BRUNA VECCHI CULCASI DONNA E CAVALIERE

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ENZO TARTAMELLA AURORA GROUP S:P.A:

Un’epoca, una storia

BRUNA VECCHI CULCASI

DONNA E CAVALIERE

ENZO TARTAMELLA

BRUNA VECCHI CULCASI

DONNA E CAVALIERE Un’epoca, una storia AURORA GROUP SPA

Impianto fotovoltaico di Valderice


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enzo TarTamella

Bruna Vecchi culcasi

Donna e caValiere Un’epoca, una storia

aurora Group spa

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Š Copyright 2014 Tutti i diritti riservati La Famiglia Culcasi ringrazia tutti i propri collaboratori che a diverso titolo hanno contribuito alla crescita aziendale. Siamo convinti che l'Azienda privata si edifica con gli uomini responsabili e onesti, senza di loro non sarebbe stato possibile raggiungere i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Il ringraziamento va esteso alle Istituzioni, agli Enti Pubblici, alle Organizzazioni sindacali e a ogni singolo che con senso di responsabilità hanno manifestato una costruttiva collaborazione perchÊ l'impresa nascesse e si affermasse in ambito economico-produttivo e sociale.

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P R E FA Z I O N E

Sembra una favola la storia di Bruna Vecchi Culcasi, la prima donna ad essere nominata Cavaliere del Lavoro dal Capo dello Stato nel 1978, e la cui vicenda umana e imprenditoriale è stata raccolta nelle pagine che seguono con affetto e riconoscenza dai suoi familiari e collaboratori. Facendo rivivere al lettore il clima culturale e sociale della Sicilia degli anni ’50 e l’entusiasmo di abbracciare il futuro con una progettualità innovativa, quest’opera testimonia l’impegno di una donna e di una imprenditrice che ha contribuito con tenacia al progresso economico del nostro Paese e di un’area in cui è particolarmente difficile coltivare e sviluppare la cultura d’impresa. In una terra - la Sicilia - dove più di mezzo secolo fa prevaleva l'individualità e l’economia era in forte ritardo di sviluppo, Bruna non solo è stata capace di creare stabilimenti zootecnici all’avanguardia in grado di operare anche sui mercati internazionali, ma attraverso la sua determinazione e la sua personale dedizione al lavoro ha ampliato la sua attività anche ad altri settori, come quello turistico/alberghiero e quello della produzione di energia da fonti rinnovabili. Storie come la sua indicano, ancora una volta, quanto sia fondato sul merito il cammino che fa di un imprenditore un Cavaliere del Lavoro. E Bruna Vecchi Culcasi, con la sua etica, la sua voglia d’impresa e le sue capacità rappresenta un esempio di modello imprenditoriale attento, oltre che al successo delle sue aziende, ai valori propri dei Cavalieri del Lavoro ed alla dimensione sociale e culturale della collettività. cdl antonio D’amato presidente Federazione nazionale cavalieri del lavoro 5


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PREMESSA

Fare impresa per lei, comunque, era nel suo destino. A leggerla -senza addentrarsi nei particolari- sembra un sogno sognato da bambina, realizzata a trent'anni inventando tutto quello che al progetto era necessario perché diventasse tale. Da Reggio si trasferisce in Sicilia per amore. Lei somaticamente e caratterialmente del Nord si innamora di un uomo -Francesco Culcasi- bruno, alto, di maniere galanti e dagli occhi ardenti. Quando la nostra protagonista arriva in Sicilia si adatta volentieri a svolgere il ruolo di padrona di casa, riverita e rispettata in un piccolo Centro vocato all'agricoltura. Lei stessa si racconta con estrema vivezza. Si porta dentro i rumori della guerra, la sua distruzione, la devastazione, il dissesto economico, il dolore dei lutti, gli odi tra fascisti e partigiani, ma anche la voglia di ripresa, di ricostruire, la tenacia di andare avanti, di organizzare, di creare lavoro e benessere. Tutto questo si trasforma nel suo codice etico; rifiuta l'inerzia e alle lagnanze preferisce l'iniziativa. Quasi per caso si insinua in lei la voglia di mettere su un piccolo allevamento. Così, tanto per provare, e magari per creare un “modellino” in scala. Non lo rivela nemmeno a se' stessa, ma lo attua con il proposito di un collaudo. Lo si comprende da questa biografia che è una sorta di libro delle memorie nel quale oltre a lei compaiono altri uomini e donne, ambienti, ma anche umori sociali e ideologici. 7


La produzione del piccolo allevamento doveva bastare alle esigenze di Casa, di una famiglia- come sono le famiglie siciliane- fatta di parenti prossimi che si legano e fanno gruppo perché c'è sempre qualcuno che desidera coinvolgere gli altri come atto di solidarietà e di condivisione. In una Terra -la Sicilia- dove più di mezzo secolo fa preferenzialmente vinceva l'individualità e la non perfetta organizzazione del lavoro, Bruna Vecchi riesce a imporre non soltanto una fedeltà aziendale, ma anche tempi di produzione da rispettare, impegni assunti da mantenere come regola imprescindibile. Il marito la affianca, ne condivide e sostiene l'iniziativa. Anche nell'impresa fanno coppia. Un decalogo ancora oggi valido e fortemente utile per vincere la depressione economica e che ha colpito l'intero Occidente. E' ricomparsa la piaga della disoccupazione, e in alcune sacche si è affievolita la capacità di invertire la rotta. Bruna ha dimostrato il contrario. La sua tenacia, la determinazione, la fiducia nella capacità di farcela hanno funzionato in momenti altrettanto difficili che son stati sconfitti dalla voglia e dalla testardaggine di farcela. Tutto questo è il nostro patrimonio. Appartiene alla nostra Gente. enzo Tartamella

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Dal Giornale di Sicilia del 7 giugno 1978

non è siciliana, ma è come se lo fosse: di fatto lo è per matrimonio e per essere vissuta nell’isola per più di venticinque anni. adesso questo ambito riconoscimento la ricompensa per l’impegno di donna, ma anche di imprenditrice. parliamo del cavaliere del lavoro Bruna Vecchi culcasi, imprenditrice nel settore avicolo, agricolo, lapideo, legname e grande distribuzione, esercitate in sicilia con sette stabilimenti e più di cinquecento dipendenti. Bionda, vitalissima, determinata senza perdere garbo e gentilezza, questa tenacissima signora è riuscita a raggiungere il traguardo che si prefisse nel 1955 quando insieme con il marito iniziò l’attività con un piccolissimo allevamento avicolo. proprio un avvio tenace da pioniere che non lasciava intravedere l’attuale incubatoio per la schiusa di centinaia di migliaia di pulcini a settimana, un impianto automatico di macellazione tecnologicamente tra i più avanzati quant’altro occorre per non subire le condizioni dei fornitori. un’attività a ciclo chiuso che ha allargato gli iniziali due dipendenti agli attuali 500 e più. posti di lavoro preziosi per una regione depressa come la nostra, ma soprattutto rapporti sereni con i collaboratori. “ormai mi sento più siciliana che emiliana -dice Bruna Vecchi culcasi- amo questa terra per il calore umano che si riesce a sentire. Qui è bello lavorare, basta parlare per sapersi intendere; si possono fare molte cose per la verginità morale della gente e i pochi inquinamenti politici”. la ricetta di questo successo sono dieci e più ore di lavoro al giorno, tanto entusiasmo e determinazione, senza la paura di sporcarsi mai le mani. Gli obiettivi raggiunti le danno ragione: oltre che in italia, le società che il cavaliere del lavoro guida ha allargato gli interessi anche in diversi paesi dell’africa settentrionale e del medio oriente. e’ già stata consigliere nazionale di confindustria ed ora cavaliere del lavoro. 9


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Bruna Vecchi culcasi

il suo perenne progetto: l’intrapresa. il suo grande amore: la famiglia. il suo orgoglio: le nove aziende che ha realizzato.

il meglio della società? per lei sono indifferentemente uomini e donne che amano il lavoro. Di queste persone lei ha stima, le aiuta, le sostiene, le condivide.

Bastano quattro pennellate forti e variegate ed il ritratto di Bruna Vecchi culcasi, prima donna cavaliere del lavoro del sud italia, è fatto. al di là del suo sorriso aperto e cordiale, c’è in lei un inflessibile piacere di lavorare e di esprimere ogni e qualsiasi energia produttiva e costruttiva, senza porre tempo in mezzo. e’ l’antica regola del divertirsi lavorando?

“lo possono fare soltanto tutti coloro i quali si realizzano in quello che fanno, con le mani o con il cervello non fa differenza. nel lavoro si può trovare forza, sensibilità sociale e l’applicazione dei più alti principi della morale religiosa e laica”. non ama i giri di parole. per mezzo secolo è sempre stata al comando delle aziende di famiglia.

ha anche il piglio di chi sa come debbono andare le cose. Fulminea, senza tentennamenti, ma anche senza arroganza. 11


“se è così che le cose debbono andare e allora ci vuole disciplina e prontezza ad accogliere ed accettare la disposizione che viene impartita.” i suoi collaboratori hanno imparato presto a conoscere ed applicare le sue direttive. ne parlano bene, ancora adesso che tantissimi di loro sono già andati in pensione. Da anni. “mio marito mi è stato sempre vicino. abbiamo condiviso propositi e progetti. io ho accettato le sue prudenze, lui ha moderato qualche mio eccesso. Tra noi, in ogni caso, sempre grande rispetto. perderlo quando era ancora giovane è stato molto doloroso”.

poviglio. piazza municipio. Foto scattata nel 1930

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e si fa scura in volto, quando lo dice. e’ difficile pensare di coglierla abbandonata all’emotività, meno che meno all’euforia, ma incoraggia i suoi interlocutori e li asseconda. Si dice che nella sua regione d’origine bussando ad una porta, se chi apre offre da bere è un romagnolo, se invece chiede perché hai bussato è un emiliano. E’ così nella realtà? “l’aneddoto non può essere interpretato proprio così. e’ piuttosto un diverso modo di affrontare la realtà. Gli emiliani vanno dritti al progetto, i romagnoli hanno un diverso approccio con la vita, ma altrettanto buono. ognuno è fatto come è fatto.” lei è emiliana, e se ne compiace. adesso, però, si sente anche molto siciliana. si mostra disincantata, senza troppe riverenze e nessuna soggezione verso i potenti. “mi è piaciuto affrontare i miei interlocutori in modo garbato e umanamente paritario, con rispetto, ma senza soggezione.” e si riferisce a papi e governanti.

poviglio era un piccolo paese della Bassa con ottomila abitanti collocato tra reggio emilia e parma nella quale prevaleva un’economica agricolo-industriale. le case si susseguivano ai margini della strada che collegava le due città. sembrava che gli ingegneri-progettisti l’avessero disegnata così proprio per costruirci una appresso all’altra abitazioni, magazzini, negozi, officine e uffici. il paese si allungava sulle due periferie e ciò corrispondeva alla inconfessata volontà di essere pronti ad abbandonare la campagna. Quello era il tempo che segnava il passaggio dall’agricoltura alla nascente industria, in genere meno faticosa e più remunerativa, anche perché assicurava una entrata fissa al mese, senza l’angoscia delle incertezze connesse con il raccolto e con il cattivo 13


tempo. nessuno pensava che l’industria avrebbe portato ai prodromi dell’automatismo meccanico del pensiero e del modo di vivere. né qualcuno se ne preoccupava.

un paese “normale” poviglio, uguale a tanti altri della periferia emiliana. una di seguito all’altra si susseguivano la farmacia, il negozio, il bar, l’officina, il circolo, il portoncino del sindacato,la sezione del partito (comunista), la sala dei bigliardi, la porta della sacrestia e il portone grande d’ingresso della chiesa.

“la parrocchia di santo stefano e il parroco don coghi erano il centro di ogni cosa. la chiesa era il luogo della convergenza, nel segno della fede che era al di sopra di tutto: della politica, dell’incipiente sindacato, delle beghe. Tutti avevamo lasciato lì una prima traccia incominciando dal battesimo, passando dalla prima comunione e dal matrimonio fino alla morte. la grande parabola della vita tra due date fondamentali: la venuta al mondo e la sparizione sotto-terra”.

“non si pensava alle storie che stavamo vivendo e avevamo la consapevolezza che le avremmo lasciato alle nostre spalle, parlavamo invece dei problemi che avremmo incontrato il giorno avanti. il sogno era trovare un lavoro, un buon guadagno, un matrimonio forte, farsi una casa tutta propria dove abitare, vivere, crescere la famiglia e nel tempo che avanzava divertirsi: lo svago era una componente essenziale per non subire la fatica e basta. anzi.”

“i ricchi del paese erano i proprietari terrieri che avevano alle loro dipendenze tanti operai per portare avanti le loro aziende e donne di servizio per i lavori di casa. prima della guerra c’erano soltanto quattro vecchie auto. Quando io ero ragazza spuntarono le prime 500Fiat. nel nostro giro c’era un mio coetaneo che ne aveva una e la domenica riempiendola come un uovo si andava a ballare”. 14


Poviglio. Piazza Umberto Primo. Anni Cinquanta

nelle osterie tra un bicchiere di vino e l’altro gli uomini parlavano di politica.

“i sindaci erano sempre espressione del popolo. mi ricordo ce ne fu uno che malgrado ignorante si arrampicava in certi discorsi che poi diventavano evanescenti e finiva con il fare ridere tutti. un giorno, in occasione di un comizio, ospitò un componente della direzione nazionale del pci e per dirgli che al comune c’era sempre una buona disposizione verso tutti, indicando il palazzo, disse: la nostra è una casa di tolleranza”. 15


“la parità tra i sessi non era una convenzione sociale. nessuno era indispensabile, ma tutti eravamo utili. una dignità le femmine la conquistavano da sole, ma una sorta di quasi consenso dei maschi era pure utile. le donne eravamo sottopagate, ma non ci badavamo. l’importante era guadagnare. non esistevano conflitti di superiorità. si andava avanti con il tu e chi poteva aiutava l’altra”. In campagna le donne non si vestivano perennemente a lutto se perdevano un parente stretto.

“al massimo nei sei mesi successivi mettevano un abito nero. Quando mia madre morì -morì di tumore- io non ho portato lutto. così pure quando morì mio suocero e quando morì mio marito. lui morì di domenica, il lunedì ci furono i funerali, il martedì mattina io ero in azienda. il dolore abita nel cuore.”

Frequentare la scuola era indispensabile e irrinunciabile per chi voleva andare avanti. La creatività e la volontà con l’istruzione trasformavano la furbizia in arguzia e si poteva affrontare la città con i suoi grandi palazzi e le luci sfavillanti dei negozi che invitavano a comprare anche coloro i quali soldi non ne avevano. Era una provocazione, una ribellione alla realtà che si fondava su poche lire. L’immaginario di chi veniva dalla campagna era fatto di fantasie, sogni e speranze. E di indefinito anche. E, comunque, tutto transitava soltanto per lo stradone principale che era diventato la pista da dove decollare per andare via. Con il buio l’umanità intera della Bassa dormiva e si preparava al domani. La concretezza del presente la portava la luce di Dio.

“la scuola contribuiva a formare un patrimonio individuale per sapere sfidare la vita”. 16


“la consapevolezza di esistere, e di non essere soltanto la componente indistinta di una famiglia, me l’ha data il lavoro che ho trovato presso una cooperativa di consumo. avevo appena quindici anni. subito dopo mi occupai presso il consorzio agrario dove fui incaricata di tenere la contabilità. lo stato di salute di una azienda sana si misura dalla corretta tenuta dei conti: attraverso loro si può monitorare la circolazione sanguigna della ditta e adottare le terapie per venire a capo di tutto.” Ma i tempi cambiano e così all’orizzonte della vita si intravvedevano ormai i primi orrendi bagliori della guerra. Anzitutto emergeva l’irrequietezza degli uomini e della società in genere. Era lo stipendio che, comunque, continuava a mettere le ali ad ogni progetto futuro. “si badava all’essenziale. non tutte le ambizioni che c’erano si potevano trasformare in realtà. io ho vinto una borsa di studio che consisteva nella somma di cinquanta lire. Debbo dire che verso di me c’era una buona disposizione, perché eccellevo in matematica. più avanti mi sarebbe servita per far quadrare i conti.”

“Quello che guadagnavo ogni mese lo conservavo quasi per intero per comprarmi il corredo, quando sarebbe arrivato il momento che tutte le ragazze attendevamo. con il matrimonio si fondava tra gli sposi anche il progetto di dare vita ad una sorta di piccola azienda finalizzata alla creazione di un terzo reddito. erano pochi gli emiliani che non pensavano di mettersi in commercio o di creare una piccola azienda produttiva, al di là dell’occupazione ufficiale, e fuori dall’orario di lavoro. era una vocazione che le mamme e le nonne ci avevano già miscelato nel poppatoio quando eravamo ancora lattanti”. “la mia personalissima cassaforte era il materasso sopra il quale dormivo.

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Quelle banconote rendevano felici e sereni i miei sonni, e mi conciliavano anche buoni sogni. riuscii a metter da parte cinquemila lire: un vero e proprio tesoretto. Quando finì la guerra, però, furono sufficienti soltanto per comprarmi un unico lenzuolo. altro che l’intero corredo! mai mettere soldi da parte! mi dissi allora; ma con il passare degli anni ho cambiato opinione. era stata la rabbia del momento: un sogno anche quello bombardato, andato in frantumi al momento dell’impatto con la realtà”.

La guerra finì, finalmente. Sopra le Nella Monica e Bruna Vecchi, madre e figlia sulla piazza macerie delle case sgretolate (e principale di Poviglio nel 1938. Bruna ha un nastro nero facendo finta di dimenticare le ai capelli per la recente morte del padre Arnaldo. sofferenze patite) tutti si impegnarono a ricostruire, anche se tante cose erano ormai cambiate. In certi casi addirittura avevano stravolto regole e abitudini.

“ci fu un periodo in cui ho visto scattare gravi e profondi odi. più di una volta ho notato uomini che davano la caccia ad altri uomini. erano i partigiani, armati e con propositi ben precisi. un giorno, alla spicciolata, alcuni uomini del paese furono portati via quasi con violenza dalle loro case e ammucchiati in uno slargo e qui fatti salire su un camion. Furono prese di mira anche quelle persone che avevano in 18


qualche modo avuto a che fare con i tedeschi, ma anche le ragazze che se la facevano con i giovani fascisti. le une e le altre che si erano fidanzate con i tedeschi furono rapate a zero e tutti le deridevano”. “i consorzi furono occupati dai comunisti che presero di mira anche le famiglie che economicamente non se la passavano male. ci fu parecchio odio di classe. Di tanta gente non si seppe più nulla. Dopo alcuni anni fu scoperta una fossa comune scavata nella lontana periferia. che tristezza! essere sopravvissuti alla guerra, sperare di rinascere e infine assistere a tanta crudeltà!” Nel 1948 per tante persone il lavoro si concretizzò a Reggio Emilia, in una azienda di laterizi. Quello dell’edilizia fu il primo settore ad essere avviato per cominciare a ricostruire le abitazioni: la prima cellula sulla quale fu impiantato il resto della vita che la gente desiderava vivere dopo tanti disastri. “ci ingegnavamo tutti per intraprendere una qualsiasi iniziativa che consentisse di guadagnare onestamente qualcosa di più. andando ogni giorno in città, io compravo capi di vestiario da destinare al negozio di mia madre. il mezzo più economico, ma anche il più sicuro, era il treno. per raggiungere la stazione ad un chilometro di distanza andavo a piedi e uscivo da casa alle sette del mattino”.

“alle sette quando era ancora buio pesto e anche se c’era la neve che arrivava alle caviglie. per percorrere venti chilometri erano necessarie

Bruna Vecchi a venti anni.

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quasi due ore, ma non importava. nei vagoni stavamo tutti insieme operai, studenti, impiegati e parlavamo, ci scambiavamo informazioni, confrontavamo il nostro lavoro con quello degli altri, magari per capire se i soldi che ci davano erano un giusto compenso. per la pausa pranzo non si rientrava a casa.”

Bruna e Francesco in Vespa

“mangiavo alla mensa: generalmente pasta in brodo. era già un piccolo benessere se si pensa che c’era ancora qualcuno che non riusciva a mettere in pancia neanche quello. nel mio paese c’era una sola macelleria e si macellava una sola volta la settimana.” I giovani, quando non stavano in famiglia con genitori e fratelli, vivevano una vita diversa.

“avevamo voglia di sorridere, di scherzare. Tanti adulti portavano il lutto al braccio, tante donne erano vestite di nero per onorare un caduto sotto le macerie o al fronte. era gente semplice; gente serena che credeva tenacemente in quello che faceva”. “Fumare? no, noi ragazze di casa non si usava. era sconveniente e sguaiato.

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nelle osterie si parlava della politica che si faceva al comune.” Per i giovani la possibilità di incontrarsi si concretizzava al Circolo ufficiali che era frequentato da militari, ma anche da bancari, impiegati pubblici e professori.

“sulle scale che portavano al primo piano, una sera incrociai quello che sarebbe diventato mio marito. mi colpì il suo sorriso che era aperto, leale, positivo. era uno dei tanti siciliani e meridionali che frequentavano il locale. nei loro confronti nessuna discriminazione. lui aveva vinto il concorso all’ufficio tecnico erariale. la sua prima destinazione era stata reggio emilia.”

Bruna e Francesco a passeggio sulla riva del Po

“era intraprendente, non rimaneva con le mani in mano. per non restare in balia dei mezzi pubblici si era comprato una Vespa. e’ diventata il nostro mezzo per arrivare dovunque desiderassimo: abbiamo messo le ali alla nostra libertà di giovani. lui abitava in stanze in famiglia ed era benvoluto.” “non mi turbò per nulla che fosse siciliano. era un giovane positivo, che 21


ispirava fiducia. e poi allora i siciliani non erano circondati da tanta diffidenza come avviene adesso.”

I ragazzi sentivano l’esigenza quasi insopprimibile di distrarsi. Volevano ribellarsi contro le miserie e le difficoltà di trovare un lavoro. Volevano sfidare il futuro con un sorriso. Per molte persone mature, in genere, non era così. Avevano versato e avevano visto versare tante lacrime, avevano sentito troppe parole dolenti. In giro si vedevano uomini e donne sconfitti e piegati nel morale, e prostrati dalla fame. C’erano i figli da crescere; in tante famiglie c’era miseria nera perché avevano perduto tutto. Talvolta anche l’onorabilità. La guerra aveva portato con sé anche questo. Una giovane poteva salvare dalla fame l’intera sua famiglia, ma nessuno badava al prezzo che avrebbe dovuto pagare. E con la pancia piena viene facile sorridere; se ne sono resi conto in tanti. La fame e le necessità fanno decadere tanti limiti che sembrano ottusi quando si deve fare i conti con una realtà inquietante, e si deve scegliere se vivere o morire.

“Domenica pomeriggio si andava a ballare a Boretto, un paese sulle rive del po. rientravamo la sera alle sette. le famiglie stavano tranquille tanto non si andava mai oltre il ballo. si svolgeva una vita essenziale.”

“Qualche domenica con l’organizzazione del cai, andavo anche a sciare; partivo la mattina e ritornavo la sera. sulla neve ho conosciuto maramotti, poi divenuto grande patron della max mara e del credito emiliano e cavaliere del lavoro. si parlava senza pregiudizi, tra maschi e femmine alla pari. non c’erano troppe supremazie, come è nell’indole degli emiliani. era una sfida non violenta, ma non si risparmiava nessun colpo per averla vinta.” 22


Nei giorni feriali il rientro a casa la sera era previsto per le sette. Praticamente, per più di dodici ore i lavoratori stavano lontani dalla famiglia. Il riscaldamento nelle case lo dava una stufa a legna, per chi ce l’aveva: comunque, soltanto una per tutta una casa.

“si dormiva tenendo anche la testa sotto le lenzuola. la mattina -quando l’impianto non si era frattanto gelato- l’acqua che usciva dai rubinetti metteva i brividi. era un tempo in cui con Francesco ci interrogavamo per conoscerci meglio. si cercava di fare coincidere le nostre opinioni. si andava d’accordo. ci capivamo. lui non mi contrastava, anzi cercava di sminuire quegli aspetti che per provenienza territoriale ci facevano apparire diversi. lui impiegato pubblico nello stato che non è stato mai generoso, io con una vocazione per il privato, ma anche per pensare ad una impresa tutta mia. una fantasia? e perché negarsela!” “ci frequentammo per due anni. Veniva a cena dai miei. nel frattempo continuava a studiare perché voleva laurearsi in economia e commercio e ci riuscì dopo sposati. lui di suo era già geometra.”

“nei primissimi anni cinquanta, la domenica andavamo a ballare nelle balere: valzer, mazurca, tango, ma non c’era cavaliere fisso. il ballo anzitutto consentiva di condividere il piacere della musica che animava due esseri giovani e di sesso diverso. lui non si mostrava geloso, ma poi finì che spesso facemmo coppia fissa. approfittando della Vespa, qualche volta andammo sugli argini del po distante cinque chilometri da casa mia. e poi andavamo in giro per i paesi, alle sagre. e tante risate, da farci scoppiare il cuore di gioia.” “mia madre, con molta grazia, voleva verificare quanto io mi sentissi legata a 23


lui e se avevo riflettuto su tutto. mi diceva: tu hai tanti corteggiatori, hai un modo di pensare emiliano, forse sarebbe meglio che tu sposassi un uomo di qua. non conosci le loro abitudini, il loro modo di interpretare la vita. rifletti. nelle sue parole, però, non c’era opera di dissuasione.”

“anche i familiari di Francesco lo invitavano a riflettere. Gli dicevano: è una donna del nord, una polentona che non sa nulla della sicilia. lui ne parlava a me, e io ne parlavo a lui.”

“Quando Francesco ottenne il trasferimento a Trapani, io e mia madre con il treno venimmo in sicilia. in treno: fu un viaggio interessante, ma soprattutto un’avventura durata più di ventiquattro ore. prendemmo una stanza all’albergo sole. il giorno dopo, però, i suoi familiari ci vollero ospitare a casa loro. i suoi zii, rocco e Vito Vulpetti, furono cordialissimi e con quella ospitalità impeccabile dei siciliani. Fummo colmati di premure. me li ricordo perché erano due fratelli che avevano sposato due sorelle.” Furono concordati tempi e modalità per il matrimonio che fu celebrato a Poviglio.

“l’abito bianco non era di rigore, per cui comprai le stoffe, che inclinavano sul chiaro, a reggio emilia e con una sarta che abitava al piano di sopra della mia casa scopiazzando dai giornali e mettendoci la nostra creatività abbiamo confezionato un vestito a fiori lungo fino alle caviglie. pesavo cinquanta chili e sfioravo il metro e settanta centimetri; avevo un cappello bianco di paglia a larghe tese. la mia bella figura comunque l’ho fatta. senza contare il grande orgoglio di avere io stessa collaborato al confezionamento dei vestiti. le stoffe per il soprabito di colore grigio metallizzato le ho comprate con la tessera, che veniva data ad ogni famiglia in un regime di economia controllata. per la piccola poviglio fu un evento. andammo in chiesa a piedi. per qualche ora nella piazza dove passammo noi l’attività si fermò”. 24


“Davanti a me c’era una damigella e il corteo era composto da una trentina di persone. partecipava soltanto una persona per ogni famiglia. ci siamo mossi da casa mia che si apriva sulla piazza principale e arrivava dritto alla chiesa. una cerimonia bella fatta di giovani e fra tanta gioia.”

“il ricevimento era condizionato dalla ristrettezza dei tempi che si attraversavano. non era facile trovare cibi ricercati. si usava preparare un menù di guerra, nel senso che l’economia e le persone anche fisicamente addosso portavano i segni del conflitto mondiale che l’italia aveva perduto, con tutto quello che significò. il ristorante dove ci siamo riuniti era dei miei zii che si erano inventati di tutto e di

Francesco e Bruna sull’altare

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Poviglio. Il corteo nuziale che procede dalla casa di Bruna per arrivare nella chiesa di Santo Stefano

più: buffet, dolci, torte e confetti che erano già una grande eccezione. era l’unione che si consacrava, il riconoscimento ufficiale della coppia che si costituiva e l’augurio ad una nuova famiglia che si formava”.

“Venendo giù andai a vivere nella casa con mio suocero che era un uomo garbato e riservato. Grandi premure per me e tante attenzioni di riguardo. e fu molto utile, anche, il mio senso di conciliazione. cucinavo io, però chiedevo consigli a poviglio. la sfoglia mi veniva con le buche, ma dopo un anno telefonai orgogliosamente che, infine, ero riuscita a farla come si deve. la cucina della 26


casa fu di gusto emiliano perché è più saporita e allegra. c’era, comunque, una propensione alla semplicità alimentare.”

C’È UN GENIUS IN OGNUNO DI NOI

“in genere, mi piace osservare i miei interlocutori con lo stesso approccio dialogale con il quale intrattengo il mio ipotetico vicino di casa.”

Gli esseri umani sono quasi tutti uguali, li fa diversi l’ingegno, la genialità, la cultura che non sempre è una evoluzione dell’istruzione scolastica.

“Da tempo ho scelto di affrontare le persone che incontro senza nessun preconcetto, ma questo non esclude il mio rispetto e il mio dovuto garbo verso gli altri. e’ un gioco aperto e leale in cui io cerco con onestà di capire chi è effettivamente l’uomo o la donna che mi sta davanti. non cancello la loro fama, né il loro prestigio. riparto da zero e vado edificando un’immagine e un ruolo in senso assoluto. insomma, cerco di comprendere quanto ho da comunicare con l’altro. c’è un genius in ognuno di noi, e io quello voglio scoprire.” Bruna e Francesco

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Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini si congratula con la neo Cavaliere, il giorno dell’ivestitura. 1978

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la missione a roma per l'inVesTiTura il ricorDo Di Bruna e Dei FiGli piero e roBerTo

“Quando fui informata in maniera non ufficiale che ero candidata alla massima onorificenza che può essere conferita in italia, avevo da poco superato i 50 anni. non mi era chiaro del tutto di cosa effettivamente si trattasse. mi sembrava un evento fuori dalla mia portata, che non mi attendevo dalla vita. Dopo qualche giorno, andando a poviglio, ne parlai con mio zio rino -fratello di mia madre- e lui mi fece capire che in effetti era un riconoscimento ad altissimo livello. compresi che per me quello era un successo forse mai vagheggiato”.

“al momento della notifica ufficiale, invece, mi resi conto che era tutto vero: una ipotesi si era trasformata in realtà. una valanga di telefonate e centinaia di telegrammi hanno invaso casa mia. capii che quell'evento mi indicava di attraversare un ponte. non l'ho mai pensato, ma era una esaltazione per una persona abituata a nutrirsi dell'ordinaria vita quotidiana affiancata da dipendenti e consulenti e insieme con loro vivere giornalmente la gioia del lavoro e del successo”.

“una piccola curiosità. i miei interlocutori commerciali e imprenditoriali che venivano a trovarmi in azienda erano quasi tutti uomini, ma dopo il cavalierato vennero con le mogli. mi esibivano per fare constatare che loro erano amici di una persona importante. erano stati sempre garbati, ma dopo lo sono stati ancora di più. uno di loro mi ha detto che per lui era una questione di orgoglio perché poteva trattare non solo con una signora, ma che era anche cavaliere del lavoro e che si conosceva 29


con il presidente della repubblica pertini che era socialista e anche lui era socialista. io ci sorridevo sopra, ma ero certa di avere regalato a queste persone un attimo di gioia, che era anche la mia�.

Roma. Palazzo della Civiltà e del Lavoro. Bruna Vecchi Culcasi con i figli Piero e Roberto in attesa dell’investitura

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PIERO CULCASI

“avevo ventitré anni quando a casa nostra arrivò la notizia dell’altissima onorificenza al merito del lavoro che sarebbe stata conferita a mia madre. pur essendo abbastanza grande per riuscire a controllare le emozioni e abituato, mio malgrado a farlo soprattutto dopo la morte di mio padre, in quel caso non fui capace di frenare l’entusiasmo e ricordo di avere abbracciato mia madre, ferma davanti la porta dello studio, quasi come raggelata dalla notizia, sussurrandole all’orecchio: com plimenti, hai fatto tanto per questo territorio e te la sei meritata”. “immaginavo che da lì a poco, mia madre avrebbe avuto grandi opportunità di incontrare autorità, capi di stato e sarebbe stata la sua vera vittoria. Finalmente riceveva la conferma che il suo lavoro era servito non soltanto a migliorare le condizioni sociali ed economiche della sua famiglia, ma di un intero territorio. una donna di periferia che era riuscita a far cadere su di sé anche l’attenzione dello stato spesso indifferente e comunque lontano”.

“arrivato il giorno fatidico, salimmo le scale del palazzo della civiltà e del lavoro all’eur di roma, mentre il mio fervore cresceva sempre più. non avevo mai pensato di vivere un giorno da prima pagina”.

“Fummo accolti sia da vecchi cavalieri che da personalità presenti in maniera molto cordiale. mia madre, con il suo accento emiliano, aveva interessato i colleghi reggiani riuscendo da subito ad entrare in presa diretta con loro”. “era seduta in prima fila ed io in ottava. la guardavo continuamente. era tranquilla e serena, anche più di me, ma sorridevo al fatto che forse per lei in quel 31


momento era anche una costrizione. le telecamere e i giornalisti si erano concentrati su una donna che non aveva mai amato apparire ed essere al centro dell’attenzione”.

“per quanto avessi pensato che l’onorificenza le portasse grandi opportunità di nuove conoscenze e uno stimolo sempre più forte nell’attività imprenditoriale, non pensavo che coinvolgesse indirettamente, e fin da subito, anche me”. “adesso più di prima non potevamo sbagliare. ogni scelta ed ogni iniziativa imprenditoriale doveva essere meglio ponderata e valutata. mia madre non solo doveva continuare ad occuparsi della direzione degli stabilimenti ma sentiva su di sé, il peso sempre più forte di una richiesta di aiuto da parte di un territorio che aveva fame di lavoro”.

“casa nostra non era più un luogo dove rifugiarci dopo una giornata di impegni. sembrava più che altro la succursale dell’ufficio di collocamento”.

ROBERTO CULCASI

“anche se ero un ragazzo, non mi era sfuggito che mia madre era diventata una donna di successo. la sua capacità straordinaria nel condurre gli affari, di arrivare alle soluzioni prima degli altri e di comprendere le dinamiche economiche e finanziarie l’avevano messa al centro dell’attenzione di molta gente. erano in tanti quelli che venivano a trovarla per chiederle consigli e lei riusciva tra i mille impegni ad ascoltare tutti. mi ricordo che spesso, per mettere a loro agio gli interlocutori, faceva delle battute in siciliano, che con il suo accento emiliano diventavano ancora più efficaci e simpatiche”. “era il 1978 ed io avevo poco più di quattordici anni quando mi comunicò che era stata nominata cavaliere del lavoro.” 32


“sul momento non mi resi conto di cosa si trattasse, ma dall’emozione delle sue parole compresi che doveva essere qualcosa di veramente importante. l’indomani la notizia era sulla stampa, il nome di mia madre era accostato a quello di Giovanni agnelli e silvio Berlusconi che avevano ricevuto la stessa nomina l’anno precedente”. “arrivarono da tutta italia centinaia di telegrammi e telefonate di congratulazioni”. “Dopo qualche giorno ci recammo a roma per ricevere la nomina dal presidente della repubblica, sandro pertini”.

“l’atmosfera era quella di un grande evento, oltre ad un gran numero di giornalisti e la rai al cerimoniale erano presenti ministri e alte personalità. Quel giorno insieme con mia madre sono stati nominati altri imprenditori di primissimo piano, tra questi andrea rizzoli proprietario del corriere della sera, cesare romiti presidente della Fiat e enrico cuccia presidente di mediobanca, tutta gente che avevo visto tante volte in televisione o sui giornali. mi trovavo proiettato in una realtà che solo qualche mese prima non avrei mai immaginato”.

“Quando mia madre si trovò al cospetto del presidente pertini per ricevere direttamente dalle sue mani l’attestazione, la mia emozione era altissima e mi colpì particolarmente la naturalezza con la quale mia madre affrontava quel momento. addirittura il presidente si intrattenne con lei più a lungo che con gli altri neo cavalieri, era l’unica donna a ricevere l’onorificenza e questo destava molta attenzione”.

“Dopo la cerimonia restammo ancora un po’ di tempo nelle sale del palazzo civiltà e lavoro all’eur, quasi tutti i presenti, politici, ministri, neo cavalieri si 33


intrattennevano con mia madre, incuriositi dal suo ruolo di donna imprenditrice in un territorio molto difficile. a quel tempo in italia le donne imprenditrici erano davvero poche, nel sud d’italia abbastanza rare, con il titolo di cavaliere del lavoro era l’unica. in poco tempo mia madre con la sua verve emiliana aveva conosciuto già tutti e con la sua cordialità li aveva conquistati”.

“mia madre ha avuto sempre la grande capacità di restare sé stessa in tutte le circostanze ed al cospetto di chiunque. Tanta forza le derivava dalla sua grande umiltà”.

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i ViaGGi Dei caValieri Del laVoro iTaliani sono una amBasceria nell’uniVerso Dell’inTernazionaliTà Belgio 1983 - londra 1984 - spagna 1985 - portogallo 1987 - Grecia 1988 - Turchia 1989 - russia 1990 - india e nepal 1999 - olanda - siria e Giordania 2000, e poi egitto, argentina, austria, messico, Bali, Filippine.

Carlos Saùl Menem presidente della Repubblica Argentina, Bruna Vecchi Culcasi e l’ambasciatore italiano in Argentina Claudio Moreno

“insieme con gli altri cavalieri ho incontrato capi di stato, premi nobel, missioni di carità cristiana nel mondo. così ho avuto modo di entrare nei ritratti dei personaggi illustri che prima mi erano passati tra le mani attraverso i rotocalchi. esaurita la fase dell’ufficialità e del protocollo si passava ai contatti potrei dire- personali. umani.”

“Di quei viaggi mi interessava molto il protocollo dell’ufficialità, ma soprattutto imparare quello che stando nelle mie aziende e nell’ambito del mio lavoro non conoscevo. la forma non è soltanto 35


apparenza. ho avuto la possibilità di comprendere aspetti nuovi della vita e così sapere di prima mano come girava il mondo”.

“ho accresciuto le mie esperienze e allargato i miei orizzonti. si trattava di persone selezionate con intenti comuni. si gettavano le premesse per fare degli scambi ai quali si poteva dare continuità anche per il proprio lavoro e alla propria cultura. Tra cavalieri era possibile affidarsi, senza correre rischi di fraintendimenti. non si trattava di un codice scritto, ma di attenerci al rispetto che è dovuto ad ogni essere umano. per noi era una pratica onorevole.” Ognuna delle parti conosceva bene gli spazi dentro i quali muoversi, ma c’era la libertà di andare un po’ più oltre, e parlare dell’essere umano che -fatte poche eccezioni- si fonda quasi sempre sulle medesime pulsioni: l’intelletto, la salute, il rispetto degli altri, i sentimenti.

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l’inconTro con GioVanni paolo ii

“ho avuto modo di incontrare nella sala clementina per tre volte Giovanni paolo ii, il capo supremo della chiesa cattolica nel mondo. non c’era angolo della Terra in cui la sua immagine non fosse conosciuta e venerata, in cui la sua parola non giungesse. e’ arrivato al soglio pontificio, lui uomo dell’est, preceduto da tanta meritata fama. ho ascoltato sempre i suoi discorsi con deferenza, con la riverenza dovuta al suo ruolo e al suo prestigio. ho riflettuto tutte e tre le volte dopo essere

I Cavalieri del Lavoro in udienza dal Papa Giovanni Paolo II. Nel cerchietto rosso CdL Bruna Vecchi Culcasi

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stata al suo cospetto e mi sono concentrata per apprendere al meglio le sue parole. la conclusione -che forse potrebbe apparire poco rispettosa- è che dai suoi discorsi è emerso più il diplomatico piuttosto che il massimo rappresentante della fede cattolica. mi è sembrato più incline a discorsi di ufficialità politico-diplomatica. Forse in quello che ha detto non ho avuto la possibilità di cogliere l’universalità e la pietà della chiesa, in atto della sua potente umiltà. mi parrebbe opportuno rivivere il francescanesimo, non quello disarmato e sensazionistico, quanto quello di cui l’individuo oggi ha bisogno. a cominciare da me? anche.”

Da sinistra Alfredo Diana presidente della Federazione Cavalieri del Lavoro, il re Juan Carlos di Spagna e i Cavalieri Bruna Vecchi Culcasi e Duilio Bruseschi presidente del “Messaggero Veneto”

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Ce n’è grande bisogno! Forse ancora oggi si elargiscono troppe indulgenze. Si continuano a salvare le anime di molti uomini munifici, ma soltanto munifici. Il mondo laico è invaso da falsi profeti ed è insidiato da troppi maldestri sedicenti sociologi esaltati e da impudenti plagiatori di masse. Cercano e sperimentano di aggregare gli uomini per masse omogenee, cosicché convinti procedano in un’unica direzione per soccorrere il vincitore. Approfittano di una umanità confusa, incerta, abbagliata dal fragore dei proclami di un benessere che non sempre passa attraverso il soccorso per riconquistare sé stessi. Il traguardo che viene garantito spesso non coincide con il raggiungimento della moralizzazione. Chi ruba è ladro, e chi uccide è assassino. Almeno su questo postulato non ci dovrebbero essere dubbi. e.t.

IN SPAGNA CON JUAN CARLOS

“mi è sembrato oltremodo cordiale il re di spagna, Juan carlos. ho notato che si dava del tu con alcuni nostri cavalieri che gli stavano attorno. come segno di ospitalità parlava in italiano, e lo parlava senza storpiature. mi ha colpito la sua grande curiosità di sapere cosa pensavamo della eccessiva tassazione praticata in italia. se ritenevamo che fosse un condizionamento alla avanzata della produttività o un freno ai consumi, oppure il primo ostacolo alla crescita economica. (Debbo dire che stessa curiosità ci è stata mostrata in portogallo.) notevole la cordialità e il garbo del re per metterci a nostro agio. e’ un capo di stato, senza la presunzione e la saccenza dei nostri rappresentanti istituzionali. si percepisce che dall’altro lato non ci possa essere qualcuno che potrebbe imbrogliarti con intelligenti discorsi e grandi riserve mentali. e’ anche una questione di approccio”. 39


LA SEVERITÀ DI RUBBIA

“l’opportunità di incontrare carlo rubbia, premio nobel per la fisica nel 1984, l’abbiamo avuta a Firenze. Da noi è stato molto applaudito, secondo prassi, come il primo della classe. presenti c’erano anche alcuni allievi che frequentavano la scuola dei cavalieri del lavoro: collegio universitario “lamaro pozani”. uno di loro ha parlato a nome di tutti i suoi colleghi. era stato scelto per il suo impegno nello studio, la sua maturità e la serenità che mostrava. ha fatto un discorso su scienza e umanità. era equilibrato e concluse sostenendo che alla base di tutto ci deve essere sempre l’uomo che non va snaturato dal suo contesto, anzi va ascoltato e va aiutato a raggiungere i suoi obiettivi. i forti aiutino i deboli, ma senza inutili commiserazioni, disse. ci vuole dignità e coraggio”.

“mi piacque e volli chiedere a rubbia cosa pensasse di quel giovane sul quale io mi ero espressa con molti apprezzamenti. lui mi rispose freddo: lei parla con il cuore di mamma. come dire: carlo rubbia, premio nobel della Fisica nel 1984 discorsi di troppa tenerezza, niente vigore scientifico. io osservai lesta: ma guardi che in sala quelli che hanno applaudito intensamente erano tutti uomini. Due anni dopo abbiamo saputo che quel giovane, pur continuando a studiare da noi, si era iscritto al seminario. può darsi che abbiamo perduto un uomo di scienza, ma abbiamo guadagnato certamente un uomo sensibile pronto a soccorrere l’umanità”. 40


caValiere solTanTo al maschile io Donna caValiere

“nelle riunioni, che con regolaritĂ tengono i cavalieri del lavoro, tutti si stupivano della mia presenza e mi chiedevano di chi io fossi la moglie. Quando rispondevo che il cavaliere ero proprio io, si scusavano imbarazzati e meravigliati.

Incontro dei Cavaleri del Lavoro con il re di Spagna Juan Carlos. Alla sua destra Alfredo Diana presidente della Federazione dei Cavalieri del Lavoro, a sinistra la CdL Bruna Vecchi Culcasi

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superato il primo impatto, l’accoglienza è stata molto calorosa, anzi sottolineavano che la presenza di una donna t i t o l a r e tra loro era utile e proficua. nel 1978 eravamo soltanto tre le donne alle quali il capo dello stato aveva conferito questa alta onorificenza”. “mi sono chiesta se questa circostanza poteva costituire orgoglio mio personale, o magari ad una rappresentanza -come dire- categoriale del mondo donna. ho cercato di darmi una risposta e -sempre ispirata da un criterio di umiltà- ho optato per un altro tipo di interpretazione. Quel riconoscimento era al mio lavoro, all'impegno di produrre risorse economiche non soltanto per le persone investite quanto per una categoria che si riconosce e si identifica nel proprio lavoro e con onore e orgoglio si occupa di sé e degli altri”.

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memorie Di ViaGGi

RUSSIA

“ho riscontrato scarsa colloquialitĂ da parte dei dirigenti russi che hanno ricevuto la delegazione dei cavalieri del lavoro italiani a mosca e a san pietroburgo. li ho trovati ospitali nel protocollo, ma disinteressati ad alimentare una conversazione

Da sinistra Bruna Vecchi Culcasi, insieme con la Signora Kathleen Casale, moglie del fondatore delle distillerie Stock

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costruttiva su temi economici e culturali della missione. si respirava aria di autoreferenzialità. nelle città che abbiamo visitato mi è sembrato di scorgere segni di povertà, ma nessuno chiedeva l’elemosina. in una piazza di mosca c’era un chiosco davanti al quale si accalcava una folla straripante. mi sono avvicinata e ho constatato che veniva venduta la cocacola inserendo un gettone in un distributore automatico. Gustavano una bevanda dell’occidente che forse -secondo i giovani- aveva il gusto della libertà, dell’evasione verso il mondo negato e sconosciuto. ma ho visto la fila anche per comprare le cipolle.”

“nei supermercati ad ogni piano ho trovato poche merci sugli scaffali. i clienti non mostravano alcuna impazienza, non mi sembravano rassegnati, ma sconfitti sì. nessun sorriso. alle casse c’erano persone anziane tanto da far pensare a pensionati messi lì per arrotondare le loro magre entrate mensili. nel volto dei clienti non c’era quella minima gioia che in noi occidentali provoca il solo gesto di acquisire un bene di consumo.”

GIAPPONE

“mi ha colpito lo scrupolo degli automobilisti che arrestavano l’auto non appena intuivano che un pedone si accingeva a scendere dal marciapiedi per attraversare la strada. l’ubicazione dell’albergo dove alloggiavamo mi consentiva di osservare quello che avveniva in un palazzo di civile abitazione lì accanto. ho notato che circa alle sei del mattino -io lascio il letto sempre molto presto- una giovane mamma dai grossi polpacci usciva da casa e dopo una decina di minuti rientrava con il giornale sotto-braccio. non ho colto in lei -tanto meno in altre mamme dello stesso palazzo- segni di impazienza. non potevo osservare se andavano a prendere la metropolitana o un autobus, lo facevano comunque senza mostrare nervosismo o irritazione. uomini e donne li ho trovati molto ordinati, quasi disciplinati nel praticare 44


Londra. Da sinistra i Cavalieri del Lavoro Bruna Vecchi Culcasi, Giacomo Caruso, Charles Forte e la Signora Mara Borriero, presso l’Ambasciata italiana

qualsiasi azione. mi apparivano spontaneamente rispettosi. sulle loro facce non ho riscontrato segni di angoscia. o è così effettivamente, oppure sanno celare bene eventuali piccole ansie come quelle che sono tipiche del nostro mondo europeo e americano. sulla metropolitana, però, mi sono accorta che sia uomini sia donne dopo essersi agganciati alle maniglie, chiudevano gli occhi. non ho capito se dormissero o no, sta di fatto che alla fermata alla quale dovevano scendere automaticamente aprivano gli occhi e abbandonavano il vagone. manifestano, comunque, grande ammirazione per il nostro paese. menomale.” 45


CINA

“nella ermetica cina -ossessionata dall’invadenza degli americani- ho constatato qua e là dei contrasti paradossali. ho scoperto un cambia-valute clandestino che acquistava dollari al mercato nero pagandoli molto di più del cambio ufficiale. stranamente, malgrado la sua visibilità, nessuno gli contestava Bruna Vecchi Culcasi conversa con il principe Hassen fratello del Re quello che in altri paesi Hussein di Giordania dell’oriente viene classificato come un reato grave, con il conseguente arresto del trasgressore”.

“in questa immensa nazione, in cui la tecnologia ha ormai invaso quasi tutti i campi, non ho raccolto particolari attenzioni per la tutela dei lavoratori. i ponteggi di molti palazzi in costruzione -o in fase di restauro- erano fatti con grosse canne di bambù. e questa è già una stranezza. l’osservazione del dettaglio mi ha fatto scorgere che gli operai risalivano le facciate degli edifici arrampicandosi dall’esterno. nessuna imbragatura, né caschi sulla testa. Da noi i miglioramenti salariali procedono di paripasso con le salvaguardie sociali per la sicurezza dei lavoratori. in molti paesi europei non c’è -in generale- una umanità a perdere. ho riscontrato molti segni del comunismo reale. lì, però, esistono anche ricchi, smodatamente ricchi. come la mettono con il comunismo?” 46


AUSTRALIA

C’è sempre un mondo nuovo che attende di essere meglio conosciuto da una parte di noi europei. L’Australia è uno di questi, certamente.

“una sola cosa mi ha impressionato. oltre all’estremo ordine di marca anglosassone, regna il negato ricorso alle deroghe. Gli aborigeni mi sono sembrati come uomini provvisti di due identità differenti e in molti casi anche opposte. camminano sulle strade di oggi con la Sidney forza antropica di primati assoluti, vincitori della modernità alla quale sono ostili e indifferenti; ma mi sono sembrati pronti a percepirne i benefici.”

“nei supermarket sceglievano dagli scaffali quello che gradivano, ma molti di loro passavano oltre quando arrivavano alle casse: non pagavano. anzi. a pagare erano gli australiani moderni. un debito che è una forma di pigione delle terre delle quali non sono ancora ridiventati padroni. potrebbe trattarsi di un indennizzo tardivo dello sterminio subito per mano degli inglesi.” 47


INDIA, SIRIA, GIORDANIA, PALESTINA

“Degli indiani-siriani-giordani-palestinesi mi sono rimasti fissi nella mente i sorrisi dei bambini, con i loro splendenti denti bianchi. chiedono una caramella, una monetina, oppure una matita. oppure, si mettono in posa per farsi fare la foto copiando e ripetendo il verso dei visitatori occidentali; si regalano una memoria a perdere che non riscontreranno mai. loro non somigliano a quei loro concittadini che sono orgogliosi di essere protagonisti di una delle più forti economie in crescita a livello mondiale. i poveri si muovono nelle città tra le concimaie e le concerie di pelli che sono ubicate dentro i centri abitati. i ricchi vivono in residenze sfarzose traboccanti di superflua tecnologia, di raffinatezze e di agi.” Il Mondo non è diviso in Stati, ma in cittadini che vivono alcuni in contesti sociali ed economici di benessere, mentre tanti altri -praticamente la loro interfaccia- vivono nei medesimi territori, ma si dimenano irremovibilmente nel malessere. Non ci pensano nemmeno a cambiare: sanno che sarebbe impossibile. Loro possono fare soltanto le rivoluzioni e morirne senza nemmeno un’illusoria gloria. Il ciclo è il seguente: vecchi ricchi che si rispecchiano in nuovi ricchi e vecchi poveri e sempre poveri e basta. e.t.

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l’aVVenTura siciliana

“arrivando in sicilia da sposata, ho cambiato regime di vita. non svolgevo alcun lavoro e uscivo occasionalmente. abitavo a casa di mio suocero. per celebrare l’antico culto della famiglia, a partire da quell’anno, e poi quasi per sempre ho convogliato tutta la parentela della mia nuova famiglia, in quella che era diventata la mia casa. per regalarci qualche ora di svago, mio marito mi portava al cinema e ci incontravamo con i suoi amici e le sue amiche nei fine settimana”. “Gran parte del tempo però la trascorrevo tra le mura domestiche. Questo all’epoca era l’uso dei Valdericini che io accettavo, ma che avrei voluto diverso; a Trapani non era così. in casa era sufficiente che dessi le direttive ad una donna sposata madre di figli che non lasciava affatto a desiderare. la nonna nicolina -era la madre di mia suocera- se la passava bene con me. mi diceva: tu mi piaci perché vai subito al fatto, niente chiacchiere e inutili giri di parole.” “mi sentivo osservata dalla gente, perché ero una donna diversa venuta da “sopra”, cioè dal nord italia. i miei vestiti erano di colori chiari, solari, diversi, mentre quelli delle signore locali erano scuri e moltissimi erano neri. saranno stati anche eleganti, ma stringevano il cuore.”

“la prima domestica fu Teresa e proveniva da castellammare del Golfo. era loquace, generosa e immediata, ma stentavo a capirla perché aveva un linguaggio tutto suo proprio. usava parole che non avevo sentito da nessuna parte. Forse era un 49


dialetto più stretto, e qualche volta comunicavamo esprimendoci a segni. lei, invece, si stupiva di me. un giorno fece una scoperta sensazionale. mi disse: lei parla come quelli della radio. Forse era un merito o un complimento, ma mi fece piacere. le conversazioni tra noi, comunque, non migliorarono tanto. mi hanno molto aiutato i miei figli -frattanto cresciuti- che frequentando i loro coetanei usavano un linguaggio più aderente al territorio. sta di fatto che Teresa crebbe i miei figli. restò con noi per trenta anni, si affezionò a noi. Diventò una di famiglia”.

Bruna e Francesco con in braccio il primogenito Piero. 1955

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“Quando andò in pensione rimase in casa con noi e noi assumemmo un’altra domestica. infine, sposò un settantenne, quando anche lei era molto avanti con gli anni. i soldi della liquidazione e quello che aveva raggranellato in una intera vita li mise in un libretto a risparmi e lo affidò a mio figlio piero perché gli voleva molto bene e aveva tanta fiducia in lui. lo coccolava, se lo lisciava come se fosse stato suo. era il figlio che desiderava. lo accudiva, lo


faceva giocare, lo copriva quando faceva qualche marachella che io non avrei condiviso. la notte quando piero, ormai grandicello, usciva, lei non andava a letto se non quando lo vedeva rincasare”. “sonnecchiava sul tavolo della cucina, faceva capolino con la testa, ma non mollava. aveva un cuore grande così e sorrideva sempre. Vivere con noi a lei sembrava una vacanza: c’erano i ragazzi che facevano tanta allegria e poi il movimento di operai che ci girava attorno. Quando morì l’abbiamo fatta tumulare nella nostra cappella. il libretto a risparmi lo abbiamo dato a suo marito che non ne conosceva l’esistenza.”

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l’ a c c o G l i e n z a

A metà degli Anni Cinquanta le devastazioni sociali e morali (ma soprattutto economiche) causate dalla guerra erano ancora tutte presenti. Nel conflitto protrattosi dal 1940 al 1945 tra militari e civili, sono caduti poco meno di cinquecentomila connazionali, poco più dell’uno per cento della popolazione (che superava di poco i quarantamilioni). Una così elevata perdita di vite umane si era registrata soltanto nelle terribili pestilenze che per tre secoli avevano afflitto il nostro Paese.

Nel Dopoguerra i princìpi che regolavano i comportamenti della popolazione (nella stessa maniera in quasi tutte le regioni d’Italia) viaggiavano su due direttrici: qualsiasi tipo di spesa della famiglia era fortemente condizionata dal risparmio, non essendoci la possibilità di aumentare il reddito. L’altro aspetto -quello pubblicorisentiva delle difficoltà economiche generali nel loro complesso. Più di un terzo della popolazione italiana viveva in una dignitosa miseria. Ad un alto indice di disoccupazione corrispondevano le scarse retribuzioni degli occupati. In Sicilia era sempre l’agricoltura a rappresentare il comparto cardine dell’economia. I proprietari terrieri erano tra i pochi ad avere ricavato (in modi più o meno condivisibili) grandi vantaggi economici dalla produzione degli alimenti messi in commercio. Era sopravvissuto un artigianato qualificato, ma di basso reddito dal momento che le entrate erano modeste per tutta la popolazione. 52


La mano d’opera arruolabile era costituita dal bracciantato agricolo (sprovvisto di esperienze al di fuori della coltivazione dei campi) e dalla manovalanza generica (non qualificata nel senso moderno). Le possibilità di lavoro le offrivano quasi esclusivamente gli imprenditori edili, impegnati nella ricostruzione privata e pubblica. Loro Sì, fecero grandi guadagni. I bilanci familiari -si potrebbe dire- che erano generalmente modesti e la società era divisa in fasce in rapporto alla consistenza del reddito. Alla base gli operai, sopra gli artigiani, più su i colletti bianchi e i professionisti, poi i piccoli imprenditori e i grossi commercianti e al vertice agricoltori e banchieri. L’aristocrazia della Sicilia lanciava gli ultimi bagliori. La Chiesa trattava con tutti, anzi tutti trattavano con la Chiesa. I poveri e i miserabili non facevano -e non hanno mai fatto-status, né casta. Si potrebbe dire che nell’entroterra della Sicilia più marcatamente e nelle città -in modo meno marcato- ogni fascia sociale navigava dentro ben precisi (e quasi invalicabili) angusti binari. Meglio definirli confini. e.t.

“un giorno mi sono addentrata un po’ di più nella campagna valdericina. mi incuriosiva e mi piaceva quella sequenza di brevi pianure alternate a collinette con coltivazioni diverse. si godevano paesaggi affascinanti per la presenza di mare e terra che digradava verso i pendii. c’era una luce diversa, chiara, limpida che si estendeva per chilometri e l’azzurro del mare che completava e arricchiva il panorama e lasciava a bocca aperta. non immaginavo che in natura ci fosse tanta bellezza come in sicilia.” “in questi spostamenti un giorno incontrai un contadino che procedeva tirandosi dietro un somaro, su una strada sterrata. Quando fu più vicino a me gli chiesi: come è andata oggi? lui fu molto sorpreso, confuso e impacciato. come prima cosa 53


si tolse la coppola e un po’ inchinandosi mi rispose: “Bene, bene.” si fermò un istante e poi tirò subito oltre, senza aggiungere altro. la gente sapeva chi ero, ma io non conoscevo i Valdericini. Facendo la conoscenza di quell’uomo avevo esteso il raggio della mia espansione nella società locale, con i miei nuovi concittadini. era una mia conquista”. “la sera, come era nostra abitudine, ci siamo raccontati come avevamo trascorso la giornata. mio marito mi chiese qualche particolare, ma io fui generica. non mi sembrava che fosse avvenuto qualcosa di eccezionale. allora lui mi ricordò il contadino con il somaro. Voleva sapere di più di quell’episodio che io avevo considerato insignificante. ho saputo così che qualche ora dopo avermi incontrato era andato da lui, con la coppola in mano, per scusarsi di avermi rivolto la parla: di avermi sconcicato. era mortificato e aveva insistito molto specificando che non era stato lui a rivolgermi la parola, e che lui aveva risposto soltanto per una questione di educazione. ci sorridemmo sopra. Dopo, però, ci ho riflettuto e ho apprezzato la sensibilità e la delicatezza di quell’uomo che aveva violato -secondo lui- la riservatezza di una donna. Di una straniera, poi.”

UN’ETICA DA FAVOLA

“Quando per la prima volta sono andata da Valderice a Trapani mi ha stupito estremamente la galanteria degli uomini. erano eleganti e compiti, garbati tra loro, addirittura deferenti con le signore. l’ho verificato incontrando la moglie di un 54


avvocato tra i più conosciuti in città. una signora bionda dagli occhi chiari, di portamento elegante. molti uomini si facevano da parte per cederle il passo, altri le baciavano la mano; altri si toglievano il cappello per salutarla. ho apprezzato quel modo di comportarsi che pur nella civilissima reggio emilia non avevo constatato. io, moderna, che ero una giovane signora ho recuperato una piacevole memoria che per me era confinata nei libri rosa in un tempo passato. ho appreso il gusto di un rapporto interpersonale molto gradevole. era proprio una prova del rispetto sociale che apparteneva ad una certa sicilia”. “un pomeriggio di un sabato estivo (era di luglio) sono stata invitata da alcune amiche ad incontrare altre loro amiche che ci aspettavano in un circolo tra i più ambiti della città. appena siamo entrate, alcune signore ci sono venute incontro e io -come ospite- fui accolta con molto calore. Tanta gente già mi conosceva e di me si parlava

Visita agli stabilimenti della Avicola Aurora dell’onorevole Piersanti Mattarella presidente della Regione Siciliana. 1977

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come di una emiliana che aveva sposato un loro concittadino tanto corteggiato. ci siamo poi trasferite in un salone interno dove -sedute su grandi divani sormontati da ampi e alti specchi- alcune donne erano intente a conversare”. “le mie amiche si sono avvicinate e subito dopo hanno presentato me. io ho fatto un passo avanti e ho allungato il braccio per stringere le mani. una delle signore, invece di porgere la sua per salutarmi, è rimasta al suo posto e ha chiesto: “lei è la signora dei polli?”, riferendosi alla mia attività di allevatrice che già avevo intrapreso. sì, le risposi compiaciuta. lei rimase con le mani in grembo e riprese la conversazione, ignorando il tutto. la cosa che mi venne spontanea di fare è stata quella di restare indifferente. ero certa che lei -che pure si dava tante arie- aveva sbagliato. oggi non dico che la ringrazio, ma quell’atto scortese mi ha sollecitato a prendere coscienza di me stessa e a fare emergere il mio carattere e la mia consapevolezza di essere una imprenditrice già a poco più di trenta anni.”

Stabilimento dell’Industria Alimentare Aurora. 1981

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il Tempo Dell’inTraprenDenza

Anche i grandi fiumi nascono da piccole sorgenti. Nel percorso verso le valli altri piccoli corsi d’acqua li ingrossano convogliandoli in un solo alveo. Sono affluenti che offrono il proprio contributo accontentandosi di un piccolo spazio nella nomenclatura dell’orografia. Il destino corre sempre davanti a noi, ma nel momento in cui si incrocia con la vita bisogna saltargli in groppa e tenere salde le redini in mano.

“la mia indole emiliana mi consigliava, arrivando in sicilia, di vivere contestualmente due realtà: quella dell’innovazione accogliendo le novità che entravano nel mercato con l’uso pratico delle invenzioni, ma nello stesso tempo di non trascurare il contesto in cui la natura continua ad imporre le sue regole. non dovendo assolvere grandi impegni a casa, desideravo realizzare qualcosa di più interessante. così ho convinto mio marito a prendere la rappresentanza per la vendita di gas per auto e anche per l’installazione negli impianti industriali. Francesco, oltre ad appoggiarsi ad una officina meccanica, lo propose ad alcuni produttori di sale marino per alimentare i motori impiegati per il travaso dell’acqua di mare da un bacino all’altro per agevolarne la concentrazione salina. sostituivano il gasolio che era ritenuto inquinante, anche se il problema allora non veniva posto come una emergenza. era economicamente molto conveniente perché il gas riduceva di molto i costi di gestione. all’acquisto furono molto interessati anche gli autotrasportatori per via terra che adeguarono i loro motori”. “Fu un caso fortuito a farmi interessare ai polli. nelle campagne i contadini 57


tenevano pochi capi. il loro numero raramente superava la dozzina. si trattava, comunque, di allevamenti allo stato brado, di resa economica modesta. avevo constatato che nelle case del centro storico delle città siciliane in qualche quartiere degradato, anche nelle terrazze, tenevano piccole gabbie per allevare pochi polli. si può dire che il canto del gallo dava la sveglia ugualmente a contadini e pescatori. era la riserva di carne della famiglia urbana, ma anche un modo per barattare uova e pollastre con stoffe e mercerie da sartoria con i venditori che passavano dai bagli rurali e dai cortili urbani per una antesignana vendita porta-a-porta.” In quelle zone il tempo del benessere diffuso doveva ancora essere inventato.

“un lunedì mattina mi accorsi che il venditore ambulante di piccolo abbigliamento che passava anche nella zona dove io abitavo aveva due galline. a mia richiesta accettò di vedermele. io sapevo già cosa ne avrei fatto. una l’avrei cucinata per mio suocero al quale piaceva tanto il brodo. l’altra l’avrei destinata alla cova delle uova. Fu la cellula dalla quale si sarebbe generato il mio destino.” In Emilia Romagna l’allevamento su vasta scala era già una realtà agevolata dai contatti con gli Olandesi che erano all’avanguardia in Europa, e non soltanto in quel settore.

“ho chiesto a mio marito dove si potevano comprare le uova gallate. siamo andati all’istituto Tecnico agrario di marsala dove c’era un laboratorio didattico e le abbiamo comprate. in effetti, io non conoscevo la dinamica dell’allevamento, né come si doveva alimentare la chioccia. sta di fatto che una mattina -quattro giorni dopol’ho trovata morta e le uova erano fredde, dunque inservibili per qualsiasi uso. Fu allora che decisi che si doveva fare sul serio, e cioè applicare tutto quello che avevo imparato”. 58


“Volevo cominciare ad allevare, ma in modo professionale. saputo che ogni settimana, presso il consorzio agrario, arrivavano pulcini dall’olanda, ne comprai cento. e comprai anche una gabbia. l’allevamento era diventato il mio interesse primario. Dopo quattro mesi ho avuto cento polli da vendere. era un numero elevato di animali e ho puntato subito su un grande mercato che li potesse assorbire tutti. mio marito, sempre al mio fianco, per trovare la soluzione migliore, si incaricò di portarli al mercato popolare della Vucciria di palermo. un ambiente commercialmente difficile, ma noi avevamo un ottimo prodotto e soprattutto potevamo assicurare un rifornimento costante. subito dopo conclusi un accordo con i magazzini standaalimentare che c’erano in via roma a palermo e a marsala”.

Lo stabilimento dell’Aurora Legnami. 1978

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Una volta edificato il piano terra di un edificio, bisogna subito affrontare una nuova elevazione, senza tentennamenti e infondere tranquillità e sicurezza in tutti quelli che nel processo produttivo hanno un ruolo; qualsiasi ruolo, in qualsiasi intrapresa. Occorre inventarsi un futuro, ma anche osservare, imparare e sperimentare quello che altri hanno inventato, e soprattutto sapere eliminare gli errori che hanno fatto gli altri. E così si diventa i primi della fila. Occorre coraggio e avere voglia di vincere. Ma senza arroganza. “Dopo qualche anno, feci ricorso ad un piccolo prestito per incrementare i capitali di cui disponevamo. acquistammo alcuni immobili adiacenti a quelli dove avevamo impiantato il primo nucleo. in un vecchio magazzino è stata realizzata una pulcinaia a due piani per avviare un allevamento razionale. per agevolare la crescita dei pulcini fu installato un impianto di riscaldamento. Bisognava stare al passo con i tempi e così tre volte all’anno partivamo per le fiere di Varese, Forlì e Verona. lì

Capannoni utilizzati per l’allevamento avicolo. Zona Industriale Trapani. 1973

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siamo stati introdotti nel sistema produttivo che concorre a determinare costi e prezzi. alla base di tutto c’era, però, la tecnologia”.

“insomma, bisognava andare incontro al futuro per indirizzare produzioni e gusti della clientela. era come andare a scuola, ma noi eravamo già studenti diligenti. in questo modo io e mio marito siamo riusciti anche tornare nei luoghi dove ci eravamo conosciuti.”

“al nord eravamo alunni, ma tornando a sud dovevamo diventare maestri. e’ vero, però, che alle nozioni acquisite nelle fiere, aggiungevamo la nostra esperienza quotidiana. per aumentare le mie conoscenze in campo sanitario, mi rivolsi all’istituto zooprofilattico di palermo. ai veterinari, però, mancavano cognizioni specifiche perché in sicilia prima che noi attivassimo la nostra impresa non c’erano grandi allevamenti avicoli. mancavano mirate ricerche scientifiche. Quando arrivavo io all’istituto, praticamente si bloccava tutto perché i veterinari volevano conoscere da me cosa avveniva nella pratica.”

“capita che un amico ti aiuti improvvisamente a superare ostacoli che prima apparivano quasi insormontabili. Fu così per me quando conobbi mara Borriero. una bella signora e una grande venditrice che in tutto il mondo collocava le invenzioni fatte dal marito che era un ingegnere-creativo e che aveva collaudato impianti razionali di allevamenti avicoli con una ottima resa.”

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al Tempo GiusTo BisoGna aGire

Se si misurano bene i passi per evitare gli errori che costellano la strada verso il futuro, chiunque potrà conseguire un successo che porterà un nuovo successo, come pure la ricchezza produce altra ricchezza. Anche la fortuna, però, deve dare una mano, insieme con la concordia in famiglia e con l’attaccamento all’azienda da parte di tutti i collaboratori.

“per non subire condizionamenti di mercato e sottrarmi all’imposizione di un mio fornitore ho dovuto bluffare e fare la voce grossa. c’è da notare che in quel periodo tanti operatori del nord, ma anche del centro italia, approfittavano dello stato di insularità economica della sicilia lontana dai grandi mercati di approvvigionamento e di consumo e spesso vessata dai grandi rivenditori. nei nostri impianti avevamo realizzato anche un mangimificio per cui compravo la soia da un importatore napoletano, il quale per un anno pretese che io pagassi la merce sottostando alla fluttuazione della quotazione del dollaro. a conti fatti stavo accumulando un pesante passivo. lo chiamai e gli diedi sette giorni di tempo per stabilire un prezzo per l’intero arco dell’anno, considerato che io compravo un numero davvero rilevante di tonnellate. Dentro o fuori: altrimenti l’avrei acquistato io direttamente dagli americani o dai francesi”.

“al quinto giorno, quando mi sentivo già un nodo alla gola per l’azzardo che avevo fatto, lui chiamò accettando che il prezzo non sarebbe più stato fluttuante, ma che dovevo impegnarmi ad aumentare del dieci per cento il mio fatturato. e sia! e 62


cosĂŹ chiusi il contratto. il marchingegno, comunque, applicato in altre circostanze funzionò altrettanto bene. a venti anni da quando avevo comprato la prima gallina, avevamo una grande azienda a ciclo chiuso con otto stabilimenti per una superficie complessiva di settantamila metri quadratiâ€?.

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il monDo si esTenDe al Di la’ Della collina

Bisogna sempre gettare una occhiata sul cortile del vicino di casa per conoscere quello che succede nell’altro emisfero in cui vive una umanità con le stesse passioni e le stesse debolezze di questa parte del mondo. Qualche volta può avere partita vinta anche l’idea di omologare le preferenze nostre al nostro potenziale interlocutore. Non è escluso, tuttavia, che oltre a chi lo propone, il cambiamento possa agevolare anche chi viene indotto a mutare le proprie abitudini. E’ già avvenuto con gli Usa che sono riusciti a innamorare (e infatuare) il mondo intero alla Coca-Cola e all’hamburger. Le disgrazie non arrivano mai una per volta.

Imbarco camion e trasporto dei pulcini destinati agli allevatori del Nord Africa. 1980

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“avevamo coperto il fabbisogno di pulcini e di polli della sicilia e del sud italia, nel frattempo cominciavano a profilarsi anche altri piccoli produttori isolani. prima che i mercati mostrassero segni di saturazione, ci siamo messi in movimento. i nostri interlocutori naturali erano i paesi del nord africa e dell’immediato mediooriente. le popolazioni di quella area dispongono di carne ovina, per cui in qualche modo il nostro pollame si dimostrava quasi nuovo. in effetti, nelle due fasce territoriali (entrambe comunque di matrice islamica) era presente il pollo, ma in quantità ridotte in quanto veniva allevato per le esigenze strettamente familiari”. “le prime spedizioni sono state rivolte alla libia e subito dopo alla Tunisia. in entrambi gli stati inviavamo pulcini perché potessero essere allevati in loco, creando anche una cultura dell’allevamento. a quell’epoca eravamo i maggiori esportatori europei nel settore avicolo.” “ricordo che la schiusa e la nascita dei pulcini avvenivano di martedì e di venerdì, proprio in quei giorni una nave di linea della “Tirrenia” partiva dal porto di Trapani per raggiungere Tunisi e da qui i pulcini venivano inoltrati anche in altri paesi del nord africa. in questo modo siamo riusciti a introdurre un uso alimentare a basso costo, ma anche compatibile con la cultura indigena.”

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il mercaTo esTero

“la scomparsa di mio marito improvvisa e assolutamente non prevedibile per la sua giovane età- mi fece scattare dentro un’esigenza irresistibile di evoluzione imprenditoriale. per fare questo avevo bisogno che qualcuno, assieme a me, dividesse il peso di una crescita che, se non ben controllata, avrebbe potuto distruggere tutto”.

“pensai subito al più grande dei miei figli, piero. lo vedevo molto intraprendente, ma nello stesso tempo abbastanza intimorito all’idea di dover prendere decisioni totalmente da solo, che Piero Culcasi mi avrebbe permesso -almeno per i primi anni, di avere sempre la conoscenza di tutto e poterlo indirizzare al meglio. Decisi che la direzione del mercato africano doveva assumerla lui”.

“Trascorrevamo pomeriggi interi al telefono per mettere a punto le strategie da seguire con i potenziali clienti. ogni giorno che passava mi accorgevo di aver fatto la scelta giusta. piero era riuscito ad inserirsi bene e si meritava tutta la mia fiducia e 66


il mio sostegno. seguiva i miei suggerimenti, ma infine era lui che sceglieva le soluzioni migliori e le parole appropriate”. “certo non mancavo di fare la madre rompiscatole (termine che usano frequentemente i miei nipoti contro le mie nuore). Tenevo moltissimo a che mio figlio completasse l’università e non perdevo occasione per richiamarlo allo studio ricordando quanto fosse importante per il suo futuro, per me e per suo padre”. “il risultato lo raggiunse nel 1984 con tanti sacrifici. lavorava e studiava e fu veramente una grande soddisfazione visto che per me non era stato possibile”.

L’ESPERIENZA AFRICANA. PIERO CULCASI

“era il 1975 quando insieme con i miei due fraterni amici leo catalano e salvatore mazzara partimmo per la Tunisia. ero affascinato dall’idea di dovermi gestire la mia vita completamente da solo e nello stesso tempo avevo la certezza che quell’occasione mi avrebbe permesso di conoscere tanta gente e nuovi mercati per la mia attività... sì..! sì..! Da quel momento diventò anche la mia attività”.

“la prima opportunità scaturì proprio da un incidente diplomatico. essendo da tempo radio-amatore, portai con me una apparecchiatura che mi avrebbe consentito di dialogare con altre persone del mondo. Quello che oggi si fa con Facebook. ma non fu un’idea geniale. alla frontiera mi sequestrarono tutto. io non mi detti per vinto e andai subito in ambasciata dove, seppure non riuscii a riottenere il mio impianto radio fu l’occasione per conoscere un diplomatico con il quale scambiai informazioni per me interessantissime da un punto di vista imprenditoriale. infatti, appena presentai la mia attività di allevatore avicolo in sicilia, il mio interlocutore mi procurò un contatto con il delegato del commercio con l’estero. Fu un ottimo punto di partenza per i nuovi affari”. 67


“naturalmente, fatta eccezione della perdita della radio, raccontai a mia madre dell’opportunità che mi si era presentata, e ricevetti una serie di consigli su come muovermi. li ricordo ancora come se fosse oggi: “usa prudenza”, “non fidarti al primo incontro”, “porta con te sempre un traduttore anche se ormai comprendi e parli il francese”, “prendi sempre impegni che possiamo mantenere”. “Fatto tesoro dei consigli di mia madre, mi feci accompagnare dal funzionario dell’istituto per il commercio estero. era un anziano signore di origini trapanesi con cui strinsi subito una simpatica amicizia. mi fece conoscere alcuni allevatori locali e mi resi subito conto che le premesse per un nostro inserimento in quel mercato erano ottime”. “mi scontrai spesso con l’idea che si erano fatti i tunisini degli imprenditori italiani. era un dire comune: italiani non buoni, i primi tre affari vanno bene, il quarto

Un momento dello smistamento dei pulcini presso l’incubatoio Aurora

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è sempre un bidone. sprofondavo ogni volta nella vergogna e passavo giornate intere a convincere che c’erano molti altri connazionali onesti e tra questi naturalmente inserivo la mia famiglia e la mia azienda. ero molto convincente, tanto che due anni dopo l’inizio della mia missione, spedivamo settantamila pulcini a settimana”.

“ad entrare nel ristretto circuito dei tunisini che contavano mi aiutò molto l’appartenenza prima al rotaract e poi al rotary. la sera ritornavo ad essere un giovane alla ricerca del divertimento. partecipavo alle feste e ai ricevimenti della Tunisi bene. l’ospite straniero portava prestigio e non dispiaceva affatto. nel contempo però non tralasciavo gli studi universitari”. “avevo aperto un ufficio al centro di Tunisi, in rue d’algeri dove incontravo giornalmente i commercianti locali. ricordo che, per me che sono un uomo estremamente puntuale, era una sofferenza combattere con il ritardo cronico e tradizionale degli operatori arabi”.

“intrapresi numerosi viaggi all’interno della Tunisia, e verso le coste e riuscii ad inserire in tutto il territorio nazionale i nostri prodotti. ero accolto sempre in maniera cordiale e affettuosa, ma una cosa che ricordo con disagio era quando, durante gli incontri, mi veniva offerto il tè e il caffè. i bicchieri da cui dovevo bere non erano sporchi: erano così unti da non essere più trasparenti. ma qualche sacrificio si poteva pur fare visto che le vendite aumentavano in maniera esponenziale arrivando in poco tempo ad una esportazione dalla sede siciliana di oltre centomila pulcini la settimana”.

“ormai mi muovevo con una certa destrezza e mia madre mi dava piena autonomia anche se, il confronto con lei per me era sempre indispensabile. Dalla Tunisia, mercato ormai consolidato, passai alla libia. alloggiavo di solito all’hotel 69


mediterranée di Tripoli, ma una sera, malgrado la prenotazione, non mi diedero la camera e da lì dovetti affrontare una notte indimenticabile”.

“restai a dormire nel mangimificio di un cliente. appena entrato nella stanza mi si strinsi il cuore. le lenzuola erano scomposte, spiegazzate ed avevo perso il bianco candore, erano letteralmente nere, ma non potevo rifiutare. Gli avrei arrecato offesa. lui si era dichiarato onorato di ospitarmi. come avrei potuto rifiutare! Tirai fuori una camicia pulita dalla mia valigia e la arrotolai sul cuscino e tutto vestito provai ad addormentarmi. attesi l’alba come una salvezza”. “siamo riusciti a conquistare anche questo mercato. Fornivamo buone partite di pulcini e di uova da cova”.

“Dalle informazioni che riuscii ad ottenere da funzionari italiani del ministero per il commercio estero, si prospettavano nuove linee di mercato in paesi emergenti come il Ghana. D’accordo con mia madre, che ormai non mi diceva mai di no, partii per accra. la nostra esperienza già ventennale ci consentiva di fare anche questo ulteriore passo in avanti”.

“servendomi di un traduttore, ebbi un paio di contatti ad altissimo livello. in alcuni momenti, durante gli incontri, avevo difficoltà a comprendere le conversazioni. la voce dei miei interlocutori si abbassava e il mio traduttore cambiava l’espressione del volto. a breve fu svelato l’arcano. invitato a colazione dall’allora ministro dell’agricoltura tra una pietanza e l’altra il mio traduttore mi disse chiaramente che il contratto di fornitura si sarebbe potuto chiudere soltanto dopo aver versato una percentuale del venti per cento sull’ammontare del contratto in contanti e brevi manu al segretario del ministro. nel rinviare ad un altro incontro, scaricando su mia madre l’eventuale decisione, salutai il ministro senza dare più seguito a quella trattativa”. 70


“mi avevano avvisato che in quel periodo nei paesi emergenti si tentava di corrompere i funzionarti pubblici che una volta intascata la tangente, avevano l’abitudine di avvisare la gendarmeria e di denunciare il tentavo di corruzione, che in questo caso sarebbe stato paradossalmente il mio. a questa fase sarebbe seguito l’arresto”.

“un’altra esperienza africana fu quella fatta in algeria con interessanti rapporti commerciali. ogni due mesi visitavo delle cooperative arabe. in quel continente la nostra esperienza si protrasse per circa sette anni e posso dire che fu una grande esperienza. sono stato spettatore gratificato dall’evoluzione imprenditoriale locale che può essere esibita come una prova della nostra apertura verso alcuni paesi per accompagnarli sulla strada del miglioramento economico e sociale. abbandonata l’idea di estenderci in africa, puntai su malta dove riuscimmo ad avere un interessante commercio. i rapporti con i maltesi furono economicamente gratificanti e la nostra attività andò sempre più a rafforzarsi sia in termini di fatturato che di crescita di posti di lavoro. avevamo raggiunto i 350 occupati”. “come aveva fatto mio padre, ho perseverato negli studi universitari e come lui mi sono laureato”.

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Francesco culcasi VisTo Da anDrea BulGarella

“Francesco culcasi fu -e resta- per me il modello dell’uomo che può ottenere tutto, perché meritava tutto.” Lo afferma Andrea Bulgarella, valdericino, primo nella classifica degli imprenditori nel settore alberghiero in Toscana, con investimenti estesi anche in Lazio, Emilia Romagna e Veneto. Oltre che in Sicilia, ovviamente.

“Tra me e lui la differenza di età era notevole, ma lui aveva un modo di rivolgersi a me che mi invogliava a parlare anche delle Palermo. Francesco Culcasi in occasione della cose più minute della vita quotidiana. la sua consegna del Premio “Ignazio e Vincenzo Florio”. prima dote era l’umiltà che soltanto i grandi uomini possiedono. molte mattine mi prelevava di fronte casa mia e mi dava un passaggio fino a Trapani dove frequentavo la scuola. aveva una Bianchina-dueposti con la restante parte dell’abitacolo destinata a bagagliaio. lì teneva le cassette con i polli da consegnare alle macellerie. ad ogni fermata veniva accolto con grandi sorrisi e cordialità. i macellai gli venivano incontro per aiutarlo. lasciandosi si salutavano quasi con affetto. Trasmetteva positività e disponibilità al dialogo. ” 72


“le rare volte in cui si presentava al circolo concordia di Valderice tutti gli andavano incontro. Gli davano il benvenuto. un giorno un socio, vedendolo affacciare alla porta d’ingresso, disse: arriva il sole. una affermazione che mi ha quasi sconvolto, perché rivolta ad un uomo. mi rendevo conto, però, che la meritava. in paese aveva portato lavoro, e un piccolo diffuso benessere che arrivava in moltissime case. era quasi un orgoglio che i compaesani potevano condividere come merito collettivo: lui ne era la bandiera.” “per me è stato un esempio da seguire. cominciamo dalla constatazione che, malgrado per lui non fosse indispensabile, ha ripreso gli studi per laurearsi. lo ha fatto quando già lavorava nello stato (cioè un posto sicuro che era la massima aspirazione di tanta gente in quel periodo). aveva una bella famiglia, era imprenditore e godeva di fiducia. anche per laurearsi ha dovuto fare sacrifici, e accettare rinunce. non c’era lavoro o gesto che per lui fosse degradante. e così si è sempre comportato anche quando le sue aziende erano tra le prime in sicilia e aveva inventato un tipo di impresa che prima non esisteva nell’isola. malgrado i tanti anni trascorsi, a Valderice -e non soltanto nel suo paese d’origine- la gente non lo ha ancora dimenticato. anzi”.

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salVaTore maGaDDino, l’amico D’inFanzia

“i nostri destini si dovevano incrociare nel nord della penisola: lui a reggio emilia vincitore di concorso, io a Firenze per laurearmi in agraria. Quando diventai responsabile per la sicilia della società farmaceutica americana pfzer avemmo modo di collaborare, perché frattanto lui e sua moglie erano diventati avicoltori. lui aveva il senso degli affari e dell’amicizia e seguiva la parte esterna dell’azienda. era corretto non soltanto con gli amici, ma anche con tutti quelli con cui aveva a che fare. Quando passai all’insegnamento abbiamo avuto più tempo per andare in giro per la sicilia per Salvatore Magaddino, nei locali del mangimificio incontrare allevatori, alcuni dei quali Aurora diventarono suoi clienti. Dal 1968 al 1975 per i culcasi fu un susseguirsi di successi e di crescita delle loro imprese.” lo dice salvatore magaddino, responsabile sanitario dello stabilimento.

“la nostra amicizia si è intensificata, perché da ragazzo io andavo a trovare mia nonna che abitava vicino casa sua a Valderice. Da sposati spesso siamo usciti 74


insieme con le nostre mogli (la sua emiliana, la mia toscana). si andava a ballare, a cena insieme e si conversava con piacere. per lui quello che contava era l’amicizia. non l’ho visto mai adirato, anche se qualcosa non andava proprio bene, lui riusciva a prendere tutto per il verso giusto. Diventava amico delle persone con le quali entrava in contatto. Bruna era affabile e un po’ riservata, ma era sveglia e attentissima a tutto quello che le stava attorno. sembrava rigida e invece insegnava la disciplina perché le cose andassero bene. non ammetteva nessuna approssimazione sul lavoro. Fu una svolta quando riuscirono a far venire a Trapani i sessatori giapponesi per dividere i maschi dalle femmine. i loro percorsi commerciali erano diversi e si sapesse da subito quello che si andava a vendere nei mercati nazionali ed esteri. Questo era un grande vantaggio economico.” “insieme abbiano incontrato amadori che già allora aveva grandi allevamenti di tacchini e polli. in quegli impianti ho conosciuto il più ampio campionario delle vastissime malattie avicole.”

“Francesco riusciva ad intrattenere rapporti corretti e cordiali con tutti gli esponenti politici. sapeva portare avanti un dialogo chiaro e affabile. marito e moglie hanno avuto -tra gli altri- anche il merito di far crescere a Valderice, erice e Trapani due generazioni di collaboratori onesti e legati all’azienda perché compresero che quel posto di lavoro rappresentava il loro reddito certo e il futuro delle loro famiglie.”

“Dimostrò anche carattere e coraggio. lui sapeva che le sue condizioni fisiche non erano le migliori, eppure continuò a lavorare e a non creare angosce attorno a sé.” “se non fosse scomparso prematuramente, oggi avremmo due cavalieri del lavoro nella famiglia culcasi”.

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Bruna Vecchi culcasi VisTa Dal suo consulenTe Vincenzo miceli

Bruna e Francesco in un momento di relax

“Gran parte della mia vita professionale l’ho trascorsa con Francesco e Bruna culcasi. ho seguito passo-passo l’evolversi delle loro imprese fino a sfiorare i 200 dipendenti, nel solo settore avicolo. la loro azienda era la Fiat di Termini imerese di casa nostra. hanno rivoluzionato il paese che è cresciuto oltre che in benessere anche urbanisticamente, e questo era sotto gli occhi di tutti. ogni dieci famiglie c’era una persona che lavorava per loro”. A parlare è Vincenzo Miceli, consulente del lavoro per la famiglia Culcasi, ma anche deputato nazionale del PCI nella Sesta e Settima Legislatura.

“hanno operato sempre con criteri strettamente professionali. non avevano 76


nessuna considerazione per chi non svolgeva con onestà, obiettività e correttezza il proprio lavoro. come unico progetto -marito e moglie- avevano l’azienda e la sua sopravvivenza. Bruna culcasi mi diceva: lo faccio per la mia famiglia, ma anche per salvaguardare il lavoro e il reddito a quasi mille persone che sono gli operai e le loro famiglie”. “aveva un piglio da manager e una correttezza sostanziale e formale che a quei tempi non era praticata da donne, e poi dalle nostre parti. la mentalità corrente era quella del vulemusi bene pronti a passare sopra ogni forma di menefreghismo. la signora era inflessibile, ma non disumana. imprenditorialmente era lei, ma razionalmente era il marito a tenere saldo il timone: comunque, si compensavano perfettamente”. “agli inizi degli anni sessanta mi ha sorpreso vedere in azione in modo professionale una donna leader in un campo nuovo e non congeniale con il territorio. ha stupito tutto il paese con una evoluzione in progressione. accettava i miei suggerimenti e si rimetteva a me per evitare conflitti. il suo veterinario veniva da reggio emilia, perché aveva già un’esperienza maturata nel settore. non le piacevano gli improvvisatori. Voleva il meglio per non arrestare l’ascesa delle sue aziende: non ammetteva passi falsi.” “con le organizzazioni sindacali intratteneva rapporti difficili e complessi. non li stimava perché non si compenetravano -secondo lei- con la politica di consolidamento e di evoluzione dell’azienda. Tuttavia, non era preclusiva e credeva nei ruoli sociali.”

“era per la cooperazione nel senso che rispettava quanti avevano un incarico ben preciso nella sua impresa. le sue idee erano ben definite e talvolta draconiane, 77


ma era disponibile ad accettare le osservazioni e teneva rapporti corretti nell’ambito del lavoro. era arguta e ho motivo di ritenere che in me avesse trovato un referente. Funzionava bene il mio integralismo ideologico con la sua volontà dialettica e colloquiale. ne scaturì l’adeguamento all’attualità sociale ed economica del territorio.” “il suo divertimento e la sua realizzazione personale era il lavoro. non c’era settore in cui non si impegnava e chiedeva sempre spiegazioni su tutto e in tutto aveva una proposta migliorativa in efficienza e in produttività. Voleva andare avanti a costo di qualsiasi sacrificio personale. e in tutto questo non trascurava la sua famiglia, molto spesso anteponendola anche a sé stessa”.

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Giuseppe rosselli l’operaio Del primo momenTo

“ho lavorato con i culcasi per venti anni e mi sono sembrati venti giorni, tanto mi sono trovato a mio agio. avevo l’impressione di lavorare in una ditta mia. la vedevo crescere e desideravo che crescesse anche con il mio fervore.”

“con Francesco stavamo meglio dei fratelli. Da bambini giocavamo insieme. la moglie? una brava signora, mi faceva tanti complimenti ed era sempre tanto gentile. mi incoraggiava. assieme ad altri due operai, io mi occupavo del mangimificio, ma davo una mano dovunque c’era bisogno. ho cominciato a lavorare da loro da quando un giorno fermai Francesco sulla strada mentre andava a Trapani a consegnare polli. Gli chiesi se poteva assumermi. lui mi disse che c’era un altro aspirante prima di me, ma mi promise che appena si fosse reso libero un posto mi avrebbe chiamato. io gli risposi con la stessa lealtà: io non voglio fare male a nessuno, prima lui e poi io. e fu così, dopo quindici giorni mi venne a trovare e mi disse: domani mattina presentati a casa mia. non so se lui lo ha mai capito, ma mi ha dato la felicità.”

“si guadagnava poco. io facevo il calzolaio e non c’era tanto lavoro. avevo due figli. mi arrangiavo coltivando un orticello mio. ortaggi e quello che si poteva ricavare, per tirare avanti la famiglia. mi sembrò di toccare il cielo con un dito. lui aveva creato lavoro a Valderice, dove non c’era nulla: campagna e campagna. aveva trasformato un paese intero. io arrivavo al capannone puntualmente e non andavo via 79


la sera se non facevo bene il lavoro che mi spettava. Volevo ricambiare il suo dono con la mia correttezza e la mia lealtà.”

“recamaterna! (Requiem aeternam) Glielo voglio dire. se lo merita. mi aiutò anche a prendere la patente, quando ero già avanti con gli anni. e fu una mia gioia perché potevo fare cose che non avevo mai fatto, anzi che non credevo sarei stato capace di fare. potevo finalmente guidare camion: era il massimo dei miei desideri.” “un giorno malauguratamente, ho avuto un incidente con la mia utilitaria. ci volevano 200mila lire una cifra da capogiro per le mie risorse e io non sapevo dove andare a prenderli. proprio non ce l’avevo tutti quei quattrini e non li avrei mai avuti. lui capì il mio piccolo dramma e mi mandò dal suo lattoniere. la macchina venne perfetta e io pagai il lavoro a piccolissime rate grazie a lui che garantì per me. praticamente, non abbiamo avuto mai a che dire. il salario sempre puntuale, come un orologio.”

Peppino Rosselli, oggi ha 91 anni, ma ne dimostra almeno 20 di meno. Parla con grande lucidità. Vive da solo da quando è rimasto vedovo e la sua casa sembra governata da due persone di servizio. Tanto è linda; tanto è in ordine.

“Quando si è sposata mia figlia, lui quel giorno era impegnato e non è venuto al ricevimento, ma io quando l’ho saputo ho fatto fare una torta apposta per Francesco e la signora. che bella signura! di belle maniere e io la seguivo come un surdateddu. aveva sempre la parola giusta. se la meritava. con loro mi sentivo a casa mia, come se fossi stato uno della famiglia. chi belli cristiani! Quando è morto lui mi sono messo a piangere come un picciriddu. come se avessi perduto un fratello. un parente stretto.” 80


Gli anni scelleraTi

In Sicilia vive e opera una fascia di abitanti composta da non più di diecimila individui orribili che ogni giorno violentano la cultura, l’impresa, il lavoro onesto e inquietano la coscienza di cinque milioni di altri siciliani. Costituiscono il corpo militare arruolato che, piuttosto che produrre reddito, è tutto proteso ad aggredire il patrimonio creato dagli “altri” con il lavoro, con il sacrificio e l’intrapresa. Si tratta di soggetti subdoli, perversi che agiscono come lupi o come iene pronti ad assaltare e aggredire chiunque, terrorizzando e dilaniando il tessuto sociale. Si chiamano mafia. Questi prevaricatori perversi -minacciano con metodi felpati da belva spietata che arrivano a graffiare l’anima delle famiglie- possono teoricamente percorrere due strade: corrodendo lo Stato attuano la via della corruzione assecondando l’ambizione di molti politici corrotti, oppure minacciando di morte o di sequestro la popolazione civile che non si vuole piegare. La terza via è rappresentata dagli attentati, sotto tutte le forme possibili e immaginabili. Nel caso di sequestro di persona c’è in gioco la vita di un uomo che in quel momento soffre l’isolamento e l’incerta sopravvivenza. Quella che i familiari debbono compiere è una scelta in solitudine, in silenzio, senza conforti, con il cuore straziato. Ci sono preliminari che precedono il rapimento che intanto deve mettere terrore e predisporre la vittima potenziale e i parenti a trattare per evitare l’atto estremo. Con un meccanismo ormai “tradizionale”, mentre da una parte le richieste di riscatto diventano esose, si fa avanti un “amico” disposto ad “aiutare”. La sua azione si 81


Le congratulazioni del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a Bruna Vecchi Culcasi nella ricorrenza del XXV della nomina a Cavaliere. 2003

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svolge su due fronti: attenuare la minacciata violenza sull’ostaggio potenziale, e parallelamente abbassare l’entità della somma richiesta, ma comunque da pagare. Sono due percorsi che, tuttavia, vanno verso una unica soluzione: fare accettare il ruolo e il potere “salvifico” della mafia “buona” che induce a mettere sul palmo della mafia “cattiva” (che è l’altro volto dello stesso clan) i soldi per l’arricchimento esentasse. Infine, tutti contenti: le vittime (grate al boss che ha evitato il peggio), il boss stesso che ha consolidato il proprio prestigio (anche perché ha ridotto la pretesa dei potenziali sequestratori), la manovalanza criminale che ha eseguito con profitto e con orgoglio il ruolo assegnato dai capi.

Lo Stato? Nel suo grande e variegato apparato, qui non ha un volto ben definito e quel che è peggio- talvolta non sempre si materializza in un potere pubblico sano e santo. Spesso è impalpabile. Le procedure farraginose dettate dalle norme lacunose, la lentezza scandalosa della burocrazia, i mezzi di lotta al malcostume talvolta insufficienti o inefficienti, insomma il “sistema” nel suo complesso -quasi semprerisulta inadeguato alle esigenze reali dei cittadini.

Basta! ci vuole coraggio e fede da parte di tutti perché si possa (e si debba) sbarcare dall’altro lato della barricata: sconfiggere il demonio-mafia con il vangelo laico che sono i Codici, ma anche con la disposizione di tutti a respingere la raccomandazione e non accettare “grandi” regali, e dire semplicemente “No”, senza pomposi proclami, senza le medagliette che pretende chi usa soltanto le parole e non ne prende effettivamente le distanze. Il “teorema Sciascia” rimane in qualche modo attuale. La società siciliana è indulgente verso chi negli apparati pubblici ruba, si assenta e sottrae tempo al proprio dovere, fa il doppio lavoro, usa i regolamenti o si attacca ai formalismi per negare un diritto all’utenza non referenziata.

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Spesso il cittadino non si sente adeguatamente tutelato nei suoi diritti. Il corpo burocratico degli Enti Locali è stato partorito dalla politica malata che con un criterio spartitorio ha assegnato posti di lavoro creando catene di sottomissioni e di obblighi per grazia ricevuta. Nessuna parte in lizza può dire di non averne beneficiato. Ne sono venuti fuori uffici non sempre diretti da personale efficiente e onesto che ha fatto anche carriera e a sua volta gestisce un potere in nome di chi lo ha fatto “entrare” e gli ha fatto salire la scala della gerarchia senza merito alcuno, tranne quello di avere servito il proprio benefattore che in effetti era un corruttore. Colui il quale ha rubato con moderazione non è più onesto di altri loschi figuri come lui; è soltanto un po’ meno disonesto.

“La società trapanese è pervasa da un diffuso senso di illegalità” -diceva il non dimenticato vescovo della Diocesi, Monsignor Domenico Amoroso, prima delle grandi invasioni barbariche. e.t.

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il rischio Dell’impresa non e’ solTanTo il mercaTo

“l’equipe dirigenziale delle nostre aziende nell’arco di un ventennio è stato allocato in un unico edificio di tre piani. uno di questi si affacciava sul fronte stradale, mentre gli altri due si aprivano sul retro sfruttando il dislivello del terreno che si sviluppava digradando verso la campagna. Gli uffici direttivi, quelli amministravi e anche quelli commerciali e la nostra abitazione privata stavano su un unico vasto piano. praticamente io, percorrendo poche decine di metri, potevo dare un’occhiata su tutti i versanti. i capi operai e i tecnici più qualificati avevano accesso quasi diretto alla mia stanza.” “un pomeriggio del 1974 era d’estate- si presentò da me un

Francesco, Bruna e i figli Piero e Roberto. 1964

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nostro impiegato. era sconvolto; esagitato, spaventato. Voleva parlare con me, lì davanti ad altre persone. non capii cosa di specifico avesse da dirmi, ma sbarrando gli occhi gli intimai di stare zitto. capii soltanto che aveva ricevuto una telefonata. lo introdussi in un’altra stanza e mi feci raccontare cosa era successo. Qualcuno, con un timbro di voce marcatamente dialettale, intimava con parole minacciose di portare una grossa somma di soldi attraverso un percorso ben definito, addentrandosi nella campagna. l’uomo imponeva anche una scadenza e faceva riferimento a ritorsioni nel caso ci fossimo rifiutati di consegnare il denaro.” “mio marito ed io facemmo un breve consulto e decidemmo subito di chiamare il capitano Giannone del comando provinciale dei carabinieri di Trapani con il quale intrattenevamo un bel rapporto di cordialità. lo invitammo a venirci a trovare, ma che venisse in abiti civili, per favore. intanto non abbiamo fatto trapelare nulla in azienda. sospettavamo che si potesse trattare di persone vicine a noi, o che frequentassero i nostri locali. il giorno fissato dagli estorsori, il capitano venne e si mise alla guida dell’auto di mio marito; sul sedile posteriore si era disteso un carabiniere bene armato. il capitano percorse il tragitto indicato da chi voleva gettarci nella disperazione”.

“lungo il percorso, l’auto di mio marito -guidata dall’ufficiale- fece le fermate richieste. lampeggiò a un incrocio di alcune strade interne, così come era stato indicato. poi si arrestò nel punto in cui qualcuno avrebbe dovuto ritirare il pacco con i soldi richiesti. era la strategia dei carabinieri. ma lì non si presentò nessuno. era una notte tempestosa con fulmini e scrosci d’acqua violenti. pensammo che gli estorsori avessero avuto paura. né quel giorno, tanto meno nei giorni successivi ricevemmo altri messaggi. la brace, però, come avemmo modo di constatare successivamente, continuava ad ardere sotto la cenere.” 86


“alla fine degli anni settanta abbiamo temuto che le pretese di estorcerci denaro potessero tramutarsi in azioni di ritorsione verso i nostri figli. ci fu anche una telefonata alla quale risposi io personalmente. Quando con voce minacciosa e dura mi chiese una grossa somma di denaro io, prendendo il coraggio a due mani, gli gridai: perché non vieni qua a prenderla che ti do un sacco di bastonate. Quando chiusi la telefonata mi sentii molto male. ho avvertito un forte tremore in tutto il corpo. Forse per rilassarmi piansi. avevo reagito come era giusto che facessi. c’era in gioco la vita di uno dei miei figli.” “non abbiamo voluto fare scelta diversa da quella della legalità. non ci sono alternative. ho avuto un credo nella fede, un collegamento ai principi della famiglia, una identificazione nello stato, nei momenti tragici questi principi si presentano e diventano imprescindibili. Dunque, mi sono affidata alla legge”.

La mafia aveva bisogno di capitali, ma aveva anche profonde faide al proprio interno. La nuova aggregazione di mafiosi voleva eliminare i vecchi capi e per arruolare manovalanza criminale e comprare nuovi silenzi e connivenze aveva necessità di denaro contante. Quello fu un periodo di diffusa inquietudine in seno alle cosche mafiose trapanesi. Nel territorio erano evidenti i segni di destabilizzazione che si protrassero nel tempo. A partire dal 1974 e fino al 1995 furono commessi nove omicidi in una faida senza esclusione di colpi.

I killer imbracciarono il mitra Mab (impiegato nel secondo conflitto mondiale) e le doppiette calibro 12 caricate a lupara. Le sentenze erano scattate perché alcune delle vittime “disubbidienti” avevano “infastidito” due boss da tempo impegnati in speculazioni immobiliari. 87


Un gruppo di gregari senza il consenso e il permesso dei boss aveva derubato e vessato altri agricoltori amici degli amici per procurasi i capitali necessari per acquistare “legalmente” (dai latifondisti locali) vasti appezzamenti di terreni per poi, attraverso prestanome, lottizzarli e rivenderli legalmente. Le amministrazioni comunali (e non soltanto loro) rimasero inerti e distratte accettando formule contrattuali non proprio ortodosse. Nessuno indagò. Frattanto, rivendendo quei lotti, gli aspiranti boss moltiplicarono i propri capitali. Contestualmente, aggregarono attorno a sé manovalanza criminale spietata e disposta a tutto pur di elevare il proprio tenore di vita e di salire nella considerazione di amici e compaesani. Tutto ciò per i capi di “cosa nostra” era intollerabile: “….perché ne offuscava l’onorabilità.” A sua volta il boss di Paceco fu ucciso con trentatré colpi di fucile. Un delitto eclatante che sarebbe stato deciso dal vertice della mafia vincente per punirlo in quanto non aveva aderito ai nuovi capi, ma anche perché “badava quasi esclusivamente al proprio arricchimento personale.”” Questo sostennero i pubblici ministeri al processo “Halloween” celebrato davanti la seconda sezione della Corte di Assise di Trapani.

Fu una vera e propria guerra dentro la quale rientra il primo sequestro di persona (dopo la fine del secondo conflitto mondiale) di un imprenditore del settore navale e alberghiero. Culminò nell’eccidio degli autori che avevano violato le consegne dei boss imperanti. Furono indotti a scendere in campo soprattutto perché il loro “prestigio” era stato messo in discussione da “quattro cani sciolti”. In conclusione: una questione di violato prestigio del cartello mafioso. Lo Stato è stato tenuto fuori e ha svolto il ruolo di spettatore impotente e indolente. Lo Stato -ridotto al rango di figlio dei Governi- non c’entra! e.t. 88


i supermercaTi. si aVVia la DiVersiFicazione

“nei primi anni ottanta si presentò l’opportunità di dare vita ad una società a carattere regionale per creare una serie di supermercati al dettaglio e all’ingrosso in tutta la sicilia. Furono costituite le società sivad e sigros con un gruppo di altri imprenditori siciliani. a noi fu affidata la gestione di una quindicina di punti vendita, nella sicilia occidentale. non conoscevo bene il settore, ma mi sono resa conto che quello era uno sviluppo ormai indispensabile, oltre che logico del settore del commercio. e’ nata così la catena degli s7. in poco tempo trovarono occupazione alcune centinaia di giovani”.

“mi è bastato gettare uno sguardo nel settore della distribuzione per constatare che era costituito da piccoli negozi

Una locandina d’epoca

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con prodotti che non coprivano tutte le esigenze di una famiglia, che era quindi costretta a rivolgersi a più esercenti. l’offerta era incompleta, parziale e anche carente. pure i locali risultavano un po’ antiquati, intasati, poco illuminati. Fu un successo e non solo per la parte imprenditoriale. per tre mesi intensamente, la gente ha vissuto questa innovazione come un progresso. i carrelli erano pieni e gli acquirenti erano soddisfatti. Diventò un segno dei tempi.”

“era la prova tangibile del raggiunto benessere. una nuova e moderna cancellazione della fame patita nel dopoguerra, vissuta dalla generazione precedente, ma ancora in vita. nei nostri locali l’abbondanza di ogni genere di consumo si leggeva a vista.” “la stagione dei supermercati, si portò dietro però anche una serie di attentati. Tanti, troppi e che mi indussero a riflettere e prendere dei provvedimenti, anche se non sapevo di che genere. era un aspetto deteriore, completamente nuovo. io conoscevo soltanto l’investimento, il rischio di impresa, la prudenza mercantile. si crearono anche posti di lavoro per una serie di operai e di collaboratori. a me si rivolgeva tanta gente alla ricerca disperata di una occupazione. la società trapanese voleva crescere. le nuove generazioni desideravano un lavoro ben retribuito per mettere su famiglia.”

“il primo atto intimidatorio, che oggi possiamo chiamare di avviso, fu un ordigno collocato a marsala e dopo un breve lasso di tempo a mazara del Vallo. le perdite, in entrambi i casi, non furono molto rilevanti. più grave e maggiore danno fece la bomba piazzata nel supermercato di sciacca dove l’esplosione fece saltare anche una saracinesca. l’incendio distrusse l’intero supermercato. mi ero convinta che si potesse trattare di una ritorsione dei piccoli esercenti. eravamo stati accusati 90


di avere costretto alla chiusura una parte del piccolo commercio. non avevo previsto che gli attentati potessero avere un crescendo: dunque si trattava di un vero e proprio piano studiato nei minimi dettagli. non mi sbagliavo”.

“l’altro locale preso di mira fu quello di piazza XXi aprile a Trapani dove appiccarono un primo incendio che fu domato senza provocare grandissimi danni. sempre nello stesso locale, il secondo, invece, ebbe conseguenze quasi disastrose. Fu organizzato nei minimi dettagli per provocare il maggior danno possibile. un giorno, negli orari di chiusura al pubblico, gli incendiari accumularono carte e cartoni tutti in un unico punto e appiccarono il fuoco. andò quasi tutto distrutto. contemporaneamente a Belpasso fu incendiato un grandissimo magazzino di stoccaggio. le fiamme bruciarono per tre giorni e ci procurarono miliardi di perdite. Gli unici nostri referenti furono le forze dell’ordine. era un progetto criminale, al quale non ci siamo piegati.”

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a Francesco culcasi È sTaTa inTiTolaTa la sTraDa che È la spina Dorsale Della zona inDusTriale reGionale Della Quale lui Fu il pioniere

nel 2002 a Francesco culcasi fu conferito il massimo riconoscimento alla sua attività di imprenditore.

a lui-che è stato il pioniere della zona industriale regionale- il comune di Trapani intitolò una strada della zir riconoscendogli di essersi insediato per primo in quell’area.

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Doveva essere la prima cellula per dare corpo all’aspirazione degli imprenditori locali. il progetto era quello di concentrarsi in un’unica zona (vicinissima al porto e all’imbocco per l’autostrada) dotata di servizi e impianti idonei ad uno sviluppo produttivo organico.

i componenti della commissione comunale toponomastica votarono all’unanimità la proposta che riconosceva al dottor Francesco culcasi di avere tracciato il solco dove altri suoi colleghi successivamente hanno innalzato capannoni che dovevano essere il segno meglio riconoscibile di un cambiamento auspicato negli anni precedenti. Questi impianti rappresentano ancora oggi l’evoluzione del concetto postartigianale per mentalità e movimento verso il futuro. era il coronamento della speranza di progresso in quel momento della storia economica e sociale della sicilia. era l'approccio ritardato della sicilia alla industrializzazione. Da qui era scaturito il boom economico del nord-italia che attrasse tanti lavoratori isolani che emigrarono. Francesco culcasi, con la sua intraprendenza e con grande tenacia, dimostrò che si poteva creare una sicilia dell'intrapresa e del benessere.

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mio paDre mi DiceVa: “sarai il BasTone Della mia Vecchiaia”

“Durante le vacanze scolastiche mio padre mi voleva sempre con sé quando andava a Trapani per seguire le pratiche negli uffici pubblici. io ero felice di accompagnarlo perché mi presentava con orgoglio alle persone che incontravamo dicendo che sarei stato il bastone della sua vecchiaia. lui cardiopatico faceva fatica a camminare e salire le scale, stava attento a non stancarsi troppo. nitido è il mio ricordo di quando insieme salivamo le scale della camera di commercio; si appoggiava alla mia piccola spalla e ci fermavamo ad ogni pianerottolo per rifiatare. era sempre sorridente, ma il fiatone tradiva la sofferenza provocata dalla fatica” -racconta roberto culcasi. 94

Roberto Culcasi a 11 anni


“nel corso del mese di settembre del 1975 era stato a lungo ricoverato a pisa, presso una struttura specializzata, per sottoporsi ad accertamenti e a terapie dolorose, che però, a suo dire, lo mettevano in sesto.”

“era il 26 ottobre del 1975, domenica. Tra due giorni sarebbe caduto il mio dodicesimo compleanno. avevamo ospiti a pranzo. Dovevano essere persone importanti perché le abbiamo accolte nel salotto buono. Quella domenica allo stadio c’era la partita di calcio tra il Trapani e la reggina. con mio padre condividevo la passione per il calcio e il tifo per l’inter e ovviamente per il Trapani. spesso lo accompagnavo per assistere alle partite. era una carica di emozioni e di agonismo.” “ormai pensavo che, in omaggio agli ospiti, non saremmo andati allo stadio, invece ad un certo punto mio padre mi ha detto di prepararmi: si va alla partita. siamo saliti in macchina io mio padre e mio fratello, abbiamo accompagnato gli ospiti in albergo e poi via di corsa allo stadio. siamo arrivati quando la partita era iniziata da qualche minuto. abbiamo attraversato la tribuna ed è stato un susseguirsi di saluti a mio padre. lui si è seduto nel suo solito posto tra i suoi amici, io poco avanti.”

“pochi minuti dopo con un tiro da fuori area, Biccherai porta in vantaggio il Trapani, scattiamo tutti in piedi esultanti per il gol. lo stadio si infiamma; un tripudio. mi risiedo e alle mie spalle sento qualcuno che continuava ad urlare: un dottore, presto un medico. non capisco. Guardo verso il campo, i giocatori riprendono a giocare, alle mie spalle sento forti movimenti e urla. mi giro, vedo mio padre accasciato, privo di sensi, mentre alcune persone al suo fianco cercano di rianimarlo. mi avvicino, sono atterrito, pietrificato, non riesco neanche a parlare. un signore pensa che io sia un intruso e mi invita ad allontanarmi, lo guardo e con un filo di voce gli dico: è mio padre. lui ha cercato di consolarmi e mi ha offerto una caramella. Finalmente è 95


arrivato un medico. si è avvicinato a mio padre, lo ha guardato e ha scosso la testa: ci vuole un ambulanza, presto un’ambulanza.”

“l’ambulanza del campo è bloccata, allora caricano mio padre su un mezzo di fortuna -mi pare che fosse un camioncino scoperto- portano velocemente mio padre verso il vicino ospedale, io e mio fratello lo seguiamo con un’altra vettura. mentre i medici tentano di rianimarlo, io attendo nella gelida sala di attesa del pronto-soccorso. minuti interminabili, tremavo mentre continuavo a piangere e pregare, pregare e piangere: Dio, Gesù, madonna vi prego fate vivere mio padre, …. papà ti prego non mi lasciare.” “Tutte le sere era mia abitudine, prima di addormentarmi, pregare e chiedere a Dio una lunga vita per i mie genitori, adesso un dubbio mi stava tormentando: avevo fatto la sera prima le mie solite preghiere?”

“Quando uscì il medico dalla sala di rianimazione, dalla faccia capii subito che quella che stava per darmi non sarebbe stata una buona notizia. mio padre era morto, era già arrivato morto in ospedale, praticamente morto sul colpo: era stato folgorato dall’emozione del gol.”

“Quando tornai a casa con mio fratello noi soli senza mio padre -che già era un segno strano, inquietante- toccò a noi dare la triste notizia a mia madre. in pochi minuti si sparse la voce e tantissime persone si presentarono davanti casa nostra. una piccola, anomala folla per esprimerci solidarietà e cordoglio.”

“l’indomani un numero impressionante di persone partecipò ai funerali: parenti, collaboratori, amici, dipendenti, autorità. Tutti vollero accompagnare la salma 96


nel tragitto di oltre due chilometri che da casa nostra si allungava fino alla chiesa.”

“per me, al dolore per la scomparsa di mio padre, si aggiunse l’angoscia del pensiero di come sarebbe stata la mia vita senza di lui, senza ascoltare la sua voce, senza sentire la sua mano che stringeva e si appoggiava sulla mia piccola spalla.” “non potevo sapere allora che mia madre oltre ad essere una meravigliosa mamma, sarebbe stata anche uno splendido padre con un grande temperamento.”

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il Giorno Della TrisTezza il Dolore e la soliTuDine

“nel pomeriggio di quella domenica è arrivata una telefonata che mi ha molto turbato. mi hanno detto che mio marito si era sentito male, e mi pregavano di cercare nell'armadietto delle medicine quella che mio marito prendeva nei momenti in cui si sentiva mancare. era un espediente per nascondermi che mio marito non c'era già più. Da quel momento e per i tre giorni consecutivi io ho vissuto confusa, aggredita da quella realtà della quale io stessa non mi rendevo conto. malgrado mi fosse presente la gravità del dramma che si abbatteva sulla mia casa, io sono rimasta frastornata. indubbiamente, tutti volevano essermi vicini, mi parlavano, mi facevano coraggio, cercavano di confortarmi”.

“Quando portarono il suo corpo a casa io non volli vederlo. non so se era paura, ma vederlo immobile, inerte, gli occhi chiusi mi sconvolgeva. Dietro pressione anche dei miei figli, accettai di entrare nello studio dove era stato adagiato. ho fatto tutto in uno stato confusionale, quasi fuori di me. come un automa. poi si sono susseguite decine di visite, di amici, collaboratori, conoscenti. la mia casa fu invasa da un dolore collettivo. singhiozzi, lacrime, cordoglio di gente che piangendo e balbettando mi partecipava il proprio cordoglio. io vivevo fuori dalla realtà”.

“Tutti desideravano stringermi la mano, farmi delle premure. io non riuscivo a fare quadrare la tragica realtà con il mio intimo sconforto. Quella affettuosa e pressante premura mi stordiva. Forse -dico oggi- avrei voluto riordinare i miei pensieri. 98


Dovevo rendermi conto che io donna -adesso sola- avrei dovuto anche non partecipare ai miei stessi bambini quale catastrofe umana si era abbattuta su di me. l'unica cosa fortemente presente era che da quel momento in poi io avrei dovuto dare tanto amore ai miei figli e considerare chiusa anzitempo la mia storia di sentimenti e di amore. Finivano con lui i sogni della mia prima giovinezza. Dal tutto sono passata al niente. Di colpo ho scoperto di essere madre, vedova, capofamiglia, imprenditrice, leader”. “avevamo raggiunto una intesa perfetta. lui nell'azienda e nella vita seguiva l'aspetto esterno, i contatti con gli altri per la fiducia che riponevamo in lui guadagnata col suo garbo, la sua sensibilità verso tutti. meno male che poteva contare sulla collaborazione del suo autista”.

“con la scomparsa di Francesco si spegneva l'altra faccia della luna. a fianco a me non c'era più il mio più grande estimatore, che mi incoraggiava e che mi consigliava moderazione, ma senza mai negarmi il suo sostegno, la voglia di procedere insieme con me. ora sarebbero cresciute le mie responsabilità. ho capito il vero significato della parola solitudine. e questo mi inchiodava alla realtà, quasi non mi consentiva di curare il mio stesso profilo umano. per qualche tempo dal mio volto è scomparsa anche la smorfia di un sorriso”.

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sempre pronTa a ricominciare

Il nostro passato bussa alla porta quando, in un certo momento della vita, si guarda all’avvenire prossimo venturo. Un ipotetico domani che si profila con noi o senza di noi, che comunque ne siamo stati la premessa. Si cerca di comprendere se quello che era stato fatto andava bene già nel suo tempo, perché ogni cosa potrà essere osservata in un ambito più vasto e con maggiore obiettività. Tuttavia, ogni tempo va esaminato nel suo contesto e non paragonandolo con il presente, tanto meno con il futuro.

“la mia vita io l’ho trascorsa serenamente, nessuna cosa mi è sembrata imprevedibile. sono stata serena tutti i giorni della mia esistenza, e lo sono anche adesso. non credo di essere stata indifferente. non so. oggi potrei ritenere di essere un po’ abulica. mi alzavo presto al mattino e con lo stesso ritmo arrivavo alla sera. mi ha agevolato una piccola regola che mi sono data: le cose cattive, le contrarietà le ho sempre rinviate al giorno successivo. non me ne facevo affliggere. ci sarebbe stato più tempo per pensare ad una soluzione e frattanto non mi sarei angustiata. nessuna cosa doveva trasformarsi in angoscia.”

“il denaro non mi ha mai esaltato, e non mi ha procurato -né mi procura- sensazioni di potere o di 100

Bruna nel 1990


superiorità rispetto agli altri. e’ il piacere di farlo che mi interessa, non di possederlo. Questo è nella mia indole. ho la coscienza di aver fatto un po’ carriera, ma sarei pronta a ripartire daccapo e ricominciare da zero. ho imparato, guardandomi in giro, cercando di apprendere quello che mi sembrava il meglio; lo facevo per me e per chi mi è stato vicino e ha condiviso con me sfide e successi.”

“se non avessi fatto l’imprenditore? avrei volentieri fatto la sarta. mi ricordo che da ragazza la sera mi attardavo e cucivo alla luce del lume a petrolio. Durante la guerra spesso mancava l’energia elettrica. ho fatto tutto quello che mi pareva opportuno fare al momento. Volevo essere sempre in cammino verso una meta e non attendere un tempo indefinito. Debbo dire, però, che le cose che volevo fare mi venivano incontro. avevo la sensazione che c’era quasi una intesa tra i miei progetti e una coincidenza con tutto quello che mi girava attorno. percepivo l’esistenza di un alleato, che mi affiancava. una grande forza è stata la compattezza della mia famiglia che era composta anche dai miei più stretti collaboratori.”

“credo nella fortuna perché io sono stata baciata dalla fortuna. per andarle incontro ci vuole alzarsi presto la mattina, molto presto, ma non sempre la si incontra. io sono andata avanti un gradino alla volta. ai pianerottoli, però, mi sono fermata. la fortuna è un bollo, come un marchio di origine.” “Qualche volta sono stata senz’altro coraggiosa. Forse, però, aiuta di più l’intraprendenza, e poi è anche utile sapere riflettere per schiarirsi le idee e imbroccare le decisioni giuste.” “ho fatto molti debiti, ma li ho sempre pagati. ho onorato sempre la mia

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parola. in questo mi sento molto siciliana. Venendo nell’isola mi sono liberata dalle caste e ciò mi ha lasciato libera di fare emergere la mia indole. in emilia, non mi sarebbe riuscito di fare cose diverse da quelle che mi imponeva l’appartenenza alla mia famiglia. ero di sani e robusti principi e a questi ho aggiunto quelli che ho appreso qui. occorre metodicità ed evitare improvvisazioni”. “anche chi mi ha collaborato ha imparato a seguire questo mio criterio; infine è stato contento e lo ha apprezzato. in questo modo non si perde tempo e ci si aiuta a non commettere troppi errori. ho rimpianto, talvolta, gli affari che non ho fatto. D’altronde, chi non fa errori? prendere una risoluzione significa automaticamente perdere la soluzione opposta. al momento ero contenta di quel risultato raggiunto, però successivamente mi prendeva il rimorso di avere perduto quel qualcosa che mi era venuta a mancare.”

“in una economia attaccata più alla speranza che alla certezza di progredire, sulla scorta dei successi delle nostre aziende, spesso mi sono stati sottoposti degli affari. mi ricordo di una grande villa nell’immediata periferia della città di Trapani. il fabbricato era composto di tre piani e risaliva alla fine dell’ottocento. l’arredamento d’epoca era compreso nel prezzo complessivo. sia davanti, sia dietro la casa c’era un ampio parco con alberi esotici, una serra e una fontana. il prezzo era conveniente, ma io obbiettai a mio marito che si trattava di una immobilizzazione che ci avrebbe condizionato per lo sviluppo delle nostre attività, considerato che noi eravamo imprenditori. mi sarebbe dispiaciuto moltissimo se dopo anche qualche decennio fossimo stati costretti a vendere a nostra volta. lui fu molto cortese e condivise la mia proposta. per noi prima di tutto contava la concordia e la prudenza. niente salti nel buio e non perdere il senso delle proporzioni tra il possibile e raggiungibile e il grandioso e aleatorio.” 102


la GesTione a Tre

Bruna con Piero e Roberto. 2013

“oggi quando guardo i miei figli mi assolvo da qualsiasi dubbio che ha ogni madre sul modo di averli educati. constato che sono uniti, coesi, colloquiali, attenti a convergere su soluzioni comuni nate dalla dialettica. parlano, si confrontano. si aggiornano su quello che si verifica in italia e all’estero, perché ormai anche l’economia locale guarda al resto del mondo”. 103


Impianto fotovoltaico di MW 2.0 realizzato sui tetti dello Stabilimento Avicolo di Contrada Pegno, territorio di Erice

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“Tra piero e roberto c’è rispetto reciproco che scaturisce dalla prudenza di non prendere decisioni affrettate. si può dire che lavoriamo insieme, io con loro. ci riuniamo in casa mia che è diventato il nostro pensatoio e da qui scatta l’imput che poi loro sviluppano e attuano grazie alla competenza e alla conoscenza economicoimprenditoriale che ormai hanno raggiunto”. il nucleo dell’imprenditoria dei culcasi è stato l’avicola aurora. aurora che è diventato il simbolo di un percorso produttivo nel settore avicolo, agro-alimentare, grande distribuzione, del legname, del marmo, per arrivare al momento presente sotto un unico emblema dell’ “Aurora Group SPA” che oggi opera anche nei settori delle energie rinnovabili e turistico-residenziale.

“e’ il concetto dell’imprenditorialità che presiede a qualsiasi iniziativa a prescindere dal settore”- dice Bruna Vecchi culcasi. “la mia vita da imprenditrice è iniziata da un’alba con il sorriso del sole che spiana la strada e fa vedere lontano. appunto dall’aurora di un giorno pieno di speranza e di successo. un sole che nasce è il miglior simbolo perché una vita si avvii sotto i migliori auspici” -aggiunge.

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Verso le nuoVe FronTiere Dell’economia

Bruna con la sua inseparabile Milli

procedendo di pari passo con i tempi, Bruna Vecchi con i figli piero e roberto culcasi hanno deciso di immettersi nel settore turistico-immobiliare. “uno spunto -ma non l’unico- ce lo ha dato l’incremento dei voli sullo scalo di Trapani-Birgi e la maggiore diffusione di notizie sul vasto patrimonio archeologico-paesaggistico esistente nel Trapanese. la grande risonanza delle regate della coppa america con le immagini del nostro territorio (arcipelago delle egadi e pantelleria comprese) diffuse a livello mondiale ha fatto conoscere in tutti i continenti le nostre terre incontaminate tutte da scoprire, i panorami e i tramonti da godere”. 107


“ci siamo interrogati su quello che poteva essere il nostro ruolo in questo ambito. occorreva una osservazione più attenta del territorio. assieme ai miei figli, abbiamo costruito una mappa su quelle che potevano essere le direttrici di sviluppo e abbiamo individuato quattro centri, e su di loro ci siamo concentrati elaborando un progetto: san Vito lo capo che già allora godeva di fama almeno in italia; su erice, sulla stessa città di Trapani che ha recuperato un bellissimo centro storico e sull’arcipelago delle egadi”.

“per avere davanti a noi un futuro certo, abbiamo tralasciato i nostri innamoramenti di tipo personale: bisognava valutare esclusivamente la fattibilità dei progetti e il gradimento dei potenziali turistici. l’analisi obiettiva consente di fare scelte che nella stragrande maggioranza dei casi si rivelano vincenti. l’ambito era certamente il mare che è una tendenza vincente in italia e nel mediterraneo dove ci trovi Dio, gli avi e l’uomo moderno. c’era, in effetti, una carenza di strutture ricettive da colmare”.

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l’impresa puliTa e possiBile

Il progresso non deve essere coniugato con il “profitto sporco”. Si possono creare reddito e posti di lavoro senza per questo compromettere l’ambiente e insidiare la salute dei luoghi e degli uomini. “Dai viaggi e dai confronti con i nostri colleghi esteri e del nord italia ci siamo resi conto che il futuro buono passava attraverso il fotovoltaico” - dice Bruna Vecchi culcasi.

Impianto fotovoltaico di KW 500 sulle coperture dello stabilimento industriale di Bonagia

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“ci siamo consultati tra noi, perché come fa ogni buon imprenditore era necessario verificare tutte le variabili del progetto: la fattibilità socio-politica, la possibilità di accedere alle aperture di credito necessarie, la compatibilità ambientale. nelle varie ricerche abbiamo appreso che la provincia di Trapani per il suo buon clima è ideale per via della durata delle ore solari e le temperature medie, tra le migliori d’europa e nella classifica risulta addirittura al secondo posto” -ricorda roberto culcasi.

“a quel punto è iniziato il grande movimento. il primo passo è stato quello di contattare le più qualificate imprese a livello nazionale e internazionale per la realizzazione degli impianti. una scelta coraggiosissima: un consapevole volo nel vuoto, ma con il paracadute. ha contribuito alla realizzazione un centinaio di operai e tecnici e abbiamo fatto una scelta imprenditoriale consapevole e futuristica. per l’istallazione dei pannelli non abbiamo usato terreni agricoli dei quali pure disponevamo, ma i tetti dei nostri capannoni per una estensione di 60mila metri quadrati. le coperture precedenti erano in eternit che abbiamo sostituito eliminando un elemento di inquinamento. al loro posto abbiamo collocato materiale innovativo e garantito dal punto di vista ambientale. abbiamo avviato, così, un contestuale ammodernamento e la ristrutturazione dei capannoni stessi. ci siano mossi in anticipo rispetto ad alcune aziende del nord italia”- dice piero culcasi.

“in questo modo abbiamo realizzato cinque nuovi impianti (in tutto cinque mW) per produrre energia elettrica per un totale di 7miliardi e 300milioni di KWh di energia capaci di soddisfare il fabbisogno di 2.500 famiglie. e' stata eliminata l'emissione di 4miliardi di tonnellate di anidrite carbonica, pari alla combustione di 600mila litri di gasolio il cui mancato impiego realizza un notevole risparmio economico nell'assetto economico generale”. 110


un liBro per amico

A dire ad un bambino di oggi che mezzo secolo fa la televisione non esisteva si rischia concretamente di non essere creduti. Per moltissimi di loro non è concepibile, non è ammissibile. A metà del secolo XX, lo svago e i giochi nascevano dall’invenzione dei bambini stessi. A stimolarla era l’esigenza di costruire un mondo tutto proprio.

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Intanto, non esistevano giochi bi-sex: bambini con bambini, bambine con bambine. Molto tardivamente a quel metodo di fare vivere nel gioco due vite parallele l’una all’altra ai più piccoli venne riconosciuto il merito della creatività e della inventiva. Soccorreva molto la lettura che era una parente evoluta della narrazione “animata” di nonni e di parenti anziani. Quelle riunioni tra bambini e adulti erano già un regime di comunione affettiva importante, indifferentemente se avvenivano davanti a un fuoco (che poteva essere il camino) o nelle grandi aie in campagna in estate in prossimità di un fabbricato sotto il cielo stellato, confortati da uno zefiro rilassante dopo una giornata di solleone.

Erano loro -uomini e donne dai capelli bianchi classificati nella nomenclatura dei saggi- che tramandavano quella raffinata cultura didattica di Esopo o -se vi paredelle Parabole evangeliche. Dietro una storia verosimile c’era sempre una morale certa da raccogliere e fare propria: un decalogo dei comandamenti. La lettura era un sogno vissuto individualmente e sopra il quale si costruivano speranze e dolci vaghezze che si chiamavamo fantasia. Niente a che vedere con le insolenti fictions attuali che sono imposture, finzioni, artifizi e non una evoluzione surreale del presente. Il viaggio verso la vita da grandi spesso partiva dalle pagine di un libro o da una impresa e.t.

“Quando avevo tra dieci e dodici anni leggevamo Grazia Deledda e se mi imbattevo in una frase che toccava la mia sensibilità la comunicavo alle mie amiche per sapere se a loro aveva fatto lo stesso effetto. leggevamo storie d’amore in genere tra ragazze e ufficiali o aviatori, personaggi che sapevano di magia e di sogno. erano piccoli deliri innocenti e tutto rimaneva sulla carta, rinviate ad un futuro lontano e comunque un sogno molto desiderato.” 112


“le organizzazioni militari fornivano a noi ragazze indirizzi di soldati. ci suggerivano una corrispondenza con giovani che stavano al fronte. con loro ci scambiavamo idee moderate: un alito che doveva confortare chi era lontano da casa. uno svago innocente. Facevamo ricorso a parole che per decenza non sforavano mai gli ambiti del formale se non sotto l’aspetto di narrazioni quasi fuori dal reale”.

“effettivamente era una corrispondenza che raramente durava oltre i quattrocinque mesi. Talvolta, quei soldati -quando veniva natale - beneficiavano di una breve licenza se erano originari dei paesi del sud- noi li ospitavamo nelle nostre case, per non fare pesare loro il distacco dalle famiglie. alcune volte dovevamo scrivere anche ai loro genitori per confortarli. era un atto umanitario, con grande valenza cristiana e socialmente solidale.”

“Quelli che leggevamo erano romanzi di prima curiosità. l’argomento, comunque, non era estensibile ai maschi che stavano in gruppo cameratesco tra loro. allora non si parlava di sesso, non era ammesso, ma nemmeno ci si pensava. era fuori dal mondo. prima si doveva dare forza ai sentimenti, all’amore come valore, come dedizione.” C’era il vagheggiamento, le piccole intuizioni che nascevano dai racconti delle giovani spose.

“i giornali settimanali illustrati erano rari, ma anche cari. io e dieci mie amichette ne compravamo a turno uno a testa quando usciva un nuovo numero, ma lo leggevamo in dieci, perché ce lo passavamo. lo facevamo la sera, magari quando eravamo già a letto. alla radio -chi la possedeva- si poteva ascoltare nilla pizzi che era una specie di monumento nazionale, ma quello strumento era uno svago puramente casalingo.” 113


“ho ripreso la lettura appena dopo sposata. lo facevo la sera a letto, quando si andava a dormire tra le 21 e le 22. spesse volte ci si addormentava prima perché c’erano interruzioni della luce elettrica. ci si doveva accontentare. per me il piacere di leggere è rimasto sempre e comunque forte. Da quando nell’impresa i miei figli hanno avuto un ruolo sempre più rilevante, ho ripreso la lettura iscrivendomi al club degli editori. Trovo più stimolanti gli autori stranieri; molti italiani mi appaiono in qualche modo melensi. a me piacciono i libri d’azione”. Tiene una agenda nella quale annota i testi che compra. Li cataloga per autore in ordine alfabetico. Nel corso della lettura fa alcune annotazioni a margine esterno della pagina e quando finisce di leggerli mette il “voto” a fianco al nome dell’autore segnato nell’agenda tenuta esclusivamente per creare una memoria dei testi letti.

“in media, in un anno me ne passano tra le mani una ventina. in fondo, basta mediamente una decina di pagine al giorno per completarne uno. Fino a questo momento non ho mai interrotto a metà una lettura, anche se la trama e la sua rappresentazione non suscita il mio interesse. mi sembra doveroso non offendere l’autore troncando un suo testo, comunque, in questo caso non scelgo più quello scrittore.”

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il passaTo e il presenTe

C’è un momento in cui il passato e il presente diventano un unico tempo e cioè la risultante tra quello che si è vissuto in un periodo ormai lontano e quello che si vive nel tempo attuale. La sintesi si identifica in una continuità in cui nessuno degli eventi vissuti si sovrappone all’altro, ma l’uno può essere la conseguenza e la continuità dell’altro. Per andare avanti, qualche volta, può diventare utile mettere tutto all’incasso e fare un conto unico: un valore e un ammontare visto oggi come un unico patrimonio capitalizzato. Si fa una sommatoria, che poi può diventare una medianità: un punto mediano in cui il meglio che si è fatto compensi quello di cui non si è orgogliosi, tuttavia bisogna scartare le punte di maggior successo e quelle estreme del basso profilo. Potrebbe essere una estrapolazione matematica, in cui infine dovrà prevalere quello da cui non ci si vuole discostare, da quello che si vuole rigettare come una zavorra capitata in un momento di congiuntura avversa dell’esterno e dell’interno di ognuno noi. Più esattamente, potrebbe essere il punto nave che il comandante di un bastimento a vela faceva attraversando il Mare Oceano, tenendo presente da dove proveniva, ma soprattutto dove doveva dirigere la prua per raggiungere il futuro. La vita è speranza, ed è anche fede. Un futuro c’è comunque, anche se si identifica in un progetto che viene a scadenza domani, o domani l’altro, o magari la settimana prossima, oppure il mese entrante, o possibilmente l’anno che verrà. E perché no, un tempo indefinito nella notte di un cielo stellato sovrastati da una calotta immensa sotto la quale vivono gli uomini che 115


hanno una fede e una speranza nata in Oriente e che all’Oriente è rivolta. Oltre la vita c’è sempre la vita! Amen. e.t.

se lei dovesse sintetizzare il passato -tutto quello che è stato catalogato alle sue spalle- quale immagine potrebbe rendere meglio il suo ruolo di imprenditore e di donna?

“per tutti gli avvenimenti che si sono alternati nella mia vita, io ho insegnato a me stessa di non soffermarmi e ad andare oltre. la vita è una ruota che gira: nessun avvenimento mi ha impressionato più di tanto. le cose vengono e poi vanno. Facendo mente locale, posso dire che nessun fatto -importante o Bruna nel 1997 trascurabile- mi ha turbato o mi ha condizionato. erano rilevanti nel momento in cui si verificavano, l'indomani non lasciavano traccia. era la vita, nel senso più elevato del termine, nella sua continuità 116


di presente-futuro ad assumere un significato. mi predisponevo al giorno successivo: la vita scorre. il domani ha molto più fascino”. il presente è sintetizzabile in un'unica immagine? un solo fotogramma, anche simbolico, e se sì quale?

“Gli anni prossimi (e sono molti) sono pieni di tanti avvenimenti, di tante gioie e di tanti dolori. non saprei dire. la mia vita si divide in due parti: una si identifica con il lavoro, l'altra è stata influenzata dalla mia nomina a cavaliere del lavoro. in conseguenza di questo evento la gente ha scoperto della mia esistenza e mi ha manifestato ammirazione. io, comunque, sono rimasta quello che ero sempre stata, erano gli altri a vedermi in modo diverso. sono stata invitata e sollecitata a mettermi in politica; posso dire che tutti i partiti mi hanno corteggiato. mi è stato offerto un seggio al senato, con la garanzia di essere eletta. mi hanno chiesto di candidarmi a sindaco di Valderice, ma anche alla presidenza di confindustria provinciale. ho fatto tattica. in fondo, nella politica -nel senso moderno del termine- non riponevo fiducia. Troppe strategie, troppi conflitti. Gli addetti ai lavori non mi sembrava che cercassero soluzioni praticabili per risolvere i problemi sociali ed economici”.

stanno emergendo molti scandali sulla gestione del denaro pubblico e i partiti sono stati risucchiati nel vortice dello spreco e dell'approfittamento. non c'è giorno in cui non si scopra un nuovo arraffone, prima conosciuto come un irreprensibile uomo dell'apparato politico, o da questo garantito.

“credo che la domanda implichi una ovvia risposta. anzitutto, ci dovrebbe essere un numero inferiore di parlamentari: la rappresentanza democratica non passa certamente attraverso la quantità. in questo modo i partiti dovrebbero essere indotti 117


ad una migliore e più qualificata scelta dei candidati. e' uno spreco puro e semplice. mi viene in mente un proverbio: il pesce puzza dalla testa. esemplificazione chiara che quello che fanno al vertice viene copiato dalla base. in pratica, se i fondi destinati ai partiti vengono spesi in voluttuario e in spese fuori da ogni logica di sana amministrazione vuol dire che i soldi assegnati ai partiti non servono per fini istituzionali, ma sono una sorta di regalia assimilabile alle mance che si danno al bar. nel privato questo non avviene”. le amicizie quale valore hanno?

“nelle amicizie non si può tirare un filo continuo. ne arrivano di nuove, si dimenticano le vecchie. le amicizie sono come i libri, in alcune letture riesci a raggiungere una sintonia quasi perfetta con l’autore, in altre si sfiora un rapporto occasionale, superficiale e non si va più oltre. alcune si spengono. non sono perenni perché cade la scintilla e la simpatia dalle quali sono nate. in certi casi sono rimasta delusa e le ho chiuse categoricamente. non ci faccio molto affidamento quando non si riesce ad andare oltre i convenevoli. e’ difficile, talvolta, comunicare con gli altri. Troppi fattori possono trasformare una amicizia in una opportunità, oppure in un opportunismo. in ogni caso, bisogna essere dotati di una dose di tolleranza, e in questo senso non mi esalta il moderno rapporto che si è instaurato tra maschi e femmine. secondo me -e così mi sono comportata sempre- non ci può essere una demarcazione netta tra le due parti, tanto meno, poi, preconcetta.” Donne e uomini?

“ho conosciuto uomini intelligenti, ben educati, ma anche falsi e pieni di sé e così posso dire di donne che mi hanno entusiasmato quando le ho incontrate e poi mi hanno deluso e viceversa. non si può tracciare una barriera di separazione netta, 118


sarebbe contro la più elementare logica. l’ingegno è spartutu, come dite in sicilia. ce l’hanno gli uomini come pure le donne, e ci sono differenze tra gli stessi uomini e le stesse donne. ci vorrebbe una misura unica per valutare i meriti e i demeriti degli uni e degli altri. la supremazia a tutti i costi degli uni sugli altri ha creato conflitti. l’aspirazione alla parità non si deve tradurre in odio o in inimicizia. in questo, talora, le donne hanno rischiato di superare il peggio degli uomini e in certi casi copiandone soltanto i difetti. mi pare che, comunque, si vada verso una saggia moderazione. per quello che io ho affrontato fino a questo momento, posso dire che io rispetto agli uomini non ritengo di essere né vittima, né aguzzino. ” Da cosa è stata ispirata?

“il lavoro è stato la mia fede che si realizzava su due fronti. Quello mio personale e della mia famiglia e quell’altro sociale-cristiano di contribuire a dare lavoro, reddito e possibilità di miglioramento del tenore di vita di tanta gente che mi ha collaborato e mi ha voluto bene. Tanti uomini e tante donne hanno identificato il proprio successo con il mio.” “sono molto sensibile e sento pietà per chi soffre. hanno la mia comprensione i bisognosi, gli incompresi e i deboli.”

“essere cristiana non mi ha dato la sensazione di essere più potente e migliore di quanti professano altre fedi. mi amareggia ogni forma di ostentazione. non trova la mia condivisione chi professa l’umiltà fatta di parole. nessuno, laico o sacerdote, è legittimato a farlo. certi sacerdoti esibiscono vestiario sartoriale. non l’ho trovato confacente con il mio senso della fede e con l’umiltà suprema della chiesa. sono particolari che inducono i fedeli a riflettere, a meditare. oggi, più che mai, ai quattro 119


angoli della Terra, il popolo di Dio vive l’umiltà della giornata con privazioni e rinunce anche dell’essenziale, nessuno e per nessuna ragione può ignorarlo.”

“mi sento molto più vicina ai missionari che per assistere le popolazioni locali vivono in paesi situati sulla linea di confine tra lo stato sub-umano e quello quasiumano. ci sono missionari e gente comune anche nelle nostre città i quali affrontano sacrifici supremi per assicurare un letto e un pasto a tante persone dimenticate dallo stato e dai comuni. Quei sacerdoti e quei laici offrono la loro vita per garantirne una appena dignitosa ai bisognosi. Tante più cose riuscirebbero a fare se a partire da chi rappresenta la fede avesse maggiore umiltà e autentico senso della cristianità!”

“caratterialmente condivido la strategia di papa Francesco. mi ricordo che il fratello del re di Giordania si accompagnava con un alto prelato cattolico molto attento nel linguaggio e saggio nell'esprimere concetti e opinioni sulla realtà politica del medio oriente. si muoveva sereno e disinvolto e non era per nulla imbarazzato del suo abito con la porpora sdrucito e non gli importava molto di non essere elegante. parlava correttamente l'italiano e gli ho chiesto da quale regione provenisse. lui mi ha risposto che era presule a Betlemme. era stato lui a riallacciare i rapporti tra la santa sede e il re di Giordania. c'è l'esigenza di una chiesa più umile, più vicina alla realtà del mondo. la santificazione passa meglio attraverso il percorso dell'umiltà e della carità. l'esempio di papa Bergoglio spero che venga appreso a tutti i livelli dal vasto popolo cristiano e si proponga come parametro alle altre fedi monoteiste”. la povertà è una colpa sociale?

“indubbiamente non è imputabile indistintamente né all'individuo, né ad una parte alla comunità. Quella che noi conosciamo ricade sui sistemi di governo, ed è 120


grave scoprire quanto la classe governante non riesce ad incidere sulla distribuzione della ricchezza. la società italiana è comunque cambiata. rispetto al dopo-guerra, il miglioramento è enorme, inimmaginabile. si deve dire, però, che l'approccio ai consumi è stato molto dilatato. comunque, la povertà attuale è gravissima e marginalizza una fascia abbastanza ampia della popolazione. la restrizione finanziaria umilia il povero, gli toglie la dignità, lo offende. parallelamente la provocazione e l'incitazione al consumo creano artificiosamente una cultura dell'indigenza estrema, che in alcuni casi sconfina in ostilità sociale e interpersonale”.

“nessuno -anzitutto e primariamente chi ci governa- può far finta di non accorgersi che economicamente, socialmente e moralmente stiamo toccando il fondo. e' una emergenza a 360 gradi non risolvibile con la carità. la povertà è un fenomeno economico e quindi sono i governi che hanno il dovere di intervenire per evitare sacche di emarginati, di indifesi, di nemici della collettività indistinta ritenendola colpevole in un rapporto di uno a uno. non si può negare di avere “importato” altre sacche di poveri di altra cultura e di altra fede. su questo fronte pochissimo è stato fatto. i poveri, sostanzialmente, sono abbandonati nella loro condizione e equiparati ad una zavorra. Tutti i partiti debbono prendere atto di questo: ridurre drasticamente i costi della politica, eliminare rapidamente gli sprechi, fare decadere i privilegi. c'è chi guadagna troppo, al di là dei suoi meriti personali”.

“le auto blu sono uno sfoggio, una esibizione sfacciata che il contribuente paga a caro prezzo. Facendo una similitudine, mentre ogni giorno un padre di famiglia o un imprenditore è costretto a fare rinunce e a spendere in modo oculato, non vedo perché la politica possa adottare il criterio dello spreco. anche questi sono soldi nostri. soldi sottratti al consumo, sacrificando il piccolo benessere del lavoratore pubblico e privato. e' un insulto alla povertà e alle condizioni finanziarie da bancarotta del nostro paese”. 121


a più riprese e in più contesti, un po' da tutte le parti sono state manifestate perplessità e dubbi sulla efficienza (come interfaccia dell'inefficienza) dell'apparato burocratico, quali conseguenze ha sul processo produttivo globale?

“l'imprenditore pensa di fare ieri, oggi è già tardi. i burocrati, invece, rimandano le pratiche per prassi e passano infruttuosamente mesi e talvolta anni. Dunque, spesso perdiamo il treno, cade l'attualità, può venire meno la voglia. Forse è colpa delle leggi, ma anche di una sorta di congeniale pigrizia del nostro sistema. nessuno ignora che una grossa colpa deriva dalla corruzione. oggi si arriva addirittura a dire che meglio era quando il percorso di una pratica poteva essere agevolato e velocizzato ungendo la macchina. oggi si è aggiunta una ostilità e ad una avversione preconcetta da parte di una certa burocrazia contro l'imprenditoria a qualsiasi livello. noi attendiamo e confidiamo in una presa di coscienza della burocrazia presente negli enti pubblici. attendiamo una ondata di rettitudine morale e civile, e il recupero dell'orgoglio di categoria. noi siamo italiani, abituati -nei momenti difficili- a fare i miracoli. Quelli laici, ovviamente”. Quali prospettive intravvede?

“alla gente comune, quindi anche a me, interessa che la macchina si metta in movimento subito, che diminuisca la disoccupazione, che funzionino i servizi, che i treni partano e gli arei volino. nel recente politico c'è stata una sottovalutazione dei problemi reali. i partiti e i loro leader, litigano su chi deve tenere in mano le leve del potere e si attardano in dispute sterili che non portano risultati pratici. manca una lotta reale e concreta alla corruzione e all'inefficienza. nessuno paga per le malefatte commesse e i danni che causa. chi ruba e froda il pubblico denaro deve essere messo alla gogna mediatica. non deve ritornare ad occupare il posto che ricopriva in seno ad un ufficio. non merita fiducia. lo si degradi”. 122


“il popolo non può essere chiamato esclusivamente a sanare le voragini finanziarie create dal malgoverno. si deve puntare alla garanzia della legalità, alla certezza della pena. le mie non sono proposte draconiane. la verità è che non percepisco segnali che portino verso mete certe, chiare, non populistiche, ma serie degne di un paese che fu la patria del diritto. rischiamo la destabilizzazione e ci avviciniamo allo sfascio. si sta perdendo di vista la salvezza dell'italia. non siamo soltanto poveri, abbiamo sforato il fondo della pazienza e rischiamo di cadere nel disfattismo”.

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Impianto fotovoltaico di KW 500 realizzato sullo stabilimento industriale di Trapani

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il messaGGio Di Bruna Vecchi culcasi ai propri nipoTi

“Il mio più vivo desiderio è che l’opera umana e imprenditoriale svolta da mio marito e da me e adesso dai miei figli Piero e Roberto possa essere continuata dai miei nipoti ricordando sempre che il lavoro coraggioso e onesto porta benessere a chi lo crea e a chi lo svolge. Voglio che i miei nipoti seguano il percorso della legalità. Con lo studio potrete integrare la vostra cultura che è una scommessa sul piano dell’emancipazione sociale e morale. Ricordatevi che l’onestà e la correttezza fanno crescere nel segno del rispetto nelle Istituzioni. Proponetevi come esempio, dopo avere imparato l’umiltà grazie alla quale ci può essere progresso. E’ la traccia che io e il nonno Francesco vi raccomandiamo e che ci ha consentito di andare a fronte alta”.

Da sinistra Marina, Monica, Francesco e Bruna con la nonna Bruna. 2013

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Finito di stampare nel febbraio 2014 Priulla - Palermo

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