Edward Hopper Un racconto americano_ Incipit

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COLLANA LE MUSE

Non dicere ille secrita abboce


©Cartman Edizioni 2014 La riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo è vietata. ISBN13: 9788889671511 Cartman Edizioni c.so M. d’Azeglio, 102 – 10126 Torino (Italia) tel./fax +39.011.8905849 www.cartmanedizioni.it redazione@cartmanedizioni.it ordini@cartmanedizioni.it Grafica di copertina: Dorina Xhaxho In copertina: Ave Appiano, Onda forma, 2012 Editing: Deborah Lugli Finito di stampare nel mese di dicembre 2014


Laura Blandino

EDWARD HOPPER Un racconto americano

CARTMAN



Questo libro è dedicato a mio padre e alla memoria del professor Stefano Bajma Griga, cui questo molto piacque.



INDICE Prefazione 9 Introduzione 13 I. Tra due crisi 19 GLI ANNI GIOVANILI 21 UN AMERICANO A PARIGI 33

II. La riscoperta dell’America 43 NEW YORK, NEW YORK 50 INTO THE WILD 59

III. La scena americana 69 STREET SCENE 74 GO WEST YOUNG MEN! HOLLYWOOD 81 CHANGING AMERICA 90

Conclusione L’America, io dipingo 99 Note bibliografiche 107 Elenco delle immagini citate 115

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Prefazione Non stupisce che una giovane studiosa scelga quale argomento del suo primo libro l’opera e la figura di un pittore come Edward Hopper, un artista fra i più noti e rappresentativi della cultura figurativa della prima metà del Novecento negli Stati Uniti. Immagini universalmente conosciute, apparentemente realistiche e così ‘americane’ da esserne vere e proprie icone. Scene e ‘messe in scena’ di una vita quotidiana che più normale e comune di così sarebbe davvero arduo immaginare. Eppure, osservandole con appena un po’ di attenzione, quei frammenti di realtà e quelle ‘istantanee’ di vita come ‘raggelate’ suggeriscono una sottile quanto profonda inquietudine; lo spettatore è in una atmosfera sospesa, quasi da attesa, e gli vien da chiedersi: cosa sta per accadere? O quale tremendo e misterioso misfatto è già accaduto? O – e l’ipotesi si potrebbe rivelare la più terribile ed angosciante – il ‘delitto’ che Hopper pare che stia adombrando fra quelle sue regìe di alternanze fra luci livide e nette ombre da cui affiorano sempre nuove oscurità, non riguarderà invece la qualità della vita e la dignità stessa dell’esistenza? Non è che ci sta mostrando un mondo in cui non accade proprio nulla, dove niente succede salvo il piatto e anonimo trascorrere del tempo, insulso e vuoto, privo di ogni significato e di qualunque valore? Ma a quale mondo si riferisce, in queste sue ‘illustrazioni’ e ‘rappresentazioni’ di grande qualità pittorica (anche sotto un profilo strettamente tecnico) e di forte quanto profonda suggestione? Di sé, sta parlandoci, e della sua vita interiore (non dimentichiamoci che – come cita Laura Blandino – è Hopper stesso ad affermare: “Great art is the outward expression of an inner life in the artist, and this inner life will result in his personal vision of the world”; in Reality, 1953)? O, insieme, del suo grande paese, gli U.S.A., e dei suoi connazionali? Della loro storia, o del sogno americano di cui ciascuno ha tentato di essere un protagonista?

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Dei personaggi della letteratura, del cinema, del teatro? Della realtà o dell’immagine che negli Stati Uniti, ideologicamente, si è andati formulando – nel corso di oltre un secolo – con l’obiettivo di costruire una precisa identità nazionale, al di là del reale melting pot americano (di cui è però impossibile trovare traccia nei dipinti di Hopper)? Il fascino del mondo dipinto da Hopper è tale che non ha mai subìto oblio o calo di interesse; ogni generazione di studiosi, di direttori di musei, di appassionati di arte figurativa ha voluto rivedere e riconsiderare il suo lavoro, e ha cercato di darne nuove interpretazioni. Per un verso ci sarebbe da sentirsi scoraggiati a doversi misurare con una letteratura ormai sterminata; ma dall’altra è giusto che un giovane abbia la baldanza di raccogliere con entusiasmo una sfida, e anche proprio per la sua difficoltà. Del resto va detto sia che Hopper in questi ultimi anni è tornato in primissimo piano, sia che Blandino si è ormai ‘fatta le ossa’ con una serie di contributi sull’arte figurativa americana che sono stati molto apprezzati in diversi convegni internazionali, anche negli Stati Uniti. Il primo fondamentale aspetto che di questo libro credo vada sottolineato è il suo grande respiro: l’autrice dichiara di collocarsi nella ‘metodologia degli studi culturali’, e cioè in quel modo di porsi nei confronti dell’argomento che si intende affrontare che mira sì ad analizzarlo al microscopio ma senza accettare di chiudersi negli steccati da minuscolo giardino di un asfittico e miope ‘specifico disciplinare’. Nessuna rinuncia quindi a un punto di vista più ampio che abbracci tutto il contesto culturale, storico, economico, politico e sociale, senza il quale sarebbe difficile se non impossibile comprendere davvero a fondo il senso ed il valore di quanto è stato fatto da un singolo artista. Nei capitoli che si susseguono, affiancata alla consueta ricostruzione della vicenda del pittore, con l’esame degli influssi di maestri e di altri artisti negli anni della sua formazione, e all’indicazione dei diversi periodi a mano a mano che Hopper trova un suo linguaggio e uno stile più personale, sia in termini di stesura della materia pittorica e cromatica

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sia, soprattutto, nelle scelte tematiche che lo portano a creare una vera galleria di ‘scene americane’, ben presto emergono le più interessanti qualità del volume: da un lato un’apprezzabile ricchezza e dovizia di notizie e di informazioni, dall’altro la capacità di aprire nuovi e stimolanti squarci e punti di vista su molteplici ambiti della cultura americana che si andavano sviluppando nei medesimi decenni di attività del pittore e con cui questi entrava in contatto, in una complessa dinamica di dialoghi ed echi reciproci. Il suo pregio maggiore è appunto l’attenzione per i tanti essenziali aspetti della complessa realtà statunitense. La storia politica e sociale, innanzi tutto, per la quale giustamente si riparte da rilevanti antefatti che possono tornare assai utili al lettore per meglio orizzontarsi in quel nuovo continente di cui si parla sempre tanto, conoscendolo però spesso così poco e comprendendolo quindi ancor meno. Poi la storia dell’architettura e dello sviluppo delle città negli Stati Uniti (ma pure il loro ruolo, e la lotta per prevalere in uno specifico settore in cui ciascuna di esse era impegnata). La vastissima natura, qui incontaminata, e preservata al sogno americano nei Parchi Nazionali; là assoggettata alla storia di una agricoltura o di un allevamento sempre più intensivi. Il tutto intercalato da crisi economiche e dai conflitti mondiali. Ma pure il teatro ed il cinema; la radio, la grafica pubblicitaria e vari altri ambienti e componenti della American Way of Life, senza i quali sarebbe impossibile comprendere il percorso stesso di Hopper; il quale, peraltro, ha saputo divenirne uno dei cantori, attraverso tutte le opere che ha realizzato nel suo personalissimo modo di disegnare e dipingere. Mi pare che questa ‘opera prima’ sappia ben assolvere al suo compito, ma saranno i lettori a giudicare: per parte mia apprezzo e credo saranno utili anche le descrizioni di numerose opere e gli accostamenti e i raffronti fra diversi dipinti che l’autrice ha saputo introdurre a più riprese; e pure il rigore nel seguire con grande cura le mostre, il contesto collezionistico, il dibattito fra le assai differenti tendenze, gruppi e personalità che animarono il palcoscenico dell’arte americana proprio nei tempi che

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portarono poi alla sua affermazione da protagonista sulla scena mondiale. Un libro che sono lieto di presentare perché costituisce un utile contributo alla conoscenza del lavoro di Hopper ed un ulteriore tassello al dibattito sulla sua opera, che è facile prevedere sia destinato a proseguire ancora a lungo in futuro. Certo le voci e le interpretazioni continueranno a moltiplicarsi; concludo approfittando per accennare alla mia: Hopper è stato un cittadino e artista legato alla tradizione americana sino a diventarne uno dei rappresentanti più emblematici; grande maestro di atmosfere che profumano di ricordi infantili, vi ha tuttavia insinuato l’inquietudine per quella american life ‘innocente’ che oscuramente ‘sa’ di aver assai più sognato che non vissuto. Piergiorgio Dragone

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Introduzione If you can say it in words, then there’s no reason to paint. Edward Hopper Edward Hopper è tra i pittori americani contemporanei che hanno conosciuto più fortuna popolare, a eccezione, forse, di Andy Warhol e Keith Haring; la diffusione delle sue opere è ampia e le sue immagini, sebbene spesso se ne ignori l’autore, sono tra le più riprodotte, a dimostrazione della profondità con cui questo artista è riuscito, attraverso la propria opera, a radicarsi nell’immaginario collettivo. Le tele di Hopper rappresentano, per molti, rappresentano l’essenza stessa dell’esperienza americana; i suoi lavori sono come specchi nei quali l’America si vede riflessa, negli anni della sua grande trasformazione in potenza politica, economica e industriale, tra l’inizio e la prima metà del Novecento. Nella sua opera, Hopper recupera quella divisione fra ambiente urbano e provinciale che costituisce, sin dalle origini, la caratteristica principale della cultura americana; un’operazione che rappresenta una presa d’atto e una sottolineatura della particolarità dell’esperienza statunitense, un riflesso della più ampia ricerca di un termine dell’identità nazionale che ha origine già nell’Ottocento e che, agli inizi del Ventesimo secolo, coinvolgerà tutti gli attori della cultura e delle arti visive. Si può osservare come Hopper sia un artista che procede per sottrazione: il fascino delle sue opere sembra scaturire dalla loro essenzialità, dal loro equilibrio compositivo e formale. Eliminando tutti gli elementi superflui, l’artista giunge al senso ultimo della visione, la presentazione di una scena bilanciata, di un’istantanea che sembra congelare un’azione e coglierne il senso più profondo. Il pittore però non vuole proporre una lettura univoca della sua opera, sembra anzi invitare

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lo spettatore a completarne il senso, a continuare la narrazione secondo il suo gusto. Curiosamente, Hopper presenta un’immagine libera da ogni impressione di drammaticità della storia e degli eventi: egli, infatti, attraversa ottant’anni densi di mutamenti per il Paese, ma di essi non vi è traccia nelle sue opere. È invece un Paese privo di turbamenti, quello tracciato dall’artista o, quantomento, privo di preoccupazioni esteriori: nella sua opera non troverà mai spazio, infatti, la rappresentazione di alcun conflitto, politico o sociale, né delle precarie condizioni economiche o della città ruggente o, ancora, di gruppi etnici diversi da quello dominante, in sostanza della storia come continuo cambiamento e fluire di eventi. Le tele di Edward Hopper restituiscono un’immagine profondamente intima, una visione personalissima e molto soggettiva, concentrata soprattutto su due elementi: la resa della figura umana e la difficoltà di questa a rapportarsi con l’ambiente circostante. Uno spazio che, in Hopper, si articolerà seguendo i due stilemi principali della cultura americana: la rappresentazione dello spazio urbano opposto a quello naturale, in un continuo tentativo di predominio dell’uno sull’altro. Egli è, non a caso, il pittore dell’alienazione, dell’incomunicabilità, del distacco. In questo senso, dunque, le sue scelte stilistiche non devono trarre in inganno: sebbene adotti, per tutta la sua carriera, un linguaggio figurativo, le sue tele rimandano sempre a un significato profondo e costituiscono un importante momento di riflessione sulla modernità. Hopper è, dunque, pittore dell’immobilità, della “quiete prima della tempesta”, della calma apparente, in cui la tragedia non sembra trovare spazio; proprio per questo motivo le sue immagini hanno un che di irreale e inquietante, proprio perché gli eventi drammatici non si consumano mai, non si risolvono una volta per tutte, ma restano latenti, in potenza. Hopper è, in misura ancora maggiore, il pittore dell’assenza della “storia”, intesa non solo come successione di grandi eventi, ma anche come naturale scorrere del tempo. Nell’abbigliamento dei personaggi e nei personaggi stessi, negli interni, nelle situazioni, nulla sembra mai mutare

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o evolvere. Egli ci consegna il suo personale ricordo dell’America, con toni di malinconico rimpianto per il passato, unica dimensione temporale implicita nelle sue opere. Non si tratta di un rimpianto nei confronti di un tempo primitivo intrinsecamente migliore ma, piuttosto, una personale rielaborazione e sintesi dei ricordi più belli dell’artista. La definizione di una dimensione temporale nell’opera di Hopper resta comunque un argomento complesso e discusso: secondo alcuni studiosi il pittore costruisce immagini totalmente immobili e slegate da qualsiasi forma di riferimento cronologico, mentre per altri questa assenza non è così evidente: è possibile che l’effetto di staticità scaturisca da un’impressione superficiale ma in realtà il pittore dimostra più volte quanto a interessargli maggiormente nella resa finale di un dipinto, sia la ricerca di una dimensione che sia anche narrativa. Ogni sua opera appare immersa in un’atmosfera di suspence, l’immagine tesa in un tempo congelato, quell’attimo in cui il sipario si solleva sul palcoscenico e la storia deve ancora iniziare. Hopper vuole raccontare storie attraverso frammenti di immagini, e poiché questo è anche il modo in cui egli crea il rapporto con l’osservatore, i legami tra il suo lavoro e l’esperienza del teatro e del cinema risultano essere molto rilevanti. È quindi interessante analizzare tutti i debiti dell’opera di Hopper con le varie manifestazioni della cultura americana per chiarire maggiormente il ruolo del pittore nella vita artistica degli Stati Uniti; contrariamente a quanto si potrebbere essere portati a pensare, egli non è un artista d’occasione, semplice, adatto alla mercificazione di gadgets, dove troppo spesso la sua opera viene riprodotta. L’opera di Hopper è, invece, un documento fondamentale per approfondire lo studio della contemporanea cultura americana e dei suoi molti linguaggi che tanto lo influenzeranno: l’arte, la letteratura, l’architettura, il teatro, il cinema, la fotografia, sin anche la cultura popolare. Questo studio intende dunque fornire alcune coordinate essenziali di un periodo vasto della cultura americana, dalla fine dell’Ottocento agli anni Sessanta del Novecento, con un attenzione particolare per gli anni

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della formazione dell’artista e successivamente sugli anni Venti e Trenta dello stesso secolo. Non dovrà dunque apparire strano se molti dei termini qui utilizzati potranno sembrare impropri se confrontati con la storia artistica dei corrispettivi periodi italiani. Trattandosi di americanistica, si è preferito affrontare l’argomento utilizzando alcune definizioni nel senso accordato dagli studi di ambito statunitense. In particolare, la definizione di ‘modernismo’ adottata, corrisponde non tanto alla definizione italiana ma coincide con quella americana, che tende a raccogliere sotto questa comune identificazione tutte le manifestazioni artistiche della prima metà del Novecento.1 Edward Hopper, quindi, ci permette di fare luce, seguendo anche la metodologia degli studi culturali, su un’ampia pagina della storia degli Stati Uniti grazie al suo peculiare linguaggio, che sintetizza più elementi provenienti dalle diverse forme in cui si esprime la cultura americana, e al suo tentativo di conciliarli insieme nell’intento di dare vita, in un modo sicuramente originale e differente rispetto ad altri approcci, a un’arte attraverso la quale si manifesti il carattere degli Stati Uniti, Hopper è una delle figure artistiche più originali di tale panorama. Per tutta la sua carriera egli cercherà sempre di mantenere le distanze da qualsiasi strumentalizzazione della sua arte per forme di rivendicazione sociale; fortemente convinto che l’artista debba riportare nelle sue opere la propria personale visione, esclude un uso delle sue immagini per qualsiasi scopo che non riguardi strettamente l’arte: “my aim in painting has always been the most exact transcription possible of my most intimate impression of nature.”2 Schivo, riservato, timidissimo, quasi sempre ai margini della scena artistica nazionale, Hopper sarà però un attento osservatore dei costumi e della società in cui vive. È il destino di tutti gli artisti di straordinario successo non essere considerati nella loro interezza, ma quasi come riflessi casuali

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della loro opera; il lavoro di Hopper merita un approfondimento accurato poichĂŠ egli è da considerare uno degli artisti in cui maggiormente si identificano il carattere e l’esperienza americana.

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