BRUNA VECCHI CULCASI DONNA E CAVALIERE

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tempo. nessuno pensava che l’industria avrebbe portato ai prodromi dell’automatismo meccanico del pensiero e del modo di vivere. né qualcuno se ne preoccupava.

un paese “normale” poviglio, uguale a tanti altri della periferia emiliana. una di seguito all’altra si susseguivano la farmacia, il negozio, il bar, l’officina, il circolo, il portoncino del sindacato,la sezione del partito (comunista), la sala dei bigliardi, la porta della sacrestia e il portone grande d’ingresso della chiesa.

“la parrocchia di santo stefano e il parroco don coghi erano il centro di ogni cosa. la chiesa era il luogo della convergenza, nel segno della fede che era al di sopra di tutto: della politica, dell’incipiente sindacato, delle beghe. Tutti avevamo lasciato lì una prima traccia incominciando dal battesimo, passando dalla prima comunione e dal matrimonio fino alla morte. la grande parabola della vita tra due date fondamentali: la venuta al mondo e la sparizione sotto-terra”.

“non si pensava alle storie che stavamo vivendo e avevamo la consapevolezza che le avremmo lasciato alle nostre spalle, parlavamo invece dei problemi che avremmo incontrato il giorno avanti. il sogno era trovare un lavoro, un buon guadagno, un matrimonio forte, farsi una casa tutta propria dove abitare, vivere, crescere la famiglia e nel tempo che avanzava divertirsi: lo svago era una componente essenziale per non subire la fatica e basta. anzi.”

“i ricchi del paese erano i proprietari terrieri che avevano alle loro dipendenze tanti operai per portare avanti le loro aziende e donne di servizio per i lavori di casa. prima della guerra c’erano soltanto quattro vecchie auto. Quando io ero ragazza spuntarono le prime 500Fiat. nel nostro giro c’era un mio coetaneo che ne aveva una e la domenica riempiendola come un uovo si andava a ballare”. 14


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