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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Oggi il supplemento

MOBY DICK SEDICI PAGINE DI ARTI he E CULTURA cronac

Barack Obama e John McCain al di sotto delle aspettative

di

Non sarà che finiremo per rimpiangere George W. Bush?

di Ferdinando Adornato

MITI POSTMODERNI

di Andrea Mancia elle analisi dei giornali statunitensi - o almeno di quelli non troppo schierati - serpeggia un’impressione, per niente campata in aria: John McCain e Barack Obama sarebbero stati “oscurati”da Sarah Palin e Bill Clinton (o Hillary, a scelta). I quotidiani e le riviste americane si riferiscono soprattutto all’impatto dei due discorsi con cui il senatore dell’Arizona e quello dell’Illinois hanno accettato le nomination dei rispettivi partiti per la corsa verso la Casa Bianca. Nel caso del ticket repubblicano, l’interesse quasi morboso dell’opinione pubblica nei confronti del “barracuda venuto dal freddo” ha portato, naturalmente, ad una sovraesposizione della sua performance a danno di quella di McCain. Mentre dall’altro lato della barricata, la “guerra” sotterranea del clan Clinton contro Obama aveva scatenato aspettative altissime (poi parzialmente deluse) nei confronti dei discorsi di Bill e Hillary. Ma il problema, almeno osservato da oltreoceano, non è soltanto questo. La sensazione, fortissima, è che i due candidati alla Casa Bianca - per motivi assai diversi - stiano per ora dando vita ad una campagna elettorale molto inferiore alle attese. Quello che sembra mancare sia a McCain che a Obama sembra soprattutto una “visione”coerente del futuro. Una visione come quella coltivata, almeno dopo la tragedia dell’11 settembre, dall’amministrazione Bush.

N

9 771827 881004

ISSN 1827-8817 80906

Non sa cantare, non sa recitare e non sa ballare. È stata blasfema, romantica e new age. Eppure da venticinque anni è un’assoluta star mondiale. Qual è, allora, il segreto del suo successo?

Madonna, che bluff!

s eg ue a pa gi na 4

pagine 2 e 3

Rivolta sul voto agli immigrati

Parla uno dei sacerdoti perseguitati

Lo strano caso di An e Lega contro FIni

«Io, vittima dei terroristi indiani»

di Errico Novi

di Nirmala Carvalho

di Franco Insardà

di Vincenzo Faccioli Pintozzi

«Tra me e Fini non c’è stato nessun incidente, non ci siamo sentiti perché non ce n’era bisogno, non abbiamo nulla da chiarire»: con queste parole Berlusconi commenta il gelo con Fini.

Padre Edward Sequeira è un’altra vittima delle violenze dei gruppi legati al Sangh Parivar. Lo hanno preso, legato, picchiato per oltre un’ora e poi lo hanno rinchiuso nella stanza incendiandola.

Il professor Carlo Federico Grosso, intervistato da liberal, giudica positivamente il metodo illustrato dal ministro Alfano e appoggia «una legge per la giustizia che però non tocchi la Costituzione».

Il Pakistan elegge oggi il suo nuovo presidente, dopo i nove anni della gestione Musharraf e uno fra i più feroci scontri interni che la storia del Paese ricordi. In corsa i popolari e gli islamici.

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SABATO 6 SETTEMBRE 2008 • EURO 1,00 (10,00

Il professor Grosso giudica positivamente il metodo-Alfano

«Una legge per la giustizia senza toccare la Costituzione»

CON I QUADERNI)

• ANNO XIII •

NUMERO

170 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

Il favorito è Asif Ali Zardari

Oggi il Pakistan sceglie il suo presidente

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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pagina 2 • 6 settembre 2008

Per Madonna il segreto del successo non è solo seguire le mode, ma farsi continuamente il lifting dell’anima

L’ILLUSIONISTA di Roselina Salemi

stata punk e dark rock. Liscia e anche gassata. Bionda (in varie tonalità) bruna, castana. È stata ribelle, romantica, new age. È stata sfacciata, blasfema, capricciosa. Si è fatta mettere una capsula d’oro su un dente, come nei film sui pirati, e poi l’ha tolta. Ha scritto memorie piccanti e favole per bambini. Adesso che di anni ne ha cinquanta, compiuti in agosto, e sta attenta a quello che mangia, fa jogging, adotta bambini da paesi preferibilmente disastrati rincorrendo l’insuperabile coppia Pitt-Jolie, si schiera con Obama, pratica la Kabbalah e lo watsu, Louise Veronica Ciccone, in arte Madonna, potrebbe riposarsi un po’ e lasciare agli studiosi (e agli invidiosi) il compito di spiegare

È

perché una ragazza non particolarmente bella e forse non particolarmente brava a cantare, mediocre come attrice, per non dire superflua, sia diventata un’icona mondiale e abbia persino ispirato a Salman Rushdie il personaggio di Vina Apsara nel romanzo La terra sotto ai suoi piedi. Non è per il talento, che conta, ma sempre meno. Non è per la propensione allo scandalo, che conta parecchio, ma è una tendenza ormai inflazionata. È per il marketing a breve termine, quello che inventa, stupisce, colpisce e ti ritrovi con il disco in mano prima di averci riflettuto abbastanza.

Avevi proprio bisogno di American pie? Il marketing lei ce l’ha nel Dna e il giorno che dovessero analizzarlo, scopriremmo come è fatto il gene misterioso che l’ha resa ricca e famosa. Picasso e Madonna hanno molto in comune. Tutti e due egoisti, se-

duttori, mutevoli nell’arte e nell’amore. Definibili a periodi. La differenza è che il buon Pablo non aveva una staff pagato due mi-

lioni di dollari per dirgli: «Piantiamola col periodo blu, la gente vuole qualcosa di nuovo. E se provassimo il rosa?». Madonna, invece, è stata, per istinto e per calcolo (con l’aiuto di parrucchieri, truccatori, stilisti, image maker, guide spirituali), l’interprete perfetta del mondo liquido teorizzato dal filosofo Zygmunt Bauman. Un mondo che vive di immagine e adora mille divinità. Un mondo dove il look viene prima del merito, della voce, della bellezza. Così, in mancanza di una tavolozza per i suoi periodi blu e rosa, Madonna ha santificato la Trasformazione cambiando pelle ogni volta, dimostrando che molte reincarnazioni sono possibili anche in una sola vita. Studiando le eroine planetarie e tragiche del Novecento (Marilyn ed Evita Peròn), fiutando le mode, consumandole sino alla noia e rinascendo innocente, like a virgin. Comincia da material girl, sfacciata e ammiccante con gonne corte e stivali, (19841986) per imboccare una fase punk blasfema (1987-1989) con Who’s that girl e Like a prayer che le fa perdere il contratto con la Pepsi Cola per trasformarsi in una nuova Marilyn, molto più trasgressiva (1990). Poi c’è il periodo Jean Paul Gaultier (1991): abiti-lingerie a vista, pizzi e guèpiere per «The Blond Ambition World Tour». E il documentario

A letto con Madonna una delle sue prove migliori, cinematograficamente parlando, perché non recita. Il tutto culmina con la canzone Justify my love, scritta con Lenny Kravitz, considerata talmente scandalosa che MTV la manda in video soltanto a notte fonda. Il modo migliore per venderne milioni di copie.

Dal la h it al p er i odo ho t (1992-1994). Veste Dolce &Gabbana, scrive Sex,confessioni con foto di nudo artistico, incide Erotica, lancia mutande al pubblico dei concerti, gira Body of Evidence («Il Corpo del reato»), giudicato osceno al punto da essere vietato. Il film contiene tutto l’armamentario sadomaso, candele gocciolanti, frustini, manette: è del genere torbido che ha fatto la fortuna di Sharon Stone, stravisto ormai,

È stata punk e dark rock. Bionda, bruna e castana. Ribelle, romantica e new age. Blasfema e capricciosa. Ha scritto memorie piccanti e favole. Insomma, tutto e il contrario di tutto, ma sempre con passione

Per la psicologa Anna Oliverio Ferraris il trucco è tutto nello spettacolo della trasgessione

«È una perfetta macchina che fabbrica audience» colloquio con Anna Oliverio Ferraris di Francesco Lo Dico ncarna la determinazione feroce e la fame insaziabile di successo, è votata alla fatica e persegue la fama con scientifica devozione. Madonna è una macchina che fabbrica audience, che seduce gli sguardi e tramanda il suo marchio attraverso le generazioni». Anna Oliverio Ferraris, professoressa di Psicologia dello sviluppo presso l’Università La Sapienza di Roma, e acuta scrittrice di saggi, ha di recente pubblica-

«I

to La sindrome Lolita (Rizzoli, pagg. 192, 17 euro), un testo che scandaglia i meccanismi di costruzione dell’immagine e la persuasione, occulta o sfacciata, che il sistema mediatico globale, esercita attraverso le sue icone più celebrate. Sin dalle prime battute, appare chiaro che parlare con lei di Madonna, è un’occasione troppo ghiotta. Professoressa, sulla determinazione nulla da eccepire. Il fatto è che Madonna non sa ballare, né recitare né cantare. Com’è possibile che abbia

tanto successo? La voce di Madonna è flebile e un po’ acre. Non esegue memorabili plié e nessuno la immagina neppure a sollevarsi sulle punte nella Danza del cigno. Le sue abilità recitative non ricordano la Magnani e i suoi testi non fanno certo pensare a subitanee folgorazioni da trascrivere sui moleskine. Eppure Madonna si è servita con pari successo di tutti i mezzi dello spettacolo, perché è la punta più alta dell’industria del marketing. Sono in molti ad avere se-

guito questa strada. Ma perché Michael Jackson è finito in carrozzella e lei sembra invece inossidabile? Lei, più di ogni altro, ha saputo tramutare mente e carne in un prodotto tecnologico. Ha saputo aggiornare confezione e contenuti secondo i principi vincenti del marketing hi-tech. È come un marchio di successo, che pone sempre nuovi traguardi ai suoi consumatori. In effetti ha avuto più cambi di immagine lei che go-

ma quindici anni fa ancora inesplorato.

Dopo di che basta. Vuole un figlio, perciò fine dei pizzi sexy e dei pazzi Gaultier. Passa a Versace. Diventa romantica, giusto preludio alla maternità. Madonna diva e donna, donna e mamma è tutto un altro film. Nel 1996 : nasce Lourdes Maria Ciccone Leon e comincia una fase new age destinata a culminare in un’intensa frequentazione dello yoga. Quando nel 2000 esce l’album Music, il preparatore atletico Carlos Leon, padre della bimba, è già stato liquidato a favore del più presentabile Guy Richie: e arriva il secondogenito Rocco. Nel video di Music è una signora elegante il cui accessorio più trasgressivo è un cappello da cowboy. E arriviamo alla Madonna-chic che rabbrividisce guardando le vecchie foto, fa beneficenza, è democratica, beve centrifugati di carota a e continua a sbagliare film, compreso il remake dell’ormai leggendario Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto. Le bad girl sono passate di moda, lei lo ha capito e se le è lasciate dietro. Guai ai coerenti. Una che si è rimodellata interpretando il suo tempo in un costante lifting dell’anima, una che capisce così bene la psicologia collettiva dovrebbe buttarsi in politica invece di insistere con sfiancanti e macchinosi concerti. A Schwarzenegger è andata bene.

verni l’Italia. Una vera impresa. È un’impresa che si fonda essenzialmente sulla trasgressione. Madonna ha avuto la grande intuizione di portare a compimento gli umori che fermentavano da tempo nella società dello spettacolo. È riuscita a convincere tutti che il ”sotto”è meglio del ”sopra”. Ha veicolato il principio che l’identità è rappresentata dal tipo di lingerie che indossi. Possibile, quindi, per restare in metafora, che non sbagli una mutandina? Il fatto è che la signora Ciccone è attorniata da uno staff di prim’ordine, che programma le sue tappe evolutive secondo


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La testimonianza più fedele dell’estetica di fine secolo

Il postmoderno spiegato ai bambini di Angelo Crespi on è molto alta né raffinata. Non si può dire sia bella. Molti sostengono che sia stonata, quasi tutti concordano che non sappia recitare. Eppure, da oltre 25 anni è lei l’icona della cultura pop. Più della lattina della Campbell’s Soup immortalata da Warhol e dei fumetti esaltati da Roy Liechtenstein. Madonna, cinquanta anni suonati in agosto, domani fa tappa a Roma con il suo Sticky and Sweet Tour che si preannuncia come il concerto dell’anno. Passata dalla fase romantica degli Ottanta a quella fetish di oggi, Madonna è diventata nel frattempo il sublime concentrato di tutti i cambiamenti che sono intercorsi in questi tre complessi decenni e sulla sua pelle ormai grinzosa (come viene svillaneggiata quando è extra-maquillage) sono visibili i segni del postmoderno, di quella “polutropa” capacità di cambiar segno e mischiare stili e look e sovrapporli senza perderne neppure uno. Un po’ come quelle architetture che del postmoderno sono appunto emblema, in cui si collezionano per svago i frammenti del passato e il frontespizio del tempio greco si sposa assurdamente al minimalismo del vetro e acciaio, ma non si rinuncia al barocco dei fregi di pampini e grappoli d’uva.

N

però scendere più a fondo nelle categorie della post-postmodernità, nella quale l’individuo, cioè il protagonista indiscusso della modernità novecentesca, esaltato prima da Stirner a poi da Nietsche, è giunto al tramonto, ed è sostituito da quelle che Michel Maffesolì ha acutamente definito tribù. Cioè assemblamenti di individui che non sono ancora comunità, poiché stringono tra loro solo relazioni di tipo estetico e non etico, ma che sono comunque – secondo le analisi più ottimistiche – i primi nuclei di controresistenza all’alienazione dell’io assoluto. Maffesoli spiega bene: «Oggi trionfa il multiforme, ovvero il ”provare/sentire insieme qualcosa” che è poi l’esthesis. Così l’arte, l’ascoltare una certa musica o, addirittura, guardare programmi alla televisione o andare allo stadio o ad un concerto sono alcuni aspetti di questo nuovo sentimento sociale post-razionalistico. In altre parole, oggi si vive in funzione di un gruppo, di una realtà corale, di una comunità. E, inoltre, una persona può vivere contemporaneamente varie forme di multipla partecipazione comunitaria, senza alcun diritto di esclusività. La comunità non viene intesa in senso identitario e chiuso. E la persona condivide così spazi emotivi comuni e multiformi, producendo situazioni altamente estetiche. Si va, in altre parole, verso una saturazione del concetto di autonomia personale per scivolare verso l’eteronomia, cioè verso un caos creativo e continuo. Con questa precisazione intendo dire che non si può comprendere l’arte come qualcosa di separato dall’esistenza, quasi fosse reintegrata nel quotidiano: il nostro è il tempo in cui diventa realmente possibile ”fare della propria vita un’opera d’arte”».

Alla fine, Madonna è solo frutto di quel mercato che lei contesta: passando il tempo e invecchiando, assomiglia sempre più alla Carrà di «Tuca Tuca»

i più moderni sistemi di comunicazione. Impatto sul pubblico, centimetri di pelle scoperti e gradazione del colorito vengono calcolati su algoritmi di successo pressoché infallibili. E c’è poi la sua famosa determinazione. La sua volontà, titanica perché impari al suo talento, è il motore di tutto. Ancora oggi si sottopone a faticose sedute quotidiane di training psico-fisico. Il pubblico potrebbe perdonarle tutto, tranne che vederla sfiorire. Al concerto di stasera,in prgramma a Roma, le madri si strapperanno i capelli accanto alle figlie. Per molte donne, Madonna rappresenta un modello identitario fortissimo, che spesso

compensa molte delle fragilità esistenziali tipiche dell’adolescenza o della maturità. Madonna è una star dal piglio mascolino, trasuda carisma e personalità. I suoi fan la venerano fino all’inverosimile. È un meccanismo di seduzione ben noto già dalla Hollywood degli anni ’30, che non risparmia neppure le star. I creativi di Madonna intervallano dischi ed esibizioni ai sempre più risvolti della sua vita privata. Figli, mariti e partner, non sono che propaggini della sua immagine. Espedienti narrativi che tengono sempre desta la storia di Madonna, trasformando la sua esistenza in una telenovela globale.

D’altronde Lyotard nel suo Il postmoderno spiegato ai bambini individuava nella mescolanza - mettersi profumi francesi a Milano, mangiare messicano a Tokyo, parlare inglese a Parigi - l’essenza della conteporaneità. E Madonna è questa sublime e dannata mescolanza: una donna americana dal ridicolo nome italiano che ha il coraggio di assumere come suo unico nickname “Madonna”, che occhieggia ai latinos essendo un puro prodotto dell’egemonia culturale Usa con 420 milioni di dischi venduti in carriera, che viene osannata in Giappone quanto in Germania, che è un sex symbol per i maschi, ma ama definirsi un’icona gay, anzi un’icona del mondo LGBT (l’acronimo per Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), che cambia mariti e compagne troppo di frequente per essere una star che si picca di pentimenti e improvvise crisi mistiche, che vuole stupire perfino quando chiama la figlia Lourdes Maria e dice, mentre incassa oltre 200 milioni di dollari a tour, che McCain è peggio di Hitler, essendo lei – detto per inciso – una fiera liberal obamiana. Per capire il successo di Madonna occorre

E in questo delirio dionisiaco, Madonna ha anticipato tutti nel fare delle propria vita un’opera d’arte, con un’intensità e un vitalismo che Oscar Wilde appare un infante. I milioni di fan nei suoi modi si riconoscono a momentaneamente intorno al suo corpo muscoloso e androgino, allevato tra palestra e anoressia, si assembrano e trovano quel minimo di identità tribale che l’individualismo metodologico del mercato apparentemente sottrae loro. Peccato che alla fine Madonna sia proprio e solo frutto di quel mercato che lei contesta. In fondo, passando il tempo e invecchiando, Madonna assomiglia sempre più alla Carrà di Tuca Tuca.


usa 2008

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John McCain e Barack Obama stanno conducendo una campagna elettorale al di sotto delle aspettative

Rimpiangeremo Bush? di Andrea Mancia segue dalla prima Nei più recenti sondaggi sull’indice di popolarità del presidente in carica, George W. Bush oscilla malinconicamente tra il 28 per cento (Fox News) e il 33 per cento (Cnn). Si tratta, storicamente, di un risultato ai limiti del disastroso, vicino a quelli ottenuti - sempre a fine mandato - da Richard Nixon e Jimmy Carter. Il giudizio finale sugli otto anni di Bush Jr. alla Casa Bianca, però, non sarà espresso da un campione di cittadini selezionato (non sempre a regola d’arte) dagli istituti di ricerca, ma dalla storia. Bush, dopo l’11 settembre, si è trovato a fronteggiare una crisi devastante, per gli Stati Uniti e per tutto l’Occidente. Si possono discutere il merito, la forma e la sostanza delle sue reazioni di fronte agli eventi. Ma non si può negare che dietro alle sue prese di posizione ci sia stata una visione precisa della storia, delle relazioni internazionali e del ruolo militare e geopolitico della nazione americana.

Gli osservatori più disattenti hanno creduto alla favoletta del “complotto neocon”, contemporaneamente sottovalutando e sopravvalutando il ruolo di questa “scuola di pensiero”(sarebbe meglio chiamarli “gruppo di intellettuali”) nei meccanismi di formazione delle decisioni nella catena di comando statunitense. Ma non c’è dubbio che dietro a tutte le mosse americane sullo scacchiere internazionale - dal ripudio del multilateralismo-ad-ogni-costo all’utilizzo “politicamente scorretto” della forza (e della minaccia) militare - ci fosse un’idea chiara ed inequivocabile sul destino e sul

ton parlò di «un’idea nata con una rivoluzione e rinnovata attraverso due secoli di sfide», di un «lungo ed eroico viaggio dell’America che non deve arrestarsi mai» e di un’America pronta ad agire «quando i suoi vitali interessi sono minacciati, o la volontà e la consapevolezza della comunità internazionale vengono meno, con diplomazia pacifica se possibile, con la forza se necessario». E tornando indietro nel tempo ci viene in soccorso soprattutto Ronald Reagan, ma anche Harry Truman e John F. Kennedy. Perfino Franklin D. Roosevelt, se facciamo finta di dimenticare quanti

l’eccezionalismo americano, soprattutto nel Vecchio Continente, se ne possono trovare a bizzeffe. E in genere si dividono tra“anti-americani espliciti” e “anti-americani mascherati” (meglio, molto meglio i primi). Ma a chi sta già festeggiando l’imminente fine del mandato di George W. Bush ci viene spontaneo rivolgere una domanda: siete proprio certi che John McCain e Barack H. Obama hanno qualcosa di meglio da offrire al mondo? Nel discorso che ha concluso la convention repubblicana di cui in questa pagina pubblichiamo uno stralcio - John McCain ha almeno rassicurato i cittadini americani (e non so-

lo) che continuerà la politica di aggressivo “contenimento” degli estremismi e dei fondamentalismi portata avanti dal suo predecessore. Ma è anche vero che, per sfuggire ai bassissimi indici di gradimento della Casa Bianca, la sua campagna elettorale è stata un tentativo continuo di “dissociarsi” dall’eredità dell’amministrazione Bush. E anche nel discorso di giovedì Old Mac ha insistito molto di più sulla sua figura di “maverick” in politica interna piuttosto che sulla sua visione di un ordine globale internazionale. Una cosa emerge con forza: McCain combatterà senza sosta. Ma perché e per cosa? Quello che emerge dai discor-

buttava i vostri soldi in cose inutili e che neanche volevano, mentre voi faticate per fare la spesa, pagare gas e mutuo. Ho combattuto gli accordi disonesti all’interno del Pentagono. Ho combattuto le compagnie di tabacco e gli avvocati, le compagnie farmaceutiche e i capi sindacalisti. Ho combattuto per una giusta strategia e per mandare più truppe in Iraq, quando non era una cosa popolare da fare. E quando gli esperti hanno detto che la mia campagna era finita, ho risposto che avrei preferito perdere un’elezione piuttosto che vedere il mio paese perdere la guerra (...).

sconfitta che avrebbe demoralizzato le nostre forze armate, insinuato il rischio di una guerra più grande e messo in pericolo la sicurezza di tutti gli americani. (...) Non ho paura delle battaglie giuste. Per ragioni che solo Dio sa, ne ho combattute di ardue in vita mia. Ma ho imparato una lezione importante. Alla fine, non importa che tu sappia combattere. È quello per cui combatti il vero test. (...) Ho combattuto per ristabilire l’orgoglio e i principi del nostro partito. Eravamo stati eletti per cambiare Washington, e abbiamo lasciato che Washington ci cambiasse. Abbiamo perso la fiducia degli americani quando alcuni Repubblicani si sono lasciati tentare dalla corruzione. Abbiamo perso la loro fiducia quando invece di riformare il governo, entrambi i partiti lo

Ai due candidati in corsa per la Casa Bianca sembra mancare quella “visione” sul ruolo dell’America nel mondo che, almeno dopo l’11 settembre, l’amministrazione Bush ha avuto ruolo di quella che John Winthrop - ormai quasi 400 anni fa chiamava «la città sulla collina». Il nocciolo duro di questa dottrina, che molti definiscono “eccezionalismo americano”, non nasce con Bush e non scomparirà con la fine del suo secondo mandato. Nel discorso inaugurale della sua presidenza, il 20 gennaio 1993, Bill Clin-

Il discorso del candidato Gop

danni ha prodotto alla libertà di mercato. Bush Jr. è stato soltanto l’ultimo esponente di una lunga striscia di presidenti, nata forse addirittura prima di Woodrow Wilson, che hanno creduto nell’importanza - nella necessità, anzi - del ruolo americano nell’espansione della libertà e della democrazia. Ora, di critici alla dottrina del-

on ci sono più dubbi amici, vinceremo queste elezioni. E dopo che avremo vinto tenderò le mani ad ogni patriota che voglia che questo governo ricominci di nuovo a lavorare per voi, e riportare questo paese sulla strada della pace e della prosperità. (...) Sapete che sono stato definito un cane sciolto¸ uno che fa di testa sua. A volte è inteso come complimento, a volte no. La verità è che io capisco per chi lavoro. Non lavoro per il partito. Non lavoro per interessi speciali. Non lavoro per me. Lavoro per voi. (...) Ho combattuto la corruzione, e non aveva importanza che i colpevoli fossero Repubblicani o Democratici. Avevano violato la fiducia dei cittadini, e dovevano essere considerati responsabili. Ho combattuto chi in entrambi i partiti sperperava denaro, chi

N «Combatto

per voi, combattete insieme a me» di John McCain

Grazie alla leadership di un brillante generale, David Petreaus, e gli uomini e le donne coraggiose che ha avuto l’onore di comandare, la strategia ha funzionato e ci ha salvato dalla


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Il maestro dei legal thriller, Scott Turow, parla del futuro politico degli Stati Uniti

«Meglio Obama, ma l’importante è guidare il cambiamento» colloquio con Scott Turow di Alfonso Francia

MANTOVA. «Come me è originario di Chicago, si è

si - e dalla breve esperienza politica - di Barack H. Obama, invece, è ancora più sconfortante. Piacerà forse ai “multilateralisti di professione” di casa nostra, ma - se applicata - la sua dottrina rischia di lasciare sola l’Europa in mezzo al caos mondiale. Non dimentichiamoci che, prima di essere richiamato all’ordine dai suoi strateghi elettorali - Obama aveva addirittura dichiarato di essere disposto ad incontrare («senza precondizioni») i più feroci e sanguinari dittatori del pianeta. Un cocktail con Ahmadinejad? Perché no. Siamo proprio sicuri che, tra qualche mese, non ci troveremo a rimpiangere George W. Bush?

hanno allargato. (...) Riconquisteremo la fiducia della gente sostenendo di nuovo i valori che il popolo americano ammira. Il partito di Lincoln, Roosevelt e Reagan, tornerà alle origini. (...) Crediamo in tasse basse, nell’investire nella disciplina, e nel mercato aperto. Crediamo nella retribuzione del duro lavoro e nelle persone che rischiano, e nel lasciare alla gente il frutto del loro lavoro. Crediamo in una forte difesa, in un duro lavoro, nella fede, nei servizi, nella cultura, nella responsabilità individuale, nella legge, nei giudici che dispensano giustizia imparzialmente. Crediamo nei valori della famiglia, nei vicini e nelle comunità. Crediamo in un governo che dà campo libero alla creatività e alle iniziative degli americani. Un governo che non prende decisioni al posto vostro,

laureato ad Harvard, è avvocato e scrive libri, e siamo grandi amici; secondo voi per chi dovrei votare alle prossime elezioni presidenziali?» A volte ricoprire incarichi di prestigio può rivelarsi un imbarazzo. Il romanziere Scott Turow, inventore del legal thriller con il best seller “Presunto innocente”, è attualmente presidente della Commissione etica dello Stato, istituita da una legge scritta dal senatore Barack Obama. Proprio per questo non può appoggiare esplicitamente il candidato dell’Illinois. Ma lo scrittore americano, fermato durante la sua venuta al Festivaletteratura di Mantova, non ha difficoltà a esprimere le sue opinioni sulla politica americana, quasi divertito dal fatto che in Italia ci si preoccupi più dei suoi sentimenti nei confronti dell’amministrazione Bush che della sua attività letteraria. Secondo lei la vittoria di McCain potrebbe fermare il processo di rinnovamento che il popolo americano sembra desiderare? Se vincerà Obama gli Stati Uniti diventeranno nuovamente una terra di promesse e realizzazione dei propri ideali. Credo comunque che, chiunque sarà il prossimo presidente americano, le politiche portate avanti in questi otto anni saranno abbandonate. Ad esempio sia McCain che Obama hanno spiegato di essere contrari alle basi di Guantanamo, che verranno chiuse in tempi brevi. Gli elettori hanno dimostrato un desiderio di cambiamento che comunque verrà rispettato. Le piace l’immagine che l’America sta dando di sé con queste elezioni presidenziali? Penso che abbiamo dato una buona prova di democrazia. Nel campo repubblicano le primarie sono state vinte dal candidato più moderato e flessibile, mentre in quello democratico abbiamo assistito allo scontro tra una donna e un afroamericano. In generale, le ele-

zioni hanno dimostrato la capacità degli Stati Uniti di allontanarsi da concetti e idee superate e dall’ideologia dell’amministrazione Bush. Che ruolo pensa rivestirà l’America nei prossimi anni: continuerà a essere il poliziotto del mondo? Di certo continueremo a emergere come forza militare dominante. Oggi le cose sono diverse rispetto a quando ero un ragazzo. Allora c’era un’altra potenza di pari peso, l’Urss, che limitava l’azione americana. Oggi, militarmente parlando, gli Usa possono fare quello che vogliono. Certo il ruolo di poliziotto del mondo è molto complicato, occuparsi della sicurezza degli altri Paesi può portare a gravi errori. Per intenderci, bloccare il genocidio in atto in Kosovo è stato giusto, ma l’attacco all’Iraq credo si sia rivelato un errore. L’ha capito anche il popolo americano, che è molto sensibile quando si tratta di proteggere quel che è nel suo interesse. La cittadinanza sta cambiando opinioni su molti temi, anche sulla pena di morte; l’introduzione della prova del dna ha dimostrato che molti innocenti sono stati mandati al patibolo e questo fa riflettere. Lei ha lavorato a un libro sulla pena di morte e ha scritto un romanzo dedicato alla Seconda guerra mondiale. Le aule di giustizia dei suoi legal thriller non la interessano più? Vivo un periodo nel quale mi sento libero di esplorare altri temi e altri generi letterari: di recente ho scritto un’opera teatrale e un libro di racconti, ma non ho abbandonato le avventure dei miei avvocati. Infatti in questo periodo sto lavorando al sequel di “Presunto innocente”. L’idea è nata quasi per caso. Avevo scritto un appunto in cui pensavo a un uomo seduto su un letto, accanto al quale c’era il cadavere di una donna. Ad un certo punto mi sono detto: «Ma quest’uomo è Rusty Sabic!» (il procuratore distrettuale protagonista di “Presunto Inocente”). Così è cominciato tutto.

Nella foto in alto, il presidente degli Stati Uniti d’America, George W. Bush. A fianco, lo scrittore Scott Turow. In basso a sinistra, il candidato repubblicano alla Casa Bianca, John McCain

ma che lavora e si assicura che abbiate più scelte da prendere da soli (...). In America, cambiamo le cose che hanno bisogno di essere cambiate. Ogni generazione dà il suo contributo alla nostra grandezza. Il lavoro che tocca a noi fare, è chiaro davanti a noi. Non abbiamo bisogno di cercarlo. Dobbiamo cambiare il modo in cui il governo fa quasi praticamente tutto: dal modo in cui proteggiamo la nostra sicurezza al modo in cui competiamo nell’economia mondiale; dal modo in cui rispondiamo ai disastri al modo in cui riforniamo le nostre reti di trasporto; dal modo in cui addestriamo i nostri lavoratori al modo in cui educhiamo i nostri figli. Tutte le funzioni del governo sono state disegnate prima del sorgere della globalizzazione, della rivoluzione informatica e della fine della Guerra Fredda.

Saremo ancora una potenza dominante, ma non più con il ruolo di poliziotto del mondo

Dobbiamo stare al passo con la storia, e dobbiamo cambiare il modo in cui facciamo affari a Washington (...). Mi sono innamorato del mio paese quando ero prigioniero in un altro. Non l’ho amato solo per i tanti comfort che offre e per lo stile di vita. L’ho amato per la sua correttezza; per la sua fede nella giustizia, per l’onestà e la bontà della sua gente. L’ho amato perché non era solo un luogo, ma un’idea, una causa per la quale valeva la pena combattere. Non sono stato più lo stesso. Non appartenevo più a me stesso. Appartenevo al mio paese. (...) Non corro per la presidenza perché penso di avere la fortuna di essere così grande che la storia mi abbia consacrato per salvare il nostro paese nel momento del bisogno. Il mio paese mi ha salvato. Il mio paese mi ha salvato,

e io non lo dimentico. E combatterò per lui fino all’ultimo respiro, quindi Dio aiutami.

Se trovate difetti al nostro paese, rendetelo migliore. Se siete delusi dagli errori del governo, raggiungete le sue fila e lavorate per correggerlo. Arruolatevi nelle forze armate. Diventate insegnanti. Entrate a far parte dei ministeri. Candidatevi a cariche pubbliche. Sfamate un bambino affamato. Insegnate ad un adulto che non sa farlo a leggere. Consolate gli afflitti. Difendete i diritti degli oppressi. Il nostro paese sarà migliore, e voi sarete più contenti. Perché niente dà più felicità che servire una causa che è più grande di te (...). Combatterò per la mia causa ogni giorno della mia vita come presidente. Combatterò perché ogni americano abbia tutti i motivi per rin-

graziare Dio, come io lo ringrazio: di essere americano, un cittadino fiero del più grande paese al mondo, e col duro lavoro, grande fede e poco coraggio, le grandi cose sono sempre possibili. Combattete con me. Combattete per ciò che è giusto per il vostro paese. Combattete per gli ideali e il carattere di un popolo libero. Combattete per il futuro dei nostri figli. Combattete perché tutti abbiano uguale giustizia e pari opportunità. Alzatevi per difendere il nostro paese dai nemici. Alzatevi per supportarvi l’uno con l’altro; per un’America bella, benedetta e ricca. Alzatevi, alzatevi, alzatevi e combattete. Qui, niente è inevitabile. Siamo americani, e non molliamo mai. Non ci arrendiamo. Non ci nascondiamo dalla storia. Noi facciamo la storia. Grazie e che Dio vi benedica.


politica

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Ora il premier è più forte

L’autogol di Veltroni di Susanna Turco unico punto che Walter Veltroni ha segnato negli ultimi tempi a favore del Pd è un paradosso. Stretto tra il populismo dell’Idv e il centrismo dell’Udc, messo davvero in difficoltà nel compito di trovare una identità politica per il suo partito, l’ex sindaco ha escogitato per il rientro dalle vacanze una mossa laterale, tipicamente veltroniana. Recuperare, da sinistra, una proposta - quella del voto amministrativo agli immigrati - avanzata cinque anni fa da uno dei leader del centrodestra e provare a farne il volano per il rilancio. Era un modo scaltro per evidenziare le contraddizioni del Pdl e, anche, dare la prova di una iniziativa autonoma, dialogante ma spiazzante, non schiacciata sul dipietrismo ma nemmeno sul centrismo. Risultato? Il dialogo è andato a sbattere alla prima curva. E, cosa ancora più importante, a farsi male è stato uno dei più popolari e accreditati successori di Silvio Berlusconi. Già perché, nel momento stesso in cui Gianfranco Fini ha svolto quello che ha poi definito un «ragionamento culturale» sull’opportunità di un voto agli immigrati, si è tirato addosso tutti i no a quella proposta che erano già abbondantemente emersi da parte della Lega (ma anche nella stessa An). D’altra parte, il passetto che il presidente della Camera, alla festa del Pd, ha fatto fuori dal felpato ruolo istituzionale, è suonato come un campanello d’allarme per Silvio Berlusconi. Sconfessare Fini, infatti, per il Cavaliere è stato facilissimo. Non ha dovuto far altro che coniugare la tradizionale propensione a spalleggiare la Lega nelle contese interne al centrodestra, con l’altrettanto radicata avversione nei confronti di tutto ciò che si muove in vista del «dopo se stesso». Per il premier, la casella del successore deve restare bianca: chiunque ragioni come uno che aspira a occuparla va rimesso al suo posto. Così, va a finire che segnando un punto a favore del Pd, Walter Veltroni ha finito per rafforzare la leadership berlusconiana. Senza, peraltro, allentare di un passo l’accerchiamento dei D’Alema e dei Marini e di quanti lo invitano a passare a un partito meno «fru fru».

L’

Berlusconi minimizza ma il presidente della Camera è chiuso nell’angolo

Lo strano caso di An e Lega in rivolta contro Fini di Errico Novi

ROMA. Un esempio? Prendete Gianfranco Torri, senatore neoeletto della Lega. Uno qualsiasi, un nome sconosciuto alla grande platea romana. Definisce l’apertura di Fini sul voto agli immigrati una «stravaganza». Mette in guardia colleghi e alleati da quello che per lui è «l’inciucio tra la terza carica dello Stato e il Partito democratico». Se a qualcuno della maggioranza viene voglia di fare un po’ il tiro al bersaglio, la cosa più semplice è mirare al presidente della Camera. Tanto è innocuo, praticamente impossibilitato a replicare. Ignazio La Russa ha il tono benevolo quando dice, dai microfoni di Radio Radicale, che quell’apertura alle richieste veltroniane «è stata pronunciata da Fini nella sua veste super partes, ed è toccato a noi dire che questo non è al momento un tema prioritario». Sembra davvero troppo alto il prezzo da scontare, per il presidente della Camera. Di fatto così è disarmato, costretto nel ruolo e nello stesso tempo svuotato di autorevolezza come candidato alla futura leadership. La sensazione è accentuata dalla freddezza berlusconiana. Dopo lo stop imposto giovedì, il premier ieri ha liquidato il caso senza nessun particolare sforzo diplomatico: «Tra me e Fini non c’è stato nessun incidente, non ci siamo sentiti perché non ce n’era bisogno, non abbiamo nulla da chiarire». Non sembra questo il clima ideale in cui può maturare una successione. D’altronde due osservatori del calibro di Gianni Baget Bozzo e Angelo Panebianco, interpellati da liberal, tendono a ridimensionare l’allarme. «Fini ha fatto

una scelta, si è defilato per lasciare spazio a Berlusconi e al governo», sostiene don Gianni, «non vuole interferire e nel caso specifico ha cercato di cavarsela, di conciliare la sua antica proposta sulla concessione del voto agli immigrati con la realtà di oggi». Il riferimento è alle condizioni enumerate dalla terza carica dello Stato alla festa del Pd: «Il lavoro regolare, il pagamento delle tasse, la possibilità di dimostrare che si risiede in Italia da un certo numero di anni». Prudenza e ragionevolezza, d’accordo. Sono le qualità necessarie per fare il presidente della Camera. Ma sono

un episodio del genere, né in positivo né in negativo.Tanto più che sull’argomento Fini si è trovato in minoranza nel suo stesso partito già in passato».

Il fattore tempo è importante. Perché è sulla lunga distanza che si può valutare il prestigio acquisito dal presidente della Camera, come dice don Gianni, e perché i rapporti politici all’interno del centrodestra avranno sicuramente un’evoluzione complessa, come ricorda Panebianco. Ma dalle vicende di questi ultimi giorni si capisce anche che, nel dibattito interno alla maggioranza, Fini si troverà in una posizione molto impegnativa. Obbligato da una parte a enfatizzare il più possibile la sua vocazione bipartisan, per allontanare il più possibile da sé l’ombra del passato. E chiamato, dall’altra, a non rendere il suo profilo troppo sbiadito rispetto agli altri big. Un’alchimia che non sembra essergli riuscita perfettamente, nel passaggio sul voto agli immigrati. E che in ogni caso non si combina facilmente con un assetto interno in cui Berlusconi è sempre più libero da qualsiasi contrappeso, in una posizione ogni giorno più dominante e decisiva. Così ha scelto di governare il Pdl, così lo stesso Fini ha voluto che andassero le cose. Berlusconi ha lo scettro saldamente in mano, sia rispetto alla conduzione del governo sia, come dice Panebianco, relativamente al futuro della sua coalizione. Non è facile immaginare con questi presupposti che Fini possa maturare la legittimazione necessaria davanti agli elettori.

Baget Bozzo: «Gianfranco non poteva fare ombra a Silvio: aspetta la sua stella». Panebianco: «Sulla successione saranno decisivi il rapporto con il Carroccio e la volontà del premier» compatibili con l’ambizione di guidare il futuro centrodestra? Per Baget Bozzo «Gianfranco aspetta la sua stella. E intanto guadagna prestigio e non si contamina con la politica».

Angelo Panebianco vede un percorso ancora troppo lungo perché si possano giudicare le singole tappe: «Una cosa è prendere atto di un incidente, altro è il discorso della futura leadership. Che è legato alla capacità di farsi accettare dalla parte maggioritaria del Popolo della libertà e di mantenere saldo il rapporto con gli alleati, cioè con la Lega. E poi peseranno le decisioni di Berlusconi. Non riesco a vedere nulla di particolarmente significativo in


politica ROMA. «Il ministro Alfano ha annunciato che la grande priorità della giustizia italiana è quella di restituire tempi ragionevoli e certezza ai processi civili e penali, ponendo il cittadino al centro dell’azione riformatrice. Su questo sono completamente d’accordo». Il professor Carlo Federico Grosso sintetizza così la due giorni organizzata dall’Udc che ha visto confrontarsi magistrati, avvocati e politici. Lei ritiene, quindi, che si possa arrivare a una riforma condivisa? Credo poco a una eventualità del genere. La riforma la deve preparare la maggioranza, all’opposizione tocca il compito di discuterla, proporre emendamenti e sostenerla nel caso la ritenga corretta. Sulla proposta del ministro della Giustizia Angelino Alfano lei, comunque, concorda? Sì. Il ministro ha parlato di una legge ordinaria che riformi la giustizia civile e quella penale, per renderle più efficienti. Se la priorità è questa, allora dico bravo ministro. Ha qualche dubbio che, invece, non siano questi gli obiettivi? Quando quest’estate il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, parlava di riforme pensava a tutt’altro. Si riferiva alla separazione delle carriere dei magistrati, alla riforma del Consiglio superiore della magistratura e all’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Ecco, se queste sono le priorità sono perplesso. Una cosa è modificare una legge ordinaria, altro è intervenire sugli articoli della Costituzione. In che senso? I piani sono completamente diversi. Quando si pensa a una modifica costituzionale bisogna valutare se la cosa si armonizza con l’intero complesso della Costituzione. Non ho posizioni ideologiche. Tutto si può fare, ma sono necessari tempi diversi e prudenza. Nello specifico ritiene sia corretto pensare all’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale? Bisogna uscire da un equivoco e dall’ipocrisia di base che c’è dietro questa argomento. Mi spiego meglio. Si dice: siccome i pm hanno migliaia di procedimenti che non riescono a smaltire scelgono arbitrariamente quelli sui quali indagare. Ma questo è vero. Sì. Ma la soluzione non è quella di abolire l’obbligatorietà dell’azione penale che è una garanzia di uguaglianza per tutti i cittadini. Occorre ridurre i carichi di lavoro per i pubblici ministeri e depenalizzare molti reati. Non dimentichiamo il principio illuministico del dirit-

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Riforme/1. Il professor Grosso giudica positivamente il metodo illustrato da Alfano

«Una legge per la giustizia senza toccare la Costituzione» colloquio con Carlo Federico Grosso di Franco Insardà

Il professore Carlo Federico Grosso è stato uno dei relatori del seminario sulla giustizia organizzato dall’Udc a Roma to penale come estrema ratio. Non c’è bisogno di modificare un dettato costituzionale, basta una legge ordinaria. Quindi la strada imboccata dal ministro Alfano è giusta? Il ministro ha tracciato un metodo, poi occorre entrare nel merito e a quel punto i tecnici dovranno fare un buon lavoro. Il problema principale sarà quello di rendere efficiente il sistema giudiziario nonostante i tagli previsti in Finanziara per tutti i settori della pubblica amministrazione, giustizia compresa. Le riforme non si fanno a costo zero e le strutture giudiziarie vanno rafforzate. A proposito di tempi lunghi e carichi eccessivi per gli uffici giudiziari, in un’intervista di qualche giorno fa, il ministro Alfa-

no si è detto pentito di aver votato a favore dell’indulto. È d’accordo. L’indulto è stata una follia du-

si discute da parecchio è quello della separazione delle carriere. Il problema vero è mantenere l’indipendenza dei pubblici ministeri dalla politica, altrimenti il sistema si indebolisce. E sulla riforma del Csm? Non riesco a comprendere perché bisogna cambiare. L’unico ragione che può avere un fondamento è che oggi troppe decisioni sono condizionate dalle correnti della magistratura. Ma se si cambiano i crite-

Separazione delle carriere, modifiche del Csm e obbligatorietà dell’azione penale non sono prioritari. Quando si pensa di cambiare la Carta è necessaria molta prudenza plice. Non era mai stato applicato per entità di pena così elevate e non era mai successo che non fosse seguito anche da un provvedimento di amnistia. Il risultato lo verifichiamo quotidianamente nelle udienze. Si celebrano ugualmente i processi soltanto per dichiarare che per quel reato si applica l’indulto. Se non è follia questa... Altro argomento sul quale

ri di scelta dei componenti e aumentando quelli designati dalla politica, non si fa altro che spostare il problema. Non saranno più le correnti dei magistrati a decidere, ma direttamente quelle della politica. Il Csm così da strumento di diventerebbe autogoverno uno di eterogoverno. Allora, secondo lei, che cosa si dovrebbe fare?

Inserire dei meccanismi che indeboliscano il peso delle correnti, modificando il sistema di elezione dei magistrati. Da qualche mese quando si parla di giustizia il pensiero corre veloce alle intercettazioni. Si tratta di uno strumento fondamentale di indagine. Non bisogna però abusarne, ma sarebbe una pazzia pensare di vietarle per reati gravi come, ad esempio, la corruzione. Problema diverso è quello legato alla divulgazione attraverso la stampa. Che cosa si deve fare? È indispensabile salvaguardare la privacy di chi è estraneo al processo. I magistrati dovranno depositare soltanto quelle intercettazioni rilevanti per il dibattimento: a questo punto sarebbe abnorme vietarne la diffusione. Esiste un principio fondamentale di controllo dell’opinione pubblica sulle indagini in corso. È un nodo fondamentale della democrazia. Ma la riforma, secondo lei, si farà? Le cose dette da Alfano al seminario di Roma sono condivisibili. Spero che il ministro non cambi obiettivo.


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nessuno tocchi abele

Uno dei sacerdoti sfuggiti al massacro dei fondamentalisti indù racconta in prima persona l’odio che ha colpito la comunità cristiana dell’Orissa e dell’India intera

«Io,vittima dei terroristi» di Nirmala Carvalho - AsiaNews adre Edward Sequeira è un’altra vittima delle violenze dei radicali indù nello Stato orientale dell’Orissa, che lui non esita a definire “terroristi”. I gruppi legati al Sangh Parivar lo hanno preso, legato, picchiato per oltre un’ora e poi lo hanno rinchiuso nella stanza incendiandola. In un’intervista raccolta dall’agenzia AsiaNews, padre Edward parla della sua drammatica esperienza e di Rajni Majhi che, legata, era stata but-

P

le comunità rurali dell’India, si preferisce avere il figlio maschio; i genitori hanno magari più di 4 o 5 figlie femmine prima che nasca loro il maschio. E così, queste ragazze molto difficilmente vengono mandate a scuola, spesso finiscono per pascolare le mucche, o sono mandate come serve presso qualche proprietario terriero. Molte di esse soffrono di malnutrizione. Per questo ho dato il via a un ostello-orfanotrofio per ragazze, per dare loro una possibilità

L’odio contro il cristianesimo e contro lo sviluppo delle persone è ciò che spinge i gruppi radicali indù a distruggere la presenza dei cristiani e delle loro istituzioni. Compresi gli orfanotrofi tata nelle fiamme, morendo carbonizzata. Le prime informazioni parlavano di lei come una suora, poi di una missionaria laica. padre Edward spiega che la ragazza era una delle tante ragazze orfane che lui aveva salvato e che viveva e collaborava con lui nell’orfanotrofio da lui fondato. Mentre parla di lei, padre Edward non riesce a trattenere le lacrime e scoppia in singhiozzi. La folla dei fanatici forse pensava che Rajni fosse una delle tante conversioni forzate che essi attribuiscono la cosiddetto “proselitismo cristiano”. «Era solo una semplice ragazza indù – dice il sacerdote – che stava prendendo la licenza superiore. Sento ancora nelle orecchie la sua voce: Padre, mi vogliono bruciare viva! Queste sono le ultime parole che ho percepito, dopo ho perso conoscenza… La sua morte è la ferita più profonda nel mio cuore».

I fondamentalisti indù da tempo diffondono una campagna contro le conversioni cristiane e la loro opera di evangelizzazione. Per padre Edward, 58 anni, il suo impegno di missionario è un’opera per la dignità della persona. «Negli ultimi 10 anni ho sempre lavorato affianco a i lebbrosi a Padampur, nel distretto di Bargarh. A un centro punto mi sono scontrato con questo problema: nel-

di crescita e di dignità, attraverso la scuola e l’addestramento professionale. Una di queste ragazze era proprio Rajni Majhi, nata da una famiglia indù che avendo già 5 o 6 figlie, l’ha concessa in adozione a un’altra famiglia di tribali indù, che non avevano figli. Quando questa famiglia adottiva è riuscita ad avere figli propri, hanno cominciato a trattare male e discriminare la povera Rajni. Per questo motivo, 4 anni fa lei è venuta al mio orfanotrofio e dopo pochi mesi scoppiava di vita e di gioia. Le ragazze più piccole la chia-

mavano “nanni” (sorella maggiore) e oltre a studiare, Rajni era un po’ come la responsabile delle ragazze. Tutti questi programmi di sviluppo – dalla cura dei lebbrosi ai Dalit – sono tutti a servizio degli indù. Ho lavorato in Orissa per 25 anni e non ho mai convertito neanche una persona al cristianesimo.

L’odio contro il cristianesimo e contro lo sviluppo delle persone è ciò che spinge i gruppi radicali indù a distruggere la presenza dei cristiani e delle loro istituzioni. «Chi dice che terroristi sono solo quelli che piazzano bombe o portano armi? Ciò che succede in Orissa è un attacco terrorista. Cos’altro sono questi membri della Sangh Parivar, che hanno licenzia di uccidere, distruggere e schiacciare i loro concittadini? Sui cristiani del distretto di Kandhamal si è scatenata un’azione di puro terrorismo». padre Edward ricorda quanto gli è successo: «Lunedì 25 agosto, intorno all’1.30, stavo pranzando quando qualcuno bussa alla porta. Apro e c’è una folla di 500 persone che domanda “Chi è il prete?”. In questo non vi era nulla di strano: spesso la gente viene da me e mi chiede di accompagnare qualche persona all’ospedale con la mia auto. Quando mi sono presen-

tato, hanno tirato fuori tutte le armi che avevano – asce, falci, lance, sbarre di ferro – e hanno cominciato a colpirmi. Trascinandomi fuori, nel cortile dell’orfanotrofio, mi colpivano gridando: Bajrang Bali Ki Jai! Yesu Christi Murdabada! Lode al Signore Hanuman [il dio indù, col volto di scimmia – ndr]! Distruggete, eliminate Gesù Cristo! Gli estremisti mi hanno malmenato per almeno un’ora (padre Edward ha ancora oggi ecchimosi su tutto il corpo e 5 ferite alla schiena, ndr). Poi sono entrati nella mia stanza, hanno raccolto tutti i vestiti e i libri e li hanno ammucchiati al centro, vi hanno versato sopra kerosene, olio e alcuni bastoni di gelatina che avevano portato con loro, mi hanno spinto nelle fiamme e hanno chiuso la stanza dall’esterno».

«Rimanendo stranamente calmo – forse mi ha aiutato il Signore – sono andato nel bagno e mi sono chiuso dentro, mentre la stanza era avvolta dalle fiamme e da un fumo denso. Sentivo la folla che gridava slogan anti-cristiani. Alcuni di loro erano andati sul tetto per bruciare il garage. Intanto il bagno dove ero nascosto si era riempito di una spessa coltre di fumo. Era tutto buio, e mentre i miei polmoni respiravano il fu-

mo, ero preoccupato per i bambini e le bambine dell’orfanotrofio. Intanto, i bambini e Rajni, che avevano assistito alla folla che mi assaliva, erano entrati nell’orfanotrofio e avevano sbarrato la porta dall’interno. Ma alcuni uomini, dal tetto, sono riusciti a penetrarvi dentro e hanno trascinato Ranji all’esterno, insieme ai bambini. Molti di loro sono fuggiti. Ma quei criminali hanno legato Ranji e dopo aver fatto un falò nella stanza dell’orfanotrofio,

Le adesioni alla manifestazione del 10 settembre davanti a Montecitorio contro il martirio dei cristiani in India

Anche Rutelli parteciperà alla fiaccolata Aderisco calorosamente all’appello di liberal e di Ferdinando Adornato, augurando che susciti ampia ripercussione nella opinione pubblica. Giulio Andreotti senatore a vita Aderisco convintamente alla fiaccolata indetta da Ferdinando Adornato e da liberal per esprimere solidarietà a tutte le vittime del fanatismo e delle persecuzioni religiose nel mondo. Le tragiche notizie

giunte nelle scorse settimane dall’India devono farci riflettere, una volta di più, sul valore universale della tolleranza e sul diritto inalienabile di professare liberamente la propria fede. L’appello del Santo Padre per una cessazione immediata delle violenze contro i Cristiani e contro tutti coloro che si trovano perseguitati per motivi religiosi non si deve sottovalutare: c’è un rischio - indifferenza verso i pericoli crescenti del fanatismo e dell’odio con

motivazioni religiose. La più larga democrazia del mondo, l’India, deve sentire la responsabilità che spetta ad una nazione che ha grandi meriti, che sulle orme di Gandhi ha costruito una nuova potenza economica senza però mai smentire i suoi fondamenti di pluralismo politico e religioso. Mi auguro che alla manifestazione indetta da Ferdinando Adornato partecipino molti cittadini, per esprimere solidarietà verso chi perde la vita

o la libertà per professare il proprio credo cristiano, così come le convinzioni in altre religioni. Francesco Rutelli senatore e presidente Copasir Cristiani perseguitati come 2000 anni fa. La persecuzione rappresenta il paradosso cristiano per eccellenza, dal momento che è espressione delle beatitudini evangeliche. Il tempo del martirio, fino all’effusione del sangue, per i cri-


nessuno tocchi abele

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Parla il direttore della rivista dei Focolari

«Per salvare i cristiani serve anche il dialogo» colloquio con Michele Zanzucchi di Francesco Rositano

l’hanno gettata nelle fiamme. Con le loro lance, falci e altre armi la costringevano a rimanere fra le fiamme». Qui padre Edward scoppia a piangere. Quando si riprende aggiunge soltanto: «Rajna era una ragazza così semplice, aveva davanti a sé il futuro… Ora la mia preoccupazione è di aiutare gli orfani. Questi bambini hanno assistito al rogo. Non riesco nemmeno ad immaginare i loro traumi: saranno spaventati per tutta la vita».

stiani del mondo non soltanto perdura, ma addirittura si intensifica ed estende. In questi giorni lo Stato dell’Orissa in India è teatro di orrori, ma il caso indiano non è purtroppo isolato e le persecuzioni dei cristiani si moltiplicano in varie regioni del mondo, dall’Asia al Medio Oriente, dall’Africa all’America Latina. La testimonianza dei martiri, oggi come allora, rende straordinariamente credibile la missione della Chiesa, ma non può comunque esimerci dal dovere della solidarietà e dalla difesa della libertà di culto, come ha sottolineato il cardinale Angelo Bagnasco parlando venerdì scorso in occa-

ROMA. Da autentico seguace di Chiara Lubich - prima cristiana a parlare a New York nella storica Moschea “Malcolm X” di Harlem di fronte a 3.000 musulmani afro-americani - Michele Zanzucchi non può che condividerne la tensione a dialogare con le altre fedi e culture. Anche quando questo, come dimostrano le recenti violenze in India, sembra difficilissimo. «Certamente afferma il direttore di Città Nuova, la rivista ufficiale del movimento dei Focolari - quello che sta accadendo in India è inquietante. E i criminali, che hanno commesso questi terribili fatti, devono pagare per quello che hanno fatto. Però bisogna stare attenti ad evitare che si creino spirali di odio reciproco che poi non si riescono più a fermare. Quindi invito la politica ad abbassare i toni. Perché i primi a subire le conseguenze per parole avventate dette ad esempio nel nostro paese sono i cristiani che si trovano in questi paesi: religiosi, religiose, laici, intere famiglie». Direttore, aderisce alla fiaccolata di liberal? Certamente. Gesti come questi fanno sicuramente bene. È chiaro però che non possono bastare. Un simile dramma non si risolve solo con una dichiarazione universale per la libertà di religione: questa è necessaria, ma senza il lavoro sul posto è molto difficile riuscire ad ottenere qualcosa. Cosa bisognerebbe fare dunque? Per risolvere le situazioni locali ci vuole pazienza e lavoro sul campo. E chi come noi penso alla Comunità di Sant’Egidio o alle Caritas diocesane - è in prima linea per garantire il rispetto di queste libertà fondamentali può solo confermarlo. Ho viaggiato molto e conosco bene l’India. Chi commette certi crimini non segue il messaggio autentico della religione che professa: l’induismo non è una fede

violenta. Quindi chi arriva a fare azioni del genere sono dei fanatici che hanno smarrito per strada il valore di pace che questa fede racchiude. Non facciamo di tutta l’erba un fascio. Secondo lei cosa dovrebbero fare i cristiani che vivono in questi luoghi? Chi sta sul posto deve impegnarsi a tessere dei rapporti che possano portare alla soluzione dei problemi affinché la popolazione sia aiutata a non commettere violenza. Questa, alla fine, è l’unica strada che paga. Lentamente, ma alla fine paga, perché è un modo di costruire non di distruggere. Ci terrei a sottolineare che mettere barriere, costruire muri tra le culture non è mai adeguato. Potremmo addirittura essere rimproverati di essere buonisti, ma non è vero: chi è buonista non va sul posto. D’altra parte dialogare non significa assolutamente smarrire la propria

Bisogna evitare che si creino spirali di odio reciproco che poi non si riescono più a fermare. Urge una cultura dell’incontro

In alto, immagini delle devastazioni provocate in India. In basso, una manifestazione anti-cristiana. A destra, Michele Zanzucchi, direttore di ”Città Nuova”, la rivista ufficiale dei Focolari

sione della festa della Madonna della Guardia. Sono necessari gesti concreti di solidarietà e vicinanza spirituale. Questi gesti vanno ripresi e amplificati, come quello proposto dalla Conferenza Episcopale Italiana, il 5 settembre, un giorno di preghiera e digiuno nella ricorrenza della festa della beata Madre Teresa; come la giornata di digiuno e preghiera proposta dalla Conferenza Episcopale Indiana, il 7 settembre; come la manifestazione proposta da liberal, il 10 settembre. Salvatore Martinez presidente nazionale Rinnovamento nello Spirito Santo

Un sì pieno e convinto alla fiaccolata promossa da liberal in solidarietà alle vittime del fanatismo politico e religioso in tutto il mondo. Manifestare contro il fanatismo politico e religioso è un dovere per ogni cittadino, ancor più dopo gli episodi di violenza avvenuti recentemente in India. Lo è soprattutto perché professare qualsiasi religione o idea politica rappresenta un diritto umano inviolabile, un valore universale che non possiamo vedere calpestato in nome di qualsivoglia fondamentalismo. Riccardo Nencini segretario nazionale del Partito socialista

identità culturale e religiosa. Che appello farebbe alla politica? La politica ovviamente ha le sue regole e ha tutti gli strumenti che servono: dichiarazioni dell’Onu, carte dei diritti. Si tratta solo di applicarle. I politici non devono solo parlare. Parlare è facile. Bisogna che si arrivi a promuovere delle azioni internazionali che favoriscano un vero rapporto di rispetto tra religioni e etnie. Effettivamente, a volte gli interessi contingenti hanno la meglio sul rispetto delle libertà fondamentali… Questa globalizzazione economica, spesso e volentieri, spinge i politici ad un realismo, ad una realpolitik che mette la sordina al tema del rispetto dei diritti umani, delle libertà religiose, delle libertà individuali. E questo la politica non dovrebbe farlo mai.


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economia

Le compagnie guadagnano con la produzione, ma non con la distribuzione

Ecco perché la benzina ci costa così cara di Gianfranco Polillo

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Alitalia, decolla il nuovo Cda Dopo solo due ore di riunione, il Cda della nuova Alitalia ha dato il via libera alla nomina di Roberto Colaninno (nella foto) come presidente della compagnia di bandiera, di Rocco Gabelli ad Amministratore delegato e di Andrea Guerra a consigliere d’amministrazione. Nel frattempo, il termine di fine settembre rimane «un termine essenziale» per la sopravvivenza di Alitalia. Per questo anche la scelta del partner internazionale deve avvenire antro questo termine. Lo ha detto il commissario straordinario di Alitalia, Augusto Fantozzi, nel corso di una conferenza stampa all’Enac dove ha incontrato il presidente dell’Ente, Vito Riggio. «Se abbiamo messo fretta ai sindacati metteremo anche fretta all’ advisor - ha spiegato Fantozzi riferendosi alla valutazione degli asset - è perché la fine di settembre è un termine essenziale e bisogna che tutti i tasselli del puzzle si incastrino”. E Alla domanda se questa scadenza si impone anche per la scelta del partner internazionale, ha risposto: «Assolutamente sì».

Brunetta: «Ora premiamo chi merita» «Non solo fannulloni» Con questo slogan il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, ha inaugurato la «fase due» della operazione di ammodernamento della pubblica amministrazione. Una fase in cui «al bastone si aggiunge la carota». Fuor di metafora il ministro punta a valorizzare i lavoratori e le amministrazioni piu’ efficienti attraverso un sistema che premi le eccellenze. «Nel nuovo contratto tutta la contrattazione di secondo livello - ha spiegato Brunetta - andrà ai soggetti più meritevoli». A tal fine il ministro ha lanciato ieri un concorso, il cui regolamento sarà disponibile la prossima settimana, per chiedere a tutti gli uffici della pubblica amministrazione che hanno messo a punto progetti di miglioramento dei servizi o di diminuzione dei costi, di comunicarli al ministero.

ROMA. Ha ragione Renato Brunetta, quando si lamenta del comportamento delle compagnie petrolifere sull’andamento dei prezzi dei carburanti o Claudio Scajola, che rassicura? Il primo critica l’esistenza di un’asimmetria: le compagnie petrolifere sono rapidissime nell’aumentare i prezzi alla pompa, quando il prezzo del greggio sale; lente, anzi lentissime, a ridurlo quando scende. Invece il ministro per lo Sviluppo economico butta acqua sul fuoco: i prezzi italiani – garantisce – sono in linea con quelli europei.

Chi ha ragione? Rispondere non è facile. Il mercato petrolifero è tutt’altro che trasparente e lineare. La sua struttura è complessa: caratterizzata dalla presenza di aziende di dimensioni e storie diverse. Ancora oggi, tanto per fare un esempio, la Exxon Mobil è la seconda compagnia più grande nel mondo, solo recentemente declassata dal primo posto dalla Wal-Mart Stores: grande distribuzione e chincaglieria. Nella storia più antica, le famose «sette sorelle», contro cui lottò Enrico Mattei, hanno segnato le pagine più buie dell’imperialismo occidentale. E la loro struttura di fondo non è mutata. La loro forza è nell’integrazione: downstream (raffinazione e distribuzione) ed upstream (ricerca ed estrazione); come si dice nel linguaggio dei petrolieri. Le compagnie più piccole, invece, ad esempio quella di proprietà della famiglia Moratti, operano solo nel campo della distribuzione. Acquistano il greggio dalle gran-

Il prezzo alla pompa aumenta più di quello del greggio? Dipende da chi specula sui passaggi intermedi di compagnie, lo raffinano e quindi distribuiscono i prodotti finiti. Il loro livello di profitto dipende pertanto dai prezzi più bassi che riusciranno a spuntare nell’approvvigionarsi, grazie alle operazioni di trading oppure operando sul mercato dei futures, dove è possibile acquistare a termine intere partite di greggio. Bisogna partire da qui, per capire, seppure sommariamente, il puzzle petrolifero. Quando Scajola dice che i prezzi sono in linea, guarda soprattutto all’attività downstream. E le statistiche supportano le sue tesi. In Italia - ma lo stesso discorso vale per l’Europa - il costo della materia prima dipende da due componenti: il prezzo, espresso in dollari, ed i rapporti di cambio tra la valuta americana e l’euro. Mixando i due elementi si ottiene il prezzo di carico che fa da pivot per le vendite al consumo. Da gennaio dello scorso anno a giugno 2008, il costo, in euro, del greggio è aumentato di circa il 100 per cento. La benzina verde ed il gasolio, alla pompa (prezzi medi mensili), di poco più della metà. Un piccolo miracolo?0 Il relativo contenimento dei prezzi è stato assicurato principalmente da una riduzione del carico fiscale. Se l’Iva è rimasta costante, le accise sono invece diminuite dal 37,8 al 29,4 per cento, per il gasolio e dal 46,6 al

Di Pietro in piazza contro Alfano 38,7 per cento per la benzina senza piombo. Il prezzo industriale, visti i maggiori costi della materia prima, è invece, ovviamente, aumentato. Nel periodo considerato l’incremento è stato del 54 per cento per il gasolio e del 39 per cento per la benzina senza piombo. Comunque meno della crescita dei costi.

È bastato questo per scatenare i difensori d’ufficio del grande business.Visto? Ha tuonato l’Unione petrolifera: garantiamo i consumatori. Le argomentazioni fornite, purtroppo, sono tutt’altro che inattaccabili. Questi ragionamenti hanno fondamento solo se si resta nel campo del downstream (raffinazione e distribuzione). Ma le grandi compagnie, che sono poi quelle che dominano il mercato, sono integrate. La loro forza effettiva sta nell’estrazione della materia prima ed è lì che si concentrano i maggior profitti. Il trucco, a questo punto, diventa facile da svelare. Il prezzo del greggio aumenta ben al di là dei suoi effettivi costi di produzione e di un ragionevole tasso di profitto. Non si dimentichi che nei giacimenti marginali – quelli meno redditizi – esso non supera i 60 dollari al barile, contro gli attuali prezzi di vendita, vicini ai 110 dollari al barile. Le grandi compagnie, quindi, contabilizzano i profitti nell’upstream ed i maggiori costi nel downstream. Nel primo guadagnano, nel secondo contengono. Ma alla fine, paga sempre uno. Quel povero consumatore costretto non solo a mettere mano al portafoglio, ma a sorbirsi sermoni non richiesti.

Antonio Di Pietro ha scelto la data di sabato 11 ottobre per lanciare la sua campagna referendaria per l’abolizione del Lodo Alfano. La conferma viene da un’intervista del leader dell’Idv al Riformista. La manifestazione si terrà a Roma, in Piazza Navona e con questa iniziativa partirà la raccolta delle firme per il referendum con il quale Di Pietro intende abrogare quella che definisce «una legge ad personam per salvare Silvio Berlusconi dalla giustizia». Nell’intervista Di Pietro si occupa anche del dibattito in corso sulla riforma della giustizia. L’ex Pm esclude che si possa aprire un dialogo con la maggioranza prima che quest’ultima abbia presentato, nero su bianco, le sue proposte.

Tariffe, Agcom diffida Tim e Vodafone Tim e Vodafone devono «adottare tutte le misure necessarie per assicurare agli utenti un’informativa trasparente e il riconoscimento dei diritti di recesso senza penali, secondo quanto previsto dal Codice delle comunicazioni elettroniche». E’ questo, secondo quanto si è appreso ieri, l’oggetto della diffida inviata dall’Agcom ai due operatori telefonici dopo l’ispezione partita in seguito ai ritocchi alle tariffe annunciati in agosto e che dovrebbero partire a breve. Contestualmente, sempre secondo quanto si è appreso, l’Autorità ha avviato nei confronti degli operatori telefonici due procedimenti sanzionatori per le modalità finora adottate: nei confronti di Tim il procedimento riguarda «l’inadeguatezza del preavviso nella modifica dell’autoricarica scattata il 6 agosto», mentre per quanto riguarda Vodafone «la scarsa trasparenza nelle condizioni economiche dell’offerta».

L’Udc accelera la Costituente di Centro Vertice a Bologna per costruire il «grande Centro». Pier Ferdinando Casini, leader nazionale dell’Udc, e Savino Pezzotta, ex segretario della Cisl, deputato e fondatore del movimento della Rosa Bianca, saranno lunedì prossimo, 8 settembre, sotto le Due Torri per incontrare il mondo dell’associazionismo, del volontariato e delle imprese. A darne notizia è’ la segreteria provinciale dell’Udc, che precisa: «Sarà un vertice a porte chiuse». Casini e Pezzotta incontreranno comunque la stampa alle 17.30 all’Aemilia Hotel, in via Zaccherini Alvisi 16.


mondo

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Oggi le elezioni presidenziali: spicca Zardari, vedovo della Bhutto e accusato di corruzione. Ma avanzano gli islamici

E ora chi comanderà in Pakistan? di Vincenzo Faccioli Pintozzi

d i a r i o l Pakistan elegge oggi il suo nuovo presidente, dopo i nove anni della gestione Musharraf e uno fra i più feroci scontri interni che la storia del Paese ricordi. Dalle urne uscirà il nome di colui che si dovrà addossare la responsabilità principale nella lotta al terrorismo internazionale, che sarà incaricato di riportare un minimo di responsabilità nel Paese e che verrà chiamato a decidere le alleanze di Islamabad per il prossimo futuro. Gli unici candidati di peso sono Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto e reggente del Partito popolare pakistano, e Saeed-uz-Zaman Siddiqui, che rappresenta Nawaz Sharif, leader

I

la Bhutto – e al contempo l’unico a poter dialogare con gli estremisti islamici delle aree tribali e con i vertici dell’esercito pachistano, escluso Musharraf che lui odia personalmente e con il quale (contrariamente alla Bhutto) non ha mai voluto trattare. Questo lo renderebbe adatto a guidare un dopo-Musharraf gestendo sia le resistenze degli am-

Il nuovo leader dovrà gestire la lotta al terrorismo. Sharif si ritira e manda il suo prestanome

tiva al caos nel Paese, una versione a cui i suoi concittadini sembrano credere. Per cercare di assicurarsi anche l’appoggio americano, Zardari ha scritto un articolo per il Washington Post – pubblicato ieri – che suona come un peana all’amicizia eterna fra i due Paesi.

Sapendo di giocare su un tasto sensibile, infatti, il leader popolare ha assicurato gli statunitensi che la lotta al terrorismo rimane «la preoccupazione principale per ogni pakistano che si rispetti». Un modo per ricordare che la stessa preoccupazione potrebbe non essere condivisa da Sharif. Il quale,

d e l

g i o r n o

Thailandia: spari su manifestanti Due studenti sono rimasti leggermente feriti giovedì sera, raggiunti da colpi d’arma da fuoco mentre manifestavano a Bangkok davanti l’abitazione del primo ministro thailandese, Samak Sundaravej. Da due settimane i simpatizzanti dell’Alleanza del popolo per la democrazia, Pda, bloccano gli edifici governativi della capitale tailandese per costringere il premier alle dimissioni. In risposta ai disordini Samak ha proclamato lo stato d’emergenza, una misura rimasta finora solo virtuale. Per evitare un’escalation della situazione, la polizia ha invitato a sciogliere ogni tipo di manifestazione.

Russia: salta l’accordo con gli Usa La punizione annunciata da George Bush per l’invasione russa della Georgia, consisterà probabilmente nella denuncia del trattato di collaborazione tra i due Paesi per lo sviluppo del nucleare civile sottoscritto a maggio. Il passo ha però solo valore simbolico in quanto Bush non ha nessuna possibilità di trovare al Congresso la maggioranza necessaria alla ratifica del trattato. L’atto salutato dall’amministrazione Usa come, una «pietra miliare» nei rapporti tra gli ex rivali della guerra fredda, prima della guerra contro Tblisi era stato bocciato dal Congresso a causa della collaborazione nucleare tra Mosca e Teheran.

Ucraina: Cheney loda Juschenko

I leader del Pakistan del futuro: a sinistra, Asif Alì Zardari; al centro, Bilawal Bhutto; a destra, Nawaz Sharif della Lega musulmana N ritiratosi dalla competizione. Rimane valida la possibilità di un accordo dell’ultimo minuto fra i due schieramenti, che potrebbero presentare un nome neutro per poi riformare un governo di coalizione. Ma è, sinceramente, un’ipotesi improbabile. La lotta si giocherà dunque fra i due: entrambi hanno luci e ombre nel proprio curriculum politico, e una diversa visione di come dovrebbe essere il prossimo Pakistan. Sharif, molto stimato in patria, è ritenuto inaffidabile dagli Stati Uniti per le sue simpatie, mai nascoste, nei confronti dell’islam più radicale. Pur essendo sulla carta un feroce nemico del movimento talebano, ha più volte concesso – nei suoi due mandati da premier negli anni ’90 – ampio spazio alle frange più intransigenti della maggioranza musulmana del Paese.Tuttavia, Sharif è oggi l’unico personaggio politico di peso rimasto in Pakistan a godere di un ampio consenso popolare – soprattutto dopo le sue recenti prese di posizione sulla libertà di stampa, sull’autonomia dei giudici, sullo stato di diritto e dopo il cordoglio personale mostrato per la morte del-

bienti militari, sia la minaccia della guerriglia islamica. Tuttavia, il prezzo da pagare sarebbero i diritti umani e la libertà di espressione, che potrebbero essere sacrificati ancora di più in nome di un interesse maggiore. Inoltre, rimane pendente un possibile cambio di bandiera nei confronti dell’insurgenza talebana, che provocherebbe una reazione durissima da parte di Washington.

Molto diversa la posizione di Asif Ali Zardari, che comanda il potente Partito popolare in attesa della maggiore età del giovane Bilal Bhutto, indicato dalla madre come suo successore. Il politico gode di scarsissima fiducia nella base del Paese per la sua fama di uomo dissoluto e corrotto, ma ha dalla sua il potente apparato elettorale del Partito, radicato nel territorio, e una sorta di beneplacito degli Usa, che sembrano preferirlo al suo oppositore. Il suo soprannome è “Mister 10 percento”, un riferimento alla tangente obbligatoria che, si dice, passa per le sue mani ogni qualvolta autorizza una transizione. Ma questo non gli impedisce di presentarsi come l’unica alterna-

dicono diversi analisti politici, potrebbe persino ritirarsi dalla competizione elettorale per protesta contro le diverse accuse che pendono sul capo del rivale, mettendosi così in una posizione di giudice morale che gli consentirebbe di accrescere il suo seguito fra la base e cercare – con metodi più o meno leciti – di riprendersi il potere nel corso del mandato presidenziale di Zardari. Non è una novità, per il Pakistan, che la contesa politica esca dalle urne per diventare guerriglia. Per fare questo, però, l’ex premier dovrebbe stringere i suoi rapporti con le milizie islamiche e questo, sottolinea un esperto, «sarebbe uno scenario paragonabile alla guerra civile. Se non si trova un accordo di governo, si apre la porta alla creazione di due fazioni precise. Questo vuol dire riconoscere politicamente i talebani, che diventerebbero una forza sdoganata dalle accuse del terrorismo, in grado di competere per la leadership del Paese. Lo stesso percorso che ha portato l’Afghanistan nel baratro dell’estremismo». Nell’indifferenza di tutto l’Occidente.

Venerdì a Kiev il vicepresidente Usa Dick Cheney ha sottolineato l’importanza dei rapporti strategici tra Usa e Ucraina. Dal parte sua il presidente ucraino Viktor Juschenko, criticando ancora una volta l’intervento militare russo nel Caucaso, ha assicurato il sostegno del suo Paese alla politica americana in Georgia. Dal 7 agosto, giorno dell’inizio della crisi con Tblisi, Juschenko è stato uno dei critici più duri della politica caucasica russa. Il presidente ucraino non ha permesso di utilizzare a scopi militari le navi da guerra russe all’ancora nelle acque territoriali ucraine. Juschenko spera che la visita di Cheney, accelleri il percorso di ingresso dell’Ucraina nelle strutture della Nato.

Storica visita della Rice in Libia Condoleezza Rice, capo della diplomazia americana, è arrivata ieri a Tripoli nel primo viaggio di un Segretario di stato Usa in Libia dal 1953. La visita, ha detto, prova che Washington «non ha nemici permanenti». La Rice incontrerà il leader libico Muhammar Gheddafi durante la sua breve permanenza nel Paese. Washington spera che il viaggio ponga fine a decenni di inimicizia e violenze. Esso avviene a cinque anni dall’abbandono da parte di Tripoli del suo programma sulle armi di distruzione di massa nel 2003. L’ultimo Segretario di Stato ad andare in visita a Tripoli fu John Foster nel 1953, prima che la Rice nascesse.

Angola: al voto dopo 16 anni A Luanda i seggi elettorali erano serrati da 16 anni eppure il Paese non sembra aver perso l’abitudine al voto, al punto da sapere già chi vincerà il prossimo scrutinio. Trionfatore delle prossime elezioni sarà il partito Mpla, Movimento Popular de Libertação de Angola, del presidente José Eduardo dos Santos, al potere da 29 anni filati. L’Angola un Paese ricco di risorse energetiche e delle dimensioni pari a tre volte la Germania è scarsamente abitato, 16 milioni di persone. L’ex colonia portoghese ha raggiunto l’indipendenza nel 1975, dopo la guerra di liberazione.


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speciale bioetica

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Dopo la sentenza della Cassazione ogni tribunale è legittimato a decidere sulla vita e sulla morte

SE IL MAGISTRATO ORDINA L’EUTANASIA di Ernesto Capocci a piega, abbastanza grave, che stavano prendendo gli eventi, ci ha indotto ad accelerare i tempi del deposito di un laicissimo disegno di legge, che spero sia approvato da tutti coloro che in questi anni si sono appassionati al dibattito sul fine vita», ci dice Paola Binetti, deputata del Partito democratico, prima firmataria – insieme ai parlamentari Luigi Bobba, Marco Malgaro, Enzo Carra, Renzo Lusetti, Donato Mosella, Andrea Sarubbi – del disegno di legge “Disposizioni sulle cure di fine vita come forma di alleanza terapeutica”.

«L

Dei principi ispiratori di questo disegno di legge trattiamo in altra parte di queste pagine. Qui, intendiamo spiegare di quale “piega”si tratti. C’è un fat-

to, accaduto quasi un anno fa, che, salvo eccezioni, è restato a lungo sottovalutato nel dibattito sul fine vita. E’ il 12 ottobre 2007: i giudici della Corte di Cassazione decidono un nuovo processo in una diversa sezione della Corte di Appello di Milano, sul caso di Eluana Englaro, in coma dal 1992 a seguito di un incidente stradale. La Corte esclude che l’idratazione e l’alimentazione artificiali con sondino naso-gastrico costituiscano, in sé, oggettivamente, una forma di accanimento terapeutico, pur essendo indubbiamente un “trattamento sanitario” e decide che il giudice può, su istanza del tutore, autorizzarne l’interruzione soltanto dovendo altrimenti prevalere il diritto alla vita - in presenza di due circostanze concorrenti: 1) la condizione di stato vegetati-

vo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacitá di percezione; 2) sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento. Quella sentenza, che si richiama al 2° comma dell’art. 32 della Costituzione («Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»), introduce una novità di carattere assoluto: la possibilità di desumere dagli stili di vita di una persona, che non è più in grado di esprimersi, il suo eventuale consenso alla sospensione di trattamenti vitali.

La decisione della Corte di Cassazione non riguarda, quindi, il cosiddetto testamento biologico, ma il modo d’interpretare il consenso informato e il tema – ampiamente dibattuto in giurisprudenza - della legittimità del rifiuto delle cure da parte del paziente, proprio in base al disposto di quella norma costituzionale. Nel testo della Cassazione si legge infatti che «il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche eventualmente di rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella ter-

minale». Il consenso informato, è riconosciuto «un vero e proprio diritto fondamentale del cittadino europeo» e viene ricordato da un precedente pronunciamento che «in presenza di una determinazione autentica e genuina dell’interessato nel senso del rifiuto della cura, il medico non può che fermarsi, ancorché l’omissione dell’intervento terapeutico possa cagionare il pericolo di un aggravamento dello stato di salute dell’infermo e, persino, la sua morte». La decisione della Corte di Cassazione, quindi, che è definitiva - salvo la verifica di legit-

Per evitare questo abominio occorre approvare una legge che fissi regole e principi timità che è ora in corso presso la Corte Costituzionale - ribadisce la possibilità di rifiutare ogni tipo di trattamento, anche salvavita, da parte del paziente, indipendentemente dal fatto che sia o meno accanimento terapeutico; il rifiuto, si può desumere - a parere della Corte non solo da un consenso scritto e informato del paziente, ma anche da una sua volontà presunta, e ricostruita a posteriori in base a testimonianze. Ha scritto di recente Francesco D’Agostino sulla vicenda di Eluana: «Staccare il sondino che la alimenta e la idrata, non significa altro se non porre in essere una pratica di eutanasia passiva». Siamo dello stesso parere. Una persona ha diritto a rinunciare a qualsiasi terapia, anche ad una terapia che gli salvi la vita, ma le condizioni devono essere almeno due: la persona

deve essere compiutamente informata in merito alla sua malattia e alle terapie a cui intende rinunciare; si deve trattare di terapie, non di sostegni vitali. «È onestamente impossibile sostenere – afferma D’Agostino - che Eluana, prima di restar vittima del tragico incidente che l’ha precipitata nello stato vegetativo, avesse esattamente previsto il suo destino, che fosse consapevole dei complessi dibattiti scientifici sulla possibilità di diagnosticare l’irreversibilità del coma persistente e ancor più che fosse correttamente informata di cosa significasse, sul piano medico, sul piano assistenziale e soprattutto su quello etico, alimentare e idratare un malato in coma».

La verità è che la decisione della Cassazione supera tutte le proposte di legge sul testamen-


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Parla la senatrice, presentatrice di un provvedimento sul consenso informato

«La mia legge? È laicissima» colloquio con Paola Binetti l Senato, nel luglio scorso, ha approvato un ordine del giorno nel quale si è deciso «di riservare, in sede di programmazione dei lavori, un’apposita sessione per l’esame e l’eventuale approvazione entro l’anno 2008 di un disegno di legge in materia di consenso informato e dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari, idoneo a colmare il segnalato vuoto legislativo e ad assicurare, attraverso il riconoscimento dell’autonomia e la libertà della persona nelle scelte riguardanti la sua salute fisica e psicologica, la piena e omogenea tutela dei diritti fondamentali di cui all’articoli 2, 13 e 32 della Costituzione». La proposta di legge presentata il primo agosto scorso da parte dell’onorevole Paola Binetti, si situa in un contesto nel quale molti elementi fanno ritenere che entro l’anno una legge sulle tematiche del fine vita, ci sarà. Onorevole Binetti, quali sono i punti qualificanti della Sua proposta di legge? Sono racchiusi nel titolo della proposta di legge. E’ stato nostro obiettivo tenere presenti tre aspetti positivi: 1) dire sì all’alleanza terapeutica con il medico, che restituisce dignità al rapporto medico-paziente ed esclude la vincolatività assoluta delle volontà del paziente (parliamo infatti di disposizioni anticipate di trattamento e di dichiarazioni, non di direttive o di testamento); 2) sì alle cure palliative e alla terapia antidolorifica; 3) sì ad un progetto complessivo di cura e di assistenza che accompagni il paziente e la sua famiglia fino alla sua morte naturale, senza abbandonarlo. E quelli “negativi”? Nella proposta di legge diciamo tre no: 1) no alla sospensione della nutrizione e della idratazione: mangiare e bere sono forme ordinarie di sostegno vitale; 2) no all’accanimento terapeutico; 3) no all’abbandono del paziente. Questi i principi ispiratori, ma se Lei dovesse sintetizzare lo “spirito” della Sua proposta, cosa direbbe? Direi che oggi c’è una sorta di accanimento ideologico che sembra prescindere dalla esperienza quotidiana con cui il pazien-

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proposte di legge sul testamento biologico depositate in Parlamento nella scorsa legislatura, anche quelle più permissive, perché permette nei fatti di far morire un malato non terminale senza che questo l’abbia chiesto espressamente, senza un consenso scritto, ma solamente su una volontà presunta. La Corte di Appello di Milano, consentendo al padre di Eluana di sospendere la nutrizione e l’idratazione artificiale a sua figlia, ha semplicemente applicato la sentenza della Cassazione. La decisione della Procura di Milano d’impugnare la sentenza della Corte di Appello, non cancella la sentenza della Cassazione, che può essere superata solo da una legge.

Senza una legge che regoli il fine vita, vale l’interpretazione giuridica della Cassazione e ogni tribunale in Italia è legittimato a decidere se sospendere o no i trattamenti sanitari - tra i quali è stata inclusa la nutrizione artificiale, come se dare pane e acqua fosse un trattamento sanitario - ricostruendo le volontà presunte del malato. Il contesto descritto - la «piega»

di cui parla Paola Binetti - determina quindi la necessità di un intervento legislativo che regoli le problematiche di fine vita e che, entrando nel merito delle questioni che sono sul tappeto (consenso informato e modalità con cui deve essere sottoscritto dai pazienti, come devono essere considerate le volontà espresse in precedenza da chi non è più capace di intendere e di volere), stabilisca in maniera semplice e possibilmente chiara le condizioni e i principi che devono regolare i confini della vita e della morte.

Un’iniziativa parlamentare di tal fatta (sempre che non venga usata come grimaldello per introdurre l’eutanasia) potrebbe da un lato evitare che, almeno in questa materia, la magistratura non usi criteri di carattere discrezionale, anche sul presupposto di riempire un “vuoto” legislativo che peraltro fisiologicamente in un ordinamento non può esserci; dall’altro avrebbe il merito di aiutare – con spirito di carità umana – chi si trova a prendere decisioni sulla vita e sulla morte di molte persone.

te si riferisce al ”suo” medico per chiedere non solo una diagnosi e una terapia, ma prima ancora un consiglio, un orientamento. C’è una domanda tipica nel buon rapporto tra medico e paziente: “Lei cosa farebbe al mio posto... cosa farebbe se fosse sua figlia, sua madre...”. Il medico entra nel progetto terapeutico come elemento di cura e noi dobbiamo valorizzare questa fiducia nel medico, anche appellandoci alla sua responsabilità morale oltre che professionale. Per oltre 2.300 anni (dal giuramento di Ippocrate), la medicina si è fondata sul principio di beneficienza, che le vicende dei medici nazisti hanno ampiamente contribuito a distruggere, ma un’eccessiva enfasi sul principio di autodeter-

No all’abbandono del paziente, no alla sospensione di idratazione e nutrizione minazione lascia il paziente solo con se stesso, con le sue paure e con le sue incertezze al momento della decisione. Integrare i due principi, solidarietà e libertà, competenza e autonomia, è la vera sfida che dobbiamo proporci. Il laicissimo ddl che ho presentato – analogo a quello presentato nella XV legislatura – intende fare que(e.c.) sto.


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speciale bioetica a proposta di legge “Disposizioni sulle cure di fine vita come forma di alleanza terapeutica”, depositata il primo agosto 2008, disciplina con undici semplici articoli le dichiarazioni che la persona può redigere al fine di tramandare la propria volontà al personale medico e in senso ampio a tutto il personale sanitario, individuando i contenuti e i limiti di tali disposizioni e rispettando la coscienza del medico. Finalità (art. 1): si garantisce il pieno rispetto della libertà del paziente nel prendere le decisioni che riguardano le cure e il trattamento complessivo, non solo medico e si sottolinea il valore inalienabile e indisponibile della vita umana, anche nei momenti in cui la persona appare più fragile. All’art. 2 vengono definiti la dichiarazione anticipata di trattamento sanitario, il trattamento sanitario, la capacità decisionale, il curatore e il fiduciario, il comitato etico.

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Nei primi due punti viene quindi esclusa la possibilità di avvalersi di pratiche di eutanasia. Le disposizioni anticipate (art.3) devono essere formulate da soggetto maggiorenne capace di intendere e di volere; può partecipare anche il medico di medicina generale o della struttura sanitaria, al fine di informare scientificamente il dichiarante sulle conseguenze a cui andrà incontro. Nel testo della disposizione deve essere individuato il soggetto fiduciario, anch’egli maggiorenne ed in possesso della capacità di intendere e di volere, il quale avrà il compito di far rispettare la volontà del malato. Tali disposizioni verranno redatte dal dichiarante, per iscritto, apponendo la propria firma autografa, senza dunque oneri burocratici nè ricorso al notaio. La dichiarazione avrà un’efficacia di cinque anni e potrà essere rinnovata o revocata in qualsiasi momento. L’art. 4 determina i contenuti e i limiti delle dichiarazioni. Il dichiarante potrà esprimersi in merito all’accanimento terapeutico; sull’utilizzo di cure palliative nella terapia del dolore; preferire la degenza presso la propria abitazione o in edificio sanitario; optare per l’assistenza religiosa e precisarne la confessione; decidere sulla donazione degli organi e/o del corpo per attività scientifica di ricerca e di didattica, oppure per eventuali trapianti. Inoltre viene specificato che l’idratazione e l’alimentazione parenterale non possono essere oggetto di deroga nelle disposizioni, in quanto non assimilate all’accanimento terapeutico.

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La legge depositata in Senato si fonda sull’alleanza medico-paziente

Il testamento biologico in undici punti La disciplina del consenso informato (art.5), prevede che il dichiarante dovrà essere informato sulla diagnosi, sulla prognosi e sulle terapie che saranno applicate, compresi gli effetti collaterali ed eventuali conseguenze. Si specifica anche che ogni soggetto ha il diritto di conoscere i dati sanitari che lo riguardano e che il consenso al trattamento può essere revocato o modificato, sia pure parzialmente. Nell’art. 6 si precisano i compiti del fiduciario. Questi conferma la propria accettazione apponendo firma autografa sul documento recante le disposizioni. Il fiduciario è fondamentale in quanto dovrà agire affinché vengano rispettate le volontà del malato, qualora costui, ormai incapace di intendere e di volere, non possa manifestare i propri desideri. Egli, dunque, dovrà far conoscere le disposizioni del dichiarante al personale medico, paramedico ed ai familiari

Le disposizioni devono indicare un fiduciario che le faccia rispettare

Il progetto Binetti si rifà al documento del Cnb del 2003

Le indicazioni del Comitato bioetico a proposta di legge di cui è prima firmataria Paola Binetti si rifà sostanzialmente al Parere che il Comitato Nazionale di Bioetica (Cnb) emise il 18 dicembre 2003 sulle“Dichiarazioni anticipate di trattamento”. In sintesi, il Cnb ritenne che le dichiarazioni anticipate siano legittime, abbiano cioè valore bioetico, solo quando rispettino i seguenti criteri generali: A. abbiano carattere pubblico, siano cioè fornite di data, redatte in forma scritta e mai orale, da soggetti maggiorenni, capaci di intendere e di volere, informati, autonomi e non sottoposti ad alcuna pressione familiare, sociale, ambientale; B. non contengano disposizioni aventi finalità eutanasiche, che contraddicano il diritto positivo, le regole di pratica medica, la deontologia. Comunque il medico non può essere costretto a fare nulla che vada contro la sua scienza e la sua coscienza; C. ai fini di una loro adeguata redazione, in conformità a quanto indicato nel punto B, si auspica che esse siano compilate con l’assistenza di un medico, che può controfirmarle; D. siano tali da garantire la massima personalizzazione della volontà del futuro paziente, non consistano nella mera sottoscrizione di moduli o di stampati, siano redatte in maniera non generica, in modo tale da non lasciare equivoci

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sul loro contenuto e da chiarire quanto più è possibile le situazioni cliniche in relazione alle quali esse debbano poi essere prese in considerazione. Il Cnb ritenne altresì opportuno: a) che il legislatore intervenga esplicitamente in materia, anche per attuare le disposizioni della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina e nella prospettiva di una futura normativa biogiuridica di carattere generale relativa alle professioni sanitarie, cui lo stesso Cnb potrà fornire il proprio contributo di riflessione; b) che la legge obblighi il medico a prendere in considerazione le dichiarazioni anticipate, escludendone espressamente il carattere vincolante, ma imponendogli, sia che le attui sia che non le attui, di esplicitare formalmente e adeguatamente in cartella clinica le ragioni della sua decisione; c) che le dichiarazioni anticipate possano eventualmente indicare i nominativi di uno o più soggetti fiduciari, da coinvolgere obbligatoriamente, da parte dei medici, nei processi decisionali a carico dei pazienti divenuti incapaci di intendere e di volere; d) che ove le dichiarazioni anticipate contengano informazioni “sensibili”sul piano della privacy, come è ben possibile che avvenga, la legge imponga apposite procedure per la loro conservazione e consultazione.

interessati. Il fiduciario può revocare il proprio incarico, attraverso la comunicazione diretta al dichiarante, se questi è in possesso della facoltà di intendere, oppure a colui il quale è responsabile del paziente e al medico responsabile del trattamento sanitario. Nell’art. 7 si prevede la possibilità che il minore esprima i propri desideri riguardo ai trattamenti sanitari; tuttavia la decisione verrà sempre presa dai genitori o da colui che ne esercita la tutela e/o la potestà. L’art. 8 è di fondamentale importanza, in quanto garantisce al medico la possibilità di avvalersi dell’obiezione di coscienza, in armonia col codice deontologico e con altre leggi, come la legge 22 maggio 1978, n. 194, le quali ammettono che ogni volta che si crea un conflitto di coscienza il medico può sempre sottrarsi a prestare la propria opera, tranne il caso in cui il soggetto sia in pericolo di vita. Nel caso di opposizione del medico, il fiduciario potrà appellarsi al comitato etico, il quale, valutate le conseguenze di tale rifiuto, alla luce della volontà del dichiarante, esprime il proprio parere a riguardo. L’art. 9 stabilisce che il Ministro del lavoro,della salute e delle Politiche Sociali provveda, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge, a stabilire le modalità di intervento del medico nella formazione della dichiarazione anticipata di trattamento, a sensibilizzare il personale sanitario e a realizzare di una campagna di educazione alla salute presso le scuole di secondo grado. L’art. 10 precisa che le disposizioni saranno valide solo ed esclusivamente se il dichiarante non è in grado di intendere e volere. L’incapacità decisionale è accertata e certificata da un collegio formato da tre medici: un neurologo, uno psichiatra e uno specialista della patologia di cui è affetto il paziente.

Si esclude che il medico curante faccia parte del collegio in quanto possibile fiduciario o comunque avendo questi partecipato alla formazione della dichiarazione anticipata di trattamento. La certificazione del collegio viene notificata immediatamente al fiduciario, in modo che possano essere fatte valere le disposizioni anticipate di trattamento. Infine, l’art. 11 stabilisce l’esclusione di oneri finanziari e l’esenzione da qualsiasi tributo sia per le disposizioni anticipate di trattamento, sia per la certificazione del collegio di cui all’articolo 10, sia per qualsiasi altro documento ad essi annesso.


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Per Rocco Buttiglione c’è una confusione insopportabile su una materia delicatissima

«I giudici non si sostituiscano al Parlamento» l vicepresidente della Camera dei Deputati e parlamentare dell’Udc, Rocco Buttiglione, chiediamo innanzitutto se, a Suo avviso, la sentenza della Corte di Cassazione dell’ottobre 2007 richieda un intervento del legislatore relativamente alla materia del fine vita. «Quella sentenza ha teorizzato il diritto del potere giudiziario di sostituirsi al potere legislativo. In tutto il mondo occidentale vige la separazione dei poteri; quella decisione rappresenta il tentativo di non considerare questo principio e di forzare la mano rispetto al potere legislativo, oltretutto in una materia delicatissima e su basi argomentative fragilissime. Si è inteso non tener conto di secoli di tradizione giuridica, esprimendo peraltro una decisione che riguarda un bene non disponibile, la vita di una persona. E’ evidente che dopo quella sentenza, lo scenario cambia». In che senso, cambia? La nostra posizione è sempre stata quella di dire no ad una legge sul testamento biologico, perché volevamo e vogliamo evitare il rischio di una deriva eutanasica. Ora che il Parlamento, l’organo costituzionale

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colloquio con Rocco Buttiglione di Ernesto Capocci che in questo paese fa le leggi, si trova davanti dati di fatto come quelli che abbiamo evocato prima, sarà necessaria una legge e mi auguro sia possibile arrivarci. Faremo di tutto perché il testo che il Parlamento approverà, sia buono. A quali principi ci si deve ispirare? Il testamento biologico non può essere lo strumento con il quale si introduce l’eutanasia. Il paziente non ha il diritto di pretendere l’eutanasia, così come non ha il diritto di trasferire ad altri questa volontà. A volte si dice ‘ho il diritto di disporre di me stesso’, ma si deve tenere presente che l’eutanasia equivale al suicidio o all’omicidio, quando si pretende di conferire ad altri il diritto di uccidere. Con il testamento biologico posso dare delle indicazioni sul tipo di terapia che sono disposto ad accettare o non sono disposto ad accettare. Ci troviamo nel terreno dell’accanimento terapeutico ed è un terreno abbastanza ampio. Quel che è certo è che le indicazioni non possono essere ultimative e vanno confrontate con la situazione del-

la coscienza medica e dei progressi della medicina, che non possono non essere tenuti in considerazione. Il nodo della discussione riguarda il rifiuto del trattamento: questo diritto ce l’ho e questo diritto posso trasferirlo, si dice; però questo non può includere le normali forme di cura, come il cibo e l’acqua, che non sono terapia , ma assistenza, sono nell’alveo della carità umana. Consentire di rinunciare al cibo e all’acqua, significa ammettere l’omicidio alla persona. Questo è il punto. Ha letto la proposta di legge presentata da Paola Binetti come prima firmataria? Sì. Sicuramente con Paola Binetti esiste un retroterra culturale comune. I principi che ispirano la sua proposta di legge sono condivisibili. Il mio amico Norberto Bobbio più volte si doleva del fatto che a difendere l’etica, fossero rimasti solo i cattolici. La questione che si pone in questi tempi moderni è la lotta tra la cultura della disperazione e la cultura della speranza. Questa è la vera posta in gioco: l’indisponibilità del bene vita e questo è un tema assolutamente laico.

Parla Luisa Santolini, parlamentare dell’Udc e vicepresidente della Commissione Affari sociali alla Camera

«Su questi temi non si proceda a colpi di maggioranza» nche all’onorevole Luisa Santolini, vicepresidente della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati e parlamentare dell’Udc, chiediamo se la sentenza della Corte di Cassazione incide sulle problematiche del fine vita. «Certamente sì. La magistratura si è arrogata il diritto di fare delle leggi, non semplicemente di applicarle e di farle rispettare. Ha interpretato una legge che non c’è e se c’è un vuoto legislati-

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colloquio con Luisa Santolini sare una decisione sulla vita di una persona, prendendo in considerazione quello che quella persona ha detto vent’anni prima di una situazione traumatica o di malattia, magari ad un amico nel corso di una conversazione. Condivide la necessità di una legge che regoli questa materia? Sul testamento biologico non si sente alcun bisogno di alcuna legge e, ove vi fosse una legge, la riterrei una forzatura. E’ un fatto che in tutti i paesi in cui è stato introdotto il testamento biologico, si è arrivati poi all’eutanasia, anche dei minori malformati, dei disabili. Sono contrarissima al testamento biologico. Paola Binetti ha presentato una legge che non parla di testamento biologico. Parla di disposizioni, di cure di fine vita, nel contesto dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente. I principi ispiratori della proposta di legge di Paola Binetti che mi evoca sono ragionevoli e li condivido, nel senso che ne abbiamo discusso a lungo, anche quando eravamo insieme nell’Associazione Scienza e Vita. Occorre, però tanta riflessione e calma in questa materia. Certo, se si creassero le condizioni per varare una legge che chiarisca le questioni sul tap-

Non mi discosterei però dai contenuti di due Encicliche: l’Evangelium e l’Humanae vitae

vo vi sarà pure qualche ragione. Ora, con l’intervento della Corte di Cassazione, le cose sono cambiate e si aprano enormi interrogativi». È stata sottovalutata la portata di quella sentenza? Sì. Non c’è stata una presa di coscienza. La conseguente decisione della Corte di Appello di Milano sul caso Englaro ci ha posto davanti il problema. La sentenza parla di uno stato vegetativo irreversibile e non esiste nessun medico che possa accertare lo stato vegetativo irreversibile. Non si può ba-

peto (no all’eutanasia, no all’accanimento terapeutico, si all’idratazione e all’alimentazione, sì alle cure palliative e sì soprattutto rispetto al fatto che il medico risponda al giuramento di Ippocrate, che lo obbliga ad operare in scienza e coscienza, senza assecondare il paziente in tutto quello che chiede), entro certi limiti e a certe condizioni, potrebbe essere possibile stabilire buone norme in questa materia. Penso che Casa della Libertà, il Partito Democratico con Paola Binetti e noi dell’Udc, potremmo ragionare in termini sereni e positivi. Il testo che ha come prima firmataria Paola Binetti, può essere la base della discussione? Ritengo di sì. Sono a conoscenza del fatto che la Casa della Libertà ne sta preparando un altro. Quel che è certo è che in questa materia il Governo si dovrebbe astenere dall’intervenire e che la legge dovrebbe essere di diretta emanazione parlamentare, perché una cosa a cui tengo moltissimo è che su queste questioni non si proceda a colpi di maggioranza parlamentare, ma si realizzi un ragionamento condiviso, trasversale, che preservi gli spazi della riflessione, del coinvolgimento di esperti, che tenga conto, per chi crede, del Magistero della Chiesa. Tenendo presenti il testo straordinario dell’Evangelium Vitae e l’altra Enciclica che quarant’anni fa forse non fu compresa del tutto e che ora viene giustamente rivalutata, perché profetica, l’Humanae Vitae, le confesso che su questo fronte non sono disposta a mollare nulla di quegli inse(e.c) gnamenti”.


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Il prossimo presidente degli Stati Uniti dovrà fare i conti con una teocrazia ricca di petrolio e armi. E con un’Europa debole, forse troppo

La bomba di Teheran di American Enterprise Institute n governo Obama o McCain avrebbe la più pallida idea di come contenere una teocrazia dotata di armi nucleari e ricca di petrolio che voglia spargere il terrorismo e guerra per assicurare la giustizia in Medio Oriente e in Afghanistan? È tempo di respirare una nuova aria e formare un nuovo fronte occidentale contro Teheran. Il 30 luglio, il Leader supremo Khamenei ha demolito ciò che rimaneva della politica iraniana di George W. Bush. L’esponente d’alto rango del clero sciita ha anche messo fine al sogno di Barack Obama di avere un incontro tête-à-tête. Dieci giorni prima, americani, inglesi, francesi, teschi, russi e cinesi si sono incontrati a Ginevra sperando di convincere Teheran a sospendere l’arricchimento di uranio. Come c’era da aspettarsi, Khamenei gli ha risposto che la Repubblica islamica non si fermerà e non cambierà condotta. Abbastanza, per la significativa presenza di William Burns, il Sottosegretario alla politica degli affari esteri che era andato a Ginevra per dimostrare a Teheran e agli europei la volontà degli Stati Uniti di avere dei rapporti maturi con il regime. Se Khamenei avesse mandato anche una sola volta un emissario superiore segreto a Washington ad esprimere la sua volontà condizionata di restaurare relazioni diplomatiche, adesso avremmo un’ambasciata a Teheran. La missione di Burns, un affermato diplomatico “realista”, è esattamente quello che Obama aveva in mente durante la sua campagna, quando ha detto che da presidente avrebbe approvato meeting “preliminari” con gli ufficiali iraniani prima di cercare di avere dei faccia a faccia con un omologo degno, che, visto il sistema politico iraniano, significa Khamenei, il presidente Mahmoud Ahmadinejad, o Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, presidente del “Consiglio d’Esame Rapido” dell’Iran e il religioso che ha

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avviato il programma clandestino di armi nucleari.

Da quando Obama è stato sfiorato per la prima volta dall’idea di una diplomazia personale durante un dibattito alle primarie del Partito democratico, Khamenei ha pronunciato una serie di discorsi contro “Satana Incarnato”, “Il grande Nemico”e “il nemico dell’Islam e di tutto il popolo islamico”: tutti rivolti agli Stati Uniti. Ahmadinejad, un uomo più spirituale di Khamenei, alla fine di luglio suggerì a Brian Williams della Nbc che tutti i problemi tra gli Stati Uniti e l’Iran potrebbero essere risolti se solo gli americani avessero imparato a vivere secondo i dettami dei profeti biblici e post biblici. Che, secondo gli islamici, sono tutti musulmani. Immaginiamo il contrario: supponiamo che Barack Obama, George W. Bush o John McCain chiedessero agli iraniani di accettare gli insegnamenti di Cristo come praticati dai cristiani d’America. Dal punto di vista religioso, cultu-

Guardate la parola dushman (nemico), nei discorsi di Khamenei e Ahmadinejad. L’uso è costante e quasi identico. L’intensità con cui viene usata non è uguale a nulla di ciò che è mai venuto fuori dalla penna antiamericana di Ruhollah Khomeini, che era infinitamente più elegante. Ahmadinejad ha fatto un buon lavoro nel sistema politico iraniano teocratico, per varie ragioni, ma soprattutto per il fatto di essere diventato l’anima gemella di Khamenei. Khamenei non ne aveva una da quando era diventato rahba, o guida suprema della Repubblica islamica, alla morte di Khomeini nel 1989.

Neanche Rafsanjani e Khamenei – che sono dipesi l’uno dall’altro fin dai primi giorni della rivoluzione e che sono in qualche modo fratelli d’armi – sembrano essere parenti spirituali quanto Ahmadinejad e Khamenei. L’attuale Presidente dell’Iran e il rahbar sono uomini molto diversi, con background differenti – nessun pro-

A lato: Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ispeziona una fabbrica di missili, in grado di montare testate nucleari. Due anni fa, l’Iran aveva una cascata di 164 centrifughe; ora il numero si avvicina, secondo stime ottimistiche, a seimila

È lecito pensare che entrambi questi uomini stiano dicendo all’Occidente, con parole crude, che hanno intenzione di produrre armi nucleari e non c’è nulla che gli americani, gli europei, o gli israeliani possano fare per fermarli. Quando parlano di giustizia, e la menzionano costantemente, intendono uno squilibrio nel mondo tra i musulmani devoti, che seguono il vero sentiero di Dio, e gli infedeli, con la loro dannata superiorità tecnica. Producendo armi nucleari questi due uomini intendono riequilibrare la situazione, permettendo ai veri musulmani, soprattutto i fedeli iraniani all’avanguardia, di riconquistare una posizione predominante nel mondo islamico.

Ahmadinejad non ha intenzione di fermarsi. Non avrà pace fino alla conversione (anche forzata) del mondo intero all’islam, l’unica religione che per lui assicura la giustizia rale e politico è praticamente assurdo. Questo ci da un’idea dell’abisso che separa gli americani e gli europei dai leader della Repubblica islamica. Ciò dovrebbe far capire ad Obama e al Segretario di stato Condoleezza Rice che gli incontri faccia a faccia “preliminari”con gli iraniani sono irrilevanti: i diplomatici americani potrebbero parlare anni interi con Saeed Jalili, il negoziatore nucleare iraniano che è nell’entourage di Ahmadinejad, e non disturberebbe nemmeno l’universo in cui Jalili vive e prega.

L’abisso non è solo con Ahmadinejad, che alcuni nella sinistra americana amano dipingere come un uomo senza alcun potere a Teheran. È con l’intera oligarchia che comanda la Repubblica Islamica.

fano può essere amico di un mullah - ma hanno delle similitudini nel giudicare il bene e il male, nel modo in cui le loro identità iraniana e islamica li avvolgono e nella loro percezione della minaccia - in particolare la minaccia culturale degli Stati Uniti e dell’Occidente. Se mai, è Khamenei ad essere più duro e ad avere uno spiritualismo meno colorato, meno disponibile, e più apertamente e crudelmente politico. Ahmadinejad può accettare l’idea di donne che giochino a calcio o guardino le partite, Khamenei potrebbe solo immaginarle nei loro chador, mentre imbracciano fucili d’assalto e urlano slogan contro l’America. Anche Ahmadinejad gradirebbe le donne in questo ruolo, ma lascerebbe loro anche del tempo libero per giocare a pallone.

Ahmadinejad è stato contento di vedere Burns al meeting di Ginevra, non perché intenda raggiungere un accordo con gli Stati Uniti e accogliere la nuova flessibilità post asse-del-male dell’amministrazione Bush, ma perché ha visto nell’incontro di Ginevra un altro passo nel processo dell’Occidente verso la decisione di concedere una bomba all’Iran. Il trionfalismo di Ahmadinejad, specchio della più contenuta gioia di Khamenei, ha travolto Brian Williams, ridotto a fare continuamente sempre le stesse domande. Quando pensi di aver vinto, non hai bisogno di fingere con un giornalista america-

no che forse potresti arrivare a raggiungere un compromesso e dare all’Occidente la speranza che la diplomazia possa continuare il suo corso.

C’è una vaga possibilità che gli europei possano risvegliare la pista diplomatica Bush/Obama. Ma dovrebbero fare ciò che hanno precedentemente rifiutato di fare e che forse ora non è più possibile, visto che Teheran ha velocemente mosso il suo assetto finanziario fuori dall’Europa: imporre immediatamente forti sanzioni alla Repubblica Islamica. Cina e India - gli Stati chiave nello sviluppo di un regime sanzionatorio mondiale – non hanno intenzione di prestare il loro aiuto, visto che sembrano tutti concludere che un Iran clericale messo in ginocchio dall’Occidente è peggio che una Repubblica Islamica ricca di petrolio, con armi nucleari ma riconoscente. Con i loro risoluti sforzi per aumentare la produzione di centrifughe – due anni fa, l’Iran aveva una cascata di 164 centrifughe; ora forse ne ha seimila in movimento - dimostrano la loro serietà. E una volta che gli iraniani possiederanno una bomba e la piazzeranno, o faranno intendere solo di voler dotare i loro missili balistici di testate nucleari, quanta risolutezza dovranno avere gli europei per affrontarli? I comportamenti e i punti di vista europei contemporanei, non sono forse tentativi di placare Teheran? Persino sotto Angela Merkel,


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sanjani o anche le calde, soffici strette di mano di Khatami.

sare nel Medio Oriente una volta ottenute le armi. Ma pochi democratici – o repubblicani, per quel che importa – sono coscienti della potenzialità delle bombe nucleari iraniane di rompere i legami transatlantici che sia McCain che Obama dicono di voler rinforzare per affrontare tutti i problemi che abbiamo davanti.

un Cancelliere relativamente filo americano, i tedeschi sono più a loro agio con una “ostpolitik” verso Teheran, che soddisfi sia l’enorme appetito commerciale tedesco che la loro sensibilità pacifista. E che dire degli spagnoli e degli italiani, che hanno sostanziali traffici commerciali con Teheran? Hanno basi militari nella provincia di Herat nell’Afghanistan Occidentale, e li abbiamo visti negoziare sottovoce con i talebani nello sforzo di evitare vittime.

Immaginiamo se l’Iran, che è appena al di là del confine, facesse pressioni militari su di loro. Guarderebbero più alla fotografia grande o a quella piccola, dove appaiono sacchi pieni di cadaveri italiani e spagno-

li rispediti a casa? E se i tedeschi crollassero, i francesi, che sono stati i più lungimiranti nel vedere le tremende ramificazioni strategiche di un regime clericale, probabilmente li seguirebbero. Per un candidato presidente – Obama - che passa così tanto tempo a parlare della crescente minaccia dell’Iran, mancare di sostenere la difesa missilistica europea – una posizione che il Partito democratico appoggerebbe visto che non avrebbe altre alternative se non un attacco preventivo contro la disponibilità di armi nucleari in mano all’Iran – mostra la natura strategicamente sottosviluppata del suo team politico. Neanche quella di McCain, di appoggiare del tutto la difesa missilistica, è poi una cattiva

manovra di politica interna. Anche con un sistema di missili antibalistici funzionante che rinforzi la spina dorsale degli europei, i mullah sarebbero ben capaci di spezzare l’alleanza una volta ottenute le bombe atomiche. L’attrattiva del petrolio e del gas dell’Iran è veramente troppo forte. Con Teheran che continua a ribadire che gli europei non hanno nulla da temere finché prenderanno le distanze dall’America in Medio Oriente e in Afghanistan, una strategia di contenimento americana sull’Iran – che dovrà necessariamente coinvolgere gli europei se avrà qualsiasi forza economica – potrebbe essere nata morta. I democratici più avveduti hanno capito la strage che gli iraniani potrebbero cau-

Khamenei e Ahmadinejad hanno abbandonato la cautela e calma con cui Rafsanjani e il suo successore Mohammad Khatami si approcciavano allo sviluppo di armi nucleari. Per qualche tempo, questo brusco cambio ha portato la consapevolezza a Teheran che gli Stati Uniti e l’Europa potrebbero in effetti chiedere forti sanzioni, o peggio, che l’amministrazione Bush potrebbe ordinare un attacco militare contro le basi nucleari dell’Iran prima che il processo di arricchimento sia sufficientemente avanzato. Ma Bush non fa più paura. E adesso vedremo se Khamenei e Ahmadinejad hanno davvero capito l’Europa, in caso ancora importi. Ironia vuole che le strategie provocatorie di Khamenei e Ahmadinejad possono provare più efficacemente a dividere gli europei dagli americani di quanto abbiano fatto il sorriso beffardo di Raf-

Gli europei possono ancora sorprendere noi e loro stessi. A Parigi, Londra e Berlino sono chiaramente consapevoli della richiesta di armi nucleari da parte della Repubblica Islamica. Ed è possibile che Bush segua ancora una volta il migliore dei suoi istinti e tiri fuori un linguaggio bellicoso, che lasci intendere che attaccherà prima di lasciare il suo ufficio. È anche possibile che Obama possa finire con l’ammettere che la sua politica sull’Iran sia totalmente collassata. Con Khamenei, un attacco militare fortemente reclamizzato è un incentivo indispensabile per una pacifica sospensione all’arricchimento di uranio. Forse, contemplare la sua amministrazione che immagina una strategia di contenimento contro un Iran teocratico dotato di armi nucleari convincerebbe Obama del bisogno, adesso, di un pò di eloquenza bellicosa. E il fatto che McCain abbia tenuto a freno i suoi istinti più aggressivi per paura di sembrare troppo agguerrito, per un elettorato perseguitato dall’Iran, potrebbe far capire che la diplomazia senza minacce e senza forza non ha nessuna possibilità contro i mullah, che vedono gli hezbollah libanesi come loro amati figli. L’amministrazione Bush può avere tanti meeting quanti ne vuole la Rice con i rappresentanti del governo iraniano. Non c’è nulla di male in questi incontri o nelle discussioni circa la possibilità di aprire un’ambasciata americana a Teheran, a patto che nessuno creda che rivelino una moderazione latente tra l’elite che governa a Teheran. Nel contenimento dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno spesso fatto una guerra fredda pressoché calda. Applica la stessa logica: porta indietro le portaerei nel Golfo Persico. È più probabile che vedremo se un’amministrazione Obama o McCain avrà la minima idea di come contenere una teocrazia dotata di armi atomiche e ricca di petrolio, che voglia spargere il terrorismo e guerra per assicurare la giustizia in Medio Oriente e in Afghanistan. Questo fa presumere che gli israeliani non attaccheranno per primi, cambiando i piani di tutti. Forse non è troppo tardi per respirare una nuova aria e formare un nuovo fronte occidentale contro Teheran.

L’Europa ha dimostrato di preferire sempre il compromesso. Ma gli Usa non possono lottare soli


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ella storia della Chiesa del XX secolo, e in particolare del suo atteggiamento nei confronti del problema razziale, aperto con nuova violenza negli anni Trenta, prima dal nazismo in Germania e poi dal fascismo in Italia, un posto a se stante è occupato dalla famosa Enciclica su questo tema (Humani generis unitas) commissionata espressamente nel giugno del 1938 da Pio XI e mai pubblicata per la sopraggiunta scomparsa del Pontefice, avvenuta il 10 febbraio dell’anno successivo. La pubblicistica ha polemizzato a lungo su questa mancata pubblicazione, attribuendole significati del tutto arbitrari e ipotizzando congiure di ambienti della Curia volte a sabotarla, arrivando addirittura a ipotizzare la sottrazione del testo dalla scrivania del Papa morente e la successiva distruzione del manoscritto.

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La vicenda è stata in parte ricostruita nel 1995 da Passelecq e da Suchecky (il loro saggio è stato tradotto in italiano due anni dopo dal Corbaccio, con il titolo L’enciclica nascosta di Pio XI), che hanno anche pubblicato il testo fantasma. Ma le polemiche da allora non sono cessate e giunge quindi opportuno il saggio dello storico gesuita Giovanni Sale (L’enciclica mai pubblicata di Pio XI sul razzismo) che sul n. 159 de «La civiltà cattolica», uscito nei giorni scorsi, utilizzando fonti inedite dell’archivio storico della rivista, che già altre volte in passato gli hanno consentito di illuminare passaggi importanti della storia italiana, rimette al proprio posto una serie di tasselli documentari essenziali per spiegare i motivi per cui la bozza del testo venne consegnata al Pontefice con alcuni mesi di ritardo, determinanti per la sua mancata pubblicazione. Protagonista della vicenda è il gesuita americano La Farge, già autore di un saggio contro il razzismo (Interracial justice), e in viaggio in Italia nella primavera-estate del 1938 per motivi di studio, il quale, nell’udienza speciale del 22 giugno, si sentì rivolgere la richiesta di scrivere la bozza di un’Enciclica sul tema del razzismo, considerato dal Pontefice come il problema più scottante di quel momento storico, anche alla luce di quanto il governo fascista stava preparando in proposito. Nell’adempimento dell’incarico, La Farge sarebbe stato affiancato da due collaudati redattori di documenti pontifici: il tedesco Gundlach e il francese Desbuquois.

letture Il lavoro procedette tra luglio e la fine di settembre, quando il gesuita americano, ultimata la bozza, dovette rinunciare a consegnarla personalmente al Papa, essendo stato richiamato negli Stati Uniti per una grave malattia del fratello, e accontentarsi di accompagnare il testo con una relazione, conservata negli archivi di «Civiltà cattolica» e pubblicata nel saggio di Giovanni Sale, nella quale si sottolinea l’impegno della Chiesa per rinsaldare i vincoli di unità tra gli uomini. Un altro documento sottolinea invece il nesso tra il testo elaborato e la teoria del diritto naturale, figlio della religione, ma anche moderno strumento delle battaglie per l’emancipazione. Ancora più significativo un documento del 6 ottobre, sempre dell’archivio della rivista, con il quale il padre Generale dei gesuiti, Ledòchowski, inviava la bozza a un altro gesuita che si era interessato al tema, padre Rosa (che sarebbe scomparso poche settimane dopo, il 26 ottobre del 1938), chiedendo se, a suo giudizio, il testo potesse essere sottoposto al Un ritratto di papa Pio XI, morto il 10 febbraio del 1939 mentre l’Europa era in piena tempesta nazista

«Civiltà cattolica» ricostruisce la storia di un grande testo dimenticato

Pio XI contro il razzismo Ritorna l’Enciclica fantasma di Aldo G. Ricci Pontefice in tale forma e di mettere mano a un nuovo schema di enciclica. Informato di questi ritardi, Gundlach scrisse a La Farge ipotizzando un tentativo dilatorio e invitandolo a scrivere direttamente a Pio XI, cosa che venne fatta il 28 ottobre con una lettera nella quale l’autore della bozza dava per concluso il lavoro, si scusava per non averlo potuto consegnare direttamente, dicendo di averla data al padre Generale perché la facesse pervenire al più presto nelle mani di chi l’aveva voluta.

Dovevano passare ancora tre mesi perché il testo pervenisse il 21 gennaio del 1939 in Vaticano, accompagnato da una lette-

Nel 1938, poco prima di morire, il Pontefice cominciò a lavorare a un testo con il quale avrebbe voluto rispondere al dilagare dell’intolleranza. La morte sopraggiunta gli impedì di diffonderlo: un’occasione perduta di portata storica

ra del padre Generale nella quale si giustificava il ritardo con lo stato di salute e poi con la morte del padre Rosa, al quale lo stesso Ledòchowski aveva affidato l’incarico di redigere una nuova bozza, considerando quella elaborata da LaFarge più uno studio che una enciclica, e comunque non conforme alle intenzioni del Pontefice. Nella stessa lettera, il p.Generale ribadiva la disponibilità dell’Ordine e della rivista a lavorare ancora sul tema.

Ma il tempo era ormai scaduto e il 10 febbraio del 1939 Pio XI moriva senza aver avuto la possibilità di far pubblicare l’enciclica sul razzismo. La documentazione originale pub-

blicata da Giovanni Sale su «La civiltà cattolica» mostra quanto abbiano pesato su quella mancata promulgazione i ritardi procedurali legati ai dubbi di padre Ledòchowski sulla struttura del testo La Farge, senza nascondersi tuttavia anche le motivazioni ideologiche delle sue perplessità, che lo portavano a simpatizzare per i governi autoritari (Germania e Italia), concentrando l’attenzione sulla lotta al comunismo. In ogni caso si trattò di una occasione perduta di portata storica, le cui possibili conseguenze sulla dinamica degli avvenimenti successivi, se ci si vuole divertire a scrivere la Storia con i «se», restano naturalmente inimmaginabili.


musica

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Cresce la moda tra gli artisti emergenti di abbandonare le grandi major per tentare la fortuna nei reality show. Come i Jonas Brothers

Personaggi in cerca di autore (televisivo) di Alfredo Marziano Little Bit Longer, che negli Usa ha venduto oltre mezzo milione di copie nella settimana di uscita. I Bob Dylan e i Bruce Springsteen di un tempo spuntavano fuori dai localini del Greenwich Village e del New Jersey in cui giovani armati di sola armonica e chitarra acustica, affrontavano il pubblico senza rete e vis a vis. Di fronte ai gestori dei locali che cercano soltanto cover band degli Oasis e dei Coldplay, gli “alternativi” d’oggigiorno hanno imparato a far da soli giocando le loro carte su Internet e su MySpace. Ma se aspiri al mainstream non ci sono santi, della tv e dei talent show difficilmente puoi fare a meno. Amy Winehouse, la regina maledetta del neo soul inglese, ha studiato all’accademia musicale ma a procurarle un contratto discografico è stato il manager Simon Fuller, tentacolare e furbissimo deus ex machina di Pop Idol. Joss Stone viene dai contest in tv e anche la Duffy di Mercy, gallese tutto pepe, s’è fatta notare inizialmente in un programma televisivo regionale, Wawfactor, che già nel nome richiama il ben più noto X-Factor. Da quest’ultimo ha preso slancio la parabola vertiginosa di Leona Lewis, prima cantante britannica a issarsi al numero uno della classifica di Billboard e protagonista della cerimonia di chiusura dei Giochi Olimpici accanto a, nientemeno, Jimmy Page dei Led Zeppelin.

è una differenza sostanziale tra l’industria discografica di ieri e di oggi: «Noi suonavamo nei club e nei bar, oggi invece le star arrivano da Disneyland». Così John Mellencamp, lo Springsteen dell’Indiana, in un’intervista pubblicata qualche giorno fa dal Corriere della Sera. E rincara: «Life Death Love And Freedom, il mio nuovo album, è un disco per adulti, non va ascoltato come se a cantare ci fossero i Jonas Brothers». Il rocker cinquantaseienne parla con cognizione di causa. Lui, che qui da noi non ha mai sfondato ma in America è un’istituzione, sa bene cosa sia la gavetta, il sangue sudore e lacrime versati in studio di registrazione e nei tour senza fine dentro il ventre della nazione: cinque album tra il 1976 e il 1980, quando ancora tutti lo chiamavano Cougar, il puma, prima di arrampicarsi finalmente in cima alle classifiche con American Fool, Hurt So Good e Jack & Diane. Altri tempi.

C’

Oggi se non imbrocchi al primo colpo ti accompagnano subito alla porta, non c’è tempo di crescere un po’ alla volta. Mellencamp cita Disney, non a caso: con le major in disarmo, la casa di Mickey Mouse è diventata una invincibile armata del music business, una fabbrica implacabile di giovani divi (in America il club di Topolino ha allevato Britney Spears, Christina Aguilera e Justin Timberlake) che fanno breccia sul pubblico adolescente con accesso al telecomando e crescente potere decisionale in famiglia. I teen ager danno di Altri tempi quelli di Springsteen (sotto), Oasis o Coldplay (in basso a destra). Oggi per sfondare ci si affida a Internet e tivù. Un esempio eclatante? I Jonas Brothers (in alto)

Il sistema funziona a breve termine, ma si corre un rischio: quello di produrre cantanti seriali e in difetto di personalità e accelerare innaturalmente il passaggio dall’anonimato alla celebrità

Sembrava un caso isolato, e invece il format s’è dimostrato esportabile: da noi la prima edizione di X-Factor non ha fatto sfracelli di audience, eppure la “vincitrice morale” del concorso, Giuseppa Gaetana Ferreri in arte Giusy, è diventata la dominatrice dell’estate mettendo in riga Jovanotti e Vasco Rossi. Il sistema funziona, ma si corre un grosso rischio: quello di produrre cantanti seriali e in difetto di personalità, di accelerare innaturalmente il passaggio dall’anonimato alla celebrità, di incoraggiare la copia a scapi-

matto per High School Musical e Hannah Montana, i genitori sborsano soldi per comprare dischi e biglietti per concerti, la minorenne Miley Cyrus raduna nelle arene e negli stadi più gente dei Rolling Stones. Neanche tempo di celebrarla e di farle i conti in tasca ed ecco serviti sul piatto i nuovi fenomeni, i Jonas Brothers di cui sopra. Tre ragazzini del New Jersey tra i sedici e i ventun’anni, figli di un pastore cristiano, che fanno impazzire le ragazzine ma giurano di voler arrivare vergini al matrimonio. Li ha scoperti la Columbia quattro anni fa, ma quando l’etichetta della Sony ha fatto marcia indietro è stata ancora una volta la Disney, attraverso il braccio discografico Hollywood Records, ad accaparrarseli trasformandoli in astri nascenti del teen pop. La ricetta è sempre la stessa: comparsate in Hannah Montana e in altri show di Disney

to dell’originale. A breve è una strategia vincente, difficile però che paghi anche sulla lunga distanza. Dylan e Tom Waits, De Andrè e Battisti non hanno avuto bisogno di una faccia che buca lo schermo o di una voce che si distende su tre ottave per lasciare un solco nella storia della musica.

Channel, il canale televisivo del gruppo, un reality costruito a loro immagine e somiglianza (Jonas Brothers: Living The Dream) e poi Camp Rock, un film tv che ha radunato davanti al totem domestico quasi nove milioni di telespettatori facendo da rampa di lancio ai due dischi successivi, Jonas Brothers del 2007 e A


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il racconto

L’incontro fra un uomo e una donna in una serata particolare, in margine a uno strano circolo letterario

La Donna-bar di Dora Albanese

a il viso che luccica per il caldo, un profumo acre, che si mischia a quello tiepido del caffé zuccherato che versa nelle tazze, proviene dalla canottiera a pallini argentati che tiene addosso disordinata – si è levata da poco dai fornelli – sono quelle robe da battaglia – così le chiama lei – comprate al mercato per pochi danari, che non essendo di cotone buono, trattengono il sudore e lo cacciano all’aria ad ogni movimento del corpo – dice a un’altra donna invitata come me a cena questa sera. – Ma per i lavori di casa sono ottime, continua. La signora che le è di fianco seduta, annuisce falsa, come sanno fare bene le donne, mentre io invece l’ascolto con interesse, e la immagino mentre cammina per bancarelle la mattina presto: Buongiorno fruttivendolo, buongiorno signora, e poi mentre entra dal macellaio con il tic all’occhio (una sera ci parlò a lungo di quel tic che pareva un continuo rivolgersi alla Madonna) il tic del cielo lo chiama lei, per prendere le solite quattro polpette (due impanate e due no) che a suo marito piacciono tanto e tornare a casa, con le buste cariche di odori; mentre le braccia sembra si allunghino per il peso, e il caldo le si annida sulla fronte e morde e bagna i capezzoli. Versa il caffè in tazze trasparenti, ora piene e appannate, e afferra – adesso che si è seduta all’angolo del tavolo – con le unghie del pollice e dell’indice una sigaretta dal bordo del filtro – quando il pacchetto non è ancora iniziato è sempre difficile estrarne la prima – poi ne prende un’altra, esprime un desiderio con gli occhi stretti e la rimette dentro capovolta, perché crede ancora alle favole: alla fata di cenerentola, al principe azzurro, alle stelle cadenti della notte di San Lorenzo. La porta alla bocca e tira subitamente fuori la prima nuvola di fumo, mentre chiude l’occhio destro per il bruciore, poi butta fuori la seconda, in fretta, fino ad esserne circondata, fino ad utilizzare la mano

H

come tergicristalli per schiarirsi il viso. È mezzanotte, è la cena finisce con il caffè. Ogni settimana vengo qui, assieme ad altri ospiti – sempre gli stessi – a parlare di letteratura: ci sono Amedeo e la moglie che non parla mai, Ferdinando che dice di essere il più grande scrittore incompreso del nuovo millennio, ed io,

Ha il viso che luccica per il caldo, un profumo acre, che si mischia a quello tiepido del caffé zuccherato che versa nelle tazze

poeta senza pretese. Parliamo di letteratura, dopo aver cenato, ‘ché il marito di Jonica è un’intellettuale, e come i peggiori intellettuali ama rendere la letteratura una roba da bar. L’ho conosciuto alla presentazione del mio libro di poesia; era in un angolo della libreria, con la pipa in mano spenta, una camicia in lino celeste e la suola della scarpa al vento, bucata al centro e scollata lateralmente, i blu jeans morsi dalla strada; fu proprio questa aria da non intellettuale che m’incuriosì. Gli strinsi la mano e lui recitò una mia poesia a memoria: diventammo così discreti amici di bar. Iniziai sempre con più frequenza a conoscere casa sua: da ormai due anni vengo qui a consumare la domenica tra prelibatezze meridionali che solo Jonica sa cucinare così bene; lei, ora che ci penso, non è mai stata gelosa del mio rapporto con suo marito, forse perché da subito capì. Spegne la sigaretta in un bicchiere di plastica riempito a metà e si avvia a sparecchiare la tavola, mentre in salotto Amedeo Ferdinando e il padrone di casa affrontano l’ultimo caso editoriale dell’anno; io resto in soggiorno, e ascolto da lontano. Non è possibile – grida Ferdinando inghiottito dalla pancia di un divano in pelle – è come dare la cosa ai bambini… che ne sa quello dello

Strega – e poi si agita, mentre la pelle sudata a contatto con il divano si strappa. – Questo è un premio alla carriera… cosa c’entra lui… chi l’ha mai sentito nominare – dice Amedeo, seduto di sguincio sulla sedia – gli hanno da poco operato l’ernia inguinale. – Signori, non siate tutti così rancorosi… spazio ai giovani… suvvia… spazio ai giovani – dice il padrone di casa, ridendo grassamente. Jonica cammina silenziosa da una stanza all’altra, ascoltando e portando via i piatti sporchi di cucinato che laverà domattina appena sveglia, come fanno tutte le donne che ancora non hanno la lavastoviglie; e si sentirà in tutto il cortile il rumore dei piatti e lo scorrere dell’acqua, e sarà bello sentirsi appartenere ad ogni mano bagnata, ad ogni collo sudato di donna e di madre in quest’estate romana. Mentre si piega per raccogliere un tovagliolo caduto a terra – lì, a metà strada tra il salotto e la cucina – vedo venir fuori, proprio da quel disordine sintetico – a causa forse della mia ossessiva smania di fare attenzione ad ogni accento del corpo femminile – due peletti sottili sottili, quasi invisibili, che mi portano un brivido sudato alla pancia, raffreddato dopo un secondo, dal lento girare del ventilatore. E tu che ne pensi – mi chiede suo marito – di tutta ‘sta letteratura, e poi riprende a ridere, e quella risata pare un terremoto per il suo corpo che oscilla tutto. Penso che non m’interessa niente di niente, ‘ché per me i capolavori della letteratura sono stati tutti scritti: l’Ortese… ve lo ricordate Poveri e Semplici… un capolavoro per me… o forse Tempo di uccidere di Flaiano… ve lo ricordate Flaiano, o Arpino con La suora giovane? La letteratura vera ve la volete ricordare signori miei o dobbiamo per forza darla vinta al commercio e alla moda da spiaggia? Jonica intanto si gratta i bracci ed è nervosa. Le zanzare volano lente, vagano pazienti in cerca di vino caldo – bisogna solo aspettare che il ronzio si avvicini, e poi colpirle duramente, come fossero

Disegni di Michelangelo Pace

bestie enormi; con la stessa forza con cui il contadino abbatte un animale selvatico entrato di nascosto nel suo terreno – ma lei non vuole aspettare, è impaziente e ha fretta, fretta di colpire gli insetti estivi che le invadono il corpo e la casa; allora le guarda, guarda il loro volo che poi non è altro che un groviglio nero, e improvvisamente balza sulla sedia, assumendo le posizioni di una pantera, anche se il suo cacciare risulta ridicolo e poi snervante e poi immensamente tenero. Dora Albanese è nata È bello vederla di a Matera nel 1985. profilo mentre fissa Studia antropologia il muro o il lampaall’Università dario, e poi vederla “La Sapienza” di Roma. sferrare colpi con la Pubblica racconti camicia di lino di su “Quaderni radicali”, suo marito – la stes“L’attacco” e sul sito sa che indossava al“Letteratitudine”. la mia presentazioÈ presente in alcune ne – come fosse una antologie di giovani frusta. scrittori. Vive a Roma. Quel marito che non la sopporta pro-

l’autrice


il racconto

prio quando si lascia andare a certi comportamenti. Non ho mai capito perché mi permetta il maritino di guardare così a lungo sua moglie, di vederle accavallare le gambe e agitare i seni, di sentire persino il suo odore e vedere – per quanto m’è vicina – l’umidità sulle sue palpebre. Se Jonica fosse mia, tutta quella bellezza mi devasterebbe e guai a chi la sfiorasse anche solo con un occhio fuggito all’altro, guai. Eccola mentre colpisce con la fretta nevrotica che hanno le donne, il lampadario del salone dove si è nascosta la zanzara; colpisce, una due tre volte con colpi secchi, senza guardare, con il solo intento di finire l’insetto della sera, e invece non lo finisce, piuttosto, una palla del lampadario cade, accompagnata da un sussulto generale, dritta sul tavolino vicino al divano dove suo marito siede spaparanzato con i piedi per aria ancora calzati. L’insetto continua a volare abile e lento, poi si nasconde in un punto, dietro alla tenda blu, e addio, nessuno

riesce più a vederlo. Jonica allora si rilassa un attimo, e cade come un sacco o uno straccio su una piccola poltroncina. – Sei una cretina – dice il marito, in piedi per lo spavento; – E tu un idiota – risponde lei – non capisci che le zanzare mi pungono, poi mi viene il prurito e le bolle su tutto il corpo, tu sei fortunato ad avere il sangue amaro… io purtroppo… – Tu purtroppo cosa… hai appena rotto il lampadario, poi davanti a tutti ti comporti come una bambina. – Bene allora, mettimi in punizione… rompipalle. – Cosa hai detto? – Che sei un povero vecchio brontolone rompipalle… ro-mpi-palle, è chiaro adesso? – Jonica smettila! – e lei la smette, soddisfatta di aver scandito per bene, come fosse ad una lezione di solfeggio quello che pensa di suo marito. – E se mi fosse caduto in testa? – Sarebbe stato meglio.

6 settembre 2008 • pagina 21

– Jonica!!! – la rimprovera irritato, ma lei è già andata via. Ha portato con sé la palla del lampadario, e prima di andare via ha tirato indietro con il dorso della mano, una ciocca di capelli umidi e neri caduti in avanti, come fossero stati colti da un improvviso malore. Starà andando forse a rinfrescarsi il viso sudato, penso. Chissà la moglie di Amedeo cosa crede di Jonica; la guarda senza dire una parola, la guarda come io guardo il mendicante di sotto casa mia: come un pazzo uscito dal manicomio. Quella sua scompostezza, il suo saper ridere in faccia alla seriosità della gente, me la fa amare ogni volta maggiormente; peccato però che lei non mi degni neanche di uno sguardo. Nessuno di noi capisce perché questa giovane e umida ragazza stia con un uomo-bar, con un uomo che non la guarda mai, non le sorride mai, e che le da solo ordini. Eppure ha solo vent’anni, avrebbe tutte le ragioni per andare altrove; invece no, cucina, lava e stira, anche se siamo nel duemilaotto, anche se in televisione trasmettono – ora che è estate – il programma a cui tutte le ragazze vorrebbero partecipare per sentirsi veline anche solo per un giorno; anche se in giro le sue coetanee – ora che gli esami di maturità sono finiti – passano da una bocca all’altra, da un modo all’altro di fare all’amore. L’uomo-bar queste cose le sa, ma finge – vigliacco – di essere disposto a perderla, di poterla sostituire nel giro di poche ore; le da rimproveri e ordini come fosse suo padre, anzi no, il suo padrone, credendo nella sua sottomissione, sicuro del suo essere fedele sognatrice, credendo nell’intenzione che lei ha di voler difendere a tutti i costi il suo primo grande amore. Restiamo tutti in silenzio quando litigano, anche se siamo abituati a vederli sempre così risentiti: è chiaro a tutti che il loro è un rapporto finito, una commistione di sensi di colpa e tradimenti, un non voler dare ragione all’evidenza; o forse è solo vero che a un certo punto del matrimonio è quasi inevitabile apprezzare solo sorrisi e sguardi esterni: altri capelli, altri denti e colori, un altro timbro di voce; forse è proprio vero che «l’erba del vicino è sempre la più buona». È tornata nel salotto, dopo circa un’ora, ha gli occhi gonfi di sonno: – Hai riposato un po’?, le domando. – Sì… sì, mi dice imbarazzata; è la prima volta che mi rivolge la parola. – Sei stanca? – Un po’sì… sai le faccende di casa diventano pesanti con questo caldo… Roma è così afosa, che mi sembra di prendere fuoco. Si lascia andare finalmente, e co-

mincia a parlare e a dire le cose che tutte le donne dicono, a darsi sempre di più l’aria di donna grande, anche se io so che chiunque riuscirebbe a ferirla, anche solo sfiorandola con un ramo sottile. – Ti va un succo di frutta? – Certo. La seguo emozionato, mentre l’uomo-bar parla con gli altri e la moglie di Amedeo si mette in un sonno profondo e oscillatorio – la sua testa dondola come fosse una campana. Jonica apre il frigorifero, e quell’improvvisa frescura sulla pelle mi rigenera e mi eccita. Lei resta ferma di lato, alla ricerca del succo di frutta, fingendo di non aver capito – e in questo è abile come tutte le donne – la sua pelle ora è illuminata solo dalla lampadina del frigorifero e non da altro, la cucina fuori è buia. – Ecco, trovato. – Grazie Jonica. – Prego. Bevo il succo dalla cannuccia tutto d’un fiato, come fossi ritornato ragazzino, come fossi ritornato dalla mamma dopo una lunga giocata a pallone; lei intanto mi studia da vicino, e siamo entrambi ingialliti dalla luce adesso. Mi prende dalle mani il barattolo di carta finito, e sempre sorridendo si avvia verso la busta della spazzatura. Provo a prenderle la mano, ma solo per un secondo mi sfugge, lei però capisce, e si volta spaventata e felice. – Ti andrebbe di fare l’amore? – Sì. Ritorna davanti alla piccola lampadina, mentre l’aria fresca le ghiaccia la schiena sudata che è ora nelle mie mani. La sposto e la siedo sul bordo del lavello e poi la prendo con imbarazzo e incredulità. Mi dice che la posizione è scomoda, allora la prendo di nuovo, mettendole le mani sotto il sedere: – Adesso meglio… – dice – rendimi felice. E invece è triste, mentre sento nei miei nervi il suo corpo lentamente aprirsi, i muscoli distendersi e le labbra irrigidirsi; non so perché lo stia facendo, forse per noia, o per speranza, o forse solo per amore nei confronti del suo uomo-bar. Si aggrappa alle mie spalle cercando più un abbraccio che altro, rilassa la bocca sul mio collo riempiendolo tutto, ora che il ritmo si è fatto frenetico, e mi fa venire così, tra la frescura del frigorifero lasciato aperto alle nostre spalle – pare la porta dell’Aldilà – la sua saliva, e l’impaccio di quelle mutande non tirate via del tutto. Non mi ha voluto baciare – Jonica..., grida il marito dal salone, ‘ché forse solo adesso ha temuto, solo adesso si è accorto nuovamente di lei.

Bevo il succo dalla cannuccia tutto d’un fiato, come fossi ritornato ragazzino, come fossi ritornato dalla mamma dopo una lunga giocata a pallone


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Maestro unico nelle scuole, siete favorevoli o contrari? TUTTO SOMMATO, VISTA LA LEGGE PER INTERO, CREDO CHE SIA UNA BUONA E ATTENTA DECISIONE

PROPRIO NO, QUELLA INTRAPRESA DAL MINISTRO GELMINI È LA STRADA OFFUSCATA DELL’IDEOLOGIA

Maestro unico nelle scuole? Beh, tutto sommato, visti tutti i cambiamenti previsti, mi trovo decisamente d’accordo con il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini: «Con il maestro unico verrà meno la compresenza degli insegnati ma comunque non verrà meno il tempo pieno», ha detto il ministro. Insomma a detta della Gelmini non sarà il taglio di 87 mila posti in tre anni a creare scompensi all’orario prolungato. «Anzi - ha assicurato - il governo ha calcolato che non solo manterremo il tempo pieno, ma addirittura riusciremo a migliorare il servizio ed ad estenderlo ad un numero maggiore di classi». Questo perché - ha ancora spiegato la Gelmini - il governo si rende perfettamente conto che oggi nelle famiglie ci sono difficoltà economiche e che la maggior parte delle madri lavora e, quindi ci vuole una scuola che vada incontro alle esigenze delle famiglie». Che dire, se così stessero realmente le cose, c’è da sperare che tutto proceda e che il governo continui proprio su questa linea. Cordialmente ringrazio per la disponibilità nelle pagine del vostro giornale.

No. Propio no. Il ritorno al «maestro unico» nelle scuole elementari trovato a sorpresa nel ddl del Ministero dell’Istruzione non ha convinto da nessun punto di vista. Non solo. Resta da capire un punto cardine (che sembra come sempre essere una prerogativa fissa del nostro Paese): come finirà il confronto con i sindacati che si erano detti assolutamente contrari al maestro unico e pronti a dare battaglia? Avevano già il 28 agosto definito un «colpo di spugna» l’intenzione del governo di modificare l’assetto della scuola elementare e definito la riforma «un atto che porterà l’istruzione primaria indietro di diversi anni. Abbiamo solidi argomenti dalle rilevazioni internazionali - sostiene Massimo Di Menna, leader della Uil Scuola - sui buoni esiti della nostra scuola elementare, alla corposa ricerca scientifica, pedagogica e didattica, alle tante esperienze laboratoriali e innovative che hanno registrato piena soddisfazione di famiglie e insegnanti, per convincere a non proseguire su questa strada che ci pare offuscata dalla ideologia».

Amelia Giuliani - Potenza

LA DOMANDA DI DOMANI

Il parcheggio al Pincio di Roma si deve o non si deve realizzare? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

Marco Valensise - Milano

LA REINTRODUZIONE DEL MAESTRO UNICO SEMBRA UN INGENUO RITORNO AL PASSATO Quello che secondo me non va sono le modalità con cui la Gelmini ha intrapreso le scelte riguardanti la scuola italiana: l’utilizzo del decreto legge, l’inserimento di norme nella legge finanziaria, impediscono, secondo l’agenzia dei vescovi, una vera discussione su temi cruciali. Sul maestro unico poi, credo che ripristinarlo sia un errore, soprattutto dopo che la scuola italiana negli ultimi anni, con buoni risultati, aveva puntato sull’équipe di maestri. Come ha detto qualcuno, la reintroduzione del maestro unico sembra un ingenuo ritorno al passato: ciò che occorre, in un’epoca come la nostra di esasperata articolazione e specializzazione dei saperi, è una pluralità concorde che sappia costruire con coerenza, nella quale, come in un’orchestra, il singolo offra il proprio contributo ad un discorso d’insieme.

LE LIBERALIZZAZIONI DEI SERVIZI STRATEGICI Una delle opere di riforma, con effetti sul sistema economico, di cui da tempo si discute è quella relativa alle liberalizzazioni nei settori strategici, in primo luogo energia, trasporti e servizi bancari. La grande opera che nei primi anni novanta portò a privatizzare gran parte del patrimonio pubblico, infatti, non contemplò la necessità di andare a liberalizzare i settori che progressivamente venivano privatizzati. Questo ha portato alla trasformazione di quelli che erano dei monopoli pubblici in veri e propri monopoli privati. E infatti le più alte performance di borsa in questi ultimi anni sono state raggiunte da quelle aziende private, ad esempio nel settore energetico, che si sono trovate ad agire sul mercato italiano in condizioni da monopolista. Il principale effetto di questa situazione di mancata concorrenza è

NASTRO STELLARE Questa striscia rossa nell’universo è il residuo di un’esplosione cosmica avvenuta più o meno mille anni fa. Era all’incirca il 1006 d.C., quando alcuni osservatori videro un improvviso bagliore provenire da una supernova ribattezzata oggi “SN 1006”

PD MERAVIGLIAO

UMBERTO BOSSI STUPIRÀ

Dolci tentazioni. Per accarezzare l’ego dei compagni e dei loro sodali e riportare in loro il buonumore, niente di meglio del metodo Veltroni. Un metodo senza complicazioni. Il metodo preferito da tutti i buoni. C’è n’è per tutti i gusti, per le star rosse, le superstar verdi, i glamour e luminosi ex popolari e gli splendenti e spettacolari margheritini. Volete che non si viva bene, d’amore e d’accordo in una famiglia, quella del PD, dove tutti sono divi, artisti e pensatori? Volemose bene, basta con le correnti, le fronde e le divisioni. Chissà perchè ma non ci pare sia questo il metodo di cui parlano Arturo Parisi e Massimo D’Alema. Ohi ohi. Grato dell’attenzione. Distinti saluti.

Se provate a fermarvi a riflettere sulle parole forti talvolta usate da Umberto Bossi, ministro della Repubblica, vi sentirete senza fiato e vi verrà voglia di non conoscere più niente del mondo in cui vivete. Ma non dovete. Il Bossi è fatto così, ha carratteristiche particolari, anzi uniche. E’ uno tra i politici più fuori dagli schemi di tutta Europa. E’ un tipo scalpitante, arrembante e ingombrante. Sappiate aspettare. La politica è rappresentanza d’interessi e di ideali, anche senza nessun rispetto della forma, della finezza e dell’eleganza. Ne siamo certi, domani vi regalerà uno slancio inebriante. Col federalismo vi stupirà. Basta avere un po’ di pazienza. Cordialmente ringrazio.

dai circoli liberal Gaia Miani - Roma

quello di un aumento del costo dei servizi per gli utenti, generando evidenti svantaggi per le imprese italiane in termini di competitività. E’ questo, ad esempio, il caso del settore della telefonia fissa che seppur liberalizzato non è ancora stato investito da dinamiche realmente concorrenziali perché al momento della privatizzazione Telecom si decise di non scorporare la rete dall’azienda, consentendo ancora oggi una posizione di vantaggio all’ex monopolista. Lo stesso dicasi nel mercato del gas, per la mancata separazione dell’ex monopolista Eni dalla rete, la società Snam rete gas di cui controlla ancora oltre il 50%, e dalla Stogit, la società che gestisce gli stoccaggi di gas. Oppure è il caso dei servizi pubblici locali, che rappresentano il principale esempio di statalismo regionale e municipale. Il controllo diretto di tali servizi da parte del-

Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)

Lettera firmata

le amministrazioni pubbliche determina, infatti, notevoli problemi di efficienza a danno dei consumatori. Affianchiamo a questa situazione la struttura chiusa nel settore delle professioni intellettuali ed il quadro è completo. Per una azienda italiana il costo per servizi e tariffe (energia, trasporti, banche, notai, ed altro ancora) è mediamente più alto che per altre aziende europee o provenienti da altri mercati, e questo crea grossi squilibri, soprattutto per le PMI, nel poter far fronte alla concorrenza dei prodotti provenienti dall’esterno. Urge, quindi, una grande opera di liberalizzazione incentrata sul miglioramento dei servizi e sulla riduzione dei costi per gli utenti finali, che devono sempre rappresentare la stella polare nelle scelte di politica economica relative a concentrazioni e concorrenza. Mario Angiolillo LIBERAL GIOVANI


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LA CIVILTÀ BRITANNICA? È IN EVIDENTE AGONIA

Papà, il prodigio della baracca Christine, oggi sei stata davvero il nostro angelo salvatore, mai avevo atteso un pacco con tanta impazienza come questa settimana, ed ecco che ne è arrivato uno – e che pacco! Ho immediatamente portato biscottini e panini a papà – poverino, è tanto magro dopo quel lungo digiuno, ha un ascesso all’occhio e un portiere tirannico. È una situazione assai triste, meglio non pensarci troppo. Eppure lui è considerato il prodigio della baracca, è l’unico che sia in grado di leggere in modo concentrato – in ebraico, francese, olandese, o altro –, lui legge in continuazione e nessuno capisce come faccia in un ambiente simile. Christine, preferisco non pensare a come faremmo se non ci foste voi, questa settimana mi sono resa conto che sarebbe un disastro. Papà ha intenzione di scriverti nel suo giorno di permesso ma può darsi che la sua lettera non ti arrivi. Comunque sia, i legami tra le persone non si interrompono per piccoli contrattempi. Pensa a noi ogni tanto. Etty Hillesum a Christine van Nooten

I POLITICI PENSINO AI CITTADINI, NON SOLTANTO AGLI IMMIGRATI Buongiorno. Chi scrive è un comune cittadino italiano che ha rispettato sempre le regole della sua Nazione e quando non l’ha fatto ha pagato (in senso stretto ma anche in senso lato). Chiarito questo mi piacerebbe dire a Gianfranco Fini e Walter Veltroni che non credo affatto siano questi i tempi per affrontare un argomento così delicato e complesso come il voto agli immigrati. Abbiamo altri pensieri più prioritari e più seri, a casa nostra, per occuparci di come si possano sentire altri venuti da noi, chiamati o meno. Un lavoro non in nero, un’assistenza sanitaria, una casa ed un’istruzione: oltre non possiamo andare, non siamo in grado di farlo! Chi forza la mano, politicamente parlando, si chiami Walter Veltroni o Gianfranco Fini, dovrebbe risolvere prima la situazione degli italiani, per non accrescere il numero degli scontenti e disagiati ”legalizzati”! Oppure qualcuno pensa che le loro siano, nel 2008, idee da grandi statisti? Grazie per l’attenzione e buon lavoro.

PdL Teramo (Abruzzo)

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

6 settembre 1965 Guerra del 1965: L’India attacca il Pakistan e annuncia che le sue forze cattureranno Lahore nel giro di un’ora 1972 Massacro di Monaco: alcuni atleti e allenatori Israeliani vengono uccisi quando la polizia tedesca assale i membri di Settembre Nero, in un fallito tentativo di liberare gli ostaggi 1978 Papa Giovanni Paolo I tiene la sua prima udienza generale sull’umiltà 1986 A Istanbul, due terroristi arabi dell’organizzazione di Abu Nidal, uccidono 22 persone e ne feriscono sei, all’interno della sinagoga Neve Shalom, durante le funzioni per lo Shabbath 1991 Il nome San Pietroburgo viene ripristinato per la seconda città della Russia, che si chiamava Leningrado dal 1924. L’Unione Sovietica riconosce l’indipendenza degli stati baltici 1997 Funerale di Diana, Principessa del Galles, nell’Abbazia di Westminster

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

Gli 007 inglesi aprono agli omosessuali. Vista nella sua singolarità, è solo l’ennesima dimostrazione – qualora ne fosse stata necessaria un’ulteriore – dell’agonia della civiltà britannica. L’apatica Londra ha perso la propria identità, sommersa dalla vivacità di culti e costumi che almeno mostrano il coraggio del proprio credo; la corona inglese il proprio decoro; la Chiesa d’Inghilterra pure la testa – e presto perfino l’unità. Ma se ampliamo lo sguardo, ci accorgiamo come, invero, si tratti di uno dei tanti spettacoli messi su nel grande circo della politica attuale. Il ben più verace rispetto è stato lentamente sostituito dall’ipocrita tolleranza: un fardello meno pesante, anche perché se il primo è gravato dalla verità, la seconda è solo una bolla gonfiata dall’indifferenza. Così, il puparo fa ballare ignare marionette, augurandosi che alla fine dello spettacolo gli rimanga un poco di visibilità, qualche voto e l’abilitazione a pontificare dal pulpito della modernità. Ma sono solo sermoni per nichilisti, specchietti per allodole. Cittadini di un mondo alla deriva, più deboli di comprendonio che di pensiero.

Antonio Pesce - Catania

PUNTURE D’Alema si rivolge a Veltroni: «Devi dirmi cosa posso fare». Veltroni: «Vai in barca».

Giancristiano Desiderio

Due volte sciocco colui, che svelando un segreto ad un altro, gli chiede caldamente di non svelarlo a nessuno MIGUEL DE CERVANTES

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di TRA LA VITA E LA MORTE Esistono dei problemi, veri e propri dilemmi morali, che non possono essere risolti attraverso l’uso della ragione e del linguaggio. La ragione si fa sempre scudo della morale e, quando la morale è giusta e in buona fede da entrambe le parti in conflitto allora si creerà un muro tanto insormontabile che nemmeno la verità riuscirà a superarlo. A volte soltanto i poeti, con la loro magnifica (illogica) pazzia, riescono a scavalcare quel muro, ponendosi sopra di esso alfine di scrutare la situazione da entrambi i lati della barricata…poi essi riscendono tra noi e ricadono nella trappola del linguaggio; hanno visto la verità dall’alto, solo come Dio può fare e la grammatica della verità non ha nulla di umano. Uno tra i tanti interrogativi di questo genere è quello sull’eutanasia, portato agli onori della cronaca dai recenti casi di Piergiorgio Welby e Eluana Englaro. Eutanasia, già la parola è un interrogativo, essa deriva dei termini greci Eu (buono, dolce) e Thanatos (morte). Ma come può la morte essere dolce? Come può la fine di ogni speranza essere buona? Un modo c’è, essa deve essere vista come una liberazione, una fuga dal dolore insormontabile che lega alla terra un’anima fiacca ed annoiata della sua condizione subvegetale eppur viva. Il dilemma sullo staccare la spina è la controparte fisica della condizione umana :«Siamo giudici sulla dignità della vita dell’altro?», se la risposta fosse un secco ”sì” allora dovremmo prepararci al peggio; non solo l’eutanasia ma anche

l’hitleriana selezione naturale e l’antropologia dei popoli ancora in via di sviluppo diventerebbero vivi argomenti di discussione con saccenti estimatori provenienti da ogni parte del globo. Se la risposta a quella domanda fosse un secco ”no” allora dovremmo chiudere gli occhi ed i cuori a colui che, con la sola presenza del suo dolore ci fa sentire tanto a disagio quanto infinitamente fortunati al suo cospetto. Tuttavia credo che sia impossibile non notare quella sofferenza. Coleridge chiamava questa situazione “vita in morte”, l’anticamera di un inferno peggiore della dannazione stessa, perché al posto della rassegnazione delle anime condannate qui vi è la paura della morte e del giudizio. E quel che vi rimane è dolore. Cosa fare allora? La risposta è nell’empatia, nel provare le medesime sensazioni dell’altro, ma l’empatia umana è soltanto un sogno perché l’uomo stesso è asincrono alla sofferenza, è spinto così tanto ad evitarla che gli viene impossibile anche comprenderla ed allora cade nell’insieme della supposizione e, guarda caso, egli suppone che il soggetto non voglia vivere. Personalmente non ho il coraggio di schierarmi contro la dolce morte, ma non ho né il coraggio né la presunzione di dire che la verità sia dalla nostra parte. La giustezza viene dall’alto, da una percezione totale delle cose ed a questo dato di fatto dobbiamo rassegnarci perché, come i poeti, finiremo l’impazzire cercando di decifrare la verità, unica grammatica di Dio.

alessandro.iagulli voxpopulisalerno.blogspot.com

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PAGINAVENTIQUATTRO Carolina da Venezia. Una grande prova d’attore per il divo «maledetto»

Sangue e dolore. Mickey Rourke e l’epica del

WRESTLING di Alessandro Boschi

i comunica che la proiezione de Il seme della discordia di Pappi Corsicato in programma oggi, 4 settembre, alle 19.00 in Sala Perla è stata annullata per indisponibilità della copia». Questo, come si sarebbe detto una volta, lo scarno comunicato. Il motivo ufficiale della mancata proiezione del film di Pappi Corsicato è quindi l’indisponibilità della pellicola. Disponibile, peraltro, poco dopo alla proiezione delle 22.30. I più indignati i giornalisti stranieri, che hanno minacciato di disertare la sala. Minaccia, questa, che non sappiamo se abbia o meno avuto seguito. La sensazione è che la distribuzione, Medusa, abbia avuto paura che qualcuno violasse l’embargo che consentiva di scrivere, per noi, e leggere, per voi, del film solo oggi, come stiamo facendo. Se ci pensate, annullare la proiezione è servito a qualcosa, come a rubare spazio agli articoli, a far parlare di altro oltre che del film, come stiamo facendo. Nemmeno ci volesse molto per dare un’idea di quello che abbiamo visto: un filmetto di plastica che avrebbe avuto ben altro destino se a dirigerlo fosse stato, che so, Pedro Almodovar?

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Ma nessuno è Pedro Almodovar nei dintorni, tanto meno Corsicato, che nell’impossibilità di conferire al film una lievità da commedia confonde leggerezza con superficialità, regalandoci, si fa per dire, un cinema a due dimensioni. Neanche a dirlo che delle consuete tre, quella che

manca è proprio la profondità. Questo il giudizio sul film. Sul fatto, poi, che sia stato collocato in concorso dimostra quanto sia stato difficile quest’anno il ruolo dei selezionatori, forse troppo difficile. Selezionatori che però, almeno oggi, ci hanno regalato un film interessante. Parliamo di The Wrestler, del sorprendente Darren Aronofsky. Sorprendente perché dopo

spontaneamente, tagliandosi con una lametta nascosta nelle bende.

Il merito di Aronofsky sta nell’avere centrato il cuore di questi lottatori, la loro amicizia, la loro solitudine. Il personaggio di Randy “Ram” l’Ariete è la declinazione estrema di un vinto vincitore, che ha bisogno di sacrificare se stesso per un’emancipazione che può avvenire solo attraverso l’unica strada che gli rimane, la lotta. Beninteso, non è la lotta in sé che può fargli del male, bensì l’uso che egli decide di farne. Scegliere un “fratello” ( un lottatore che curiosamente si chiama Ayatollah, Segno di Dio) per immolarsi davanti al proprio pubblico diventa l’atto eroico più grande e la sublimazione di una moderna via crucis. Aggiungiamo che la prova di Mickey Rourke è davvero notevole, forse perché il personaggio non è molto distante dal suo modo di vivere. Rourke si dà, si trasforma, diventa (è diventato) qualcosa d’altro. Dal celebre Nove settimane e 1/2 sono passati 22 anni. Abbiamo rivisto recentemente, nel film di Guillermo Arriaga, la sua partner di allora Kim Basinger. Dovendo scegliere chi dei due è invecchiato meglio, non avremmo dubbi. Se però fossimo un editore e dovessimo chiedere ad uno dei due di scrivere la propria biografia, beh, non avremmo dubbi nemmeno in quel caso.

Grande successo per «The Wrestler», mentre delude il film di Pappi Corsicato con Caterina Murino e Alessandro Gassman: una commedia «di plastica» che confonde la leggerezza con la superficialità il terribile The Fountain presente nella passata edizione della Mostra tutto avremmo pensato fuorché un prodotto sporco come questa pellicola interpretata da un devastato Mickey Rourke. The Wrestler è la storia di un lottatore in disarmo che cerca di normalizzare la propria esistenza fatta di eccessi e ultime spiagge attraverso il recupero di un rapporto paterno e la costruzione di un menage amoroso. Ma questo non è il destino di un wrestler, un vero wrestler non può rifugiarsi a vendere macchine o mortadella, devo dare tutto al proprio pubblico. Roland Barthes nel suo saggio sul wrestling, affermava: «Il pubblico non assiste alla rappresentazioni di passioni vere, ma gode della perfezione dell’iconografia». Non poteva certo immaginare la deriva di disperazione che questa “disciplina”avrebbe imboccato. Il wrestling ha bisogno di sangue, e se non c’è ce lo si procura


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