2 minute read

“Pronta beva”

“Pronta beva”

DE GUSTIBUS DISPUTANDO

Advertisement

di zeffiro ciuffoletti Fu Cosimo Ridolfi a parlare, fin dagli anni Venti dell’Ottocento, di una caratteristica molto diffusa dei vini toscani, i vini detti di “pronta beva”, in contrasto con i grandi vini francesi da pasto, che avevano bisogno di anni d’invecchiamento, e dei vini toscani da pasto che maturavano in botte e poi in damigiane.

Da allora d’acqua, anzi di vino, ne è passato sotto i ponti e nel mondo del vino sono avvenute tante rivoluzioni, che la nostra rubrica ha già descritto. La Francia o meglio i vini francesi hanno per secoli dominato il mercato internazionale dei grandi vini rossi da pasto invecchiati in barriques e poi imbottigliati nelle classiche bordolesi sigillate con tappi di sughero. Più lo Champagne, che creò il mito del vino della seduzione nel mondo intero. Poi lenta, ma costante, la grande rimonta dei vini italiani. Prima pionieri come Bettino Ricasoli e Vittorio degli Albizi poi nel secondo Dopoguerra i grandi vini di un enologo geniale come Giacomo Tachis. Il grande amico che mi ha fatto conoscere il mondo del vino e mi ha portato con sé in tante parti d’Italia, dalle Marche alla Puglia, dalla Sicilia alla Sardegna e poi a Bruxelles per valorizzare i vini italiani e soprattutto quelli toscani. Di recente i vini italiani con le bollicine hanno conquistato i mercati internazionali e i gusti dei giovani per i vini moussée, dal prezzo giusto e dal gusto frizzante, ma delicato e fruttato. Ora si parla di vini bio, di vini naturali, di vini a bassa gradazione, senza bisolfiti, senza chimica in vigna ecc…Troppo per essere tutto vero e tutto compatibile. Persino col mutamento climatico che, forse, porterà a una nuova rivoluzione vitivinicola, spingendo in alto la coltivazione delle viti, ben oltre i limiti consueti. Forse, proprio oggi, sarebbe il caso di recuperare i vini toscani di “pronta beva”. Non vi dico la formula, perché non c’è. Nel senso che andrà studiata, ma il concetto è chiaro. Si tratta di qualcosa di più pregnante. Perché la tradizione antica si può reinterpretare e valorizzare, sfruttando la scelta dei vitigni più adatti, ormai diventati rari, come, ad esempio, il “cerasuolo” o il “canaiolo” e altri vitigni abbandonati, e nello stesso tempo adottando tecniche di lavorazione e conservazione utili a vini da bere subito, specialmente per chi non poteva aspettare l’invecchiamento. Come avveniva per i vini di “pronta beva”, che ristoravano le gole assettate dei contadini e delle popolazioni urbane dell’Ottocento. Specialmente nelle stagioni calde, che oggi si sono allungate.