2008_03_07

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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Carte Mogadiscio 1948 Caccia agli italiani

di e h c a n cro di Ferdinando Adornato

Berlusconi e Veltroni non l’hanno ancora capito ma…

IL LEADERISMO È FINITO

Umberto Zanotti Bianco pagina 12 Andrea Ungari

classi dirigenti FABIO CERCHIAI: «LA POLITICA FA SOLO MARKETING»

voto francese IL CENTRO METTE PAURA A SARKOZY

Una cosa è rispondere al bisogno di identificarsi in una forte leadership politica. Altra cosa è diffondere l’illusione (come è avvenuto in questi anni) che il Grande Cambiamento possa avvenire affidandosi alla bacchetta magica di una sola persona. Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma

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Enrico Cisnetto

Michele Marchi Moreno Marinozzi

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religione

L’Italia di oggi, soprattutto quella dei più giovani, crede nel gioco di squadra, nei progetti fondati sui valori, nella concretezza di una classe dirigente coesa. La rivoluzione promessa dalla Seconda Repubblica è fallita. Ne vogliamo prendere atto, o continuiamo a raccontare favole?

L’America si scopre cattolica Joseph Bottum

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arte SANT’AGATA UN ALTRO MODO DI ESSERE DONNA Maria Pinzuti Ansolini pagina 21

alle pagine 2

e

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ISSN 1827-8817 80307

9 771827 881004

VENERDÌ 7 MARZO 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

41 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


pagina 2 • 7 marzo 2008

il

leaderismo

è finito

Dopo quattordici anni di inconcludente bipolarismo e di rivoluzioni mancate possono saltare gli schemi su cui si fonda il sistema politico

Veltroni e Berlusconi non bastano di Renzo Foa uesta è una campagna elettorale che non appassiona troppo. Alla chiarezza di un risultato annunciato e confermato da sondaggi che Berlusconi continua ad usare quasi come unico argomento di polemica, segue una scia di incertezze e di dubbi. Non ci sono solo gli interrogativi sulla maggioranza che uscirà dal voto per il Senato e quindi sulla stabilità del possibile futuro governo e non a caso si è parlato tanto di «larghe intese» che di «piccole intese». C’è, in realtà, il nuovo problema: per la prima volta l’offerta non è più strettamente bipolare. Alla scelta, obbligata, di Veltroni di correre da solo o quasi, mettendo in libertà la Sinistra arcobaleno, è seguita la rottura della Casa delle libertà, con l’esclusione a destra di Storace e al centro di Casini. Così l’elettore si trova – per la prima dal 1996, perché nel ’94 c’era ancora il centro di Martinazzoli e Segni – davanti ad un mercato più articolato della rappresentanza. Si capisce allora l’insistenza, soprattutto da parte del Cavaliere, sul «voto utile», che rappresenta il tentativo di affermare l’idea che nulla è cambiato, che tutto è come prima, che la partita resta essenzialmente a due, cioé fra due poli guidati da due leader. Così come si capisce la personalizzazione estrema realizzata attorno alla figura di Veltroni, forse il solo capace di far dimenticare sia Romano Prodi che la storia dell’Unione e di combinare insieme le aree del progressismo e del riformismo, nonostante un ritardo storico.

larismo. Ma la stranezza di questa campagna elettorale consiste proprio nel fatto che è incentrata sulla figura di due leader, Silvio Berlusconi e WalterVeltroni, che continuano a chiedere agli italiani essenzialmente un voto di fiducia personale. Che però si dichiarano, a giorni alterni, competitori o compromissori. Che si inseguono sui programmi. Che tendono a richiamare l’attenzione sulle promesse, salvo qualche sporadica correzione di linguaggio. Che tuttavia sanno di non poter governare in futuro da soli, se per governo si intende anche quella riforma delle regole elettorali, costituzionali e nei rapporti sociali che sarà un passaggio obbligato. Sono, inoltre, due leader che stentano a rappresentare quella domanda di serietà e di valori di cui – basta girare un po’ per l’Italia – si sente un crescente bisogno, soprattutto nelle aree sociali e generazionali più esposte all’incertezza.

Q

Ma aldilà dei sondaggi e della analisi sociologiche, è anche facile capire che l’opinione pubblica avverte l’esaurimento di una stagione. Sente che non sono più produttive le imprese che hanno segnato la fase bipolare. Imprese formate dal mix «cartello elettorale + leader». Berlusconi e Polo contro Occhetto e progressisti nel ‘94. Prodi e Ulivo, alla rivincita, contro Berlusconi e Polo nel ’96. Berlusconi e Casa delle libertà, all’alternanza, contro Rutelli e Ulivo nel 2001. Prodi e Unione, all’insegna del «domani è un altro giorno», contro Berlusconi e Cdl nel 2006. Quattordici anni in cui hanno governato due volte entrambi gli schieramenti (oltre alla parentesi di Lamberto Dini), in cui sono variate le alleanze, fino al bipolarismo totale di due anni fa, in cui c’è sempre stata l’alternanza, in cui la governabilità è stata difficile, ma soprattutto in cui la crisi italiana anzichè essere risolta è peggiorata. Si tende schematicamente a dare la colpa di questo fallimento al carattere eterogeneo delle coalizioni e in parte la diagnosi è giusta, anche se è molto diverso il discorso che riguarda il centrosinistra con l’innaturale alleanza tra antagonismo e riformismo da quello che riguarda il centrodestra, più omogeneo sul piano delle intenzioni e dei valori. Ma è una diagnosi giusta solo in parte. A ben guardare, quel che è davvero mancato in Italia – a differenza da altre democrazie occidentali – è stata la capacità delle leadership di dare

Dal 1994 ad oggi la condizione italiana è peggiorata. Una domanda: se la via di uscita non stesse più nell’affidarsi alla bacchetta magica di due persone in competizione fra loro, ma in offerte diverse, in cui soprattutto l’identità è una garanzia? un’impronta alla propria azione. Alla fine, quando si studierà davvero questa stagione bipolare e quando si studierà il comportamento dei presidenti del Consiglio, sarà difficile sfuggire ad un giudizio sulla loro capacità di essere davvero la guida delle rispettive coalizioni. Di Prodi è già stato detto: non aveva dietro un partito forte, non era il titolare dei voti, dalla sua aveva soltanto l’ostinata capacità di tessitura e di compromesso. Al punto da restare prigioniero degli equilibri interni alla sua coalizione e di godere solo della rendita di posizione del «potere». L’esplorazione su Berlusconi è stata invece viziata dal clima di guerra civile politica e culturale instaurata contro di lui, che ha impedito di leggere fino in fondo il difetto strutturale della sua impresa: cioè il gap mai colmato tra una leadership personale – il carisma, confermato dei «suoi» voti, quelli che ha sempre raccolto – e l’inconsistenza dei partiti che avrebbero dovuto sostenerlo, con la funzione essenziale di mediazione tra l’azione di governo e la frantumazione degli interessi sociali. A cominciare proprio da Forza Italia, mentre il problema nel quinquennio 2001-2006 venne scaricato essenzialmente su An e l’Udc, sul famoso «subgoverno». Se questo è stato il quadro, se

tutto alla fine è stato affidato ad un bipolarismo trasformato in bi-leaderismo, le due domande sono allora chiare: perché non doveva essere pregiudicato l’assetto politico della Seconda Repubblica? E perché non dovevano svanire le stesse promesse di «grande cambiamento», liberale del centrodestra e di stabilizzazione sociale del centrosinistra? È stata una spirale: un leader ha bisogno di una buona immagine e di forti suggestioni, può duellare con l’altro leader affidandosi al «voto contro», cioè all’alternanza, può contare su una legge elettorale e su un sistema che non prevede «terze vie», ma alla fine il tempo è spietato. Perché se non realizza nulla o realizza poco e, soprattutto, se pregiudica per qualche ragione il monopolio della propria rappresentanza, una qualche crisi si apre. E in Italia – questo è innegabile – si è aperta con la reazione alla «casta», con la frattura tra opinione pubblica e istituzioni. Forse questa crisi stenta a prendere forma. Forse resta avvolta dall’incertezza. Ma ha dei contorni. Si avverte nella società. Diventa un’incognita e tale resta fino a quando qualcuno non darà risposte esaurienti e convincenti. Siamo in questa situazione? Sì, ci siamo anche se l’esibizione, come novità, delle sigle Pd e Pdl ha dato un po’ di ossigeno al bipo-

Una semplice domanda: siamo sicuri, ad esempio, che non ci sia una fetta crescente di italiani per i quali il problema vero non è chi dei due vincerà il 13 o il 14 aprile, ma piuttosto cominciare a guardare ad un orizzonte più lontano? Gettando le basi di una rappresentanza articolata? Siamo sicuri che, dopo tante promesse di «grandi rivoluzioni» – e ce ne sono ancora nei programmi del Pd e del Pdl – non si cominci a preferire una politica meglio disposta a misurarsi con intenti meno roboanti, ma più realistici e realizzabili? Se non altro più coerenti tra i valori di riferimento e le ricette che si chiedono all’azione politica? Ancora una domanda: siamo sicuri che una cultura liberale e moderata – che è l’unica scossa data dal berlusconismo all’Italia in questi quattordici anni – non abbia finito per aggregare una domanda in cui non c’è più l’affidamento al leader, ma la richiesta di progetti di cui investire una classe dirigente, dove per classe dirigente si intende un partito non inventato da un giorno all’altro come il Pdl nè omnibus, come il Pd, ma con una identità meglio definita? Queste domande avvolgono una campagna elettorale che si gioca su deboli schemi – il bipartitismo, il «voto utile», eccetera – sulla fastidiosa «guerra dei sondaggi» e sugli esorcismi che riguardano l’incertezza di quel che troveremo la sera del 14 aprile. Non sono materia di dibattito, perché sono problemi. Ma sottolineano il divario tra chi è convinto di tradurre il bipolarismo in bipartitismo, mantenendo su tutto un impianto bilidearistico, e chi si preoccupa dei problemi. Chi ha capito che, dopo anni di rivoluzioni e di cambiamenti promessi e mancati, la via di uscita è un cambio di passo, di metodo, di sistema. Se c’è, sta qui l’incognita del risultato elettorale, se si deve credere all’alta percentuale di incerti segnalata da tutti i sondaggisti.A Casini da un lato, a Bertinotti dall’altro e a Storace dall’altro ancora (e forse anche a Bossi, nonostante la sua affiliazione con Berlusconi) il compito di rendere credibile l’alternativa alla fine di una stagione.


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leaderismo

è finito

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IL VOTO DEI GIOVANI Il Popolo delle Libertà Lega Nord Partito Democratico L’Italia dei Valori La Sinistra l’Arcobaleno Unione di Centro La Destra Altro partito SONDAGGIO ISPO

INTENZIONI ATTUALI DI VOTO 21,7 15,2 31,4 1,4 15,0 11,0 1,4 2,9 PER

CORRIERE

DELLA

SERA

Renato Mannheimer: più che la novità i giovani tendono a premiare la chiarezza etica

«Identità, progetto e valori: ecco cosa vogliono i ventenni» di Riccardo Paradisi

ROMA. Dei ventenni la politica italiana si era dimenticata. Scomparsi come soggetto sociale, distanti dai partiti, al massimo visti come target per le ricerche di mercato i giovani, quelli reali, non quelli candidati capolista come testimonial del nuovismo, sembravano diventati politicamente trasparenti. Invece, sorpresa, i giovani esistono e, notizia, preferiscono le identità alle novità. Lo dice un sondaggio di Renato Mannheimer che tra i diciotto ventenni registra una percentuale di consensi per la Lega Nord, per la Sinistra arcobaleno e per l’Unione di centro doppia rispetto a quella attribuita a queste forze politiche da altre classi di età. Ad essere penalizzati dai giovani sono invece le grandi coalizioni come il Partito democratico e la Pdl. «Sono dati che risultano anche a noi dell’Swg», dice a Liberal Maurizio Pessato: i ventenni, potrebbe essere la spiegazione, tendono a premiare offerte politiche più nette dal punto di vista della con-

notazione e dell’identità». Lega dunque, Sinistra arcobaleno, ma anche Udc, il centro. Ma non era un voto moderato? «Si ma non c’è contraddizione dice ancora Pessato, Casini si è proposto in termini convincenti nella difesa dei valori cristiani e della vita in una campagna elettorale da cui i leader di Pd e Pdl hanno invece deciso di tenere fuori i temi eticamente sensibili». In effetti mentre Veltroni ha pensato che si po-

artificiale e sperimentazione sugli embrioni. In questo per la verità sfidando un partito riottoso a seguirlo su quella strada. «È un dato più che attendibile quello fornito dal sondaggio di Mannheimer», dice Nicola Piepoli, «perchè i giovani sono naturalmente attratti da soggetti politici a forte componente identitaria e nel caso dell’Udc anche spirituale. Dirò di più: il dato relativo al voto dei ventenni per l’Udc anticipa

ta e supporter di Francesco Rutelli per la corsa al Campidoglio) è una delusa dal Pd. Con Walter Veltroni e il suo marketing politico è stata durissima: «I giovani in lista? Una sconsiderata pattuglia di inesperti alle prime armi ingaggiati da Veltroni per ingraziarsi il popolo che si ciba di rotocalchi e si emoziona davanti a Buona Domenica. Dopo la Madia, è il turno di Andrea Sarubbi, i cui meriti poli-

Il nuovismo esibito dal Pd di Veltroni e il leaderismo berlusconiano del Pdl funziona poco tra i giovani al primo voto. Per loro conta molto di più il dato identitario e la connotazione culturale di un soggetto politico tessero tranquillamente conciliare all’interno del Pd le posizioni di Emma Bonino con quelle di Paola Binetti Berlusconi ha recentemente definito il suo un partito monarchico nella conduzione e anarchico sui valori mentre il suo alleato Fini, ai tempi di Alleanza nazionale, aveva sposato posizioni elastiche su fecondazione

il trend di quello adulto. Il centro è in forte crescita perchè è uno spazio politico che somma su di sè le aspettative per qualcosa che i due grandi partiti non offrono e le delusioni che producono». Manuela Grasso, giovane leva della Margherita e animatrice del Blog per il Pd assieme a Francesco Soro (consigliere di Linda Lanzillot-

tici consistono nell’essere conduttore del programma televisivo “a sua immagine” e di essere indubbiamente belloccio. Un altro di questi nomi, minaccia la Grasso, e voterò Udc». Nel Blog del Pd non c’è solo il suo sfogo: il malcontento per lo show veltroniano è diffuso in rete negli ambienti potenzialmente vicini al Pd.

«Il nuovismo tra i giovani, spiega Renato Mannheimer, funziona molto meno che tra gli adulti. I giovani cercano un dato identitario e Berlusconi e Veltroni, nella loro strategia di intercettare un elettorato indistinto, sfumano moltissimo sull’identità. Il fatto che tra i diciottenni e ventenni il centro riscuota dunque un consenso doppio rispetto a quello espresso nei sondaggi da altre classi di età può essere attribuibile al fatto che all’Udc viene data una connotazione più legata a valenze etico religiose». Ma ad incidere, secondo Alessandra Ghisleri di Euromedia, sono anche le strutture giovanili attive sul territorio e nelle università come quelle dell’associazionismo cattolico: «Qui i ragazzi che escono dalle scuole superiori ed entrano nell’università trovano dei punti di riferimento e di orientamento anche concreto. È una funzione molto importante nel determinare anche un adesione o una simpatia politica».


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L’ITALIA AL VOTO

La comunicazione politica sotto esame

lessico e nuvole

I manifesti “di parte” della sinistra

Il nonno della segretaria di Fioroni... di Giancristiano Desiderio

di Arcangelo Pezza Di manifesti de “la Sinistra l’Arcobaleno”per ora se ne vedono pochini. Peccato perché sono belli. D’altronde in quelle lande, fin dall’epoca della rivoluzione comunista, la propaganda è stata presa molto sul serio. E poco importa se spesso gli agit-prop erano usati ai fini della disinformacija. Comunque sia, la strategia comunicativa per la campagna elettorale in corso è azzeccata. Mentre il Pd senbra aver fatto scelte escludenti, ma poi in realtà tende ad includere quasi fosse un contenitore elettorale (checché ne dica Veltroni), la sinistra massimalista non apparentata ha deciso di parlare chiaro. Un rettangolo diviso in due, da un lato su fondo rosso lo slogan in bianco «Fai una scelta di parte», dall’altro lato semplicemente il nero. Cioè da una parte noi, la vita, l’arcobaleno, dall’altra il nulla, il male, il fascismo. Anche il sito ufficiale (www.sinistrarcobaleno.it) è un inno spensierato alla guerriglia elettronica. Si può scaricare il badge («questo è un sito di parte») oppure il ribbon (un nastrino colorato) per colorare e certificare il proprio sito o blog. Si possono inviare e-card agli amici con vari e suggestivi claim. Si può perfino acquistare, nella sezione “network giovani”, alcuni gadget imprescindibili: la custodia per i preservativi con la scritta «Libera Scelta o Casta Politica?» (di-

vertente il doppio senso di «casta»); la custodia per cartine e filtrini con il marchio «Coltivare da sé o Coltivare la mafia?». Che è un peccato non essere più, o non esser mai stati, dei diciottenni arcobaleno scopatori e fumatori di mariuana. E’ davvero finita l’epoca dell’intransigenza del Pci, quando anche solo vantare un’amante era uno scandalo. Ed infatti per ritrovare una bella falce e martello, in mezzo al poutpourri di colori e arcobaleni e Pecorari Scani, bisogna rivolgersi ai comunisti di Diliberto: quelli sì che sono seri. Gli ultimi. Gli irriducibili di quella “parte”.

Calearo a Ballarò ha dimostrato ancora una volta di essersi ambientato subito con quella sua uscita su «San Mastella che ha fatto bene al Paese perché ha fermato il governo e adesso c’è un partito come il Pd che ha un programma moderno». Peccato che il «programma moderno» non abbia più il governo. Calearo dovrebbe piuttosto spiegare come si possono avere tutt’e due le cose: un buon governo con un programma moderno. Arturo Parisi, ministro della Difesa del governo che non si è saputo difendere da San Mastella, si è incavolato assai a sentire la rivelazione popolare del “falco”del Pd veltroniano: «Non posso crederci, sono parole gravissime e non posso far finta di non aver sentito». Ha sentito benissimo il ministro: il suo partito fa campagna elettorale contro il suo governo. Poche idee, ma ben confuse. La segretaria del ministro Fioroni, Luciana Pedoto, ha così giustificato la sua sorprendente candidatura nella lista del Pd in Campania: «Mio nonno era di Caserta». Una notiziola. Incompleta. Infatti, pare che il nonno della Pedoto fece tre anni di militare a Cuneo. In fondo, come ha detto Dario Franceschini, «la nostra è la più grande operazione di rinnovamento mai fatta finora in Italia». Tanto non c’è nulla da perdere.

Non vi fidate dei sondaggisti? Fate bene. Meglio fare la ”media”, per sbarazzarsi di errori e propaganda

Il sondaggio dei sondaggi Pdl+Lega

la media di oggi Demosk. Crespi Digis Eurom. Ipr Ispo Demop. 3 marzo

3 marzo

02 marzo

1 marzo

29 febbraio

28 febbraio

27 febbraio

Pd+Idv

Sin-Arc

Destra

Socialisti

(+0,2)

6,5

(-0,3)

36,4

7,1 (=)

2,3

(+0,2)

0,9

45,0 45,1 45,2 45,2 43,0 44,5 45,0

7,5 6,9 6,9 5,7 7,0 5,5 6,0

36,0 35,0 37,9 35,4 36,0 38,0 37,0

7,1 6,5 6,5 7,0 7,5 6,5 8,0

2,0 4,0 1,3 2,2 2,5 2,5 2,0

0,5 1,5 1,1 0,8 1,5 -

44,7

Udc+Rb

(-0,6)

(=)

La “media di oggi”è calcolata sugli ultimi sette sondaggi di istituti diversi. Queste le coalizioni presunte: PdL con Lega e Mpa, Pd con Idv e Radicali, Udc con Rosa bianca, Destra e Socialisti da soli. La data è relativa all’ultimo giorno in cui è stato effettuato il sondaggio.

di Andrea Mancia Sono stati resi pubblici i dati di un nuovo sondaggio Ispo relativo alle intenzioni di voto dal 20 febbraio al 4 marzo. Con molte perplessità (relative all’arco temporale troppo ampio in cui è stata effettuata la rilevazione), abbiamo aggiunto il sondaggio alla nostra tabella, scegliendo una collocazione temporale mediana tra i due estremi (il 28 febbraio). Si tratta di una soluzione insoddisfacente, ma è il male minore per non essere costretti a scartare del tutto i numeri di Mannheimer. Rispetto al precendente sondaggio Ispo, che risale addirittura al 12 febbraio, la coalizione di Berlusconi (44,5%) perde lo 0,5% e quella di Veltroni (38%) guadagna altrettanto. Crollo della Sinistra Arcobaleno (-2%) e leggero calo anche per

Udc+Rb (-0,5%), mentre la Destra passa dall’1% al 2,5%. Non rilevato il dato dei Socialisti. Nella nostra tabella, il sondaggio di Mannheimer prende il posto di quello Swg del 27 febbraio, particolarmente sfavorevole al PdL. Aggiungendo anche il sondaggio Euromedia relativo al 1 marzo, la media di PdL+Lega sale dello 0,2%, quella del Pd scende dello 0,6% e il distacco arriva all’8,3%. Cala dello 0,3% la media di Udc+Rb, mentre la Destra guadagna lo 0,2%. Non possiamo non notare alcune differenze, anche vistose, tra i numeri del sondaggio Ispo terminato il 4 marzo e quello concluso il giorno prima, che ci fanno dubitare fortemente della solidità dei dati a disposizione di Mannheimer.


L’ITALIA AL VOTO

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Q

uarta puntata del mio viaggio pre-elettorale tra i protagonisti dell’economia italiana. In una sera piovosa mi viene a trovare Fabio Cerchiai, numero uno dell’Ania. Memoria storica del settore – è entrato giovanissimo alle Generali percorrendone tutti i gradini, fino a quello di amministratore delegato – Cerchiai dal 2002 è alla guida dell’Associazione degli assicuratori italiani, e in questo settennato ha avuto a che fare con due diversi inquilini di Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Qual è il bilancio di questi anni, e soprattutto quali sono le aspettative per il futuro? La sensazione, mi racconta, è quella di una situazione sospesa. Chiunque assumerà la guida del governo si troverà di fronte a un Paese con gravi e consolidate carenze. L’Italia è molto provata, le idee parecchio confuse. Per pensare a un rilancio servirebbe almeno una diagnosi condivisa dei mali presenti e degli errori passati. Ma la classe politica sembra incapace di guardare avanti.

Certo il bilancio degli ultimi anni è scadente. Si sono fatte poche cose, e male: basta pensare alla stagione delle liberalizzazioni. «Fatte», mi dice, «senza aver presenti obiettivi di lungo periodo, senza consultare le parti interessate, senza considerare gli interessi delle imprese. Con un occhio di riguardo alle prime pagine dei giornali, più che al mercato. E stato un po’ come costruire una ferrovia senza pensare a dove passerà, al tipo di binari e di locomotive da utilizzare». In particolare, a questo manager di lungo corso secca soprattutto il distacco, ostentato dai due precedenti governi, nei confronti del mondo della finanza. Distacco visibile nell’esecutivo Prodi, con un ministro allo Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, che «non ci ha mai chiesto un parere, come se temesse un’infezione da contatto». Ma con Berlusconi non andava meglio: «Se non ci si mette intorno a un tavolo con il mondo dell’impresa e della finanza è impossibile fare seriamente le riforme», sostiene. Possibile che Cerchiai sia diventato un pericoloso ultraliberista? Assolutamente no, e anzi qui si indigna: «Guarda, sinceramente io vorrei più Stato, non meno Stato. Perché solo con una presenza maggiore, e naturalmente più efficiente, della politica, si può avere un mercato in grado di funzionare meglio». Invece la leadership è assente, confusa, tentennante. Guardiamo al caso dell’emergenza rifiuti di Napoli, simbolo stesso del degrado, finito su tutte le copertine del mondo. «È una cosa tremenda, è il nostro undici settembre», mi dice, «solo che con l’attacco alle torri il nemico era esterno, mentre qui il nemico ce l’abbiamo in casa: una classe dirigente che non è stata in grado di darsi degli obiettivi e di perseguirli, e ha lasciato che la quotidianità si trasformasse in emergenza. E il dramma dei rifiuti è solo l’episodio più visibile». Secondo Cerchiai la macchina statale non è ormai più in grado di funzionare. Siamo al rovesciamento della realtà. «Guarda il sistema giudiziario», continua, «dieci anni per ottenere una

La classe dirigente. Viaggio tra gli operatori economici/Fabio Cerchiai

«L’Italia sta vivendo il suo 11 settembre ma la politica fa solo marketing» di Enrico Cisnetto sentenza, i tribunali intasati, uno si fa sei mesi di carcerazione preventiva e poi, da condannato, esce dopo tre giorni». Ma non solo: c’è la débâcle delle infrastrutture, dei trasporti. Tutto questo perché lo Stato ha abdicato, ha perso la sua au-

sere realizzata davanti casa mia. Devo semplicemente poter decidere di trasferirmi in un altro posto. È l’interesse generale che deve prevalere, invece ormai ciascuno pensa al proprio piccolo orticello». Insomma, che fare? Cerchiai non è ottimista. Chiunque vincerà le elezioni dovrebbe avere il coraggio di lanciare un nuovo Piano Marshall per l’Italia. Dovrebbe avere la forza di pre-

«L’inefficienza che ha provocato il dramma dei rifiuti è solo il caso più grave», dice il presidente degli assicuratori, «abbiamo un ceto dirigente che non sa più gestire il dissenso» torevolezza. Non si può pensare che la Tav venga bloccata per colpa della famigerata sindrome nimby (not in my backyard, non nel mio giardino). Gli sembra che la politica abbia dimenticato negli anni che il suo compito principale non è solo organizzare il consenso – troppo facile – bensì soprattutto gestire il dissenso. «In uno Stato liberale che funzioni», mi dice, «non deve essermi garantito il diritto di bloccare i lavori dell’alta velocità che dovrebbe es-

disporre un ”piano industriale” serio per il Paese, con obiettivi realistici e misurabili, con un monitoraggio costante e trasparente da parte dei suoi “stakeholders”, ovvero, in primo luogo i cittadini. Se non dovesse riuscire, a casa. Ma Berlusconi e Veltroni saranno in grado? Cerchiai è scettico. Questa campagna elettorale gli sembra molto fatta di marketing, con un centrosinistra che tende a una comunicazione del “rimosso”, mai nominando Prodi,

come se non fosse mai esistito, e il centrodestra che pare fermo al 2001.

Eppure chiunque governerà si troverà di fronte a problemi maledettamente complicati. Dalle emergenze infrastrutturali a una congiuntura internazionale sempre più fosca, nel segno di un’incipiente recessione. Anche chi ha deciso di non entrare in questo bipartitismo forzato, e ha scelto una posizione di terzietà come l’Udc, rischia di essere costretto, sostiene Cerchiai, a fare gioco d’interdizione, nonostante vi siano certamente figure di grande qualità tra i “non allineati”. Capisco quello che teme il leader degli assicuratori: manca una visione chiara delle priorità di lungo periodo. Ma così non si rischia di finire nel grillismo? Assolutamente no: l’antipolitica non gli piace proprio. E anzi ribatte: «Facciamo tutti parte della politica. La politica siamo noi. È l’intero sistema che non funziona più, l’intera classe dirigente». Alla fine della chiacchierata sono sempre più convinto che a questo Paese serve una buona assicurazione sulla vita. (www.enricocisnetto.it)


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politica d i a r i o

d e l

g i o r n o

Mastella fermo un giro «Rinuncio a candidarmi, c’è un’operazione di linciaggio morale contro di me», ha annunciato ieri il leader Udeur. «Nessuna ipotesi di candidatura né per la moglie del segretario dei popolari Udeur, Clemente mastella, né per i figli». ha precisato poi l’ufficio stampa del partito, smentendo indiscrezioni circolate nei Palazzi.

Veltroni spegne la protesta di Pannella

Il governatore, destinato a un ministero, lascia in eredità un’alleanza intatta

C’è un asse Formigoni-Udc di Irene Trentin

MILANO. In Lombardia Udc e Popolo della libertà ricordano quei vecchi amanti che continuano a parlarsi. Amore non è più, ma nemmeno rottura. Studiano l’uno le mosse dell’altro, trasformano l’ex sodalizio in una sorta di tregua armata. Tra i dirigenti azzurri l’auspicio che ci possa essere un ritorno di fiamma con Pier Ferdinando Casini è piuttosto diffuso. «Non c’era nessun motivo razionale per rompere», si duole l’europarlamentare di Forza Italia Mario Mauro, «la collocazione naturale di Udc e Forza Italia è legata al Partito popolare europeo e dunque alla stessa area di centrodestra. Mi auguro che da parte loro ci possa essere un ripensamento». Pensiero condiviso anche da Roberto Formigoni che, forte della candidatura da capolista a Palazzo Madama, si prepara a calare su Roma con alcuni dei suoi uomini fidati, come l’assessore regionale Giancarlo Abelli e i deputati uscenti Maurizio Lupi e Luigi Casero. Per il governatore sembra scontato d’alta parte un incarico da ministro, con tre ipotesi: Sanità, Riforme e federalismo o Sviluppo economico. Si tornerà dunque presto al voto, in Regione Lombardia. E forse per lasciare la migliore eredità possibile, Formigoni si è assicurato in Consiglio regionale la tenuta di tutta l’alleanza, con i due esponenti dell’Udc, Gianmarco Quadrini e Mario Scotti, che a differenza di quanto avvenuto in qualche comune minore, hanno riconfermato il loro sostegno. «Tra i due partiti c’è tuttora moltissima stima»,

conferma la coordinatrice regionale azzurra Maristella Gelmini, «e assoluta sintonia sui contenuti: alle prossime amministrative in Lombardia ci presenteremo quasi dappertutto insieme con l’Udc». Apporto che potrebbe rivelarsi fondamentale, visto che il consenso locale dell’Udc è passato dal 3,8 per cento delle Regionali al 6,5 delle Politiche.

In vista del probabile incarico romano di Formigoni, l’accordo tra Udc e Pdl sembra indispensabile per salvaguardare il modello Lombardia. La presidenza della Regione dovrebbe andare alla Lega: caduta l’ipotesi della candidatura di Roberto Maroni, che prefe-

In Lombardia si andrà con lo schema Cdl anche alle Regionali. L’azzurro Mario Mauro: «Non ha senso la rottura tra noi e Casini» rirebbe un posto da ministro, il nome più accreditato è quello di Roberto Castelli, che però resta cauto: «Nel momento in cui mi si presenterà una proposta seria si vedrà», dice a liberal, «certamente la Lega sosterrà un proprio candidato». Si mostra dubbioso, l’ex ministro della Giustizia, anche sull’intesa con l’Udc per le amministrative del 13 e 14 aprile. «Dobbiamo stare attenti a non confondere gli elettori». Rischio che sembra però

inevitabile. La tregua armata in Lombardia regge, nonostante le precisazioni che arrivano da entrambi i fronti. Dal coordinatore regionale di An, Massimo Corsaro, secondo il quale i due ex amanti potrebbero tornare assieme solo nel caso di «patti chiari». Che tradotto significa «o dentro del tutto o fuori del tutto: l’Udc non può presentarsi con noi in alcuni comuni e da solo in altri a seconda delle convenienze», sostiene Corsaro, «deve fare una scelta di campo, altrimenti lo stesso accordo sulla giunta regionale non può reggere».

Ovvio che l’equilibrio è delicato. Ma per l’Udc i segnali chiari devono arrivare da Pdl e Lega: «Sono stati loro a rompere», spiega il segretario regionale Luigi Baruffi, «noi continueremo a tenere le nostre armi sotto il tavolo, con i nostri candidati sindaci pronti a essere schierati nel caso che all’ultimo momento ci impediscano di presentarci col nostro simbolo. Se i patti saranno rispettati siamo pronti a dare il nostro sostegno». Mentre la tregua è in corso non mancano i passaggi di campo: due sindaci azzurri del Bresciano, Pietro Vavassori di Rudiano e Gabriele Zanolini di Marmentino, hanno lasciato il partito di appartenenza per l’Udc. Lo stesso hanno fatto l’ex coordinatore azzurro di Bergamo Giannantonio Arnoldi e due consiglieri finiani di Legnano, Marco Commodaro e Antonino Barone, passati anche loro con il partito di Casini.

«Siano i radicali a dirci, entro il pomeriggio, se ritengono accettabili le nostre proposte. Altrimenti, considereremo noi l’accordo impossibile»: così Goffredo Bettini ha lanciato ieri l’ultimatum a Marco Pannella, impegnato nello sciopero della sete per chiedere «il rispetto dei patti» di alleanza (ossia i nove posti sicuri alle elezioni). Nel pomeriggio, il leader radicale ha lasciato trapelare di non aver nessuna intenzione di ingaggiare un braccio di ferro con il Pd, perché l’alleanza è «strategica e non estemporanea», e di essere quindi orientato a interrompere la protesta. Quanto al segnale richiesto da Bettini, la segretaria radicale Rita Bernardini precisa: «Una risposta chiara ed evidente è già stata data da tutti i candidati, tranne Emma Bonino, che hanno accettato la candidatura nella sede indicata dal Pd andando a firmare presso lo studio del notaio Mariconda».

Il Pd recupera Lumia: capolista al Senato Beppe Lumia, vicepresidente della commissione Antimafia, sarà capolista del Partito democratico al Senato in Sicilia. Dopo le varie sollecitazioni e critiche arrivate per il fatto che il suo nome non compariva nelle liste, il segretario del Pd ha spiegato di aver chiesto al professor Ignazio Marino, candidato anche nel Lazio, di rinunciare alla doppia candidatura perché «la battaglia contro le mafie è al centro della stessa identità del Partito democratico». A Lumia, aveva fatto una concreta offerta di ospitalità l’Idv di Di Pietro.

Casini candida De Mita e la principessa Borghese Il candidato premier dell’Unione di centro annuncia per il Senato la candidatura della principessa Alessandra Borghese nel Lazio e quella di Totò Cuffaro in Sicilia. Confermato Ciriaco De Mita, che sarà capolista in Campania. «Mi fa schifo chi ha scaricato Mastella dopo aver utilizzato i suoi servigi e avergli promesso il posto in Parlamento per svariati parlamentari», spiega Casini in una intervista televisiva. Ma niente alleanza UdcUdeur, precisa Pezzotta.

Pranzo pacificatore tra Berlusconi e Rotondi Il segretario della Dca ha invitato a casa i leader del Pdl per sancire la pace dopo le tensioni della scorsa settimana. S’è parlato di liste ma - spiega Berlusconi - «abbiamo deciso di non dare i nomi dei candidati, li comunicheremo tutti alla fine».

Usò l’ambulanza come taxi, sei mesi a Selva Il senatore Gustavo Selva, che dalle file di An era passato in Forza Italia, ha deciso di non candidarsi per il Senato dopo la sentenza che lo condanna in primo grado a sei mesi di carcere per l’utilizzo di un’ambulanza nel giugno scorso: aveva finto un malore per poter arrivare in tempo negli studi televisivi in una Roma paralizzata dalla visita di Bush.

Simboli, riammessa ”La Destra” Il simbolo de ”La Destra-Fiamma Tricolore”, è stato riammesso dal Viminale in vista delle elezioni del 13 e del 14 aprile. Il nuovo ha lo sfondo completamente azzurro, compare la scritta ”Santanchè presidente” e la Fiamma Tricolore è spostata sopra la scritta ”La Destra”. Sono stati riammessi altri nove loghi, sui 21 per i quali era stata chiesta la sostituzione. Tra gli altri: ”No euro-Lista del Grillo”; ”I Socialisti”, ”Unione Cattolica Italiana”, ”Alternanza Popolare” e, ultimo nell’elenco, ”Italia Popolare”. La Democrazia cristiana di Pizza e anche quella di Sandri, invece, hanno deciso di fare ricorso contro la decisione del ministero dell’Interno di ricusare i rispettivi simboli.


poteri

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Silvio Berlusconi, a sinistra, è stato sdoganato da Mediobanca dopo tanta attesa. Fininvest (in alto Fedele Confalonieri seduto tra Marina e Piersilvio Berlusconi) è nel patto di sindacato di Piazzetta Cuccia. Un’operazione che ha visto come maggiori sponsor Tarak Ben Ammar (in basso a sinistra) e Cesare Geronzi (in basso a destra)

Piazzetta Cuccia inaugura il suo nuovo corso: Fininvest è uno dei membri del patto di sindacato

Il Cavaliere e la polizza Mediobanca di Giuseppe Failla

MILANO. La presentazione del piano industriale che verrà illustrato oggi alla comunità finanziaria, costituisce il debutto ufficiale della nuova Mediobanca. Un cambio negli equilibri di Piazzetta Cuccia che va ben l’aspetto finanziario. Che è nato dalla ripartizione della quota messa in vendita da Unicredit dopo la fusione con Capitalia, ma che potrebbe finire con il ribaltare i rapporti tra economia e politica. Per non parlare di quelli (sempre freddi) tra il salotto buono per eccellenza e l’ex outsider (imprenditoriale) Silvio Berlusconi. Le vicende della nuova Mediobanca sembrano un po’la metafora di quanto è avvenuto in Italia negli ultimi mesi. La ripartizione della quota ha segnato la sconfitta di Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa e primo grande elettore di Romano Prodi. Il banchiere ha cercato fino alla fine di piazzare azionisti a lui vicini nel patto di sindacato, fallendo. Hanno vinto Cesare Geronzi e, soprattutto, Silvio Berlusconi. Forte dei buoni rapporti con Geronzi, con i soci francesi e il loro ”portavoce” Tarek Ben Ammar, il Cavaliere non soltanto è entrato nel patto di sindacato con una quota dell’uno per cento (che si aggiunge all’1,06 circa che detiene fuori dal patto), ma ha

Oggi Alberto Nagel illustra i piani della merchant bank. E dopo i banchieri con la tessera del Pd, c’è attesa di capire quali riflessi politici avrà il rapporto tra il Biscione e il salotto buono visto il rafforzamento di Ennio Doris, amico di vecchissima data nonché socio storico in Mediolanum.

Rispetto alle elezioni del 2006, quando il Cavaliere lamento che tutti i banchieri – con l’eccezione di Geronzi – erano schierati a favore del centrosinistra, il quadro cambia. Berlusconi parte da una posizione di maggiore forza per quanto riguarda l’universo bancario. Sul versante strettamente finanziario l’ingresso di Fininvest nel salotto buono della finanza costituisce la fine di un oltre esilio durato trent’anni. E che non aveva più motivo di essere. Da un punto di vista politico la presenza di Berlusconi in Mediobanca può avere una valenza neutra, anche se fra gli osservatori finanziari non manca chi dice il contrario: quanto meno ha un osservatorio privilegiato sulla riorganizzazione del capitalismo privato che verrà. Nonostante il tentativo delle merchant bank di Unicredit e IntesaSanpaolo di recuperare terreno, Mediobanca continua a detenere lo scettro di leader indiscusso del-

l’investment banking italiano, oltre a rimanere socio forte delle Generali (antico amore del Cavaliere mai realizzatosi). Il rischio è che le future operazioni di Piazzetta Cuccia – non poche soprattutto alla luce delle future turbolenze dei mercati – vengano targate come operazioni berlusconiane. Infatti a Milano è già presente una fronda nutrita che ha cercato fino all’ultimo di evitare l’ingresso del Biscione.

Il primo effetto di questa campagna lo si è avuto con il tramonto del progetto di integrazione fra Telecom e Mediaset. Il dossier, mai andato oltre la pure analisi di banca d’affari e consulenti, avrebbe risolto sia i problemi debitori di Telecom sia il conflitto d’interessi, diluendo nella nuova creatura la Fininvest a socio di minoranza, seppur qualificata. È stato Berlusconi, dicono fonti vicine al dossier, a stoppare ogni evoluzione operativa di TeleMediaset: l’avrebbe fatto per evitare strumentalizzazioni elettorali e spinto, a onor del vero, dalla contrarietà dei figli Pier Silvio e Marina. In questo clima Mediobanca arriva al piano industriale dopo la sostanziale promozione della sua struttura di gover-

nance ottenuta da Bankitalia. Anzi le indicazioni degli uomini di Mario Draghi quasi certamente contribuiranno a risolvere in maniera indolore il dilemma legato alla presenza di Antoine Bernheim nel consiglio di sorveglianza.

Via Nazionale ha infatti stabilito che chi siede negli organi della controllante non può avere incarichi nelle controllate. Questo significa che il presidente delle Generali dovrà scegliere ed è ovvio che, se dopo l’assemblea di aprile avrà ancora cariche a Trieste (fosse anche la presidenza onoraria) rinuncerà a Piazzetta Cuccia. Da un punto di vista mediobanchesco le disposizioni di Bankitalia hanno solo confermato l’impossibilità per Cesare Geronzi di divenire vicepresidente delle Generali. Un’eventualità che difficilmente il banchiere aveva mai realmente preso in considerazione. A differenza di quanto aveva sperato il finanziere Tarak Ben Ammar. Il piano industriale, che verrà illustrato oggi dal consigliere delegato Alberto Nagel, non riserverà sorprese colossali, ma confermerà gli obiettivi di crescita costante che hanno caratterizzato l’ultimo triennio.


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mondo

Domenica le amministrative in Francia: primo test (a rischio) per la nuova presidenza

Il Centro mette paura a Sarkozy di Moreno Marinozzi er la destra sarkozista è il primo, vero referendum su governo e presidente dopo decine di sondaggi d’opinione. Per l’opposizione di sinistra è l’occasione di dimenticare la doppia batosta dello scorso anno. Per il Centro è la grande chance, l’opportunità di confermare e tradurre in numeri il grande exploit di François Bayrou nelle presidenziali 2007. La Francia torna al voto domenica per il primo turno delle elezioni amministrative e cantonali, test locale ma mai come questa volta dai riflessi nazionali. Urne aperte per eleggere 36mila sindaci e rinnovare mezzo milione di consigli municipali, e occhi puntati sulle sfide nelle grandi città. A Parigi, Lione, Marsiglia, Tolosa e Strasburgo possono maturare equilibri nuovi e alleanze inedite.

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E’ un appuntamento atteso soprattutto per verificare lo stato di salute della maggioranza targata Ump, fiaccata dall’impopolarità montante dell’inquilino dell’Eliseo e dalle prime

crepe interne. Sarkozy ha visto scendere a livelli preoccupanti il suo indice di consenso ma, se nei sondaggi è addirittura dietro il suo primo ministro Fillon, deve riflettere sulla gestione mediatica degli affaires privati e dell’estenuante telenovela Cecilia-Carla. Ma Monsieur Le Président ha capito anche che è il momento di tornare alla politi-

ne di imprese ora propongono ai propri dipendenti ore di straordinario detassate») e a dargli manforte è arrivato il dato sulla disoccupazione al 7,5%, record da 25 anni a questa parte. Sarkozy ha chiuso con una promessa: «Accelerare le riforme, il cambiamento è un obbligo ardente». Sarko di lotta e di governo, insomma, in vista di elezioni che - come lui stesso ha ammesso - potranno influire sul proseguio della legislatura. Non però sul Governo perché, almeno nelle sue dichiarazioni come in quelle del premier

ga maggioranza di cui gode lo schieramento neogaullista nell’Assemblée Nationale. E’ per questo che il Ps sta investendo molto nelle elezioni di domenica e ha schierato sul campo i suoi grossi calibri. A Lille cerca di confermarsi sulla poltrona di primo cittadino Martine Aubry, famosa per essere stata la mente della famigerata legge sulle 25 ore, a Digione corre François Rebsamen, ex uomo forte di Segolene Royal. Ma l’obiettivo vero è quello di strappare alla destra alcuni dei suoi storici baluardi, come Marsiglia, Tolo-

La sinistra sogna la rivincita dopo il doppio cappotto del 2007 per arrivare alla “coabitazione permanente”. Ma il vero pericolo per l’Ump arriva dal MoDem guidato da François Bayrou Fillon, non è alle viste un rimpasto dell’esecutivo, nemmeno se la sinistra dovesse portare a casa un risultato roboante.

ca e nell’intervista concessa ieri a Le Figaro dapprima ha fatto autocritica («Ne faccio, ne ho fatti di errori, chi sarei se non lo riconoscessi?»), subito dopo ha rivendicato i meriti della rupture sulla sicurezza e in campo economico («Quello che conta è che mezzo milio-

Nelle amministrative la Gauche sogna la rivincita del doppio cappotto del 2007 (presidenziali e legislative perse nel giro di due mesi) per dare corpo ad un sogno, la “coabitazione permanente”. L’ha definito così François Hollande, segretario del Partito Socialista, uno scenario in cui la sinistra farebbe da contrappeso sul territorio e nelle amministrazioni locali allo strapotere presidenziale e alla lar-

sa e Strasburgo. A Parigi, invece, appare scontata la rielezione del sindaco uscente Bertrand Delanoë, forte di un consenso intorno al 45% che in questi giorni più che impensierito dalla sfidante dell’Ump, l’eccentrica Françoise DePanafieu, sembra concentrato sulla possibile alleanza con i centristi. Il MoDem, per bocca della sua candidata Marielle de Sarnez, ha formulato al sindaco uscente una proposta di intesa in vista del ballottaggio. Delanoë ha preso tempo e accusato il partito di Bayrou di contradditorietà e di eccessivo tatticismo ma non ha chiuso del tutto le porte all’alleanza.


mondo

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Destra indietro nei sondaggi anche a Parigi, Nantes e Lione

La partita si gioca a Tolosa e Marsiglia di Michele Marchi l 9 e il 16 marzo prossimi i sondaggi smetteranno di emettere cifre e i cittadini francesi faranno parlare le urne. Le elezioni municipali e cantonali saranno il primo reale banco di prova per Sarkozy, salito all’Eliseo da appena dieci mesi. Si concretizzerà la tanto preannunciata “marea rosa” e i socialisti si prenderanno una prima parziale rivincita dopo l’ennesima batosta presidenziale del maggio 2007? L’indubbia crisi di popolarità del Presidente (ancora fermo ad un mediocre 41% di gradimento e lontanissimo dal primo ministro Fillon al 59%) avrà un impatto concreto sullo scrutinio locale? Quali effetti avranno le municipali del 2008 sugli equilibri di governo e sull’evoluzione delle principali forze politiche francesi, soprattutto i socialisti e i centristi di Bayrou? Queste alcune delle domande che affollano il dibattito politico francese in questi intensi giorni di campagna elettorale. Innanzitutto bisogna ricordare che le elezioni amministrative francesi, siano esse municipali (cioè per l’elezione dei sindaci), cantonali (per scegliere i presidenti dei consigli generali, dunque i vertici dei dipartimenti) o regionali sono storicamente favorevoli alle forze di sinistra ed in particolare al socialismo. Il socialismo francese è essenzialmente un socialismo municipale ed amministrativo. Non a caso in 50 anni di V Repubblica, solo per due volte il Ps ha conquistato l’Eliseo e per altro grazie a François Mitterrand, che da questa tradizione politica non proveniva. Al contrario ad oggi il Ps controlla 20 regioni su 22, più della metà dei 102 dipartimenti e, se si esclude la parentesi parzialmente negativa delle municipali del 2001, per lo meno dal 1994 è in costante crescita nelle consultazioni amministrative. Non a caso all’interno del partito si parla con insistenza del rischio della “coabitazione permanente”, con la destra post-gollista alla guida del Paese e i socialisti relegati al meno nobile ruolo di perenni amministratori locali. Lo scenario è quello di un Ps incapace di comprendere le ragioni della propria terza (e consecutiva) sconfitta presidenziale, si che si “adagia” su una sorta di “resistenza locale” con scarse possibilità di essere tramutata nel trampolino di lancio per un ritorno alla vittoria nella competizione principe della V Repubblica. La grande attesa delle amministrative riguarda però anche possibili ricadute sull’Eliseo in crisi e sugli equilibri interni alla maggioranza. Nella tradizione elettorale transalpina esistono due tipi di elezioni locali. Quelle da un punto di vista tem-

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Sopra il presidente francese, Nicolas Sarkozy, in basso il leader del MoDem, François Bayrou Perché la verità è che il MoDem fa paura a tutti: a destra perché erode consensi tra gli elettori delusi da Sarkozy, a sinistra perché senza i voti centristi la spallata all’Eliseo resterebbe pura utopia. A Parigi, al partito nato dall’esperienza dell’Udf i sondaggi attribuiscono l’undici per cento, altrove va anche meglio e gli analisti non escludono uno score nazionale vicino a quello di Bayrou nel primo turno delle presidenziali, quel 18,5% che non gli valse il ballottaggio ma risultò comunque un risultato politico straordinario.

Oggi la corsa riparte da Pau, nella regione pirenaica, dove Bayrou si candida a sindaco in un feudo gauchista e dove l’Ump non ha trovato di meglio che candidare un fuoriuscito del partito socialista. L’obiettivo è arrivare al secondo turno e convogliare su di sé il voto moderato. A livello nazionale, invece, il MoDem punta a smentire le cassandre e a consolidarsi come terza forza. Le Monde ha scritto che i centristi si trovano «in un triangolo delle Bermuda» figlio dell’impasse che arriva dal lontano 1958. Bayrou sta invece dimostrando l’esatto contrario: il Centro è più vivo e forte che mai e solo la sciagurata legge elettorale a doppio turno può frenarne la corsa.

porale immediatamente successive alle elezioni presidenziali sono di solito tornate a bassa intensità, l’elettorato ha appena scelto una personalità, un programma e difficilmente cambia idea. Se vi sono mutamenti di maggioranze comunali o dipartimentali, è in questi casi dovuto a specificità locali. Accanto a queste elezioni locali vi sono quelle che si svolgono quando l’usura di chi detiene il potere è determinante: così è accaduto nel 1977 (tre anni dopo l’elezione di Giscard d’Estaing) e nel 2004 (con i

I risultati delle elezioni locali avranno in ogni caso importanti conseguenze sul quadro politico nazionale, a soli dieci mesi dall’inizio del quinquennio presidenziale francesi in rotta con il declinante Chirac, eletto due anni prima) a vantaggio della sinistra, e nel 1983 (due anni dopo l’elezione di Mitterrand e in piena crisi del suo progetto economico) e nel 2001 (con il Paese sfibrato dal suo quarto anno di coabitazione) a favore della destra. Le elezioni del 9-16 marzo, secondo il calendario volutamente anticipato da

Sarkozy con l’idea di sfruttare la «luna di miele» post-elettorale, dovevano essere elezioni neutre, del primo tipo, dominate dalla logica locale. Invece l’onda del grande successo del 6 maggio 2007 è stata rapidamente bruciata dalla sovraesposizione mediatica del Presidente e da quella che ad oggi è la sua incapacità di abbandonare i tratti del candidato per vestire quelli della guida nazionale.

L’Ump sconta poi a livello locale altri problemi. La difficoltà di dover spiegare i comportamenti personali del Presidente e le sue scelte di ouverture governativa a numerose personalità del campo socialista. In secondo luogo un profondo mutamento sociologico del Paese, manifestatosi concretamente per la prima volta alle municipali del 1977, che consiste nella difficoltà di attrarre il voto di quella classe media agiata e colta determinante nei grandi centri «mondializzati» come Parigi, Nantes e Lione. Qui domina il Ps e al primo turno del 2007 ha ben fatto il centrista Bayrou. Lo spostamento al Ps di altri grossi centri come Marsiglia, Strasburgo e Tolosa potrebbe confermare questa tendenza. Lo scrutinio, qualunque sia l’esito finale, avrà ricadute a livello nazionale? La vague rose naturalmente potrebbe compromettere parte delle possibilità di riuscita del quinquennio presidenziale che, non bisogna dimenticare, non ha ancora tagliato il traguardo del primo anno. Il Presidente, in un’intervista esclusiva a Le Figaro, ha annunciato la sua contrarietà a rimpasti di governo in caso di sconfitta e ha ribadito il suo volontarismo riformista e il suo progetto di modernizzazione del Paese. Dunque Sarkozy e Fillon insistono sul significato solo locale della tornata e accusano il Ps di intossicare la competizione con l’antisarkozismo militante e la retorica della “difesa repubblicana”. Negli ambienti della maggioranza si respira una certa tensione, acuita dalle candidature a sindaco di molti ministri dell’esecutivo Fillon e testimoniata dall’impegno dello stesso primo ministro (anche lui candidato nel dipartimento della Sarthe) in un tour elettorale che lo sta portando in tutte le principali città dove la destra è indietro nei sondaggi (Parigi, Marsiglia, Tolosa, Laval, Nantes e Lione). Probabilmente dal 17 marzo, ma in parte già dopo il primo turno di domenica 9, alcune novità politiche attraverseranno il dibattito transalpino. E già questo non sarebbe male, dopo il troppo gossip e la stucchevole mediatizzazione degli ultimi mesi.


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mondo

L’analisi di Joseph Bottum, direttore di First Thing, la più autorevole rivista teocon degli Usa

L’America si scopre cattolica i protestanti perdono terreno di Joseph Bottum li Stati Uniti sono da sempre una nazione protestante - forse l’ultima, di fronte all’inesorabile processo di senescenza di cui sono vittime in Europa il Luteranesimo di Wittenberg, il Calvinismo di Ginevra e l’Anglicanesimo di Londra. Tuttavia, gli Stati Uniti sono meno protestanti di quanto non lo fossero in passato. Di fatto, stanno rapidamente diventando un Paese cattolico. Almeno nel significato sociale del termine. Emerge infatti un elemento inaspettato e preoccupante: oltre l’8 percento degli americani ha avuto un’educazione cattolica, ma si è allontanato dalla religione in età adulta. Inoltre, tale percentuale è in rapida crescita. Entro qualche anno, il 10 percento della popolazione degli Stati Uniti sarà costituito da ex cattolici. Naturalmente, l’espressione “ex cattolico” suggerisce un’indicazione sulla personalità più intima dell’uomo che, ad esempio, termini come “ex vegetariano” ed “ex fumatore” non riescono a esprimere: una formazione sociale ed intellettuale, un punto di partenza. I cattolici praticanti costituiscono quasi il 25 percento della

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popolazione americana; i protestanti sono scesi al 51 percento, e le dichiarazioni retoriche dei nostri intellettuali fanno sempre più spesso ricorso ad un vocabolario che appartiene alla filosofia cattolica, e sempre meno alle citazioni della Bibbia da cui trae ispirazione una nazione protestante. Questi dati statistici provengono da un nuovo studio intitolato Us Religious Landscape Survey (Sondaggio sul panorama religioso statunitense, Ndt)

dalle confessioni religiose, mentre altri continuano a definirsi credenti anche se per anni non appartengono ad alcuna chiesa in particolare.

Fin dalla sua nascita, gli Stati Uniti hanno sempre tratto ispirazione e nerbo morale da una fonte distinta - almeno in parte - dal mercato e dalla cabina elettorale, dall’economia capitalista e dalle posizioni politiche. Fattori che dominano la nazione in tutti gli altri

ragioni sono complesse, ma il risultato è evidente. Gli anni Settanta hanno testimoniato l’apertura di una voragine in seno alla vita pubblica americana, e tale vuoto ha attirato due gruppi che in passato erano sempre rimasti ai margini: i cattolici e gli evangelici. Il loro incontro ha decretato una delle alleanze più improbabili nella storia del Paese, considerata la lunga tradizione di opposizione al cattolicesimo che ha caratterizzato gli

Nell’arco dell’ultimo mezzo secolo la tradizione radicata delle chiese protestanti è andata incontro ad un declino catastrofico. Un vuoto colmato da due confessioni prima ai margini: i cattolici e gli evangelici pubblicato in febbraio dal Pew Forum on Religion and Public Life. Lo studio, che ha coinvolto 35mila persone, suggerisce che la pratica religiosa in America è ancora forte e vitale. L’85 percento degli americani appartiene a una confessione religiosa, mentre solo il 4 percento si dichiara ateo o agnostico. Tuttavia, il 44 percento degli adulti ha abbandonato il credo religioso dei genitori a favore di un’altro. Inoltre, sono molte le persone che si avvicinano ed allontanano

settori. Tale fonte, per larga parte della storia americana, è stata rappresentata dal senso morale condiviso dalle diverse e principali confessioni protestanti, che hanno influenzato tutto: dalla rivoluzione americana dell’ultimo trentennio del Diciottesimo secolo fino ai movimenti per i diritti civili degli anni Cinquanta. Nell’arco dell’ultimo mezzo secolo, tuttavia, la tradizione radicata delle chiese protestanti americane è andata incontro ad un declino catastrofico. Le

Stati Uniti. Ma tant’è: il crollo delle vecchie confessioni protestanti ha privato il Paese di una retorica condivisa e di un’idea su come formulare gli appelli morali come - ad esempio - quello contro l’aborto legalizzato. Soprattutto tra i conservatori, il cattolicesimo - con la sua capacità di cogliere l’impulso morale religioso per incanalarlo in un vocabolario pubblico più generico e nell’analisi filosofica - è arrivato a dominare il dibattito su ogni tema,

dall’aborto, al dirrro naturale alla vita, alla teoria della guerra giusta.

Secondo la risposta fornita da una delle principali riviste liberali «Gli evangelici forniscono l’energia politica, i cattolici l’autorità intellettuale». L’atteggiamento di derisoria condiscendenza nei confronti degli evangelici è tangibile ma l’aspetto di gran lunga più interessante è rappresentato dal fatto che oggi anche i liberali americani accettano l’idea che il cattolicesimo offre posizioni intellettuali rispettabili: erronee, secondo loro, ma comunque serie. Il nuovo studio realizzato dal Pew Forum dimostra che l’impulso religioso degli Stati Uniti non è destinato a scomparire nel breve periodo - anche se gli americani si sento perfettamente legittimati a volare di confessione in confessione con la disinvoltura di farfalle che volano di fiore in fiore. Tale impulso religioso, però, necessita di un vocabolario e di un sistema intellettuale pubblico con il quale potersi esprimere. Ogni giorno il bastione protestante dell’America si trasforma sempre di più in un Paese cattolico.


mondo

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A Bruxelles i ministri Ue preparano il summit di Bucarest

Maratona Nato per l’allargamento di David J. Smith omani a Bruxelles si definisce l’agenda del vertice Nato di Bucarest del 4 aprile. Il ministro degli Esteri rumeno, Adrian Mihai Cioroianu dovrebbe cogliere l’occasione per promuovere l’allargamento dell’Alleanza. L’incalzare degli avvenimenti in Afghanistan e Kosovo non deve essere un pretesto per dimenticare le esigenze di Georgia e Ucraina. L’allargamento è un principio - non soltanto un processo che trasforma la Nato da alleanza militare a struttura di sicurezza. Guardare a Sud e a Est, intraprendere missioni out-of-area e consolidarne la base democratica sono aspetti collegati. Il successo in Afghanistan e il cammino di Georgia e Ucraina sono lati della stessa medaglia. La Nato deve arrivare fino al Mar Nero ed oltre. La Georgia offre una posizione geo-strategica unica sulla sponda orientale del Mar Nero. I suoi porti ed aeroporti sarebbero complementari al sistema di sorveglianza Nato. Ne trarrebbero beneficio non solo le operazioni militari, ma anche la lotta al contrabbando e al terrorismo e si potenzierebbe la sicurezza dei Paesi del Mar Nero, compresa la Russia. Georgia e Romania vogliono cooperare con Mosca e l’adesione alla Nato accrescerebbe le capacità di Tiblisi a farlo. La Romania può spiegare agli alleati come far fronte alle preoccupazioni russe per l’ingresso della Georgia, e far

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Paura a Manhattan Attimi di terrore nel cuore di Manhattan. Un ordigno artigianale, lanciato da un uomo in bicicletta, è esploso all’alba a Times square, davanti allo stand permanente che ospita un centro di reclutamento dell’esercito. La deflagrazione non ha provocato feriti ma solo lievi danni alla struttura. La portavoce della Casa Bianca, Dana Perino, ha spiegato che l’episodio «non sembra”» di matrice terroristica, anche se bisogna attendere le conclusioni dell’indagine.

Obama conquista più delegati Nonostante la vittoria in Texas, in Ohio e nel Rhode Island abbia rilanciato la candidatura di Hillary Rodham Clinton, questi successi le hanno consegnato solo un modesto numero di delegati, confermando che, per strappare la nomination a Barack Obama, l’ex First Lady deve superare ancora molti ostacoli.

Un piano per l’Afghanistan La Nato sta studiando una nuova strategia per l’Afghanistan, che superi anche le divergenze interne all’Alleanza. Lo ha deto il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, a margine della riunione del Consiglio Atlantico a Bruxelles. Kouchner ha parlato di un piano in quattro punti che combini le richieste di alcuni stati membri (anzitutto Usa, Canada e Gran Bretagna) di una maggiore attenzione alla lotta contro i talebani e la preoccupazioni di altri per maggiori sforzi nella ricostruzione.

Kenya, scontri nella Rift Valley Almeno nove persone sono state uccise e un centinaio di case sono state incendiate oggi in Kenya, nel corso di scontri intercomunitari nella provincia della Valle del Rift (ovest). Lo si apprende da fonti della polizia locale.

Condi Rice convince Abbas

Il ministro degli Esteri romeno deve utilizzare il vertice di Bucarest per chiedere l’ingresso della Georgia nell’Alleanza capire che le riforme culminanti nel Membership Action Plan possono aiutare i Paesi in transizione. Il giudizio favorevole della Nato, espresso sulla Strategic defence review riguarda la sicurezza dal Paese. Per quanto attiene gli obblighi

dell’adesione Tblisi è già un alleato. Un suo contingente è in Kosovo e la Georgia ha contribuito al processo elettorale afgano. L’adesione richiede pure riforme nazionali. L’indice di libertà dell’economia georgiana se viene dopo Stati Uniti e Regno Unito, è pari a Francia e Italia. Per la Banca mondiale le riforme georgiane sono le principali al mondo. Dopo i progressi del 2003 c’è però ancora da fare, in particolare nel settore giudiziario. A Bruxelles Cioroianu dovrebbe dire che le riforme sono anche l’obiettivo del Membership action plan e il vertice di Bucarest è la sede giusta per affermarlo.

Mentre il gabinetto ristretto del governo israeliano decideva di proseguire con le operazioni militari nella Striscia di Gaza, il segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, ha spedito al Cairo il suo assistente per gli affari mediorientali, David Welsh, allo scopo di chiedere ai dirigenti egiziani di avviare subito dei contatti con Hamas per il raggiungimento di una tregua simultanea con lo Stato ebraico. La Rice, inoltre, è riuscita a convincere il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, a riprendere il negoziato con Israele.

Raid turchi contro Pkk Dei testimoni alla frontiera irachena con la Turchia hanno affermato che aerei militari turchi hanno bombardato ieri diversi villaggi sperduti nella zona montagnosa nel nord del paese. I raid sono avvenuti a una settimana dal grande attacco terrestre lanciato dalle truppe turche contro le postazioni del Pkk in quella regione e alla vigilia della visita che il presidente Jalal Talabani compierà domani ad Ankara.

Il numero due delle Farc è stato rintracciato e ucciso dalle milizie colombiane perché parlava al cellulare con il presidente venezuelano

Quella telefonata assassina fra Reyes e Chavez di Maurizio Stefanini na telefonata di Chávez e forse un ministro di Correa agente della Cia. In questo modo i militari colombiani hanno individuato e eliminato il numero due delle Farc Raúl Reyes. Lo hanno fatto sapere ambienti dell’intelligence colombiana all’emittente Radio Cadena nacional. La stessa che ha raccolto l’avvertimento-promessa di Sarkozy al numero uno delle Farc Marulanda “Tirofijo”, togliere le Farc dalla lista delle organizzazioni terroriste dell’Ue se libererà Íngrid Betancourt. La chiamata sarebbe stata fatta il 27 febbraio, dopo la liberazione dei quattro ostaggi ex-membri del Congresso colombiano: Gloria Polanco, Luis Eladio Pérez, Orlando Beltrán e Jorge Eduardo Gechem.“Emozionato”, Chávez avrebbe chiamato Reyes, dicendogli che «tutto era

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andato bene». La chiamata, intercettata, ha fatto partire l’operazione. Unico problema, al momento del “colpo”, il gruppo guerrigliero di Reyes aveva fatto in tempo a spostarsi dal territorio colombiano a quello ecuadoriano, a 1800 metri dalla frontiera. Lì è stato ucciso. I colpi sarebbero partiti dal territorio colombiano, ma è in Ecuador che i militari di Forza Omega hanno recuperato il cadavere di Reyes e altro materiale. Compresi i computer da cui risulterebbero non solo i contatti imbarazzanti tra le Farc e i governi di Correa e Chávez, ma anche i sospetti di Reyes sul ministro dell’Interno dello stesso Correa, Fernando Bustamante. «Vi devo informare che Bustamante è della Cia», era scritto in un messaggio del 16 febbraio. Altro messaggio: «mi preoccupa un viaggio per parteci-

pare a un invito (a Quito), per l’alta concentrazione di agenzie di intelligence e corruzione in questo Paese, dove il governo è abbastanza debole». Le stesse fonti aggiungono che Pedro Antonio Marín alias Manuel Marulanda Vélez alias Tirofijo si troverebbe in questo momento in Venezuela gravemente malato. Ha ottant’anni, alla macchia da sessanta, è ospite in una tenuta dall’altra parte della frontiera. Per questo Chávez avrebbe ordinato a 10 battaglioni corazzati di sistemarsi lungo la frontiera, eccetto che nella zona della Guajira che sarebbe la più propizia per un eventuale sfondamento ( i carri armati sono più veloci nel deserto che non sulle Ande o in praterie soggette a frequenti inondazioni). «Vogliono solo evitare che Tirofijo faccia la fine di Reyes».


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speciale approfondimenti

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MOGADISCIO GENNAIO 1948: CACCIA AGLI ITALIANI Per gentile concessione della rivista Nuova Storia Contemporanea, pubblichiamo in anteprima alcuni stralci del Diario di Umberto Zanotti Bianco che uscirà il 10 marzo. Nel gennaio del 1948, a Mogadiscio, decine di italiani rimasti a vivere nella ex colonia vengono trucidati da un gruppo di somali durante una manifestazione. Si tratta di un episodio trascurato dai manuali di storia, con degli aspetti inquietanti. La Gran Bretagna, che aveva interesse a controllare anche la Somalia non fece nulla per difendere gli italiani, anzi ne favorì l’eccidio. Zanotti Bianco, presidente della Croce Rossa fu inviato dal governo in Africa per indagare la vicenda. Questo è il suo diario di viaggio.

di Andrea Ungari intracciare le origini degli avvenimenti dell’11 gennaio 1948 non è sicuramente facile. È evidente che gli incidenti luttuosi vadano a inserirsi sia nell’intreccio, politico e diplomatico, relativo alla sistemazione dei territori coloniali italiani sia nei movimenti d’indipendenza nazionale che stavano sorgendo in Africa, come in altri continenti. All’indomani della fine del secondo conflitto mondiale e della firma del Trattato di pace, parve subito evidente come il tema delle colonie africane fosse al centro del dibattito politico italiano. Non solo. La sopravvivenza di una presenza italiana in Africa costituiva il principale motivo di attrito con la Gran Bretagna.

strazione fiduciaria all’interno dell’Onu. A partire dal 1945, però, con il governo del laburista Attlee sembrò rafforzarsi l’idea che, anche sotto la forma dell’amministrazione fiduciaria, il governo inglese avrebbe dovuto mantenere la propria egemonia sulle ex colonie italiane. In ogni caso l’Inghilterra era assolutamente restia a che l’Italia potesse rientrare nello scenario africano.

L’Inghilterra, che aveva assunto subito un atteggiamento duro nei confronti degli italiani, nutriva tutto l’interesse a un ridimensionamento del ruolo dell’Italia nel Mediterraneo e all’acquisizione delle sue ex colonie all’impero inglese. In un tale contesto, la Somalia italiana poteva ben essere acquisita come parte integrante di una “Grande Somalia”sotto controllo inglese. Questo progetto, condiviso soprattutto dal Colonial Office, aveva trovato una certa opposizione nel Foreign Office che non voleva assumersi la responsabilità di un controllo diretto dell’area, preferendo l’ammini-

Di tutt’altro avviso, ovviamente, i circoli politici e diplomatici italiani che, malgrado l’accettazione del Trattato di pace, proprio con l’amministrazione fiduciaria speravano di poter rientrare nelle ex colonie. In ogni caso, ancora nel 1947, essendo questo tema entrato a far parte del più generale contrasto tra Est e Ovest, il problema dei possedimenti africani non era stato ancora risolto. Tant’è che nel corso del 1947 il Consiglio dei Ministri degli Esteri creò, come sottolineato da Antonio Varsori, «una Commissione d’Indagine quadripartita con il compito di investigare sulla si-

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tuazione esistente nelle ex-colonie italiane al fine di conoscere le volontà delle popolazioni locali». Questa Commissione arrivò in Somalia nei primi giorni di gennaio del 1948 accelerando il processo di tensione e di rivalità già in atto. Come sottolineato, alla fine del 1947 gli inglesi sembravano il maggior ostacolo al ritorno italiano in Africa. Il progetto di realizzare una “Grande Somalia” aveva

La Somalia italiana poteva essere acquisita dalla Gran Bretagna spinto la British Military Administration (B.M.A.) a favorire la nascita e lo sviluppo della Somali Youth League (S.Y.L.) come futura classe dirigente indigena legata all’Inghilterra, puntando alla realizzazione dell’indipendenza della Somalia. In tal modo, si era avuta una netta contrapposizione tra la popolazione italiana da una parte e la S.Y.L. e la B.M.A. dall’altra; contrapposizione che non poteva che acuirsi con il ventilato arrivo della Commissione quadripartita. Gli italiani furono i primi a prendere l’iniziativa. La minoranza italiana promosse dei cor-

tei e delle manifestazioni presso l’albergo dove risiedeva la Commissione, mobilitando il maggior numero di allogeni favorevoli al ritorno della Somalia all’Italia. Per rispondere a tali cortei la “Lega dei Giovani Somali” (S.Y.L.) organizzò una contromanifestazione l’11 gennaio che si tramutò, però, in un vero e proprio pogrom antiitaliano (52 vittime italiane e 11 somale) con un palese compiacente atteggiamento inglese e con il diretto coinvolgimento della gendarmeria somala che era stata organizzata in precedenza dalla B.M.A. Malgrado gli inglesi si fossero trincerati dietro al fatto che le violenze erano state causate da un ipotetico attacco degli italiani alla manifestazione indetta dalla S.Y.L., si può oggi essere ragionevolmente sicuri che la versione degli avvenimenti della minoranza italiana era quella rispondente al vero.

Le reazioni in Italia e in Inghilterra furono diametralmente opposte. Mentre in Italia si ebbe una forte ripercussione agli avvenimenti, sia nella stampa sia nell’opinione pubblica, in Inghilterra si cercò di far passare la notizia sotto silenzio. A livello diplomatico, l’atteggiamento del Ministero degli Affari Esteri fu diversificato. Mentre Vittorio Zoppi, direttore della Divisione Affari Politici del Ministero, fu incisivo nel chiedere chiarimenti al governo inglese, l’amba-

sciatore a Londra Tomaso Gallarati Scotti mantenne un atteggiamento prudente, ritenendo più importante per l’Italia allacciare buone relazioni con l’Inghilterra che appuntarsi su una questione coloniale giudicata di secondaria importanza. Questo comportamento cauto di Gallarati Scotti indusse il governo di Londra, che aveva scambiato il contegno dell’ambasciatore come sintomo di debolezza, ad assumere un atteggiamento duro nei confronti delle richieste italiane, avallando la versione dei fatti fornita dalla B.M.A. In realtà, ciò che preoccupava Londra non erano tanto le reazioni italiane e dell’opinione pubblica quanto il giudizio della Commissione d’indagine che avrebbe potuto dare un parere negativo sull’eventuale assegnazione della Somalia all’Inghilterra. Dopo un perentorio incontro di Carlo Sforza con l’ambasciatore inglese a Roma Vincent Mallet, si cominciò a ipotizzare la possibilità «di un più rapido ed efficace sistema di comunicazione fra l’Italia e Mogadiscio, mediante ricorso anche all’operato della Croce rossa italiana». Malgrado il governo Attlee avesse mantenuto una posizione di rifiuto delle proposte italiane veicolate da Mallet, ribadendo la fiducia nella versione fornita dalla B.M.A, il gabinetto britannico diede una piccola soddisfazione alle richieste ita-


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IL DIARIO DELLA STRAGE di Umberto Zanotti Bianco 1.II.48.

e libertà d’azione rispetto al console italiano a Nairobi, avrebbe spaziato, come sottolineato da Varsori, “sulle cause profonde del malessere esistente nella ex-colonia italiana”.

Arriviamo alle 5 a Cartum (due negri in abito e turbante bianco e cintura verde). Un auto trasporta tutti i viaggiatori in città al Grand Hôtel ove ci laviamo in una camera e prendiamo il breakfast (la solita colazione inglese con perfido caffè e latte, un uovo e un salamino bruciacchiato). Esco che la natura è ancora tutta fresca. Sul Nilo azzurro è fermo un vaporino. Un negro, avvolto di bianco, in ginocchio e volto verso l’oriente, prega con le mani alzate. Un falco nell’arie. Alle 5 e 30 ripartiamo per l’aeroporto. La città è la tipica città inglese guadagnata sul deserto. Grandi strade diritte, asfaltate, con ai lati begli alberi (sicomori?). Le costruzioni delle autorità dignitose: poi i villini degli inglesi ed europei...quindi le baracche dei negri. Passano cammelli carichi di paglia, asinelli con negri. Il sole sorge violento mentre partiamo. Alla metà del percorso si vede il largo corso del Nilo azzurro costeggiato da un po’di verde e poi il monotono arido paesaggio desertico del Sudan. Poco dopo le 11 entrati in Uganda sorvoliamo la zona acquitrinosa che precede il lago Vittoria. Larghissimi strati di vegetazione acquatica giallo-verde coprono e nascondono quasi le acque. Alle 11 e 30 sorvoliamo il grande lago Vittoria, con i suoi innumerevoli isolotti selvosi ma deserti. Dopo l’attraversata del Kenia, con forti colpi di verde, alle 12 (ora locale 14) arriviamo a Nairobi.

Zanotti Bianco percepì subito il carattere peculiare della missione. Carattere che certo non lo spaventava, anzi lo stimolava nel perseguimento della verità sugli avvenimenti dell’11 gennaio. La prima cosa da fare, però, era quella di portare moderazione nel campo italiano. Era necessario, dunque, sia per la Commissione d’indagine sia per la missione di Zanotti Bianco, cercare non solo di placare gli animi ma di ricostruire pacatamente gli avvenimenti, stretti tra una B.M.A. evidentemente poco desiderosa di collaborare e una comunità italiana risentita per l’eccidio subìto e, nel contempo, spaventata per la possibilità di nuove uccisioni. Fu così che il 31 gennaio Umberto Zanotti Bianco, come indicato nel suo breve diario di viaggio presentato in questa sede, s’imbarcò su un aereo TWA diretto in Africa.

Stesse preoccupazioni ad ogni arrivo. Stavamo preparando tutte le carte per l’immigration quando comparve il segretario del consolato, Russo, con sua moglie, a dirci che ci avevano fissato la camera all’albergo e che si sarebbe partiti solo martedì. Il segretario del Governatore dice che io potrei partire domani, dato che c’è persona che mi cede il suo posto, non così Berardelli. Dico all’inviato del Governatore che l’Ambasciata inglese a Roma mi aveva assicurato che avrei trovato a Nairobi l’aereo del Governatore o altro aereo messo a mia disposizione. L’inviato telefona e poco dopo viene a riferirmi che tutto si aggiusta. Mentre io vado all’albergo e prendo un tè, egli ricompare portando i due biglietti per domani. Ho un solo desiderio: dormire. Chiedo di andare a vedere subito il cimitero ove sono

L’11 gennaio 1948 si scatenò un pogrom antitaliano (63 morti) con il compiacimento inglese liane, mostrando il proprio consenso all’eventuale operato della C.R.I. Il governo di Roma prese al volo l’occasione e “impose” a Londra l’invio in Somalia di Umberto Zanotti Bianco, presidente della C.R.I. Questo nobile e longilineo signore, mezzo piemontese e mezzo inglese, già fondatore nel 1910 dell’Associazione Nazionale per gli Interessi morali ed economici del Mezzogiorno (A.N.I.M.I.) e nel 1920 della Società Magna Grecia, nel 1944 venne nominato da Umberto di Savoia presidente della Croce Rossa Italiana. Carica che tenne fino al 1948 quando, di fronte all’evidente ingerenza politica della Democrazia cristiana, preferì uscire di scena, sottolineando la protervia del partito cattolico al potere. Proprio in qualità di presidente della Croce Rossa Italiana la sua missione a Mogadiscio se si andava ad affiancare alla Commissione d’inchiesta sugli avvenimenti, presieduta dal console italiano Della Chiesa, assumeva anche il connotato di un’indagine personale; indagine che, svolta con maggiore autonomia

1.II – Nairobi.

sepolti gli italiani con il Duca d’Aosta e poi di lasciarmi dormire per due ore. Cimitero fuori della città. Il piccolo reparto italiano è circondato da siepi di fiori rossi. Le croci di legno con i nomi già cominciamo a stingersi. Anche la tomba del Duca ha attorno siepi in parte bruciate dal sole e crisantemi. Senso di abbandono. Chiedo che mi si dica quanto costerebbe il rimettere in ordine tutto il cimitero: troverò i fondi in Italia. Russo e la moglie mi mettono al corrente della lotta degli inglesi contro di noi! Vedono da per tutto l’intelligence service [...] Mi raccontano che un negro di Mombasa avrebbe detto a un nostro somalo, che l’ha riferito: “Vedi, gli italiani sono stati vinti: faremo lo stesso con gli inglesi. L’Africa deve essere nostra. È terra dei negri e dei leoni”. Altra cosa importante, se fosse vera, avrebbe detto: “I somali che hanno aggredito gli italiani a Mogadiscio provenivano in parte dal Kenia. Furono trasportati in auto. Nel tornare indietro con la roba rubata (gli inglesi li lasciarono partire!) si bisticciarono fra loro: gli inglesi accorsi li bombardarono”(?) I negozi sono tutti nella città, le abitazioni invece sparse in mezzo ai giardini. I negozianti più influenti sono indiani, i quali propagano tra i negri il principio dell’indipendenza dall’uomo bianco. E il bianco qui non è di prim’ordine; molti inglesi che vengono dal Kenia per impiantarvi industrie, fattorie, non vengono aiutati dagli inglesi locali e dopo aver perduto parte delle loro sostanze se ne vanno via indignati: talora protestano sui giornali, andandosene. I locali tentarono di fare espellere una cinquantina di italiani che erano da tempo a Nairobi. Furono salvati dal Governatore, che è veramente uno spirito superiore e non segue la gretta politica dei locali o dei militari di professione. Passiamo accanto al parco nazionale ove vivono gli animali feroci in libertà. Fino alle 19 vi si può entrare in macchina chiusa: talora le macchine hanno strani incontri: leoni, scimmie, gazzelle ecc. Bellissima notte profumata. Traversando il villaggio indigeno sentiamo invece un odore di serraglio. I poveri negri sono pagati pochissimo (30 scellini al mese) e quindi finiscono per rubacchiare. Cambiano carattere a seconda della tribù a cui appartengono. In genere sono miti, le donne affettuose coi bimbi, ottime nurses. Ne abbia-

mo incontrate alcune oggi con colori sgargianti. Alle 23 sono in albergo.

2.II.48 – Mogadiscio. Stamane mi sono svegliato alle 5: molto caldo nella camera: ho aperto un po’ le persiane perché si areasse. Il segretario è uscito presto, sicché mi sono trovato alle otto solo, incerto sul programma della giornata […] Stamane è venuto a trovarmi il dottor Caruso, segretario del Sottosegretario Cipolla, che mi aveva dato una lettera per lui. Parliamo a lungo dell’eccidio. Egli, vivendo nella zona degli inglesi, non è stato in pericolo. Corso all’ospedale, per 40 ore circa ha operato senza interruzione e ha assistito alle scene di terrore, di disperazione di questa gente folle ancora di spavento. Anch’egli non dubita che l’eccidio sia stato provocato dagli inglesi. V’è una somala che non vuole, come tutti i somali, deporre presso la Commissione, ma che è pronta a giurare davanti ad un santone di aver visto il figlio del sig. Martelli, che è degente all’ospedale, ucciso da un ufficiale inglese. Poiché i somali “non facevano il loro dovere”egli avrebbe strappato la pistola ad un somalo e sparato contro il fanciullo, uccidendolo. Dà ancora questo particolare: l’ufficiale avrebbe sparato con la mano sinistra. L’ho detto a Della Chiesa perché provveda a farla interrogare. Una ragazza italiana, mentre i somali la derubavano, era uscita sulla strada ed aveva invano tentato di fermare alcuni ufficiali che tornavano a casa a colazione. Incontrato un ufficiale solo, a mani giunte, lo aveva pregato di aiutarla. Questi avrebbe risposto: “non ho ordini in proposito”[...] Una lieve brezza spira agitando le fronde. In alto infinite stelle. Importante, per capire lo stato di spirito degli inglesi in rapporto alla popolazione italiana, quanto ha detto confidenzialmente a Berardelli il col. Cusack, che si riassume press’a poco così:“Non vogliono fare alcuna dichiarazione, né dare alcuna assicurazione, affinché permanga tra gli italiani quello stato di paura e di orgasmo che impedisce loro di fare alcuna propaganda tra gli indigeni”. Quando è arrivata la nave Toscana (raccontava l’altro ieri il rappresentante dell’Africa ita-

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speciale approfondimenti segue da pagina 13

liana, Olivieri) un ufficiale inglese, venuto a bordo, ci ha detto testualmente queste parole:“Coloro che hanno portato foglietti di propaganda li distruggano o li consegnino. Se questa propaganda dovesse continuare non possiamo garantire che fatti deplorevoli, come quelli successi, non si ripetano”. Al che aveva risposto il sig. Boero con molta dignità “che essi erano venuti soltanto per lavorare come per il passato e non per fare propaganda”.

4.II.48 – Mogadiscio. Venuto stamane Boero per sottopormi il verbale della seduta della Croce Rossa e il telegramma da mandare a Napoli per l’accoglimento dei nostri profughi. Poi alle 10 all’ospedale maschile De Martini. Ho visitato i vari feriti: impressionante la ferocia delle ferite: un disgraziato con la mandibola squarciata e la mano portata via da colpi d’accetta: un altro, che ha avuto un terribile colpo alla nuca, ancora steso senza poter parlare né muoversi, per tre o quattro giorni solo il polso denotava che era ancora in vita. Infine il sig. Martelli, che ha

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landi, mentre una terza somala, assai alta, dignitosa e bella e tutta avvolta in veli di seta rossa e bleu, e con anelli e bracciali d’oro, ascolta in silenzio. La deposizione dura quasi un’ora e mezzo, dato l’italiano-somalo che parlano, le spiegazioni non chiare che danno e che il povero Martelli cerca di chiarire, e i race conti che fanno di tanti altri avvenimenti. Soprattutto l’amica che abita in casa Orlandi è feroce contro gli inglesi. - Avevamo sempre vissuto bene con italiani: sono loro che hanno messo male tra noi e voi.Voi non credere inglesi capaci di questo? Inglesi briganti. Un ufficiale inglese, dopo questi fatti, voleva portare via una macchina da scrivere di Orlandi: ma io mi sono attaccata ai suoi abiti e gli ascari gli hanno detto ch’era roba mia e lui ha lasciato. Ha portato via anche mia penna per scrivere (stilografica) e io l’ho tenuto e gridavo ed egli alla fine tirata di tasca...Briganti... Quando vidi portar via Martelli ferito entrai a casa loro per salvare la roba. Misi in una coperta tende, biancheria e portai via cassetta con gioielli. Un ufficiale inglese con revolver e ascari coi fucili mi cacciarono via. C’era nello sdegno di queste tre

senso. Anch’egli si ritiene sicuro delle preordinazioni del piano di aggressione britannica. Se non ci fossero elementi della lega venuti da fuori, ai fattacci essi non avrebbero preso parte e tutta la responsabilità sarebbe ricaduta sulla Gendarmeria. Mi dice che i gendarmi che montavano la guardia alla dogana l’11, prima dell’assalto si vestirono in borghese e appena finiti gli scontri tornarono in dogana e rivestirono l’uniforme. Gli ho chiesto se il denaro del Club proveniva dalla cellula di Addis Abeba. Egli non può asserirlo né negarlo. Sa che il Club raccoglie molti fondi e ad

Il massacro raccontato dai sopravissuti avuto il figlio ucciso, e che vuole che accolga la deposizione di una musulmana che ha visto l’uccisione da casa sua […] Combiniamo tutti di trovarci alle 16 per accogliere la denuncia della ragazza somala. Alle 10 andai all’ospedale Rava (femminile) a vedere le donne rimaste ferite nel massacro. Racconti, singhiozzi, lacrime. E questa generale convinzione che tutto il massacro è stato organizzato dagli inglesi […] Dopo colazione, verso le 16, dopo aver telefonato a Della Chiesa che sarei stato da lui alle 16 e 30, vado da Boero giù in città: credevo che l’appuntamento fosse lì da lui, invece è a casa Martelli, ove torniamo, ch’è poco distante da quella ove io vivo. Entriamo in un salotto con tavolino e, poco dopo, entrano tre somale messesi in abiti festivi per onorarci, ma troppo profumate. Uno strano miscuglio di odore di fieno e di profumi a buon mercato. La più gracile delle tre è quella che depone, sovente corretta dall’amica che vive in casa Or-

povere creature un’umanità che non ho certo ritrovato nell’atteggiamento sprezzante delle autorità britanniche. La povera Ascia Giama, dopo avermi fatto giurare che non avrei rivelato la sua deposizione agli inglesi, ha firmato tremando. Ho stretto la mano a tutte e tre, ringraziandole di questo loro atto coraggioso.

9.II.48 Stamane venuto Boero al quale richiedo con insistenza che venga eseguita la distribuzione definitiva dei fondi con inchieste sui reali bisogni di ognuno e discusso sul rifiuto degli italiani di voler accettare i fondi della sottoscrizione pubblica, dato che era stata promossa dal Brigadiere. Hanno votato un ordine del giorno che hanno posto nella chiesa, nell’albergo e dovunque si radunano […] A colazione dal giudice Dallolio con i Boero: poi alle 3 a casa mia con Beritelli, che mi porta del materiale, e il comunista Leoncini, persona assai simpatica e mi pare pieno di buon

ogni nuova iscrizione si devono versare 10 scellini e poi 1 o 3 scellini al mese. Inizialmente il movimento, che non aveva carattere antitaliano, ebbe molti seguaci perciò si raccolsero molte migliaia di scellini. Il partito comunista qui non ha rapporti né con Addis Abeba né con l’Italia. Ha avuto solo l’ordine dal partito di difendere le posizioni italiane contro gli inglesi. Molte voci errate circolano. Si dice che egli abbia telegrafato a Togliatti chiedendo aiuto. Ma egli non può telegrafare né ha telegrafato. Mi ha promesso di raccogliere deposizioni sull’opera di Thorne e mi saluta molto affabilmente, grato che l’abbia chiamato. Poi viene Poggi, con il quale ho una lunga interessante conversazione che dura più di 2 ore. Egli mi dice che nel passato v’erano ufficiali inglesi che sembravano tenere all’amicizia degli italiani e con i quali c’era un’armonia reale. Il col. Riedley, il col.Thomas, il col. Bradburn, il col. Wahman della sanità e lo stesso brigadiere Wickman che accoglieva

qualsiasi domanda che poteva venire dalla colonia italiana. La situazione cominciò a cambiare verso la fine del ’45, quando giunse come ufficiale politico il maggiore Smith. I simpatizzanti per l’Italia ad uno ad uno se ne andarono e molti predissero che sarebbero successe cose gravi in Somalia. Il Riedley consigliò a Firenze al Poggi: “Io vi voglio bene e vi consiglio di non tornare laggiù”. Si può dire che tutto il personale dell’amministrazione inglese si sia rinnovato in questi anni e così non vi è più uno che rifletta il vecchio ambiente, amichevole e comprensivo. Altra cosa importante che il Poggi mi ha detto è l’invito che il Brigadiere Smith fece il 30 dicembre al giudice Dallolio, al dottor Rosso – presidente della Camera di Commercio – a Beritelli e a Colzio.“Io so – gli disse – che voi avevate spedito vari telegrammi perché siano inviati uomini per manifestare qui in favore dell’Italia. La cosa è abbastanza grave. Io vi prego di telegrafare che la gente non parta, date un contrordine, altrimenti potrebbero succedere avvenimenti gravi”[…] L’impressione di Poggi è che la polizia sia mutata alla fine del ’45, principio ’46. responsabile dell’eccitazione degli animi da una parte il magg. Smith, dall’altra il Colzio. L’intervento della gendarmeria nella strage è inspiegabile, ma non osa dire quando e come e se tutto ciò sia stato preordinato dalle autorità inglesi. Egli ritiene il col. Cusack furbo e vile: il fatto che egli sia qui da tanti anni può forse far pensare che egli sia al fondo di tutte queste cose. Quanto al movimento giovani somali crede che l’origine sia stata comunista. Lo stesso loro saluto (pugno chiuso) lo fa supporre. Alcuni ufficiali inglesi non vedono di malocchio quel movimento culturale ed entusiasta dei giovani somali, ma altri ne profittarono (magg. Smith) per dargli un carattere antitaliano. L’Inghilterra non ha paura nell’avvenire di questo movimento che sfocerebbe verso forme democrati-

che di indipendenza. Quando vorrà abbatterlo basterà che ridia autorità a tutti i capi cabilia – che vedono nel movimento una menomazione della loro autorità – perché esso si sfasci.

13.II.48. Boero. Poi visita alla fabbrica De Vincenti. Abruzzese forte e volitivo che ha messo su con molte difficoltà l’officina per la luce elettrica, la fabbrica del ghiaccio, per l’estrazione dell’olio. Un uomo che odia gli inglesi e non sa parlare di loro senza disprezzo. Ha sposato una somala ed è assai buono con gli indigeni. Alle 3 e 30 vado dal Delegato francese De Roziey che mi prega di farmi dare dalla Camera di Commercio copia del questionario inviato dalla loro commissione e di consegnarlo al nostro ministro al Cairo, affinché lo faccia avere ai pochi italiani che sono rimasti in Cirenaica (un’ottantina) in modo che si preparino alle risposte. Sarà bene avvisare anche il Ministro dell’Africa affinché fornisca loro materiale per rispondere.Trova che l’attitudine degli inglesi qui è stata poco intelligente, perché fa dubitare della loro lealtà e sincerità anche nelle colonie ove forse non hanno da nascondere o deformare la verità. Il movimento nazionalista da loro scatenato può giovar loro nella prima generazione, ma nella seconda si ritorcerà contro di loro. S’augura di rientrare a Roma. A sera viene Della Chiesa e parliamo di ciò che dovrò dire a Roma: è molto preoccupato di quel che potrebbe succedere qui nel caso di un secondo eccidio. Bisogna che gli inglesi vogliano la pace qui per poter ottenere da noi un’amicizia leale e concordia su tutte le altre questioni. Ora che De Gasperi si è compromesso in questi affari, il non aiutarlo vorrebbe dire indebolirlo nelle elezioni. Della Chiesa vede assai buio. Forlani, venuto a salutarmi, mi prega di mettere al corrente l’ambasciatore Cora sulla situazione del Villaggio Duca degli Abruzzi e della Somalia in genere.


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LA RELAZIONE AL GOVERNO 18 febbraio ’48

Avvenimenti dell’11 gennaio

Ho lasciato Mogadiscio dopo due settimane in cui ho cercato con la massima obiettività di rendermi conto delle cause e delle conseguenze del massacro e del saccheggio dei beni di molti membri della comunità italiana. La situazione – per lo stato di apprensione e di terrore di molti nostri connazionali i quali affermano che girano ancora indisturbati molti dei mestatori indigeni della Migiurtina e del Somaliland calati in città in occasione della dimostrazione della Lega dei Giovani Somali (S.Y.L.) e per lo stesso atteggiamento dei capi della gendarmeria che continuano ad avvertire notabili italiani, forse per affrettarne l’esodo, che la loro vita è in pericolo mostrando così di non aver in mano le forze della polizia – è tuttora grave. Un piccolo incidente, mi affermava l’altra sera il Console Della Chiesa che da circa un mese ha dato, senza risparmiarsi, tutta la sua opera piena di equilibrio per distendere gli animi, potrebbe avere, in questa atmosfera arroventata ripercussioni gravissime e forse indurre l’Amministrazione inglese, come gli disse il Generale Cummings, a far evacuare la città! Tutto ciò non è nell’interesse dell’Inghilterra come dell’Italia e degli stessi indigeni: occorre quindi che le trattative tra Londra e Roma procedano su una base di assoluta lealtà. Ormai la Commissione dell’O.N.U. – per influire sulle cui decisioni furono promosse le dimostrazioni e le controdimostrazioni indigene che diedero occasione alle violenze dell’11 gennaio – ha finito in Somali i suoi lavori: in attesa della definitiva sistemazione della Colonia si deve cercare di ripristinare quei rapporti di civile convivenza che sono nell’interesse di tutti. Se l’Inghilterra ritiene di dover avvicinare a sé l’Italia per la soluzione concorde di molti problemi mediterranei ed europei, bisogna bene che non avversi i normali diritti delle nostre comunità ovunque esse si trovino e che sia disposta a rendere effettiva la sicurezza delle vite e possibile l’attività economica degli italiani nella Somalia.

Gli avvenimenti dell’11 gennaio sono il risultato di una situazione di guerra silenziosa ma decisa che, profittando dell’evoluzione delle aspirazioni politiche dei Somali, comune a gran parte delle genti di razza nera dopo la guerra, ha preso inizio da parte britannica nei primi mesi del ’46 quando il Maggiore Smith ha cercato di innestare sull’attività della Lega dei Giovani Somali la sua propaganda ed attività antiitaliana e da quando i migliori e più benvoluti ufficiali inglesi (col. Ridley, Magg.Thomas, Cap. Brandburne) hanno abbandonato la Somalia preconizzando tempi gravi e penosi per la Colo-

Le amare conclusioni dell’inviato italiano nia, situazione che si è rivelata nei fenomeni gravissimi denunciati dalle deposizioni alla Commissione d’Inchiesta di cui mi sono state inviate copie. E cioè: a) molti uccisi e feriti sono vittime delle armi da fuoco degli ascari della gendarmeria quasi tutti affiliati alla S.Y.L.: invano hanno cercato nel trasporto delle vittime di celare le tracce dei colpi di fucile e di pistola con tagli o sfregi fatti da armi bianche (deposizioni dei medici: così la deposizione di molti testimoni sull’appoggio dato dalle Autorità della B.M.A. alle manifestazioni della S.Y.L.). b) gli ufficiali britannici della gendarmeria sono stati inefficaci nel trattenere le loro truppe quando non li hanno appoggiati con la loro azione (uccisione Gustavo Martelli, deposizione Ascia Giamma: incendio stamperia vescovile, deposizione quattro orfane. Deposizione Domenico Curis: Carmine Sabatini ed Orlandini-Martelli). Se alcuni ufficiali inglesi si sono adoperati con slancio per salvare italiani dall’eccidio, molti di essi hanno mostrato di fronte ai massacri una indifferenza che dà l’impressione di un generale orienta-

Occorre che le trattative tra Londra e Roma procedano su base di assoluta lealtà

mento (deposizioni Cilurzo, Casoli, Caviglia, vedova Ciuffi, T. Marchetti, M. Perugini, O. Mastri,Alicandri, Degli Eredi, Paffaloni, Lido Emilio, F. Manera). c) La B.M.A. non sembra ignorasse le intenzioni della S.Y.L. per la giornata dell’11 gennaio; imprudenti parole del col. Thorne, vice capo della gendarmeria, sono state riportate da più testi: e una gravissima deposizione di Venanzio Salvatore che ha temuto di deporre alla Commissione rivela la sua approvazione dell’eccidio. È stata la B.M.A. a far arrivare a Mogadiscio torbidi elementi che potevano soltanto peggiorare la situazione (varie deposizioni tra cui quelle di Scaglietti alla Commissione d’Inchiesta dell’O.N.U.). d) Alcuni camions che trasportavano a Mogadiscio verso altri centri della Somalia il grosso della refurtiva furono visti scortati da militari inglesi (deposizione Corrado Capaccioli ed altre).

Provvedimenti della B.M.A. La B.M.A. preoccupata delle ripercussioni suscitate all’estero dagli eccidi e spaventata dalla situazione che poteva diventare pericolosa per gli inglesi stessi, se non dominata subito, si affrettò a far venire a Mogadiscio una piccola nave da guerra ed alcuni aerei militari. Inoltre ha provveduto: A sciogliere la prima compagnia di Ascari della Gendarmeria (del Forte Cecchi) maggiore responsabile dell’eccidio. Il Somalia

Courier (3 febbraio) ha dato notizia di un certo numero di indigeni e gendarmi (6) arrestati e condannati per saccheggi, non per omicidi, dopo i fatti dell’11 gennaio e senza specificare la gravità delle colpe loro attribuite e l’entità della pena. A far venire seicento soldati bianchi per il servizio di polizia; essi hanno già cominciato a mostrarsi in pattuglie per Mogadi-

pio ai vari centri di raccolta degli italiani sinistrati e di costituire un fondo per aiutare gli italiani più bisognosi – quando sarà esaurito il fondo inviato dal Governo italiano – e pare anche un fondo per aiutare la ripresa delle attività professionali.

Invio rappresentante governo italiano Questi provvedimenti sono indubbiamente un primo passo per la distensione degli spiriti: ma altri provvedimenti più importanti dovranno essere presi in seguito ad accordi tra Roma e Londra; per cui è urgente l’invio a Mogadiscio, ora che il Console della Chiesa e la Commissione dell’O.N.U. abbandonano la Somalia, di un rappresentante del Governo italiano che possa cor-

Gli avvenimenti dell’11 gennaio sono il risultato di una guerra silenziosa scio, ma non sappiamo se saranno utilizzati anche in altri centri della Somalia dove sarebbe opportuna la loro presenza (Genale, Merca). A promuovere ed allontanare il Magg. Smith, sostituendolo con il Magg. Saville, attualmente al Villaggio Duca degli Abruzzi. a creare – proposta presentata da me e dal Console della Chiesa al Generale Anderson e da lui approvata – un Comitato di sette notabili italiani che funzionerà da organo consultivo dell’Amministrazione britannica, per tutti gli affari riguardanti la comunità italiana: tale comitato dovrà radunarsi regolarmente. Infine la B.M.A. ha deciso di pagare i viveri inviati dal Munici-

rispondere direttamente e liberamente con esso.

Questioni economiche Passando alle questioni economiche sono di vitale importanza per la normalizzazione della colonia, metto in prima linea i pagamenti e le liquidazioni delle molte requisizioni fatte in questi 7 anni da parte delle autorità britanniche. Requisizioni di macchinario, talora mandato in Kenya, di impianti, di imprese non ancora pagati . Cito tra gli esempi più evidenti l’Impresa Gallotti, che ha avuto paralizzate le sue varie attività di imbarchi, sbarchi e navigazione costiera a Mogadiscio, Merca e Chisimaio, ad Lula e Bendar Cassim. Essa si


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speciale approfondimenti

Carte

La Cattedrale di Mogadiscio come era nel 1948 (a sinistra) e come è ridotta oggi (sopra)

è vista rene costiera a Mogadiscio, Merca e Chisimaio, ad Lula e Bendar Cassim. Essa si è vista requisire le sue imprese gestite dall’Amministrazione militare la quale rappresenta n grave ostacolo alla ripresa del regolare commercio marittimo: requisire galleggianti a Mogadiscio, a Merca e a Chisimaio che non le sono stati restituiti; asportare consumare materiali dei suoi impianti. Solo il fitto del fabbricato del cantiere a Mogadiscio le è stato corrisposto in scellini 240 al mese. Si può immaginare quale sia lo stato di detta impresa dopo sette anni di questa situazione arbitraria. Altrettanto si può dire dell’impianto delle Saline Somale e della Società Comina (emanazione della Montecatini). Anche a queste ditte furono sottratti impianti e macchinari senza alcuna liquidazione. Non è necessario di dimostrare quanto questa situazione pesi sull’economia di tutta la Somalia.

Imposizioni di tariffe Ad esercizi pubblici sono state imposte tariffe deliberate dalle autorità britanniche senza tener conto dei costi. Così alla Ditta De Vincenti fornitrice per Mogadiscio di energia elettrica, acqua distillata e ghiaccio sono stati imposti prezzi assai inferiori a quelli delle colonie britanniche vicine e, per lungo tempo, di pura perdita. La situazione è diventata ancor più grave con l’aumento dei dazi doganali sull’importazione dei carburanti e per le difficoltà generali in cui lavora tutta l’industria attualmente in Somalia

(mancanza mezzi di ricambio, difficile approvvigionamento, mancanza di crediti, mancanza permessi esportazione prodotti sussidiari).

Conclusioni Ma tutte queste proposte indispensabili per la normalizzazione della colonia non otter-

ed i suoi immediati collaboratori non vengano allontanati. I giudizi più gravi che circolano contro di lui sono di inglesi. Però è da domandarsi come mai simili persone avrebbero potuto mettere radici ed imporsi se l’Amministrazione stessa non fosse partecipe della sua mentalità.

Sono un estimatore dell’Inghilterra. Ma queste giornate mi hanno provato Giovani Somali non venga elevata al rango di un ente che non solo ha la possibilità di intervenire nell’Amministrazione, ma di sovrapporsi ad essa. Non è stata infatti la Lega che ha trasmesso per mezzo del Cap. Bolton una nota agli arabi concentrati a 7 km dalla città, nota contenente le condizioni

L’eccidio italiano di cui nessuno sapeva ranno i risultati che ognuno di noi si augura, se nell’amministrazione della Somalia non interverrà un cambiamento di personale, in modo da ridare fiducia al pubblico sulla efficienza e l’equità dell’amministrazione stessa. Mi pare impossibile che in seguito ai risultati della Commissione d’Inchiesta il Col. Thorne

Per ciò che si riferisce ai rapporti fra italiani e somali, gli italiani non hanno alcun diritto di richiedere al Governo inglese uno speciale atteggiamento nei confronti della S.Y.L.: ma le richieste degli italiani come quelle degli altri gruppi etnici in Somalia assumono una veste di piena legalità allorquando essi richiedono che la Lega dei

con le quali la Lega dei Giovani Somali avrebbe permesso il ritorno alle loro case? È questa atmosfera di illegalismo e di arbitrio che va stroncata rimuovendo gli ufficiali di amministrazione che si sono già gravemente compromessi. Per me che ho sofferto dei riflessi di amoralità, di inettitudine, di improvvisazione e di fa-

EPILOGO erto se la crisi diplomatica si era avviata alla sua conclusione, restava il lutto per quei cinquantadue coloni italiani, vittime della follia omicida del nazionalismo somalo e della “compiacenza” britannica. Presto, però, anche l’opinione pubblica italiana avrebbe dimenticato tale vicenda, distolta dall’importante appuntamento elettorale di aprile e dagli

C

avvenimenti successivi. Al lutto per la morte di cittadini inermi si aggiunse, dunque, l’oblio nel quale gli avvenimenti di Mogadiscio caddero. La nuova Italia “democratica” voleva dimenticare il suo Impero coloniale; il fascismo e le sue “avventure” erano ancora troppo ingombranti per la classe politica uscita dalla Andrea Ungari resistenza.

ziosità del fascismo specie nella pubblica amministrazione, queste obiettive constatazioni sulla situazione somala mi hanno riportato alle stesse sgradevoli sensazioni, dandomi la impressione che una tale mentalità da noi così strenuamente combattuta, sussista tuttora e si identifichi nella attuale amministrazione della Somalia, ove, evidentemente per difetto di uomini capaci, probi e tecnicamente preparati si tollerano sistemi che non solo danneggiano i nostri interessi, ma soprattutto infirmano il prestigio e la tradizione coloniale del governo britannico. Tanto il console Della Chiesa che io personalmente siamo dei vecchi provati amici ed estimatori dell’Inghilterra. Ma queste giornate di Mogadiscio hanno messo a dura prova questa nostra simpatia, tali e tante sono state le prove di mancanza di obiettività, di serenità e di ossequio alla giustizia da parte dell’Amministrazione della Somalia. Da quando il Governo italiano ha assunto pubblicamente la difesa dei diritti dei suoi coloni, la questione della Somalia ha assunto per noi anche un aspetto di politica interna. Se le giuste rivendicazioni dei coloni non verranno accettate, se l’Inghilterra non dimostrerà di voler realmente risolvere questa crisi modificando l’atmosfera che si è venuta creando in questi ultimi anni, la disfatta del nostro Governo in questo campo potrebbe avere non poco peso sulle sue stesse sorti, con conseguenze, nei rapporti internazionali, che a tutti è dato di afferrare.


Un’idea, una buona idea, è davvero rara. Albert Einstein

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DELLE IDEE


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economia

Il sociologo Domenico De Masi ribalta i luoghi comuni sui fannulloni nostrani. «Che non sono soltanto nel pubblico»

«Assenteisti? No, direi presenzialisti» colloquio con Domenico De Masi di Cristiano Bucchi

ROMA. È difficile dare torto al professor Domenico De Masi, quando dice «che nessun controllo mi può assicurare che un lavoratore intellettuale, e sono il 60 per cento del totale in Italia, sarà veramente presente al suo posto». Analisi netta che rende ancora più allarmanti i numeri sull’assenteismo pubblicati in un’inchiesta dal Sole 24 Ore. E che parlano chiaro: perché secondo le ultime rilevazioni fornite dal ministero dell’Economia il tasso di assenza in un anno è cresciuto del 9,3 per cento nei Comuni e addirittura del 13,8 nella Province. Di conseguenza, tra malattie, congedi parentali e altre forme di permesso retribuito, in media i dipendenti pubblici riescono a evitare l’ufficio per 25,6 giorni all’anno. Nell’occhio del ciclone c’è, per esempio, il comune di Roma, finito al centro delle cronache per i dati diffusi dal Campidoglio: ogni giorno disertano il posto di lavoro tra i 6mila e i 7mila impiegati assunti a tempo pieno: vale a dire uno su quattro, il 25 per cento del totale, che oltre alle ferie può ”godere” di più di un mese all’anno di assenza. E in questo quadro finiscono quasi per sorprendere le buone notizie che invece arrivano dal Sud Italia. A Siracusa, in particolare, i dati ufficiali fotografano una popolazione di dipendenti comunali in perfetta salute, che non ricorre mai nemmeno alle richieste di permesso. Un quadro quindi allarmante, che però secondo uno dei massimi sociologi italiani del lavoro, ordinario alla Sapienza di Roma e animatore del Festival internazionale di Ravello, va visto in un’ottica priva di pregiudizi, evitando di soffermarsi su «rimedi generici», perché ogni settore, comparto e singolo lavoratore ha esigenze diverse. E se proprio si vuole trovare un denominatore comune per affrontare il problema, «l’unica arma», spiega, «contro l’assenteismo è soltanto la motivazione». Professor De Masi, eppure i dati pubblicati dal Sole 24Ore parlano chiaro: la pubblica amministrazione in Italia è caratterizzata dal fenomeno dell’assenteismo. Vorrei subito chiarire che il fenomeno c’è tanto nella pubblica amministrazione quanto nelle aziende private. Le forme però sono svariate. Se per esempio si dà malata una madre con un bambino piccolo che non può andare, questo per l’azienda è una forma camuffata di assenteismo. Ciò dimostra che quando ci si assenta dal lavoro non lo si fa soltanto per divertirsi, ma molto spesso per cose più urgenti. Siamo di fronte a un fenomeno soltanto italiano? Assolutamente no. Non è un caso se ci sono studi sull’assenteismo in tutto il mondo. Al contrario direi che quello l’italiano è un popolo presenzialista e non assenteista. Un Paese che va a lavorare la mattina e che nel caso di manager o dirigenti resta a lavoro fino alle dieci di

Spiega il docente della Sapienza: «Nell’era industriale bastavano rigidi controlli. Ma oggi, in epoca post industriale, l’unica arma è motivare il lavoratore» sera. A differenza di quanto avviene negli Stati Uniti o nei Paesi anglosassoni, dove si entra e si esce sempre alla stessa ora, qui da noi gli orari sono molto più flessibili: si sa quando si entra e non quando si esce. I numeri forniti dal ministero dell’Economia descrivono però una situazione precisa. I dipendenti della pubblica amministrazione in Italia totalizzano quasi un mese di malattia all’anno. E questo stato di cose non può, inevitabilmente, che riflettersi sulla qualità dei servizi offerti al cittadino. Posso dire con certezza che la sfera pubblica è molto più sotto tiro rispetto a quella privata. Anche se è difficile capire come si possano comparare i dati. Certo, è probabile che ci sia più assenteismo, ma tenga conto che è sempre un assenteismo giustificato, anche perché in gioco c’è il posto di lavoro. Non crede che sarebbe necessario responsabilizzare maggiormente i dipendenti pubblici? Non c’è dubbio. Ma l’unica arma contro l’assenteismo è proprio la motivazione. Non si è assenti se si è motivati. Questo, però, vale principalmente per i maschi o per le donne senza figli. Nel caso di una neomamma o anche di una donna in gestazione è ovvio che il pensiero dominante sarà sempre la maternità. Non esiste lavoro, per quanto bello, che possa competere con la maternità come at-

Il livello di assenteismo nei Comuni italiani è cresciuto nel 2007 dell’9,3 per cento, nelle Province del 13,8. Qui accanto, il sociologo Domenico De Masi trattiva. Per fortuna. Secondo il professor Pietro Ichino sarebbe necessario introdurre delle vere e proprie pagelle e soprattutto maggiore flessibilità nell’ambito pubblico. È d’accordo con le sue proposte? Il professor Ichino ha una mentalità profondamente industriale, mentre noi viviamo in una società postindustriale. Nella società industriale si combatteva l’assenteismo attraverso controlli severi, in quella postindustriale si interviene sulla motivazione. Ci può chiarire meglio questo concetto? Nessun controllo mi può assicurare che un lavoratore intellettuale sarà veramente presente. Mentre posso dire a un operaio di venire alle otto per realizzare bulloni, non posso fare altrettanto con un manager a cui chiedo di produrre idee. L’unica salvezza per ridurre l’assenteismo della testa è saper motivare i lavoratori. Bisognerebbe allora introdurre all’interno della pubblica amministrazione la figura del motivatore?

Migliaia di ricerche si sono occupate di questo tema. È chiaro che un azienda seria ha tutto l’interesse a capire come si motivano i propri dipendenti, perché in questo modo si ottengono risultati più importanti. Si è scoperto che le motivazioni mutano con il mutare dei luoghi e dei tempi. Professore, non sarà soltanto un problema di soldi? Utile a questo riguardo rifarsi alla conclusione alla quale è giunto Frederick Herzberg. Secondo il quale ci sono dei fattori, come per esempio il denaro, i quali evitano che un lavoratore sia conflittuale, ma non determinano che il lavoratore sia motivato. Ci sono poi altri elementi da considerare: la partecipazione alle decisioni, la formazione e la certezza di poter crescere nell’ambito del lavoro. Siamo di fronte a un capitolo complesso e apertissimo nella sociologia del lavoro. Sta dicendo che, per comprendere la realtà, è necessario evitare di fare delle generalizzazioni? Sto dicendo che è molto importante distinguere tra lavoro fisico e intellettuale. E proprio perché il secondo tipo riguarda almeno il 60 per cento del totale della popolazione, farei molta attenzione. Professor De Masi, lei prima ha parlato del mondo anglosassoni: in questi Paesi il premio di produzione è una realtà consolidata da tempo. È una soluzione valida da esportare per la nostra pubblica amministrazione? In tutte le aziende è necessario avere un responsabile del personale capace, altrimenti non è possibile premiare chi lavora bene. È tutto un blocco di operazioni che la gestione del personale deve fare, e che da noi soltanto in pochi sanno portare avanti. Ma parliamoci chiaro: la gestione del personale è il grande ”fallito” di questa fase storica. Non c’è dubbio che un sistema meritocratico renderebbe più semplice la risoluzione dei nostri problemi? Si tratta di capire che cos’è un sistema meritocratico. Provi a spiegarcelo. Se un azienda mi chiedesse un consiglio, gli direi di fare una buona ricerca di base per capire qual è la situazione di partenza. Poi di volta in volta, a seconda dei casi affrontati, metterei in atto dei rimedi specifici. In conclusione? La verità è che non ci sono purtroppo dei rimedi generici.


economia

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d i a r i o

d e l

g i o r n o

Via al decreto sulla sicurezza nel lavoro Il Consiglio dei ministri ha varato il decreto per la sicurezza nel lavoro. Il ministro Cesare Damiano parla di «pene proporzionate», e di un «positivo equilibrio». L’arresto può essere sostituito da un’ammenda da 8 a 24mila euro se l’imprenditore ripara il danno. Ma il presidente di Confindustria Luca di Montezemolo resta insoddisfatto: «Non si salvano le vite insaprendo le sanzioni, le pene rischiano di essere comminate in modo indifferenziato». Così ha replicato il presidente del Consiglio Romano Prodi: «Questo testo non ha intenti punitivi nei confronti delle imprese, ma mette al centro la tutele della persona umana, la garanzia che i luoghi i lavoro siano all’altezza di un Paese moderno come è l’Italia». Intanto il procuratore di Trani sostiene che «per la tragedia di Molfetta non si può parlare di fatalità». E nella notte tra mercoledì e giovedì un operaio è stato travolto e ucciso da un treno a Milano.

La Bce lascia i tassi invariati

Italia maglia nera nell’applicazione del piano di sviluppo della Ue

L’agenda di Lisbona, quella sconosciuta a Roma di Alessandro D’Amato ROMA. Tre bocciature senza appello. Sono quelle arrivate all’Italia da altrettanti centri studi diversi, e riguardano tutte l’applicazione dell’Agenda di Lisbona. Ovvero il trattato firmato dai Paesi dell’Unione Europea per incentivare produttività, occupazione, finanze pubbliche e libero mercato. E che fissava una serie di obiettivi da raggiungere entro il 2010 per portare il livello di competitività a uno standard elevato, superiore a quello degli Usa.

La prima bordata è arrivata dal Centro Europa Ricerche, l’istituto fondato da Giorgio Ruffolo, che ha messo a confronto i dati sul mercato del lavoro - uno dei punti fondamentali dell’Agenda - che in Europa è «divenuto più flessibile nelle fasce a basso salario. Ciò ha aumentato l’occupazione, ma a scapito della produttività». E tra i Paesi Ue l’Italia è quello «con la peggior performance in questo ambito»: il tasso di crescita della produttività, all’1,5 per cento tra il 1990 e il 1999, è crollato allo 0,4 tra il 2000 e il 2007: un calo in totale del 73 per cento. Rallenta anche il reddito pro capite: tra il 1990 e il 1999 cresceva dell’1,38 per cento, mentre tra il 2000 e il 2007 non è andato oltre lo 0,79 (con un differenziale in termini percentuali del 42,8 per cento). Nell’Europa a 27 precediamo soltanto Malta e Portogallo. A compensare c’è l’occupazione (+342 per cento), ma soltanto parzialmente, visto che «le imprese hanno assunto persone la cui pro-

Nelle valutazioni dei centri di ricerca il Belpaese è indietro rispetto ai partner per produttività, fiscalità, liberalizzazioni e formazione duttività marginale è stata inferiore alla media. Ciò concorda con l’ipotesi che il mercato del lavoro sia diventato più flessibile all’estremità inferiore». Ma c’è di più. Secondo l’autorevole Euobserver.eu, il Centre for European Reform, think-tank londinese vicino a liberali e conservatori soltanto omonimo di quello italiano, ha definito come «villains» – letteralmente canaglie, criminali – Italia e Grecia, per aver fatto pochi o nessun progresso nelle aree più importanti. Definizione che i due Paesi dell’area mediterranea condividono con Malta, Polonia, Bulgaria e Romania.

Come negli anni precedenti, il voto più alto per l’applicazione dell’agenda di Lisbona va a Danimarca e Svezia, che hanno conseguito risultati eccellenti nell’equità sociale, nelle performance del mercato del lavoro e nella sostenibilità ambientale. Ma chi ha fatto registrare i maggiori progressi sono stati Austria, Olanda ed Estonia. Di contro, l’Italia è peggiorata. Notano gli autori del rapporto che, se nel 1997 il

nostro Paese faceva meglio di Francia e Inghilterra in termini di Pil per capite, in undici anni questo parametro è crollato. E, aggiungono, «deve fare di più e meglio per evitare il declino della sua prosperità rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea. Raggiunge oggi magri punteggi in tutti gli indicatori, e si classifica 23esima nella graduatoria generale». Peggiore soltanto rispetto alla Grecia. Allo stesso modo è severo il giudizio del centro studi ”The Lisbon Council”, che invece restringe l’analisi a 14 paesi e utilizza parametri diversi dal Cer. «Gran Bretagna e Germania hanno conseguito miglioramenti», notano gli analisti, «mentre l’Olanda ha perso posti in graduatoria, calando alla nona posizione dalla quinta. La migliore per quest’anno è la Finlandia, mentre Austria, Francia e Italia sono gli ultimi tre in graduatoria».

L’Italia era finita ultimo anche per il 2006: nell’ultimo anno il suo punteggio è migliorato, ma non tanto da risparmiargli la maglia nera. Ha percorso soltanto i due terzi del percorso fissato nel 2000, e ha soltanto due anni per colmare le lacune. Male soprattutto la produttività, la finanza pubblica e i posti di lavoro assegnati in base all’educazione universitaria. Anche se sempre secondo il rapporto, e questa è l’unica consolazione, Roma è arrivata terza negli investimenti in prodotti tecnologici. Una medaglia di bronzo che non cambia un risultato complessivo davvero magro.

La Bce ha tagliato le stime crescita per il 2008 in una forchetta di previsione compresa tra l’1,3 e il 2,1 per cento, rispetto al precedente range che era tra l’1,5 e il 2,5 per cento. Anche per il 2009 la Banca centrale europea prevede una crescita compresa fra 1,3 e 2,3 per cento, contro la forchetta 1,6 per cento-2,6 per cento. Tassi invariati: quello principale resta al 4 per cento. Prevista anche un’inflazione più sostenuta di quella considerata in precedenza: tra il 2,6 e il 3,2 per cento rispetto alla media del 2,5 dell’ultima stima. Secondo Trichet «c’è un rischio di rialzo dei prezzi e una generale incertezza per le turbolenze sui mercati, ma i fondamentali economici rimangono solidi».

Visco: il tesoretto è di 11,7 miliardi Entrate tributarie in forte crescita nel 2007, nonostante il rallentamento del ciclo economico, con una sorpresa a fine anno: un extragettito salito a 10,7 miliardi rispetto alle previsioni (11,7 se si considera un miliardo già speso per accelerare i rimborsi fiscali). E anche l’anno in corso dovrebbe riservare buone sorprese, anche perché nei primi 2 mesi si registra per le entrate già un +7,5%. A tracciare il quadro è stato ieri il viceministro delle Finanze Vincenzo Visco: «Possiamo essere abbastanza fiduciosi salvo sconquassi nella seconda metà dell’anno. Sul fronte della lotta all’evasione (20 miliardi recuperati tra il 2006 e il 2007) c’e’ ancora moltissimo da fare, e sarà fatto, visto che entreranno in vigore molti dei provvedimenti varati con l’ultima Finanziaria come, ad esempio, un grosso programma di rafforzamento dell’Agenzia delle Entrate».

Nuovi record per euro, oro e petrolio Sale alle stelle la tensione sui mercati: euro, petrolio e oro macinano nuovi record mentre sui titoli di Stato scoppia la bufera. Il differenziale tra i Btp decennali e i bund tedeschi è salito a 61 punti, nuovo massimo dall’inizio del 1999. Il Supereuro continua la sua corsa senza freni verso quota 1,54 dollari (nuovo massimo a 1,5378) creando allarme in Europa. Trichet è stato piuttosto laconico sull’impennata della moneta, limitandosi a ribadire di aver appreso «con estrema attenzione» le recenti dichiarazioni delle autorità statunitensi a favore di un dollaro forte e ribadendo che «oscillazioni eccessive» dei tassi di cambio «non sono desiderabili». Intanto anche l’oro continua a correre senza freni: il metallo prezioso ha toccato in Europa, nelle contrattazioni spot, 991,90 dollari l’oncia per poi ripiegare a 975 dollari l’oncia. Schizza il prezzo del petrolio che ha sfiorato quota 106 (105,97 dollari) sulla scia dei deludenti dati sulle scorte Usa diffusi ieri e delle tensioni tra Venezuela e Colombia. Successivamente è arretrato attorno a 104 sulle prese di profitto. A far volare i future è stata anche la decisione dell’Opec di lasciare la produzione di greggio invariata, per cui pure il Brent è salito al nuovo livello record di 102,95 dollari.

Ancora guai per Cecchi Gori Il tribunale del Riesame di Roma, su richiesta dei pm Stefano Rocco Fava e Lina Cusano, ha disposto il sequestro della società Cecchi Gori Cinema Spettacolo, riconducibile a Vittorio Cecchi Gori, proprietaria di centinaia di sale cinematografiche e immobili (per un valore di oltre 100 milioni di euro). Il provvedimento era stato disposto nell’ambito dell’inchiesta sul fallimento della FinMaVi avvenuto nell’ottobre 2006, nella quale Cecchi Gori è indagato per bancarotta patrimoniale, era stato respinto dal gip Gustavo Mariani e poi chiesto al Tribunale del Riesame.


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cultura

Corrado Stajano raccoglie i profili di chi ha saputo tradire le mode e i luoghi comuni del suo tempo

Gli infedeli del Novecento di Pier Mario Fasanotti ateci caso: le persone più intelligenti, quando devono chiedere informazioni su una persona, sempre più spesso pongono domanda: questa «Ma è una persona perbene?». I più acuti insistono sull’eventuale tasso di banalità e conformismo, non automaticamente disgiunto dall’onestà. Un ottimo criterio per valutare chi vale davvero e chi no. È questo il criterio cui ha obbedito Corrado Stajano raccogliendo i profili di quelli che a parer suo sono stati grandi nel Novecento. Il libro, non a caso, s’intitola Maestri e infedeli ( Garzanti, 368 pagine, 20 euro). “Infedeli” è un’accezione non morale, ma intellettuale: traditori dei luoghi comuni, delle mode, del sentito dire. Uomini e donne capaci di pensare liberamente a rischio di creare scandalo o, il più delle volte, polemiche. E a proposito di polemiche e di colpevoli (o strumentali) fraintendimenti viene subito in mente Leonardo Sciascia. Il suo romanzo fantapolitico Il contesto dette un gran fastidio ai comunisti. Napoleone Colajanni (sull’Unità) e il filosofo marxista Lucio Lombardo Radice lo hanno attaccato per quel romanzo «pregiuzialmente costruito» che ipotizza intrighi tra governo e opposizione e affianca la ragion di Stato con la ragion di partito. Sciascia per lungo tempo ha taciuto. Poi a Stajano, in modo molto pacato, e ironico com’era nel suo carattere, ha detto (nel ’72): «I comunisti hanno discusso il libro e hanno discusso tra loro. Questo fatto, in un Paese non serio, mi pare serio». E ancora: «Qualcuno ha anche dimenticato che non sono mai stato comunista. Ma direi che non fa differenza: anche se fossi stato comunista mi sarei sentito in diritto e in dovere di scrivere quel che ho scritto. Che poi la convivenza risulti ancora impossibile, come vent’anni fa per Vittorini, è un

F

Da Leonardo Sciascia a Carlo Emilio Gadda, che già prevedeva il futuro nero del giornalismo: «L’io è diventato un delirio... ora tutti scrivono di tutto... adesso le terze pagine sono diventate macerie»

Sopra Corrado Stajano; a sinistra Mario Tobino; sotto Benedetto Croce e a destra Raffaele Mattioli

problema che riguarda il Pci». Nell’introduzione Stajano racconta di un altro grande del Novecento, Carlo Emilio Gadda. Così lontano, e lontano anni luce, dai vezzi e dalle pose di molti scrittori, antichi e contemporanei. «Di continuo - ricorda Stajano - Gadda aveva l’aria di chiedere scusa, qualche volte si scusava sul serio. La nevrosi, la timidezza, l’ansia, il desiderio di mettere a suo agio l’interlocutore si me-

scolavano in lui alla speranza di venir messo a proprio agio».

Il «Gran Lombardo» anticipava quel che sarebbe successo anche dopo: «Quel che piace, o viene deciso che piace, al pubblico è la controversia, il capriccio, la polemica a tutti i costi. Chi decide veramente la linea? Il marketing, il libero commercio, la proprietà… il giornalista non è più un testimone partecipe ma, più che

nel passato, un protagonista in vetrina legato all’uno e all’altro carro… L’uso della prima persona singolare, anche in articoli di cronaca, è la regola, l’io è diventato un delirio… ora tutti scrivono di tutto… adesso le terze pagine sono diventate macerie». Mario Tobino era medico psichiatra oltreché scrittore. Ha sempre criticato la legge 180 voluta da Franco Basaglia: i matti fuori dei manicomi, la

pazzia come malattia sociale, eccetera. Tobino disse: «Quella legge mi provocò dispiacere, dolore: bisognerebbe sapere qual è stato il prezzo, il numero dei morti dovuti a quella legge. Ne sono morti a migliaia. Si sono trovati liberi, e chi era malinconico e amava la morte abbracciò la morte. E io a dire: ma che cosa succede, c’è dietro la politica, i sessantottini dicono che colpa della follia è la società, gli industriali, i datori di lavoro. Ero rimasto solo. L’ho scritto alla fine degli Ultimi giorni di Magliano: cari amici, addio, non vi ho saputo né proteggere né vendicare».

Raffaele Mattioli, banchiere e tra i fondatori dell’Iri, sapeva leggere i bilanci ma anche i libri, e ne leggeva a migliaia. Capitava che nelle sue conversazioni offendesse «i conservatori» che non avevano letto i classici della letteratura e della politica. Scrive Stajano: «Ha conservato la semplicità di chi è riuscito a fare della cultura un uso di vita… per lui l’intellettuale volgare è uno che se fosse analfabeta nessuno esiterebbe a dire che si tratta di un imbecille». Mattioli dalle sue frequentazioni con i buoni libri ha tratto l’insegnamento della probità: tenere la testa solida, non lasciarsi fuorviare dai polveroni di ogni genere, impedire che si creino falsi problemi. Il banchiere colto era sferzante a proposito dei cretini, anche quelli di successo: «Spesso la gente non sa di che cosa parla. Si è appropriata di una serie di slogan e di una terminologia più o meno repellente di cui non capisce il significato. Oggi tutti parlano in modo incomprensibile: quando ti hanno detto quel po’ di balle, se tu gli chiedi che cosa significa, non lo sanno». E ricordava una stupenda abitudine di Benedetto Croce: «Quando voleva fare un elogio a un filosofo non professionale, diceva: “Voi che siete una persona di buon senso…”».


arte

7 marzo 2008 • pagina 21

Catania celebra con tre mostre la sua ”Santuzza”. Tra storia, arte e devozione

Agata, un altro modo di essere donna di Maria Pinzuti Ansolini gata aveva 15 anni e viveva a Catania, nella metà del III secolo dopo Cristo; oltre a essere nobile e ricca, era anche molto devota e, inevitabilmente, anche molto bella. Possedeva tutte le qualità per eccitare i sensi nonché la bramosia di ricchezza di Quinziano, governatore romano al servizio dell’imperatore Decio. Ogni suo desiderio è legge, ma questa volta si tratta di Agata. La fanciulla sostiene in modo fermo di essere legata indissolubilmente alla figura di Cristo, tanto da indossare il velo rosso delle vergini consacrate. Quinziano, allora, la consegna a una prostituta esperta, Afrodisia e alle sue nove figlie.Tutti i tentativi di convincere la ragazza a cedere sono vani: Agata è coraggiosa, ostinata e fedele a Gesù. Tale atteggiamento di ribellione all’autorità imperiale, oltretutto da parte di una donna, è inammissibile. L’ira si impadronisce del tiranno, la fa prigioniera, le chiede di rinnegare la fede cristiana, cerca di intimorirla, ma senza risultato. Allora ordina una tortura efferata, per punire la sua bellezza e femminilità, le stesse che a lui erano state negate. I suoi seni verginali saranno torturati e strappati. Agata viene riportata sanguinante in cella dove avverrà un fatto strano. Riceverà la visita di San Pietro, sotto le spoglie di un uomo molto anziano, che si offre di medicarla. Lei rifiuta di essere curata, sempre in nome di Cristo. L’apostolo deve quindi spiegarle che il suo intervento si avvale dell’approvazione divina e allora il primo miracolo si compie: i seni di Agata si ricostituiscono, sulla sua pelle non c’è più traccia di ferita né di tortura. A quella notizia, il governatore reagirà in modo ancora più violento. Comanda di deporre, su un tappeto di cocci e carboni ardenti, il corpo nudo di Agata, la quale, morendo, offre definitivamente la sua vita a Gesù. In quel mentre, la terra viene scossa violentemente dal terremoto. Quinziano parte per arrestare i parenti di lei e impossessarsi delle loro ricchezze; attraversando il fiume Simeto, viene disarcionato, scomparendo tra i flutti.

A

lo, rappresentando un modello ideale di comportamento. È una donna giovane e bella che rinuncia ai beni materiali: lusso, potere, sesso. In nome dei suoi ideali, sceglie valorosamente il martirio, suscita ammirazione. In Italia, Sant’Agata è patrona di 44 comuni e di varie località in Spagna, in Portogallo, in Francia, in Germania e in Grecia. È compatrona della Repubblica di San Marino e in Argentina è la protettrice dei Vigili del fuoco. Nei secoli è stata invocata per fermare terremoti, epidemie, carestie, assedi, eruzioni, inondazioni, bufere, incendi e fulmini; oggi per scongiurare malattie femminili, in modo particolare i tumori al seno.

Catania, legata alla Santuzza da un rapporto speciale di protezione e devozione, la celebra quest’anno con una grande mostra iconografica, promossa dall’Arcivescovado e presieduta da un prestigioso comitato scientifico internazionale. Per Agata Santa: storia, arte, devozione, fino al quattro maggio, Catania si trasforma in un grande museo che comprende tre principali sedi espositive. Nel Museo Diocesano sono esposte le opere di ottanta artisti tra cui Puccio Capanna, Giovan Battista Tiepolo, Bernardino Luini, Lorenzo Lotto, Jacopo dal Ponte, Jacopo Ligozzi, Gustave Moreau. Le modalità di rappresentazione della santa e del suo martirio, cambiano attraverso i secoli. Il Medioevo la vede spesso elegantemente vestita, lo sguardo pudicamente rivolto verso il basso, nell’atto di offrire al cielo i suoi stessi seni, recisi, adagiati su un prezioso vassoio. Nei secoli successivi, a partire dal Rinascimento, Agata sarà più terrena, sofferente e sensuale; legata, a seno nudo, sotto lo sguardo sadico e arrogante dei suoi aguzzini, muniti di lunghe tenaglie. La sezione archeologica-storica è allestita nella chiesa di San Francesco Borgia mentre gli oggetti preziosi, testimonianze del culto della santa, sono esposti nella chiesa di San Placido. Complessivamente 250 opere, provenienti da 110 prestatori italiani e stranieri e comprese in un periodo di tempo che va dalla metà del terzo secolo d.C. fino alla fine dell’Ottocento. Percorrendo la città ci si potrebbe imbattere in più di una vetrina dove sono esposti altri oggetti di culto: le Minnuzze di Sant’Ajta, piccole opere di un’altra arte, quella pasticcera. Deliziose cassatine, piccole bianche e rotonde come le mammelle della santa, sormontate da una ciliegina candita: irrinunciabili.

Coraggiosa, fedele a Gesù. Martire del governatore romano Quinziano per non aver ceduto ai suoi desideri

Sopra ”Il martirio di San’Agata” di Giovanni Battista Tiepolo; in alto ”Sant’Agata” di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone; a destra: in alto ”La Madonna del Rosario tra le sante martiri palermitane” di Antonie Van Dyck; sotto ”Sant’Agata” di Bernardino Scapi detto Bernardino Luini

Un anno dopo, durante un’eruzione dell’Etna, una potente colata lavica si dirige verso Catania; il velo del sepolcro della martire sarà contrapposto all’avanzare del torrente di fuoco, provocandone l’immediato arresto. È miracolo e Agata è proclamata santa. La sua storia si diffuse rapidamente fino a raggiungere tutto il mondo cristiano già dalla fine del III seco-


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO

LA DOMANDA DEL GIORNO

Primarie Usa: Hillary rimonterà su Obama? CREDO DI NO: OGGI IN AMERICA IL GIOVANILISMO HA PIÙ CHANCES

SOLO A NOVEMBRE SI CAPIRÀ L’ORIENTAMENTO DELLA POLITICA USA

Io credo di no, anche se la Clinton ha dimostrato di avere una pelle dura e soprattutto alle spalle lobbies fortissime. Credo comunque che negli americani sia molto diffuso il desiderio della novità. Nuove facce, nuovi obiettivi, nuove idee. Che novità possono derivare da una donna che ha già semigovernato gli Stati Uniti per otto anni? Che ha già 60 anni e che insomma non può che rappresentare quel che fu? Già i repubblicani, presentando il vecchio Mc Cain, a mio parere hanno rinunciato alla presidenza. In America il giovanilismo ha sempre avuto forti chances, nel campo della Finanza, in quello dell’arte, in quello scientifico. E’ ora che lo stesso avvenga anche in politica.

Difficile poter dire sì o no. Ma che cosa cambierebbe? Tanto si sa che in campagna elettorale si dicono tante cose, si fanno tante promesse che poi lasciano il tempo che trovano. In fondo sono tutti e due dello stesso partito, non hanno mai dimostrato di avere dissensi profondi, nemmeno sulla guerra in Iraq, e da ultimo non ci sarebbe stata l’offerta della Clinton di avere Obama come secondo. L’orientamento della politica americana si capirà soltanto a novembre, quando sapremo qual è il nuovo presidente. Se democratico o repubblicano. E’ solo questa la vera importanza delle elezioni americane.

Andrea Forte - Milano

LA DINASTIA CLINTON È MOLTO POTENTE, TRA QUALCHE ANNO SI CANDIDERÀ LA FIGLIA Temo proprio di sì. Le vittorie trionfali nel Texas, nell’Ohio e nel Rhode Island intervenute nel periodo più nero per la senatrice americana (12 sconfitte di seguito) stanno proprio a dimostrare quanto potente sia la dinastia Clinton. Eppure è antipatica, è arrogante e la giudico di un opportunismo sfacciato. E’ rimasta al fianco del marito dopo gli scandali sessuali solo perché aveva deciso di fare carriera politica. Sono convinto che tra qualche anno, magari dopo gli altri otto di Hillary, vedremo scendere in campo la figlia. I Kennedy hanno fatto scuola. Accetto scommesse: se Hillary perde, ci sarà il divorzio da Bill.

Silvia Sambo - Bari

A NOI DOVREBBE INTERESSARE SOLAMENTE IL DESTINO D’EUROPA Queste primarie in Usa ormai stanno stufando l’opinione pubblica. Alla fin fine, l’essenziale per noi europei è quale signorotto si insedierà al posto del presidente Barroso nella Commissione europea, e soprattutto chi sarà il prossimo premier italiano, se Berlusconi o Veltroni. Questo è quello che ci deve interessare e che dovrebbe interessare ai nostri politici. Obama? Hillary? McCain? Bush? La risposta è sempre la stessa: siamo orgogliosamente europei, non ci interessa la politica dei supporter e dei tifosi faziosi, ci interessa solo del destino della nostra Nazione e dell’Ue. Cordialmente ringrazio. Distinti saluti.

Augusto Curino Torre Suda (Le)

Filippo Abete - Siena

LA DOMANDA DI DOMANI

Draghi e Montezemolo premier possibili?

DITTATORE ATOMICO Un manifestante sudcoreano espone un poster del leader Kim Jong II durante la protesta messa in atto a Seul contro il programma nucleare della Corea del Nord

BISOGNA ACCERTARE IN TEMPO LA SALUTE MENTALE DEI SOLDATI Si dice spesso che la mamma dei cretini è sempre incinta, ma io aggiungerei anche di quelli la cui perfidia continua a choccare il mondo intero. E’ notizia di ieri che un soldato americano, tempo fa, si è fatto riprendere mentre lanciava in un burrone un cucciolo di cane. Cioè un animale indifeso. Non mi vergogno a dire che mi sono commossa e che sono stata male durante tutta la serata. Non me ne vergogno nonostante questo, lo confesso, non mi accada mai quando a morire è un qualunque altro essere umano. Con tutta banalità, sarà perché ho un cucciolo della stessa razza del cane che è stato lanciato giù per la scarpata, destinato a una morte atroce e senza ammissibile

dai circoli liberal

Rispondete con una email a lettere@liberal.it

ASSENTEISMO ED EVASIONE VISTI DAL NORD Il risultato di Berlusconi probabilmente sarà condizionato dall’andamento elettorale della Lega Nord che appare in deciso rialzo rispetto le ultime elezioni. Il Nord vive ora una stagione di forte congiuntura che non sempre trova riscontro nei dati statistici ufficiali e quindi viene sottovalutata dalla politica. L’andamento del Pil infatti non può certo esprimere appieno il crollo verticale dello standard di vita e di fiducia del ceto medio al Nord. Aumento dei prezzi delle materie prima, crollo dei consumi e concorrenza della grande distribuzione, forte diminuzione del credito bancario e alti interessi, difficoltà di esportare i prodotti, hanno investito nel Nord come uno tsunami commercianti, artigiani e piccoli imprenditori. A questo si aggiunge un duro atteggiamento antievasione dello Stato che viene percepito come un sopruso del Sud “parassita” contro il Nord “produttivo”. Ma al Nord l’aggressività dello Stato nella lotta all’evasione viene istintivamente associato all’immorale situazione degli spre-

chi dell’Amministrazione Pubblica in particolare al Sud. Tuttavia Trieste, con 29,1 giorni medi di assenza all’anno, è la città più assenteista del Friuli Venezia Giulia secondo una classifica sul Pubblico impiego relativa al 2006 diffusa dal Sole 24 Ore. Nel Comune di Vibo Valentia nel 2006 i 284 dipendenti del municipio calabrese hanno totalizzato 25,1 giorni di malattia a testa e al secondo posto i 22,5 giorni di ogni lavoratore del Campidoglio. Il Campidoglio è il primo Comune capoluogo d’Italia in fatto di diserzioni da parte dei dipendenti: 38,9 giorni pro capite nel 2006. Mettendo nel conto anche le ferie e i permessi retribuiti, la cifra decolla fino a 68,5 giorno. Siccome i giorni lavorativi settimanali sono meno di 7, è come dire un trimestre non produttivo all’anno. E il sindaco di Roma pretende di diventare il sindaco d’Italia. Ed è probabile che nel pieno della campagna elettorale, sarà un argomento di peso tra Pd e Pdl. Insistere sul calo delle tasse è un prender in giro gli elettori a causa dell’alto debito pubblico: non è possibile se non in apparenza, come un gioco delle tre carte, o spostando il peso fiscale

giustificazione. Sarà perché altrettanto banalmente appartengo a quella (per fortuna cospicua) categoria di persone che proprio non riuscirebbero neanche solo a immaginare che un uomo possa arrivare a compiere orribili azioni come questa. In ogni caso mi chiedo: è giusto che la stampa diffonda il video-choc? Non basterebbe, per dovere di cronaca, riportare la notizia senza però corredarla di immagini truculente? Serve ad aumentare il numero di ingressi e i ”click” in Internet? Ma soprattutto: è mai possibile che un soldato arrivi a lanciare un cane in una scarpata facendosi riprendere sorridente, senza che nessuno prima si sia premurato di verificare il suo stato di salute mentale?

Gaia Miani - Roma

da una categoria sociale all’altra o da un metodo di prelievo all’altro. Porre rimedio all’assenteismo e all’inefficienza del dipendete pubblico è necessario per sostenere moralmente la lotta all’evasione. Un buon inzio potrebbe essere un impegno legislativo che assimilasse sotto il profilo morale e quindi sanzionatorio l’assenteismo all’evasione. L’assenteismo non è sempre un rubare allo Stato? Leri Pegolo CIRCOLI LIBERAL PORDENONE

APPUNTAMENTI ROMA - SABATO 8 MARZO 2008 ”LIBERALI E CRISTIANI PER RICOSTRUIRE L’ITALIA” Ore 11, presso il Teatro Valle, in via del Teatro Valle 21 (piazza Navona) Assemblea nazionale dei Circoli Liberal. Interverranno Pier Ferdinando CASINI, Ferdinando ADORNATO, Angelo SANZA


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Sarai la mia virtuosa, onorata e leale amante Amatissima amica, sicuramente mi permetterai di chiamarti ancora con questo nome. Nonostante tutti i miei tentativi mi hai scacciato tre volte e mi hai detto in faccia che non intendi più aver nulla a che fare con me. Io non sono così focoso, rozzo e stupido da accettare la mia dismissione. Ti amo troppo. Ti raccomando pertanto di riflettere sulla causa di questa spiacevole vicenda, nata dal fatto che mi ha seccato il modo impudente e sconsiderato da farti dire a tua sorella che tu avevi permesso a un gentiluomo di prendere le misure dei tuoi polpacci. Nessuna donna cui stia caro il suo onore può comportarsi così. Ma basta ora; e il minimo riconoscimento del tuo comportamento metterebbe a posto le cose di nuovo. Se solo tu ti arrenderai ai tuoi sentimenti, allora so che quello stesso giorno sarò in grado di dire che Costanze è la virtuosa, prudente, onorata e leale amante del suo onesto e devoto. Wolfgang Amadeus Mozart a Costanze Weber

QUANDO IL PASSATO NON GETTA LUCE SUL FUTURO La lettura dell’articolo di Liberal, dedicato alla vicenda del Pdl, partito monarchico ed anarchico ha suscitato in me alcune osservazioni. Esiste una certa analogia tra un Pd multiculturale ed un Pdl non ideologico (vedesi le esternazioni sulla libertà di coscienza). In realtà tra il tanto sbandierato sincretismo filantropico e l’anarchismo etico si potrebbe celare la più sottile, la più subdola delle ideologie come già profetizzato in anni ormai lontani da Augusto Del Noce sulla sorte del materialismo dialettico, dalla cui dissoluzione sarebbe sorta almeno in occidente la piena realizzazione di quella società tecnocratica caratterizzata da nichilismo, omnirelativismo e scientismo; tutti temi che Liberal ha trattato e spero continui a sottoporre alla nostra attenzione. Noto di passaggio che l’ultimo libro pubblicato da Israel, che sto iniziando a visionare, è la piena conferma di questa tesi: l’idea del perfettismo, della liberazione dell’uomo formulata e tradotta nel secolo scorso in ambito politico, una volta giunta al suo compimento fallimentare, viene ri-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

versata e traslata sic et sempliciter nella tecnoscienza, nell’eugenetica. Date queste premesse appare meno incomprensibile il mancato apparentamento tra la lista ”pro life”di Ferrara ed il Pdl, quasi la semplificazione del cartello elettorale fosse di necessità posta a nocumento dell’identità. Mi rammarico invece del mancato, di certo sempre auspicabile apparentamento molto più naturaliter tra la lista pro life e l’Udc che considera l’antropologia identitaria un punto chiave del proprio programma elettorale. Infatti l’incipit, il primum movens è proprio la difesa della vita, dell’essere., dell’origine, posto a fondamento imprescindibile della persona, della famiglia, dell’aggregazione sociale. Si tratta di

argomentazioni di non secondaria valenza: infatti la nostra scelta elettorale si basa in maniera semplice ma efficace, anche sull’assenso dato ad un’idea, ad una concezione antropologica, ad un’appartenenza; altrimenti tutto cade nella convenzione, viene reiterata la solita retorica sulla ”questione morale”, le parole espresse diventano un puro nominalismo, al massimo un sentimentalismo vago ed un pietismo mellifluo. Un’ultima considerazione infine a margine dell’enorme difficoltà di tradurre questa antropologia identitaria da parte dei moderati, del ceto intellettuale e produttivo in un impegno culturale sociale e politico propositivo,cioè in un’azione efficace o quanto meno visibile e credibile, nel reale e fattivo superamento di tutte queste frammentazioni e divisioni polemiche. A tal proposito, di estremo interesse le considerazioni espresse nell’articolo su ”Buckley, l’uomo che fondò Reagan”, su cui gradirei ulteriori approfondimenti in futuro. Ma, come già ammoniva Tocqueville, e questo forse è il vero punto nodale, ”quando il passato non getta più la propria luce sul futuro, lo spirito dell’uomo avanza nelle tenebre”.

Pierfranco Morini - Torino

PUNTURE In Campania non c’è storia: la sinistra è ai minimi storici. È stata spazzata via.

Giancristiano Desiderio

il meglio di LA PATENTE Primo atto: Come qualcuno ricorderà, l’intero centrosinistra italiano si spese con grande passione a favore di Segolene Royal in occasione delle presidenziali francesi. Auguri a più non posso, perfino comparsate ai comizi. Credo che tutti sappiano com’è andata a finire: Segolene ha rimediato una delle più clamorose batoste elettorale che la sinistra francese ricordi e ancora non si è riavuta. Secondo atto: All’inizio della campagna elettorale italiana, UolterUeltroni ha letterealmente copiato lo slogan di Barack Obama (Yes, we can!) quando il senatore afro-americano sembrava lanciato verso una lunga discesa fino alla nomination democratica. Ieri, Texas e Ohio hanno stecchito le ambizioni del grande sognatore (vedasi Nullo che c’è sempre da imparare) e probabilmente il nostro Hussein non ce la farà. Terzo atto: Zapatero ha ricevuto gli auguri per le prossime elezioni spagnole e, dicono, si stia grattando costantemente i coglioni, sebbene la Cassazione abbia qualificato il gesto come reato. Dovesse perdere, le coincidenze sarebbero tre. E tre coincidenze, come diceva Agatha Christie, fanno un indizio.

La voce del padrone lavocedelpadrone.net

PD: VOLANO GLI STRACCI

Quando tentiamo di immaginare il Paradiso in terra, il risultato immediato è un molto rispettabile inferno PAUL CLAUDEL

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

Inutile negarlo, nel Pd è iniziata la resa dei conti. Mi viene da pensare: ”Di già?”. Non era forse intenzione di D’Alema aspettare il risultato (negativo) delle elezioni per riprendere il pieno potere nel centrosinistra? A quanto pare c’è stata una improvvisa accelerazione, fomentata probabilmente dal-

l’arresto degli ultimi giorni del Pd in tutti i sondaggi. Tutti, anche Crespi, danno per concluso il recupero, tralaltro fisiologico, del Pd e stimano in 8-10 punti percentuali la differenza di preferenze tra PdL e Pd. Forse anche le più piccole speranze di pareggio sono sfumate, e dall’altra parte è già iniziata la resa dei conti, attesa per metà aprile. Ma questo non ci interessa più di tanto. Quello che mi preme evidenziare oggi è l’esplosione di due casi: quello dei Radicali e quello della corrente prodiana. I primi sono rimasti delusi, molto delusi, dal comportamento di Uolter. Avevano chiesto 9 eletti sicuri, invece si è scoperto che i nove posti non erano sicuri, ma subordinati alla vittoria (molto improbabile). Pannella, zittito fino ad oggi dalla Bonino ha deciso di farla pagare ai vertici Pd. Oltre che l’ormai antica pratica dello sciopero della sete, Pannella ha detto un’altra cosa importante: ”Non rinunciamo all’accordo con il Pd”. Capito? (…) Se Pannella resta il Pd non vince, chiaro e conciso. Si scrive accordo e si legge vendetta. L’altro caso è forse ancora più interessante: sono in molti a pensare a Prodi, oggi come nel 2006, come ad una marionetta nelle mani di questo o quel politico. Non è vero, Romano Prodi è un politico cinico e spietato, che sa architettare per bene le sue vendette. E non ha certo preso bene il suo pensionamento anticipato causato non dalle decisioni di Mastella ma dalla dichiarazione di Veltroni di voler correre da solo. (…) Veltroni, chiuso in una morsa che opprime da due lati, è avvisato.

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ASSEMBLEA NAZIONALE Roma 8 marzo 2008 • ore 10,30 Teatro Valle • via del Teatro Valle 21

i circoli liberal con liberali e cristiani PER RICOSTRUIRE

L’ITALIA

Ferdinando

ADORNATO CASINI Pier Ferdinando

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