aula sulle cui pareti fossero raffigurati i «riassunti» (dei loro contenuti) e si mettessero «illustrazioni, rilievi con cui i sensi, la memoria, l’intelletto degli alunni possano esercitarsi quotidianamente». In più diceva che il maestro doveva predisporre gli esercizi che gli allievi avrebbero dovuto svolgere sui materiali presenti nel testo. Non conosceva ovviamente la rete. Ma, come si vede, dava consigli che oggi, grazie alla rete, sarebbe facilissimo eseguire e moltiplicare, facendo peraltro dimagrire libri di testo troppo spesso ipertrofici, avendo la pretesa di contenere tutto e il contrario di tutto. La rete come aula virtuale. In bella sinergia con il libri di testo. L’editore potrebbe allegare ad ogni suo libro tutto l’apparato di esercizi, indicazioni, espansioni, arricchimenti che reputa necessari. Senza appesantire gli zaini e le schiene dei ragazzi. Il docente che lo adotta metterebbe il tutto sul sito della scuola. Al mattino «l’essenziale ordinato da non scordare per sempre» sulle pagine, al pomeriggio l’esercizio e le espansioni perché questo auspicio accada davvero. Basterebbe che gli studenti, invece di navigare a vuoto, si collegassero con il sito della scuola. On line, troverebbero il loro docente come tutor che li guida nell’uso dei materiali di espansione e negli esercizi. Forse, non sarebbe a questo punto un calembour questa domanda: i libri di testo sono troppo «cari» sul piano economico, oppure devono essere così «cari» a chi li legge e li usa per orientarsi nella cultura da non poterne fare a meno e da non dimenticarli mai? Per questo bisognerebbe anche predisporre una politica sociale che doti tutte le famiglie di computer e libri di testo. Gratis fino alla conclusione del diritto dovere di istruzione e di formazione per le famiglie a basso reddito. A pagamento per quelle che se lo possono permettere. E non è peccaminoso che queste paghino anche nella scuola primaria dove oggi i libri sono gratuiti per tutti. Bisognerebbe, inoltre, istituire un cospicuo premio nazionale per gli autori di libri di testo davvero comeniani, adatti ai giovani e non ai docenti che li adottano.


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il personaggio

Divertente, autoironico, sempre in giro a presentare nuove pubblicazioni. Lo scrittore Gianrico Carofiglio si racconta tra letteratura e politica

«Il mio segreto? Rilevare schifezze» colloquio con Gianrico Carofiglio di Alfonso Francia i voleva una giallista norvergese per accorgersene. A un Gianrico Carofiglio che la interrogava sulla mancanza di humor dei romanzi polizieschi scritti da autori scandinavi, la scrittrice Anne Holt replicava che erano semmai i mediterranei a inserire di continuo la risata nelle indagini dei loro personaggi. Ascoltando in anteprima qualche brano di Né qui né ora, nuovo romanzo di Carofiglio presentato dall’autore nell’ultima giornata del Festivaletteratura, viene da pensare che la Holt avesse più che ragione. «Bianca preparò due canne delle dimensioni di sigari Avana, e cominciò a fumare il suo. Io la imitai, facendo un po’ finta. Se si accorse che aspiravo solo in parte non me lo fece notare. Quando ebbe finito propose di prepararne subito altri due. Io le risposi che forse avremmo potuto alternare altre tipologie di svago. Lei comiciò a ridere, e io pensai di aver fatto una buona battuta. Ma lei non smetteva, e dovetti ammettere che forse si trattava di una battuta fenomenale, ma tre o quattro secondi di risata sarebbero bastati. Poi mi accorsi che rideva guardando una macchia sul muro dietro di me, e cominciai a pensare che la sua crisi forse aveva più a che fare con l’Avana di hashish che con me. Poi si riprese e mi chiese se avessi mai avuto rapporti omosessuali. Io le spiegai che contavo di evitare certe esperienze, a meno che non mi prendessero alla sprovvista, o meglio alle spalle». Che relazione ha con i suoi personaggi, specialmente con l’avvocato Guido Guerrieri, protagonista dei suoi romanzi? Diciamo che comincio ad avere qualche difficoltà di convivenza. Una volta una mia giovane lettrice mi avvicinò per sapere se Guido avesse un fratello. Ma che

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razza di domande sono? Chiedi a me se ho un fratello! Migliorerebbe la mia autostima, anche se devo ammettere che ci sarebbero comunque dei problemi. Una volta ho partecipato a una conferenza proprio con mio fratello, che aveva illustrato una graphic novel tratta da un mio romanzo. Quando raccontammo che io ero sposato e lui single si prese tutte le attenzioni delle mie lettrici… Intende dire che anche lei appartiene alla schiera di scrittori che hanno un rapporto conflittuale con il loro personaggio più famoso?

però, anche per salvaguardare la salute mentale di chi legge… Da qualche mese ha inaugurato il suo impegno politico nel Partito democratico. Dovesse sceglierne una, a quale delle sue attività non rinuncerebbe mai? Se fossi proprio costretto a scegliere credo che non potrei mai rinunciare alla letteratura. A me piace tenere in ballo più impegni finché mi riesce, sono ben felice che non ci sia nessun decreto che mi imponga di svolgere un solo lavoro. Non a caso una delle mie citazioni preferite è questa: «Il calabrone per il suo elevato peso corporeo e per la sua elevata apertura alare non potrebbe volare. Ma lui non lo sa. E vola». Questa è la frase di un ingegnere tedesco, ma credo chiarisca tante cose di me. Pensa che per scrivere sia-

Il calabrone non potrebbe volare per via del peso corporeo e dell’apertura alare. Ma lui non lo sa. E vola. Questa frase chiarisce tante cose di me

Non arriverei a dire questo, ma certo è imbarazzante quando ti recapitano a casa un libro con la dedica “All’avvocato Guido Carofiglio”. A me, che non sono neanche avvocato. Ci sono dei punti di contatto tra me e Guido, ma il personaggio è lui e risponde delle sue cose, anche per evitare delle commistioni pericolose tra narratore e protagonista. Lei, prima di essere scrittore, è magistrato. Quale opinione ha del nostro sistema giudiziario? Io non credo che dovremmo augurarci, per dire, di vivere in un sistema inglese perfetto. Ogni sistema giuridico ha i suoi difetti e si adatta allo spirito del Paese che l’ha creato. Molti prendono ad esempio il sistema statunitense, ma vorrei ricordare che in realtà si tratta di cinquanta sistemi differenti, tutti molto rigidi, forse troppo per noi. Detto questo bisogna ammettere che abbiamo dei gravi problemi, soprattutto per il non riuscito bilanciamento tra il sistema inquisitorio e quello accusatorio. Ci sarebbe bisogno di un’applicazione delle leggi coerenti con i motivi per cui sono state scritte, mentre oggi abbiamo una combinazione disarmonica di elementi eterogenei, che portano ad avere un sistema inefficiente e ingiusto. Meglio non addentrarci in particolari

A destra, lo scrittore italiano Gianrico Carofiglio. A sinistra, alcune delle copertine dei recenti libri, pubblicati per la Sellerio editore

no necessarie delle qualità particolari? Esiste questa famosa tecnica per produrre un bel libro? Si dice che ci siano tre segreti per scrivere un grande romanzo. Purtroppo nessuno sa quali siano. Io mi baso sempre su quello che diceva Hemingway: la qualità fondamentale per un bravo scrittore è possedere uno shit detector, un rilevatore di “schifezze” che permetta di evitare cadute di stile e brani grossolani.


musica el profano santuario del rock, il miracolo di Eva Cassidy è sicuramente un fenomeno indelebile. Una delle voci più belle ed espressive mai emerse in America. Forse scoperta troppo tardi. Quando lei non era più in vita. Ma destinata a far parte del grande e colorato mosaico della musica di tutti i tempi. “Somewhere”, il suo ottavo album postumo, in uscita da questo 26 agosto, è un’ulteriore conferma della duttilità e del talento di questa giovane artista. Prodotto dalla Blix Street Records, raccoglie brani inediti, registrazioni fatte in vari studios tra il 1987 e il 1996 riscoperte solo ultimamente, e che ancora non avevano visto il successo delle precedenti raccolte. Tutti accomunati dal suo stile unico e inconfondibile. Per la prima volta vengono pubblicati dei brani scritti da Eva Cassidy: Somewhere (scritta insieme a Chris Biondo) e Early One Morning (un traditional folk inglese, adattato alla musica scritta dalla cantante con la collaborazione di Rob Cooper). E dieci splendide cover tratte dal suo repertorio storico. Le indimenticabili Chain of Fools e Won’t be long di Aretha Franklyn, registrate nel 1994. O ancora: It Won’t Be Long di J. Leslie McFarland, una versione acustica di Summertime di George Gershwin, registrata nel 1995 nello studio di Chris Biondo. Un brano intimo come Coat of Many Colors di Dolly Parton, che viene scovato dal repertorio del chitarrista Keith Grimes del 1993. E non ultima, My Love Is Like a Red, Red Rose, demo utilizzata da Eva come biglietto da visita per presentarsi nei vari locali del Maryland. Somewhere è un album che contiene brani jazz, ballate folk, country. Ulteriore conferma del talento di un’artista che non ha percorso un unico sentiero.

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Il suo talento vocale così duttile le ha permesso di assaporare il gospel, accarezzare il folk, incidere la più straordinaria versione di Over The Rainbow, o Autumn leaves, trasformare una canzone come Fields of Gold di Sting in un momento da brividi, cimentarsi con naturalezza con il blues di Etta James, o i classici firmati Ray Charles, Louis Armstrong, Ella Fitzgerald, il pop di Cindy Lauper, John Lennon, Paul Simon, o il songwriting cristallino di Paul Simon e Joni Mitchell. Guadagnandosi così il suo posto nella lista dei grandi artisti americani che hanno dato uno stampo unico e irripetibile ai grandi classici della musica. Dal jazz al pop. E tutto ciò che sta in mezzo. Come fossero

Nata in una famiglia di musicisti e artigiani, Eva Cassidy (nelle foto) muore a soli 33 anni. Lascia numerosi album ma anche diversi disegni (qui sopra uno schizzo realizzato da ragazza). Quando la sua voce conquista il mondo, l’artista è già scomparsa

Eva Cassidy, una voce scomparsa troppo presto e scoperta troppo tardi

Piccola, grande stella senza cielo di Valentina Gerace delle tappe di un viaggio di solo andata. Tragicamente interrotto nel 1996 da un feroce melanoma, quando Eva ha soltanto 33 anni ed è solo all’inizio della sua carriera musicale. Quando il mondo la scopre, impazzisce per lei e si chiede di chi sia quella voce sublime, Eva già non c’è più. La Bbc Radio Two trasmette casualmente le sue canzoni e suscita un enor-

siona a Bob Dylan, Buffy St. Marie and Pete Seeger e inizia a suonare la chitarra.

Si esercita col fratello violinista Dan e il padre Hugh, bassista, con i quali forma una piccola band e suona per lavoro durante matrimoni e feste, nell’aera di Washington. Nel 1986 l’amico Dave Lourim, leader di una band di rock alternativo, i “Method Actor” , le chiede di cantare nel suo primo album. Viene scoperta durante le registrazioni dal manager Al Dale

qualcuno possa pagare per ascoltare la sua musica. Sul palcoscenico il suo sguardo è sempre basso, per paura si incontrare quello del pubblico. Un eccesso di perfezionismo. O di umiltà. Che lasciano il posto a una maggiore padronanza di sé solo quando si accorge della stima e dell’ammirazione di cui è circondata. Biondo, con in quale intraprende una relazione sentimentale, le propone una collaborazione con Chuck Brown, il “Padre del go-go”. Chuck confessa di non aver

L’ottavo album pubblicato dopo una morte precoce,“Somewhere”, uscito di recente in Italia, propone una raccolta di cover, standard e brani inediti

me entusiasmo di massa. Si scatena la discografia commerciale cercando di cavalcare l’inaspettato e casuale successo decretato soltanto dal passaparola. Nata in una famiglia di musicisti e artigiani che le trasmette la passione per l’arte, la musica, la scultura e il disegno, Eva si rivela musicalmente molto precoce. A nove anni è già una bravissima disegnatrice (realizza numerosi disegni e sculture) e suona la chitarra. Si appas-

e dal produttore Chris Biondo, che si accorge subito del suo talento e la sprona vivamente a formare la Eva Cassidy Band, nel 1990. Intravedendo già l’enorme successo che la cantante avrebbe avuto. La band formata da Keith Grimes alla chitarra, Lenny Williams alla tastiera, Raice McLeod alla batteria e Biondo stesso al basso la accompagnerà sempre, da quel momento. Con loro inizia ad esibirsi spesso dal vivo. Ma non si rende ancora conto di quello che le sta succedendo. Delle emozioni che la sua voce suscita nella gente. Continua a credere che sia impossibile che

mai ascoltato una voce simile. Nel 1992 incidono The other side. Una raccolta di ballate, duetti blues e standard jazz come Fever, Over the Rainbow, Gee Baby, Ain’t I Good to You, God Bless the Child e You Don’t Know What Love Is, a cui seguiranno numerose esibizioni dal vivo. Chuck definisce quest’esperienza la collaborazione più emozionante della sua carriera. Eva intanto non dimentica da dove viene. Continua a condurre la sua vita di sempre. Nessuna traccia di ambizione o sete di fama, ricchezza o successo. I soldi sono l’ultima cosa che le interessa. Can-

ta in varie band ad Annapolis e coltiva la sua passione per il disegno e la scultura. Molte case discografiche iniziano a farle la “corte”. Ma pretendono di dettare le loro regole e ridurre la sua musica a un unico genere musicale. Eva si rifiuta di lavorare con loro e obbedire a dei meccanismi commerciali, mediatici. Nel 1996 registra il Live at Blues Alley. Ma le sue condizioni di salute, in continuo peggioramento, non le consentono di godersi l’enorme successo. E’ proprio il 1996 l’anno in cui appare in pubblico per l’ultima volta. Grazie al Live vince il titolo di migliore voce femminile in ben quattro generi musicali: blues, jazz-contemporaneo, jazz-tradizionale, rock e R&B. Oltre ad essere nominata «artista dell’anno». Negli anni a seguire vengono pubblicati vari album postumi che vendono più di 4 milioni di copie. Songbird che raggiunge la posizione numero uno nella classifica inglese del 2001, rappresenta la faccia più grintosa ed energica di Eva Cassidy, una musica che parla al corpo e all’anima. E ancora Time after Time (2000), in cui regge l’urto con classici come Kathy’s Song firmata da Paul Simon o Woodstock di Joni Mitchell. Con un’originalissima interpretazione di un brano di Cyndi Lauper. Altri album postumi sono No boundaries (2000), Method actor (2002), Imagine (2002), American Tune (un altro numero 1 nelle classifiche inglesi del 2003) e Wonderful world (2004).

Quella di Eva Cassidy è la triste storia di una ragazza che scopre il suo talento troppo tardi. E non se ne vanta. Non lo utilizza per manipolare la sua immagine. La storia di un’artista dalla personalità solitaria, molto sensibile alle critiche, spesso coinvolta in momenti di depressione, ma allo stesso tempo determinata e perfezionista, la cui voce resta scolpita nel cuore e nella mente di chi la ascolta. Una cantante che non ha bisogno di sofisticati mezzi di registrazione o di un palcoscenico perché la sua musica sia di impatto. Anche in una stanza la sua voce poteva far rabbrividire. Oggi è un modello per tante cantanti di successo. Tra cui la ormai famosissima Katie Melua che le scrive e le dedica in un suo album, il brano Faraway Voice. Il viaggio musicale di Eva si interrompe in un momento fondamentale della sua vita. Oggi resta solo la sua voce a ricordarla. Una musica che fa scendere qualche lacrima. Rimane il dubbio se quella lacrima non sia scesa per tanta bellezza, o per la atroce perdita di una stella.


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miti

Ricorsi storici. Kim Jong-il, il leader della Corea del Nord, è malato. Forse è morto. E così riparte l’antico rito della successione pilotata in perfetto stile sovietico

Manuale di Cremlinologia di Vincenzo Faccioli Pintozzi

er quanto possa sembrare strano, la Cremlinologia potrebbe presto essere considerata una scienza esatta. Si fonda sostanzialmente sull’analisi di tutto quell’apparato sociologico, propagandistico e comunicativo che ha caratterizzato la gestione del potere nell’ex Unione Sovietica per almeno sei decenni. I suoi massimi esperti sono per lo più coloro che, per un motivo o un altro, hanno vissuto in quei regimi di stampo sovietico (che comprendono tutti i membri del Patto di Varsavia e buona parte dell’Asia orientale) e che dai cambi di potere hanno fatto dipendere la loro fortuna,

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scherare la morte – o la malattia grave – dei propri leader. Un modo per rassicurare il popolo, tenere lontani gli assetati di potere, scongiurare eventuali rivolte di piazza e soprattutto sistemare la cruciale questione della successione. Trucchi, certo, ma che hanno garantito il passaggio di potere nella Russia sovietica e nella Cina postMao.

Ora resta da vedere quale espediente sarà usato dalla Corea del Nord, l’ultimo regime che possa essere paragonato alle grandi dittature del passato. Per ora sono solo voci, certo, ma insistenti e circostanziate

Centro medico Asan di Seoul ha visionato i filmati più recenti che ritraggono il “caro leader”nel corso di discorsi o cerimonie ufficiali. Anche se è difficile determinare lo stato di salute di una persona da un teleschermo, spiega, le indiscrezioni potrebbero avere fondamento: «Kim ha il diabete, un’alta pressione sanguigna (dovuta al cognac di cui è forte bevitore, un vizio che ha già messo a dura prova il cuore) e la sua storia familiare rivela una predisposizione a questo tipo di complicazioni. È possibile che presto il suo sistema sanguigno esiga il giusto prezzo». È esattamente a questo punto che entra in gioco la Cremlinologia. L’uomo forte del regime sta male, anche se non è sicuro lo stadio del suo malessere, e non ha eredi designati. Non si fa vedere in pubblico da molto, troppo tempo, e sono sempre meno feroci i suoi attacchi ai nemici del Paese (che, nel caso in esame, sono rappresentanti praticamente da tutto il resto del mondo). La sede è vacante, e nessuno ha abbastanza coraggio da rendere pubblici gli affari interni. Che cosa succede?

Eserciti di sosia e ovatta nelle guance: sono solo alcuni dei trucchi usati per mantenere “vivi” i leader comunisti defunti. E avere il tempo per gestire il potere se non la loro vita. Eserciti di sosia, discorsi pre-registrati e trasmessi via radio con dei tagli strategici, foto-ritocchi per far sembrare presente ad un fatto una persona assente. E soprattutto formalina per gonfiare i corpi, canfora per non farli puzzare e ovatta nelle guance per simulare un sorriso.

Sono soltanto alcuni dei migliori espedienti usati dai grandi regimi comunisti per ma-

da dichiarazioni di servizi segreti stranieri e piccoli analisti locali, che si rincorrono sulla stampa e nei palazzi del potere. Pyongyang potrebbe presto ospitare i funerali del “caro leader”Kim Jong-il. Il dittatore, dicono, è stato colpito da un ictus che lo avrebbe paralizzato. Secondo le ultime notizie, è costretto al letto ma potrebbe riprendersi, a meno che non sopraggiungano complicazioni cardiache. Uno specialista del

Un primo indizio utile viene dalle fonti ufficiali del regime: stampa, televisione e comunicati dei ministeri. Secondo un portavoce del governo, come sempre rigorosamente anonimo, il dittatore «sta bene: queste illazioni sono l’ennesima prova dell’esistenza di una co-

Qui accanto, una cerimonia funebre in onore di Stalin nella provincia sovietica. Sotto, il leader coreano Kim Jong-il. In basso, un tipico funerale di Stato nella Mosca sovietica. Nell’altra pagina, un particolare dei funerali di Mao e, in basso, una statua del Grande Timoniere

spirazione contro la Corea del Nord, l’unica ad opporsi al brigantaggio degli Stati Uniti». E qui, l’attento cremlinologo nota la prima sfumatura sbagliata: Pyongyang e Washington hanno intrapreso di comune accordo, neanche due settimane fa, una strada destinata a migliorare i rapporti fra le due nazioni. Da dove viene questo guizzo di odio? Probabilmente, dall’impossibilità di consultare il leader e decidere insieme una strategia: nel dubbio, meglio tornare ai toni attuali.

Un secondo indizio viene dall’attività internazionale. Uscite le prime indiscrezioni sul peggioramento della salute di Kim, sono partiti in maniera frenetica messaggi (di qualunque genere) all’indirizzo di quel pugno di


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spiegazione dei piani quinquennali per l’agricoltura spiegavano (a chi aveva orecchie per intendere) i cambiamenti di potere, rapidissimi durante l’assenza forzata del Segretario. E soprattutto i manifesti, le foto appese negli uffici pubblici, la propaganda nazionale: strumenti che in tempo reale – e con un perfetto impatto visivo – davano la possibilità di capire chi saliva e chi scendeva nella ripida scala del potere.

salma di Lenin. Abituati alle temperature moscovite, i tecnici non comprendono appieno l’umidità di Pechino e sbagliano le dosi di formalina da iniettare nel corpo del leader. Che inizia a gonfiarsi. I Quattro accusano dell’errore Hua Guofeng, erede designato in punto di morte dal leader cinese, e lo trascinano davanti al Politburo accusandolo di aver volutamente cercato di distruggere la salma di Mao.

Oggi il potere è più urlato, meno trasparente. I cremlinologi non servono più

E poi c’è l’esempio cinese, in un certo senso più sottile di quello russo. Lo racconta con straordinaria maestria il dottor Li, lo psichiatra di Mao Zedong, in una biografia pubblicata alcuni anni fa: alla morte del Grande Timoniere, la Banda dei Quattro aspetta i delegati sovietici che devono imbalsamare il corpo con la maestria che li contraddistingue in patria. Questi sono, infatti, gli addetti alla manutenzione della

Stati che intrattengono relazioni solide con la Corea del Nord. Un bigliettino di Kim ad Assad, diceva ieri un dispaccio dell’agenzia di stampa ufficiale del regime comunista, commentava le «bugie dei servi dell’imperialismo». Un modo, per i corrieri, di mantenere vive le poche relazioni internazionali del regime (e di assicurarsi una via di fuga in caso di scivoloni non previsti). Il terzo indizio, quello più significativo, riguarda la famigliola. Già undici mesi fa, alcune indiscrezioni volevano il segretario del Partito dei lavoratori nordcoreani – sempre Kim Jong-il, che ha riservato al defunto padre la presidenza del Paese – in fin di vita.Vero o falso che fosse, ha preteso accanto a sé tutti i pretendenti al trono di Pyongyang: i figli maggiori nati dalla quarta moglie, Ko Young-nee. I due, Jong-chul e Jung-woon, sono stati “convinti per amore paterno” a rimanere con il leader nordcoreano per diverse settimane. Considerando che l’amore paterno del dittatore ha prodotto il presunto suicidio di un figlio e l’esilio di un secondo, in mol-

ti pensano che questa convocazione sia mirata a designare il successore della dinastia Kim.

D’altra parte, un gioco del genere non è nuovo, e i coreani possono guardare agli amici cinesi e ai maestri sovietici per capire come gestire al meglio la morte del dittatore, che prima o poi dovrà avvenire. Ecco dunque che tornano alla memoria i “programmi televisivi temporaneamente interrotti” della televisione nazionale sovietica, che trasmetteva per tutta la durata

della crisi di potere musica classica. I diversi brani, giurano alcuni corrispondenti occidentali residenti nella capitale sovietica ai tempi d’oro, avevano ognuno un diverso significato.Vi erano poi le trasmissioni criptate di Radio Mosca, che fra le righe di un programma dedicato alla

Con quest’accusa riescono, anche se per poco, a metterlo da parte e prendere il potere. Dopo una prolungata vacanza in un laogai – i gulag del sistema cinese, lanciati da Mao e ancora perfettamente funzionanti – Hua riesce a riprendersi il potere grazie soprattutto ai soprusi della Banda, che nella gestione governativa si procura un numero enorme di nemici giurati. E nel momento del cambio, la CCTV (televisione nazionale cinese, per vent’anni unico canale visibile nel Paese) trasmette l’opera di Pechino. Una situazione del genere dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio quanto l’immagine sia fondamentale in un regime, di qualunque colore esso sia, e come il culto della personalità e i trucchi della propaganda riescano a muovere con efficacia fuori dal comune ogni leva di potere. Ora, i cremlinologi non esistono quasi più. Il potere è divenuto più trasparente, meno sussurrato e sotto gli occhi di tutti. La caduta del Muro, la glasnost, l’apertura a Occidente di Pechino hanno spazzato via le vestigia di quella che, in tempi molto difficili, era un’arte più preziosa dell’oro. Guardare a Pyongyang oggi può dare un brivido di nostalgia a tutti coloro che si erano interrogati sui Politburo e sui Consigli riservati tenuti nelle dacie alle porte di Mosca. Oggi come allora, però, dietro a questo teatrino vi sono cadaveri e dolore, sofferenza e chiusura totale. I 22 milioni di cremlinologi che vivono in Corea del Nord guardano oggi a un solo segnale: la morte dell’ultimo dei dittatori.


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO

LA DOMANDA DEL GIORNO

Legge sulle unioni civili. Che cosa ne pensate? MA IL PDL STA CON LA CHIESA OPPURE NO? Quando il centrosinistra propose i Dico per poi affossarli in seguito alla levata di scudi del mondo cattolico, l’esercito delle libertà prese posizione contro il monstrum legislativo che sviliva il dettato retorico della nazione italica fondata sulla famiglia tradizionale. Con un’impressionante virata adesso Rotondi e Brunetta si mettono a lavoro per resuscitare le unioni civili tra mille distinguo e toni sommessi dall’aura sapienzale. Bisogna che la politica radichi la sua credibilità nella serietà e nella coerenza, e non in furbesche ruffianerie calibrate sulle istanze elettorali. Il centrodestra tutto deve stabilire insomma se il problema delle unioni civili esiste oppure no, se occorre gestirne secondo dettami legali le diverse implicazioni che esse hanno sulla società civile oppure no. Se il Pdl intende poi farsi custode dei valori cattolici che sottolineano l’arbitrarietà dei Dico rispetto ai dogmi della fede, oppure se intende proporsi come polo libertario e anti repressivo. I Dico del centrodestra stanno a dimostrare la natura frammentaria e cosmetica della sua ideologia di fondo, quando invece i partiti che ambiscono a un riconoscimento stabile e duraturo, devono fare della fermezza valoriale e della coerenza, la ba-

LA DOMANDA DI DOMANI

Niente pillola del giorno dopo in molti ospedali di Roma. Che cosa ne pensate?

se su cui costruire il futuro del Paese che governa, e quello dei suoi elettori

Giacomo Ferretti Como

NON IMPORTA CHI, PURCHÉ SI APPROVI Non trovo nulla di deplorevole nell’iniziativa di Rotondi e Brunetta, nella stessa misura in cui non tgrovavo nulla di sconcio o di eretico nei Dico presentati dal centrosinistra nella scorsa legislatura. Le unioni civili possono essere regolamentate senza alcun timore di assestare colpi ferali alla famiglia tradizionale, ma solo a vantaggio di chi si trova nella necessità di dovere regolamentare posizioni non riconosciute.Trovo civile che le persone possano scegliere di affidare al proprio convivente esiti e lasciti della propria esistenza, e non vedo in questo nessun oltraggio alla morale.

Giada Semioli Vicenza

I DICO SONO GIÀ STATI BOCCIATI DALLA PIAZZA Né Dico né altro.Viva la famiglia. Nessuno resusciti vecchi fantasmi e fantasie. Nel nostro Paese c’è una tradizione che va difesa e conservata a dispetto di chi ne vuole minare le basi e i valori. Le unioni civili non sono nel programma del Pdl, e non vedo perché, visto che la società civile ai tempi dei Dico ha fatto chiaramente capire come la pensava con un paio di manifestazioni oceaniche, si debbano tirare fuori questi scheletri che la storia ha deciso di cancellare.

Arturo La Monica Orvieto

SI PENSI ALLE FAMIGLIE TRADIZIONALI Ma possibile che non ci sia nient’altro di meglio da fare che rispolverare questa benedetta storia delle unioni civili? Con tutto il rispetto per le famiglie alternative, il vero problema e la vera priorià sono le famiglie tradizionali che non riescono ad arrivare a fine mese perché ormai tutto ci costa un occhio della testa.

Rispondete con una email a lettere@liberal.it

QUALE AGENDA POLITICA PER IL PAESE? CONVEGNO A SANTA MARIA DI LEUCA Quale agenda politica per il Paese? È il tema della tavola rotonda promossa da Mario De Donatis e Ignazio Lagrotta, rispettivamente il primo Presidente dell’Associazioni “Identità e Dialogo” e il secondo Coordinatore dei “Liberal” di Puglia, che si svolgerà a Santa Maria di Leuca, domenica 14 settembre p.v. I lavori – che avranno inizio alle ore 18:30 e termine alle ore 21:00 – si svolgeranno presso l’Hotel Terminal – Gruppo Caroli Hotels della richiamata cittadina turistica. Parteciperanno alla tavola rotonda Paola Binetti, Marco Follini, Francesco Rutelli, Bruno Tabacci, Michele Emiliano e Angelo Sanza. L’apertura dei lavori è affidata a Mario de Donatis, Presidente Associazione Identità e Dialogo e ad Ignazio Lagrotta, Coordinatore regione Puglia Circoli Liberal. L’iniziativa si propone – alla ripresa della vita

Rosanna Saluzzi Benevento

TUFFO AL CUORE La presentatrice Jaynie Seal e l’attore Kristian Schmid fanno il bagno in una vasca nel corso di un set fotografico allestito a Sydney per promuovere una rivista

L’ISOLA DEI FAMOSI: IL WELFARE DIVENTA UN FORMAT TV Leggo con vivo raccapriccio che l’ennesima edizione dell’Isola dei famosi prevede tra i naufraghi la presenza di gente allo sbaraglio. Laureato che fa lavoro ingrato, laureando in procinto di laurearsi da un ventennio, concorrente che ha sul groppone quattro figli, bamboccione che vive ancora a casa con mammà. I n pratica, i problemi sociali emigrano dall’agone politico decisionale, per diventare materia voyeuristica fine a stessa. La spettacolarizzazione di problemi sociali irrisolti, che ha come unico fine lo share e ricolloca l’emergenza salari, l’assenza di posti di lavoro affidabili, l’incapacità di sopravvivere con una famiglia a carico, in una dimensione consumistica, che si attua nel

dai circoli liberal

politica e parlamentare del nostro Paese – di aprire un dialogo tra riferimenti di partiti politici di opposizione portatori di valori e principi che si ispirano alla dottrina sociale della Chiesa ed al riformismo laico e liberale. Tanto al fine di concorrere a delineare una “agenda politica” in grado di avviare un processo di riaggregazione del consenso sulla base di un progetto e dei programmi condivisi “di nuovo conio”. Se vogliamo “Santa Maria di Leuca” intende riprendere – cogliendo lo spirito dei “coraggiosi di Montecatini” e dei “centristi di Todi” – un percorso per la costituzione, nel medio periodo, di un’area culturale-politica, capace di ridare spazio alla “Politica”, oggi sempre più relegata a questioni, pur importanti, di carattere gestionale, tanto da apparire molto spesso – per effetto anche della comunicazione governativa – “un insieme di emergenze da risolvere”. L’impegno delle Associazioni promotrici dell’ini-

veloce consumo della vivanda drammatica, per poi essere ingoiata nel nulla del varietà. Non mancherà poi l’altro grande dilemma della politica italiana: la fuoriuscita di Rifondazione dal Parlamento, e la drammatica condizione di chi, politico improvvisato ed eletto a fini propagandistici, si ritrova disoccupato. Luxuria sarà infatti sull’isola indossando un pareo sopra il costume in nome del politically correct e delle ansie censorie. Considerato che tutto ciò che è inerte e inutile, dalle fiction ai varietà, dai giochi a quiz ai girotondini della domenica pomeriggio, l’Isola dei penosi è la riprova che lo stato assistenziale ha rinunciato alle sue prerogative. Ormai il disagio è redditizio solo come fiction

Romano Castellani Livorno

ziativa è, al contempo, quello di concorrere – a partire dal livello regionale - alla definizione di “un progetto Paese” nel contesto della globalizzazione e delle sfide che la stessa impone. La ricerca di modelli di sviluppo nuovi si impongono per ridurre le distanze sociali in Italia e nel mondo, partendo da un uso delle risorse compatibile con l’ambiente e la dignità della persona.

ATTIVAZIONI Il coordinamento regionale della Campania ha attivato un numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio

800.91.05.29


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Che cosa ne sarà di noi, piccola mia? Mio piccolo Bebè bello, non puoi immaginare come ti ho trovata divertente oggi affacciata alla finestra di casa! Meno male che eri allegra e hai dimostrato piacere a vedermi. Ho passato un periodo di grande tristezza e anche di grande stanchezza. Tristezza non solo per non poterti vedere, ma anche per le complicazioni che altre persone hanno interposto sulla nostra strada. Arrivo a pensare che l’influenza costante di codeste persone, senza osteggiarti né ostacolarti in modo palese, ma lavorando lentamente sul tuo spirito, riuscirà a far sì che tu cessi di amarmi. Non vedo il futuro molto chiaro. Voglio dire: non so come andrà a finire, che cosa ne sarà di noi, vista la tua indole incline a credere a tutte le influenze della tua famiglia e ad essere sempre di opinione contraria alla mia. Domani, alla stessa ora, passo da Largo Camões. Apparirai alla finestra? Sempre tuo. Fernando Pessoa a Ophélia Queiroz

NEPPURE UNA PAROLA SUI GULAG Se glieli ricordi, quei tempi, quelli di sinistra che, oggi, si dicono diversi e democratici e stanno in una nuova ed esclusiva maison all’ombra del Pd, protestano e s’infuriano. Erano i tempi in cui lorsignori, ancora tutti rabbiosi contro il sistema democratico, occidentale e capitalistico, il denaro, i facoltosi, i liberali, i cattolici dalla parte del mercato e i conservatori, si facevano chiamare marxisti, comunisti e cattocomunisti, credevano nella superiorità del blocco sovietico e nel sole dell’avvenire e la coltivavano doc. Che cosa? Ma, direttore, su via, l’ira e l’odio verso i dissidenti, gli apoti e i bastian contrari. Come, ad esempio, Aleksandr Solzenicyn, lo scrittore russo che ci ha lasciato testimonianze civili, morali e letterarie sulla vera natura totalitaria e sanguinaria del paradiso comunista, quali Una giornata di Ivan Denisovic e Arcipelago Gulag. A vedere le reazioni dei compagni e dei loro sodali alla notizia della sua morte, siamo stupiti. Silenzio di tomba. Non una parola. Nemmeno dal capo dello Stato. Ma come: non era loro la frase «vi giuriamo di aver capito la le-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

11 settembre 1926 - Fallito tentativo di assassinio di Benito Mussolini. 1941 - Inizio degli scavi per la costruzione del Pentagono. 1943 - Truppe tedesche occupano la Corsica e il KosovoMetohien. 1961 - Fondazione del WWF. 1965 - La 1a divisione di cavalleria statunitense arriva in Vietnam. 1973 - Cile: golpe militare di Augusto Pinochet rovescia il governo di Salvador Allende 1992 - La Foiba di Basovizza(TS) diventa Monumento Nazionale 1997 - La Scozia vota per ristabilire il proprio Parlamento, dopo 290 anni di unione con l’Inghilterra 2001 - Attacco terroristico dell’11 settembre 2001: negli Stati Uniti, vengono dirottati quattro aerei di linea da terroristi islamici. Due si schianteranno sulle torri gemelle del World Trade Center di New York che poi crolleranno. Il bilancio è di tremila morti.

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

zione della storia, abbiamo sbagliato e, per penitenza, leggiamo e rileggiamo e gelosamente custodiamo nelle nostre biblioteche tutti i libri, i capolavori e gli scritti prodotti di anno in anno dagli anticomunisti»? Insomma, in breve, non erano cambiati?

Pierpaolo Vezzani Correggio (RE)

L’OBSOLETA RETORICA DI SCALFARO Scrive l’Unità che Oscar Luigi Scalfaro, nel discorso a Bari per il sessantesimo della Liberazione, in data 11 febbraio 2005 abbia detto: «vi sono tre momenti nella nostra storia, La Resistenza, la Repubblica e la Costituzione. Questi tre momenti sono indissolubili a condizione che si riconosca che la Resistenza è la radice primaria da cui sono nate la Repubblica e la Carta Costituzionale». Se aggiungessi un mio convinto ” purtroppo”, a commento di quanto sopra, rischierei qualcosa per lesa maestà? Secondo, è lecito dire da parte mia che questa salomonica frase è un’emerita sciocchezza o rischio anche qui qualcosa? Sa, se dopo 60 anni stiamo ancora a resuscitare Salò e Bella ciao, tutto è possibile!

Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Te)

PUNTURE Al Cern di Ginevra si accende il superacceleratore. Bossi ne ha ordinato subito uno per il federalismo fiscale.

Giancristiano Desiderio

Quando odiamo qualcuno, odiamo nella sua stessa immagine qualcosa che sta dentro di noi HERMAN HESSE

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di I DEMOCRATICI USA ANCORA INDECISI SULL’ABORTO Mettendo a confronto il testo dell’intervista che il candidato democratico alla vicepresidenza Joseph Biden, dichiaratamente cattolico, ha rilasciato domenica scorsa a Meet the Press e la conseguente Dichiarazione pubblica dell’Arcivescovo di Denver, il francescano Charles J. Chaput, si rimane sbalorditi. I ruoli si invertono: il primo tira in ballo la religione e il vescovo gli dice che la religione in queste materie non c’entra; il primo conduce sottili ragionamenti politici e il secondo gli dice che manca di logica; il primo sostiene che la legge non può imporre delle cose a chi la pensa diversamente e Chaput gli fa notare che, invece, proprio questo fa di solito la legge. La tesi centrale di Biden sull’aborto è che “si tratta di un problema personale e privato” e che lui, è certo, in quanto materia di fede, che la vita umana inizia dal concepimento. Il vescovo però gli ricorda che “a dire il vero la moderna biologia sa esattamente quando la vita umana ha inizio: al momento del concepimento. Succede così che il politico si rifà al suo credo religioso ma lo separa dalla verità e quindi lo riduce ad opinione e che tocchi al vescovo sottomettere lo stesso credo religioso alle verità della ragione. “I cattolici sentono questi discorsi ormai da 40 anni”, ironizza il vescovo, secondo il quale Biden non ha capito il senso del pluralismo: “Il vero pluralismo si sviluppa su un vigoroso, non violento dissenso; esso richiede un ambiente in cui persone di convinzione lottano rispettosamente ma vigorosamente per portare avanti le loro fedi. E’ certamente vero

che noi dobbiamo conoscere le visioni degli altri e cercare un compromesso quando è possibile – ma non a spese del diritto del nascituro alla vita”. Il senatore Biden nell’intervista ha rivendicato a suo merito l’impegno contro l’aborto a nascita parziale, ma il vescovo gli ricorda che “il suo forte sostegno alla decisone della Corte Suprema Roe v. Wade del 1973 e il falso diritto all’aborto che essa ha attestato, non può essere scusato da nessun serio cattolico”. Nemmeno la lunga e insigne carriera politica del Senatore bastano a scusarlo. Per il vescovo: “Il senatore Biden è uomo dal servizio pubblico illustre. Ciò, però, non scusa la carenza di logica o le azioni cattive”. La questione dell’aborto sta mettendo in difficoltà il partito democratico, il quale sta trascurando l’aumento negli Stati Uniti dei cittadini ispanici e che i Gruppi e Movimenti pro vita ispanici si riuniranno per la prima volta a Dallas dal 12 al 21 settembre per “fare un primo passo nell’informare e motivare gli ispanici e le altre persone interessate a difendere la vita e a riscattare i valori che fanno parte della cultura tradizionale e del cattolicesimo”. Dopo il passo falso di Nancy Pelosi, che il 24 agosto aveva affermato che sull’inizio della vita non c’è una costante tradizione di insegnamento cattolica e la puntuale Dichiarazione dei vescovi USA in risposta, questa nuova sprovveduta uscita di Biden ha messo a nudo una oggettiva difficoltà dei democratici: prendere le distanze dalla classica ideologia “liberal” e le sue trite argomentazioni.

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PAGINAVENTIQUATTRO Parcheggio proibito. La parola a Umberto Broccoli

Vi spiego perché non è possibile bucare il colloquio con Umberto Broccoli di Olga Melasecchi on l’amabilità e il piacevole tono di narratore che ritroviamo anche nella sua piacevolissma trasmissione radiofonica Con parole mie, l’archeologo e giornalista Umberto Broccoli, da pochissimo eletto dalla giunta comunale sovrintendente ai Beni Culturali del Comune di Roma, spiega la sua posizione in relazione al problema della costruzione del parcheggio del Pincio. È una costruzione che può danneggiare l’area o no? Quello che penso l’ho espresso formalmente in un parere, sicuramente negativo considerando l’importanza storica del luogo. Quell’area è per il 33% occupata da ruderi e questi ruderi sono con ogni probabilità quello che resta degli Horti di Lucullo, quindi uno dei pochi casi in cui noi abbiamo anche la definizione, l’attribuzione certa. Un conto è trovare a Prima Porta una reticolata e cercare di attribuirla a questo o a quel signore... in questo caso invece abbiamo Plutarco che ne parla, e dice che dopo la sconfitta di Mitridate Lucullo torna a Roma scegliendo la collina prospiciente la Via Lata, quindi la collina del Pincio (che non si chiamava ancora Pincio, ovviamente, i Pinci sono successivi). Abbiamo dunque un resto concreto di un personaggio storico di prima grandezza, un generale di Cesare che ci porta anche in una dimensione di un racconto di Roma antica romanzato, con i bagordi, i triclini, ecco lui si riti-

C

PINCIO

ra lì, in questo “buen ritiro”. Non dimentichiamo poi che questi resti proseguono giù per nove metri, un enorme scavo con una complessità di ambienti. Questo naturalmente non è un impedimento, quello che è stato scavato non è quello che si è trovato o che si potrà trovare, perché una villa di questo tipo si estende su tutto il fianco della collina...

siva, con personaggi come Valadier, De Vico nei primi anni del Novecento. Esiste una carta dei giardini del 1982, la carta di Firenze, che non è legge, ma ci impone un’estrema cautela di fronte ai parchi storici, impone attenzione a come spostare gli alberi, a come piantumare, mi raccomando gli insetti! Questo è cultura, allora io mi chiedo, con pacatezza e rispetto delle altrui opinioni, se tutto questo non confligge con un’operazione del genere. Quindi forse si può togliare la testa al toro magari spendendo una parte del budget preventivato per continuare gli scavi? Questo è lo stato dell’arte, quello che succederà non è questione che spetta a me, io da archeologo do semplicemente delle indicazioni e delle suggestioni derivate dalla mia competenza. Posso dire solo che non si può esaurire lo scavo solo in quel 33%, dimentichiamocelo, continuerà, i resti ci sono ancora... Perché a questo punto siamo tutti curiosi di vederli... Lo scavo non è aperto al pubblico, non si può entrare per motivi di sicurezza, però hanno lasciato delle griglie in cui ci si può affacciare e si può già intravvedere qualcosa.

Il sovrintendente ai Beni culturali del Comune di Roma: «I lavori distruggerebbero un’importante area archeologica. Molto meglio proseguire gli scavi e far riemergere le rimanenti rovine» Che il parcheggio rischierebbe di rovinare... È evidente. Qualsiasi lavoro dovrebbe partire dal rispetto del luogo. Perché archeologi del calibro di Carandini e Bottini sono favorevoli? Ognuno ha la sua opinione, però la città moderna non deve distruggere la città antica. Siamo in presenza di un monumento importante nelle sue diverse e ulteriori stratificazioni: il Pincio come colle e come sistemazione succes-


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