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ISSN 1827-8817 80214

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

di e h c a n cro

Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma

di Ferdinando Adornato

La questione cattolica diventa il centro della sfida elettorale (e l’Udc pensa di correre da sola)

Il popolo decisivo alle pagine 2, 3, 4 e 5

Socrate Si può salvare la scuola? faccia a faccia tra Giuseppe Bertagna e Giorgio Israel Nicola D’Amico, Giacomo Zagardo da pagina 12

GIOVEDÌ 14

FEBBRAIO

saghe

Afghanistan

TOPOLINO & COMPANY A SPASSO CON I MANGA

di Roberto Genovesi

Ucciso italiano. Ottomila soldati da tutelare

a pagina 21

2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

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25 •

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IN REDAZIONE ALLE ORE

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il popolo

decisivo

Il riassetto del sistema politico ha riproposto la questione del voto dei cattolici

Il ritorno dei grandi assenti (e l’Udc pensa di andar da sola) di Renzo Foa a questione del voto cattolico pesa sempre più sulla politica italiana. Ne condiziona tempi e scelte. Provoca scosse. Alimenta discussioni. Accende polemiche, che travalicano sempre più il vecchio confine tracciato dalle culture laiche. Si può obiettare che non si tratta di una novità. Ormai da anni, dal dibattito sulla legge 40 e dal tentativo di abrogarne alcune parti attraverso il referendum promosso dai radicali e dai Ds e poi fallito per mancanza di quorum, ha preso via via forma una presenza dove la separazione tra ambito politico e sfera culturale è chiara, ma dove sono meno lineari altri fenomeni.

L

La novità sta nella ineludibilità del problema nel momento in cui il sistema politico archivia una sua fase, per entrarne in un’altra. Non penso solo al progetto ambizioso di un assetto bipartitico e, quindi, alla partita che si è aperta nell’area del centrodestra, con gli aut aut posti da Silvio Berlusconi a Pier Ferdinando Casini per risolvere alla radice vecchi e nuovi problemi di equilibri interni. Una partita che probabilmente il Cavaliere considerava facile da risolvere e che ha sollevato invece grandi domande sulla natura dell’alleanza, sul suo profilo, sul peso che debbono avervi i cattolici. Quindi non penso solo alle mosse della partita a scacchi in corso in questa settimana, perdipiù con le tensioni seguite all’intervista del direttore di Avvenire Dino Boffo. E non penso neanche all’ipotesi che ieri i centristi hanno pubblicamente ventilato, cioè di correre soli candidando Casini a Palazzo Chigi, ipotesi che però deve essere ancora discussa e approvata. Questo è senza dubbio il passaggio più importante. Ma c’è molto altro. Ci sono i teo-dem che hanno contribuito a dare un segno alla Margherita, molto più di quanto non abbiano fatto gli

ex-popolari attivi nel centrosinistra e che ora condizionano i passi del Pd. C’è stata poi la mobilitazione del Family day, che ha espresso l’ampiezza di una voce laica e trasversale direttamente promossa dalla Cei e che ha lasciato un segno profondo. C’è ora la presenza sulla scena della Rosa Bianca, che al Family day si richiama attraverso la presenza di Savino Pezzotta ma che assorbe anche Dna più direttamente politici. C’è, infine, l’irruzione della lista Pro life di Giuliano Ferrara, che segue il lancio della campagna per la moratoria sull’aborto e che, probabilmente aldilà delle intenzioni del suo promotore, ha aperto una falla nella diga costruita attorno alla 194 (che la Chiesa non sembra voler rimettere in discussione dalle fondamenta). Si tratta di fenomeni spesso in contrasto fra loro. Competitivi, se non direttamente avversari. Ma il filo che li unisce è il peso crescente che esercitano sul corso della politica italiana. Come non era mai successo dall’inizio della diaspora democristiana e dall’apertura di quel vuoto, che poi il cardinal Ruini ha cominciato a riempire con il «progetto culturale»

cettazione di un comune terreno di confronto. In una simile cornice conflittuale, il nuovo protagonismo cattolico – in cui c’è il clero, ma che è largamento composto da un vastissimo laicato e da inaspettate energie intellettuali, gli «atei devoti» – rappresenta uno sforzo di affermazione di valori che, dalla sfera religiosa, si sciolgono più concretamente nella società. In tante forme flessibili, di presenza politica, ma anche culturale.

La peculiarità del italiana del fenomeno religioso, a differenza di quanto è accaduto e sta accadendo ad esempio in America, sta proprio in questo: i valori – moderazione, solidarietà, tolleranza, responsabilità individuale – sono proposti ad una società fortemente indebolita nella sua coesione sociale e civile. Rappresentano un fattore di unità in un Pae-

Dopo il rifiuto del referendum sulla legge 40 e il Family day, c’è un nuovo protagonismo sottolineato dalla difesa dell’identità dei centristi e poi da fenomeni come i teo-dem, la Rosa bianca e la lista Pro life di Ferrara della Cei. A cosa dobbiamo, dunque, questo pesante ritorno della questione cattolica? Una prima risposta possiamo leggerla in controluce nella deflagrazione laicista – nel senso classico del termine – delle polemiche quotidiane che ci riportano quasi alle origini, a Porta Pia. Solo per restare agli ultimi giorni, se non è la contrapposizione alla presenza di Benedetto XVI alla Sapienza di Roma, è l’accusa di censura mossa ai vescovi (questa volta davvero senza colpe) nei confronti del film Caos calmo. Ad una presenza culturale, prima ancora che politica, si oppone sempre un fuoco di sbarramento, un rifiuto della discussione, la riproposizione costante dello steccato laicità-clericalesimo. Secondo vecchi e abusati schemi. Un approccio più realista ci dice che questo conflitto sottolinea soprattutto un divario crescente tra la cultura che la Chiesa sta esprimendo e le culture che le si contrappongono. Non c’è, nel muro dei «no», un rifiuto argomentato della religiosità espressa dal cattolicesimo, così come si è evoluto e si è aperto sotto gli ultimi due pontificati. C’è un rifiuto ben più duro, c’è la mancata ac-

offrire agli italiani una piattaforma di valori. Piaccia o non piaccia, poi, è il cattolicesimo a riproporre la qualità del moderatismo. In questo non c’è solo l’eredità dell’ispirazione cristiana, che è già importante. C’è soprattutto la sostanziale moderazione con cui si è presentata la Chiesa, nella stagione post-democristiana. Moderazione di linguaggio. Moderazione di stile. Moderazione anche nei suoi interventi pubblici nelle vicende interne. Il ricorso al «metodo dello scandalo» - cioè le grida sull’interventismo e sul fondamentalismo vaticano – non è riuscito ad oscurare il tratto distintivo di una presenza, che è stato quello della tranquillità. Il cattolicesimo, nel suo insieme, in questi anni ha proposto argomenti, riflessioni, elaborazioni all’insegna non della spettacolarità quanto della serietà. Ha rappresentato un esempio, in un Paese in cui le leadership hanno perso l’abitudine di dare l’esempio. Attenzione. Il moderatismo è stato sottolineato anche dallo iato profondo fra la dottrina e l’accettazione di leggi dello Stato sulle più sensibili questioni morali. È stato un cattolicesimo che non solo ha accettato i rapporti di forza politici con grande realismo – appartengono alla preistoria i referendum abrogativi delle leggi sul divorzio e sull’aborto – ma che si è impegnato direttamente nella soluzione legislativa di problemi complicati, che solo l’«ideologia dei diritti» presenta come semplici. Si tratta dunque di una presenza importante. Frantumata e dispersa nella sua rappresentanza politica. Ma resa forte dal sistema dei valori di riferimento.

Ecco perché la questione del

se ridotto a coriandoli, come ha detto Giuseppe De Rita. Lo rappresentano molto di più che in altre realtà europee, come ad esempio la Spagna. Svolgono una vera e propria funzione di supplenza, nella fragilità delle leadership, nella crisi delle istituzioni e nella opacità di poteri pubblici, che dovrebbero essere invece trasparenti. Piaccia o non piaccia, oggi è soprattutto il cattolicesimo a

voto cattolico si ripropone nel momento in cui il sistema dei partiti entra in una possibile stagione di risistemazione. Si ripropone perché è ineludibile. Il Partito democratico è nato tenendone conto, forse anche grazie al peso della cultura ex-Pci che, dall’epoca di Togliatti, ha sempre fatto i conti con il dna cristiano della società italiana. Può colpire il fatto che l’accelerazione imposta al centrodestra con il listone del Pdl e con gli aut aut all’Udc abbia sottovalutato il problema. In questo caso c’è in primo luogo un difetto di cultura. Ma quel che sta accadendo ricorda che la questione non è aggirabile.


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Parla il filosofo Giovanni Reale

«Meglio soli che azzerati» di Errico Novi

Uno scorcio del Family Day e in alto a sinistra il filosofo Giovanni Reale

Il Pp insidia Zapatero nei sondaggi. E Mike Huckabee spopola nel sud

Il vento cristiano soffia anche in Spagna e Usa L’impatto delle questioni etiche e religiose nell’arena politica non è un fenomeno limitato all’Italia. Negli Stati Uniti, il pastore evangelico Mike Huckabee è rimasto ormai l’unico candidato capace di resistere allo strapotere di John McCain nelle primarie per la conquista della nomination repubblicana. Malgrado l’attacco simultaneo da parte dell’establishment del partito e dei talk show radiofonici che orientano milioni di voti conservatori, l’ex governatore dell’Arkansas continua a mietere consensi, soprattutto negli stati meridionali della cosiddetta Bible Belt. E martedì, in Virginia, è andato molto meglio di quanto prevedessero i sondaggi. Anche in campo democratico, soprattutto con Barack Obama, la “questione cristiana” è diventata centrale nello scontro con Hillary Clinton. E ormai le mega-church che spuntano come funghi nei sob-

borghi intorno alle grandi città vengono considerate, da politici locali e nazionali, come vere e proprie sedi privilegiate per le campagne elettorali. L’appoggio di una chiesa con molti fedeli conta, ormai, più dell’endorsement di un sindaco o di un governatore. In Spagna, dopo l’intervento diretto dei vescovi in campagna elettorale, il Psoe di Zapatero ha perso consensi rispetto al Partito popolare. A meno di un mese dalle elezioni, i socialisti hanno ormai un vantaggio che oscilla tra i 2 e i 3 punti percentuali. E già si profila il rischio di un Parlamento con nessuno dei due partiti maggiori in grado di poter contare su una maggioranza solida, come sembrava scontato (a favore del Psoe) soltanto qualche settimana fa.Tra i temi che sembrano spingere il Pp c’è la richiesta agli immigrati di firmare un impegno al rispetto dei costumi spagnoli.

D’altra parte la presenza dei cattoROMA. Giovanni Reale insegna da decenlici moderati nel centrodestra ha ni che il pensiero classico è la base di tutincontrato un rifiuto. Non c’è alta la conoscenza. E che in Occidente la ternativa alla solitudine, in politistessa ricerca scientifica si è fondata su ca, per difendere i valori di cui lei una ricerca di senso. A uno dei maggiori parla? filosofi italiani chiediamo se vede oggi un senso nella politica italiana. Se il suo «Se dall’altra parte non ti danno il minisguardo orientato dalla fede cristiana ri- mo che tu ritieni necessario per collaboconosce ancora un ruolo chiaro all’impe- rare e aderire a un progetto, è giusto che gno dei cattolici. O se tutte le identità so- tu compia altre scelte. L’importante è ocno diventate irriconoscibili al punto che cuparsi del bene comune. E innanzitutto un partito che ispirato alla dottrina so- del riequilibrio tra i diritti e i doveri, mesciale della Chiesa sia davvero un sogget- so da tempo in discussione anche dall’into alieno rispetto ad altri. troduzione del 6 politico. I giovani soffroCi sono segnali contrastanti. Alcu- no più di tutti questa perdita di senso. C’è ni, la battaglia dei moderati per di- da domandarsi quale partito sia in grado di rispondere al loro smarrimento. Penso fendere la propria identità o l’inial cattivo esempio offerto dalle forze delziativa di Giuliano Ferrara, fanno la maggioranza del governo Prodi». pensare che si sia aperta una fase nuova per l’impegno dei cattolici È un centrosinistra che l’ha deluin politica. sa? «Sono convinto che ci «Romano Prodi mi ha bene impressionato, ma mi ha colpito il fatto che le sinsia un nuovo corso e che gole forze dicessero sia necessario per riÈ giusto che i cattolici sempre di non essere dare certezze a una d’accordo. Ciascuno società svuotata. compiano scelte diverse guardava al proprio Svuotata dal nichilibene anziché al bene smo, dall’idea che tutse non viene dato loro comune. Tocqueville to è uguale. Non si cail minimo che chiedono dice che l’individualipisce perché tanti vesmo è il peggior nemidano nelle proposte per collaborare, e che co dello Stato». della Chiesa un’iniziativa politica in senso si battano per riaffermare Forse nella cosiddetta Prima Repubblica si proprio, machiavellil’equilibrio tra diritti viveva in un quadro co. Le parole del Papa meno desolante. sono metapolitiche, e e doveri «Ma a me pare che risuonano perché c’è dei bisogni ideali si una crisi di senso diffusissima, come ha scritto Ernesto Galli vadano formando, in Italia come nel resto d’Europa, tra i cattolici come tra le della Loggia sul Corriere della Sera». Dal Vaticano non arrivano indicaminoranze islamiche che non vogliono zioni di voto, dunque. ridurre l’integrazione a bere birra e an«I cattolici possono votare qualsiasi par- dare dietro alle ragazze. E non è il caso tito, dice la Chiesa, basta che ciascuno di allarmarsi per quello che è successo con la propria fede riconosca in quel par- a Papa Benedetto alla Sapienza: tito un’occasione di difendere la verità. trent’anni fa al Cnr mi vietarono di usaLa religione non va confusa con l’ideolo- re la parola Dio, il presidente disse che gia. E oggi credere significa opporsi alla lì si parlava di scienza e non di mito. perdita di certezze, all’idea che tutto è le- C’era già quel laicismo illuministico cito, che i diritti debbano prevalere in spaventoso che oggi chiamiamo penogni caso sui doveri». siero unico. E al quale si oppone il bisoE in concreto come si può esprigno che vedo diffondersi di tornare a mere l’impegno dei cattolici? Lei qualche valore». È per questo che in Italia la sinisembra non sentire il bisogno di stra riformista non vuole accorun unico grande partito confessiodarsi con i radicali, o per mero opnale. Trova più sensata la presenza portunismo politico? di una formazione cattolica all’interno di un’area più vasta? È quel«Mi pare cominci a diffondersi l’idea che lo che si proponeva di fare l’Udc le libertà intese in senso assoluto rischiacon il centrodestra. no di diventare dittatura. Ce lo insegna«Io credo che questa sia la soluzione mi- va già Platone». gliore, oggi in Italia. Anche perché coDa dove si riparte, professore, per struire un grande partito di ispirazione ridare una direzione alla società? cristiana espone a un rischio: che molti «Dalla scuola che deve ritrovare i contevi entrino non per adesione ideale ma nuti, come io suggerii a Berlinguer, e che per ragioni politiche più generali. Cristo non può ridursi a insegnare tecnicalità. diceva: il mio regno non è di questo mon- Ionesco diceva: gli uomini girano per la do. E la Chiesa stessa non vuole imporre gabbia del pianeta perché non riescono ma fare proposte». più a guardare il cielo».


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Perché, secondo i Padri Fondatori americani, la fede ci aiuta a vivere

Da Jefferson al XXI secolo I sette vantaggi dell’identità cristiana di Michael Novak elle ultime generazioni, molti scrittori dell’American Experiment hanno purtroppo mostrato scarsa conoscenza dei dibattiti particolareggiati tra fede e ragione, che hanno avuto luogo fra dotti cristiani a partire dal Terzo secolo. Al contrario, la maggior parte dei fondatori della nazione conosceva il significato di termini classici come “sentimento”, “opinione”, “convinzione”ed “evidenza”nella loro lingua originaria, latino, greco e (nel caso di Madison) ebraico. Grazie al livello intellettuale generalmente alto della predicazione in molte chiese americ ane (i ministri di culto spesso sono i meglio istruiti tra i cittadini), essi impararono anche a seguire le distinzioni classiche e a spiegare termini tradizionali. Le Commencement Theses richieste agli studenti laureandi alla Columbia, a Harvard, Yale, Princeton e William and Mary, per esempio, erano ancora nella lingua e nelle forme tipiche della scolastica medievale. Tuttavia, viene da chiedersi che cosa possa aggiungere, secondo questi uomini dotti, la luce della fede al lume della ragione e dell’esperienza, e che cosa fornisce la fede che la ragione non sia in grado di raggiungere. I fondatori menzionarono almeno sette contributi. In primo luogo, la fede fornisce alla ragione una scena cosmica, il dramma del libero esercizio della responsabilità personale nella storia, e l’acuta consapevolezza di un giudizio finale nell’«ultimo giorno», in cui nessun pensiero, parola o azione sfuggirà a un esame minuzioso. In questo modo, la fede allarga l’orizzonte umano, fa sollevare lo sguardo. Gli esseri umani sono giunti a considerasi, fra tutte le creature, «i liberi e i prodi»: liberi, perché a differenza di tutti gli altri animali devono fare delle scelte, e prodi perché devono combattere prima di tutto contro se stessi, ma anche contro

N

Per Tocqueville, «idee salde su Dio e la natura umana sono indispensabili alla pratica giornaliera della vita» forze cosmiche malvagie e oscure, che talvolta potrebbero sopraffarli. Il fatto che soltanto gli uomini e le donne, fra tutte le creature, siano dotati di ragione e di comprensione e non soltanto di istinto brutale, per i fondatori era una prova che sono predestinati all’autogoverno e all’autocontrollo.

In secondo luogo, la fede stimola e ravviva la coscienza, rendendola consapevole di piccole sfumature di tentazione, inclinazione e resistenza. Quando un giovane chiese a Thomas Jefferson in che modo ci si potesse preparare a una vita di libertà, questi rispose: «Rinuncia al denaro, alla fama, alla scienza, e concediti alla terra stessa e a tutto ciò che contiene piuttosto che compiere un’azio-

ne immorale. Non pensare mai che in qualunque situazione possibile o in determinate circostanze sia meglio per te fare una cosa disonorevole, per quanto leggera ti possa sembrare. Ogni qualvolta tu fai una cosa, benché possa essere conosciuta da te soltanto, domandati come ti comporteresti se tutto il mondo ti stesse guardando, e agisci di conseguenza. Promuovi tutte le tue disposizioni virtuose, e questo esercizio le renderà abituali». Poi, come se stesse predicendo esattamente quello che sarebbe potuto succedere a un leader futuro, Jefferson aggiunge: «Nulla è più sbagliato della supposizione che una persona deve districarsi da una situazione difficile attraverso il raggiro, il cavillo legale, la dissimulazione, l’opportunismo, la menzogna e l’ingiustizia. Questo non fa che accrescere le difficoltà; e coloro che perseguono questi metodi, alla lunga, si mostrano così coinvolti da non poter più cambiare direzione, ma la loro infamia diventa sempre più esposta. È di estrema importanza essere risoluti, non essere agitati, e non dire il falso. Non c’è vizio più meschino, deplorevole e spregevole; e colui che si permette di dire una bugia una volta, troverà molto più facile farlo una seconda e una terza, fino a che alla lunga ciò diventerà abituale; dirà menzogne senza curarsene, e verità senza che il mondo gli creda. Questa falsità della lingua conduce a quella del cuore, e col tempo corromperà tutte le sue buone disposizioni». In poche parole, la fede solleva lo sguardo di ognuno verso traguardi che vanno al di là della fama, del progresso, della scienza e di qualsiasi altro bene terreno. La fede ci insegna che alcune azioni, perfino se sconosciute agli altri e utilitarie, sono spregevoli in se stesse. Questa è la lezione che ci proviene da Jefferson, forse il meno religioso dei grandi fondatori.

In terzo luogo, come affermava uno sfortunato progetto di legge dell’Assemblea della Virginia nel 1784, «la diffusione generale della conoscenza cristiana tende a correggere la morale degli uomini, frenando i loro vizi, e a preservare la pace della società». Anche se gli americani sono audaci e intraprendenti nel creare la propria fortuna, secondo Tocqueville, «i rivoluzionari d’America sono costretti a professare apertamente un certo rispetto per la morale e l’equità cristiana, che non permette di violare facilmente le leggi quando si oppongono ai loro disegni; e, anche se essi riuscissero a elevarsi al disopra dei loro scrupoli, sarebbero ancora trattenuti da quelli dei loro partigiani. Fino a oggi non si è ancora trovato alcuno negli Stati Uniti che abbia osato formulare questa massima: che tutto è permesso nell’interesse della società. Massima empia, che sembra essere stata inventata per legittimare l’avvento dei tiranni. Pertanto, mentre in una società libera «la legge permette al popolo americano di fare tutto, la religione gli impedisce di concepire e di osare tutto», come ad esempio violare la legge. Quando le coscienze sono vigili, non c’è bisogno di tanti poliziotti perché i cittadini rispettano volentieri la

legge. I coloni americani avevano già conosciuto periodi di declino della religione, accompagnati da una crescita costante di trascuratezza morale. Essi avevano anche notato che i risvegli religiosi conducono a miglioramenti tangibili della pace sociale. Questo è il motivo per cui tutti loro credevano che la religione fosse «necessaria alla conservazione delle istitu-


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gli uomini a guardare in alto e in questo modo fonda la consapevolezza della loro speciale dignità e dei loro diritti naturali. In sesto luogo, la fede aggiunge a una morale puramente razionale l’acuto senso di agire in presenza di un Giudice personale e che non può essere ingannato, che vede e conosce anche le azioni compiute in segreto e gli atti di volontà compiuti solo col cuore. In questo modo la fede supporta il mantenimento di livelli elevati e la ricerca di cose compiute con perfezione, anche quando nessuno ci sta osservando.

Nella pagina a fianco: Alexis de Tocqueville. Nella foto sopra: Thomas Jefferson

zioni repubblicane. Questa opinione non appartiene a una classe di cittadini o a un partito, ma all’intera nazione, ed è diffusa in tutte le classi». In quarto luogo, citando nuovamente Tocqueville, «idee salde su Dio e la natura umana sono indispensabili alla pratica giornaliera della vita; d’altra parte questa pratica impedisce loro di acquistarle». Tuttavia, queste

«idee salde» sono difficili da raggiungere per la maggior parte degli uomini. Anche i grandi filosofi hanno fallito nel tentativo di pervenire a esse. Tuttavia, la fede biblica dota la ragione di salde idee pratiche che solo pochissimi filosofi sebbene in modo incerto - possono raggiungere da soli. Per questo motivo, una religione sana, passata attraverso una

lunga esperienza, dà alla cultura un enorme vantaggio, perché gli uomini non possono agire senza mantenere idee generali. La chiarezza interiore previene l’indebolimento e la dissipazione delle energie. Alcune idee, scrive Tocqueville, rappresentano un dono particolare per gli uomini liberi: idee radicate nell’unità del genere umano, obblighi verso il prossimo, verità, onestà e amore per la legge della ragione. Riguardo a queste idee fondamentali, la religione biblica dà una soluzione «netta, precisa, comprensibile per la massa e assai durevole».

In quinto luogo, la religione dà alla ragione un supporto indispensabile nel ritenere che ogni essere umano non è semplicemente un misto di piacere e dolore, un modello superiore di qualche animale domestico. «La democrazia favorisce l’amore dei beni materiali», scrive Tocqueville. «Questo, se diventa eccessivo, dispone gli uomini a credere che tutto sia materia; a sua volta, il materialismo li trascina ancora più fortemente verso quegli stessi beni.Tale è il cerchio fatale in cui sono spinte le nazioni democratiche. È bene che esse vedano il pericolo e si trattengano». Il principio di uguaglianza che anima le democrazie, attirando gli uomini verso il basso, distruggerà lentamente ciò che è più umano in loro, vale a dire le loro anime. È dunque la religione che controlla e rovescia questo processo, e soprattutto, secondo Tocqueville, sprona alla grandezza. La fede sparge i propri buoni effetti nell’arte e nei costumi così come nell’arena delle azioni pratiche. La credenza nell’immortalità incita

La fede ci dà ragioni per verniciare anche il fondo della sedia e pulire gli angoli nascosti di una stanza: essa comporta attenzione a dettagli che nessuno vede tranne Dio. Mentre la moralità costruita all’interno dei limiti della sola ragione è, al massimo, materia di calcolo utilitaristico o di regole deontologiche, la fede vede il comportamento morale in termini di relazioni fra due persone: noi e il Dio a cui dobbiamo tutto. Con questo spirito, Ben Franklin rimproverò i suoi colleghi alla Convenzione costituzionale per la loro ingratitudine verso il loro benefico Amico, che li aveva assistiti quando ne avevano avuto «In bisogno. questa situazione dell’Assemblea, in cui brancoliamo nel buio alla ricerca della verità politica e non siamo in grado di distinguerla quando ci si presenta, com’è successo, signori, che non abbiamo mai pensato sinora di pregare umilmente il Padre affinché illumini la nostra comprensione? All’inizio dello scontro con la Gran Bretagna, quando eravamo sensibili al pericolo, pregavamo tutti i giorni in questa stanza per avere la protezione divina. Le nostre preghiere, signori, sono state udite, e hanno ottenuto una risposta misericordiosa. Chi di noi è stato impegnato nello scontro deve aver osservato frequentemente istanze di una provvidenza superiore a noi favorevole. A questo tipo di provvidenza dobbiamo la felice opportunità di interrogarci pacificamente sui mezzi per stabilire la nostra futura felicità nazionale. E ora abbiamo dimenticato questo potente Amico? O forse immaginiamo di non aver più bisogno del Suo aiuto? Ho vissuto a lungo, e più vivo più vedo le prove convincenti di questa verità: cioè che Dio governa gli affari degli uomini». In settimo luogo, la fede in

America ha avuto un effetto decisivo sui costumi, specialmente in quelli domestici. Negli Stati Uniti, come scrive Tocqueville, la religione «regna incontrastata nell’anima femminile ed è la donna che fa i costumi. L’America è certo il Paese del mondo in cui il legame matrimoniale è più rispettato e in cui si concepisce nel modo più elevato e più giusto la felicità coniugale». Tocqueville non ha dubbi sul fatto che la grande severità di costumi che si nota negli Stati Uniti «ha la sua origine nelle credenze religiose». La fiacchezza morale dell’Europa ha generato diffidenza anche all’interno delle mura domestiche, e maggior diffidenza nella sfera pubblica al di fuori delle mura domestiche. «In Europa quasi tutti i disordini della società nascono intorno al focolare domestico e non lontano dal talamo. È là che gli uomini concepiscono il disprezzo dei legami naturali e dei piaceri permessi, il gusto del disordine, l’irrequietudine del cuore, l’instabilità dei desideri. Agitato dalle passioni tumultuose che spesso hanno turbato la sua stessa dimora, l’europeo si sottomette malvolentieri ai poteri dello Stato». Quando non c’è fiducia all’interno delle mura domestiche, essa diventa altamente improbabile anche nella vita pubblica. Dove c’è mancanza di autogoverno all’interno delle proprie dimore, l’autogoverno nella sfera pubblica ha poche probabilità di successo. Se non si può dire che negli Stati Uniti la religione influenzi le leggi o le opinioni politiche particolari, continua Tocqueville, tuttavia «essa dirige i costumi e, regolando la famiglia, lavora a regolare lo Stato». In sostanza, senza parlare dei benefici ultraterreni, la fede aggiunge alla ragione sette vantaggi in questo mondo: 1) una scena cosmica per il dramma della libertà; 2) una coscienza vigile; 3) freno al vizio e guadagni nella pace sociale; 4) idee salde, stabili e generali sulle dinamiche della vita; 5) un controllo della tendenza verso il basso del principio di uguaglianza e del materialismo verso cui gravita; 6) una nuova concezione di moralità intesa come una relazione personale con il nostro Creatore, e dunque un motivo per agire bene anche quando nessuno ci sta guardando; 7) attraverso l’alto onore tributato al vincolo matrimoniale, la serena regolazione dei costumi all’interno del matrimonio e delle mura domestiche.

Jefferson: «Rinuncia al denaro, alla fama e alla scienza piuttosto che commettere un’azione immorale»


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La lista di Giuliano Ferrara scatena consensi ed entusiasmi. Tuttavia...

”Pro life”spacca il fronte per la vita di Luisa Santolini problemi connessi alla bioetica occupano la scena da ormai parecchi anni e hanno preso piede anche in ambienti diversi da quelli accademici o da quelli delle riviste specializzate ed ora stanno occupando la scena dei media, delle società civile e soprattutto della politica. E così sono venute alla luce in modo sempre più evidente le varie visioni della società e le prospettive che le diverse scuole di pensiero ipotizzano per tutti noi e per i nostri figli. La vetta di questi dibattiti pubblici appassionati e appassionanti si è avuto con il referendum della legge 40 sulla procreazione assistita che ha mobilitato tutte le intelligenze, le forze politiche e milioni di cittadini del nostro paese. L’esito è noto ed è stato una grande sconfitta della sinistra radicale e massimalista (ma anche dei Ds – chi non ricorda il calore con cui Fassino sosteneva il referendum che voleva profondamente modificare la legge dicendo che era contro le donne e contro la scienza?). Ebbene la vittoria contro le forze laiciste e libertarie fu propiziata anche dalla incredibile e inaspettata mobilitazione di Giuliano Ferrara, che dalle pagine del Foglio per mesi ha continuato a battersi come un leone (o come un elefantino?) per dare le ragioni laiche di quella battaglia e per dire che la difesa della legge 40 non era e non poteva essere solo un problema dei cattolici, bensì riguardava tutte le persone di buona volontà che non potevano consegnare il futuro di un Paese ai desideri pur legittimi delle coppie sterili, sacrificando tanti embrioni ad una inutile ricerca e all’abbandono. Dobbiamo molto a Ferrara per quello che ha fatto e da allora non ha mai smesso di battersi per la vita e da allora è diventato un punto di riferimento per molti di noi che lo seguono con stima e simpatia. Ebbene, come è noto, Ferrara ora ha lanciato la Moratoria internazionale

I

sull’aborto per correggere l’art. 3 della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo. Altra posizione coraggiosa e altra battaglia meritoria, che subito ha coinvolto laici e laicisti, credenti e non credenti, uomini e donne come da tempo non succedeva. Ferrara si sa è uomo deciso e determinato, scrive bene, ha le idee chiare, è un intellettuale raffinato, non gli mancano ironia e capacità di argomentare, voglia di dire la sua ma anche voglia di ascoltare le ragioni altrui, ma soprattutto ha il merito indiscusso di avere sollevato una questione che sembrava sepolta per sempre sotto una coltre spessa di ipocrisia e di rassegnata accettazione dell’invitabile. Ha perfettamente

ranno più aborti, né selettivi, né eugenetici, né terapeutici, né precoci, né“normali”, perché tutti devono creare i presupposti per una cultura della vita che porti le donne alla libertà di non abortire. Una battaglia di grande valore antropologico, etico, umano, sociale, che non si può non sottoscrivere con entusiasmo e insisto con gratitudine. Tuttavia... questa volta c’è un “tuttavia”che è già stato chiarito da molti e che è bene forse riprendere. Il motivo delle perplessità deriva dalla discesa in campo di Ferrara con un Partito della Moratoria. Stiamo vivendo settimane difficili e tutto il quadro politico è sottosopra per la nascita e l’estinzione di nuovi e

coli partiti, per le reazioni di una opinione pubblica stanca e frastornata, per la nascita di due partiti egemoni che faranno tutto da soli. La domanda è: perché tentare una via aspra e tutta in salita della fondazione di un partito quando persone che si sono già spese su questi temi ce ne sono tante e basterebbe sostenerle là dove sono andate a militare? Perché Ferrara sente il bisogno di una sua lista invece di dare man forte a quei pochi o tanti che sono sicuramente affidabili su questo fronte? Forse Ferrara pensa che non siano affidabili? Dividere il fiume della vita in tanti fiumi più piccoli davvero può aiutare ad arrivare fino al mare?

La domanda è: perché tentare la via aspra e tutta in salita della fondazione di un partito, quando di persone che si sono già spese su questi temi ce ne sono tante e basterebbe sostenerle là dove sono andate a militare? ragione ed è incredibile che soprattutto le donne pensino che le donne stesse siano condannate da sempre e per sempre, per il fatto stesso di essere donne, alla prostituzione e all’aborto: due mali vecchi come il mondo che non si potranno mai estirpare. Ferrara sta dicendo di no e sta dicendo a tutte le donne che nessuno le vuole criminalizzare se abortiscono, ma che è urgente affermare che l’aborto va bandito dal loro orizzonte e che il mondo sarà pacificato se e quando non ci sa-

vecchi partiti, per lo scoppio della pace fra gli schieramenti, per la sorte dei pic-

Sono convinta di no e non lo dico perché l’Udc sta attraversando un certo travaglio, non lo dico per avere consensi e neppure perché possiamo avere una affermazione elettorale più convincente. Lo dico perché mi sono sempre messa dalla parte della vita e quello che interessa a me, come a Ferrara, è di cambiare la cultura di morte del nostro tempo in una cultura dell’amore, della vita e della allegria. Ammettiamo per un momento che il Partito della moratoria arrivi in Parlamento e

supponiamo che il futuro presidente del Consiglio per un calcolo politico decida di sostenere la moratoria all’Onu e magari di farla passare: cosa fa il partito di Ferrara? Chiude per mancanza di ragione sociale? In altre parole come può un partito avere come unico obiettivo la moratoria internazionale e non una iniziativa concreta a livello parlamentare che non sia solo di tipo culturale e di principio? Un partito fa le leggi e Ferrara ha già detto più volte che la 194 non gli interessa perché lui non guarda il dito ma la luna. E allora? Perché Ferrara pensa di essere più efficace in Parlamento che non dalle pagine del suo giornale, continuando a fare quello che fa e sostenendo coloro che corrispondono alle sue richieste? Perché un partito monotematico dovrebbe essere meglio di un partito come il nostro che da anni si batte per la tutela della vita dal suo concepimento alla sua morte naturale con tutte le energie e con tutte le risorse che possiede? Mi sia consentito un minimo di presunzione, ma il partito della moratoria c’è già e siamo gli unici per ora in grado di garantire una serie battaglia in questo campo, come partito e non come singoli parlamentari. Credo che un appello alla unità su queste questioni cruciali vada ribadito, anche se conoscendo Ferrara non mi illudo troppo di un suo ripensamento. Mi auguro solo di non creare i presupposti di una sconfitta sul piano culturale e politico e mi auguro che si possa davvero fare una alleanza in nome del bene supremo della vita. Vorrei che Ferrara ci ripensasse e vorrei che ci sedessimo attorno ad un tavolo per aiutarci a vicenda, ognuno con il proprio ruolo e con la propria responsabilità davanti alla società e alla nostra coscienza. Grazie in ogni caso a Ferrara per quello che fa, per quello che dice e per quello che scrive e ci consenta un dissenso che non offusca amicizia e stima.


politica

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d i a r i o

d e l

g i o r n o

Il Partito democratico imbarca Di Pietro L’incontro al loft tra i leader di Pd e Idv si è concluso con la decisione formare una minicoalizione. Nelle liste ci saranno quindi due simboli, però poi un gruppo unico alla Camera. «Dopo le elezioni comincerà un percorso che porterà in futuro alla possibilità di una nostra confluenza in un unico partito», dice Di Pietro al termine dell’ incontro.

Pd-Radicali, ancora nulla di fatto L’incontro tra Walter Veltroni e i vertici del Partito Radicale non è servito a trovare un accordo per le elezioni. Il segretario del Pd si è riservato di fare una controproposta prossimamente, dopo l’assemblea costituente di sabato.

Calderoli: Napolitano voleva il ritorno al mattarellum

Mentre il Pd e Di Pietro si sono “apparentati”

O il simbolo Udc o soli di Susanna Turco

ROMA. La Sinistra si battezza in un bar, escludendo «accordi di governo col Pd», Veltroni imbarca Antonio Di Pietro e l’Udc di Casini fa un passo fuori dall’alleanza con il Pdl. Se fino a martedì ancora molti punti interrogativi dovevano essere messi sulla scheda elettorale, proprio ieri è stata la giornata in cui molti nodi si sono sciolti. È ormai fuori di dubbio l’apparentamento del Partito democratico con l’Italia dei Valori: Walter Veltroni e Antonio Di Pietro si sono visti ieri al loft e hanno concluso un accordo che prevede simboli distinti ma collegati per la corsa elettorale, e poi la confluenza in un gruppo parlamentare unico. Alle nebbie di un futuro non meglio precisato è affidato un ipotetico «percorso che porterà alla possibilità», dice Di Pietro, «di una nostra confluenza in un unico partito». Al contrario, si è concluso con un nulla di fatto l’incontro coi radicali, anche se il vertice si è conclusco con la promessa di una «controproposta» da parte del segretario del Pd che, dicono i ben informati, potrebbe riguardare l’inclusione di qualche nome nelle liste del partitone veltroniano. S e m p r e p i ù l o nt a n a d a l P d è invece la Cosa rossa che ieri, in un microscopico bar dietro alla Camera, ha presentato il suo nuovo simbolo. Via falce e martello, con buona pace di Oliviero Diliberto che se ne è detto «dispiaciuto», e largo a un arcoba-

leno in stile marinaro che fa felice soprattutto i Verdi di Alfonso Pecoraro Scanio. Pur di fare l’anti-loft l’esperto di comunicazione del Prc, Andrea Camozzini, ha costretto tre quarti degli invitati a restare fuori dalla sala di presentazione, mentre Fausto Bertinotti, piuttosto divertito, commentava «dà il senso di questa impresa che può essere divertente, incasinata e creativa». Osservazioni sociologiche a parte, la notizia dell’accordo Pd-Idv mette di buon umore i vertici della Cosa rossa, convinti sempre di più che Veltroni sta lasciando spazio libero a sinistra e che quindi l’impresa potrebbe

In un microscopico bar dietro la Camera la Cosa rossa ha presentato il suo nuovo simbolo senza la falce e martello non essere così disastrosa. Se non altro, complice anche la notizia del militare italiano ucciso in Afghanistan, la posizione da prendere sul rifinanziamento delle missioni all’estero sarà meno dilaniante.

Sul fronte Udc-Pdl non si è invece ancora arrivati a un punto certo, ma la trattativa è ormai senza rete. Ieri, il partito di Casini ha lasciato intendere chiara-

mente che se continua così, la strada è quella della corsa solitaria alle elezioni. E, d’altra parte, anche Berlusconi ha continuato a dire ai suoi che l’idea di un Senato la cui maggioranza dipende dagli umori dell’ex presidente della Camera non gli va giù, e che preferisce a quel punto rischiare qualcosa in più alle elezioni e magari ritrovarsi a Palazzo Madama con una quasi parità che a quel punto sarebbe l’anticamera per le larghe intese. Nessuno dei due interlocutori, però, ha ancora fatto saltare il banco: e del resto non è un mistero che il mancato accordo renderebbe la situazione meno comoda per entrambi. «Noi siamo disponibili all’alleanza con il Pdl, ma se resta il nostro simbolo sulla scheda, altrimenti andremo soli», ha sottolineato il segretario Lorenzo Cesa al termine di un vertice all’Hotel Minerva. In ogni caso oggi l’Udc dovrebbe sciogliere la riserva, nella direzione nazionale che - è stato preannunciato - dovrebbe chiedere a Casini la disponibilità a fare il candidato premier. Nel caso in cui il partito centrista decidesse davvero di levare l’ancora dal Popolo delle libertà, dietro la porta ci sarebbe una alleanza possibile con la Rosa bianca di Tabacci, Baccini e Pezzotta. Già ieri Rocco Buttiglione ha aperto alla possibilità di un accordo elettorale, e l’ex segretario della Cisl si è detto disponibile al dialogo. Ma, per il momento, si tratta di schermaglie.

Nel momento piu’ incerto e convulso del confronto tra i partiti sulla legge elettorale, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, incoraggiò Roberto Calderoli a spendersi per un ritorno al Mattarellum. Lo ha rivelato proprio il coordinatore della Lega Nord nel corso di un incontro con i giornalisti della stampa estera ieri pomeriggio: «Durante il confronto sulla legge elettorale, e anche durante le consultazioni al Quirinale, il presidente della Repubblica mi disse che se mi fossi fatto avanti sul mattarellum mi avrebbe dato una mano a convincere i leader dei partiti. Poi è arrivato Veltroni. Se non si fossero messi di mezzo lui, Bianco e il Pd la riforma delle legge elettorale l’avremmo fatta».

Veltroni: riformiamo prima del voto i regolamenti parlamentari «Rivolgo un invito a Berlusconi: approvare ora in Parlamento, in questo Parlamento, la riforma dei regolamenti». Così il segretario del Partito democratico, Walter Veltroni, si è rivolto al leader del Popolo della libertà durante la registrazione di Porta a porta. Veltroni parte dal presupposto che questa era una riforma che, nel giro delle consultazioni fatte, ha trovato tutti d’accordo, «nessuno ha detto di no. Ora andiamo a vedere», la si approvi subito.

E Walter non è più sindaco di Roma Il leader del Pd, dopo sette anni, lascia la guida del Campidoglio per lanciarsi nella sfida delle prossime politiche. Lacrime durante il discorso di saluto alla giunta comunale.

Prodi: «Sarà election day» «Abbiamo finalmente ottenuto una risposta positiva e se quindi non vi saranno ulteriori cambiamenti si farà». Lo dice il presidente del Consiglio Romano Prodi, spiegando che oggi il Consiglio dei ministri approverà il decreto.

Sinistra, sparisce la falce e martello Il candidato premier Fausto Bertinotti ha presentato ieri il simbolo della Sinistra-l’Arcobaleno: «Anche Togliatti e Nenni alle elezioni del ’48 decisero di mettere da parte quel simbolo per andare insieme alle elezioni sotto il volto di Garibaldi inserito in una stella». Secondo il presidente della Camera, una intesa col Pd dopo le elezioni «non è alle porte».

Montezemolo: «Bene Berlusconi» «Ho registrato con soddisfazione le parole di Silvio Berlusconi quando ha parlato di detassazione degli straordinari e dei premi aziendali», afferma il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo. «Però - continua - bisogna andare oltre: la detassazione deve riguardare anche i lavoratori, per aumentare il loro potere d’acquisto e per dare alle aziende ancora più possibilità di migliorare produttività e flessibilità».

’Ndrangheta, arrestato assessore Udeur È Pasquale Tripodi, responsabile del Turismo in Calabria. L’altroieri Loiero gli aveva ritirato la delega. Avrebbe aiutato il clan camorrista dei Casalesi e una cosca della ’ndrangheta. Oltre 50 fermi fra Calabria e Umbria. Amato e Minniti: «Rigore in liste elettorali».


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pensieri

o seguito su liberal il dibattito sul ’68, ma non vi ho trovato la tensione principale di quel periodo. Il ’68 è cominciato nel ’64 a Berkeley (Usa), come ribellione contro il burocratismo scientifico della società moderna. La lettura de La rivolta di Berkeley di Hal Draper mi spinse a studiare Il Mondo Nuovo di Huxley come il libro dell’ideologia finale della modernità. Non è obbligatoria l’esperienza del male per imparare le virtù, ma Il Mondo Nuovo ha avuto in me un effetto simile, infatti mi fece decidere di evitare la droga sempre. Nel libro è lo Stato a distribuire la droga e la polizia, invece dei manganelli usa irroratori di droga per sedare le rivolte. Inoltre la nascita naturale è sostituita con quella industriale in provetta. In realtà al fondo cercavamo una risposta alla domanda «che senso dare alla propria vita?», visto che l’esistenza proposta dalla società del benessere era senza cielo, solo numeri e oggetti. Non ne eravamo consapevoli, ma la nostra ribellione non riguardava la civiltà occidentale bensì le ideologie ottocentesche che l’avevano fatta a pezzi demonizzando il passato e costruendo una società industriale sul mito del progresso, che considerava tutti gli altri, compresi i nostri trisnonni, dei trogloditi. Che il ’68 sia stato principalmente una ricerca di significati lo conferma Glucksmann quando nota che il movimento non ha preso d’assalto i ministeri o i parlamenti. Cercava un fine al di là del potere. Ecco perché, dopo la breve stagione nelle università, sono cominciati i grandi viaggi: l’India, lo yoga, le comuni, il ritorno alla terra, l’agricoltura biologica, l’agopuntura, la medicina naturale, il parto in casa, la medita-

H

Nonostante il marxismo abbia divorato ”la voglia di libertà di quei ragazzi”

Il Sessantotto continua. Nell’ecologismo di Giannozzo Pucci zione, la religiosità, eccetera. Una buona definizione del ’68 è stata raccolta da Christian Signol nel libro Maria delle pecore. «Quella gioventù voleva altro dalla corsa al denaro, al possesso, alla ricchezza.Voleva vivere una vita vera, diversa da quella che fa passare il superfluo per essenziale e contraddi-

Come dice Alberoni, il marxismo cominciò subito a divorare politicamente «la voglia di libertà di quei ragazzi, ideologizzandone le pulsioni» e spengendole nei galatei della sinistra. Diventò obbligatorio confrontarsi col marxismo. Mi chiesi come faceva ad essere rivoluzionaria una classe che

stra del ‘68 non fu la sola divoratrice di libertà. Ve ne furono altre come: 1) la televisione, che avvicinava i lontani, allontanava i vicini, promuoveva la soddisfazione del maggior numero di desideri individuali, diffondendo comportamenti sessuali trasgressivi come nuove libertà;

La ribellione non riguardava la civiltà occidentale, bensì le ideologie ottocentesche che l’avevano fatta a pezzi demonizzando il passato e costruendo una società industriale sul mito del progresso, che considerava tutti gli altri, compresi i nostri trisnonni, dei trogloditi ce la nostra profonda natura. Non era questa povera gioventù a parlare, era il sangue che scorre nelle sue vene, quello dei suoi avi, abituati al ritmo del sole, in sintonia col vivente… Con il suo istinto sicuro e gli eccessi della sua bella energia, la nostra gioventù aveva compreso che le dighe di un certo modo di vivere erano sul punto di cedere. Infatti i flutti del modernismo hanno spazzato via tutto in pochi anni».

on Walter non farò il laicista». Uno legge il titolo del Corriere della Sera di ieri, dedicato agli sforzi di Marco Pannella per farsi accettare dal Pd di Veltroni, e quasi cade dalla sedia. Ma come? Si tratta dello stesso Pannella che negli ultimi anni ha fatto del “laicismo” la ragione d’esistenza propria, del proprio partito e delle mille associazioni che intorno a questo partito ruotano? Non può essere. Come spesso accade, la redazione di via Solferino deve aver “forzato”il titolo, per rendere pepata qualche dichiarazione di circostanza. Leggendo l’articolo, però, di forzature non si trovano tracce. Anzi. «Non chiediamo giuramenti laicisti - dice il leader radicale al giornalista del Corriere - Non possiamo pretendere che Veltroni e Rutelli si mettano a fare i laici. Metteremo al centro del programma due temi. La giustizia e le riforme economiche e strutturali, come quelle sollecitate dagli economisti Ichino e Boeri”. Come ben si addice all’“ultimo giapponese del governo Prodi”, insomma, Pannella non si

«C

L’INTERVENTO

usava la stessa agricoltura, la stessa medicina, lo stesso progresso del mondo borghese. Nel 1969 all’università proposi di inserire l’agricoltura biologica nei piani territoriali. Il rappresentante del Pci liquidò l’idea dicendo che nel 2000 l’agricoltura sarebbe stata idroponica con grandi fabbriche/serre dove gli operai avrebbero prodotto il cibo per tutti... il sogno del Mondo Nuovo. Ma la rappresentazione di sini-

2) il consumo di massa della musica, bella quanto si vuole, ma vissuta come scorciatoia verso il cambiamento di vita a cui aspiravamo ci ha insegnato il consumo di evasione; 3) la vecchia politica che ci faceva sentire i liquidatori del mondo passato ripetendo i riti delle rivoluzioni sette e ottocentesche, compresa «la nerboruta retorica della violenza» e la presunzione che nella contestazione c’era solo bene.

I radicali rinunciano all’anticlericalismo per allearsi col Pd

Pannella laicista? Macché, gli interessano giustizia ed economia di Andrea Mancia fa scrupolo di mettere da parte - almeno per un giorno - qualsiasi velleità laico/laicista, pur di ottenere quello che vuole dal custode del Loft. A parte un breve accenno polemico alla senatrice Paola Binetti (vera ossessione, per una parte del mondo radicale), nessun attacco a Benedetto XVI monopolista dell’informazione, nessuna sparata anticlericale sull’ingerenza della Chiesa in Commissione Bilancio, nes-

Il vero anticipatore delle tensioni migliori del ’68 è stato il Mahatma Gandhi, l’unico ad avviare una rivoluzione sul recupero delle radici vitali del passato, della spiritualità, dell’esercizio delle virtù, della parsimonia e contenimento dei desideri, come fondamenti dell’autonomia economica e politica di un popolo. Gandhi vedeva nei piccoli contadini e artigiani i garanti della libertà di tutti. A differenza della postmodernità, secondo cui non esiste nulla di vero, Gandhi aveva fondato l’alternativa sulla forza della verità o satyagraha, cioè lo stare senza violenza dalla parte della verità disposti a farsi ammazzare per testimoniarla. Dopo il ‘68 è cominciata la sostituzione della natura con la tecnologia che trasforma in oggetto perfino l’intimità seminale delle piante, degli animali e delle persone. Mentre il movimento è passato si è nascosto: scompare e riappare ogni volta con dei no che contengono dei sì. No al nucleare per dire sì allo sviluppo locale di energie rinnovabili. No alle manipolazioni genetiche per dire sì a far ripartire l’evoluzione delle piante coltivate arrestata dalle agroindustrie. No all’agricoltura chimica per dire sì all’agricoltura naturale. No allo sviluppo per dire sì alla decrescita felice verso un’economia stabile, non inquinante. Certo moltissimi si sono persi nella droga, che è l’oggetto finale del consumo suicida e la società occidentale, tutta orientata al denaro, è caduta nel mito del re Mida. Viviamo tutti di denaro, ma sempre meno riusciamo a mangiare cibi naturali della nostra terra. Ma la ricerca di radici iniziata nel Sessantotto continua e l’avvicinarsi dei limiti naturali, con la fine del petrolio, contribuisce a renderla anche socialmente sempre più importante.

suna beatificazione pre-elettorale di Zapatero, nessuna minaccia d’arresto per preti e suorine che passeggiano vicino ai seggi nel giorno del referendum. Niente di niente. Eppure, proprio in nome di una battaglia monotematica sui temi della laicità - che Pannella stesso non ha mai esitato a definire “anticlericale” - i radicali italiani hanno rotto, non solo la quasi-alleanza con il centrodestra che fu, ma anche i normali rapporti di buon vicinato con tutti gli ex compagni di viaggio (Marco Taradash, Benedetto Della Vedova, Daniele Capezzone) che hanno avuto l’ardire di accostarsi, chi prima chi dopo, al terribile Moloch clerical-fascista. Senza contare il patrimonio di voti conquistato alle elezioni europee del 1999 con Emma Bonino, prosciugato in pochi mesi anche a causa di questa fissazione tardoottocentesca. Ma non importa. Perché ai radicali, è cosa nota, interessano solo «giustizia ed economia”. Proprio gli argomenti giusti per fare breccia nel cuore del partito di Anna Finocchiaro e Vincenzo Visco. O no?


&

parole

li spin doctor di Walter Veltroni erano molto arrabbiati con la Rai il giorno della messa in onda del discorso di Spello. La telecamera fissa doveva essere mobile, lo scenario della campagna umbra, sfondo prospettico alle spalle del leader del Partito democratico, doveva includere e non tagliar via la cittadina di Spello, incastonata tra l’azzurro del cielo e il verde degli ulivi: allusione alla municipalità virtuosa dell’Italia centrale, tutta buongoverno e qualità della vita, francescanesimo e sobrietà elegante. Dettagli, si dirà. Ma la guerra delle immagini tra Veltroni e Berlusconi, la costruzione mediale della leadership politica, si misura ormai da questi dettagli. I temi simbolici, le evocazioni mentali contano più delle argomentazioni razionali, il come più del che cosa, l’allusione più del concetto. La spettacolarizzazione della politica, ci ha spiegato bene Giovanni Sartori in Homo videns, ha ridotto in modo sensibile e non da oggi la valenza riflessiva del discorso pubblico. E dunque qual è il problema nel proporre allo sguardo degli italiani, elettori–consumatori, l’immagine del nuovo leader di un nuovo partito che tra un ”non solo” e un ”ma anche” parla di dismissione dell’odio, di fine di contrapposizione urlata, di serenità e normalità, di futuro migliore direttamente dal paradiso terrestre? Si, perchè nell’immaginario italiano, e non solo in quello della sinistra, l’Umbria è stata davvero l’eden perduto di un’Italia scomparsa: i suoi declivi, il verde, Assisi e il francescanesimo, i casali, i centri di meditazione, la vita a misura d’uomo, la buona amministrazione, la buona cucina sono stati per decenni clichè di richiamo per l’aspirazione delle anime nazionali a un buen retiro dello spirito e del corpo. Solo che, spiace dirlo, questa declinazione così oleografica, a colori pastello dell’Umbria è rimasta intatta solo nella coreografia veltroniana, appartiene al passato come i manifesti d’antan dei baci Perugina. Una volta riavvolto il fondale del palcoscenico dell’eremo di San Girolamo di fronte a Spello infatti resta l’Umbria vera. La regione dove negli ultimi mesi – il 2007 è stato un annus horribilis – il mito del buon governo s’è pubblicamente e definitivamente infranto. Mandato in schegge da una serie di fatti, scandali, episodi di cronaca – persino nera, come l’omicidio di Meredith Kercher – che hanno restituito della regione una realtà tutt’altro che oleografica.

G

Tutto comincia, ma è meglio dire comincia a venire a galla, nell’estate del 2006 con un’inchiesta della magistratura su un giro di fatture false. Il maggiore indagato si chiama Leonardo Giombini, ed è il costruttore delle più grandi iperCoop umbre. Giancarlo Lo Forte, un suo complice, dichiara che parte dei fondi neri servivano per finanziare la politica locale sotto forma di tangenti. A essere chiamati in causa dalla stampa nazionale sono addirittura i vertici regionali. Il presidente della Regione, dopo l’emersione dello scnadalo a livello nazionale, convoca il consiglio e dichiara che c’è chi vuole infangare il buon nome dell’Umbria. In certi ambienti cittadini si parla anche di feroci regolamenti di conti all’interno dei Ds. Insomma sotto il manto verde si scopre una

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Dietro il sipario di Spello non c’è niente di buono. Il mito dell’UMBRIA FELIX è morto e sepolto di Riccardo Paradisi

Una regione lontana dai tratti edenici dello spot veltroniano. La leggenda del buon governo smentita dagli scandali Coop e gestione rifiuti regione meno pacificata rispetto al suo tradizionale biglietto da visita. Non è proprio un clima da cartolina. Tanto più che dopo pochi mesi segue a ruota un altro scandalo: la Corte dei conti rileva che il comune di Perugia, governato da una giunta di centrosinsitra, ha un buco di bilancio di 14milioni di euro. Il comune aveva dichiarato che il deficit era solo di 3milioni e settecentomila euro. Si aprono due inchieste, una della Corte dei conti, l’altra penale, che vede coinvolti i più alti dirigenti dell’amministrazione comunale e della Sorit, che è l’ente che gestisce i tributi e le tariffe comunali. Cattiva amministrazione, opacità politiche dunque. Ma in Umbria non c’era il buon governo? Una radiografia più realista rispetto ai fondali verde ulivo e azzurro cielo cari al Partito democratico, l’aveva fornita dell’Umbria l’editorialista del Corriere della Sera Ernesto Galli Della Loggia in un libro intervista dal titolo curioso: Rossi per sempre curato da un giornalista della redazione perugina del Messaggero. Per lunghi anni docente nell’ateneo umbro Galli della Loggia non usava toni morbidi: «In questa regione, questa la sua tesi,

esiste un regime. Non c’è ricambio…c’è una forte compenetrazione tra amministrazione e struttura di partito … a comandare sono sempre le stesse persone che si alternano da una carica all’altra». Un regime che si fonda e si consolida sul «controllo massiccio delle risorse della spesa pubblica da parte della classe politica» che ha fatto si, dice Galli, che «anche i ceti borghesi e imprenditoriali fossero naturalmente obbligati a mettersi sulla scia della maggioranza politica regionale».

I n s o m m a p e r G a ll i d e l l a L o g g i a quello umbro è un sistema di potere oligarchico e cooptativo: «Penso alla moltiplicazione vertiginosa negli ultimi anni delle società per azioni di proprietà pubblica, di comuni o regione, ognuna con un presidente, un vicepresidente, un consiglio di amministrazione, uno stuolo di impiegati e segretarie: tutti con regolare stipendio fisso: è così che si costruiscono maggioranze elettorali di ferro». Alcuni dati per dare un’idea: Perugia, che ha 150 mila abitanti, ha 13 municipi-circoscrizioni, Roma con 2 milioni 650 mila abitanti, capitale della Repubblica, ne ha solo 7 in più; l’Umbria ha 9 comunità montane (un record da alta montagna) la maggioranza di presidenza diessina; esistono 298 tra enti, comitati, e altri organismi regionali che tra rimborsi, gettoni, missioni, assorbono quasi 9 milioni di euro ogni anno. Forse è esagerato parlare di una regione a democrazia limitata, sta di fatto che tutti i referendum richiesti in Umbria con regolare raccolta di fir-

me autenticate e certificate non si sono potuti celebrare. Da quello sul piano energetico regionale a quello per la riduzione delle Asl, da quello per l’abrogazione dei consorzi di bonifica a quello contro il nuovo statuto regionale fino al più tormentato di tutti, quello per il dimezzamento delle indennità dei consiglieri regionali, sono stati bloccati per cavilli giuridici che erano poi veti politici. Claudio Abiuso, portavoce delle liste civiche che avevano proposto l’ultimo referendum sulle indennità regionali, ha denunciato recentemente come ormai si sia al «sistematico imbavagliamento della volontà popolare attraverso le trame e i cavilli del palazzo».

A tutto questo si aggiungono due recenti inchieste penali che hanno al centro il problema dei rifiuti. La prima riguarda il traffico di rifiuti speciali e pericolosi tra la Campania e la discarica di Orvieto nel quale sono stati implicati l’ex vicepresidente della giunta regionale Danio Bonelli di Rifondazione Comunista, l’ex sindaco di Orvieto Stefano Cimicchi (Ds), l’ex sindaco di Perugia Mario Valentini (socialista). Una vicenda inquietante anche perchè sulla vicenda c’è l’ombra di un clan camorristico accusato di gestire il trasporto dei rifiuti. La seconda inchiesta riguarda l’inceneritore dell’azienda servizi municipali di Terni per gli scarichi inquinanti illeciti che avrebbe fatto ricadere illegalmente su tutta la città. Ecco, l’Umbria è anche questo. Non è il paradiso terrestre, Nè il luogo più opportuno forse per alludervi.


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mondo

La ricetta del leader maximo per azzittire ogni forma di protesta

Le vite degli altri sotto il regime di Fidel di Francesco Guarascio ll’Avana nessun incontro si svolge in una qualsiasi ambasciata senza il consueto avvertimento sulla possibile presenza di cimici. L’apparato di controllo è talmente pervasivo che le telefonate vengono spesso interrotte quando si toccano argomenti vietati dalle autorità. In queste condizioni non è difficile capire perché la dissidenza cubana in cinquant’anni di dittatura attraversata da crisi economiche nere, non sia mai riuscita a porre un reale problema alle autorità. Il controllo è esercitato in maniera capillare non solo sui presunti leader dell’opposizione, ma anche sui pesci piccoli, su membri della società civile e su semplici professionisti. Juan Gonzalez Febles è un giornalista indipendente che talvolta collabora con Cubanet, una rete di informazione alternativa che pubblica via internet notizie differenti dalla scialba indottrinazione dei media di regime. Vive con la sua compagna in un minuscolo appartamento al Lawton, uno dei tanti derelitti quartieri periferici di L’Avana. Prima di iniziare la conversazione alza la Tv al massimo. Dice di avere prove di essere ascoltato tramite un apparecchio posto nel balcone di un vicino. Per le strade la polizia è onnipresente. Piccole casupole bianche spuntano ad ogni incrocio. Dentro ciascuna un poliziotto sonnecchia durante le interminabili ore di guardia. Ma se gli sfugge qualcosa, ci sono sempre gli informatori di quartiere. Il telefono è una subdola arma nelle mani delle autorità che spesso arrestano o fanno pedinamenti sulla base di conversazioni intercettate.

A

Oscar Espinosa Chepe, un ex diplomatico al servizio di Castro, poi caduto in declino a causa delle sue posizioni poco ortodosse, passa mesi con il telefono staccato. Dopo qualche telefonata di troppo dal contenuto sgradito, le autorità tagliano la linea. Chepe è ben sorvegliato anche per le attività della moglie, Miriam Leiva, leader delle Damas de Blanco, l’unico movimento di opposizione che riesce a condurre regolari manifestazioni: silenziose passeggiate di una decina di madri, mogli o figlie di prigionieri politici. Anche se sostanzialmente inoffensive, queste pubbliche manifestazioni di dissenso sono oggetto di attacchi violenti da parte di membri del partito, in genere prezzolati. Spesso la repressione si spinge fino ai notori atti di ripudio, con i quali le autorità riuniscono sotto casa di un dissidente decine di persone guidate da fa-

Il dittatore ha saputo sviluppare una repressione continua e subdola che soltanto raramente eccede arrivando all’eliminazione fisica dell’avversario natici castristi. La folla è li’ per impaurire con grida e lancio di oggetti “i nemici della rivoluzione”, spesso donne che reclamano la liberazione di mariti condannati a vent’anni per un articolo su un giornale clandestino. Fidel ha saputo sviluppare una repressione continua e subdola che soltanto raramente eccede arrivando all’eliminazione fisica dell’avversario. Con questa ricetta il generalissimo ha saputo tenere lontane le critiche del mondo e allo stesso tempo mettere in ginocchio ogni forma di protesta. I numerosi errori degli Stati Uniti nei confronti dell’isola e le divisioni interne alla dissidenza hanno chiuso il cerchio e garantito a Fidel di regnare indisturbato per mezzo secolo. In questo scenario soltanto un’opposizione coesa avrebbe potuto scalfire un potere autoritario a cui la popolazione cubana, in gran parte discendente da schiavi deportati dall’Africa, è stata di fatto sempre abituata. Ma questo non è accaduto. Come spiega uno degli intellettuali più lucidi di Cuba, il cattolico Dagoberto Valdes, la dissidenza non ha saputo riunirsi neppure con il Progetto Varela, la raccolta di firme per una riforma della Costituzione, considerato il movimento civile più importante registratosi a Cuba negli ultimi cinquant’anni. «Dopo un iniziale appoggio generalizzato, i vari ca-

pi e capetti hanno incominciato a prendere le distanze», racconta Valdes dalla sua casa di Pinar Del Rio. Lo stesso Oswaldo Paya, promotore del progetto e leader di maggiore spicco della dissidenza (ha vinto il premio Sakharov del Parlamento europeo ed è stato candidato al Premio Nobel per la pace) ha preferito un minore coinvolgimento della base, «sempre sospettoso delle infiltrazioni di agenti segreti prezzolati», racconta Valdes.

E così, con un solo partito al governo dal 1959, Cuba dispone tuttavia di un’opposizione clandestina da sistema proporzionale. C’è un partito liberale guidato da Hector Palacio. Ancora più a destra, con posizioni fin troppo filoamericane, spicca la formazione di Beatriz Roque. Il centro cattolico è dominato dalla figura di Oswaldo Paya, mentre un po’ più a sinistra trova spazio il movimento socialdemocratico di Vladimiro Roca, figlio ribelle di un dirigente di partito. La cosiddetta sinistra estrema dello schieramento dissidente è coperta da Manuel Morua che sostiene un socialismo democratico. Una miriade di posizione e idee la cui efficacia è esemplificata dalle cifre delle ultime elezioni legislative del 20 gennaio. A Fidel e’ andato il 98,2% dei voti nel suo collegio. Al fratello Raul, possibile suo successore, il 99,3%.

Parla il direttore della National Intelligence Usa

Con Raul Castro Cuba non cambierà MIchael McConnel

WASHINGTON. Raul Castro ricopre la carica di presidente provvisorio di Cuba da diciotto mesi. Ma le sue reali capacità politiche saranno messe alla prova di qui al prossimo anno quando egli si confronterà con le crescenti aspettative pubbliche su una serie di temi economici essenziali: le forniture alimentari, la casa, i trasporti, i salari e l’occupazione. Finora la sua azione ha indicato che sta perseguendo dei cambiamenti economici attraverso una modesta e non eccessiva trasformazione dell’economia comunista di Cuba. Raul Castro ha pubblicamente invocato un contatto con gli Stati Uniti sull’obiettivo dell’Avana di porre fine all’embargo commerciale americano. Pensiamo che l’approccio più probabile scelto da Raul sarà all’insegna della cautela in particolare con una serie di tappe progressive per rendere più produttivo il settore agricolo. Egli cercherà di sviluppare alcuni settori privati attraverso la creazione di imprese a più piccola scala e di attrarre maggiori investimenti dall’estero. Tuttavia è altrettanto probabile che, se Raul tentasse ulteriori fughe in avanti, avrebbe difficoltà ad assicurarsi il pieno appoggio delle élite di Cuba. Infatti gli ufficiali cubani di più lungo corso hanno già messo in chiaro che non si prevede in alcun modo di permettere elezioni competitive o di alterare il monopolio del potere nelle mani del Partito comunista. Inoltre, a rafforzare la determinazione della leadership cubana a ignorare le pressioni esterne perché si facciano significative riforme economiche e politiche, ci pensano i sussidi (pari a più di un miliardo di dollari netti) che ogni anno il Venezuela invia per sostenere Cuba. Un’eventuale crisi nella leadership locale potrebbe condurre all’instabilità politica facendo crescere a dismisura il rischio dell’emigrazione di massa verso gli Stati Uniti. La nostra valutazione è che il quadro politico sia probabilmente destinato a rimanere stabile nei mesi successivi alla morte di Fidel Castro. Inoltre non ci aspettiamo di scorgere segnali evidenti di una considerevole divisione in seno alle élite cubane perché molte delle figure chiave, sia nel Partito che nell’esercito, sono state scelte proprio da Raul Castro. Infine i funzionari di grado più elevato nel Partito e nel governo non vorrebbero correre il rischio di compromettere il loro futuro sfidando in modo aperto le decisioni del regime. I dissidenti democratici continuano ad essere perseguitati e a rischiare lunghe condanne se criticano pur con toni moderati il regime.


mondo

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Il Parlamento converta il decreto che proroga le missioni internazionali

8mila soldati da tutelare di Stranamore eri c’è stato l’ennesimo attacco contro le truppe Nato in Afghanistan. Purtroppo è costato la vita ad un nostro militare, il maresciallo dell’Esercito Giovanni Pezzullo, mentre un suo commilitone è stato ferito. Come è naturale, si è subito affermato che il tragico evento non cambia l’impegno italiano e che la partecipazione alla missione Isaf in Afghanistan prosegue. Ci mancherebbe altro. Si, c’è stato qualche atto di sciacallaggio da parte di chi, dopo la caduta del governo, non deve più votare turandosi il naso la continuazione delle missioni militari nazionali (sul Libano il discorso è diverso, ma solo perché la missione è percepita come anti-israeliana), però non basta. Non basta perché il Parlamento ha ancora un compito importante da compiere, deve convertire il decreto che proroga le missioni internazionali fino alla fine dell’anno, assicurando i necessari stanziamenti e prevedendo anche qualche aggiustamento alla consistenza e all’equipaggiamento dei contingenti. Se non si provvederà a questo passaggio, che in teoria dovrebbe essere una formalità, visto l’ampio sostegno bi-partisan di cui godono queste missioni, specie ora che il voto non è più connesso alla sopravvivenza del governo, si rischia di provocare un disastro, per quanto riguarda l’immagine del Paese, ma anche direttamente per la sicurezza dei nostri militari. Sono quasi 8 mila i nostri militari impegnati in missioni all’estero, dai Balcani al Libano, dall’Afghanistan all’Africa, e meritano molto di più. Serve che i temi di politica estera non vengano relegati ai margini della discussione politica, anche in campagna elettorale. Anche

I

perché la situazione internazionale sta evolvendo, in peggio. Nel giro di pochi giorni il Kosovo proclamerà l’indipendenza e le truppe della Kfor a guida Nato sono in allarme e sono state rafforzate, mentre le forze di riserva, compreso un ulteriore battaglione italiano, potrebbero presto ad essere chiamate ad intervenire in armi per evitare una crisi pericolosissima. E L’Italia ha promesso di riconoscere subito il Kosovo indipendente, forse senza adeguata meditazione. E che dire del Libano, dove i nostri soldati, inquadrati nell’Unifil Onu, di cui abbiamo anche il comando, rischiano sempre di più il coinvolgimento in una guerra civile alla quale tutte le parti si stanno alacremente preparando? Non dimentichiamo poi che siamo impegnati anche nella missione europea in Ciad, a sostegno

Abbiamo attive missioni all’estero, dai Balcani al Libano, dall’Afghanistan all’Africa. Non dimentichiamole perché sotto elezioni della Unamid a guida Onu in Darfur. Anche se abbiamo messo a disposizione solo un ospedale da campo…non possiamo far finta di niente. Per non parlare dell’Afghanistan, dove la Nato rischia di perdere la faccia e la sua ragione d’essere, ed è già grave, ma dove soprattutto si rischia di sprecare il lavoro fatto fino ad oggi e costato sangue e soldi solo perché i Paesi membri continuano a negare quelle risorse che i comandanti militari reclamano come condizione per

non subire, ma anticipare l’offensiva primaverile talebana, mantenendo l’iniziativa. Il vertice Nato di Bucarest si avvicina e l’Italia dovrà dare una risposta che dovrebbe essere concordata a livello bipartisan e poi confermata dal nuovo governo, che si spera voglia intervenire e correggere le ambiguità che hanno caratterizzato troppo a lungo questa missione. Il che vuol dire eliminare i caveat, inviando al contempo le armi e i mezzi necessari, consentendo ai comandanti di utilizzarli al meglio. I nostri soldati e i loro comandanti non possono essere lasciati nel “limbo” in attesa che si svolga la campagna elettorale, che venga eletto un parlamento e formato un nuovo governo e che questo sia poi operativo. Non ci possono essere “buchi”nella politica estera e di sicurezza nazionale. Chi spara contro i nostri militari non lo consente. Infine c’è un ulteriore aspetto critico. Cominciano a delinearsi i programmi dei vari gruppi politici che parteciperanno all’agone elettorale e come al solito brilla per la sua assenza tutto ciò che riguarda la difesa e la politica di sicurezza. Che non si riduce all’incremento dl numero dei poliziotti di quartiere o alla sicurezza domestica. Questo vuol dire indicare quali scelte si vogliono compiere. Bisognerebbe, per una volta, chiarire cosa si vuole e come si vuole impiegare lo strumento militare e impegnarsi a fornire le risorse finanziarie per tradurre i facili proclami in realtà. Tenendo conto che anche nel più favorevole degli scenari politici ed economici sarà comunque necessario procedere ad una ristrutturazione in chiave riduttiva delle Forze Armate, con le inevitabili conseguenze sul piano internazionale.

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Afghanistan, morto soldato italiano Il maresciallo Giovanni Pezzullo, del «Cimic Group South», originario di Carinola, in provincia di Caserta, è stato ucciso in uno scontro a fuoco rivendicato dai talebani e avvenuto a circa 60 chilometri da Kabul, nella località di Rudbar. Un altro soldato è rimasto ferito leggermente alla gamba destra. Il maresciallo Giovanni Pezzulo avrebbe compiuto 45 anni il prossimo 25 febbraio. Era nell’Esercito dal 1980. Lascia una figlia di 18 anni e la moglie. Cordoglio dall’intero mondo istituzionale.

Damasco, ucciso capo Hezbollah Il capo militare di Hezbollah, Imad Mughniyeh, è stato ucciso con un’autobomba a Damasco. Lo ha annunciato lo stesso movimento sciita libanese, che ha accusato Israele di essere responsabile del suo «martirio». Immediata la smentita. L’attentato di Damasco è avvenuto alla vigilia dell’anniversario dell’uccisione di Hariri e i funerali di Mugniyeh si terranno domani nel Sud di Beirut, nello stesso giorno in cui la maggioranza anti-siriana scenderà in piazza per ricordare l’assassinio dell’ex premier filo-occidentale. Nato 46 anni fa in Libano, Mughniyeh era il numero uno del movimento sciita libanese per il settore militare. Era ricercato da Israele da almeno vent’anni. «Il mondo è un luogo migliore senza il comandante della milizia libanese sciita Hezbollah» ucciso durante un attentato a Damasco. A dichiararlo e’ Sean McCormack, portavoce del Dipartimento di Stato statunitense.

Gli inglesi, i più ricchi d’Europa I quartieri centrali di Londra (Inner London) formano la regione più ricca dell’Europa. È quanto emerge dai nuovi dati di Eurostat sulla distribuzione della ricchezza nell’Ue, secondo i quali il reddito pro capite dei cittadini londinesi, nel 2005, ha superato di tre volte quello della media europea.

Nessun vertice arabo senza Suleiman Non ci sarà un vertice arabo a Damasco se il libano non sarà rappresentato dal generale Michel Suleiman (il candidato alla carica di presidente della Repubblica). Lo hanno rivelato ieri fonti diplomatiche arabe a Beirut, aggiungendo che i prossimi dieci giorni saranno decisivi per il destino del Paese dei Cedri. La soluzione auspicata infatti dai paesi arabi è l’elezione del nuovo presidente seguita poi dalla formazione di un governo di unità nazionale prima del vertice di Damasco, entro la fine di marzo.

Chávez taglia il greggio alla Exxon Il Venezuela ieri ha tagliato le esportazioni di greggio all’impresa statunitense Exxon Mobil, una delle maggiori compagnie petrolifere al mondo. In un comunicato, la società statale ”Petroleos de Venezuela” ha spiegato che la sospensione delle forniture è una risposta alle azioni ostili intraprese nei suoi confronti da Exxon Mobil presso la giustizia olandese, britannica e statunitense.


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EDUCAZIONE E FORMAZIONE

Socrate

COME SALVA

FACCIA A FACCIA TRA GIUS

di Francesco Lo Dico utti e due concordano sul fatto che la scuola italiana se la passi male. Entrambi hanno proposto delle soluzioni sulle colonne di Liberal. Come accade quando si affrontano temi così importanti, Giuseppe Bertagna, ordinario di Scienze della formazione presso l’università di Bergamo, e Giorgio Israel, ordinario di Matematica presso l’università La Sapienza di Roma, si sono trovati però in disaccordo su alcuni punti. Liberal li ha invitati a dibatterne nel faccia a faccia che segue. Professor Israel, in buona sostanza lei ha accusato il professor Bertagna di rinunciare al rigore delle discipline in nome delle competenze. GIORGIO ISRAEL. Non è proprio così. Quello che ho cercato di spiegare nel mio articolo, è che i mali della scuola originano da una scelta profondamente sbagliata. Da trent’anni a questa parte, si è affermata una tenden-

T

za per cui l’astrattezza di certa metodologia prevale sui contenuti. Un esempio su tutti è l’inversione d’impostazione messa in atto nello studio della storia, della geografia e della matematica. Questo atteggiamento culturale è stato avallato dalle indicazioni ministeriali del 2003 e da quelle più recenti del 2007: cambiano i ministri ma gli orientamenti restano identici. Per fare un esempio concreto, anziché studiare la storia secondo modalità narrative in grado di affascinare i bambini, l’allievo deve fare i conti con la nozione di temporalità, e quando studia la geografia, con quella di spazialità. Questa è una vera sciocchezza. Un bambino delle elementari, infatti, può essere affascinato dalla storia solo se gli viene data come racconto. E invece si trova a dover apprendere secondo nozioni astruse basate sulla temporalità. Un metodo che produce un unico risultato: nessun bambino vorrà mai più sentir parlare di storia

Giuseppe Bertagna, ordinario di Scienze della formazione presso l’Università di Bergamo e Giorgio Israel, ordinario di Matematica presso l’Università La Sapienza di Roma

per il resto della sua vita. Questo è semplicemente aberrante e va smontato. GIUSEPPE BERTAGNA. Sono d’accordo. A scuola non si possono insegnare forme astratte, cioè il puro metodologismo. Non si può insegnare ad apprendere. Lei ha ragione: il problema dei contenuti è centrale. Un apprendimento astratto non esiste. Ogni disciplina ha i suoi strumenti e i suoi schemi specifici.

GIORGIO ISRAEL. Nelle indicazioni ministeriali si parla anche di studio dell’orologio in rapporto alla storia, ma in larga parte della storia si è vissuto senza orologio.Tucidide scriveva senza alcun tipo di riferimento al tempo segnato dalle lancette. GIUSEPPE BERTAGNA. Non sarei così severo. Le indicazioni ministeriali invitano a dare il senso dello scorrere del tempo, dei rapporti di causa ed effetto, che sono

importanti per i bambini. GIORGIO ISRAEL. Chi l’ha detto che la storia è governata da rapporti causali? GIUSEPPE BERTAGNA. Non si tratta di leggi ferree. Più semplicemente, si insegna che negli eventi ci sono delle implicazioni. GIORGIO ISRAEL. Nelle indicazioni del 2007 si parla addirittura del concetto di ciclo nello studio della storia. È una sciocchezza. GIUSEPPE BERTAGNA. C’è un’iner-


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Socrate

ARE LA SCUOLA

SEPPE BERTAGNA E GIORGIO ISRAEL

Non c’è via d’uscita se non si ripristina il rigore nello studio e la meritocrazia zia storica. La prima parte dei programmi è figlia di una stagione di pedagogismo esasperato. Quando è cominciato tutto questo? GIORGIO ISRAEL. A mio parere l’impazzimento dipende da una strana mistura di tecnocrazia e di derivazioni sessantottine. Già i programmi dell’ 85 ne portavano i primi segni. Sì diceva che l’apprendimento doveva seguire il percorso cognitivo del bambino. Non scherziamo, l’apprendimento non è la filogenesi che ripete l’ontogenesi. Siamo nel 2000, e un bambino studia la matematica che si conosce, quella moderna. Alcuni sono arrivati a pretendere che la parola insegnare sia cancellata dal vocabolario perché ritenuta inservibile. L’unica categoria ammessa –

seconda certa pedagogia fondamentalista – è solo l’apprendere. GIUSEPPE BERTAGNA. Io penso che le radici di questo fenomeno vengano da più lontano. Innanzitutto la battaglia persa fra il ’48 e il ’51, quando si tentò di offrire un’istruzione degna di una società democratica e di massa. Fallita la riforma di allora, si preferì tenere in piedi la struttura creata nel 1923, quella che poi il fascismo modellò sulle istanze delle classi borghesi. Ma allora la scuola formava la classe dirigente, mentre oggi non tutti quelli che vanno a scuola possono o devono diventare classe dirigente. Nel 1923 andava a scuola il 5 per cento dei ragazzi, oggi fanno il liceo ottanta ragazzi su cento, e settanta vanno all’università Bisognava articolare un’offerta

formativa diversificata e di pari dignità. Non soltanto nei licei, ma anche negli istituti tecnici e professionali legati al territorio. Queste esigenze erano già emerse nel dopoguerra, ma non si concretizzarono mai in una riforma. Alla lunga, ne derivò la liceizzazione della scuola superiore, e in tempi più recenti, quella dell’università. GIORGIO ISRAEL. La situazione è peggiore di quanto s’immagini. Non è infatti solo la scuola italiana a vivere una crisi catastrofica. Versano in pessime condizioni anche la scuola francese e quella tedesca. Io credo che la vera piaga sia il fatto che si è insinuato qualcosa di ideologico nell’aspetto disciplinare. Oggi si ritiene che la scuola debba portare avanti tutti, e si prende come riferimento l’ultimo della classe. E viceversa, si sostiene che a prendere come riferimento il primo, si farebbe una scuola di classe. Tutti devono perciò stare fermi in attesa che l’ultimo si metta al passo, invece di rincorrere il primo come modello da inseguire. Si punta su quella che

«Le famiglie hanno il diritto di scegliere l’istruzione più adatta per i loro figli» De Mauro chiama “media minima”, un paradigma che appiattisce la scuola su livelli infimi. GIUSEPPE BERTAGNA. È un fenomeno quantitativo, che ha conseguenze qualitative. Se oggi – visto l’enorme dilatazione della popolazione scolastica - vogliamo diplomare gli alunni adoperando gli schemi del ‘23, o fai una selezione feroce, oppure sposti la qualità verso il basso. Il problema è che occorre fare una riforma vera. Nel 2003 avevamo iniziato. GIORGIO ISRAEL. Si è creata un’idea demagogica basata sull’ autoapprendimento, che mette l’allievo al centro del sistema. In Spagna si rivendica addirittura il diritto dell’alunno a sbagliare. Le soluzioni italiane non sono meno sconfortanti. Ultimamente si riparla di una scuola modulata attorno alla famiglia. I genitori dovrebbero cioè commissionare alla scuola prescelta quello che vorrebbero per il figlio. I cosiddetti percorsi individualizzati mi sembrano però una scelta illogica. La famiglia è il luogo dove si costruisce l’affettività e la figura etica del bambino, mentre l’apprendimento disciplinare spetta alla scuola. All’insegnante. Non facciamo confusione: non devo essere io a costruire il corso formativo per mio figlio. GIUSEPPE BERTAGNA. Il fatto è che l’inerzia ha prodotto effetti nocivi anche sugli insegnanti. Da quarant’anni, non abbiamo un sistema di formazione che ne tuteli la qualità. L’insegnamento è passato in secondo piano in nome di un più fumoso apprendimento. E per le famiglie, la scelta della scuola e di percorsi individualizzati sarebbe una via d’uscita. GIORGIO ISRAEL. Non ci può essere via d’uscita che non passi in modo generalizzato per un approccio più rigoroso alle discipline, che non preveda la meritocrazia. Certo è che le Ssis (scuole di specializzazione per insagnanti ndr.) si sono rivelate una sciagura. Facciamo un esempio: un laureato in Lettere che andava a queste scuole non studiava più le materie letterarie, ma semplicemente discipline pedagogiche. Si riteneva che avesse acquisito nei quattro anni universitari tutte i saperi inerenti la sua disciplina, non gli restava dunque che imparare ad insegnare. E questo è sbagliato. Si studia tutta la vita, e invece l’insegnante viene educato in ossequio ad un principio sindacale corporativo che - dopo quattro anni prima e dopo tre adesso - sa

tutto della sua disciplina. Così non va, si studia tutta la vita. GIUSEPPE BERTAGNA. D’accordo. La legge 53 della Moratti però ha provato a cambiare le cose, indirizzando i neolaureati su scuole specialistiche dove avrebbero continuato a studiare anche le discipline che poi avrebbero insegnato. Il tentativo è stato spazzato via da enormi resistenze corporative. Non facciamoci illusioni, qualunque sia il governo, la scuola è concepita come un atelier national: la più grande agenzia che assorbe la disoccupazione intellettuale di questo Paese. GIORGIO ISRAEL. Bisogna imporre misure rigorose. Servono ad esempio controlli annuali più rigidi e occorre ripristinare seri esami di riparazione. Rovinano l’estate dei ragazzi? Non muore nessuno se questo accade La situazione è così grave che ci vogliono provvedimenti anche impopolari. GIUSEPPE BERTAGNA. Gli esami di riparazioni già ci sono, ma non si svolgono secondo le regole previste. Il problema vero però è che il nostro sistema scolastico è il più uguale del mondo. Programmi, scuole, insegnanti reclutamento e didattica: tutto uguale. Le cattedre qui sono sacre. Ma non si possono trattare in modo uguale i diseguali. Serve i chiarezza assoluta sui risultati da raggiungere. Stabiliti quali debbano essere, ogni scuola può arrivarci alla sua maniera. GIORGIO ISRAEL. Non mi convince. Non si può scegliere il tipo di percorso in base a quello che la famiglia vuole per il bambino. GIUSEPPE BERTAGNA. Perché no? I percorsi per arrivare all’apprendimento, alla conoscenza possono essere diversi fra loro. Non importa che tutti raggiungano l’obiettivo allo stesso modo. Non importa chi è più avanti o più indietro dopo il primo anno, ma che alla fine si raggiunga un buon livello di preparazione. Sono d’accordo anch’io che siano necessarie delle verifiche, dei controlli. Ci sono però grandi ostacoli. Di recente ad esempio è stato cancellato l’istituto nazionale di valutazione (Invalsi) che verifica la qualità della scuola presa in esame. GIORGIO ISRAEL. Attenzione al modo di giudicare, credo che una scienza oggettiva della valutazione non esista. E poi un certo grado di formalizzazione, di standardizzazione dei percorsi formativi è indispensabile.

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Socrate segue da pagina 13 Ad ogni modo, mi pare che lei, professor Bertagna, insista sulla centralità della qualità dell’insegnamento. GIUSEPPE BERTAGNA. Esattamente. La questione è che se un insegnante non conosce la sua disciplina, non è giusto che dia i voti ai ragazzi. GIORGIO ISRAEL. È vero che ci sono insegnanti impreparati, ma la sindacalizzazione ha bloccato tutto. E comunque la questione non si risolve con tecniche di valutazione mediate da un istituto centrale. GIUSEPPE BERTAGNA. La legge 53 del 2004 diceva chiaramente che la competenza valutativa era assegnata ai docenti. Nessun istituto centrale poteva recarsi a verificare i voti. GIORGIO ISRAEL. Eppure anche nel centrodestra, alcuni vorrebbero risolvere il problema degli insegnanti poco preparati con un istituto centrale che verifichi i risultati ottenuti. Chi sceglie le persone che valutano? E come si controlla il loro operato? In base a quali criteri? Dietro tutto questo c’è in realtà una concezione della scuola come azienda. E l’istruzione non è un prodotto, né un servizio, né un’impresa. In realtà, il giudizio spetta solo all’insegnante. GIUSEPPE BERTAGNA. Anch’io penso che l’unico a valutare l’alunno debba essere il docente. Ma l’insegnante deve conoscere

«I percorsi possono essere diversi, ma bisogna ottenere gli stessi obiettivi» la disciplina e sapere quali obiettivi gli richiede la società alla fine dei 5 o degli 8 anni. Ci deve essere perciò una scelta condivisa dal bambino e dalla famiglia che deve sostenerne lo sforzo. GIORGIO ISRAEL. Come può sperare che i docenti siano tutti capaci e rispettabili? E’ la scuola nel suo insieme che deve essere rispettabile. Così era ai miei tempi. Che ci sia qualche incapace è fisiologico. Se ci sono insegnati ignoranti, dovrebbero essere ignoranti però in un contesto di qualità. GIUSEPPE BERTAGNA. Sono le persone che incarnano le istituzioni. Se una famiglia ha disistima degli insegnanti, e la trasmette al bambino, come può aver quest’ultimo stima della sua scuola? A quel punto è meglio cambiare e costruire un rapporto di fiducia con un’altra. GIORGIO ISRAEL. Non sono d’accordo. Sa che cosa accade? Che le famiglie vogliono che il figlio vada a scuola e faccia i suoi comodi, che non venga punito, e che alla fine dell’anno sia promosso. È la logica del supermercato.Vado, compro una scatola di pelati, e se è rancida la scaglio

«La scuola non è un prodotto, nè un servizio, nè un’impresa»

contro il proprietario. GIUSEPPE BERTAGNA. No, il problema è la mancanza di scelta. Gli italiani non scelgono i curricula nè la scuola. Le scuole non scelgono i loro docenti. Siamo tutti costretti a consumare la pietanza così com’è cucinata. Per cambiare bisogna tornare a premiare il merito sia dei docenti che degli alunni. E consentire alle famiglie di scegliere la scuola dove mandare loro figlio. GIORGIO ISRAEL. Va bene, ma i problemi di merito si risolvono con maggiore rigore. Bisogna farla finita con gli atteggiamenti da sessantottini. Servono regole serie ed esami seri. Serve ripristinare il principio d’autorità GIUSEPPE BERTAGNA. Sono i genitori i primi educatori del bambino. Gli strumenti di disciplina esistono, ma non riesce a usarli nessuno. La deterrenza è efficace soltanto se è condivisa da genitori e scuola. Per questo insisto: le famiglie devono poter scegliere. E qui entra in gioco il buono scuola. GIUSEPPE BERTAGNA. Stabilite le regole generali, posto un istituto centrale di valutazione con gli strumenti di cui abbiamo detto, stabilito che siano solo gli insegnanti a valutare gli allievi, si crea un contratto formativo con i genitori: una reciproca responsabilità GIORGIO ISRAEL. Lei invoca il massimo di libertà di scelta. A questo punto mi chiedo però

come si possa predicare tanto liberalismo e poi dare direttive che evocano il socialismo reale. Nelle indicazioni ministeriali sono infatti previste aberrazioni come l’educazione all’affettività o alla cittadinanza. Come si può insegnare a volere bene? Questo si fa in famiglia. La conoscenza di sé o l’autostima non possono essere impartite con programmi

scolastici. A scuola s’imparano le discipline: la storia, la geografia, la matematica. Bisogna ridare all’insegnante quel ruolo di cui parla Hannah Arendt. L’insegnante deve sentirsi, e deve essere incoraggiato a essere, un rappresentante della società. Una persona che entra in classe e dice: «Io sono qui per spiegarti il mondo in cui sei venuto».

LETTERA DA UN PROFESSORE

MARX E L’ULTIMO BACIO di Giancristiano Desiderio tavo tirando la barba a Marx quando, agitata come mai l’avevo vista, è entrata in classe Antonella. La lezione era iniziata da un po’, ma ero soprappensiero proprio perché le ragazze mi avevano avvisato che Antonella non si sentiva bene e, in compagnia di altre due compagne, era bagno. Ma quando Antonella entra in classe e chiede d’avere il sostegno un’altra compagna capisco che c’è qualcosa che non va. “Professore”, dice in modo rapido ed eccitato, addirittura tremando, “può uscire anche Barbara” e la chiama con lo sguardo ancor prima che possa dare il mio assenso. Che cosa diavolo sta accadendo? È successo

S

qualcosa, ma cosa? Le ragazze - mi trovo in una quinta classe composta da venti alunne e un solo alunno sanno ma non dicono. Ripeto più volte: “Ragazze, mi dite cosa sta succedendo? Antonella sta bene? Devo intervenire?”. Mi tranquillizzano dicendomi che c’è qualche problema familiare, ma non la bevo. Antonella è alta, bella, intelligente, con due grandi occhi che vogliono conoscere il mondo. È sempre allegra, spiritosa, pronta a tener su le compagne nei momenti di tristezza. Oggi che è lei ad essere giù, in classe si respira un’aria strana. Fingo tranquillità e riprendo nuovamente il filo del discorso: Feuerbach, l’alienazione, la critica

alla religione e il ritorno di Marx ad Hegel con la necessità di una critica dell’economia politica per conoscere l’uomo in carne e ossa e non un’astratta essenza di uomo. Mentre porto avanti la lezione e mi sforzo di essere chiaro continuo a chiedermi cos’è successo e, soprattutto, cosa sta accadendo ora in bagno dove ci sono ben quattro ragazze. “Bene, ragazze, dunque Marx riconosceva al lavoro un grande significato filosofico e su questa base ideale analizzò la condizione operaia della società del suo tempo. Chiaro? Va bene, continuiamo la prossima volta”. Al diavolo Marx, bisogna capire cosa accade in bagno. Decido di andare a controllare.

Il bagno è attiguo all’aula. Esco, due passi e sono lì. Come entro? C’è una bidella che sta pulendo.“Chiedo scusa signora, mi chiama le ragazze?”. “Ragazze uscite, vi vuole il professore”. Eccole ed ecco Antonella, disperata. Piange, l’abbraccio. “Allora, mi dici cosa c’è? A me lo puoi dire”. Le amiche intorno mi guardano, ma non parlano. “Su Antonella, coraggio, dimmi”. Finalmente: “Il mio ragazzo è uno stronzo, ha baciato un’altra, una più grande che faceva la quinta l’anno scorso”. Rassicurato, consolo Antonella, le bacio la fronte e tornando in classe mentre suona la campanella sorrido delle pene d’amore delle mie alunne.


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Socrate

Storia di un conservatorismo scolastico pressoché insuperabile: dal 1859 alla Moratti

I 24 tentativi (falliti) di riforma

di Nicola D’Amico una specie di maledizione del Faraone. Solo dall’inizio del secolo XX, in 108 anni, i tentativi di riforma organica della scuola – a parte i lacerti di riforma riguardanti settori particolari come scuola media, scuola materna ed esame Stato – sono stati 24. Ventitrè sono falliti

È

Naufragano tutti i progetti dc di cambiamento miseramente prima di arrivare a farsi legge, il ventiquattresimo, quello del II Governo Berlusconi (riforma Moratti) ha subito la maldestra violenza del “cacciavite”del ministro Fioroni, che, impossibilitato a intaccarne la parte già andata quasi a regime (scuola di base) si è limitato a sfigurarne qualche tratto, congelando il resto (secondaria superiore), in attesa di tempi che, rendiamo grazie a Dio, sono stati obliterati dalla fine della nanolegislatura.

Dal 1859 e fino al 1923, da Gabrio Casati, fino al filosofo Giovanni Gentile, e poi fino alle soglie della II guerra mondiale, con Giuseppe Bottai, la scuola italiana è stata militarizzata, è stata l’ancella della legittimazione dei regimi politici, lei così disponibile, lei così “massa”. Eppure ha conservato sempre una sua indipenden-

za da“chiesa del silenzio”, un suo conservatorismo, refrattario – sì - al soffio della cultura, ma anche al totale asservimento politico. Le riforme della scuola secondaria superiore, o i loro tentativi, sono stati, fino al 1962, inglobati in progetti “totali” di riforma della scuola secondaria; insieme, quindi, con norme attinenti alle scuole medie inferiori. Non appena l’istruzione media inferiore (a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso) entrò nel segmento della scuola dell’obbligo e, quindi, di un sistema elementari-medie, riformarla fu, si fa per dire, più facile, fino a quando sfociò, finalmente, nella scuola media unica (1962-63). Questa, diciamo per completezza dell’informazione, anche il ministro fascista Giuseppe Bottai aveva tentato di sperimentarla nel 1940 (lasciando fuori, però, la scuola dei poveracci, la scuola di avviamento professionale, ai cui allievi, trasformatisi in piccoli imprenditori fu dovuto, in gran parte, il “miracolo italiano” degli anni Cinquanta). Perché non si riesce a fare una riforma della scuola secondaria superiore, quella che prepara la classe dirigente e i quadri tecnici di domani? Giuseppe Bertagna (“La riforma necessaria”, 1992) offrì, tra altre, questa ipotesi di causa: una strutturale “incapacità politica” alla decisione, collegata a una “democrazia bloccata”. Giuseppe Pazzaglia e Roberto Sani danno come responsabili anche “le angustie del discorso culturale e pedagogico”. E allora? Le ipotesi sopra accennate costituiscono certamente lo sfondo del fenomeno. Ma le cause dei fallimenti

sono diverse da stagione a stagione. Dipendono dalla prospettiva con cui la riforma è stata di volta in volta considerata necessaria e posta sul tappeto. E se il fallimento ha un solo colore, le prospettive per arrivarci, dall’inizio del secolo XIX ad oggi, sono state molte.

Una riforma della secondaria superiore fu già invocata dal primo dei ministri della pubblica istruzione del Regno d’Italia, Francesco de Sanctis, per rimediare alle falle di Casati (silenzio sull’istruzione professionale, formazione dei maestri elementari paragonata alla stessa scuola elementare e mostri del genere, ecc.). Con Gentile (1923) , sessant’anni dopo, la “missione” della riforma era un’altra: “lotta alla dequalificazione dell’istruzione liceale” e “formazione della

…e poi inizia la follia delle sperimentazioni classe dirigente”, una riforma in senso elitario anticipata da Benedetto Croce (1920-21). In quanto a Bottai il suo scopo era di eliminare ogni residuo di “idealismo puro”esistente nella riforma Gentile e rinverdirne il classismo. Dopo la II guerra mondiale, la scuola che esce dall’Assemblea Costituente (194648) è importante per le dichiarazioni di

principio (diritto alla studio, doveri dello Stato, libertà dei privati, obbligo scolastico), ma in effetti non cambia nulla nella sua architettura. Il paradigma è quello della “repubblicanizzazione della scuola”, la ricognizione dello stato dell’insegnamento al fine della depurazione dai programmi fascisti, con qualche punta di aggiornamento scientifico. Senza una filosofia di fondo, naufragano i progetti Gonella-Segni (1951-53), i due progetti Medici (1958-59 e 1960), e una bozza Moro (1958). Lavorano per niente il ministro Gui (Direttive, ecc., Linee, ecc,) e la sua Commissione di indagine Ermini, che miravano a “diminuire le distanze tra i vari tipi di scuola e a rendere intercomunicanti gli stessi”. Così finisce anche la proposta del senatore Codignola (1967). Dopo l’estensione dell’obbligo scolastico e la unificazione della scuola media inferiore, e con l’apporto stimolatore della nuova scuola materna, l’Italia va intensamente alfabetizzandosi: ora il paradigma è quello dell’“adeguamento della scuola secondaria alla nuova scuola media”. Su di esso tra biennio sì e biennio no - saltano i progetti della Commissione Biasini (197172), varie proposte di legge (otto) del 1974, muore per fine legislatura il progetto Malfatti (1978), Falcucci (1985) e Jervolino (1993). A questo punto si scatenano le “sperimentazioni” gestite dall’Amministrazione, in dispregio del Parlamento: la conseguenza è che, dopo i tentativi parlamentari di Berlinguer e Moratti, ancora oggi oltre 2 milioni di studenti italiani studiano (si fa per dire) in regime di sperimentazione. Selvaggia.


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Socrate libri e riviste

Protetti, coccolati e penalizzati da una scuola che dà risultati modesti rispetto alle risorse investite

Eterni bambini che non crescono di Giacomo Zagardo ella piramide rovesciata dell’attuale società italiana (con tassi di natalità tra i più bassi al mondo) è sempre più comune la coppia a figlio unico, sul quale si concentra l’attenzione di tutto il clan familiare. Il bambino riceve fin da piccolo pressioni e stimoli diversi dal passato e prolunga la sua adolescenza (vi entra prima e ne esce più tardi) spesso con carenze di volitività, di resistenza e di obiettivi. Ultracoccolato e ultraprotetto (calcetto, equitazione, danza e via stressando) vive il passaggio da una leadership autorevole e consolidata, detenuta dai capifamiglia fino a qualche decennio fa, a una leadership partecipata, le cui regole sono negoziate accanitamente con i genitori, che ormai in alcuni campi ne sanno meno dei loro figli. Famiglia e scuola influiscono poco e il ragazzo è solo davanti ad internet, videogiochi che inducono a comportamenti non sempre sociali e programmi televisivi scadenti.

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Il giovane subisce mode veicolate in modo aggressivo e persuasivo dai mass media e favorite dal mix di disponibilità economiche e cedevolezza sessantottina dei genitori. Ma i danni più grossi all’incomunicabilità generazionale derivano dalle differenze di significato tra giovani e adulti dovute al soffocamento delle agenzie valoriali tradizionali e alla frammentazione di quelle attuali. Una differente prospettiva temporale fa perdere di importanza il passato. Il futuro fa paura, è difficile e rischioso: è meglio appiattirsi all’attimo presente (lo “studia che ti servirà”è moralistico e insensato perché life is now...). Nella costruzione del sapere non è naturale una costruzione seriale, per successivi accrescimenti, ma è apprezzata quella reticolare e casuale sia della cultura che della propria coscienza. Cedono terreno le problematiche di senso universali e intessute di ideali ma a molti giovani di questa società rimangono i valori (“la cosa importante per me”), merce di scambio mai data ma spesso negoziata al ribasso con se stessi. I giovani sono ancora portatori di valori: appresi in modo frammentato ma non organizzati all’interno di sistemi di riferimento, non gerarchizzati ma sparsi, in ossequio all’imperante relativismo filosofico del “pensiero debole”. Dobbiamo riconoscere che questa situazione, dipinta recentemente dai vertici della Confindustria e dallo Iard, non ci permetterà facilmente di competere con le nazioni emergenti. La scuola ha fallito per mobilità sociale, crescita della produttività,

I buoni risultati di Finlandia, Svezia e Irlanda

La Commissione Attali e le scelte della Francia diritti di cittadinanza, modestia dei risultati rispetto alle risorse investite. Ma il suo peggior difetto è l’aver creato una generazione che ha perso il controllo del proprio destino e ritiene poco utile accumulare e poi mobilitare le proprie risorse per la costruzione del proprio progetto di vita: rispetto agli studenti di altri paesi europei, i nostri sono quelli che predicono il successo professionale più in base alle conoscenze che alle capacità personali e allo studio.

Ancora più, allora, diventa urgente trovare alternative al modello burocratico di scuola, ormai vuoto di significato. Lo hanno fatto per tempo quei Paesi che sono ai primi posti per risultati conseguiti dagli studenti (Finlandia, Svezia, Irlanda) puntando a politiche che investono nella formazione dei docenti. Lo hanno fatto più di recente quei Paesi, come Inghilterra e Francia, che accusando il ritardo hanno cominciato a ripensare radicalmente il loro sistema educativo (significativa è la storica Décision 6 della Commissione Attali) in termini di libera scelta dei genitori. Di fronte al cambiamento delle giovani generazioni dovrebbe cambiare anche la scuola? Certamente sì, in alcuni campi, (la centralità dell’allievo, la varietà e la personalizzazione dei percorsi, l’approccio didattico, la partecipazione dei genitori alla vita della scuola) mantenendo però quella funzione educativa che fa della scuola uno strumento privilegiato per formare alla convivenza civile. La scuola è una istituzione “lenta”, che per la sua complessità non può far fronte all’e-

l tema delle competenze, della loro valutazione e certificazione ha occupato il dibattito politico sul sistema educativo, in particolare per il loro legame del Portfolio delle competenze individuali, recentemente introdotto nella legislazione italiana. Ma che cosa sono le competenze, come deve avvenire la loro valutazione e come si registrano nel Portfolio? Sono le domande alle quali M. Pellerey, partendo dall’evoluzione del concetto di competenza, offre elementi di riflessione e soluzioni utili per la programmazione delle scuole. L’autore descrive la competenza come «la capacità di far fronte a un compito riuscendo a mettere in moto e a orchestrare le proprie risorse intern e a utilizzare quelle esterne in modo coerente e fecondo». Michele Pellerey Le competenze individuali e il Portfolio La Nuova Italia, Milano, 2004

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mergenza, tanto meno alle esigenze del soggetto che apprende. La centralità dell’allievo, in coerenza con gli indirizzi comunitari, sostituisce il centralismo della scuola. Ciò comporta la progettazione sui soggetti, con attenzione a tempi, modi e ritmi propri di ciascuno.

In questo, la pedagogia del successo formativo si distinguere dalla pedagogia della selezione e prevede che ogni alunno sia, comunque, aiutato a mobilitare tutte le sue risorse per raggiungere i gradi superiori del sistema educativo. È così che la Finlandia mantiene da anni il primo posto nelle classifiche Pisa. Ecco, allora, che l’istruzione diventa un itinerario interrogativo e inventivo, dove il ragazzo si rende protagonista della propria vicenda umana e culturale e, così facendo, recupera quel sapere che gli era stato negato attraverso le strade dell’insegnamento preconfezionato. La varietà didattica (già esplicita nella migliore formazione professionale) va esercitata più efficacemente in una pluralità di contesti di apprendimento (aula, laboratorio, azienda, estero) e di metodologie (giochi di ruolo, esercitazioni pratiche, simulazioni). Si realizza per “centri di interesse” più che per quadri sistematici di nozioni teoriche, e richiama in tutto il percorso i saperi in modo più pratico e dotato di senso immediato. Nelle azioni delle scuole diventa utile prevedere il coinvolgimento dei genitori: l’esperienza dimostra che in tutti i contesti dove essi sono stati raggiunti le speranze di successo si sono moltiplicate. Le famiglie vanno messe in grado di svolgere un ruolo durante tutto l’itinerario formativo trovando, per tempo, in esso un’opportunità di partecipazione, di crescita e di rafforzamento delle relazioni con i propri figli. Solo così la scuola sarà sempre più il prolungamento dell’azione educativa dei genitori e sempre meno la longa manus del governo.

l volume curato da A.M. Ajello raccoglie una serie di saggi che affrontano il tema della competenza nelle differenti prospettive di studio. In particolare sono analizzate le origini e le ragioni di affermazione del concetto di competenza all’interno dei settori disciplinari e professionali. La presenza di prospettive diverse consente una lettura critica che evidenzia diversi approcci al tema delle competenze. Si mettono in luce sia le caratteristiche dei modelli che centrano il loro interesse sulle peculiarità degli individui «competenti», sia di quelli riferiti alle organizzazioni come contesti di attività in cui si svolgono attività condivise e distribuite e alla cui realizzazione concorrono diversi individui. Anna Maria Ajello (a cura di) La competenza Il Mulino, Bologna, 2002

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A cura di Domenico Sugamiele


Un’idea, una buona idea, è davvero rara. Albert Einstein

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DELLE IDEE


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economia

La proposta della triplice si basa sull’attuale modello fondato sui due livelli di contrattazione

Contratti, il piano dei sindacati è solo un’operazione di facciata di Giuliano Cazzola bbe sì, lo confessiamo. Ha avuto il torto di prestare il proprio aplomb band off ad una brothers, un po’ avventurosa e un po’ sciamannata, come il governo Prodi. E in tale veste si è adattato a dare formale copertura, nei confronti della Ue e delle autorità internazionali, a provvedimenti assai discutibili. Come ministro dell’Economia si è assunto la paternità di due Finanziarie che sarebbe stato meglio evitare. La prima, quella del 2007, inutilmente pesante, tale da mortificare la crescita; la seconda, l’anno dopo, ha persino corretto in aumento il deficit tendenziale. Ma adesso, che si accinge a tornare tra le riserve della Repubblica, Tommaso Padoa- Schioppa ci è persino simpatico. Anzi, ci sentiamo solidali con lui. È lecito, infatti, pensare tutto il male possibile del ministro dell’Economia e del governo dimissionario, ma è semplicemente assurdo che il kombinat sindacalsinistroso arrivi al punto di intimare a Padoa-Schioppa di restituire il «tesoretto» (ovvero il surplus presunto di entrate fiscali per l’anno in corso) come se lo

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avesse trafugato e trasferito, notte tempo, alle Isole Cayman o in qualche altro «paradiso fiscale». Ad onor del vero,TPS lo ha sempre affermato, anche quando non pensava di dover lasciare la poltrona appartenuta a Quintino Sella. E lo ha esposto ai sindacati fin dai primi incontri: prima di fare promesse - questa è stata la posizione ufficiale del governo Prodi - occorre aspettare i dati della trimestrale di cassa. Le cifre ipotizzate all’inizio dell’anno erano previsioni, peraltro desti-

stenza di un «tesoretto» (qualcuno ha sparato un ammontare di 10 miliardi) e rivendicano (anche con iniziative di protesta) la sua immediata ripartizione. Come se la crisi di governo e lo scioglimento delle Camere fossero un banale incidente di percorso e non comportassero il blocco dell’iniziativa politica.

Sem pre nei giorn i scorsi l’autorevole quotidiano economico Il Sole 24 Ore ha evidenziato un fabbisogno non co-

non riusciranno a far piovere un solo euro.

Con almeno 10 anni di ritardo Cgil, Cisl e Uil hanno messo a punto un documento comune sui problemi della riforma della contrattazione. Ci provarono già nel 1998 quando sottoscrissero con il governo D’Alema il cosiddetto Patto di Natale, da cui, per intercessione della Cgil, venne espunto ogni riferimento ad eventuali modifiche degli assetti negoziali. Poi, quattro anni or sono, toccò a Luca Cordero di Montezemolo salito ai vertici di viale dell’Astronomia sulla base di un solo punto programmatico: mai più senza la Cgil - proporre l’avvio di un meganegoziato, subito abortito per iniziativa della solita confederazione rossa. Cofferati era uscito di scena, ma la linea non era cambiata. Da allora tutto è rimasto fermo. La riforma della struttura contrattuale ha sempre trovato sulla sua strada un rinnovo dei metalmeccanici da concludere con le vecchie regole, prima che vi fosse la disponibilità di negoziarne di nuove. Adesso è insieme troppo tardi e troppo presto. LCdM sta per andarsene. Da presidente di Con-

Mentre il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa è al centro della polemica sul tesoretto, Cgil, Cisl e Uil sono particolarmente attivi per affermare un loro ruolo politico nate probabilmente a non trovare corrispondenza negli andamenti effettivi, vista purtroppo la frenata dell’economia (annunciata dal calo sostenuto della produzione industriale, dall’andamento altalenante del prezzo del petrolio e dal malessere dei mercati finanziari, con la crisi americana sullo sfondo). È singolare che i primi a criticare TPS siano i suoi colleghi di coalizione e i sindacati. I dirigenti di Cgil, Cisl e Uil si dichiarano persino sicuri dell’esi-

perto pari a 7 miliardi. Il dicastero dell’Economia ha emesso un comunicato di risposta che non smentisce e non rassicura, limitandosi a dire che, quando verrà il loro momento, tutte spese saranno finanziate. Ma i sindacati sembrano essere diventati degli specialisti della «zona Cesarini», dei «tuttofare» dell’ultimo minuto. A loro non basta intrecciare qualche danza rituale intorno al totem del «tesoretto», assolutamente consapevoli che

findustria si è messo a strigliare con vigore il sistema politico forse per far dimenticare i magri successi conseguiti come leader di una grande associazione rappresentativa. I sindacati hanno evidentemente dato vita ad un’operazione di facciata, perché la loro proposta non è altro che un’ulteriore razionalizzazione del modello vigente, imperniato su due livelli di contrattazione (nazionale e decentrato), caratterizzati da confini molto laschi per quanto riguarda le distinte competenze. Manutenzione, maquillage, dunque. Con qualche giro di vite sulla decorrenza, scadenza e durata dei contratti.

Ma dietro all’attivismo di queste ultime ore stanno sicuramente dei disegni politici. Raffaele Bonanni, per intima convinzione, vuole impegnare la Cisl in uno sforzo positivo che porti ad affermare, nei confronti dei lavoratori, un liberatorio «noi ci siamo», anche quando la classe politica svanisce. Guglielmo Epifani - basta scorrere l’accordo - ha aderito soltanto perchÈ la filosofia del patto intersindacale Ë assai poco innovativa. Luigi Angeletti, dal canto suo, deve pur tirare a campare.


economia

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Franco Bernabè ha annunciato il riassetto della struttura

Per la rete Telecom lancia Open Access di Alessandro D’Amato

ROMA. Una struttura Open Access per gestire in modo indipendente e trasparente la rete d’accesso di Telecom. È questo il “coniglio dal cilindro” tirato fuori da Franco Bernabé nel riassetto organizzativo dell’azienda: la struttura sarà chiamata a garantire lo sviluppo e la manutenzione della rete, e sarà completamente autonoma dalle funzioni commerciali del gruppo. E la decisione viene benedetta dall’Agcom, la quale afferma in una nota che la scelta risponde a grandi linee alle richieste dell’Autorità. «È un primo passo nella giusta direzione - commenta Francesco Sacco dell’Università Bocconi - anche se bisogna vedere quale sarà il perimetro di accesso. Ma è una mossa che conviene a tutti, e soprattutto a Telecom». L’annuncio ha fatto indiscutibilmente bene al titolo (+1,83 per cento a Piazza Affari), che soltanto l’altroieri aveva toccato i minimi dal 2001, trovandosi ad avere – per la prima volta nella storia – più debiti che capitalizzazione. E scatenando, come spesso accade in questi casi, la solita ridda di voci sul rischio di scalata, alimentate anche dalle notizie che vorrebbero Intesa in difficoltà nella ricerca di nuovi soci disposti ad entrare in Telco, e Telefonica invece pronta ad acquistare azioni sul mercato, per lenire la perdita potenziale di 1,2 miliardi di euro nel suo investimento nella “scatola” finanziaria che controlla

Il titolo ha chiuso a +1,83, dopo che nei giorni scorsi aveva toccato i minimi dal 2001, trovandosi ad avere più debiti che crediti Telecom. E servirà anche a calmierare – ma non a fermare del tutto – le proteste di concorrenti e dei clienti, malignamente ricordate sempre ieri dallo stesso Catricalà («Telecom è l’azienda più denunciata, ma non la più sanzionata al-

l’Antitrust, anche a causa di un inseguimento, a volte legittimo e altre che desta delle perplessità, del cliente conquistato dagli altri gestori», ha detto il presidente dell’Authority). Ma non basterà certo questa mossa a risolvere il nodo di una modernizzazione della rete che appare sempre più necessaria agli esperti. Ma gli investimenti, ormai indilazionabili, per la rinnovata rete digitale (il famoso NGN,“Next Generation Network”) non sono stati nemmeno programmati: «per effettuarli occorrerebbero decine di miliardi - ricorda Massimiliano Trovato dell’Istituto Bruno Leoni - ma la compagnia ha stanziato solo 160 milioni per la manutenzione delle infrastrutture». «Anche il commissario per le Tlc Viviane Reding si è espressa a favore del Fiber To The Home (l’architettura di rete con cavi in fibra ottica) – scrive sul suo blog Stefano Quintarelli, fondatore di i.Net – e della separazione funzionale della rete. La verità è che di una grande opera infrastrutturale, fondamentale per il futuro della società e dell’economia, si parla pochissimo». Anche se, secondo alcune indiscrezioni, in una riunione recente ai piani alti di Telecom si è cominciato a parlare proprio di FTTH e fibra ottica, che dovrebbe sostituire nel medio periodo il rame nell’ultimo miglio, quello che arriva alle case. Per ora, soltanto ipotesi.

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Italiani primi per le mail truffa I virus informatici sono sempre più pericolosi, e l’Italia oltre che esserne vittima sembra primeggiare anche tra i ”produttori”. Lo afferma il rapporto ”X-Force 2007” dell’’Ibm, che ha rilevato come anche dal nostro Paese partano le minacce per il web. Secondo i dati, da caselle di posta elettronica italiane partono il 14,3 per cento delle mail di phishing, cioé quelle che chiedono i dati personali, il 3,9 per cento dei messaggi di spam, le cosiddette mail spazzatura che pubblicizzano siti porno o di vendita di merce varia, e quasi il 5 per cento dei siti illegali per il contenuto di violenza o perché nascondono truffe.

Alitalia, piloti contro ricorso AirOne Anpac, Anav ed Avia, riunite nella FAN, hanno presentato un’opposizione nel giudizio al TAR del Lazio e instaurato da AP Holding di Carlo Toto, patron di AirOne, che chiedeva la sospensione della trattativa esclusiva con Air FranceKlm deliberata dal Cda di Alitalia ed avallata dal ministro dell’Economia, Tommaso PadoaSchioppa.

Rifiuti, nuovo sopralluogo Ue a Napoli La Commissione europea effettuerà da oggi fino a venerdì un secondo sopralluogo a Napoli e in Campania per fare il punto sulla crisi rifiuti. Lo ha confermato Barbara Helfferich, portavoce del commissario europeo all’Ambiente, Stravros Dimas. Una missione di tecnici Ue era già stata in Campania lo scorso 15 luglio.

Trichet: serve comprensione sistema Il presidente della Bce, Jean Claude Trichet, interviene sulla situazione economica: «Serve una maggiore capacità di comprensione del sistema finanziario a fronte della ”significativa” correzione che stanno attraversando i mercati». Il numero uno dell’Eurotower è tornato a chiedere una maggiore armonizzazione della disciplina del mercato europeo e un maggior coordinamento tra le autorita’ di controllo bancario.

Governance Unicredit, ok dell’Antitrust Via libera dell’Antitrust alla ’governance’ per la fusione tra Unicredit e Capitalia. Il collegio dell’Autorità, infatti, ha accolto positivamente gli assetti di governance -alle condizioni poste dall’Antitrust- alla fusione tra Unicredit e Capitalia.

Domani sciopero alla Treccani La Rsu della Treccani ha indetto lo sciopero dei lavoratori per il giorno 15 febbraio, con presidio davanti all’Istituto in piazza dell’Enciclopedia Italiana. «Lo sciopero - si legge nella nota diffusa dalla Rsu - il primo di una serie che i lavoratori della Treccani sono pronti a sostenere, è proclamato perché venga posto rimedio alla situazione di sofferenza programmatica e, quindi, organizzativa nella quale versa la Treccani. Chiediamo garanzie per il lavoro, per la sua durata e per la sua qualita’».

La ThyssenKrupp, dopo la tragedia non ha più riaperto, la Bertone verso la bancarotta e Fiat liquida la Teksid

L’industria torinese sull’orlo di una crisi di nervi di Vincenzo Bacarani

TORINO. I fatti recenti dimostrano come il cuore imprenditoriale del Nord-Ovest stia andando incontro a vari problemi, tutti drammatici per un verso o per l’altro e dagli sviluppi imprevedibili. Gli incidenti mortali sul lavoro si susseguono a ritmi impressionanti. La tragedia della ThyssenKrupp e poi altri episodi, avvenuti in medie e piccole aziende in questi ultimi giorni, hanno portato il numero delle “morti bianche” a livelli insopportabili: in meno di un mese e mezzo in Piemonte sono deceduti quattordici lavoratori. La Thyssen, che dava lavoro a circa 300 operai, è chiusa per sempre. Ma il problema della sicurezza non è il solo che assedia le industrie torinesi. Il profondo Nord-Ovest deve fare i conti anche con una

congiuntura non favorevole e con errori commessi negli anni passati. Il caso Bertone ne è un esempio. Una delle maggiori carrozzerie europee nel giro di un anno si mangia undici milioni di euro e va verso la bancarotta. Ora tre commissari, designati dal Tribunale di Torino, decideranno il destino di un’azienda storica e di 1500 dipendenti. Nel frattempo un’altra storica carrozzeria, la Pininfarina,“approfitta” degli eventi negativi dell’avversario e assume parte dei suoi dipendenti con l’obbiettivo coraggioso di diventare azienda produttrice di un’auto elettrica ad alto rendimento. Ma il mare agitato dell’industria torinese non si placa. La Fiat che nella scorsa estate ha acquistato per la cifra simbolica di 100 euro una Teksid che stava

affogando, ora ci ripensa. La Teksid, dopo sei mesi, non viene considerata più utile. L’azienda, che produceva componenti per aerei militari “Eurofighters” e Airbus, non è produttiva secondo Fiat. I dati: nel 2007 un fatturato di 13,8 milioni con perdite di 6,4 milioni. Secondo l’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, “la Fiat non può mantenere un’attività che perde soldi”. Quindi la Teksid verrà liquidata e 250 dipendenti verranno fatti fuori. Un quadro allarmante. «La verità – dice Giorgio Airaudo, segretario Fiom-Cgil del Piemonte – è che manca una politica di indirizzo. Abbiamo un sistema di imprese frammentato che è uscito debole dall’ultima crisi. La Fiat? E’ stata resuscitata da Marchionne, ma chi resuscita non riesce a battere il record dei cento metri».


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cultura

L’universo femminile è maggioranza in tutti i campi tranne che nelle istituzioni

Prime donne.Ma in politica c’è differenza di Anselma Dell’Olio sce con perfetto tempismo il nuovo libro di Ritanna Armeni, Prime donne: perché in politica non c’è spazio per il secondo sesso (Ponte alle Grazie, 14 febbraio, 2008). Tra la sconfitta di Ségolène Royal, candidata Socialista per la presidenza francese, e quella (secondo me quasi sicura) di Hillary Clinton come candidata Democratica per la presidenza statunitense, è sicuramente utile riflettere sul perché il cammino delle donne verso le alte cariche politiche resta impervio. L’Armeni si chiede perché la presenza femminile sia cresciuta ovunque in altri settori della società – sono ormai persino maggioranza tra i laureati – ma sono ancora assai minoritarie nelle istituzioni elettive? (Nel parlamento italiano costituiscono il 10 per cento del totale, e nelle cariche di maggiore responsabilità sono quasi inesistenti). L’assenza si nota ovunque, non solo in Italia, e non sono le rare eccezioni come Angela Merkel, Cancelliere tedesco, o Cristina Fernàndez de Kirchner, presidente argentina, a fare la differenza. Anzi, la velocità con cui si possono nominare quasi tutte è la dimostrazione dell’esiguità del fenomeno,

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perché donne capi di governo e di Stato, appunto, fenomeni rimangono. L’Armeni, co-conduttrice del programma di approfondimento politico Otto e mezzo, ha impeccabili credenziali di sinistra. Ha lavorato al Manifesto, a L’Unità, a Rinascita, ha collaborato con la rivista Noidonne ed è stata portavoce del segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti e responsabile dell’ufficio stampa del partito. Tra le righe di questo saggio, è evidente la sua aderenza a una corrente di pensiero femminista chiamato “politica della differenza”, che rivendica una specifica soggettività femminile diversa e non omologabile a quella maschile, negando un’idea “neutra” che ritiene uomini e donne sostanzialmente uguali salvo particolari anatomici diversi, ma ritenuti ininfluenti dal femminismo tradizionale. La politica della differenza rifiuta anche la rappresentazione che il potere dominante e patriarcale ha dato della donna come subordinata per natura, debole, instabile, relegata al silenzio e all’inferiorità rispetto al maschio “fallo-

centrico”. Il cuore del libro è la ricerca e la rivendicazione di questa differenza.

L’autrice prende in considerazione le carriere, le esperienze e le riflessioni di Michelle Bachelet, presidente del Cile, di Margaret Thatcher, ex primo ministro inglese, di Indira Ghandi e di Golda Meir, tra le altre. Le interessa trovare do-

dere la sterilizzazione maschile per via chirurgica su larga scala per frenare l’esplosione demografica del suo Paese. Oltre a notare l’impopolarità del provvedimento, l’autrice si domanda retoricamente: «È un caso che sia stata una donna a introdurre su larga scala una modalità di controllo delle nascite che non prevede l’intervento sul corpo delle donne, ma per una volta su quello dell’uomo?». Persino in Golda Meir, Primo ministro guerriero se mai ve n’è stato uno, e che ordinò la missione di vendetta contro i terroristi palestinesi che presero in ostaggio e poi trucidarono gli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco, vede una specificità tutta femminile. A uno sguardo diverso da quello maschile, osserva Armeni, si nota che la Meir ha passato i suoi ultimi anni di vita “nel rimorso e nel dolore per i suoi soldati uccisi”, perché lei non aveva gestito la guerra “in modo adeguato”. È sottointeso che un uomo non avrebbe fatto altrettanto. In un altro capitolo si esaminano le donne nel mito, nella leggenda e nell’antichità: Eva, Ele-

Nel suo libro Ritanna Armeni critica Jospin per non aver capito l’importanza della candidatura di Ségolène Royal ve, nel manovrare le leve del potere, gestite secondo l’ordine e le regole stabilite dai maschi, queste donne-leader hanno fatto o detto cose che dimostrano la loro sostanziale, se non sempre apparente,“differenza”. Ad esempio della Ghandi (che pure ha gestito il potere secondo la lezione di suo padre, lo storico Primo ministro dell’India indipendente Jawaharlal Nehru) ricorda la decisione di preve-

na di Troia, Semiramide, Antigone, le donne nella commedia di Aristofane, per rilevare come la loro vicinanza al potere è sempre rappresentata (dai maschi) come negativa, pericolosa, una iattura. Ma la parte più passionale del libro è la critica che Armeni rivolge alla sinistra, che predica bene e razzola malissimo. Dalla sua prosa serena trapela l’ira per le aspre critiche di “inadeguatezza” rivolte a Ségolène Royal da compagni come Lionel Jospin, l’ex primo ministro socialista, reo di non aver capito che era il modo della sua candidatura, la sua autoinvestitura fatta in barba agli “elefanti” del partito a renderla, in quanto donna, ipso facto importante e meritevole.

Che le donne abbiano esperienze di vita diverse dagli uomini, è innegabile; che un radicato pregiudizio esista, pure. Ma è quanto meno opinabile la cocciuta convinzione alla base del libro, secondo cui non solo le donne non “cooptate” dai maschi porteranno un ipotetico ”valore aggiunto” diverso e migliore nelle stanze del potere, ma che ci dobbiamo pure convincere che essere donna è, in sé, un programma politico sufficiente.


cultura

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Uscito il primo dei quattro volumi della saga con i personaggi Disney e quelli giapponesi

Topolino & co. a spasso con i manga di Roberto Genovesi

i solito impiega un po’ di tempo ma, prima o poi, il cerchio si chiude. Così solo ai più sprovveduti potrebbe sembrare impossibile un’alleanza strategica tra l’universo disneyano e il mondo dei manga. E invece è quello che è accaduto e, facendo un po’ di dietrologia del fumetto, diremmo anche in modo piuttosto prevedibile, quando la magia della Disney e lo stile dei manga hanno dato vita a Kingdom Hearts che da pochi giorni è arrivato anche sul mercato italiano delle fumetterie. Dire che Walt Disney sia l’inventore dei manga rappresenterebbe un’affermazione troppo lapidaria. Ma dire che il buon Walt, con i suoi fumetti e i suoi cartoni animati, sia stato il principale ispiratore o addirittura il maestro spirituale dell’inventore dei manga non è poi così lontano dalla realtà. In effetti Osamu Tezuka, soprannominato da fan e addetti ai lavori manga no kamisama e cioè ”dio dei manga”, non ha mai fatto mistero di essersi ispirato ai rotondeggianti tratti disneyani per creare gli inconfondibili occhioni a mandorla che distinguono un fumetto giapponese da una qualunque altra produzione di questo settore. I fumetti in Giappone esistevano naturalmente già da prima del suo arrivo sulla scena editoriale, ma Tezuka ha contribuito più di ogni altro suo collega a imporre alcuni codici grafici e narrativi che sono poi sopravvissuti fino ai giorni nostri. Stiamo parlando della cinematicità delle scelte grafiche e, soprattutto, dei tratti inconfondibili dei personaggi.

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Tezuka ha ammesso in più di un’occasione di essersi ispirato per queste sue scelte ai film di Walt Disney e in particolare di aver pensato a Simba, il leone bianco, dopo aver visto più volte Bambi. Oggi, con Kingdom Hearts, la Disney ripercorre a ritroso la strada intrapresa dal maestro giapponese, accompagnando per mano i suoi personaggi più celebri nel climax dei manga. Tutto ha inizio, come accade sempre più spesso, con un videogioco. Nel 2002

esce il primo capitolo di Kingdom Hearts per Playstation 2 in cui i personaggi Disney si trovano fianco a fianco con quelli di Final Fantasy. L’idea piace ai videogiocatori e così gli autori vanno avanti osando ancora di più. Ne nasce una vera e propria saga crossover dove videogiochi, fumetti, colonne sonore, giochi di ruolo, romanzi e gadget diventano attori principali di un entusiasmante tornado creativo. Uno di questi tasselli, probabilmente il più impegnativo dal punto di vista creativo, è da oggi disponibile in lingua italiana. Il primo di quattro volumi che costituiscono la prima saga completa in cui potrete Nightmare before Christmas, la simpaammirare Sora, Riku e Kairi – i perso- tia di Lilo & Stitch, ma anche la fantasia naggi creati da Tetsuya Nomura per il di Finding Nemo o l’originalità di Mon-

Osamu Tezuka, soprannominato dai fan e addetti ai lavori ”no kamisana, dio dei manga”, non ha mai fatto mistero di essersi ispirato ai fumetti disneyani per disegnare i suoi caratteristici personaggi dagli inconfondibile occhi a mandorla videogioco della Square Enix – passeggiare a braccetto sull’isola del destino con Pippo e Paperino. Il risultato estetico è sicuramente di grande impatto e vedere occhieggiare dalle tavole in stile manga i personaggi più rappresentativi della cultura fumettistica occidentale rappresenta sicuramente almeno un motivo di curiosità. La nuova collana Disney Manga, che ha scelto un titolo pesante come Kingdom Hearts per aprire le danze, ha come obiettivo quello di mostrare eroi dalla notorietà conclamata in una luce nuova, perfino spiazzante. L’azione frenetica di Kingdom Hearts, ma anche la magia di W.I.T.C.H., l’ironia di

ster Inc. si mostrano attraverso il filtro inedito degli artisti giapponesi. Una insolita alleanza che irrompe sulla scena proprio quando sembrava che la forza innovativa dei manga stesse alle sue battute finale in un mercato ormai saturo di titoli e di idee.

Quello che si apre anche in Italia con Kingdom Hears è sicuramente un evento editoriale da non sottovalutare, ma anzi da leggere con grande curiosità, soprattutto alla luce della

eccellente accoglienza che il prodotto crossmediale da cui è derivato il fumetto, è stato accolto a livello internazionale. E magari può diventare anche la chiave di volta per far comprendere anche ai genitori più ostinati che il fumetto giapponese, per stile e contenuti, non è il nemico da contrastare.

Nel 2002 è uscito il primo capitolo di Kingdom Hearts per Playstation2 con i personaggi Disney insieme con quelli di Final Fantasy


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog LA DOMANDA DEL GIORNO

Chi sarà il prossimo ministro dell’Economia? Vedrei bene un grande uomo come Martino, supportato da un pool di esperti Se davvero si vuole una vera rivoluzione liberale, vedrei bene un grande uomo come Antonio Martino supportato da un pool di esperti che remano nella stessa direzione, come Giancarlo Pagliarini e il giovane animatore del think thank dell’istituto Bruno Leoni , Alberto Mingardi. Ricordate quando l’ex Ministro dell’economia lo chiamavano ”Tagliarini”? Largo dunque alla grande cultura liberale di Ropke, Mill, Adam Smith. Largo insomma alla Libertà.

Alberto Moioli - Milano

Se Berlusconi ne assumesse l’interim allora sì che sarebbe una vera rivoluzione Chi dovrà essere il prossimo Ministro dell’economia? Bella domanda che però ne presuppone un’altra: chi vincerà le prossime elezioni politiche? Personalmente spero vinca Berlusconi. E allora chi andrebbe al Ministero dell’Economia? Tremonti. Non mi viene nessun altro nome in mente. A meno che Berlusconi non pensi di assumerne l’interim. Allora sì che assisteremmo ad una rivoluzione.

Fernando Filippini - Roma

Draghi con il centrosinistra, Alemanno con il centrodestra E perché non Alemanno? Se ricordo bene nell’ultimo governo Berlusconi, quando Alleanza Nazionale pretese le dimissioni di Tremonti, cercò di piazzare al Ministero dell’Economia Alemanno. Certo Tremonti per competenza fornisce maggiori garanzie,ma credo che anche alla guida di un Ministero tecnico come

quello di cui parliamo, l’esperienza politica conti ancordi più. In fondo con un Direttore generale di valore e sottosegretari preparati si può. Proviamo Alemanno. Mi accorgo però che sto dando per scontata la vittoria di Berlusconi. E se vincesse ancora la sinistra? Una cosa è certa: Veltroni a Padoa-Schioppa rinuncerà volentieri. E allora Draghi. E in caso di grande coalizione? Ancora Tremonti.

Amedeo Simiele - Isernia

Difficile credere che un solo uomo possa risollevare l’economia La politica economica sarà il banco di prova del nuovo governo. Non c’è dubbio che il mondo intero stia attraversando un periodo di estrema difficoltà, se non proprio di recessione, ma noi italiani stiamo peggio di tutti gli altri Paesi europei. E’ difficile quindi poter pensare che ”un uomo solo al comando” possa risolvere la nostra situazione. Certo un Ministro di alto profilo, di grande e affermata professionalità, è necessario, ma secondo me sarà la politica che l’intero governo intende perseguire che potrà e non a breve termine - farci uscire da questa difficile situazione. In fondo Padoa-Schioppa non poteva fare molto di più, dal momento che chi guidava il governo ogni giorno cambiava parere e dava ragione a chi gridava di più. E allora che fare ora? Diciamo che dobbiamo sperare innanzi tutto che dalle elezioni esca fuori un governo forte, con una forte maggioranza che non sia ricattabile ad ogni pie’ sospinto. Personalmente credo che il tandem BerlusconiTremonti, al momento, sia il binomio più idoneo alla bisogna.

Giovanna Salvi - Como

LA DOMANDA DI DOMANI

Sarkozy: rupture o delusione?

Prima di tutto bisogna stabilire limiti allo Stato Così scriveva Von Hayek: ”Nella forma, oggi predominante, di democrazia illimitata, il governo è costretto a comprarsi l’appoggio di un numero di persone sufficiente a costituire una maggioranza e lo fa attribuendo particolari benefici materiali a gruppi di individui. Neppure con la migliore volontà del mondo un governo può resistere a questa pressione, a meno che venga stabilito un limite che esso non possa superare”. Questo per dire che se la prossima dovesse realmente essere una legislatura costituente, l’attenzione dovrà essere riposta sullo stabilire dei limiti all’azione dello Stato, nel garantire all’Individuo uno spazio inviolabile, nel far sì che lo Stato non possa far uso di certi strumenti.

Massimo Bassetti

Montezemolo non si occupa veramente del Sud Montezemolo: il sud è fermo, non è un problema del sud, èproblema dell’Italia. Allora come mai non ha reagito quando il governo Prodi bloccò i cantieri che avrebbero portato lavoro e reddito?

Marianna Giugno Modena

Il tesoretto verrà fuori a ridosso delle elezioni Tesoretto sì, tesoretto no. Ci risiamo con la comica. Il lato più buffo della faccenda è costituito dal fatto che non è l’opposizione questa volta che ne contesta l’esistenza, ma proprio il ministro, che dovrebbe saperlo, quel povero Don Abbondio di Padoa-Schioppa che sicuramente finirà per dichiarare chel’extragettito fiscale c’è su ordine del Don Rodrigo di turno che probabilmente non sara’ Prodi, ma magari Veltroni. Che poi, che esista o no questo

dai circoli liberal

Rispondete con una email a lettere@liberal.it

L’AMORE NON E’ BELLO SE NON E’ LITIGARELLO San Valentino ci ricorda che un tempo Cupido ha colpito anche nella (non più esistente) Casa delle Libertà. Ma come tutti i grandi amori, nulla è perduto. Basta poco alla memoria per riprovare le sensazioni e i bei momenti. Questo tra Berlusconi, Fini e Casi è però un amore a tre, per molti aspetti largamente condiviso, ma per altri anche fortemente litigioso e a tratti incomprensibile ai non addetti ai lavori, che lo osservano dall’esterno. Ma si sa che l’amore non è bello se non è litigarello, e poco importa se appresso al sentimento si trascinano le questioni vere, serie, grottesche e non, che il Paese-Italia vive nell’ultimo decennio. La giornata potrebbe essere quella giusta, e l’elemento femminile potrebbe essere di buon consiglio ai nostri leader. Non a caso, a dimostrazione che l’amore incide anche in politica, non solo ce lo ricorda Sarkozy dalla Francia, ma anche l’Udc, che in questo giorno - quello degli innamorati - decide con il proprio Direttivo nazionale quale deve essere il fu-

turo del simbolo della politica dei Democratici cristiani e di Centro. Ma l’amore ha anche capacità taumaturgiche in grado di guarIre non solo l’anima, ma anche il corpo. E chissà se alla fine di questa giornata non possa definitivamente l’ex Casa delle Libertà evolvere in un contesto nuovo e diverso, in cui tutti, come sempre accade nelle favole, ”vissero felici e contenti”. Ma la giornata può essere propiziatrice anche per il Partito democratico, dove non certamente l’amore veleggia col vento in poppa, causa gli ultrasentimentali del ”fate l’amore ma non fate la guerra” della sinistra unita. C’è poi l’universo diverso dei Dini, Mastella e giù di lì, che ci raccontano di un amore per la famiglia al di sopra di tutti gli altri. Così come dell’amore ”duro e puro” dei leghisti del Lombardo Veneto. Non c’è certamente meno bisogno di amore ai vari livelli di governo. Nelle Regioni, nelle Provicnce e nei Comuni della nostra Italia, si respira un’aria da resa dei conti, che potrebbe essere mitigata da una giornata che infonde, al di là del resto, anche voglia di pace e serenità. D’altronde, si sa: l’uomo certamente mente in almeno

tesoretto, alla fine ci sarà comunque, perché a pochi giorni dalle elezioni sindacati e Cosa rossa obbligheranno il governo a distribuire qualche spicciolo che accontenterà pochi poco, e scontenterà molti molto. Proprio come accadde con la Finanziaria del 2007.

Andrea Salmini - Verona

Anche la magistratura farà campagna elettorale La campagna elettorale a favore di Veltroni e del suo Pd è già iniziata con la forza potente dell’ex Pci e dei suoi affiliati (Corriere della sera, Repubblica, Stampa, Messaggero,Tg12-3, Costanzo, Santoro, Mentana...). Ora possiamo anche aspettarci quello della magistratura con un nuovo avviso di garanzia a Berlusconi.

Licia Mariani - Roma

Basta finanziare le missioni all’estero Afghanistan. Un altro soldato italiano ucciso. Non se ne può più di queste missioni ”di pace” che a noi continuano però a costare la vita dei nostri ragazzi. Il nuovo governo, qualunque esso sarà, riuscirà davvero a prendere delle posizioni serie e coerenti sui finanziamenti delle missioni all’estero? L’Italia non vuole più piangere i suoi figli per guerre che non sono le sue. Giustificate o meno che siano. Crdialmente.

Antonella Lalli - Genova

tre occasioni della sua vita, in guerra, in amore e in politica. Speriamo che San Valentino faccia innamorare la politica italiana ai bisogni del proprio Paese, se non ai propri elettori. Vincenzo Inverso

SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

APPUNTAMENTI ROMA - VENERDÌ 22 FEBBRAIO 2008 Ore 11, presso l’Università Gregoriana, in piazza della Pilotta 4 Riunione mensile nazionale di tutti i Presidenti dei Circoli Liberal.


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog precedenti nella lunga e importante storia del Comune di Roma. Veltroni e la sua maggioranza hanno infatti voluto approvare, in via definitiva, un Piano regolatore senza il parere obbligatorio dei municipi, perché il piano delle certezze, che sarebbe entrato in vigore successivamente, evitava la realizzazione di milioni di metri cubi di edilizia privata promessi da mesi ai poteri forti della città. Con questa maggioranza, che con un blitz ha calpestato il decentramento e la partecipazione dei cittadini per meri interessi di edilizia speculativa, era necessario che il centrodestra giocasse la loro stessa arma: a dimissioni del sindaco dovevano rispondere le dimissioni dei consiglieri comunali, così da far saltare il Prg. Cordialità.

Quando l’uomo seguiva il bello assoluto Vi deve essere un bello essenziale assoluto che servir dovrebbe di norma di campione alle produzioni dell’uomo. Vi è stato, in tanti secoli, chi più si è avvicinato a quel bello. Il consenso di tutti si accorda ad accordare il primato sulle arti belle a Raffaello, a Michelangelo, eccetera. Quando le belle arti sono state al colmo della loro perfezione, vi erano ancora le scienze, le discipline e tutto lo scibile; quando le belle arti sono decadute, son decadute le scienze, le discipline eccetera. In una parola, ai tempi di Apelle, di Fidia, di Zeusi vi era Pericle, Socrate, Sofocle e tanti altri buoni e bravi uomini. Al tempo di Giotto v’era Dante: al tempo di Raffaello Ariosto e al tempo di Borromini gli Achillini. In una parola, quando i versi e la prosa erano pieni di concettini e di studiati rimi, i rimi e i concettini erano anco nella pittura, nell’architettura, nella scultura. Vincenzo Cuoco Epistolario 1790-1817

Contro la mafia in Sicilia la Chiesa può davvero molto Tira un vento buono in Sicilia, se non si arresterà riuscirà a liberare l’isola da un male secolare. Le forze di polizia fanno la loro parte, la Confindustria ha preso il coraggio a due mani e ha deciso di espellere dall’associazione gli imprenditori che cedono alla mafia e pagano il pizzo, infine, il vescovo di Piazza Armerina ha rifiutato i funerali religiosi al boss gelese Daniele Emmanuello. Finalmente! Che risulti, è la prima volta. Speriamo che non rimanga un caso isolato. La Chiesa può molto. Sembra strano ma quei terribili criminali sono anche incredibilmente “religiosi”. Provenzano leggeva e legge quotidianamente la Bibbia quanto e forse più di un prevosto. Anche Riina era, a suo modo, pio, e in genere quasi tutti i mafiosi sono devoti di santi e Madonne. La processione di Sant’Agata a Catania è in mano alla mafia, tanto che la statua della santa sosta ossequiente davanti alla casa del boss dei boss della città. Un noto mafioso, in latitanza, non si faceva mancare i conforti religiosi. Un prete, eletto cappellano personale, lo serviva a domicilio ce-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

Lettera firmata

lebrandogli la santa messa e somministrandogli i sacramenti. Funerale religioso ai mafiosi, ma negato ai divorziati. Se il vescovo di Piazza Armerina, Michele Pennisi - al quale va la totale solidarietà di tutti, cattolici e non cattolici - non sarà lasciato solo e tutta la Chiesa lo seguirà nel segnare la propria avversione alla mafia, questa potrà essere scalzata dalla amata Trinacria.

I giovani d’oggi non hanno fantasia Ho una figlia di sedici anni. Quando la osservo purtroppo mi rendo conto che non è stimolata a creare. Sarà la società che ormai offre ogni cosa già preconfezionata, sarà anche che il mio lavoro non mi ha concesso troppo tempo per insegnarle a inventare. Ma i giovani d’oggi hanno l’immaginazione paralizzata.

Maria Paolo Lumi - Pisa

Ezio Pelino

L’approvazione del Prg è un’intollerabile forzatura Martedì sera è accaduta una cosa gravissima nella capitale. L’approvazione del Prg di Roma, come molti hanno detto, è una intollerabile forzatura che non ha

PUNTURE Caro direttore, Carla Bruni ha dichiarato che sarà Lady Sarko fino alla morte. Di chi? Giancristiano Desiderio

Non è saggio usare la morale nei giorni feriali; così succede che poi la troviamo in disordine la domenica MARK TWAIN

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di FERRARA SCENDE IN CAMPO Berlusconi gli ha già detto di no. Ma lui va avanti lo stesso. Del resto è sempre stato uno di quelli che, sposata una battaglia, va dritto fino in fondo, costi quel che costi. Giuliano Ferrara si presenterà alle elezioni. Correrà da solo, salvo ripensamenti in extremis. Vuole portare avanti la campagna a favore di una moratoria sull’aborto. La battaglia ”Pro Life”, a favore della vita. Il direttore de il Giornale Mario Giordano in un editoriale oggi ha scritto ”Caro Ferrara non ti voteremo”. Pur riconoscendo la validità della battaglia a favore della vita Giordano sostiene che una listina, che se tutto va bene prenderà il 2% o lo zero virgola qualcosa, più che essere utile alla causa sia controproducente. E se invece la lista ”Pro Life” servisse a sottrarre linfa al bacino elettorale dell’Udc? Se fosse, dunque, tutto calcolato a tavolino? Fantapolitica? Chi può dirlo. Del resto ne abbiamo viste tante...

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LA FIERA DEL NUOVO Chi è più nuovo – il Pd o il PdL? C’è una sola lettera di differenza tra Pd e PdL e per giunta è la lettera di una parola vitale come “libertà”. Eppure non è sulla libertà che si sta giocando il dibattito politico. Ancora una volta la politica ha riciclato il vecchio tema del “nuovo”. E’ più nuovo il nuovo partito di Berlusconi o il nuovo partito di Veltroni? Basta inventarsi un nuovo simbolo che il passato, anche quello che arriva fino a ieri, viene dimenticato. Il nuovo ha un fascino enorme nella testa degli

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italiani – un popolo segnato storicamente dalla povertà e dal conseguente edonismo che fa adorare subito qualunque cosa luccichi di nuovo, anche la plastica. Sia il Pd che il PdL sono una mano di vernice fresca sui soliti apparati di potere. Non cambiano le idee di fondo e gli uomini che fanno finta di portarle avanti solo per portare avanti la propria carriera politica. In questo immobilismo c’è un fondo di verità. In campagna elettorale i programmi politici tendono a convergere sostanzialmente, riducendo quelle che fino a pochissimo tempo prima apparivano fratture abissali. Dopo tutto serve un criterio per distinguere partiti e leader e anche questa volta gli italiani sembrano lasciarsi condizionare dalla novità, anche fasulla, superficiale e a breve durata. Per avere la conferma dell’illusione del nuovo basta aspettare pochi giorni dopo la nascita del “nuovo” governo: tutto torna come prima. Il nuovo si è spento nel giorno delle elezioni.

Joyce joyce.ilcannocchiale.it

IL NUOVO CHE VIENE DAL FREDDO Un intellettuale (oramai lo sono tutti) sicuramente non di destra, come Oliviero Toscani, riassume bene l’improbo compito di Uòlter, quello di accreditarsi come “nuovo”: «…c’è uno che cerca di passare come nuovo, ma dice le stesse cose con la stessa faccia da 30 anni. In Italia si nasce e si crepa politici. Lui è nato nella FGCI, il più grande ufficio di collocamento d’Italia».

Il Gabibbo ilgabibbo.blogspot.com

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e di cronach

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PAGINAVENTIQUATTRO Una lettera scritta per San Valentino e ritrovata in circostanze misteriose di Pier Mario Fasanotti Un collaboratore di liberal ha trovato per terra, in piazza Barberini, una lettera d’amore. Scritta certamente per San Valentino. Ce l’ha portata e noi la pubblichiamo, volendo evitare, per questa ricorrenza, il sociologismo dolciastro e il rischio di mettersi nella testa degli innamorati, operazione disdicevole quanto approssimativa, se non ci si chiama Maupassant o Simenon. Eccola. ara D., caro amore mio, anche se tu hai qualche capello bianco e io molti più di te, è inutile sfuggire agli obblighi di questo giorno. Ce lo siamo detti, una volta nel verde di Villa Ada: obbedire al conformismo più dolce è tutto sommato anticonformismo. E poi, come quando solchiamo Roma sul (tuo) motorino e io ti stringo i fianchi, recuperiamo il diritto alla gioventù del cuore. Questa è una lettera scritta alla mia scrivania ingombra di libri che dovrebbero suggerirmi d’essere un po’ originale. E’ già cosa buona non limitarci agli sms, il trillo dei ragazzini, anche se quel vibrare metallico rimanda ad altre vibrazioni, malgrado le incredibili artrosi ortografiche tipo “tvb”(che usavamo anche noi a scuola, ricordi?) o “ti pnso tnto”. I nostri ragazzi - i tuoi figli e i miei, orribilmente chiamati “di diverso letto”visto che siamo una famiglia allargata e quindi così post-moderni e così in linea con i sondaggi demografici - si scateneranno domani, col cellulare. Io mi porto avanti, o “mi avvantaggio” secondo il tuo lessico di fiorentina trapiantata a Roma. Ma certamente aspetterò un sms, e tu pure. Caro amore ti scrivo…: lo stavo scrivendo, ma a noi che abbiamo memoria lunga ci frega sempre il sapere che tutto o quasi è già stato usato. Lo sai, è un verso di Lucio Dalla, anche se si riferiva a un amico. Tu sei il sole, tu sei il mare, tu sei le stelle: ci risiamo, è una delle nostre canzoni preferite, anni Sessanta o Settanta, archeologia per i nostri figli, nostalgia per noi che recuperiamo dai cassetti di quei decenni sia “Cuore”di Rita Pavone sia i versi di Majakowski o di Sylvia Plath. O di quella poetessa polacca dal nome difficile, Szymborska. Parole semplici e accuminate. Sfoglierò domani sera un suo libro quando mi dirai che hai sonno: “…qui siamo stati e i nostri cuori abbiamo mangiato e il nostro sangue abbiamo bevuto”. Ti dicevo dei libri che ho davanti. Ricordo quel che diceva Picasso: imitare è da mediocri, rubare è da geni. Io rubacchio soltanto, a scanso di equivoci. Per esempio Guido Gozzano, quel piemontese da salottino coi pizzi e i tremori di labbra che s’aggrappano alle tende di broccato pesante, scriveva ad Amalia: “…ma non parleremo della nostra passione e del nostro passato. La passione è un ingombro al cammino, e ciò che è stato è come se non fosse stato…”. Poveretto, capisci bene perché è crepuscolare. Mai un sole che sorge, nei suoi tinelli. Allora è meglio andare a spulciare qualche amore impossibile, e più vivace. Che ne dici di Stendhal? Senti qui: “…la vita non la si può giocare sul desiderio di un giorno”. Saremmo pedanti se la leggessimo ai nostri ragazzi, loro che vivono di giorni, che li azzannano con denti di lupi. Eviterei, per pudore, anche il focoso Foscolo, attore geloso per professione. Si compiace d’essere “libertino e spergiuro”, insomma ci marcia un po’. No, non è il nostro caso, noi di famiglia allargata e di amore maturo ma pur capaci di stare un po’ male

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AMORE VIA SMS «Eviterei, per pudore anche il focoso Foscolo, attore geloso per professione che si compiace d’essere libertino e spergiuro, insomma ci marcia un po’. Meglio Charles Bukowsky, anche se noi, così ancorati al Medioevo e al Rinascimento rifuggiamo dalle sbronze» quando uno dei due è in ritardo. Se però la divinità la si intende alla Franco Battiato, ossia come“un centro di gravità permanente”, be’, allora… L’importante, come diceva Umberto Eco, è citare e ritrarsi un po’: il messaggio arriva, depurato del romanticume da edicola. Charles Bukowsky per esempio mi diverte, ma noi così ancorati al Medioevo e al Rinascimento della nostra terra rifuggiamo dal coniugare sbronze e pal-

piti del cuore, marjuana e amplessi arrabbiati su divani luridi. Facciamo di un limite un orgoglio, e allora diciamo pure di preferire il Dante che poetava così: “…e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare”. Lo confesso, io che mischio albe e tramonti: penso a quei versi quando la sera ti strucchi o la mattina prepari il caffè o mi dici con un sms che ti manco perché non sono a Roma. Ciao brutta.


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