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ISSN 1827-8817 80902

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Alitalia, il primo incontro tra governo e parti sociali

he di c a n o r c

Ha ragione il sindacato, il vero problema è il piano industriale

di Ferdinando Adornato

IL NUOVO CRIMINE DELL’IMPERO Magomed Evloev, 37 anni, giornalista. Lottava per l’indipendenza dell’Inguscezia. È morto su un auto della polizia russa, con un colpo di pistola alla testa. Mentre il Consiglio d’Europa si divide sul rapporto con Mosca, Putin continua a eliminare i suoi oppositori...

di Vincenzo Bacarani on saranno tempi brevissimi, ma nemmeno lunghi. Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha dettato un’agenda precisa: «Da giovedì inizia un confronto sul piano industriale di Alitalia da concludersi entro la fine della settimana successiva vista la criticità della situazione. Il nodo degli esuberi sarà affrontato dopo». I sindacati, quindi, incassano un buon risultato dopo le opportune messe in guardia da parte del governo (“Questa è l’ultima occasione” ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta), degli imprenditori (“O si fa l’accordo o è bancarotta” ha detto Roberto Colaninno) e del commissario Augusto Fantozzi (“A fine settembre solo 30 milioni in cassa”). «Mi sembra un avvio costruttivo – ha dichiarato Roberto Panella di Ugl Trasporti -, c’è un clima meno teso rispetto a quello dei mesi scorsi». Dal canto suo il governo, attraverso Letta, fa sapere che «il nostro dovere è mettere il commissario in condizione di conoscere la situazione. Una volta accettata un’offerta, aprirà il tavolo». E Silvio Berlusconi aggiunge: «I sindacati non potranno dire no, il loro avallo è fondamentale, ma la nostra proposta è l’unica giusta». Ma la questione esuberi sarà sicuramente decisiva per la conclusione della trattativa.

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Magomed Magomed Evloev Evloev

Chi ha ucciso Magomed? alle pagine 2 e 3

se gu e a p ag in a 1 0

Leone d’oro alla carriera

Oggi il convegno dell’Udc

Parla Clemente Mastella

Giustizia, la partita vera inizia oggi

«La mia rinascita? Comincia in Abruzzo»

di Errico Novi

di Francesco Capozza

di Andrea Mancia

di Priscilla Del Ninno

Partirà oggi il convegno organizzato dall’Istituto Luigi Sturzo, dalla Fondazione liberal e da Mondoperaio, con il coordinamento del responsabile giustizia Udc, Michele Vietti.

Dopo mesi di riflettori spenti, di esilio per certi versi imposto, Clemente Mastella ha voglia di fare il punto della situazione politica. E sul futuro non ha dubbi: «È nella Costituente di Centro».

Sono stati i discorsi di Laura Bush e Cindy McCain - First Lady in carica e aspirante tale - ad aprire i lavori della convention repubblicana di Minneapolis-St.Paul. Lavori ridimensionati dall’uragano Gustav.

«Il cinema dei furbi non mi interessa. Al limite – ha poi aggiunto – non mi interesserebbe il cinema se questo in qualche modo mi impedisse di essere quello che sono». Ecco chi è Ermanno Olmi.

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MARTEDÌ 2 SETTEMBRE 2008 • EURO 1,00 (10,00

La vice di McCain ancora sotto i riflettori

Per Olmi l’Umanità è un film

Uragani e gossip sulla convention

CON I QUADERNI)

• ANNO XIII •

NUMERO

166 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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Un giornalista ucciso: un altro “caso Politkovskaya“ piomba sulla discussione dei 27 a Bruxelles

L’assassinio di Magomed Ma il Consiglio d’Europa si divide su Mosca: Londra propone di sospendere i rapporti con Putin ma viene bocciata di Francesco Cannatà are piena luce sulla morte di Magomed « Evloev». Per il leader del comitato organizzatore della manifestazione nazionale che si è svolta lunedì a Nazran, Magomed Khazibiev, è questa la condizione affinché in Inguscezia la situazione non degeneri. Ieri, secondo l’agenzia di stampa russa Ria-Novosti, nella principale città di questa piccola repubblica caucasica della Federazione russa stretta tra Georgia, Ossezia del Nord e Cecenia, hanno manifestato diverse migliaia di persone.Insomma, un nuovo “caso Politkovskaya” piomba sulla discussione sulla Georgia al vertice dell’Unione europea a Bruxelles.

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Della scomparsa di Evloev l’unica cosa certa è che domenica sera, il proprietario del sito inguscezia.ru e personalità di spicco dell’opposizione al presidente Mourat Ziazikov, è morto all’ospedale di Nazran mentre i medici cercavano di estrarre la pallottola che l’imprenditore aveva in testa. Come l’uomo sia arrivato all’ospedale, non si sa. Secondo la radio Echo Moskvy, partito domenica da Mosca, Evloev nell’aereo ha trovato il presidente inguscio Ziazikov, con il quale è nata una forte discussione. Una volta a Nazran, è stato preso in consegna dalla polizia. L’arresto è stato accompagnato da una sparatoria e dal ferimento del leader dell’opposizione. Secondo il portavoce del ministero degli interni inguscio, entrando nella macchina delle forze di sicurezza Evloev avrebbe cercato di estrarre la pistola del poliziotto che lo aveva in consegna. Reagendo, l’agente avrebbe colpito al volto il prigioniero. Queste dichiarazioni sono state rese alla radio russa da Vladimir Markin, addetto stampa del governo di Magas. Diversa invece la versione fornita all’emittente di Mosca da Abdulla Duduev direttore

del giornale Dozh, testata indipendente della regione. Secondo il giornalista, alla base della morte di Evloev vi sarebbe la sua attività editoriale. «Pur non essendo un professionista dell’informazione, era riuscito a creare una fonte di informazione che, unica nel nord Caucaso, dava resoconti obiettivi di quanto avveniva in questa tormentata zona della federazione» ha dichiarato Duduev, per il quale «il suo lavoro dava fastidio al potere che ha cercato di ostacolarlo con tutti i mezzi. Alla fine l’argomento buono per farlo tacere è stato trovato». Nonostante i suoi stessi amici l’avessero messo in guardia dal recarsi in Inguscezia, Evloev era voluto tornare nel suo Paese per le nozze di un ex compagno di classe e per trovare i genitori recentemente vittime di un leggero atten-

Il cancelliere tedesco Merkel e il presidente francese Sarkozy al vertice europeo di Bruxelles. Nella pagina a fianco, una manifestazione di georgiani ieri a sempre a Bruxelles

tato. Anche Ilja Jascin, leader del partito liberale russo Jabloko, ritiene che la morte dell’imprenditore sia legata al sito internet inguscezia.ru. Il giovane, dichiarando «l’evidenza» che dietro la morte di

Evloev vi sia il presidente Ziazikov, non esclude la possibilità del coinvolgimento del potere centrale. In realtà, Jascin ritiene che in tutto quello che accade in Inguscezia vi sia lo zampino dei servizi fe-

La Repubblica per la cui indipendenza si batteva Evloev

La piccola Inguscezia un’altra spina russa La piccola Repubblica d’Inguscezia, quattromila chilometri quadrati per meno di 500mila abitanti, membro della Federazione russa, si trova nel Caucaso del Nord. Nonostante nel 2002 la capitale sia stata trasferita a Magas, Nazran è rimasta la principale città dell’Ingusce-

zia. Dal 2002 il potere politico è nelle mani del presidente Mourat Ziazikov, un ex generale del Fsb, servizi di sicurezza interni, vicino all’ex presidente russo ed attuale capo del governo federale, Vladimir Putin.

Le tensioni etniche sono cominciate in Inguscezia come del resto in tutto il Caucaso con la disintegrazione dell’Urss. Nel 1992 l’Inguscezia ha cercato di recuperare tutti i territori di cui nel 1957 era stata amputata a profitto dell’Ossezia. A causa degli scontri, decine di migliaia di ingusci sono stati costretti ad abbandonare l’Ossezia dove si erano stabiliti una volta finita la deportazione in Asia centrale voluta da Stalin. L’accusa del dittatore georgiano di «collaborazionismo» con i nazisti durante la seconda guerra mondiale, aveva portato anche alla dissoluzione della repubblica socialista sovietica di Cecenia-Inguscezia. Nel 1991, quando la Cecenia dichiara la secessione da Mosca, la repubblica d’Inguscezia decide di restare nel seno della sovranità della federazione russa. Dal 1994 l’Inguscezia è preda di una ribellione islamista conseguenza della guerra che ha sconvolto la confinante Cecenia, un conflitto che ha comportato l’afflusso di decine di migliaia di rifugiati.

derali. «Senza il sostegno dell’Fsb centrale, per Ziazikov sarebbe semplicemente impossibile restare al potere». Se anche questa volta il presidente inguscio la farà franca, sarebbe la prova che il Cremlino «non vuole abbandonare quotidiano Ziazikov». Il Kavkaz Timescondivide queste ipotesi.

Nella sua edizione online, il giornale afferma che il giorno precedente la morte di Evloev il non riconosciuto “Parlamento popolare dell’Inguscezia”, aveva preparato una dichiarazione nella quale dava il via la secessione della repubblica dalla Russia. La pubblicazione della dichiarazione - o l’intenzione di farlo sul sito di Evloev sarebbe, secondo Kavkaz Times, all’origine del suo arresto. Le affermazioni del quotidiano online non possono essere controllate poiché da domenica inguscezia.ru è oscurato. Difficile dire se la dichiarazione di “indipendenza” dell’Inguscezia sia diretta conseguenza degli avvenimenti georgiani di agosto, ma la morte di Evloev non farà altro che spostare da est a ovest, da Daghestan e Cecenia all’Inguscezia, il vaso di Pandora dei localismi che affliggono il Caucaso russo. Per Alexej Malashenko, esperto della regione presso il centro Carnegie di Mosca, il riconoscimento di Abkhazia e Ossezia del sud da parte del Cremlino rafforza un processo in corso da tempo: il ritorno della tradizione sociale caucasica. Raggiunto da liberal nella sua dacia di campagna, Malashenko afferma che «l’identità borghese del Caucaso ossia il sentimento di far parte della federazione russa sta scomparendo». Secondo lo studioso, al suo posto avanza «l’appartenenza etnica e religiosa che cerca di eclissare il Cremlino, anche se tutti sanno che senza il ruolo d’ordine della potenza russa, la guerra civile permanente tra popoli e


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Una missione civile in Georgia e poco altro. È la risposta di Bruxelles a Mosca, che ci accusa di essere immorali

Le Europe sono due.E una non ci piace proprio di Vincenzo Faccioli Pintozzi finita così, come ci si aspettava. Il Consiglio straordinario dell’Unione europea, che doveva decidere una linea comune da tenere con Mosca dopo l’invasione della Georgia, ha deliberato contro le sanzioni e a favore dell’invio di un gruppo di civili sul territorio per controllare il ritiro delle truppe russe. Bontà sua, si è degnato di condannare l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud. Se non sono tarallucci e vino, poco ci manca. Certo, Sarkozy ha annunciato il rinvio di tutte le riunioni sull’accordo di partnership con Mosca finchè il ritiro dalla Georgia non sarà completo, ma questo non basta. Non del tutto e soprattutto non per tutti. Silvio Berlusconi, parlando dopo la fine dell’incontro, ha dichiarato: «Abbiamo superato quello che poteva essere un momento pericoloso, ossia che l’Unione europea accogliesse le volontà di alcuni dei Paesi, soprattutto quelli che sono stati sottomessi all’ex Urss, di chiedere sanzioni alla Federazione Russa sulla base di una versione dei fatti che vede la Russia largamente colpevole rispetto alla Georgia». Ovviamente, non si deve disturbare lo zar che dorme: tanto meno per accontentare polacchi e Paesi baltici.

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Mai come oggi, dunque, l’Unione europea si dimostra divisa e impotente. Se qualcuno avesse avuto bisogno di una nuova prova a sostegno di chi ritiene i 27 incapaci di vera coesione, è stato prontamente accontentato dal Consiglio di ieri: i lea-

clan indigeni sarebbe ineluttabile». La dichiarazione del ministero degli Esteri francese che invita Mosca a fare piena luce sulla morte di Evloev, spinge l’analista a mettere in primo piano il ruolo dell’Eu-

der di Stato e di governo riuniti in Belgio hanno infatti tenuto una posizione così divisa da costringere la presidenza di turno – francese – a modificare dozzine di volte la bozza conclusiva. Per arrivare a un quasi nulla di fatto.

Una missione per verificare l’attuazione da parte della Russia del piano di pace messo a punto da Nicolas Sarkozy, l’invio di aiuti umanitari e economici a Tbilisi, la ferma condanna della decisione unilaterale della Russia di riconoscere l’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia del

Bruxelles si spacca. Invia osservatori e aiuti economici in Georgia ma non infligge a Mosca le sanzioni che merita. La soddisfazione di Berlusconi, capo dei “morbidi” sud. E questo è quanto: sono le uniche conclusioni del vertice. D’altra parte, la mala parata si era odorata sin dall’apertura dell’incontro: Hans-Gert Poettering, presidente del Parlamento europeo, aveva introdotto il meeting davanti ai capi di Stato e di governo dei 27 Pesi membri con l’invito a «non cercare strade che conducono alla crisi». Mentre Javier Solana, Commissario Ue per la politica estera, si era limitato a proporre l’invio di 200 civili in Georgia per monitorare il ritiro russo. Proposte

ropa, «soprattutto della vecchia Europa» afferma Malashenko. L’attacco russo ha lasciato la Georgia esausta, ponendo fine per lungo tempo alla possibilità che «Tblisi svolga un ruolo di contrappe-

sensate, ma che non affrontano il nodo cruciale: l’utilizzo della forza militare russa all’interno del territorio di uno Stato sovrano. Sembra dunque essere passata la linea italiana. A poche ore dall’inizio del summit, infatti, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi aveva ribadito di «non vedere alcuno scontro con la Russia, che deve essere portata a guardare verso Occidente, non Oriente». Questo, ovviamente, non soltanto dal punto di vista politico: Mosca «non solo è una grande potenza militare e nucleare, ma è anche un importantissimo fornitore di petrolio e di gas».

L’intenzione dell’Italia, d’altra parte, era nota: secondo fonti della delegazione italiana all’incontro, Roma ha voluto «dare il proprio contributo alla piena attuazione del piano in sei punti negoziato dal presidente francese Nicolas Sarkozy. Allo stesso tempo, è stato prioritario mantenere la coesione dell’Ue, il che significa appoggiare le misure comuni, come l’invio di osservatori civili nell’area, decise dal summit». Il tutto, ovviamente, «senza compromettere la cooperazione e le relazioni con Mosca». Poca fortuna, dunque, per la linea proposta da Gran Bretagna, Polonia e Paesi baltici. Questa inconsueta coalizione, infatti, aveva chiesto all’Unione di «riflettere con attenzione sulla fondatezza del prossimo vertice Ue-Russia, previsto per metà novembre a Nizza, e soppesare con attenzione la fondatezza dell’organiz-

so a Mosca». Pace difficile dunque quella che si prospetta per la Georgia. Alla domanda se una conferenza regionale come quella presa in considerazione dall’Italia possa aiutare, Malashenko risponde

zazione del summit». Nel testo, presentato da Varsavia con l’appoggio di Londra all’inizio del Consiglio, si sottolineava come queste misure fossero fondamentali «per evitare che la Russia, direttamente coinvolta nel conflitto, sia la sola potenza del Caucaso a controllare l’applicazione dell’accordo di pace firmato il 12 agosto fra Russia e Georgia. Questa, inoltre, dovrebbe negoziare con Bruxelles un accordo d’associazione, che potrebbe aprire a Tbilisi la prospettiva di un’adesione all’Ue».

Da parte sua, la Russia non ha atteso i risultati del vertice di Bruxelles e – per bocca del suo ministro degli Esteri Sergei Lavrov – ha accusato l’Occidente di «comportamenti immorali rispetto alla situazione dell’Ossezia meridionale». Lavrov, nel corso di un discorso all’Istituto per le relazioni internazionali di Mosca, ha avvertito l’Unione europea a tenere conto «dei suoi interessi vitali durante il vertice a Bruxelles». Al posto delle ventilate sanzioni, Lavrov ha proposto «un embargo sulle forniture di armi al regime di Mikhail Saakashvili [il presidente georgiano ndr], in attesa dell’arrivo di nuove autorità che trasformino la Georgia in uno Stato normale». Secondo i canoni di Mosca, of course. Tanto l’Europa ha dimostrato di saper abbaiare, ma non mordere.

che la conferenza può essere una buona idea se vede la partecipazione di tutti: tedeschi, francesi, americani, russi, italiani, abkazi, ingusci, ossetini del sud, georgiani e, ovviamente, italiani. Ma in pri-

mo luogo serve «una grande attività dell’Europa» Il processo interrotto dalla guerra in Ossezia del sud deve riprendere. Ma forse è proprio questo che la Russia vuole evitare.


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focus

Oggi il convegno dell’Udc per ragionare con più realismo sulla riforma

La partita giustizia Finora solo slogan: ma per velocizzare il sistema servono coraggio e un’intesa vera

ROMA. C’è una salita assai più ripida di quanto il governo vorrebbe far credere. Due o tre colpi ben assestati non basteranno a riordinare davvero il sistema giudiziario. Di questo si parla oggi al convegno organizzato dall’Istituto Luigi Sturzo, dalla Fondazione liberal e da Mondoperaio, con il coordinamento del responsabile giustizia dell’Udc Michele Vietti. Si confronteranno esponenti di primo piano della maggioranza e dell’opposizione, dal guardasigilli Angelino Alfano a Massimo D’Alema, e forse sarà l’occasione per mettere i piedi per terra: per raggiungere gli obiettivi dichiarati, equilibrio tra i poteri ed efficienza del sistema, ci vorrà tempo, coraggio e iniziative molto più sofisticate di quelle annunciate finora. Lo si capisce dalle obiezioni che muove il presidente della commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli, del Pdl sponda An. «Ragioniamo al buio, non esiste ancora un te-

sto. Domani (oggi per chi legge, ndr) ascolteremo le previsioni di Alfano, ma fin quando il Consiglio dei ministri non avrà varato il disegno di legge sarà difficile immaginare il percorso». Se qualche elemento di certezza esiste, spiega Berselli, è nella improbabilità di certe proposte. «Un conto è la separazione delle carriere, altro è arrivare al traguardo immaginato dalla Lega, che vorrebbe l’elezione diretta dei pm: cosa succede in Sicilia, vengono scelti dalla mafia?». Perplessità numero uno. Che Berselli esporrà al convegno di oggi. Ma l’esponente di An trova tutt’altro che agevole anche il superamento dell’obbligatorietà dell’azione penale. «Se si pensa di procedere per alcuni reati e ignorarne altri, vuol dire che si intende cam-

biare la Costituzione». Il che vuol dire coinvolgere l’opposizione, a meno di non volersi esporre al rischio di una corsa solitaria e di un conseguente annullamento per via referendaria. Allo stato attuale non ci sono le condizioni per un coinvolgimento del Pd. E il presidente della commissione Giustizia di Palazzo Madama pensa non a caso a una soluzione diversa: «Depenalizzare i reati che oggi sono di competenza dei giudici di pace: si tratta il più delle volte di questioni bagattellari. Nei casi in cui si procede in base alla querela di parte ci si dovrebbe limitare al processo civile. In altri casi ci si limita a una sanzione amministrativa, come il ritiro della patente. Un’altra parte di reati che vengono considerati non primari rispetto al-

Berselli: «Si deve depenalizzare, ma l’Anm insorgerà e inibirà il Pd». Donadi: «Quelle indicate dal governo non sono le priorità»

Ora serve una riforma condivisa

È materia costituente, la maggioranza non può fare da sola di Errico Novi

l’interesse pubblico andrebbe appunto affidata, con metodo scalare, proprio ai magistrati onorari. E a parte il fatto che bisognerebbe selezionarli con criteri assai più severi degli attuali, si potrebbe dare per scontata l’opposizione dell’Anm. Visto che il Pd non potrà mai approvare una riforma sgradita ai magistrati, perché già così va incontro a un salasso di consensi a favore dell’Idv, la maggioranza non potrà che procedere da sola. Nella mia ipotesi, oltretutto, si tratta di varare leggi ordinarie».

Se l’idea di un Pd ostaggio di Di Pietro ha un fondamento (ieri sulla questione si sono pronunciati anche Maurizio Gasparri e Italo Bocchino), vuol dire che non si potrà mai arrivare a una soluzione ampia. Berselli ricorda che la sua proposta è condivisa da diversi esponenti dell’Udc e assicura che al convegno di oggi tenderà bene le orecchie per vedere se c’è lo spazio per un’intesa.

on si può dire che Berlusconi abbia sottovalutato il problema. Si è occupato di giustizia fin dai primi giorni del suo mandato. In modo però da aprire un solco tra il governo e l’opposizione. Nel Pdl molti spiegano che «si dovrà fare da soli» e che è perfettamente inutile aspettarsi una reale collaborazione dal Pd, assediato com’è da magistrati e dipietristi. Lo sostiene in questa pagina Filippo Berselli. Che come altri parte da un presupposto: la macchina della giustizia affanna e va registrata con un intervento risoluto, a costo di fare tutto da soli. Come se si trattasse di una materia paragonabile ad altre, dalla sicurezza all’abbassamento della pressione fiscale.

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E invece la giustizia è un argomento “costituente”. E come tale andrebbe affrontato. Per un motivo semplice: molte delle contraddizioni che hanno attraversato la Seconda Repubblica nascono dal trauma di Ma-

Di certo Massimo Donadi, anche lui atteso tra i relatori, non può che anticipare l’indisponibilità dell’Idv a discutere i punti proposti dalla maggioranza: «Nessuna delle idee messe finora sul tavolo è in grado di migliorare l’efficienza della giustizia. La separazione delle carriere e l’indicazione da parte del governo delle priorità da seguire nell’esercizio dell’azione penale hanno un solo semplice obiettivo: sottrarre ai pm qualsiasi autonomia. Le questioni urgenti sono altre: dare più unità investigative, più personale ai tribunali. E rendere certa la pena. Il governo invece (e.n.) parla d’altro».

ni pulite. Intervenire sull’equilibrio tra i poteri significa compiere un passo decisivo verso la pacificazione e il superamento di questa lunghissima transizione italiana. Se l’attuale maggioranza intervenisse in splendida solitudine sprecherebbe dunque una preziosa occasione per il futuro del Paese. Si tratta di fissare regole condivise che sgombrino il campo dal rancore dei magistrati, dall’accusa sempre pendente, sull’attuale maggioranzea e sul suo leader, di procedere solo funzione di interessi di parte, se non addirittura personali. Il governo potrà anche separare le carriere, prevedere sanzioni disciplinari più severe per i pm, superare l’obbligatorietà dell’azione penale. Se procederà da sola, si troverà tra cinque anni al punto di partenza: un Paese diviso, lacerato da reciproche diffidenze e sempre esposto all’estremismo giustizialista.

Che il prezzo sia alto lo ha capito la Lega. Maroni pone un’argine


focus

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Il responsabile Giustizia dell’Udc fissa i paletti della riforma

«Dal Csm controlli più severi sui pm» colloquio con Michele Vietti di Susanna Turco

ROMA. Proprio mentre lui, da responsabi-

Il programma:Alfano scoprirà le carte Il seminario a porte chiuse dal titolo Giustizia: tutto da rifare? comincerà oggi pomeriggio alle 15 al St Regis Grand Hotel di Roma (via E. Orlando, 3), con una introduzione del Presidente emerito della Corte Costituzionale Giuliano Vassalli. Nella prima parte dei lavori si parlerà dell’ “Equilibrio fra poteri”, affrontando i temi delle “garanzie istituzionali” e dell’“autogoverno della magistratura”. La seconda sessione dei lavori è prevista per domani mattina, dalle ore 9 alle 13. Al centro del dibattito sarà l’“Efficienza del sistema giudiziario”, con approfondimenti sulla “ragionevole durata del processo” e “l’obbligatorietà dell’azione penale”. Interverranno, fra gli altri: il ministro della Giustizia Angiolino Alfano, i presidenti delle commissioni Giustizia di Camera e Senato Giulia Bongiorno e Filippo Berselli, il presidente dell’Internazionale Democristiana Pier Ferdinando Casini, il segretario Udc Lorenzo Cesa, gli onorevoli Massimo D’Alema, Dario Franceschini e Rita Bernardini per il Partito democratico, il presidente del gruppo dell’Idv alla Camera Massimo Donadi, il parlamentare europeo Giuseppe Gargani, il parlamentare del Pdl Niccolò Ghedini, il professor Luciano Violante dell’Università di Camerino. Il seminario è stato organizzato dall’Istituto don Luigi Sturzo, Mondoperaio, Fondazione liberal e dal dipartimento Giustizia dell’Udc guidato dall’onorevole Michele Vietti.

sulle intercettazioni e sul divieto esteso ai reati della pubblica amministrazione. Ma più di tutto si lamenta dei «consiglieri che indicano al premier la strada sbagliata». Niccolò Ghedini, deputato e avvocato del presidente del Consiglio, ha subito spiegato che «sulle parole di Maroni c’è un fraintendimento». Ma in realtà la tensione nella maggioranza esiste: da una parte c’è la scuola di pensiero secondo cui il confronto con i magistrati va condotto con durezza, fino alle conseguenze più estreme e a costo di chiudere ogni canale di comunicazione con il Pd; dall’altra c’è appunto il partito di Bossi, che comprende come la questione giustizia si intrecci fatalmente con tutte le altre riforme sul tappeto, e si muove in modo da tenere aperto il dialogo.

L’Udc è l’unico soggetto disponibile a una mediazione. Prova a farlo con un’inziativa come quella di oggi, destinata probabilmente a far emergere la difficoltà del percorso e

l’insufficienza degli spot finora proposti dalla maggioranza. Serve appunto un approccio costituente: a guardare la platea del convegno organizzato con l’Istituto Luigi Sturzo, si direbbe che l’idea si è fatta strada. MA ci sono ancora troppe mine, sulla strada del dialogo. E forse qualche amnesia di troppo: è vero che l’Italia dei valori ha una poisizione inconciliabile con le altre, come fa intendere Donadi nelle dichiarazioni raccolte in questa pagina, ma ha pur ragione quando ricorda, sempre per voce del suo capogruppo alla Camera, che «l’Italia ha un codice penale fermo all’era fascista, compensato finora solo con il rafforzamento delle garanzie per l’imputato». L’esito finale è che manca la certezza della pena. Cambiare il codice penale è forse davvero necessario, ma un’obiettivo evidentemente ancora lontano. questo dovrebbe far riflettere,n e offrire una ragione in più per cercare sulla giustizia il più ampio consenso possibile.

le Giustizia dell’Udc, chiede che il governo smetta di «fare proclami», il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, ribadisce convintamente che «riforma della giustizia e intercettazioni sono prioritari», che «i numeri ci sono», eccetera. Onorevole Vietti, che effetto le fa tanto ottimismo? Mah. Sento elencare dal Pdl un numero di priorità per la ripresa tale da provocare immediatamente un ingorgo dei lavori parlamentari. Con ciò non si può negare che la giustizia sia un tassello importante del nostro equilibrio istituzionale: fino a quando non lo metteremo a posto rischiamo di restare nella infinita transizione che si trascina dal 1994. Le puntualizzazioni del ministro Maroni sul tema delle intercettazioni non paiono il segnale di una perfetta sintonia nella maggioranza. Stanno a discutere della «legge-catalogo» delle intercettazioni, però noi vorremmo ragionare su una riforma organica: non sempre a spizzichi. Dopo lo scampato pericolo del salvaprocessi, evitato con il lodo Alfano, non vorremmo più inseguire provvedimenti settoriali, mentre - appunto - anche la soluzione che si dà alle intercettazioni risente di una impostazione più generale del sistema giustizia. Quella impostazione per cui la riforma serve, ma alcune parti servono più di altre? L’esperienza di questi anni dovrebbe insegnare a tutti che la riforma della giustizia o è condivisa o non è. Abbiamo passato una legislatura a bisticciare sulla riforma Castelli, un’altra a bisticciare sulla controriforma Mastella e temo che i cittadini non si siano accorti, frattanto, di nessun cambiamento nelle risposte. Quindi spero che la maggioranza abbia imparato che le riforme non si fanno per fare dispetto ai giudici, che l’opposizione abbia rinunciato al collateralismo con l’Anm, e tutti quanti siano consapevoli che un servizio giustizia efficiente è essenziale per la competitività del sistema Paese. Lo iato tra le speranze e la realtà è, a tratti, imbarazzante. O no? Il modo in cui la maggioranza e il governo hanno impostato i primi mesi della legislatura, a colpi di decreti e fiducia, non favoriscono certo il confronto. Anche il Pd però deve decidere cosa fare da grande: se accettare il dialogo sul merito dei problemi o subire le tentazioni disfattiste alla Di Pietro. A proposito di opposizioni e di cosa

fare da grandi. Quale ritiene possa essere l’apporto dei centristi sulla giustizia? Cosa si aspetta dal seminario che si apre oggi? Udc su materia ha un grande vantaggio: che non ha mai preso partito, né contro né a favore dei giudici. Viene da una storia in cui è stato pagato un prezzo altissimo alle inchieste giudiziarie e ha dimostrato sempre di far prevalere il senso istituzionale rispetto ai regolamenti di conti. Questo ne fa un padrone di casa, insieme alla Fondazione liberal e a Mondoperaio, ideale per trovare un punto di equilibrio tra le istanze contrapposte in una materia così delicata. Proprio perché il seminario si svolge a porte chiuse, quindi lontano dalle suggestioni mediatiche, se ciascuno in buona fede metterà le carte sul tavolo, sarà possibile giocare una partita proficua. Quale posizione alternativa porterà sul tema della separazione delle carriere? Vedo un intervento a monte e uno a valle dell’azione del pubblico ministro. A monte vedo non tanto la separazione delle carriere, ma la separazione tra l’attività investigativa e l’esercizio dell’azione penale. Oggi il pm fa anche il poliziotto: questo ne rende ambiguo il ruolo e pone il problema delle priorità del perseguire i reati e del rapporto con i giudici. Se restituiamo alla polizia giudiziaria la funzione di trovare la notizia criminis, al pm nessuno potrà contestare la scelta di esercitare o meno l’azione penale. E l’altro intervento? A valle vedo un monitoraggio scientifico sull’esito delle iniziative del pubblico ministero. Io voglio sapere quante richieste rinvio a giudizio siano state accolte, quante condanne ha portato a casa, quante assoluzioni e quante archiviazioni. Non per penalizzarlo, ma perché l’esito del lavoro del pm non può essere indifferente ai fini della sua valutazione. A fare questo bilancio sarebbe il Csm? Certo, il Csm riformato secondo la proposta avanzata da più parti. Un terzo dei componenti nominato dai magistrati, un terzo dal Parlamento, un terzo dal capo dello Stato. Crede che per sveltire i processi vada abolita l’obbligatorietà dell’azione penale? Tutt’altro. Penso che introducendo il meccanismo appena descritto, l’obbligatorietà possa restare. Al contrario, temo che la discrezionalità a procedere, affidata a un drappello di pm a vita, che non si sa a chi rispondono e chi li governa, possa rivelarsi un boomerang.

L’obbligatorietà dell’azione penale non si tocca: affidare la discrezionalità di procedere a un rappello di pm a vita rischia di rivelarsi un boomerang


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politica

La «rivoluzione» fiscale non parla mai di uno dei fondamenti della nostra società

Federalismo, dov’è la famiglia? di Giuseppe Baiocchi

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Roma-Napoli: processo ultrà a ottobre Processati per direttissima dalla magistratura capitolina, per i cinque tifosi che si sono resi protagonisti di disordini nel corso della partita Roma - Napoli, è arrivata la convalida dei fermi e l’immediata scarcerazione. I romanisti Giordano Corsi, accusato di aver rapinato un tifoso, Giovanni Corneli, sorpreso a liberarsi di un martello, e Luigi Alberto Siccardi, trovato in possesso di due bombe carta saranno processati a partire dal prossimo ottobre. Stessa sorte anche per i tifosi partenopei Diego De Martino, trovato in possesso di un coltello, e Danilo Durevole, accusato di resistenza a pubblico ufficiale, mentre Nicola Cannone, bagarino, sarà processato in marzo per violazione del daspo, atto amministrativo che vieta l’ingresso negli stadi e nelle immediate vicinanze. Intanto il presidente della Figc, Giancarlo Abete, preannuncia la linea dura: «Dobbiamo fare il massimo per debellare questo branco di delinquenti che inquina il nostro mondo e più in generale quello civile».

Il Sir: stop alle stragi del mare «Sull’immigrazione clandestina non c’e’ più tempo da perdere»: è quanto scrive il Sir, il Servizio di informazioni religiose della Cei, in una nota a commento dell’intervento fatto ieri dal Papa. In seguito alle stragi del mare di questa estate, l’agenzia promossa dalla Cei, rilancia l’appello di Benedetto XVI: «Non possiamo ormai più limitarci a risposte nel segno dell’emergenza: urgono, insieme alla nostra solidarietà, efficaci risposte politiche».

viva l’attesa e la curiosità per il carattere del «federalismo fiscale» presentato dall’attuale maggioranza e dall’intero governo come riforma risolutiva per superare insieme l’inefficienza dello Stato e il macigno di un debito pubblico di proporzioni ormai intollerabili. D’altronde, è ormai opinione diffusa che le storture della finanza pubblica possono essere corrette soltanto attraverso un processo di diffusione delle responsabilità, ovvero con l’autonomia finanziaria e anche impositiva restituita ai centri di spesa sul territorio, in particolare agli enti locali. Si presume così, ed è speranza condivisa in tutti gli schieramenti politici, che una effettiva «etica della responsabilità» possa costituire il motore verso lo sviluppo anche e soprattutto per il Mezzogiorno, da troppi decenni abituato ad adagiarsi nella prassi dei trasferimenti dal centro senza controlli e senza corrispettivi.

È

Nulla

di

sconvolgente,

funzionale, a una autentica sussidiarietà, è indispensabile che il cardine di valore, di economia e di futuro sia per forze di cose quella «società naturale fondata sul matrimonio» (nulla di più, anche qui, della chiarissima ed inequivocabile definizione costituzionale).

Non sarebbe neppure necessario andare tanto lontani: in quella prospettiva del ritorno a valori immutabili che in questi mesi gli è molto cara, basterebbe che il ministro Tremonti si ricordasse davvero di «essere valtellinese». E magari ripristinasse (certo con gli opportuni aggiornamenti) la filosofia del suo grande conterraneo e predecessore Ezio Vanoni. Si è sepolto tutto sotto un interessato oblìo: eppure fino al 1973 la tassazione diretta era concentrata in una unica «imposta di famiglia» che si pagava al Comune: chissà come mai, ma fino ad allora il debito pubblico restava intorno ad un fisiologico trenta per cento del Pil, e l’Italia aveva conosciuto la crescita più impetuosa con la trasformazione verso un’economia più moderna e il concreto e progressivo allargamento del benessere. Poi, arrivò la tragedia della riforma Visentini che con la linea centralista-illuministica tanto cara alla tradizione laicista provocò i disastri di cui continuiamo a soffrirne le conseguenze: tutte le entrate allo Stato centrale, con un aumento spropositato della pressione fiscale e l’esplosione del debito pubblico, all’insegna dello spreco clientelare…

Il ministro Tremonti dovrebbe tornare alla riforma Vanoni: tassazione diretta in un’unica imposta famigliare

quindi, se non per quei gruppi di potere burocratico-amministrativo incrostatisi intorno ai cordoni della borsa: semmai l’autonomia finanziaria sul territorio sembra rispondere finalmente al dettato costituzionale che individua la Repubblica come l’insieme articolato e in pari dignità di tutti gli enti (dallo Stato alle Regioni, ai Comuni e fino alle aree metropolitane) a guida democratica. E tuttavia, nel progetto di federalismo fiscale (almeno a quanto è dato di conoscere dalle anticipazioni e dalle bozze circolate a vario titolo) appare clamorosamente dimenticato un altro soggetto costituzionale che pure la repubblica si impegna a «promuovere e sostenere», e cioè la famiglia. Si intravede infatti il rischio fondato di rendere monca e alla fine non risolutiva quella rivoluzione fiscale che si è caricata di grandi aspettative. Infatti, se si entra finalmente, nella logica del decentramento

E se davvero è cosa buona e giusta riscoprire l’autonomia impositiva del territorio, va diffusa la consapevolezza che il pilastro indispensabile per farla funzionare è la fiscalità concentrata sulla famiglia: altrimenti è una riforma a metà che, come tutti i cambiamenti incompleti, rischia di trasformarsi nell’ennesima «occasione perduta».

Veltroni a Fini: «Diritto di voto agli immigrati» Una proposta di legge costituzionale per garantire il diritto di voto agli immigrati residenti da anni in Italia. Lo annuncia il segretario del Pd,Walter Veltroni, in una lettera rivolta al presidente della Camera, Gianfranco Fini. L’ex sindaco di Roma sollecita il leader di An affinchè si adoperi «per consentire la più ampia discussione a Montecitorio» e acceleri il più possibile l’iter della proposta. Veltroni ricorda che si tratta di una questione sulla quale lo stesso Fini «tempo fa dimostrò sensibilità e apertura».

Birmania: Suu Kyi dimagrita ma in salute Non ancora confermate nè smentite le voci che la vedevano impegnata in uno sciopero della fame, «Aung San Suu Kyi sta bene e ha solo perso un po’ di peso». A darne notizia è stato il suo avvocato, dopo aver incontrato la vincitrice del premio Nobel nella sua casa di Rangoon, dove si trova confinata ormai da 13 anni.

Libano: imam muore in sparatoria L’imam della moschea di Sheikh Lar è stato ucciso e tre persone sono rimaste ferite in uno scontro a fuoco tra musulmani sunniti e alawiti. Secondo quanto riferisce la stampa, gli scontri nel villaggio del Nord del Libano sono divampati in seguito a una discussione sulla proprietà di una moschea.

Giappone: il premier Yasuo Fukuda si dimette «È il momento migliore per chiudere l’esperienza di governo in modo da non lasciare un vuoto politico». Con queste parole, il premier giapponese Yasuo Fukuda ha annunciato le dimissioni, spiegando che per attuare una riforma politica efficace è necessario un nuovo quadro politico. Fukuda ha confermato di essere stato vicino alla decisione di lasciare l’incarico già la scorsa settimana, a meno di un mese dal rimpasto di governo che ha portato al varo del Fukuda bis. Il premier uscente ha infine invitato il partito Liberaldemocratico a scegliere un nuovo presidente.


politica ombellico del mondo politico. Così appariva - solo un anno fa Ceppaloni, patria e residenza dell’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella. Proprio in questi giorni del 2007 si svolgeva a Telese, pochi chilometri dall’uscita autostradale di Caianello, la festa dell’Udeur, tradizioanlmente uno degli avvenimenti politici più attesi della stagione estiva. Oggi, a 365 giorni di distanza, l’Italia di Prodi e Padoa Schioppa, di Massimo D’Alema e Antonio Di Pietro, di Fausto Bertinotti e Franco Marini sembra distante anni luce. Il governo di allora è solo un brutto ricordo per la maggioranza degli italiani e gran parte dei membri di quell’esecutivo non siedono nemmeno più in Parlamento. Dopo mesi di silenzi, di rifletto-

L’

ri spenti, di esilio per certi versi imposto, Clemente Mastella ha voglia di fare il punto della situazione politica personale e per farlo ha scelto liberal. Così noi, in un torrido sabato di fine agosto, ci siamo diretti alla volta di san Giovanni, frazione di Ceppaloni, ricevuti nella splendida (ma non faraonica come molte malelingue hanno spesso sentenziato) villa dei coniugi Lonardo-Mastella. «Chiedo scusa per il caos, ma sai, stasera c’è la festa di compleanno di mio figlio». Così, quasi fossi uno di casa, vengo accolto dall’ex guardasigilli che mi appare disteso e rilassato, sebbene una stretta dieta lo costringa ad un piatto di verdure crude, mentre io, insieme alla sua famiglia ci deliziamo con una strepitosa mozzarella di bufala. «Viene da Caserta, un’altra delle nostre roccaforti, lì – come in quasi tutta la regione - siamo ancora il secondo partito», dice Mastella con occhio ammiccante non a noi, ma alla mozzarella proibita. Onorevole Mastella, un anno fa avrebbe mai pensato a una situazione del genere? Niente più governo Prodi, un’intera classe dirigente spazzata via... Francamente no. Sapevamo tutti che il consenso era diminuito, ma che un’intera stagione politica finisse così brusca-

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Parla Mastella: il futuro è nella Costituente di centro

«La mia rinascita? Comincia in Abruzzo» colloquio con Clemente Mastella di Francesco Capozza mente e radicalmente non lo avrei mai immaginato. Di chi sono le colpe? Sebbene si sia fatto di tutto per attribuire le responsabilità ad una sola persona, credo che alla base di tutto ci siano degli errori politici per certi versi an-

che banali. Comunque, in una coalizione così lacerata, era quasi impossibile rimettere insieme i cocci. E gli errori che hanno fatto perdere le elezioni in modo così schiacciante al centrosinistra? L’aver creduto che in Italia si potesse creare dal nulla il bipartitismo. Il «voto utile» non ha fatto che nuocere al centrosinistra che già partiva svantaggiato. Ma credo che sia stato anche un problema di leadership. Cioè? Mi faccia capire.

Casini ha sbagliato ad andare da solo? Quello di Pier Ferdinando Casini è stato un gesto di coraggio molto importante. Ha difeso un simbolo ed una tradizione ed ha rischiato moltissimo. Magari, sebbene il martellamento mediatico da parte del PdL e del Pd verso il «voto utile» abbia sfavorito tutti gli altri, con qualche accorgimento si sarebbe potuto ottenere un risultato migliore. Cosa intende dire? È molto semplice, se avessimo fatto un accordo Udc-Udeur, avremmo avuto matematicamente 12 senatori, superando lo sbarramento dell’8% in Campania, Puglia e Calabria invece che solo in Sicilia. Ora però un certo dialogo con l’Udc si è instaurato. Sì, con gli amici dell’Udc si sta lavorando per una Costituente di centro in grado di ridare voce ai democratici cristiani e a chi non si sente rappresentato né

I tempi sono maturi per candidarci alle Regionali di novembre insieme all’Udc. L’obiettivo è quello di rompere prima delle Europee l’assedio del Pdl e dell’asse Pd-Di Pietro Veltroni ha sbagliato tutto, in maniera imbarazzante. Mentre Berlusconi è riuscito ha creare intorno a sé una coesione totale, nel centrosinistra il Pd – che non è altro che un Pds privato di una consonante - è voluto andare da solo, sperando di attrarre su di sé i voti del Centro. Invece? Invece è stata un’operazione perdente fin dall’inizio. Isolare Casini, come pure si era cercato di fare prima con me quando si era al governo, non ha fatto altro che spostare voti dall’altra parte.

da questo governo né dal binomio Pd-Idv. Concentrandoci su questo progetto credo riusciremo a sabotare il piano di chi vuole eliminare il centro. E in previsione dei prossimi impegni elettorali c’è già qualche accordo? Non ci sono ancora accordi formali né candidati comuni, siamo in attesa di vedere come e quando decollerà questa Costituente. Io credo che bisogna fare in fretta, per non rischiare di arrivare agli appuntamenti elettorali dell’anno prossimo con l’affanno. C’è tutto lo spa-

zio per degli accordi programmatici che ci consentano di essere indispensabili per la conquista di molti Comuni e Province. Qui in Campania, per esempio, siamo ancora il secondo partito in molti comuni. Con l’Udc potremmo essere il primo. Ci sono anche appuntamenti elettorali prima dell’anno prossimo. Penso all’Abruzzo, per esempio. Lei ha rilanciato l’Udeur in pista proprio da lì nei giorni scorsi... Stiamo lavorando alle Regionali abruzzesi. Sicuramente l’Udeur non si muoverà senza prima aver capito cosa vuol fare l’Udc. Mi sembrano maturi i tempi per un alleanza già a novembre. Ma aspettiamo a dirlo, anche per scaramanzia. Come sono i rapporti con il Pd? Corretti. E quelli con il PdL? Ho buoni rapporti personali con qualche dirigente, ma dal punto di vista politico non ci sono contatti. Come si sta muovendo il governo Berlusconi? Se il centroè sinistra quello che vedo, praticamente allo sbando, e se Berlusconi avrà vita lunga o non deciderà di lasciare il passo, credo che rimarrà al per governo moltissimo tempo. Indipendentemente dall’azione dell’esecutivo che, a dire il vero, per molti versi è positiva. Molti dei nostri sindaci, per esempio, dopo aver ascoltato le parole di Berlusconi a Napoli sull’emergenza rifiuti superata sono rimasti molto soddisfatti del lavoro compiuto dal governo e da Bertolaso. E sulla riforma della legge europea? Il punto fondamentale è conservare le preferenze. Poi, cercare di mantenere una soglia di sbarramento troppo penalizzante. La bozza Calderoli prevede il 4% ma Berlusconi punta al 5%. Il disegno politico di Berlusconi mi pare evidente. E qual è? Far fuori, dopo la sinistra radicale, anche l’Udc. E con il 5% potrebbe essere un rischio.


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nessuno tocchi abele

Mentre continuano le violenze nello Stato orientale dell’Orissa, il ministro degli Esteri italiano esprime preoccupazione al rappresentante del governo indiano

Frattini convoca l’ambasciatore Anche Francesco Cossiga aderisce alla fiaccolata Aderisco con convinzione all’iniziativa dell’onorevole Adornato e, nell’impossibilità di prendere parte alla fiaccolata che si terrà il 10 settembre in Piazza Montecitorio, mi unisco a quanti giustamente manifestano contro l’inqualificabile violenza che gruppi di fanatici esercitano contro i cattolici indiani,“colpevoli” di professare la propria fede. Tutto il mondo, senza distinzione di credenze religiose, deve reagire a tali forme di intolleranza che violano i principi fondamentali del vivere civile. Francesco Cossiga, presidente emerito della Repubblica Le notizie che continuano ad arrivare in questi giorni e an-

Continua a dilagare la violenza anti-cristiana in India. Secondo gli ultimi aggiornamenti, alcuni gruppi di estremisti indù hanno dato alle fiamme quattro chiese dello Stato orientale dell’Orissa. E finalmente il nostro Paese dà un segnale di vita. Secondo una nota del ministero degli Esteri italiano, infatti, in un colloquio con l’ambasciatore indiano in Italia, Arif Shahid Khan, Roma «ha espresso la preoccupazione del governo per gli episodi di violenza nello Stato di Orissa». Durante il colloquio, il governo « ha espresso la forte preoccupazione e sensibilità del governo italiano di fronte ai gravi episodi di violenza interreligiosa nello Stato indiano dell’Orissa, anche con numerose vittime cristiane». Il ministero ha poi auspicato che « le ferme misure adottate dalle autorità indiane possano porre termine alla violenza e rilanciare il dialogo ed il reciproco rispetto tra le varie componenti della società». Nel frattempo, però, Delhi non riesce a fermare gli estremisti: il direttore generale della polizia dell’Orissa, Gopal Chandra Nanda, ha confermato che nei distretti di Koraput e Rayagada quattro chiese sono state incendiate dalle bande. Senza spiegare perché non sono stati fermati.

bertà garantita per chiunque. Ma da parte nostra non riteniamo più possibile chiudere gli occhi sulle vittime innocenti del fanatismo religioso e politico. Renata Polverini, segretario generale dell’Ugl

Continuano le adesioni all’iniziativa contro il massacro dei cristiani in India e nel mondo, il 10 settembre prossimo davanti a Montecitorio, promossa da liberal e dell’Udc cora in queste ore sono drammaticamente preoccupanti. Sono assolutamente favorevole a manifestare in favore della difesa dei diritti umani e religiosi, pertanto accolgo volentieri il vostro appello e parteciperò alla manifestazione del 10 settembre organizzata in Piazza Montecitorio. Credo che la sensibilità dimostrata da moltissimi esponenti politici di entrambi gli schieramenti che hanno aderito all’iniziativa sia da ritenersi un segnale positivo di come, quando sono in gioco diritti fondamentali, si riesca a mettere da parte il colore delle casacche politiche. Paolo Romani, sottosegretario di stato allo sviluppo economico Aderiamo alla vostra iniziativa per unirci a quanti intendono protestare contro le persecuzioni di cui sono vittime i fedeli di religione cristiana in diverse parti del mondo. La professione della religione deve essere una li-

Aderisco con convinzione all’iniziativa dell’onorevole Adornato di manifestare a favore della libertà religiosa dei nostri fratelli martirizzati in India per la loro fedeltà a

L’Udc protagonista della fiaccolata

«C’è troppo silenzio, perciò è importante manifestare mercoledì» colloquio con Lorenzo Cesa di Francesco Capozza

Cristo e alla Chiesa e per il loro servizio ai bambini che dal loro sacrificio sono stati salvati fisicamente. Il martirio, l’ho detto più di una volta, è l’unica grande ricchezza della Chiesa; testimoniare Gesù Cristo, morto e risorto, fino agli estremi confini del mondo senza porre nessuna condizione sul piano soggettivo o di situazioni, rende la testimonianza prossima al martirio e nella sua lunga storia, a volte, la testimonianza è stata chiamata ad assumere i contorni del martirio. Ma questo terribile evento, che l’ipocrisia internazionale rischia di degradare a scontri interreligiosi, invece è certamente la conseguenza di una sistematica

volontà di eliminazione del cristianesimo e del cattolicesimo nell’ambito della società indiana e tutto ciò dovrebbe, forse, farci riflettere sulla nostra vita personale, famigliare ed ecclesiale. monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro Condivido la scelta dell’onorevole Adornato e mi congratulo con lui per aver ricordato questa emergenza: quella

ROMA. L’Udc è a fianco di liberal nell’organizzazione della fiaccolata del 10 settrmbre prossimo a Montecitorio contro i massacri di cristiani nel mondo. Onorevole Cesa, che ne pensa dei tragici avvenimenti che si stanno perpetrando ai danni dei cristiani in India? Ci troviamo davanti a una situazione drammatica quanto insensata. La presenza dei sacerdoti in quelle zone dell’India è finalizzata ad opere di pubblica utilità, come la costruzione di scuole, una maggiore alfabetizzazione e tutto ciò che può essere d’aiuto alla popolazione. Alla luce di ciò, i massacri che si stanno compiendo risultano essere ancora più intollerabili. Si tratta di forme di estremismo violento che sono assolutamente inammissibile e che devono essere contrastate adeguatamente innanzi-

dei martiri cristiani perseguitati soltanto in virtù della loro fede religiosa. Non possiamo, infatti, non considerare che a differenza dei musulmani che godono di moltissime tutele, i cristiani sono stati emarginati.Una situazione a dir poco paradossale: da un lato assistiamo ad una iper tutela dei fedeli di religione islamica; dall’altra viene dato per scontato che i cristiani ci sono e non vengono perseguitati. Ecco perché il 10 settembre sarò a Montecitorio per esprimere la mia solidarietà alle persone che patiscono ingiustamente gravi sofferenze. Giorgio Lainati, deputato del PdL Aderisco con convinzione e piacere alle iniziative di liberal che ritengo intelligente ed opportuna. La sensibilizzazione e la mobilizzazione sono gli strumenti essenziali che la coscienza civile di un paese prima ancora dell’iniziativa politica deve mettere in campo per contrastare fenomeni degenerativi pericolosissimi come quelli che si stanno sviluppando in India. Francesco Pionati, portavoce nazionale Udc

tutto dalle forze dell’ordine locali. L’odio religioso è un pericolo per tutti e quindi va isolato. Non crede che dal punto di vista diplomatico i governi occidentali stiano facendo poco? I governi occidentali sicuramente potrebbero fare di più. Se escludiamo gli interventi della Farnesina, giornali e televisioni non hanno riportato alcuna dichiarazione da parte delle altre nazioni. Pur comprendendo la delicatezza del momento e le numerose questioni presenti sullo scacchiere internazionale, partendo da quella della Georgia fino alle elezioni presidenziali americane, il silenzio in merito alla barbarie di cui sono vittime i cristiani in India resta una vergogna. Al consiglio Ue di oggi non se n’è parlato. Che ne pensa?


nessuno tocchi abele

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Arriva anche il sì delle Acli

«Diciamo basta alla Realpolitik» colloquio con Andrea Olivero di Francesco Rositano

ROMA. Anche le Acli (Associa-

Penso che sia un grande errore omettere la discussione in merito. Mi auguro soltanto che non sia l’«esiguo» numero di vittime, purtroppo provvisorio, a giustificare lo scarso interesse che il vecchio continente ha nei confronti di questo dramma. O la comunità internazionale si muove subito oppure quella che sembra una scintilla può diventare un

te e determinato per porre fine a questi massacri indiscriminati ed ingiustificati. Immediatamente. Cosa ne pensa dell’appello di liberal? È il modo giusto, secondo noi, per mostrare ai cattolici che vivono in quelle zone, dai missionari ai semplici cittadini, che non sono soli. E che faremo quanto in nostro potere per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni europee affinché si intervenga con urgenza per fermare i massacri e tutelare la vita delle persone. Il governo dovrebbe far propria questa iniziativa? Questa nostra iniziativa dovrebbe essere abbracciata da tutte le forze politiche in modo trasversale e noto con grande piacere che molti esponenti di entrambi gli schieramenti subito hanno dato la loro adesione a quest’appello lanciato nei giorni scorsi dall’amici di liberal.

Mi auguro soltanto che il silenzio sul massacro dei cristiani in India in queste settimane non dipenda dal numero “troppo esiguo” delle vittime

incendio inarrestabile. Come recepire le parole di condanna del Santo Padre? Credo che non ci sia altra possibilità che abbracciare in toto le dichiarazioni di Papa Benedetto XVI. È necessario un intervento for-

zioni cristiane dei lavoratori cristiani) il 10 settembre saranno davanti a Montecitorio per la fiaccolata organizzata da liberal e dall’Udc in favore della libertà religiosa. I motivi li spiega il presidente nazionale Andrea Olivero: «Non è più tollerabile che in nome di interessi di tipo economico e politico si sacrifichi la difesa dei diritti umani. E quindi si sottovaluti l’importanza della libertà d’espressione religiosa. Basta con la realpolitik». Presidente, quindi anche voi il 10 settembre sarete davanti Montecitorio? Certamente. È un appuntamento importante al quale non possiamo mancare. D’altra parte abbiamo aderito anche all’appello della Conferenza episcopale indiana che per domenica 7 settembre ha indetto una giornata di digiuno. Sappiamo benissimo, infatti, che per il mondo indiano esso non ha un valore soltanto intimistico, ma è un modo di resistenza non violenta con cui si vuole denunciare un’ingiustizia. Ma questa è anche una battaglia contro l’indifferenza. Ed è sacrosanta. Anche perché se la comunità internazionale non denuncerà in tempo quello che sta accadendo si rischia davvero di mettere in serio pericolo la convivenza. I cristiani non possono essere abbandonati a se stessi anche perché hanno un peso numerico davvero rilevante, nonostante contino poco a livello percentuale. In più un paese come l’India, in forte evoluzione dal punto di vista politico ed economico, non può sottovalutare il tema del rispetto dei diritti umani, anche esso decisivo. È un serio errore relegarlo nelle ultime pagine dell’agenda politica. E L’Italia deve continuare a farlo presente al governo indiano. In che modo voi delle Acli pensate di sollecitare la politica italiana per essere più incisiva? Per ora pensiamo soltanto di aderire alla fiaccolata organizzata da liberal e dall’Udc di fronte al Parlamento, cercando di seguire con attenzione come si evolverà la vicenda. In più, qua-

lora ce ne fosse bisogno, abbiamo in mente di organizzare altri interventi di carattere pubblico. Comunque abbiamo molto apprezzato il forte appello che il nostro governo ha rivolto a quello indiano. Certamente alla classe dirigente di questo paese è richiesto un forte scatto in avanti: quello di dare al tema del rispetto dei diritti umani lo stesso rilievo dei problemi di tipo economico e politico. Infatti accade sempre che in nome di una realpolitik si sacrificano alcuni valori che però sono fondanti e soprattutto, se vengono dimenticati dall’Occidente, ci squalificano agli occhi di questi nuovi attori del panorama internazionale. Il punto è questo: se l’Europa non chiede il rispetto rigoroso di determinati diritti è evidente che rischia di perdere ulteriore credibilità agli occhi di quegli stessi paesi che questi diritti non li rispettano o comunque li considerano poco. È necessario, poi, che si intensifichi il lavoro di denuncia e informazione. Una cosa che noi stiamo avvertendo con maggiore evidenza, e soprattutto per quel che riguarda i cristiani, è che le informazioni sono scarse e che talvolta solo attraverso le reti informali si riescono ad avere notizie. Cosa chiedete dunque? Che in alcuni paesi ci sia una maggiore presenza di giornalisti che vengano tutelati dai propri paesi. Quanto al governo italiano, a suo avviso urgono ulteriori passi in avanti rispetto a quelli già fatti? Bisogna vedere come si evolverà la situazione. Fondamentale è star dietro alle vicende: è chiaro, infatti, che questi appelli dall’oggi al domani non possono trasformare la realtà. È necessario quindi che il governo indiano faccia un investimento strategico in quelle regioni in cui si sono manifestate queste violenze. È chiaro che c’è un movimento terrorista in atto e un fondamentalismo che è cresciuto. E noi europei che l’abbiamo sperimentato sappiamo che ci vuole del tempo ma anche una volontà politica. Una volontà che il governo indiano non ha ancora manifestato.


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speciale

economia

NordSud

Piloti e personale di terra sono le categorie che avranno i maggiori problemi con il programma di esuberi segue dalla prima Le cifre sugli esuberi Alitalia allarmano i sindacati, soprattutto quelli dei piloti e del personale di terra. I piloti, attualmente poco più di 2100, vedrebbero ridotto di un terzo il loro organico e il personale di terra – in termini numerici assoluti (3200 tagli) - pagherebbe più delle altre categorie il prezzo del piano Fenice, anche se ammorbidito dal ricorso agli ammortizzatori sociali (cassa integrazione e mobilità). Ma ciò che è assolutamente imprescindibile per le organizzazioni dei lavoratori è che il confronto con il governo e con il commissario straordinario di Alitalia non si limiti a dibattere sul numero degli esuberi, ma che si traduca in una vera e propria trattativa globale che riguardi il piano industriale in tutti i suoi dettagli. Una presa di posizione questa che – insieme con altre controproposte avanzate dalle organizzazioni di categoria aveva già fatto scappare il presidente di Air France, Jean-Cyrill Spinetta, preoccupato di fronte alla prospettiva di un cavilloso ed estenuante confronto che avrebbe potuto trascinarsi per mesi, quando invece occorreva agire nell’immediato per evitare la bancarotta.

Un pericolo che però viene escluso dagli stessi sindacati. «Non possiamo accettare la logica del prendere o lasciare» ha fatto sapere il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. «C’è tensione, ma anche attesa», ha sottolineato l’ex-leader della Filt-Cgil, e ora segretario confederale Fabrizio Solari che tuttavia esprime già un giudizio di semi-bocciatura

CHI RISCHIA DI PIÙ CON IL PIANO FENICE di Vincenzo Bacarani

temente limitante. Le organizzazioni di categoria non accetteranno di essere relegate «alla esclusiva gestione degli effetti sul lavoro del piano. Rivendichiamo il diritto a confrontarci preventivamente sui contenuti industriali del progetto. Il giudizio verterà sul profilo industriale del piano di impresa: pe-

Berti (Anpac): «Vogliamo capire dove andrà la nuova compagnia di bandiera» quando afferma che «il piano è identico a quello presentato da Spinetta». Nove le sigle sindacali presenti al tavolo (Filt-Cgil, Uiltrasporti, Fit-Cisl, Ugl Trasporti, Sdl, Unione piloti, Anpac, Anpav e Avia) che hanno hanno detto a chiare lettere di non avere «alcuna intenzione di accettare un confronto esclusivamente circoscritto alla gestione degli esuberi». Per loro sarebbe for-

rimetro aziendale, network, flotta, qualità e quantità del lavoro. Così come è necessario, a nostro giudizio, un intervento di riassetto dell’intero sistema del trasporto aereo ad iniziare dagli aeroporti». Per Claudio Claudiani, segretario della Fit-Cisl, «i problemi degli esuberi riguarderanno in maniera più penalizzante il personale di terra (Az Fly e Az Service, ndr). Però il problema dei

tagli noi lo collochiamo a valle e non a monte. È necessario un confronto approfondito”. Ma questo non richiederebbe tempi troppo lunghi? «Un arco temporale – risponde l’esponente Cisl – è necessario, e certamente non dovrà essere lungo». Si parla di un consistente ricorso alla cassa integrazione che per i piloti non sarebbe però praticabile. «La cassa è un problema per tutti – dice Claudiani – La cosa migliore potrebbe essere quella di farla a rotazione». Un’ipotesi forse percorribile, ma non certo facile da mettere in pratica, soprattutto per la diversità di competenze dei lavoratori dei vari settori. «Faccio notare – spiega il presidente dell’Unione Piloti, Massimo Notaro - che la cassa integrazione per i piloti non è applicabile per una questione di brevetti e versamenti contributivi. Sugli esuberi non è escluso che servano forme di solidarietà all’interno della categoria nell’ottica di guadagnare meno guadagnare tutti». Contratti al ribasso per i piloti, dunque? «Sarebbe stupido limitarsi a questo– spiega - non

escluderei invece a priori una revisione dei contratti sulla base di un progetto che preveda un momentaneo ridimensionamento a fronte però di un futuro adeguamento agli standard europei». Un aspetto, tutt’altro che secondario, secondo l’Unione Piloti è quello della sicurezza. «Manutenzione e addestramento dei piloti - afferma Notaro - sono voci decisive su cui non si può risparmiare, anzi. Su questo chiederemo chiarezza nel nuovo piano».

Ma sulla questione contratti, prospettata da Notaro, l’Anpac (storico sindacato dei piloti) non è d’accordo. «Non condividiamo assolutamente – dice a liberal, il presidente dell’associazione Fabio Berti – un’impostazione di questo genere. Il nostro contratto si deve confrontare con gli altri contratti europei e attualmente le nostre retribuzione sono inferiori del 30 per cento rispetto a quelle dei piloti degli altri Paesi». Quindi nessuna rinuncia e soprattutto nessun tentativo di andare incontro alla controparte a prescindere. «Le voci sui tagli poi –

prosegue Berti – sono incredibili». Per i piloti si parla di 700 esuberi, che ne dice? «Una cifra inaccettabile – replica – e non soltanto per le dimensioni, ma soprattutto perché questo comporterebbe una pesante riduzione di aeromobili, con tutte le conseguenze».

Il timore è insomma che il piano Fenice sia un piano di piccolo cabotaggio, destinato a lanciare una nuova compagnia con forti limitazioni di operatività e destinata, prima o poi, a essere inglobata in un gigante straniero. «Per questo – spiega Berti – vogliamo un confronto concreto, preciso, che non parli soltanto di tagli, ma che ci faccia capire dove andrà la nuova compagnia di bandiera». Ma non c’è anche il rischio che si possano allungare eccessivamente i tempi del confronto? «Meglio una trattativa lunga che una trattativa destinata al fallimento». Un fallimento che, a questo punto, non si augura nessuno, nemmeno i sindacati che pur divisi su alcuni punti questa volta non vogliono far scappare nessuno.


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ROMA. Forse è una stima esagerata quella del portale dei Contribuenti secondo il quale i cittadini per colpa del piano Fenice si troveranno a sborsare 138 euro a testa, e il costo complessivo per la collettività – compreso il prestito ponte – ammonterà a 2,5 miliardi. Ma di certo la soluzione del governo e di Banca Intesa per Alitalia continua a destare perplessità sia in Italia che all’estero (l’ultimo attacco in ordine di tempo è della tedesca FAZ). L’ultimo capitolo della vicenda inizia il 21 marzo quando Berlusconi annunciò ufficialmente: «Mi sono impegnato io in prima persona, quindi la cordata italiana c’è. E i miei figli ci staranno dentro. Il nuovo premier, cioè io, dirà no ai francesi». La dichiarazione è una bomba gettata sul tavolo della trattativa, dove il governo Prodi – dopo l’inutile balletto dell’asta pubblica e una prima trattativa privata finita male – è alle prese con Air France. Soprattutto, quando il piano Spinetta – che prevede meno esuberi di quello di Intesa – diventa ufficiale, le parole del premier in pectore danno la stura ai sindacati: la Uil, con Angeletti, abbandona sdegnata la trattativa, mentre la Cisl di Raffaele Bonanni rimane seduta, ma fa di tutto per farlo saltare con dichiarazioni sempre più di fuoco. Bonanni, amico del patron di Air One Carlo Toto, dipinge quella francese come un’invasione e e si scaglia contro gli esuberi.

Dalle barricate contro Air France al progetto che ricadrà sui cittadini

Una vittoria di Pirro per salvare l’italianità di Alessandro D’Amato

Alla fine Air France getta la spugna, anche perché della cordata alternativa nel frattempo «fanno parte anche Mediobanca, Eni, Ligresti e Benetton», annuncia Berlusconi ancora in campagna elettorale. Alla fine ne prenderà due su quattro: una buona percentuale. La scorsa settimana infatti arriva l’annuncio, anche se per mettere insieme la maxi-cordata alla fine ci sono voluti quasi sei mesi, e non dieci giorni. Nel frattempo sono spuntati i nomi più disparati prima, durante e dopo la campagna elettorale (Aeroflot, per dirne uno, fino a fantomatici fondi arabi o soci cinesi). Ma l’opzione più solida, secondo gli esperti, è quella prospettata da Air France, perlomeno sul piano finanziario e industriale. Infatti Corrado Passera, ad di Intesa San Paolo che sta giocando da quasi un anno la partita, ha mantenuto contatti anche con Parigi. Poi l’annuncio dei 16 partecipanti: Roberto Colaninno (attraverso Immsi), che sarà il presidente della nuova società; il gruppo Benetton attraverso Atlantia; Aponte, Riva, Fratini, Ligresti, Equinox, Clessidra, Toto, Fossati, Marcegaglia, Cal-

tagirone Bellavista, Gavio, Maccagnani, Tronchetti Provera, Intesa Sanpaolo. Nell’elenco, notano i maligni, ci sono imprenditori “a tariffa” e debitori della banca advisor, oltre ai solidi portatori di qualche conflitto di interesse in campo infrastrutturale e immobiliare. Ma questo pare quasi la norma in Italia. E poi, alcune delle parte-

chiedono una modifica della legge Marzano, che permetta ad Alitalia di chiedere il fallimento. Dopo un po’ di maretta e un palleggio di responsabilità tra i ministeri, arrivano il decreto legge e il disegno. Il decreto prevede che le operazioni di concentrazioni ”connesse, contestuali o previste non sono soggette ad autorizzazione ai

La storia degli ultimi cinque mesi del decollo della Compagnia Aerea Italiana cipazioni sono di poco conto tanto da far pensare più a un obolo che a un investimento. Due giorni dopo Air France, dopo aver parlato con Ca’ de’ Sass, annuncia di essere interessata a un’alleanza internazionale, e vorrebbe essere il diciassettesimo socio. È tutto pronto, ma ora viene il difficile. Perché il piano di Intesa prevede un aiuto pesante da parte del governo. I tecnici

sensi della normativa antitrust”. E questo spiana la strada all’integrazione con Air One, parte fondamentale del piano di Intesa: Toto valorizzerà 300 milioni una società con un coefficiente di riempimento degli aerei tra i più bassi, e indebitata proprio con Ca’ de’ Sass. Ne reinvestirà soltanto 100 nella nuova Alitalia, portandosi a casa 200 milioni come premio per non aver mai reso Air One

efficiente e profittabile. Poi c’è il “piccolo” problema dei piccoli azionisti, e dei possessori dei fantastici Mengozzi bond, che consentirono a via della Magliana di indebitarsi ulteriormente e trovare i denari per investire su Malpensa. Risolto anch’esso dal decreto: nessuna opzione ad entrare nella nuova società, come sarebbe stato onesto fare. Per loro c’è l’opzione al rimborso attraverso la normativa sui conti dormienti, che però dovrà già sfamare gli ex-azionisti Cirio e Parmalat. Meglio mettersi in fila di buon mattino. Sempre che basti.

Secondo la nuova Marzano, poi, il commissario straordinario non è più obbligato a presentare un piano di ristrutturazione dell’azienda e potrà procedere con ampia libertà. Si amplia il concetto di imprese per ricomprendervi Alitalia. Il commissario, che avrà quindi un grandissimo potere discrezionale, potrà vendere tramite procedura privata rami dell’azienda, senza problemi di debiti. Gli amministratori non avranno responsabilità per il periodo antecedente al luglio

2007: pure questo serve a tagliare le unghie ai creditori. Anche il commissario è esente da conseguenze penali. Augusto Fantozzi, quindi, si trova in una posizione invidiabile per un commissario liquidatore.

Ma torniamo al piano Intesa. Che prevede maggiori esuberi rispetto ad Air France, ma il governo ha già fatto sapere che questi verranno riassorbiti. «In aziende private», dicono Berlusconi e il ministro Altero Matteoli. Formalmente le Poste così come Eni, Enel e le altre sono aziende private, anche se il loro capitale in tutto o in parte appartiene allo Stato. E, in più, il piano considera l’ipotesi di un forte dislocamento aeroportuale, con il decentramento dell’attività della nuova compagnia su Milano, Roma,Venezia, Torino, Napoli e Catania. Non Malpensa, però, che verrà usata per le rotte intercontinentali. Bonomi, Ad della Sea, aveva intentato causa chiedendo 1,25 miliardi di danni nello scorso febbraio. Il piano Intesa-Boston Consulting, però, supererà il concetto di hub con le “minibasi”, e pretende il ritiro della causa e limitazioni per Linate, proprio allo scopo di evitare sovrapposizioni. In ultimo, ci sono i sindacati. «L’accordo con loro è indispensabile», ha ricordato Passera. Certo, qualcuno dovrà spiegare ai propri iscritti perché giudicava una catastrofe il piano di Air France e invece questo si prepara a firmarlo. L’italianità, già, qui c’è l’italianità da spendere. Basterà a convincere che questa non è altro che una clamorosa e fragorosa vittoria di Pirro?


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speciale

economia

NordSud

Il governo dovrebbe razionalizzare la rete infrastrutturale aeroportuale del nostro Paese

Questione di hub, scali, Tav e management di Stranamore l piano “Fenice” è probabilmente l’unica spiaggia per l’Alitalia e ha anche il pregio di anticipare il salvataggio di Air One, i cui conti da tempo non brillano. Due al prezzo di uno? Quasi, ma siccome in un’industria difficile come quella del trasporto aereo, qualcuno (il contribuente) dovrà ancora una volta pagare il conto dell’ennesimo disastro aero-industriale nazionale, con la consapevolezza che quella in corso è una scommessa che presenta diversi aspetti di criticità. Tanto per cominciare, né il “master” dell’operazione, Corrado Passera, nel presidente in pectore della New Alitalia, Roberto Colaninno e il suo Ceo, Rocco Sabelli vantano esperienza specifica nel settore. Saranno affiancati da schiere di advisors e cercheranno manager operativi di valore, ma per aver successo nel business del trasporto aereo non bastano capitani d’industria, quattrini o esperti di navigatori di leggi e balzelli (Augusto Fantozzi alla barra della “Old Alitalia). C’è chi ritiene che un buon manager possa gestire qualunque impresa, ma forse un “ticket” che offrisse anche competenze specifiche non sarebbe guastato.

I

Un secondo puntum dolens riguarda il nodo degli aeroporti e del modello industriale proposto per la nuova compagnia regionale nazionale. In questi giorni si leggono i soliti proclami incrociati lanciati da Roma e Milano in difesa dei rispettivi aeroporti hub. Ma di quali aeroporti hub stiamo parlando? Nessuno dei due è mai stato è o sarà mai un hub, perché non è in grado di generare/attrarre i volumi di traffico e di conseguenze il numero di rotte e frequenze che caratterizzano un vero hub. Neanche concentrando tutti gli aerei e le rotte su un solo aeroporti Alitalia avrebbe mai sostenuto un hub. E chi ora parla di creare un hub a Malpensa con Lufthansa vuole illudersi. Si tratta di una base di armamento secondaria, con un certo numero di collegamenti diretti, ma l’hub è a Francoforte e in seconda battuta a Mona-

co. A Malpensa però c’è spazio per New Alitalia, Lufhtansa e tanti altri.

La clientela più pregiata, quella d’affari, potendo scegliere, continuerà in ogni caso a volare dagli aeroporti vicini a casa (e in Italia ce ne è uno ogni 100 km o giù di lì) per raggiungere veri hub, che offrono non solo i collegamenti, ma anche le frequenze per garantire la massima flessibilità. Un manager che abiti a Torino, Genova, Verona non ha motivo di andare a Malpensa o a Fiumicino per volare negli Usa. Più semplicemente prenderà uno dei 46 voli giornalieri per un hub europeo e da lì procederà su uno dei 4 o più voli giornalieri transatlantici per le principali destinazioni statunitensi. Questo anche ammesso che gli “hubbi-

ni” italiani fossero serviti da un sistema di feeding decente, indispensabile per realizzare pienamente il modello hub-spoke. Ed è inutile dire che questo sistema di alimentazione degli hub nazionali non esiste, al massimo c’è quanto basta per sostenere uno o due flow giornalieri, facendo sempre riferimento agli aerei, che di collegamenti alternativi/supplementari, stradali o ferroviari, decenti proprio non c’è traccia. E neanche l’orografia nazionale aiuta la pretesa di un hub nazionale. Quindi lasciamo perdere cam-

I vertici della nuova compagnia non hanno competenze specifiche

i convegni GENOVA mercoledì 3 settembre Palazzo Turati, via Meravigli ore 11,30 Conferenza stampa di presentazione del 48mo Salone Nautico Internazionale. FIRENZE giovedì 4 settembre Festa democratica Pd Sala Dibattiti ”Giorgio La Pira”- Fortezza da Basso Incontro su ”l’Italia dei cittadini: dove va il lavoro”. Ore 21,00. Partecipa, tra gli altri, Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil. MILANO venerdì 5 settembre Terrazza Martini, Piazza Diaz, 7 ore 11,30 Presentazione del Rapporto Coop 2008 Consumi, Distribuzione. Partecipa, tra gli altri,Vincenzo Tassinari, presidente Coop Italia. CERNOBBIO (Co) venerdì 5 settembre Villa d’Este Workshop Ambrosetti su Lo scenario di oggi e di domani per le strategie competitive.

panilismi e favole. Buona parte del traffico affari continuerà a viaggiare sui veri carrier globali, dall’Italia ci sarà solo un numero ridotto di rotte intercontinentali verso le destinazioni principali, ma con frequenze limitate. Però potranno essere rotte redditizie, a differenza di quanto accadeva per Alitalia, che riusciva ad avere yield negativi con load factors elevati. Il concetto della pluralità delle basi di armamento rappresenta una alternativa logica per una media compagnia che non ha un vero hub intercontinentale e

FIRENZE venerdì 5 settembre Festa democratica Pd ore 17 Teatro Lorenese - Fortezza da Basso Incontro su l’Italia dei cittadini: il futuro delle Tv. Partecipano, tra gli altri, Claudio Petruccioli; Fedele Confalonieri; Tom Mockridge. CERNOBBIO (Co) sabato 6 settembre Villa d’Este Seconda giornata del Workshop annuale Ambrosetti su Lo scenario di oggi e di domani per le strategie competitive. FIRENZE sabato 6 settembre Festa democratica Pd ore 17 Teatro Lorenese - Fortezza da Basso Forum per l’energia: le fonti di energia e il sistema elettrico nazionale nel contesto europeo e mondiale. Partecipano Tullio Fanelli; Nando Pasquali. Alle 19,30 incontro su Governare il mercato. Le culture economiche del Pd. Interviene, tra gli altri, Innocenzo Cipolletta.

che genererà il 70 per cento dei ricavi dal medio-breve raggio. È il modello seguito anche dalle low cost. La scelta di puntare su Milano, Roma,Torino, Napoli, Venezia, Catania è quindi ragionevole, specie sfruttando a pieno regime gli aerei anche su tratte a medio raggio point to point, ma la pianificazione di rotte, frequenze e connessioni sarà comunque critica. Naturalmente i rami secchi andranno impietosamente tagliati. Inutile negarlo: i passeggeri italiani dovranno rassegnarsi a meno voli, meno rotte e prezzi più elevati, anche se ci sono spazi per concorrenti locali e low cost che si spera siano presto occupati, per evitare le tipiche pratiche monopolistiche adorate dalla vecchia Alitalia (e non solo).

C’è anche l’idea di “anemizzare” Linate, rivedendo il famigerato decreto Burlando e, per non incorrere in nuovi penosi scontri a Bruxelles, stavolta si vorrebbe mantenere solo la rotta Milano-Roma. Una scelta sgradita ai milanesi, i quali non piace perdere il city airport né la prospettiva di dover andare fino ad una mal collegata Malpensa, per non dire di Orio al Serio. Se non si insegue il sogno Malpensa-hub probabilmente Linate può rimanere co-

me è. Già che ci siamo si potrebbe anche ripensare alla romanissima castrazione di Ciampino, attuata con discrezione per difendere Fiumicino, ma con risultati paradossali, come l’attrazione a Fiumicino di compagnia low cost per via del pastrocchio tariffe.

La questione Linate è critica anche considerando che, pur con i ritardi del caso, finalmente dal 2013 partirà la Tav Milano-Roma, che potrebbe se non uccidere certo mettere in crisi la “golden route”di Alitalia. Una condanna per un Linate monorotta. In altri Paesi l’avvento dell’alta velocità ferroviaria ha costretto a scelte innovative, integrando trasporto aereo e ferroviario: basti pensare alla stazione Tgv dell’aeroporto parigino Charles de Gaulle e alle offerte treno/aereo. In Italia invece. Ma se la Tav diventerà nemica e non alleata di New Alitalia, almeno il governo si svegli e metta mano alla razionalizzazione della rete infrastrutturale aeroportuale nazionale. Magari piantandola di “regalare” beni demaniali come gli aeroporti militari, a questo o quel campanile, salvo poi creare cattedrali nel deserto. Anzi, l’Aeronautica Militare attende impazientemente di potersi liberare di una quindicina di aeroporti non più necessari. Una occasione preziosa per intervenire sull’intero sistema, fare cassa per la Difesa (gli aeroporti esistenti valgono molto, perché non se ne costruiranno certo di nuovi), che vuole anche che nessuno osi parlare di traffico civile in quel pugno di basi dove concentrerà la sua l’attività (specie dopo il disastro di Pisa). Tutto questo nella consapevolezza che i passeggeri non si canalizzano o attraggono né con decreto né con legge, ma con quantità, qualità e competitività del servizio offerto.


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MERCATO GLOBALE

La middle class Usa all’assalto dei discount di Gianfranco Polillo ista da New York, la crisi dell’economia americana sembra fare meno paura. Il merito è soprattutto del turismo. Erano anni che non si vedevano frotte di europei – gli italiani in testa – e asiatici a caccia di emozioni e beni da comprare. Merito soprattutto del dollaro in caduta e delle grandi catene di discount in grado di offrire le grandi firme internazionali a prezzi stracciati. Operazione resa possibile dai grandi investimenti realizzati sia negli spazi dedicati alla vendita – migliaia di metri quadri – che nella quantità di prodotti esposti. Milioni di abiti, magliette, tappeti, elettronica – ma a prezzi meno competitivi – clips ed ogni altro ben di Dio dell’epoca dell’opulenza. Un immenso moderno souk dalle mille lingue: come a Babilonia. Ma se si lascia la Grande Mela, la prospettiva cambia. Nel cuore profondo dell’America, le incertezze sono profonde. L’occupazione ristagna e negli Stati più poveri riemerge lo spettro della disoccupazione. Cresce il numero degli homeless: di coloro, cioè, che hanno dovuto cedere la loro abitazione, nell’impossibilità di onorare i debiti contratti per il relativo acquisto. Sempre più numerose, sui grandi giornali, sono le planimetrie delle zone in cui spicca il cartello “for sale”: in vendita. Solo Wal Mart, il grande magazzino popolare e anche la più grande azienda del mondo, sembra indistruttibile. I suoi profitti aumentano. Ma è anche questo un segno della crisi. Era l’emporio della povera gente. Oggi è preso d’assalto dalla middle class, costretta a ridimensionare il proprio tenore di vita, acquistando beni di più bassa qualità. Una parte dell’establishment guarda alla crisi con un misto di disincanto e di rassegnazione. Nei grandi giornali americani non c’è

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La cessione degli asset senza una gara e la deroga alle norme antitrust

Le cose da cambiare nel decreto legge di Andrea Giurigin a Compagnia Aerea Italiana è nata sulle ceneri della vecchia Alitalia come prevedeva il Piano Fenice presentato la scorsa settimana dall’advisor di privatizzazione Intesa San Paolo. Il Consiglio dei ministri di giovedì 28 agosto ha modificato la legge Marzano, come richiesto dagli imprenditori italiani che volevano investire nella NewCo, al fine di poter finalmente rendere appetibile la vendita degli asset di Alitalia. Il processo di privatizzazione, iniziato nel dicembre del 2006 è stato un fallimento totale. La situazione a inizio aprile, con la l’offerta dei francesi, che valutava le azioni dell’azienda 10 centesimi, ma prevedeva investimenti per 6,5 miliardi di euro era alquanto critica. La soluzione trovata da Intesa San Paolo garantisce l’italianità dell’impresa per cinque anni dato che gli investitori non potranno uscire dall’investimento prima del 2013. La ricerca di un partner straniero è tuttavia necessaria, in quanto il mercato del trasporto aereo va sempre più verso il consolidamento. In Europa ci sono tre grandi gruppi: Air France-Klm, la tedesca Lufthansa e British Airways – Iberia. Alitalia non potrà non entrare in uno di questi grandi colossi dell’aviazione civile. La Compagnia Aerea Italiana resterà un piccolo vettore regionale con il 3,5 per cento della quota di mercato passeggeri europea e trasporterà meno di un quarto dei passeggeri in Italia. Il fatturato dell’operatore di “bandiera”sarà un quinto di quello dei francesi e i dipendenti occupati solamente un settimo del vettore tedesco. L’italianità sarà dunque “passeggera”perché difficilmente il nuovo vettore potrà restare al di fuori di una delle grandi alleanze.

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farà pesare i debiti dell’ex vettore di bandiera sui contribuenti italiani, mentre gli investitori si accolleranno un rischio minimo, dato che riescono ad avere gli asset della compagnia senza la difficile gestione degli esuberi e senza alcuna asta competitiva.

Air France potrebbe rientrare nelle trattative, in quanto oltre ad essere il primo player europeo, fa parte della stessa alleanza globale di Alitalia. L’uscita da Skyteam, nella quale sia il vettore francese che quello italiano fanno parte, comporterebbe penali per il recedente, ma soprattutto esiste già una coordinazione di rotte e un code sharing con il gruppo francoolandese. La scissione tra BadCo, la vecchia Alitalia e la Newco, la Compagnia Aerea Italiana è stata dunque resa possibile dal governo. Questa scelta tuttavia

Un punto debole del decreto legge è l’individuazione dell’acquirente, senza alcuna gara a evidenza pubblica. La cessione degli asset di Alitalia sarebbe dovuta avvenire tramite una gara nella quale il miglior offerente si sarebbe preso le attività del vettore al prezzo più alto. In questo modo i creditori e gli azionisti della vecchia Alitalia avrebbero avuto maggiori garanzie di rimborso dei capitali investiti e le casse statali avrebbero avuto minori perdite. Nella conversione del decreto legge in Parlamento è necessario dunque introdurre l’evidenza pubblica alla trattativa privata. La nuova compagnia sarà focalizzata sui voli a breve – medio raggio e Roma Fiumicino e Milano Malpensa, soffriranno del mancato sviluppo delle tratte intercontinentali; al fine di garantire la crescita del traffico aeroportuale è necessario che il governo agisca per un’immediata liberalizzazione delle rotte intercontinentali. Solo così le conseguenze del ridimensionamento che nasce dalla fusione tra Air One e Alitalia avrà minori effetti occupazionali nei bacini di traffico romano e milanese. La deroga alla normativa antitrust, introdotta nel decreto legge, dovrebbe essere eliminata per poter garantire la concorrenza nel mercato nazionale. Le principali rotte italiane sarebbero nelle mani del nuovo operatore e, come dimostra il caso francese, questo va a discapito dei cittadini italiani. La forza di Air France e la logica del champion national hanno fatto sì che, nell’ultimo decennio, il mercato francese per le rotte nazionali ed europee sia stato superato da quello italiano, nel quale Alitalia ha perso costantemente quote di mercato. La modifica alla legge Marzano era importante; è necessario tuttavia apportare delle modifiche al decreto legge per introdurre una logica di mercato nella vendita degli asset di Alitalia che penalizzi il meno possibile i contribuenti italiani.

stupore. Per troppi anni il Paese è vissuto al di sopra delle proprie possibilità. Ha speso molto di più di quanto guadagnato. Ha comprato a debito, approfittando dei bassi tassi di interessi e dell’eccesso di liquidità creata dalla Fed – la banca centrale – per sostenere uno sviluppo che oggi si rivela drogato. La crisi servirà a rimettere le cose a posto. Un po’ di austerity per il cittadino medio. Un colpo contro i rapidi arricchimenti di chi, finora, ha speculato su tutto: dagli immobili alle materie prime. Ed, infine, un avvertimento nei confronti dei grandi produttori di materie prime: petrolio in testa. Il tempo delle vacche grasse è finito. Anche in questo campo occorre moderazione. La crisi, quindi, sembra da un lato inevitabile, dall’altro salutare. Ma c’è chi dubita che sia questa la strada da percorrere. Lasciata ai semplici meccanismi di mercato, essa rischia di determinare contraccolpi ben più seri. Innanzitutto sul piano sociale: perché a pagare il prezzo più alto saranno i ceti più deboli della società americana. C’è poi l’incognita della durata. Quanto sarà lunga? Il circolo virtuoso dell’indebitamento, che ha trainato lo sviluppo, è andato avanti per anni. Poi le banche sono state costrette a chiudere il rubinetto del credito. Oggi basta il ritardo di un solo giorno nel pagamento della rata mensile del conto aperto con la carta di credito per determinare la richiesta di rientro. Insomma la ruota ha cambiato senso di marcia, alimentando il timore di un circolo vizioso. Vedremo nei prossimi mesi. Ma, almeno per questa volta, il tempo non sembra essere galantuomo. A novembre si voterà per il nuovo presidente. La crisi potrebbe favorire Barack Obama, contro uno spento John McCain. Con una svolta piena d’incognite: non solo per la società americana.


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usa 2008

I repubblicani riuniti in Minnesota, “Gustav” arriva in Lousiana, ma ancora si parla del governatore dell’Alaska

Uragani e gossip sulla convention di Andrea Mancia ono stati i discorsi di Laura Bush e Cindy McCain - First Lady in carica e aspirante tale - ad aprire (ieri notte, ora italiana) i lavori della convention repubblicana di Minneapolis-St.Paul. Lavori che hanno subito un drastico ridimensionamento a causa dell’uragano Gustav, che proprio ieri ha toccato le coste della Louisiana. L’incubo di una “seconda Katrina” ha provocato anche l’annullamento degli interventi del presidente George W. Bush e del vicepresidente Dick Cheney. E il programma della kermesse repubblicana viene praticamente modificato ora dopo ora, per tenere conto degli ultimi sviluppi della situazione, anche se - nel momento in cui Gustav è entrato in Louisiana - l’allarme sembrava parzialmente rientrato e l’uragano era stato “declassificato” a categoria 2. Cindy McCain e Laura Bush avevano già espresso ieri mattina il loro appoggio e la loro solidarietà alla delegazione della Louisiana. «L’America è al vostro fianco oggi, in questi tempi difficili», ha detto la moglie del candidato repubblicano, sottolineando il successo dell’iniziativa di raccolta di fondi organizzata dai volontari del Gop. Parlando ai microfoni di Fox News, invece, la First Lady ha dichiarato di comprendere il disappunto dei delegati per la mancata partecipazione del presidente e del vicepresidente nel primo giorno della convention all’Xcel Energy Center. «Capiranno certamente - ha detto - che questi eventi sono stati cancellati per causa di forza maggiore. Ma la delusione resta». Il presidente Bush, intanto, si è diretto in Texas, per monitorare le operazioni di emergenza che riguardano gli stati del golfo. Ma il suo portavoce non ha escluso un suo intervento “a distanza” per salutare i delegati repubblicani.

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Anche la giornata di ieri, comunque, è stata monopolizzata dal clamore intorno alla figura di Sarah Palin, il governatore dell’Alaska scelto da John McCain come candidato alla vicepresidenza. A parlare della Palin sono soprattutto i blog e i siti Internet vicini al partito democratico, che negli ultimi giorni sembrano attraversare quella che i simpatizzanti del

Gop chiamano “Palin Derangement Syndrome” (poco letteralmente: “sindrome da impazzimento per la Palin”). Un gossip insistente nato sulla riva sinistra della Rete - secondo il quale l’ultimo figlio del governatore in realtà sarebbe stato messo al mondo dalla figlia - ha praticamente costretto la Palin a svelare che quest’ultima (ancora teen-ager) è in stato avanzato di gravidanza e si appresta a

me del partito democratico, la privacy è andata a farsi benedire. Il paradosso è che i democratici si considerano il partito della “libera scelta”, mentre i repubblicani dovrebbero essere i “bacchettoni”.

Non si tratta, comunque, dell’unico paradosso di questa campagna elettorale. Anche ieri, mentre tutti si aspettavano l’ultima eco del bounce di Oba-

Laura Bush e Cindy McCain aprono la kermesse del Gop, ma è ancora la vice di McCain a monopolizzare l’attenzione dell’opinione pubblica: voci a non finire e una figlia diciassettenne incinta sposare il padre del nascituro. Si tratta, dicono i portavoce del governatore, di qualcosa che era perfettamente a conoscenza degli strateghi elettorali di McCain, ma che non era stato comprensibilmente - rivelato alla stampa per proteggere la privacy di una minorenne. Adesso, grazie agli attacchi gratuiti delle fazioni più estre-

ma nei sondaggi, gli istituti di ricerca hanno registrato una perfetta parità statistica, con il candidato democratico in leggerissimo vantaggio. Almeno un effetto, dunque, la Palin sembra averlo provocato: quello di aver cambiato la dinamica di una corsa che in molti, forse in troppi, avevano già considerato come scontata.

La First Lady Laura Bush (a sinistra) con Cindy McCain, moglie del candidato repubblicano alla Casa Bianca

Un’analisi dei programmi di politica economia dei due candidati: dall’energia all’assistenza sanitaria

Economia, ecco le differenze tra McCain e Obama di Pietro Di Giorgio e elezioni Usa si avvicinano. E molti si aspettano grandi differenze tra i due candidati. Si tratta di una sensazione giusta? Proviamo a confrontare i due programmi su cinque temi di politica economica: l’economia, l’energia, l’assistenza sanitaria, le politiche agricole e il deficit federale.

L

Economia. Le idee di McCain in politica economica hanno luci e ombre. Le idee di Obama hanno solo ombre. Per combattere il carovita, McCain vuole tagliare le tasse sulla benzina, rimuovere i sussidi al biofuel e rimuovere gli ostacoli al commercio internazionale (ottima idea). Per la crisi immobiliare, vuole aiutare chi si è indebitato troppo, cosa che in un paese già eccessivamente indebitato significa incentivare ulteriori follie. Da questo punto di vista, Obama non solo vuole aiutare gli indebitati imprudenti, ma anche finanziare gli enti locali imprudenti. Tasse e spesa pubblica. McCain taglierà le tasse, soprattutto sulle attività produttive, il che è un’ottima idea per stimolare gli investimenti e la crescita. Anche Obama taglierà le tasse, ma sui redditi, con un effetto positivo miope sui consumi, ma negativo nel lungo termine sulla crescita, visto che gli ame-

ricani già ora consumano troppo. Le scelte populiste sono tipiche di Obama: è per questo che piace. McCain vuole ridurre le spese combattendo le lobby.Vuole chiudere i piani governativi non performanti. Obama difende invece qualsiasi forma di spesa pubblica: nel sociale, in investimenti, in politiche industriali dirigiste. Poi aggiunge la buona proposta di aumentare la competizione negli appalti federali: la concorrenza fa bene, e ora lo sanno anche i socialisti, o perlomeno lo scrivono sui programmi.

Mercato globale. McCain è palesemente a favore della globalizzazione, vista come un’opportunità. La cosa è ovvia, visto che senza risparmi cinesi l’economia americana non si reggerebbe in piedi, ma nel programma di Obama questa ovvietà non è di casa. Per affrontare i problemi di riallocazione dei lavoratori in settori in declino, vuole puntare sulla riqualificazione, anziché sul blocco dell’innovazione. Obama dice qualcosa di generico a favore del libero mercato, ma poi vuole introdurre clausole sociali e ambientali nel libero commercio, così i costi del lavoro nel Terzo Mondo aumenteranno, e i poveri saranno tagliati fuori dai flussi di investimento. Egoismo gabellato per solidarietà.

Obama aumenterebbe anche il salario minimo: pessima notizia per i lavoratori poco produttivi, che con i nuovi salari saranno espulsi dal mercato. Per aumentare ulteriormente la disoccupazione, vuole anche rafforzare il ruolo dei sindacati.Vuole infine cacciare dal mercato del credito tutti coloro che hanno necessità di liquidità a breve: con un tetto agli interessi sui payday loans. Questo significa che molte persone non otterranno più prestiti: chi presterebbe soldi a chi ha il 25 per cento di probabilità di essere protestato?

Energia. Il programma energetico di Obama è velleitario e dirigista, quello di McCain poco meno. Obama fa proposte poco credibili nel campo delle energie alternative, degne delle politiche industriali italiane della Prima Repubblica. Dice che investire miliardi in energie verdi crei posti di lavoro, ma in realtà ogni spostamento di risorse crea posti di lavoro da una parte e li toglie da un’altra: manipolare le scelte produttive del mercato significa in genere ridurre l’efficienza, e quindi distruggere più posti di quanti se ne creano. Anche McCain fa la sua parte con piani di investimenti calati dall’alto, ma almeno ridurrà i sussidi distorcenti


usa 2008 ristiana protestante e madre di cinque figli, il Governatore dell’Alaska, comandante della Guardia nazionale dello Stato, riformatrice politica che ha scosso il network della corruzione in Alaska, stella del basket al liceo, ardente pescatrice e cacciatrice, abile nei lavori di casa e co-presidente di una piccola azienda familiare, dal pensiero chiaro e contraria ai non-sensi nelle campagne elettorali, il soprannome di Sarah Palin era “barracuda”. Non sottovalutatela. Qualcuno diceva: «Vale più di una perla quella moglie che ama cacciare e pescare». Ed il cui cibo preferito sia lo spezzatino d’alce. Non si scherza con una donna che caccia alci e caribù. Dietro ai suoi occhiali cerchiati di corno, da giovane Sarah si è piazzata seconda al concorso di bellezza di Miss Alaska e fino ad ora non è stata intimidita dalla stampa.

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La prima cosa che ha fatto come Governatore è stata vendere il jet assegnato al suo ufficio. Subito dopo, ha venduto anche la flotta di limousine. E ha detto: «Non ne abbiamo bisogno». Ha piegato le compagnie petrolifere dell’Alaska ai suoi desideri e ha cacciato gli incompetenti ed i disonesti dal governo, anche se membri del partito repubblicano. È stata un Governatore del popolo, per il popolo e dal popolo, con un indice di gradimento che si aggira intorno all’80 per cento. Il Governatore Palin conosce il mondo del petrolio e del

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Il maître à penser dei conservatori racconta la Palin

Due o tre cose che non sapete di Sarah di Michael Novak gas naturale meglio di qualunque altro candidato. Conosce le Forze armate meglio di Obama e Joe Biden. Il suo Stato è a sole cinquanta miglia dalla Russia, separato dallo Stretto di Bering. Tratta con multinazionali di tutto il mondo. Il suo figlio maggiore è entrato nell’esercito l’11 settembre del 2007 e partirà per l’Iraq l’11 settembre del 2008. Lei ne è enormemente fiera ed è grata del fatto che John McCain sarà presto il suo Comandante in capo. Il suo figlio più piccolo, nato lo scorso aprile, è affetto dalla sindrome di Down. La diagnosi è stata fatta presto, ma lei ha insistito per far nascere questo «bellissimo bambino». La sua nomina ha mandato scosse di eccitazione alla metà del Partito repubblicano che si riconosce nelle posizioni dei social conservatives, a tutti i votanti pro-life e a buona parte delle normali cit-

sul biofuel dal mais, per evitare di mettere fuori mercato biofuel più efficienti. Ragionamento corretto: quasi non sembra un programma elettorale.

Nucleare e inquinamento. McCain vuole aumentare le esplorazioni di campi petroliferi negli Usa, bloccate per legge, il che sembra un’ottima idea. Peccato che poi affermi che questo ridurrà il deficit commerciale, il che è economicamente improbabile, a meno che gli investimenti in capacità produttiva non siano meno dei risparmi indotti dalle rendite così guadagnate. Punterà anche sul nucleare, cosa che sembra meno velleitaria delle energie“pulite”. Si dice inoltre contrario alla Robin Hood tax. Obama vuole ridurre le emissioni di CO2 di quattro quinti in 42 anni: se avesse scritto che vuole trovare una cura per il cancro in sei mesi sarebbe stato più credibile. A parte questo, entrambi sono per il cap-n-trade. Nessuna parola su Kyoto: ormai ci credono solo i Verdi italiani. Assistenza sanitaria. I programmi sanitari di Obama e McCain sono molto diversi tra loro. McCain vuole aumentare la concorrenza nel settore delle assicurazioni sanitarie, eccessivamente regolamentato, per ridurre i costi. Vuole tagliare le tasse sull’assistenza sanitaria. Ottima l’idea di estendere gli Hsa (Health Saving Accounts), fondi personali per fini di spesa sanitaria e previdenziale.Vuole concentrare gli sforzi assistenziali pubblici sui malati ad alto rischio, più difficilmente assicurabili. Ottima l’idea di consentire il commercio inter-

tadine repubblicane, indipendenti e persino democratiche. Sono immediatamente piovute offerte economiche e volontari per la sua campagna elettorale. Niente ha dato più energia alla base repubblicana. Ora, questa elezione diventa una gara molto diversa. Se

Il giorno prima della sua nomina, nel Gop serpeggiava delusione e scetticismo. Adesso la dinamica della corsa è cambiata anche il Governatore Palin non desse alcun sostegno alla campagna McCain oltre a questo, sarebbe già un contributo enorme. Un sine qua non. Il giorno prima della sua nomina c’era buio, ma quello dopo è stato caratterizzato da gioia e impegno. Nel 2004, circa il 65 per cento degli elettori che frequentano regolarmente una chiesa ha dato la sua preferenza ai re-

nazionale di farmaci, aprendo il mercato a farmaci stranieri più economici, e il supporto ai farmaci generici. Generici purtroppo anche i piani sul contenimento della spesa per malattie croniche, il 75 per cento del totale della spesa sanitaria. Interessante l’idea di ridurre i risarcimenti per errori medici, notoriamente eccessivi negli Usa.

Assicurazioni. Il piano Obama è del tutto velleitario. Vuole la “guaranteed eligibility”: costringere le imprese di assicurazioni ad assicurare chiunque. Ma per chi costa più di quanto paga di premio cosa si fa? Se la spesa pubblica sale, del resto, non c’è niente di meglio di farla salire ulteriormente estendendo i piani di assistenza sanitaria pubblica. Anche Obama, come McCain, vuole aumentare la concorrenza nei mercati dei servizi sanitari e dei farmaci, e questa è un’ottima idea. Politiche agricole. Per quanto riguarda le politiche agricole, McCain e Obama sono abbastanza diversi. McCain punta sul libero commercio, con qualche tentennamento sulle clausole del Wto, che potrebbero reintrodurre il protezionismo tramite regolamentazioni anziché tariffe. Obama vuole incoraggiare i giovani a zappare la terra, impiegare i già scarsi risparmi americani per dare l’Adsl alle zone rurali, e ovviamente vuole finanziare l’agricoltura verde e biologica, slogan immancabili. Bilancio. McCain afferma che vuole il bilancio in pareggio, anche se senza tagliare le spese discrezionali in politica estera. «Tagliare le

pubblicani, mentre la stessa percentuale di coloro che non va mai - o quasi mai - in chiesa ha scelto i democratici. In America, coloro che vanno in chiesa superano in maniera netta gli altri. Non molto tempo fa, la maggior parte dei religiosi erano la spina dorsale del Partito democratico. Non più. Lo scorso 28 agosto il senatore Obama ha dato il via a una convention

spese inutili» è però uno slogan vuoto, se non si specifica cosa è inutile. Nella storia, praticamente nessuno è mai riuscito a tagliare la spesa pubblica, fallirà anche McCain. Obama, con tutti i piani di spesa che propone, non è chiaro come possa anche essere favorevole al bilanciamento della spesa. Per farlo dovrebbe aumentare molto le tasse, danneggiando l’economia. Fa però l’ottima proposta di finanziare anticipatamente ogni aumento di spesa e ogni taglio alle tasse.

Conclusioni. Obama fa promesse che non potrà mantenere, come ogni politico: ma ad un livello tale da far apparire il più populista dei politici un grande statista. Anche se si può sperare nel suo trasformismo, il suo programma elettorale è illeggibile: pieno di slogan, verboso, centrato sul culto della sua personalità, velleitario, privo di logica economica. Entrambi dicono di voler combattere lobby e corruzione. Il che è velleitario: finché il governo muoverà centinaia di miliardi, ci saranno gruppi di pressione che cercheranno di sfruttarlo a proprio vantaggio. Il principale problema di McCain è l’essere repubblicano: dopo otto anni di Bush il Gop sembrerebbe destinato a perdere, ma i democratici hanno deciso di mandare avanti un politico che pensa solo alla popolarità immediata, senza curarsi degli effetti di lungo termine, e non sembra avere la minima cognizione di come funzioni l’economia. McCain è decisamente migliore da entrambi i punti di vista. Purtroppo nessuno dei due dice come risolvere i problemi macroeconomici strutturali dell’economia americana.

“spettacolare”. Ha programmato la sua ultima serata in un enorme stadio di football e l’ha progettata per la maggior parte come un concerto rock. Non si è trattato, però, un evento “unificante”, ma enormemente di parte, con un discorso democratico standard (con cui ha promesso di spendere decine di miliardi di dollari per ogni minuto di chiacchiere). I due giorni successivi lo hanno premiato con un balzo avanti nei sondaggi: 48 a 42.

Questo tipo di distacco rappresenta una leggera diminuzione rispetto al vantaggio ottenuto da altri candidati democratici in questa fase della campagna elettorale. Eppure, tutti si aspettano che sia Obama a vincere queste elezioni. Ieri, i repubblicani hanno dato il via alla loro più modesta convention a St. Paul, Minnesota, considerato uno Stato democratico. Allo stesso tempo, l’enorme e pericoloso uragano Gustav si abbatte su New Orleans, Louisiana, proprio come fece Katrina tre anni fa. Davanti alla possibilità di dover rinviare l’incontro repubblicano, molti democratici «ringraziano Dio per questa fortuna», un modo non molto carino per parlare di molti abitanti della Louisiana in grave pericolo. Forse, il governo locale, insieme con quello federale, farà un miglior lavoro questa volta rispetto a ciò che avvenne durante Katrina. Una differenza che potrebbe dare maggior credito ai repubblicani. In ogni caso, molti americani ora non pensano alla politica ma ai loro cari che vivono in quella regione, e pregano perché possano superare il pericolo indenni. Nessuno può dimenticare che in gioventù John McCain è stato un pilota di caccia, e per molti versi pensa ancora come uno di loro. Un pilota deve impegnarsi per nascondersi nel sole e fra le nubi, sperando nel fattore sorpresa fino all’ultimo secondo prima di gettarsi sulla sua preda. McCain ama la sorpresa. Odia essere parte di un branco: d’altra parte, maverick (“indipendente”) significa proprio questo. O no? McCain ha dimostrato il suo gusto per le sorprese quando ha preso una donna del popolo, un’appassionata riformatrice, una valida esecutrice con esperienza decennale (prima come sindaco della sua piccola cittadina, poi come Governatore). In ogni caso, la notte del 3 settembre sarà una notte emozionante. Il Governatore Palin dovrà pronunciare il discorso con cui accetta la nomination davanti ad un eccitata convention repubblicana, davanti alla nazione e al mondo intero. Questa scelta rappresenta per il candidato McCain un rischio. Ha eccitato i repubblicani e ha aggiunto sostanza al ticket presidenziale. E ogni volta che i democratici vorranno parlare dell’inesperienza della candidata vice-presidente, dovranno ricordare quanto sia più grave l’inesperienza del loro candidato alla presidenza.


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personaggi

Dopo dieci anni, riapre la sede italiana della celebre fondazione politica tedesca. Parla il responsabile Wilhelm Staudacher: un laboratorio per ricostruire l’Europa

Bentornato Adenauer colloquio con Wilhelm Staudacher di Renato Cristin a Fondazione Konrad Adenauer ha riaperto un suo ufficio in Italia, dopo una decina d’anni d’assenza. È un evento di grande interesse politico e culturale, sia perché la Fondazione Adenauer è il più prestigioso e consolidato think tank continentale, sia per il peso che la Germania ha nelle politiche dell’Unione Europea. Il fatto che l’ufficio italiano, che ha sede a Roma in un bel palazzo accanto al Senato, sia guidato da Wilhelm Staudacher, che dal 1999 a oggi è stato il generale Segretario della Fondazione, è un chiaro segnale della rinnovata attenzione con cui la Fondazione Adenauer e, con essa, la Cdu guardano oggi all’Italia. La faticosa evoluzione delle istituzioni comunitarie e dell’integrazione politica europea, la difficile congiuntura economica e finanziaria mondiale, l’instabile situazione internazionale e la crescita di molteplici tipi di tensioni e conflitti, la perdita di baricentro culturale con il progressivo smarrimento della nostra tradizione, la minaccia oscura che il fondamentalismo islamico ha lanciato all’Occidente, tutto ciò rende ancora più attuale l’esigenza di collegamento tra i paesi europei e, per quanto ci riguarda, tra le forze politiche che appartengono al Partito popolare europeo. La presenza, così autorevolmente espressa, della Fondazione Adenauer nel nostro paese offre anche l’occasione di rilanciare le relazioni fra il Centrodestra italiano e l’Unione cristiano-democratica tedesca (e pure con l’Unione cristiano-sociale bavarese, la CSU), ma da parte nostra dev’esserci la capacità di cogliere questa occasione. Che i rapporti italo-tedeschi tocchino il punto più basso ogni volta che governa Berlusconi è una menzogna propagata a ripetizione, anche oggi e con chiari intenti diffamatori, da molti politici, osservatori, studiosi e perfino da funziona-

L

ri pubblici. La qualità dei rapporti fra Italia e Germania non dipende certamente dalle opinioni dei professionisti della propaganda ideologica e dagli intrighi delle lobbies culturali ed economiche europee, e tuttavia quei giudizi concorrono a definire ciò che i media diffondono: un gioco di specchi in cui la verità viene deformata dalla menzogna, ma l’immagine che ne esce viene spacciata per vera. È dunque su quel livello, fi-

e con la Cdu/Csu in particolare. C’è dunque da augurarsi che l’attività della Fondazione Adenauer in Italia stimoli non solo l’interesse del Governo ma anche di tutti coloro, appartenenti a qualsiasi schieramento politico, che hanno davvero – e non per mero e volgare professionismo – a cuore i legami con la Germania e che credono nell’importanza strategica delle relazioni italo-tedesche. Signor Staudacher, nel darle il più cordiale benvenuto in Italia e nell’augurarle buon lavoro, desidero la esprimerle profonda soddisfazione di tutte le persone che, a vario titolo e livello, auspicavano una rinnovata presenza italiana della Fondazione Adenauer. Potrebbe descriverci a grandi linee la sua Fondazione? La Konrad-Adenauer-Stiftung è una fondazione politica. Le fondazioni politiche sono una particolarità della realtà tedesca. Quelle attualmente presenti sono legate, dal punto di vista dei valori e dello spirito, alle diverse direzioni politico-programmatiche che esistono nella forma di partiti politici e quindi di gruppi parlamentari all’interno del Parlamento tedesco. La Fondazione Adenauer sviluppa il proprio lavoro sulla base della concezione cristiana dell’es-

È il momento di far crescere l’Unione dei cittadini: ecco a che cosa lavorano le fondazioni politiche nora intoccabile e anche occulto, che bisogna intervenire per ripristinare il vero stato delle cose. Ma urge anche che l’attuale Governo italiano e i partiti che lo compongono investano maggiormente sulle relazioni con la Germania in generale

Qui sopra, Konrad Adenauer (il primo a sinistra) con il leader indiano Jawaharlal Nehru (il secondo da destra) nel 1956. A fianco, un francobollo commemorativo per il cancelliere tedesco. Nell’altra pagina, Wilhelm Staudacher

Un’associazione che vanta ottanta uffici sparsi in settanta paesi del mondo

Una casa per la democrazia La Konrad-Adenauer-Stiftung, nata nel 1964 come prosecuzione dell’«Associazione per la formazione cristiano-democratica» e intitolata al primo Cancelliere tedesco, ha sede a Sankt Augustin presso Bonn e a Berlino. Ha due centri di formazione e 16 laboratori, e nel settore delle relazioni internazionali sostiene attualmente oltre 200 progetti in 120 paesi, mentre la sua rete estera conta 80 uffici in 70 paesi di tutti i continenti. Finanzia con borse di studio giovani che arrivano in Germania da

tutto il mondo, finora quasi 9000 persone, per sviluppare la loro formazione politica e culturale. Articolata in svariati dipartimenti tematici, la Fondazione Adenauer elabora progetti di ricerca e di analisi, organizza convegni, conferenze e mostre in tutti gli ambiti della vita politica, sociale e culturale, con oltre 2500 manifestazioni all’anno solo in Germania. Nel suo «Archivio per la politica cristiano-democratica» sono consultabili circa 160.000 volumi.

sere umano ed è vicina alla Cdu. Altre Fondazioni politiche sono vicine alla Spd, alla Fpd (il Partito Liberale), ai Verdi e al partito “Die Linke” (l’estrema sinistra). Le Fondazioni non fanno una politica di partito. Su una base di valori pluralistica, cioè con differenti premesse di valori, esse devono promuovere e consolidare la democrazia in Germania anche sotto il profilo internazionale. Conducono ricerche sullo sviluppo sociale e sulle sfide del futuro. Contribuiscono all’elaborazione della storia dei partiti politici, in Germania, in Europa e in tutto il mondo. In questo modo esse consigliano e accompagnano la politica. La Fondazione Adenauer ha uffici sparsi in oltre 70 paesi in tutti i continenti, che promuovono progetti dedicati alla compren-


personaggi Chi è Wilhelm Staudacher Wilhelm Staudacher, bavarese di nascita e renano di adozione, nella sua attività di Segretario generale della Fondazione Adenauer ha espresso al meglio lo spirito di determinazione e di innovazione della cultura politica tedesca contemporanea. Nel 1983 è direttore del dipartimento di studi politici della Cdu; nel 1994 è nominato sottosegretario di Stato e capo del Gabinetto del presidente della Repubblica Roman Herzog; nel 1999 assume l’incarico alla Fondazione Adenauer. Nel 1997 ha ricevuto l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

sione politica. Nei paesi del terzo mondo ci dedichiamo all’edificazione dei fondamenti delle istituzioni democratiche, dello Stato di diritto e del sistema dei media. E poiché la democrazia ha bisogno non solo di persone che la sostengano ma anche di élites politiche, siamo impegnati nella formazione politica. Con borse di studio e con il lavoro di formazione favoriamo e sviluppiamo le élites democratiche nell’economia, nella società e soprattutto nella politica. Quali sono state le motivazioni che hanno portato la Fondazione Adenauer a decidere di riaprire una sua sede in Italia? Un compito centrale e sempre più importante è la promozione del dialogo nell’Europa che sta crescendo in senso unita-

rio. Ci rendiamo conto con sempre maggiore chiarezza, non solo che l’Europa ha bisogno di istituzioni che funzionino ma pure che per il buon esito dell’unione politica – di un’Europa dei cittadini – la società civile, i cittadini stessi, i partiti, le associazioni e le coalizioni sociali cooperino fra loro, si conoscano reciprocamente e creino elementi di comunanza e di fiducia reciproca. Il mondo è in movimento: l’Unione Europea deve assumere una chiara posizione nei confronti di Russia, Cina, Medio-oriente e Africa. Qui è necessario non solo che i leader politici si incontrino in convegni e meeting, ma pure che le strutture della società civile, come per esempio i think tanks o le fondazioni politiche, assumano un ruolo di battistrada. Mi auguro

che Germania e Italia lavorino in una sintonia particolarmente stretta e al tempo stesso non dimentichino i nuovi paesi membri dell’Unione Europea, nella quale c’è bisogno infatti di un clima di inclusione, non di esclusione. A questo scopo servono le fondazioni politiche. All’interno dell’Unione Europea, all’Italia spetta una particolare importanza, non tanto perché fu uno dei paesi fondatori, quanto per il suo grande peso politico, culturale ed economico. Questo è ciò che la Fondazione Adenauer vuole sottolineare e incentivare con l’apertura dell’ufficio italiano. A questo intento noi attribuiamo un grande significato e ciò si manifesta anche nel fatto che, come lei osservava, la Fondazione abbia deciso di affidare questo importante compito a colui che è stato per tanti anni il suo Segretario generale. Io amo l’Italia e gli italiani. Ammiro sommamente il vostro paese e sono convinto che dobbiamo smontare i pregiudizi reciproci e, soprattutto, dare impulso a progetti di collaborazione bilaterale e di cooperazione europea. Sarebbe ipotizzabile la costituzione di un comitato di specialisti che analizzi e intensifichi i rapporti italo-tedeschi? Ritengo che la costituzione e lo sviluppo di una rete di esperti italiani e tedeschi, la cui attività possa essere utilizzabile per coloro che devono prendere le decisioni politiche tanto in Germania quanto in Italia, sia un’idea auspicabile e realizzabile. Questa rete dovrebbe includere esperti di diverse discipline e di diversi ambiti politici. L’esigenza di riforme nella politica sociale ed economica è grande. Per i nostri cittadini è importante avviare i necessari passi in direzione delle riforme e in questo modo creare una sicurezza riguardo al futuro. Ciò vale in egual misura per la Germania e per l’Italia, ma anche per l’Europa nel suo insieme. Infatti, saremo in grado di far fronte alla competizione globale soltanto se siamo forti all’interno dell’Unione Europea. La capacità di attrazione dell’Europa nei confronti del mondo dipende dalla nostra

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capacità di far “brillare” le nostre idee e le nostre nozioni di valori, come la libertà, i diritti umani, il valore della formazione e della responsabilità sociale. Pertanto, il potenziale di Italia e Germania, se esse agiscono insieme, può acquisire un’importanza strategica per il futuro dell’Europa. Talvolta gli italiani si vedono in modo più critico di quanto li veda l’estero. I grandi punti di forza dell’Italia consistono, a mio avviso, nella piccola e media industria, nella creatività e nell’intelligenza della ricerca scientifica. Grazie ai suoi diligenti cittadini, l’Italia è oggi, dal punto di vista economico e industriale, uno dei paesi leader nel mondo. L’Europa è anche una comunità di apprendimento, e ciò significa che noi tutti possiamo imparare gli uni dagli altri. Il nostro grado di efficacia diventerà sempre maggiore per mezzo dell’azione comune. In questo senso, una rete italo-tedesca di esperti può produrre un valido servizio per entrambi i nostri paesi. Per il futuro, la Fondazione Adenauer si impegnerà con vigore in questa prospettiva.

Il rapporto fra Italia e Germania deve tornare ad avere un ruolo strategico per gli equilibri del Vecchio Continente

L’Italia avrebbe bisogno di conoscere meglio la Germania e di imparare ad apprezzarne i fondamenti spirituali e socioculturali. Dall’altro lato ci sono le peculiarità dell’identità italiana che la Germania ha ripreso e valorizzato, e che potrebbero essere ancor più fruttuosamente approfondite. È possibile che l’ufficio italiano della Fondazione Adenauer contribuisca anche a rafforzare i rapporti fra i due paesi? Soprattutto nella famiglia politica che si richiama ai valori cristiano-democratici, noi ammiriamo e rispettiamo la diversità. Ogni paese, ogni nazione, ogni cultura può contribuire con ciò che gli è proprio. Dalla pluralità di tutte le capacità, l’Europa può acquisire nel suo insieme una forza in gradi di imporsi anche nelle sfide globali. Oggi stiamo vivendo non solo una fase di competizione economica globale, ma anche una competizione fra i valori spirituali ed etici dei vari sistemi di formazione, fra i poten-

ziali di ricerca e di innovazione, e non da ultimo fra i sistemi politico-sociali. L’Italia e la Germania possono imparare, reciprocamente, l’una dall’altra e portare queste idee e questi stimoli sul piano europeo, per poi continuare a svilupparli là in forma comune. Il rafforzamento della comunità di apprendimento italo-tedesca è importante per l’Europa intera. Quali sono i progetti strategicamente più rilevanti che intende realizzare? Come già accennato, intendo sviluppare i punti focali del mio lavoro in Italia, fra l’altro, attraverso il dialogo con esperti italiani. Gli italiani sanno meglio di tutti ciò che per loro è importante, ciò che essi vogliono e si aspettano da me. Prevedo di organizzare insieme uno scambio di conoscenze e di esperienze in quei settori in cui i nostri due paesi, in quanto “società mature”, hanno problemi analoghi, come per esempio la modernizzazione dei nostri sistemi in relazione alla competizione europea e mondiale, la messa in ordine dell’economia, la conservazione e lo sviluppo del sistema di sicurezza sociale, la soluzione dei problemi demografici, i problemi legati alla pulizia dell’aria e dell’acqua o l’elaborazione di concetti efficaci per vincere la sfida rappresentata dall’immigrazione. O, ancora, mi sembrano di particolare importanza temi come il rinnovamento della partnership transatlantica e la creazione di una politica europea di sicurezza. Fra l’altro, vorrei creare una rete di giovani politici. Con tutta probabilità ci sono molti più compiti di quanti ne possa individuare ora. Se i politici, gli scienziati e i cittadini italiani sono disposti a sostenere il nostro lavoro, potremo certamente avviare e realizzare molti validi progetti. Inoltre, voglio segnalare che fra le mie attività c’è anche quella di proseguire e di approfondire la collaborazione della Fondazione Adenauer con il Vaticano. Il fatto che la Fondazione Adenauer riapra proprio ora, dopo dieci anni, un ufficio a Roma, mostra la nostra convinzione che l’Italia si trovi, soprattutto dopo le ultime elezioni, in una fase di consolidamento del suo paesaggio politico. Riteniamo che proprio l’Italia potrebbe fornire importanti contributi alla politica europea. E io auspico pure, per esempio, una più intensa partecipazione e un ruolo guida da parte dell’Italia alla politica europea verso l’area del Mediterraneo. Questi sono soltanto alcuni importanti temi del prossimo futuro, sui quali la Fondazione Adenauer desidera offrire il suo sostegno e la sua disponibilità come forum di dialogo.


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letture Il caso Enzo Tortora, una lezione dimenticata

doveva ualcuno aver calunniato Joseph K. poiché senza che avesse fatto alcunché di male una mattina venne arrestato». Per chi non l’avesse letto (o non lo ricordasse) questo è l’incipit di uno dei romanzi più celebri (e belli) del XX secolo: Il processo, di Franz Kafka. Scritto nel 1925, racconta esattamente quel che accadde cinquantotto anni dopo (il 17 giugno 1983) a Enzo Tortora. Alle quattro e un quarto del mattino bussarono alla porta della camera dell’Hotel Plaza di Roma in cui alloggiava. La perquisirono da cima a fondo (non tralasciando neppure un innocuo salvadanaio a forma di porcellino), e lo tradussero (tanto per usare il linguaggio consueto delle forze di polizia) nella sede romana del nucleo operativo dei Carabinieri, in attesa che si facesse ora: l’ora giusta per mostrarlo, manette ai polsi, a giornalisti e fotografi appositamente convocati. Di Tortora, poi, si seppe chi l’aveva calunniato: Pasquale Barra (detto “O’ animale”) e Giovanni Pandico (definito «schizoide» nelle cartelle cliniche), due pentiti della camorra, sedotti dai compensi che la giustizia offriva loro in cambio di questi discutibili servizi. Ma la sciatteria delle indagini sul suo conto, e la dura condanna in primo grado (dieci anni di reclusione) costruita su un castello di testimonianze a dir poco discutibili e di indizi inesistenti, rappresentano una pagina vergognosa della giustizia italiana.

«Q

Rivolto ai giudici, Tortora disse in aula: «Io sono innocente. Spero, dal profondo del mio cuore, che lo siate anche voi». Parole durissime che meriterebbero di essere scritte nelle aule dei tribunali, accanto a una massima – «La giustizia è uguale per tutti» – spesso contraddetta dai fatti. A vent’anni dalla morte di Tortora, il giornalista Vittorio Pezzuto ha dato alle stampe un corposo volume (Applausi e sputi, Sperling & Kupfer, 522 pagine, 15 euro) che, nel sottotitolo («Le due vite di Enzo Tortora») rivela il contenuto: una

Gli sputi restano gli applausi volano di Massimo Tosti

A sinistra, la celebre immagine di Enzo Tortora il giorno del suo arresto: il 17 giugno del 1983. Sopra, il popolare giornalista durante la sua trasmissione di maggior successo, «Portobello». In basso, la copertina del libro di Vittorio Pezzuto

biografia densa e documentatissima, che racconta i grandi successi professionali di un uomo colto e garbato, amatissimo dal pubblico dei telespettatori, e lo strappo drammatico di una vicenda giudiziaria lunga e do-

si della prima non avevano montato la testa di Tortora, che era un uomo modesto e tranquillo, che non amava confondere la sua immagine pubblica con quella privata, e che – per difendere le proprie idee e le proprie convinzioni – sapeva ricominciare da capo (come gli accadde due volte, all’inizio e alla fine degli anni Sessanta, quando fu messo alla porta dalla Rai per aver espresso giudizi rite-

nali) contribuirono a demonizzarlo quando due pentiti lo accusarono delle peggiori nefandezze. Enzo, innocente, pagò anche per questo per la rabbia di tante mezzecalze, felici di vederlo sprofondare nella polvere, proprio nel momento (erano i tempi di Portobello, la più fortunata fra le trasmissioni televisive da lui condotte: ventisette milioni di spettatori a puntata) di maggior successo in una carriera costellata di successi. No-

La storia di uno dei più inquietanti casi di errore giudiziario in una biografia del popolare presentatore, scritta da Vittorio Pezzuto nuti inopportuni e offensivi sulla gestione dell’ente), inventandosi un nuovo mestiere – il giornalismo – e dimostrando di saperlo fare benissimo.

Lo conobbi perso-

lorosa, che distrusse prima la sua immagine e minò poi la sua salute. Ci fu sicuramente un legame fra quelle «due vite». I succes-

nalmente all’epoca della strage di piazza Fontana: inviato dalla Nazione di Firenze, scrisse in quell’occasione una serie di articoli esemplari, da cronista di razza. Lui non si montò la testa, ma l’invidia e la gelosia di molti colleghi (in tv e sui gior-

nostante tutto, e nonostante tutti. Lui che non apparteneva alla folta schiera dei raccomandati, lui che non aveva padrini politici, e che era persino controcorrente rispetto ai pensieri dominanti. Alla politica si affacciò nel momento della disgrazia, accettando la candidatura al Parlamento europeo offertagli dal partito radicale. Ma non utilizzò il cadreghino per evitare gli arresti domiciliari: si dimise, e affrontò l’isolamento. Come politico (con addosso l’esperienza da imputato condannato ingiustamente, e da recluso) si impegnò nella campagna

per la «giustizia giusta», che di lì a poco sarebbe sfociata nel referendum sulla responsabilità civile dei magistrati per i loro errori giudiziari (la decisione popolare fu poi stravolta dal Parlamento, nel clima di sudditanza che accompagnò Tangentopoli). Per recensire compiutamente il libro di Pezzuto occorrerebbe disporre di quasi quattrocentocinquanta pagine, le impiegate stesse dall’autore per raccontare la vicenda umana di Tortora: perché Applausi e sputi è una cronaca senza fronzoli, tutta affidata al rigore dei dati di fatto, come testimoniano i 15 documenti mila consultati e le 80 pagine di note. Uno degli aspetti più inquietanti del libro è che – rileggendo (giorno per giorno) quel che accadde a Tortora – si scopre come quella drammatica esperienza non abbia insegnato nulla a nessuno. Anche all’epoca di Mani pulite, la stampa montò (nella sua stragrande maggioranza) sul carro giustizialista, ricomponendo la sinergia procure-giornali che aveva già provocato guasti ed errori innegabili. Errare è umano, perseverare è diabolico. Ma questo è un Paese che dimentica troppo facilmente, e che fa della disinvoltura uno stile di vita.

A distanza di vent’anni dalla morte del presentatore, sono ben pochi i giornalisti che hanno ammesso le proprie colpe per aver messo alla gogna un innocente. E quanto ai magistrati che si resero responsabili di un clamoroso infortunio, sono stati tutti promossi. È sufficiente leggere i loro nomi a fianco degli incarichi che ricoprono oggi. Chiarendo che non si tratta di omonimie o di refusi, come accadde nella maxiretata di venticinque anni fa, quando finirono in carcere (fra gli 856 arrestati) un centinaio di persone colpevoli soltanto di avere lo stesso cognome di presunti camorristi. Non c’era Tortora (il più famoso) fra questi: «Non sono un omonimo - disse amaramente - ma soltanto un refuso». Nell’agendina di un camorrista era annotato accanto a un numero di telefono il nome di Enzo Tortona (non Tortora), un imprenditore salernitano. Nessuno – neanche a dirlo – si preoccupò di comporre quel numero per verificare a chi appartenesse.


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Papa Wojtyla acclamato dalla folla a Piazza San Pietro negli ultimi anni del suo Pontificato. Proprio nel rapporto diretto con i fedeli sta uno dei fondamenti della sua rivoluzione comunicativa

Un saggio di Elisabetta Lo Iacono sulla rivoluzione massmediatica di Giovanni Paolo II

Woytjla, «communico ergo sum» di Mario Bernardi Guardi isto che qualche bieco reazionario continua ancora a gettare in faccia agli aficionados di Obama l’antipatico interrogativo «ma l’America è davvero pronta ad accettare un presidente nero?» (i reazionari ovviamente dicono “negro”), chiediamoci con spietata franchezza: ma noi - cattolici, laici, agnostici, atei in disordine sparso - eravamo pronti trent’anni fa dd accogliere senza soverchi mugugni un papa nero? Diciamo la verità: allorché, accalcati in Piazza San Pietro o incollati agli schermi televisivi, ci cadde addosso dai balconi apostolici quell’esotico nome, Karol Wojtyla, un pensierino sulla novità di un Santo Padre di colore lo facemmo, con tutti i dubbi e le perplessità del caso. Immediatamente sciolti dalla comparsa di un uomo che veniva da lontano, sì, ma non da tanto lontano, e che subito ci colpì con la sua immagine «robustosa e forte», per usare gli aggettivi con cui nel Cantico delle Creature San Francesco battezza Frate Foco. Insomma, la comunicazione «verbale», che non poteva essere diversa perché quelli erano nome e cognome del nuovo Papa, ci aveva fuorviato; la comunicazione «fisi-

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ca» ci conquistava con la sua massiccia evidenza. Da allora (16 ottobre 1978) il volto e la parola, il messaggio e la corporeità, la carne e l’anima, i gesti e la voce di Giovanni Paolo sarebbero stati un’unica cosa. E davvero qualcosa che non si era mai visto né sentito.

Ecco, il bel libro di Elisabetta Lo Iacono (Se mi sbaglio mi corrigerete. «La rivoluzione comunicativa di Giovanni Paolo II», Edizioni OCD, pp. 227, euro 15), ricostruisce questo: parole e gesti di un pontificato straordinario. Lo fa laicamente, con l’impegno di studio e di documentazione che deve caratterizzare una ricerca scientifica e specialistica, e quindi con l’intento di una ricostruzione obbiettiva: e a questo risultato contribuiscono anche le pagine dedicate alle testimonianze. Tanto più valide quanto più ci consentono di confrontare diversi punti di vista comunque significativi (da quello del cardinale di Cracovia Stanislao Dziwisz a quello del direttore di «Radio Radicale» Massimo Bordin, da quello di Monsignor Renato Boccardo, Segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, a quello di Giancarlo Bosetti, fondatore e direttore di «Reset», nonché docente di Giornalismo politico all’Università La Sapienza di Roma: e ci limitiamo ad alcuni esempi). Ma ancor più valide perché ci confermano, nella pluralità degli accenti, l’unicità di un Uomo e di un Papa. Attenzione, però: si tratta di una «unicità» paradossale, dunque davvero conforme al messaggio cristiano, perché chiama,

include, abbraccia. Insomma, «comunica». Ed ha ragione Elisabetta Lo Iacono quando svolge il cartesiano «cogito ergo sum» in un moderno «communico ergo sum», così come, con ragione, subito ci ricorda che questo comunicare è tutt’altro che «umano, troppo umano» e figlio dello spirito dei tempi, ma rinvia all’invito che Cristo volse agli apostoli per chiamarli alla catechesi: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura».

È questo che fa Giovanni Paolo II, papa massmediatico, certo, e davvero grande comunicatore in vita e in morte, con lo spettacolo della piazza in attesa e in preghiera, che ne piange la scomparsa e lo vuole santo subito: va in tutto il mondo a predicare il Vangelo. Perché quel comunicare, che può contenere corruttrici e corrosive valenze babeliche (e il Santo Padre era ben consapevole di quanto il linguaggio massmediatico possa contribuire allo sfaldamento della coscienza cristiana), deve essere restituito al suo significato originario, che rinvia alla «comunione» e alla rifondazione della «comunità» cristiana. Una societas universale, che il Papa deve vedere, toccare, abbracciare, di viaggio in viaggio; ogni volta baciando, al suo arrivo, la terra di ogni Paese, che è sempre «tutta» la terra. A questa umanità, ai potenti come agli umili, ai politici come ai Papaboys, Giovanni Paolo II parla con parole di cui la Lo Iacono ricostruisce la portata rivoluzionaria, a partire da quel «Se mi sbaglio mi corigerete» che inau-

La parabola di un Pontificato che ha cambiato radicalmente il modo di far arrivare la parola di Dio a tutti i fedeli del mondo

gura il suo pontificato. Ed è un appello disarmante di simpatica, semplicità/complicità e, a un tempo, un richiamo fraterno: avete bisogno di me, ma anch’io ho bisogno di voi nel dirigere la barca di Pietro. Così come, in questa dimensione familiare, il potente monito «Non abbiate paura», volto ai dubbiosi, agli esitanti, ai cristianucci (compresi tanti preti) che quasi si vergognano di Cristo e ne annacquano il Verbo (e cioè la Verità che è «una») nel moralismo filantropico e nel relativismo, ha una forza tutta paterna: il Papa/Papà è accanto a te, non ti abbandona, non ti lascia da solo ad affermare la Verità cristiana, più che mai scomoda, più che mai difficile. Il Papa che utilizza il linguaggio del tempo (e molte sono le pagine dedicate dalla Lo Iacono agli aggiornamenti da lui introdotti in Vaticano per metterlo al passo con le novità tecnologiche) non si arrende alla logica del tempo. Il Papa innovatore fa propria l’«imitazione di Cristo» nelle vicende dello splendore e del dolore: ed è così che La Loiacono lo fotografa, dritto e forte nella sua vigorosa maturità atletica, poi piegato e piagato, sempre indomabile. È il Papa giovane tra i giovani, che sfugge ai controlli burocratici, che stupisce con i suoi fuori programma, che nuota, scia, si arrampica su impervie strade montane, va in giro per il mondo, si immerge nelle folle plaudenti, scherza con i ragazzi che inneggiano a lui, si confronta faccia a faccia con i Potenti (così spesso prepotenti), richiama ai fondamenti della Dottrina con le sue encicliche, perdona e chiede perdono, come sanno fare solo i Re e i Santi. Ed è il Papa di ogni Via Crucis: dalla Pasqua di Passione al Parkinson, un’icona di carne, che comunica nella Comunione.


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il personaggio

Ritratto di Ermanno Olmi, maestro defilato, sempre attento agli ultimi e agli ”anomini”, al quale la Biennale assegna un Leone d’Oro alla carriera

L’umanità? È un film di Priscilla Del Ninno

na volta, in poche righe racchiuse in una lettera pubblica, sintetizzò con l’icasticità e l’intensità che gli sono proprie il suo ideale estetico: «Il cinema dei furbi non mi interessa. Al limite – ha poi aggiunto – non mi interesserebbe il cinema se questo in qualche modo mi impedisse di essere quello che sono». Ecco, questo è Ermanno Olmi, e quello emblematicamente racchiuso in questo sapido giro di parole è il suo concetto di settima arte: un’idea d’ispirazione intimista da sostenere con il peso della verità, da realizzare con l’osservazione del reale e da rendere con l’emozione poetica. Per questo la 65ª edizione della Mostra di Venezia, su proposta del direttore Marco Muller, accolta dal cda della Biennale presieduto da Paolo Baratta, ha deciso di attribuirgli l’ambito Leone d’oro alla carriera, che gli sarà consegnato nella Sala Grande del Palazzo del Cinema del Lido venerdì prossimo, alla vigilia della chiusura della rassegna. E per questo, con le sue storie semplici e disadorne, di persone comuni alle prese con difficoltà quotidiane, Olmi – già vincitore in laguna di un Leone d’Argento nel 1987 con Lunga vita alla signora, e di un Leone d’oro l’anno seguente con La leggenda del santo bevitore - si è sempre tenuto a debita distanza dal cinema commerciale, svincolandosi al tempo stesso, anche quando lo spunto e le intenzioni sono più documentaristiche che affabulatorie, dalla pura e semplice informazione asettica, per puntare i riflettori sui problemi dell’uomo, sull’analisi dei suoi sentimenti.

U

da quell’estetica della semplicità che ha marchiato a caratteri di fuoco il suo cammino autoriale - gli elementi caratteristici della sua personalità registica: l’uso della camera in funzione non di scene preordinate ma delle evoluzioni, più o

chiodi, ispirazione morale e necessità sociologica, riflessione storica e tentazione allegorica; itinerario creativo e percorso spirituale.

Per questo, allora, al di là delle valutazioni critiche o

degli zoccoli, il suo lavoro più compatto e armonioso, che mescola fascinazioni per l’esistente e incanto del poema bucolico. E se Il Posto, elogiato dalla critica internazionale, fu premiato alla Mostra di Venezia (1961); L’albero degli zocincoronato coli, con la Palma del migliore al Festival di Cannes (1978), e che avrebbe dato al suo regista la soddisfazione di un ampio successo popolare, ha appagato il bisogno dell’autore (nato a Bergamo nel ’31) di ritrovare nella memoria dell’infanzia il mondo contadino delle proprie origini, riscoprendo, in quel microcosmo, i valori autentici e il senso dell’esistenza, la comunione con l’eterno che passa anche nel rapporto con la natura, il legame con il Divino che regola la vita e la morte. Il film è la storia, ai limiti dell’idealizzazione, di quattro famiglie di agricoltori bergamaschi dall’autunno del 1897 al maggio del 1898: tra di loro si distingue, esemplare, quella di Batistì, che per rifare gli zoccoli di legno al figlio, decide di tagliare un giovane pioppo: scoperto dal padrone, è costretto a lasciare la cascina. Un capolavoro epico in cui, malgrado i rimproveri per un’eccessiva impostazione lirica del mondo contadino e una decadente stilizzazione del contesto sociale, ancora oggi, a distanza siderale da quegli anni e dalla realtà di quel mondo, si riesce a cogliere la forza espressiva di un carattere identitario umano. Enucleando nella forma più compiuta quello che è il fine essenziale del suo cinema: utilizzare la macchina da presa, i volti, i luoghi, le storie, come amplificatori dell’umanità propria e degli altri, indipendentemente dalle scelte estetiche adottate di volta in volta, al servizio dei volti dei personaggi (tratti emblematici della realtà circostante), delle loro azioni (depositarie di valori assoluti) e dei paesaggi (panorami simbolici delle condizio-

«Il cinema dei furbi non mi interessa»: con queste parole il grande regista ha spiegato la sua personale galleria di memorie e personaggi, da «L’albero degli zoccoli» al recente «Centochiodi»

E sempre chiarendo - fin dalle prime inquadrature dei suoi lavori degli esordi d’ispirazione sociale e ribadendo fino alle sequenze delle sue ultime opere d’intento più ambiziosamente metaforico e stilisticamente affrancate comunque

meno impercettibili e naturali, degli esseri umani e delle situazioni che li coinvolgono; l’attenzione quasi meticolosa per le componenti sonore; il rigore nell’uso del montaggio che completa artisticamente le riprese. Alternando, da Il posto a Lunga vita alla Signora, da L’albero degli zoccoli a Cento-

delle fortune al botteghino, il titolo che segna il punto d’arrivo di una ricerca iniziata da Olmi con Il posto, tra gli uffici della Edisonvolta – dove era stato assunto da giovanissimo, una volta interrotti gli studi al primo anno di liceo scientifico – è L’albero

ni di vita delle protagonisti delle storie da narrare).

Facendo sua la lezione del neorealismo, specie di segno rosselliniano, e avendo metabolizzato i principi stilistici di autori come Bresson, Dreyer, Resnais, Bergman, Olmi è stato pronto nel rielaborarne i precetti di base in funzione di una sua poetica, mirata a sperimentare prima e calibrare poi nuove modalità di destrutturazione e ricomposizione del discorso filmico, muovendosi sulla sottile linea di confine che separa documentario e finzione, giocando sempre sul crinale che alterna cinematograficamente dimensione realistica e atmosfera allegorica. Facendo perno sul ricordo d’infanzia e sul vissuto personale, declinati sempre al racconto di storie semplici quanto esistenzialmente complesse, di


il personaggio Accanto, Raz Degan in un’inquadratura di «Centochiodi». Sotto: a destra, Rutger Hauer ne «La leggenda del santo bevitore»; a sinistra, una scena de «L’albero degli zoccoli», forse il film di maggior successo di Ermanno Olmi (nella pagina accanto). Venerdì prossimo, la 65ª Mostra del cinema di Venezia renderà omaggio al grande regista consegnandogli il Leone d’oro alla carriera

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stato a dir poco autentico. Da quando, negli anni dal 1953 al 1961, realizza una quarantina di documentari, tra i quali La diga del ghiacciaio, Tre fili fino a Milano, e Un metro lungo cinque, tanto per citarne qualcuno tra i più significativi e noti, fino al lungometraggio d’esordio, datato 1959 e intitolato Il tempo si è fermato, (storia di un’amicizia tra un ragazzo di città e l’anziano guardiano di una diga nell’alta valle dell’Adamello), girato in presa diretta e con attori non professionisti. Ma è il 1961 l’anno della svolta: Olmi gira Il posto, un film sulle aspirazioni e le difficoltà di due ragazzi di Milano alle prese con il loro primo impiego. Quella pellicola, che vanta subito uno stile diretto, asciutto, che ricorre per esigenza di frugalità espressiva all’uso della macchina a mano, approderà proprio alla Mostra di Venezia di quell’anno, che gli attribuirà il Premio della Critica e il Premio Ocic, a cui faranno seguito di lì a breve il David di Donatello per la regia e numerosi riconoscimenti di altri festival internazionali. Il decennio dai Sessanta agli anni Settanta Olmi lo divide tra una serie di documentari ispirati e dedicati al mondo del lavoro e un ciclo di inchieste filmate realizzate per la tv in collaborazione con il giornalista e scrittore Corrado Stajano, dedicate alla storia italiana del dopoguerra. Tutte tappe di un cammino intellettuale e artigianale al tempo stesso che evidenziano, nella più assoluta estraneità del cineasta a compromessi con il mercato, la sua solitaria riflessione sui rapporti umani e sul valore delle dinamiche affettive che dovrebbero disciplinarli. Un percorso morale e professionale che, come già anticipato, culminerà proprio nella realizzazione nel 1978 dell’Albero degli zoccoli, il suo titolo più celebre, non a caso vincitore oltre che della Palma d’oro di Cannes, del Premio Cesar per il miglior titolo straniero, del David di Donatello per il miglior film e di ben quattro Nastri d’argento. Quella pellicola, del resto, riconoscimenti a parte, influenzerà profondamente tutta la sua filmografia successiva, a partire – per esempio - da Camminacammina (1983), incentrato sull’episodio evangelico dei Re Magi.

sure diverse, ricorre a speculazioni più o meno dirette sull’argomento: valga, uno su tutti, il caso di Genesi. La creazione e il diluvio, primo capitolo di un progetto di trasposizione televisiva della Bibbia, peraltro presentato nel ‘94 fuori concorso sempre al Lido. Prima ancora, però, esattamente nell’87, sempre a Venezia, era stata la volta di Lunga vita alla Signora, racconto di una difficile educazione alla vita, premiato con il Leone d’Argento da una giuria presieduta da Sabine Azéma. Mentre l’anno seguente Olmi dirige La leggenda del santo bevitore, grazie al quale, ancora una volta, il parterre di giurati della laguna capitanati da Sergio Leone gli conferisce il Leone d’oro e il Premio Fipresci, a cui seguiranno poi anche tre David di Donatello. Il film, tratto fedelmente dall’omonimo racconto di Joseph Roth, vanta una delle rare occasioni in cui il cast è nutrito di attori professionisti, a partire da Rutger Hauer e Anthony Quayle.

E sempre in tema di ispirazioni letterarie, nel 1993 Olmi dirige Paolo Villaggio ne Il segreto del bosco vecchio, da un racconto di Buzpellicola zati, ancora una volta presente al Festival veneziano, anche se fuori Nel concorso. 2001 poi, Olmi tira fuori dal suo incredibile cilindro di celluloide un film come Il mestiere delle armi, ambientato nel Cinquecento e incentrato sugli ultimi giorni di vita del condottiero Giovanni dalle Bande Nere, che gli offre la possibilità di una riflessione su un mondo violento che prende coscienza della sua ferocia: il film riscuote nove David di Donatello su nove candidature. Due anni dopo il regista prosegue sullo stesso sentiero creativo con Cantando dietro i paraventi, forte di un percorso a ritroso nel tempo che sposa idealmente passato e azioni presenti. Oggi, come detto, dopo l’impegno di Centochiodi, è rinnovata la promessa di tornare esclusivamente al documentario, anche perché, uomo di frontiera e artista d’elezione, Olmi vuole continuare un suo personalissimo cammino di ricerca con cui puntare all’ambizioso progetto di conoscere e capire gli uomini. Anche per questo il suo cinema, fiction o documento che sia, azzera le distanze tra lo schermo e la vita, tra riflessione e racconto. E questa, forse, è la sua magia più grande…

Nel suo futuro, adesso, c’è il ritorno al documentario, per conoscere e capire gli uomini

protagonisti emarginati, Olmi ha saputo miscelare pubblico e privato raccontando, come pochi altri autori della nostra scuola, le evoluzioni sociali e il cammino etico di un Paese in anni di difficili trasformazioni antropologiche e civili, di un’Italia che, mentre lui passava dal lavoro all’ufficio approvvigionamenti della Edisonvolta agli esordi nella fabbrica del sogno, affrontava il salto dalla civiltà contadina all’economia industriale. E su questo duplice binario narrativo, il regista che la Mostra veneziana incoronerà con il Leone d’oro alla carriera, ha consegnato all’immaginario collettivo un importante memoria da condividere, in cui riecheggiano, tra spunti concreti e riflessioni simboliche, valori, saperi e conoscenze fondanti che altrimenti sarebbero andati perduti. Per questo oggi, forse deluso, forse

disorientato da un cambiamento continuo che non riesce più a seguire e magari a condividere, Olmi sceglie di invertire la rotta della sua ispirazione cinefila e di tornare esclusivamente al documentario: nel 2007, infatti, dopo l’uscita di Centochiodi - sorta di summa della sua poetica e dichiarazione d’amore autoriale per molti suoi amici e colleghi, da Pasolini a Piavoli, da Bergman a Kiarostami - Olmi ha scelto, in questa sua ideale parabola creativa, il ritorno alla ricerca documentaristica degli esordi. Supportando la sua decisione con dichiarazioni d’intenti che più che sulla stanchezza artistica ci dicono sulla disillusione dell’uomo. «Oggi – dichiarava infatti recentemente il cineasta – quando più che mai tutto prende un carattere di violenza, mi riconosco sempre di più negli “anonimi”, e inten-

do continuare a essere una voce nel dialogo generale. Una voce che nel tono e nella misura (e nella consapevolezza dei miei limiti) si pone non tra le persone colte che insegnano e propongono soluzioni, ma tra gli uomini che cercano una risposta. Oggi il cinema è alla portata tutti – aggiungeva poi – ma non tutti riescono a essere se stessi, a proporre con semplicità quello che sanno, a raccontare quello che costituisce la ragione stessa del discorso che si vuole tenere. Si rischia così di essere banali? La banalità mi attrae. Credo più al mistero della banalità che al clamore dei discorsi ufficiali. Quel che è autentico non è mai veramente banale»…

E di sicuro un regista come lui non ha mai corso il rischio di risultare banale, così come il suo cinema decisamente è sempre

L’interesse per il sacro e la riflessione per le contaminazioni tra divino e terreno, d’altro canto, permeano il lavoro d’autore di Olmi che, in forma e mi-


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Strade più sicure con i test antidroga: basteranno? BENE I TEST, MA IL VERO PROBLEMA È LA DROGA Vivo a Verona, dove si svolge la sperimentazione a livello nazionale dei test antidroga e antialcol sulle strade. I risultati sono ormai di dominio pubblico: tra gli 80 sottoposti ai controlli, 37 risultano positivi ai test. Undici sono risultati positivi alla droga, 17 all’alcol e 9 a tutte e due. L’efficacia di questi controlli a tappeto ci consegna la radiografia esatta di quella che è diventata la cultura automobilistica italiana: la corsa al volante è ormai la valvola di sfogo di festini etilici e sovraccarichi chimici, l’ideale e brillante prosecuzione di notti brave spesso pagate con la vita propria, e cosa ben più grave, quella altrui. Che i controlli vengano moltiplicati è senz’altro un bene, sebbene la misura di sicurezza mi paia tardiva, ma il vero dramma è che nessun test o ampliamento del monitoraggio sarà efficace nel breve termine al fine di scoraggiare la cultura dell’emozione endovena. Del sorriso indotto, della sicurezza artificiale, dell’aggressività ormonale e della socialità fittizia, ridotta a una comunanza di pochi istanti in un gabinetto in cui spartirsi stupefacenti. Assicurare maggiori probabilità di sopravvivenza nelle strade è per qualunque governo un dovere. Ma la vera lungimiranza, e il senso del bene comune, dove portare tut-

ti noi a interrogarci sul perchè, oggi come mai prima, un imponderabile abisso esistenziale si sia impadronito della mente di questi giovani.

Roberto Fumagalli Verona

FERMATE GLI OPEN BAR E GLI HAPPY HOUR Atteso che sia del tutto impossibile criticare una misura come quella del rafforzamento dei controlli a vantaggio delle maggiori probabilità di incolumità di quelli che affrontano un viaggio in auto magari per puri motivi lavorativi, va detto che il problema delle stragi stradali non va affrontato quando i bolidi impazziti sono già in corsa e spesso avviati al loro turpe destino, ma prima. Quando le auto sono ancora ferme, e c’è la probabilità che il guidatore possa mettere in moto senza essere stordito dai fumi dell’alcool o in preda all’agonia chimica. Intendo dire che serve il coraggio di debellare una volta per tutte la scriteriata vendita di alcolici nei locali danzerecci e affini. Occorrono dunque limiti orari da fissare entro un paio d’ore dal rientro a casa, e cancellare una volta per tutte iniziative redditizie quanto deleterie quali gli open bar, gli happy hour e gli altri allettanti ammennicoli commerciali con cui gli esercenti si dilettano a fare cassa puntando sulla bramosia di alienazione dei giovani.

Alessandro Verdelli Cremona

LA DOMANDA DI DOMANI

Scontri allo stadio: trasferte a rischio per gli ultrà. Che cosa ne pensate?

A FARI SPENTI NELLA NOTTE Guidare a fare spenti nella notte? No, non è per niente difficile morire, per rispondere a Mogol. Ma quello che ai tempi di Battisti era la sofferta altalena esistenziale di uno spirito giovanilistico che aveva bisogno di misurarsi con il limite intravedendolo con un verso, è diventata la cultura della furia a due millimetri dal guard rail, della serpentina che guizza tra gli incunaboli tortuosi della morte, della disfida contro il codice stradale in nome di ideali edonistici che non contengono alcuna sostanza poetica, e mille, omicide, in circolo nel sangue

Rispondete con una email a lettere@liberal.it

IL BUON ESEMPIO DELL’ECONOMIA PUGLIESE La Puglia offre un’immagine dai toni forti e contrastanti. Dall’ultimo rapporto Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno, si evince che nel Sud esistono ancora problemi più volte denunciati che impediscono il rilancio di questi territori. Mancano scelte di ampio respiro, grandi opere e, pertanto la Svimez sollecita la ridefinizione di politiche per le regioni meridionali attraverso la costruzione di importanti infrastrutture, abbandonando la logica dei piccoli interventi locali. Il tasso di crescita medio dell’economia meridionale nell’ultimo settennio è stato del 2 per cento: meno della metà di quello della Spagna, poco più di un terzo di quello della Irlanda e meno di un terzo di quello della Grecia. Per quanto riguarda la Puglia, ci sono alcuni dati interessanti che riguardano il Pil; il prodotto interno lordo pugliese nel biennio 20062007 è cresciuto mediamente del 2 per cento l’anno ed è un valore pari a tre volte quello registrato nelle altre regioni del Sud ed è superiore a quello del Cen-

Aldo Morandini Roma

TUTTI GIÙ PER TERRA Il colombiano Camillo Villegas studia il green della diciottesima buca, durante il terzo appuntamento del torneo di golf organizzato dalla Deutsche Bank

ANCHE PER SARAH PALIN SCATTA LA TRAPPOLA DEI MASS MEDIA Egregio Direttore, Spuntano online video sul passato della vice di McCain: giornalista sportiva in una tv locale. La clip è datata 1988 e vede la governatrice dell’Alaska alle prese con il notiziario di KTUU-TV. Sarò malizioso, ma ho il sospetto che si voglia sminuire il suo spessore politico. E infatti basti pensare al rilievo che è stato dato al suo passato da reginetta di bellezza mancata all’indomani dell’investitura ufficiale da parte del candidato repubblicano alla presidenza. Stesso metodo lo ricordo per l’ex presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan ( chiamato ”attore di secondo piano” ): del fatto che fosse un ottimo Governatore della California niente! Poi sappia-

dai circoli liberal

tro Nord. Un altro indicatore dello stato di salute della economia pugliese è dato dal tasso di disoccupazione che nel nostro territorio si attesta intorno all’11,2 per cento, mentre in tutto il Sud d’Italia è pari al 14. Vale la pena di citare un esempio a testimonianza della lucida analisi dello Svimez: gli aeroporti pugliesi. Attraverso significativi investimenti relativi alle infrastrutture del trasporto aereo nei principali aeroporti pugliesi si è potuto innanzitutto fare sistema, e, in secondo luogo, è stata portata avanti una politica nel settore turistico che sembra dare i primi frutti. Si dice, infatti, che la Puglia vola alto grazie anche al basso costo. La strategia delle compagnie low cost, che puntano su nuove rotte e scali alternativi, traina la crescita dei piccoli aeroporti italiani. Alcuni dati per sostenere la tesi della crescita pugliese: nel 2007 nei principali scali pugliesi, Bari e Brindisi, il traffico passeggeri è aumentato del 10 per cento e ciò è dovuto sia all’incremento dei passeggeri sui voli internazionali, sia al crescente traffico re-

mo come è finita, ricevendo due mandati come Presidente degli Usa e risanando i disastri del democratico Jimmy Carter. Quando avremo i filmati sul nonno di Obama che corre scalzo per il Kenia? Forse non ci sarà la volontà di scendere a tanto e se anche ....sfido un canale italiano a farli vedere! Mass media italiani, tutti pazzi per Obama! Fatto sta che il filmato su Sarah Palin, vice di McCain, circola liberamente con tempestiva abilità mediatica, diminuendone le consolidate capacità politiche e decisionali a vantaggio di video dall’intento canzonatorio che ne minimizzano la statura professionale e si orientano verso la facile burletta dei repertori d’archivio. Grazie per l’attenzione.

Paolino Di Licheppo Teramo

lativo ai vettori a basso costo. Il turismo è un settore trainante che interessa 15mila imprese pugliesi e insieme all’industria e all’agricoltura rappresenta un settore economico che può far crescere il territorio in termini di occupazione e di sviluppo. Altre azioni nella direzione dell’abbandono dei piccoli interventi locali per privilegiare scelte di respiro più ampio, arrivano dall’assessorato regionale al turismo della nostra regione, poiché ha ritenuto strategico avviare un processo di collaborazione tra Regione e Comuni per la valorizzazione del portale turistico www.viaggiareinpuglia.it. La Puglia, insieme alle altre aree meridionali, ha dunque le potenzialità per far crescere l’economia dei rispettivi territori, ma ritornando al rapporto Svimez, è necessario, come hanno fatto altri Paesi dell’Ue, concentrare gli interventi nelle aree deboli e non ritenere, come invece avviene in Italia, che il potenziale di sviluppo del Sud sia sentito come una zavorra. Francesco Facchini CLUB LIBERAL LEVANTE BARI.


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog VLADIMIR LUXURIA: DA MONTECITORIO ALL’HONDURAS

Saperti paziente nel dolore mi dà forza Carissima mamma, ho pensato molto a te in questi giorni. Ho pensato ai nuovi dolori che stavo per darti, alla tua età e dopo tutte le sofferenze che hai passato. Occorre che tu sia forte, nonostante tutto, come sono forte io e che mi perdoni con tutta la tenerezza del tuo immenso amore e della tua bontà. Saperti forte e paziente nella sofferenza sarà un motivo di forza anche per me: pensaci e quando mi scriverai all’indirizzo che ti manderò rassicurami. Io sono tranquillo e sereno. Moralmente ero preparato a tutto. Cercherò di superare anche fisicamente le difficoltà che possono attendermi e di rimanere in equilibrio. Tu conosci il mio carattere e sai che c’è sempre una punta di allegro umorismo nel suo fondo: ciò mi aiuterà a vivere. Vogliatemi sempre bene lo stesso e ricordatevi di me. Vi bacio tutti. E a te, cara mamma, un abbraccio e una infinità di baci. Antonio Gramsci alla madre

LA SOLUZIONE DEL NUMERO PRECEDENTE

A chi le profetizzava un luminoso e illuminante destino politico di primo piano, Vladimir Luxuria ha risposto con i fatti. In barba alle magnifiche sorti e progressive e al tutoraggio dei lavoratori, la rifondarola ha fatto le valigie ed è partita per l’Isola dei famosi, dove i gabinetti abbondano per tutti, e i pensieri latitano

Sandro Cerretano Bari

L’INSALATA DI RISO CHIAMATA PD Egregio Direttore, scrive Mario Giordano, direttore de Il Giornale: i maîtres à penser di sinistra hanno «un vizio genetico, il peccato originale di chi è stato avvolto fin da piccolo nel fasciatoio della militanza di sinistra e si scopre liberale per caso». Che altro dire, aggiungere, commentare? Una frase del genere la farei diventare la striscia blu del quotidiano, come quella rossa dell’Unità: però sempre la stessa, ogni mattina, fino alla nascita di un vero partito democratico. Il Pd di oggi è come l’insalata di riso, che, a seconda i giorni e la cuoca, mostra in superficie tracce di peperoni rossi, macchie di carote rosa e qualche pezzetto di patata bianca, ingiallita e spappolata. Il polpettone è altra cosa, ha anche la carne, macinata, insieme alla mollica di pane!

rammal@libero.it Pescara

GUSTAV HA GIÀ COLPITO NEL SILENZIO DEI MEDIA

Tutti siamo costretti, per sopportare la realtà, a tener viva in noi qualche piccola follia MARCEL PROUST

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

PUNTURE Fenomeno Obama. Terremoto Obama. Ciclone Obama. A furia di evocare disastri, è arrivato per davvero l’uragano

Giancristiano Desiderio

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

Informo chi non lo sapesse, cioè quasi tutti e non per colpa loro, che l’uragano Gustav ha già colpito la Repubblica domenicana, Haiti, la Giamaica e Cuba facendo 70 morti e migliaia di feriti. L’America ovviamente non ne ha dato notizia

Rita Maccoppi Lecce

PANEBIANCO E I TELEFONI BIANCHI Leggevo l’altro giorno sul magazine del Corriere un accoraAlex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

to intervento di Angelo Panebianco contro una specie di deriva modaiola, che avrebbe prodotto in Italia film come Gomorra e Il Divo. L’editorialista li considera in qualche maniera film scaltri, che compiacciono gli umori internazionali orientati verso un’immagine del nostro Paese come ricettacolo di vizi, mala politica e malaffare. In realtà il cinema italiano era da tempo in stato vegetativo perchè non prestava, se non in opere minori assolutamente invisibili alcuna attenzione alla realtà e alle sue pie-

ACCADDE OGGI

2 settembre 1752 - Il Regno Unito adotta il Calendario Gregoriano, quasi due secoli dopo la maggior parte dell’Europa occidentale 1870 - Guerra FrancoPrussiana: Battaglia di Sedan - Le forze prussiane sconfiggono l’esercito francese e prendono prigioniero l’imperatore Napoleone III di Francia e 100.000 soldati 1969 - Il primo bancomat degli Stati Uniti viene installato a Rockville Centre (New York) 1980 - Scompaiono a Beirut in Libano i due giornalisti italiani Italo Toni e Graziella De Palo 1987 - Inizia a Mosca, il processo del diciannovenne pilota tedesco Mathias Rust, che atterrò con il suo Cessna sulla Piazza Rossa nel maggio del 1987 1917 -Nasce Armando Trovajoli, musicista e compositore italiano 1938 - Giuliano Gemma, attore cinematografico italiano 1948 - Regis Debray, scrittore e giornalista francese 1963 - Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore italiano

ghe. Vigeva da un tempo una produzione convulsiva di fiction per il grande schermo, edulcorate e appiattite su questioni di tinello e scialbe risate da avanspettacolo, detriti ormai decomposti e nauseabondi dell’eredità della commedia all’italiana. Insomma, facevamo film che ricordavano quelli cosiddetti dei Telefoni bianchi. E ora che qualcuno ha avuto il coraggio di affondare il colpo su questa realtà martoriata e corrotta che è l’Italia, qualcuno predica ancora di lavare i panni sporchi in casa. Per l’operazione detergente, televisione e produzioni di telefilm innocui sono più che sufficienti, e invece occorre che nel cinema torni l’impegno civile, che non sia necessariamente inteso come barbosa opera di denuncia priva di ironia o godibilità, ma come lavoro di riflessione sull’attualità. I tempi per l’analisi sono di nuovo maturi a dispetto di chi ama sopire le coscienze, e dunque Panebianco faccia autocritica.

Gregorio Montini Spoleto

VOTO AGLI IMMIGRATI: LA FURBATA DI VELTRONI Leggo che il leader del Pd stia incalzando il presidente della Camera Gianfranco Fini affinchè conceda il voto agli immigrati. Il tentativo, di bassa lega e di scarso ingegno, è quello di cercare di mettere in difficoltà l’aennino e l’esecutivo, di suscitare una polemichetta sterile sulla maniera in cui il Governo tratta gli immigrati, e di sottrarre così consensi calvalcando l’onda bellica del governo cattivo che non dà il voto ai buoni immigrati. Ancora una volta si tenta, facendo leva su una dichiarazione di Fini in cui si palesava la possibilità di concedere il voto agli immigrati, di mettere in cattiva luce il governo che pur bene sta figurando nel cercare di ripristinare la legalità e arginare sbarchi e accoglienze che vanno al di là delle nostre capacità ricettive.

Adriano Panè Messina

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PAGINAVENTIQUATTRO Cartolina da Venezia. Applausi e qualche dubbio per i film italiani

Avati superstar mentre il Lido si commuove per L’AMAZZONIA di Alessandro Boschi

l direttore della 65ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica Marco Muller, sabato scorso ha sentito il dovere di scendere in campo per difendere con una vibrante dichiarazione un festival sottoposto ormai da qualche giorno ai refoli delle polemiche. Va detto che Muller ha ragione da vendere, nel senso che sono state molte le contingenze che hanno impedito la compilazione di un programma più ricco: in primo luogo lo sciopero degli sceneggiatori Usa, che ha comportato il conseguente slittamento nel calendario delle uscite.Tutto vero. Resta il fatto che quest’anno al festival c’è meno “roba”, le file non sono così estenuanti (anche quelle sono un termometro) e non c’è molto su cui discutere e litigare. Il «corpo» del festival è meno consistente, ciccia o muscolo che sia. Ma magari con l’arrivo degli italiani qualcosa cambierà, si diceva. Vediamo. Sabato abbiamo assistito a Un giorno perfetto, il film diretto da Ferzan Ozpetek, tratto dall’omoni-

I

mo romanzo di Melania Mazzucco, con Valerio Mastandrea, Isabella Ferrari e Stefania Sandrelli. È la storia, dice la sinossi contenuta nel press book, «di una feroce storia d’amore». In realtà, al di là dell’ossimoro incombente, a noi pare la storia di un’ossessione che sfocia in tragedia. Una storia dalle tinte forti, che non è stata accolta benissimo. Bravo Mastandrea e pure la Ferrari, che però non riesce nella sostanza ad avere quegli eccessi quasi sgradevoli che il personaggio richiederebbe, e se il trucco e i costumi non ti aiutano, il compito diventa improbo. L’improbabilità di certi dialoghi, l’inconsistenza di alcuni personaggi “appesi” solo a se stessi non aiutano certo, ma ciò che non funziona nel film è che nonostante la for-

gliori film, tra gli ultimi, del regista bolognese. Anche questa è una storia di follia, ma la deriva qui è quella della follia pura, parto della mente disturbata della Giovanna del titolo, la sempre più brava Alba Rorwacher. Il film denota una linearità narrativa che mantiene salda fino al termine, eccezione fatta per un paio di evitabilissime scene. Il che non significa superficialità, mancanza di approfondimento, anzi. Avati centra la misura del film, la sua calibratura. Mantiene le redini della storia che conduce in porto con poche sbavature. Inoltre, e questa è davvero una bella sorpresa, riesce a far recitare Ezio Greggio (il più bravo del mazzo?), di solito schiavo di ammiccamenti tipicamente televisivi. Come pure Francesca Neri, che appare liberata dalle panie imposte da un aspetto così elegante. Straordinario Silvio Orlando, non solo papà ma anche mamma di Giovanna, intento nell’affannosa opera rattoppatrice dell’irrisolto rapporto madre figlia. Non si possono fare raffronti, ma siccome qui non si fa altro, diciamo che Avati batte Ozpetek due a zero.

Una grande prova d’attore per Silvio Orlando nel «Papà di Giovanna». Debutto contestato per «Un giorno perfetto» di Ferzan Ozpetek. Invece Bechis piace soprattutto al presidente della giuria, Wim Wenders za d’urto della storia, questa non arriva mai alla pancia, né al cuore né alla testa. Si ha la sensazione che la pellicola venga cosparsa da pennellate ad effetto senza che queste contribuiscano alla realizzazione di un bel quadro.

Piuttosto scoraggiati siamo poi andati in Sala Perla per Il papà di Giovanna, nuova fatica di Pupi Avati. Che invece risulterà poi uno dei mi-

Terzo film italiano di fila quello di Marco Bechis, Birdwatchers- La terra degli uomini rossi. Protagonisti gli indios GuaraniKaiowà, che lottano per riappropriarsi delle terre occupate. La storia procede a singhiozzo alternando accelerazioni a momenti di stasi completa. Bechis ci mostra quello che in altri contesti e soprattutto culture si sarebbe chiamato “il male di vivere”. Che qui si manifesta con suicidi, ubriacature, complicate integrazioni generazionali ed eredità prodigiose difficili da tramandare. C’è anche Claudio Santamaria e francamente non se ne capisce il perché, relegato com’è nell’ingrato ruolo di “spaventaindios” che non spaventa nessuno. Pare però, e questo tutto sommato ci fa piacere, che sia il film preferito dal Presidente della giuria Wim Wenders. E se fosse la sorpresa? In fondo la concorrenza per il Leone d’oro finora non appare terribile.


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