Shingle22J - 5th Edition 2015

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Noi tutti vogliamo che questa iniziativa possa seguitare negli anni a venire ed essere punto di riferimento per tutti coloro che navigando su questo mare possano trovare con Shingle22j un approdo fatto di confronto e libertĂ espressiva. Ascanio De Gattis dal settimanale “Il Granchioâ€? febbraio 2007



V BIENNALE D’ARTE CONTEMPORANEA DI ANZIO E NETTUNO A cura di Andrea Mingiacchi

ANZIO Museo Civico Archeologico / Villa Sarsina dal 9 al 31 maggio NETTUNO Forte Sangallo dal 4 al 14 giugno


sponsor


Con il Patrocinio della Regione Lazio, del Comune di Anzio e del Comune di Nettuno Si ringraziano i Comuni di Anzio e di Nettuno per la concessione degli spazi espositivi a cura di

in collaborazione con

www.00042.it – www.shingle22j.com Progetto a cura di Andrea Mingiacchi Organizzazione: Associazione Culturale 00042 Presidente Stefano Chiappini SI RINGRAZIANO Luciano Bruschini, Sindaco del Comune di Anzio Raffaela Moscarella, Commissario Prefettizio di Nettuno Laura Nolfi, Assessore alle Politiche Culturali, Turistiche e Sportive del Comune di Anzio Bruno Parente, Segreteria del Sindaco di Anzio Franco Pusceddu, Dirigente del Comune di Anzio L’Assessorato alla Cultura del Comune di Nettuno Antonio Arancio, Comandante della Polizia Locale di Nettuno PER LA GENTILE COLLABORAZIONE UN GRAZIE PARTICOLARE A: *Antony Penrose, Direttore del “Lee Miller Archive and Penrose Collection”, Farley Farm House, London *Ami Bouhassane, Co-Direttore del Penrose Film Productions Ltd, the Managing Agents, Registrar & Trustee - Lee Miller Archives *Kerry Negahban, Responsabile dei diritti di riproduzione del “Lee Miller Archives, Roland Penrose Estate & The Penrose Collection” *MAD Museo d’Arte Diffusa *Accademia delle Belle Arti di Roma


Giuria Giusi Canzoneri, Enrico Lombardi, Flavia Mastrella, Antonio Rezza, Umberto Stefanelli Curatori Giannalberto Bendazzi, sezione corti di animazione Elisabetta Civitan, sezione concorso “Buon appetito” e sezione ospite d’onore Fabio D’Achille, sezione MAD Benedetta Ferri, sezione ospite d’onore Ugo Magnanti, sezione poesia-arte performativa SPONSOR TECNICI Enrico Pusceddu, sezione Accademia delle Belle Arti di Roma Guendalina Sabba, sezione ospiti Comitato Organizzativo Luisa Calderaro, ufficio stampa Giusi Canzoneri, responsabile allestimento Stefano Chiappini, presidente 00042, presentatore, organizzazione eventi, supporto tecnico allestimento Domenico Condello, grafico e designer Luca Del Vecchio, supporto tecnico allestimento Maurizio D’Eramo, direttore della rivista Anzio-Space edita dall’associazione 00042 Benedetta Ferri, traduzioni in inglese Pietro Frisina, foto e riprese Andrea Mingiacchi, ideatore Shingle22j, direttore e curatore organizzativo Stefano Murgia, responsabile sito internet Francesca Natarelli, organizzazione eventi Bruno Pepe, architetto e grafico Enrica Sinigoi, presentatrice Alessandro Tinarelli, aiuto allestimento

MEDIA PARTNERS

media partner

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Il Litorale Anzio - Nettuno

Il Litorale Anzio - Nettuno

Tutti i colori dell’essere donna


SPONSOR TECNICI sponsor tecnici

Si ringraziano in special modo Maria Chiara Mingiacchi per il supporto nella comunicazione, Fancy Menei Hurtado, per la sua collaborazione come presentatrice, Arteide e Giovanni Foglia, per la menzione “Speciale Artisti”, Fuoco Project di Marco Trulli, per la menzione “Speciale Artisti” e Supervinx, per la “Solo Performance on Soprano Sax”. Si ringraziano inoltre Leonardo Carrano per l’amicizia e la preziosa collaborazione nell’organizzazione dell’evento, Francesca Denni per la cortesia e la disponibilità e tutti i soci dell’Associazione Culturale 00042 che in vari modi hanno prestato un aiuto prezioso a supporto della Biennale.

MEDIA PARTNERS

Il catalogo è a cura di Bruno Pepe, Silvia Arena, Domenico Condello, Elisabetta Civitan, stampato presso Arti Grafiche Fracassa SRL, Via di Vigna Girelli, 81 – Roma. Allegato al mensile Anziospace. Copertina di Domenico Condello. Grafica e impaginazione di Bruno Pepe. Si ringraziano anche: My Home Color srl, Bar del Porto di Forcina V. & Sepe G., Farmacia Internazionale Cicconetti, Cristiano Di Rosa, Ferramenta Flavia, L’Angolo della scommessa di Silvio Di Roseo, Mingiacchi Servizi Immobiliari, Sperandeo sas, Ristorante Romolo al Porto, Ristorante la Lampara, Eurocar 2002, Macelleria Castaldi, Pizzeria Palm Beach, Gioielleria Romano, Arredamenti Pollastrini. Daniele Antonini, Ivano Bernardone, Cesare Del Gatto, Giovanni Del Giaccio, Giovanni De Micheli, Andrea Farre, Aurelio e Maria Teresa Lo Fazio, Mario Marcellini, Luciano Mingiacchi, Willy Montagnoli, Giuseppe Nicolò, Angela Pintauro, Giancarlo Scatassa, Alessandro Toppetta, Viaggi Senza Pensieri TravelSlot.

con la partecipazione di

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Il Litorale Anzio - Nettuno

Tutti i colori dell’essere donna


buon appetito

bon appétit

“Buon appetito” è il titolo di questa quinta edizione di Shingle22j, Biennale d’Arte Contemporanea di Anzio e Nettuno. Il tema dell’evento è stato scelto con l’intento di dare corpo, attraverso le opere degli artisti partecipanti, all’immenso immaginario di emozioni e sensazioni che il cibo riflette nelle donne e negli uomini del ventunesimo secolo. Cucine tradizionali, contaminazioni etniche, sperimentazioni gastronomiche, produzioni biologiche, industriali e geneticamente modificate, cucina molecolare, nuove forme d’impiattamento, cultura del cibo, nutrimento e benessere, accendono un immenso arcobaleno di sapori, sensazioni ed emozioni, che la Biennale vuole fare emergere in questa nuova edizione. Uno speciale ringraziamento ai comuni di Anzio e Nettuno che da ben cinque edizioni ospitano questo bel momento di festa per la creatività, a significare che anche la provincia è luogo centrale per la crescita e lo sviluppo della cultura contemporanea nazionale. di Andrea Mingiacchi Ideatore di Shingle22j, Biennale d’Arte Contemporanea di Anzio e Nettuno

“Bon Appétit!” is the title of this year’s 5th edition of Shingle22j, the Biennial of Contemporary Art of Anzio and Nettuno. With this theme we wanted to give shape, through the artwork of the artists who participate in the competition, to the multitude of emotions and sensations that food evokes in the men and women of the 21st century. Traditional cuisine, ethnic influences, gastronomic experiments, organic, industrial and GMO foods, molecular gastronomy, new forms of food arrangement, food culture, nutrition and wellbeing: they all give life to a kaleidoscopic array of flavors, sensations and emotions that the Biennial intends to convey with this year’s edition. A special thanks goes to the towns of Anzio and Nettuno, that have hosted the last five editions of the Biennial, giving space to creativity and conveying the message that small towns can also be a key cultural hub for the development and growth of contemporary art. by Andrea Mingiacchi Creator of Shingle22j, Biennial of Contemporary Art of Anzio and Nettuno

Shingle22j rappresenta ormai un contenitore socio-culturale consolidato che ad ogni edizione affronta una scommessa artistica importante. Quest’anno abbiamo pensato di affrontare la tematica del cibo, un argomento apparentemente “leggero”, ma in realtà importante e attuale nel discorso mondiale, creando e toccando tanti spunti di riflessione con artifici estetici. Gli artisti che collaborano con noi in questa grande impresa Shingle22j, e quelli selezionati per la Sezione Concorso, hanno realizzato opere interessanti, alcune particolari e originali nel loro genere, sia in termini di qualità che di messaggi espressi. L’impatto economico, i disturbi del comportamento alimentare, le tradizioni, l’etica e la cultura del cibo naturale, sono solo alcune prospettive scelte dagli artisti di questa V edizione. L’Associazione Culturale 00042 è felice di donare ad Anzio e Nettuno, cittadine dal potenziale turistico e culturale altissimo, una manifestazione che ad ogni edizione fa accrescere la sua presenza sul territorio nazionale e la sua visibilità internazionale. È doveroso ringraziare tutti coloro che hanno contributo con le proprie risorse alla riuscita del prodotto finale: “Buon Appetito!” come invito al benessere, al rispetto della natura, dell’altro e di se stessi. di Stefano Chiappini Presidente della Associazione Culturale 00042

Shingle22j has become a well-established social-cultural hub that every two years takes on an important artistic challenge. This year we decided to address the theme of food – an apparently “light” topic that is actually a key issue all over the world – to create and provide, through aesthetic artifices, some interesting food for thought. The artists who have worked with us in this great endeavor called Shingle22j and those who have been selected for the Competition Section, have presented intriguing works, some of which are truly one-of-a-kind, unique both in terms of quality and of the message conveyed. The economic impact, eating disorders, traditions, food ethics and culture are just a few of the topics that the artists have chosen for this fifth edition of the Biennial. The 00042 Cultural Association is pleased to donate, to the towns of Anzio and Nettuno, which have great potential for tourism and culture, an event that at every edition strengthens its national presence and international visibility. We’d like to thank all those who have supported us in this endeavor: “Bon Appétit!” is an invitation to well-being, to respect nature, others and ourselves. by Stefano Chiappini President of the Cultural Association 00042


OPERE IN CONCORSO ARTWORKS IN COMPETITION


OPERE IN CONCORSO Sezione a cura di

Elisabetta Civitan

Non c’è dubbio che fra arte e alimentazione esista da sempre un secolare e forte legame, tanto che, fin dall’antichità, il cibo ha avuto un senso e un significato profondo nella rappresentazione artistica. Dalle prime riproduzioni di età antica e medievale, passando dalle tavole imbandite dei maestri dei Paesi Bassi ed emiliano-romagnoli, ad opere di autori moderni come Van Gogh, Gauguin o Cezanne, De Chirico e la metafisica, Andy Warhol e la Pop Art, concludendo con gli artisti di oggi, contemporanei, come Carl Warner, ideatore di veri e propri Foodscapes, si può dare atto quanto nella storia dell’arte, sia classica che contemporanea, il cibo abbia sempre avuto un posto e un ruolo ben precisi, sullo sfondo oppure in primissimo piano, accessorio o al contrario protagonista. E, mentre nell’arte medievale e moderna le vivande apparivano per ciò che erano, o esseri significanti di simbologie nascoste e misteriose, nell’arte contemporanea il cibo assume un ruolo diverso. Ne sono un esempio artisti come Salvador Dalì, che realizza un copricapo a baguette e capelli di pannocchie per rappresentare un Busto di Donna, o René Magritte, che sconvolge tutte le nostre certezze dicendoci che non sempre una mela disegnata è semplicemente una mela! Ma, tra tutti i movimenti artistici, la Pop Art è di certo quella che ha dedicato un posto di riguardo al cibo. Da Warhol a Wesselmann, da Lichtenstein a Oldenburg, non esiste artista pop che non abbia realizzato almeno un’opera il cui protagonista sia un alimento! Per questa V edizione di Shingle22j, la scelta di una tematica attuale e importante nel percorso culturale di ogni artista è motivata dall’importanza che nel presente momento storico, l’alimentazione ha all’interno della dialettica mondiale. Le risposte che gli artisti selezionati hanno dato sull’argomento cibo sono state variegate ed interessanti, a volte ironiche, altre toccanti nel loro genere. C’è chi rappresenta gli alimenti considerandoli nutrimento e sostentamento per gli esseri umani, chi vede il cibo in chiave consumistica, riproducendolo in vasetti digitali o realizzando piccoli pesci in barattolini di vetro per un buon sushi, da vendere poi nei supermercati; chi lo lega a ricordi di tradizioni ormai lontane, a odori e sapori della “buona cucina della nonna” e chi invece ha vissuto il nutrirsi come un nemico da sconfiggere. C’è chi pensa che siamo tutti schiavi di un cibo che invade sempre di più le nostre tavole e le nostre culture senza più nessuna distinzione, e chi lo associa alla simbologia del “mangia-mangia” politico e sociale. Diverse le immagini con riferimenti alla tecnologia che invade il nostro mondo, non più piatti di “bucatini all’amatriciana”, ma portate di “spaghetti tecnologici”, telefonini, navigatori satellitari, webcam. Forchette e posate, rappresentate con simbologie differenti, contestualizzando sia la cucina che l’arte come condizioni poco “garanti” della tradizione, oppure a ricordare quanto il cibo lasci un’impronta nell’organismo che se ne nutre e sul pianeta che lo genera; o ancora come materiali pericolosi, utensili affilati o bucati, incapaci dl nutrire. Varie le sculture: una in movimento, rappresentante un condannato a morte che sceglie di cenare e soddisfare così le sue ultime necessità; l’altra una “natura morta”, che immortala le pietanze viste come “esperienza e conoscenza” di vita da assaporare in innumerevoli momenti, frammentati e sezionati dal tempo. Non potevano mancare le immagini forti, di grande impatto emotivo, come il “divorare” pasti indigesti o abbuffarsi di cibo, ma anche rappresentazioni provocatorie, basate sul cibo che diventa spazzatura davanti ad una Venere ormai “obesa” per la troppa abbondanza e per gli eccessi contemporanei, o mele che, a causa delle esasperate modifiche genetiche, da appetibili frutti mutano in mostriciattoli melmosi. Gli artisti della V edizione di Shingle22j hanno mostrato anche quest’anno le loro idee e le loro risposte su un tema estremamente complesso. Se “siamo quello che mangiamo”, come asseriva nell’ottocento il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, noi tutti possiamo migliorare migliorando la nostra alimentazione, attuando quotidianamente un comportamento che ci faccia riscoprire la cultura del cibo e il piacere di mangiare in modo sano e sostenibile, a vantaggio di noi stessi e del nostro pianeta.


ARTWORKS IN COMPETITION Section curated by

Elisabetta Civitan

There is no doubt that there has always been a strong, century-old bond between art and nutrition: in fact, since ancient times food has had a deep meaning in artistic representations. From the early ancient and medieval reproductions to the tables lavishly laden with food and drink of the great Dutch masters and of painters from Emilia-Romagna, to the works of modern artists, such as Van Gogh, Gauguin or Cezanne, De Chirico and metaphysical painting, Andy Warhol and the Pop Art movement, up to today’s contemporary artists, like Carl Warner, who creates real Foodscapes, food has always played a key role in classic and contemporary art history, whether in the background or at the forefront, as an accessory or the prominent subject. And, while in medieval and modern art food was depicted as what it was or as something having a deeper, mysterious meaning, in contemporary art it plays a different role. Artists like Salvador Dalì, who created Bust of a Woman, a baguette crowning her head and cobs of corn dangling around her neck, or René Magritte, who shakes up all our certainties by telling us that an apple is not necessarily just an apple, are an example of this. But, of all art movements, Pop Art is certainly the one that gives a place of honor to food. From Warhol to Wesselmann, from Lichtenstein to Oldenburg, there is no pop artist who hasn’t dedicated at least one artwork to the subject of food! The reason behind the choice of this topical theme for the fifth edition of Shingle22j is the importance of nutrition in today’s society. The selected artists’ responses to the theme of food have been very different and interesting, at times ironic or touching. Some of them consider food as nutrition and nourishment for human beings, others see it from a consumerist standpoint, by reproducing food in digital pots or tiny fish in little glass jars, delicious sushi to be sold in supermarkets; others associate food to the memory of long-gone tradition, or to the aroma and flavor of traditional dishes grandmothers cook, while other artists see food as the enemy. Others believe we are all slaves of food, which invades our homes and cultures without distinction, while some see it as a symbol of today’s social and political corruption. Several images make reference to technology invading the world, with delicious recipes of “technological spaghetti” composed of mobiles, GPS and webcams, rather than the traditional “spaghetti all’amatriciana”. Forks and cutlery symbolizing different concepts contextualize cuisine and art as something no longer representing tradition, or as a reminder that food leaves its mark on the organism that eats it or on the planet that generates it; or, once again, they are seen as dangerous materials, as razor-sharp or pierced utensils that are unable to provide the necessary nutrients. There are also a variety of sculptures: a moving sculpture representing a condemned man who decides to have his last meal and satisfy his last needs; a “still life” sculpture portraying food as life “experiences and knowledge” to be tasted in a multitude of situations, fragmented and dissected by time. Of course there are also strong images of great emotional impact, such as representations of “wolfing down” stodgy food or pigging out, but also provocative representations where food becomes junk in front of an obese Venus, the result of today’s excessive abundance, or apples that exasperated genetic modification has transformed from delicious fruit into little muddy monsters. The artists participating in the fifth edition of Shingle22j have conveyed, also this year, their ideas and responses to an extremely complex theme. If “we are what we eat”, as German philosopher Ludwig Feuerbach stated in the 1800s, we can all become a better person by improving our diet and adopting better food habits every day, to rediscover a healthy food culture and the pleasure of eating in a healthy, sustainable way, for the benefit of both ourselves and our planet.


Lino Bassanese (Vicenza) I like it 2015 30 x 30 x 30 cm Assemblaggio, modellazione della terracotta. Terracotta, gesso, piatto in porcellana, forchetta di metallo, cavi e materiale elettronico, colla.


Benal D覺kmen (Istanbul) The Fact of Eat as an Index of Political Power 2015 35 x 50 cm Stampa a mano, collage tagliato su carta nera e photo blog


Sara Bracco (Torino) Prendete e mangiatene tutti 2014 100 x 80 cm Fotografia digitale in B/N


Luciano Caggianello (Torino) Cucina Concettuale-Cuisine Conceptuelle 2014 50 x 50 cm Tecnica digitale


Clelia Caliari (Trento) Pirone 2015 60 x 100 cm Cianotipia su stoffa e “involucri� di garza di cotone


Giorgio Cavalieri (Roma) The last meal 2014 80 x 80 cm Olio su tela


Gianni Colangelo Mad (L’Aquila) L’ultima cena 2014 147 x 123 x 81 cm Assemblaggio metallo riciclato Metallo riciclato, componenti elettro-meccaniche e vetrificante per ruggine


Josef Fischer (Monaco) Arroz com feij達o 2000 2 da 27,5 x 27,5 cm + 1 da 39 x 32,5 cm Stampe su superficie lucida


Nicola Fornoni (Brescia) Orexis 2014 2’ 15’’ Video-Arte


Paolo Garau (Anzio) P(Assaggi) 2015 35 x 25 x 20 cm Calco in silicone, resine acriliche, ferro, PVC e tempere acriliche


Salvatore Ingala (Roma) Mela_Granata 2015 ø 42 x h. 45 cm Scultura in terracotta smaltata-cerata, illuminata internamente da una barra led


Giovanna Lacedra (Milano) Io sottraggo. La triangolazione Cibo-Corpo-Peso 2011-13 6 mq minimi Performance


Massimo Liotti (Viterbo) Lumen de Lumine 2015 25 x 25 x 25 cm Tecnica mista Plexiglas, PVC semiespanso, led, vinile traslucent


Viktoryia MacrĂŹ (Salerno) Ketch 2014 70 x 70 cm Biro nera su carta liscia


Annalisa Malaguti (ForlĂŹ) Sushi Fast 2015 10 barattoli di vetro ø 7,5 x h 9 cm Pasta di sale modellata a forma di pesce e dipinta con colori a olio; cera gel trasparente, barattoli di vetro per sott’oli, etichette adesive.


Massimo Mion (Venezia) Pizza 2014 70 x 100 cm Acrilico su tela


Particolare

Particolare

Particolare

MOGG (Cuneo) De Cibo 2015 24 x 35 cm Acquerello e china su carta Fabriano F4


Rocco Mortelliti (Reggio Calabria) Settantadueanni 2015 8’28’’ Video FullHd


Anna Maria Noto (Trapani) L’Abbuffata 2014 30 x 40 cm HDR


Pablo Peron (Lecce) La spaghettata 2015 40 x 60 cm Tecnica digitale. Stampa fine art applicata su dibond 2mm


Federico Pisciotta (Rieti) Il carciofo alla “giuria” 2015 116 x 81 cm Tecnica mista e olio su tela


Giulia Ripandelli (Roma) La Venere degli Sprechi 2015 48 x 63 cm Matita grassa su cartoncino


Vincenzo Russo (Napoli) Dell’alimentazione: tra officina e tempio (tributo a Peter Paul Rubens) 2015 100 x 100 cm Fotografia e fotoritocco digitale


Francesca Salice (Como) La Cantina 2013 70 x 100 cm CANON 5d Mark III – 3.200 ISO - f2.8 – 1/80 sec. a 16mm


Vincenzo Schirripa (Roma) Natura…alternata 1990 50 x 80 cm Olio su tela


Marco Sgammotta (Roma) Una Mela?! 2015 Base circolare di ø 38 x h 18 cm Tecnica mista (custom di una mela da “scenografia”) Colla, plastica, legno, polistirolo, acrilici, spray


Paolo Tonon (Treviso) 100 vasetti 2014 72 x 52 inches (189.9 x 132.1 cm) Elaborazione generativa di fonte fotografica


Luana Tuis (Treviso) Calice con prugne 2004 30 x 70 cm Olio su tela


Giulia Venanzi (Viterbo) Moon 2012 70 x 100 cm Tecnica fotografica


Stefano Zaratin (Venezia) Dacci oggi il nostro pane quotidiano 2010 75 x 75 x 10 cm Installazione Acciaio inox, paraffina, plexiglass, acetato



OSPITE D’ONORE: LEE MILLER SPECIAL GUEST: LEE MILLER

Sono molto contento che la V edizione della Biennale di Arte Contemporanea di Anzio e Nettuno Shingle22j esponga queste fotografie di mia madre. Per me, ciò che le immagini dicono è: “Voi, uomini, dovete capire che i seni di una donna, oggetto di un forte desiderio maschile, sono solo tessuto umano. E’ la donna dietro di loro che è importante, poiché lei ha un cuore, un’anima ed una mente”.

I am very glad 5th Shingle22j Biennial of Contemporary Art of Anzio and Nettuno is showing these photographs by my mother. For me the images are saying “You, men, need to understand that a woman’s breasts, the compelling object of male desire, are only tissue. It is the woman behind them who is important, as she has a heart, a soul and a mind.”

Antony Penrose Antony Penrose Direttore, Director, Archivi Lee Miller e Collezione Penrose The Lee Miller Archives and The Penrose Collection


LEE MILLER SBARCA AD ANZIO Sezione a cura di

Elisabetta Civitan e Benedetta Ferri

Per la V edizione della Biennale di Arte Contemporanea di Anzio e Nettuno Shingle22j, quest’anno dedicata alla tematica del Cibo, approdano per la prima volta in Italia due immagini esclusive di Lee Miller che saranno in seguito esposte all’interno della mostra “Surrealist Lee Miller” in Messico e in Austria. Le due immagini sono un grande esempio di arte surrealista e dimostrano la capacità dell’artista di rompere ogni barriera, sfidando le convenzioni e i tabù più radicati, caratteristiche insite nel lavoro e nella vita di Lee Miller.

All photographs by Arnold Genthe. Lee Miller 1920

Chi era Lee Miller

Bellezza dal fascino misterioso, modella di moda, musa surrealista, assistente e modella di Man Ray, fotografa per Vogue, reporter di guerra, bohémien e spirito libero, Lady Roland Penrose: così viene identificata, riconosciuta e apprezzata Lee Miller. La sua intricata e incredibilmente interessante vita, piena di arte e personalità importanti, amanti famosi e fortuiti incontri con la storia della sua epoca, offre un’occasione per riflettere sull’importanza della donna nell’universo artistico contemporaneo. Prima di passare dall’altra parte dell’obiettivo e diventare una celebre fotografa a Parigi nei primi anni ‘30, la Miller aveva già vissuto un’altra vita, come protagonista della copertina di Vogue e modella fotografata dai migliori maestri dell’epoca, quali Edward Steichen, Arnold Genthe, George Hoyningen-Huene e Horst P. Horst. Nella capitale francese, conoscerà il grande fotografo americano Man Ray; sarà la sua modella, amante e assistente, e, proprio grazie a lui si avvicinerà al mondo surrealista, abbracciando i valori e il pensiero del movimento in un modo tutto suo – e sviluppandoli con una grande sensibilità – valori che hanno lasciato un’impronta stilistica indelebile nella sua carriera da fotografa. Le fotografie degli anni parigini di Lee Miller rappresentano le sue opere più esplicitamente surrealiste, basate sulla sua capacità di trovare lo straordinario e il bizzarro nell’ordinario, trasformando soggetti semplici, apparentemente privi di contenuto, e oggetti appartenenti alla quotidianità in qualcosa di nuovo, avente un significato diverso. Le sue immagini contengono ironia e uno spiccato senso dell’umorismo, conditi con il desiderio tipico del surrealismo francese di sorprendere, innovare e turbare. Il risultato è spesso divertente, a volte scioccante, ma l’umorismo è il filo conduttore di tutto il suo lavoro. Oltre ad essere una grande fotografa, fu anche una straordinaria fotoreporter di guerra. Accreditata nel 1942 come corrispondente per Vogue, il suo obiettivo catturerà la Londra lacerata dalle bombe tedesche durante gli anni del Blitz, gli ospedali statunitensi in prossimità del fronte in Normandia, la Parigi liberata e una parte dell’Europa, spingendosi fino alla Germania nazista, dove immortalerà gli orrori e la crudeltà dei campi di prigionia. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1977, suo figlio Antony Penrose e la moglie Suzanna trovarono oltre 60.000 foto e negativi, in scatole e bauli accatastati nell’attico della loro casa di campagna a Farley Farm, in Inghilterra. E’ grazie a loro che adesso si possono ammirare le sue straordinarie immagini.


LEE MILLER LANDS AT ANZIO Section curated by

Elisabetta Civitan and Benedetta Ferri

Two exclusive images by Lee Miller are exhibited, for the first time ever, in Anzio at the fifth edition of Shingle22j, the Biennial of Contemporary Art of Anzio and Nettuno, that this year is dedicated to the theme of food. These two works will then be part of the “Surrealist Lee Miller” exhibition that will be held in Mexico and will also be on display in Austria during the summer months. The photographs, which are a great example of surrealist art, reveal how the artist is able to break all barriers, challenging conventions and shattering society’s taboos, something that Lee Miller has always done both in her work and personal life.

All photographs by Arnold Genthe. Lee Miller 1920

About Lee Miller

Astounding beauty, fashion model, Surrealist muse, assistant and model of Man Ray, Vogue photographer, war photographer, bohemian, free spirit, Lady Roland Penrose: this is how Lee Miller is identified, recognized and appreciated worldwide. Her tangled, unbelievably interesting life, full of art and celebrities, famous lovers and fortuitous encounters with the history of her time, provides an occasion to reflect on the importance of women in the contemporary art scenario. But before her life behind the camera as a celebrated photographer in Paris in the early 1930s, Lee Miller had lived another intriguing life as a top model and a Vogue cover girl who was shot by the greatest photographers of her time – Edward Steichen, Arnold Genthe, George Hoyningen-Huene and Horst P. Horst. In the Ville Lumière, she will meet famous American photographer Man Ray and will become his model, lover and assistant; through him, she will be introduced to the surrealist world, embracing the movement’s principles in her own way – and developing them with great sensitivity. These principles left their mark on Lee’s style and career as a photographer: she will always see the world with her surrealist eye. Lee Miller’s photographs from her Paris years are her most explicitly surrealist works, which are based on her natural ability to find the extraordinary and the bizarre in the ordinary, transforming simple subjects and everyday objects, apparently void of content, into something new, having new meanings. Her images always contain irony and a remarkable sense of humor, as well as surrealism’s typical element of surprise and innovation, and a desire to upset the viewer. The result is often amusing, sometimes shocking, but humor is a common thread running throughout her work. Apart from being a great photographer, she was also a remarkable war correspondent for Vogue. Accredited in 1942, she captured bombtorn London during the Blitz, the US hospitals near the battle front in Normandy, the liberation of Paris and a great part of Europe, going as far as Nazi Germany, where she shot the horrors and cruelty of the concentration camps. After her death in 1977, her son Antony Penrose and his wife Suzanna found over 60,000 prints and negatives in piles of boxes stacked in the attic of Farley Farm, Antony’s childhood home in Sussex. It’s only thanks to them that we can now admire Lee Miller’s extraordinary work.


Opere esposte Tra i lavori surrealisti parigini di Lee Miller, spiccano due opere di forte impatto emotivo, realizzate intorno al 1929: due immagini di un seno reciso e posizionato su un piatto. Lee trafugò da un ospedale un seno reciso durante una mastectomia, lo mise su un piatto e lo nascose sotto un tovagliolo; lo portò poi negli uffici di Vogue, dove posizionò il piatto su una tovaglietta apparecchiata, insieme ad una forchetta, un coltello e un cucchiaio da dessert. Riuscì a fare solo due fotografie prima di essere sbattuta fuori dall’ufficio da Hoyningen-Huene, capo fotografo dell’ufficio francese di Vogue. Le due immagini appaiono leggermente diverse: in entrambe il seno è posizionato su un piatto accompagnato dalle posate, il tutto accuratamente sistemato su una tovaglietta monoposto, su un tavolo altrimenti spoglio; ma nella seconda fotografia il piatto risulta più illuminato e ruotato verso lo spettatore, mettendo così in evidenza il seno nella sua interezza. Un pasto raccapricciante che aspetta un commensale perverso e solitario. Le due immagini, concepite da Lee per essere messe una di fianco all’altra, sono un’evidente riferimento all’anatomia e all’universo femminile e una critica al fatto che le donne fossero ancora viste dagli uomini solo per i loro attributi sessuali ed estetici. La rabbia di Lee verso la visione maschile della donna è sottolineata dal collegamento tra il seno e il piatto, chiaro riferimento al dovere della brava moglie di preparare da mangiare. La presentazione del seno su un piatto è sconcertante e getta nel caos ogni convenzione: anche questa volta, Lee prende un classico stereotipo e lo capovolge, dimostrando la sua audacia e il suo desiderio di turbare e scioccare lo spettatore. I due lavori parlano di oggettivazione sessuale, della disumanizzazione della donna, pensata e trattata come oggetto, strumento o merce, rappresentando una critica feroce alla visione surrealista dell’universo femminile, basata sull’intrappolamento e sulla sottomissione della donna. L’oggettivazione dell’individuo comporta una sorta di frammentazione strumentale e uno smembramento della persona in più parti, viste separatamente e trattate come oggetti. I surrealisti erano un gruppo bohemien che viveva secondo i dettami dell’amore libero – ma, nonostante si professassero come un movimento moderno, in realtà il concetto dell’amore libero non si applicava alle donne. Lee odiava questa distinzione e quindi viveva anche lei come un uomo, incarnando perfettamente l’artista surrealista, donna o uomo che fosse, avendo le sue storie e essendo padrona del suo corpo, secondo una concezione di donna forte, emancipata e moderna. Come altri surrealisti, anche Man Ray celebrava spesso il corpo femminile nei suoi lavori, trattando il torso o il seno della donna come una scultura in sé. Un esempio di questo modo di pensare e di procedere, è lo smembramento che riservava alla Miller, prima fotografandola nella sua interezza, e poi smontandola in tante singole parti: le tagliava via un occhio, le labbra, il torso, la testa, effettuando così una sorta di processo riduttivo volto alla sua sottomissione per affermare il proprio dominio supremo su di lei. Le opere esposte rappresentano un dialogo di dissenso con la visione dell’epoca riservata alla donna e con la rappresentazione del corpo femminile da parte del suo mentore surrealista. La Miller incarna la donna di oggi, libera e indipendente e, in quanto tale, la rappresenta in tutte le sue opere come eroica, forte, e sicura di sé, lanciando, con queste immagini, una provocazione al mondo e trasmettendo un messaggio forte e chiaro, che la donna non è solo ciò che appare.


Lee Miller Severed breast from radical surgery in a place setting Paris, France c1930 Negative Number: (1 di 2) Notes: Vintage print, not cut straight All photographs by Lee Miller Š Lee Miller Archives, England 2015. All rights reserved. www.leemiller.co.uk


Works exibited Among Lee Miller’s surrealist images from her Paris period, two works of great emotional impact dated around 1929, stand out: two photographs of a severed breast on a plate with cutlery and a place mat. As the story goes, she managed to smuggle a severed breast, surgically removed during a mastectomy, out of a hospital by putting it on a dinner plate and covering it with a cloth. She then took it to Vogue’s office in Paris and laid it out on a white dinner plate with a knife and fork to either side and a dessert spoon above it. She managed to take two pictures before being thrown out of the building by Hoyningen-Huene, chief of photography of French Vogue. The two images are slightly different in composition: in both of them the breast is placed on a dinner plate with cutlery, everything perfectly arranged on a place mat, on an otherwise empty table; in the second picture, however, the plate is considerably better lit than in the first image and is rotated toward the viewer, showing the breast in its entirety. A horrifying meal awaiting a perverse, solitary patron. She evidently designed the two views to be shown side by side, thus mimicking the anatomy of a woman’s chest and referring to the idea that women were perceived only as sexual attributes. The connection between the breast and the plate clearly refers to the wifely duty of food preparation, reflecting Lee’s outrage for the way men viewed women. The arrangement of a breast on a plate is disconcerting and shatters all conventions: once again, Lee takes a typical stereotype and turns it upside down, demonstrating her audacity and her desire to upset and shock the viewer. These two works tackle the issue of sexual objectification, of the dehumanization of women, who are seen and treated as an object or a commodity; the author fiercely criticizes the male gaze, as well as the surrealist view of the female world, which was often based on the entrapment and submission of women. The objectification of women entails a sort of fragmentation and dismemberment of the person, who loses her individual identity and is treated as separate body parts. The surrealists were a bohemian group who advocated free love but, although they considered themselves a modern movement, in reality the tenet of free love only applied to men. Lee hated double standards and went off and had affairs, living like a “man”, and perfectly embodying the surrealist artist, regardless of gender. She was a strong, modern, emancipated woman who already lived by the rule that “my body belongs to me”. Like other surrealist artists, Man Ray often celebrated the female body in his works, treating the woman’s torso or breasts as a sculpture per se. He sliced Lee up and objectified her: he photographed her and then cropped the picture, snipping out her eye, her lips or her torso. It was a sort of reductive process and a way in which he was trying to control and subjugate her. But Lee Miller was not going to let that happen. She was an independent woman and a free spirit and, as such, in her works she represented women as heroic and strong. With these two photographs, Lee criticized the way men viewed women, challenging Man Ray’s treatment of the female body and launching a provocation to the world. Her message is clear: there’s more to a woman than meets the eye.


Lee Miller Severed breast from radical surgery in a place setting Paris, France c1930 Negative Number: (2 di 2) Notes: Vintage print, not cut straight All photographs by Lee Miller Š Lee Miller Archives, England 2015. All rights reserved. www.leemiller.co.uk



MAD, L’ARTE È IN TAVOLA MAD, ART IS ON THE TABLE


L’ A-chrome di Branzino di Piero Manzoni è servito Sezione a cura di

Fabio D’Achille Cossu

Testo di Marcella

“Amo il cibo e amo l’arte. Come non unire le due cose se non nella ricerca di artisti, fotografi che hanno deciso di servirsi di alimenti per le proprie opere? Così ho deciso di condividere questo mondo fantastico, creativo e unire le due cose“. Così si esprime in una recente intervista Gualtiero Marchesi, noto gastronomo cultore dell’arte e della musica, autore di una sfilza di ricette calembour come appunto l’A-chrome di Branzino di Piero Manzoni, o il Dripping di Pesce di Jackson Pollock, sfoderando uno humour glaciale che sarebbe calzato a Marcel Duchamp. Di questi tempi peraltro il binomio arte-tavola, in Italia, ricopre un ruolo di primaria importanza, anticipando nel tema l’inaugurazione ormai prossima dell’Expo milanese. Ma, ancora, il revanchismo italico, correlato con la nostra capacità di risorgere più o meno per tempo dalle nostre ceneri come l’araba fenice, non ha mai smesso di puntare su tali due gloriose e incontestabili eccellenze della penisola, nemmeno nei momenti più bui dell’annosa crisi nazionale ed europea. Tutti ammirano e invidiano l’arte e la tradizione della cucina italiane! Il cibo nell’arte, italiana e non: dai cicli romanici dei portali di battisteri e chiese padane, con raffigurazioni di mietitori e vendemmiatori all’opera, alle miniature tardogotiche dei taccuina sanitatis, araldici prontuari di ricette a base di erbe e piante medicinali, ai puzzle manieristici di uomini-vegetali dell’Arcimboldo, alle sontuose gastronomie delle tavole imbandite nelle nature morte del seicento, ai quarti di macelleria dei Carracci, alla contrastante essenzialità della “fiasella”, il cestino impagliato sulla spoglia mensa dell’“Emmaus” di Caravaggio, ripreso da Manzù in bronzi e maioliche, alla scomposizione spaziovolumetrica del tavolo con stoviglie di Boccioni, alle impolverate composizioni di bottiglie e “alzate” di Morandi, alle “ammucchiate” posatesche di Arman, e poi ancora le stoviglie sfatte di Spoerri, le scatole Pop delle zuppe Campbell di Warhol, gli hamburger giganti e flaccidi di Oldenburg... la lista è ancora lunga e incompleta. Davanti agli occhi permane tuttavia il fotogramma di esili, evanescenti calici di cristallo in contrasto con la sanguigna, squillante rubedo dei vini: la sensualità della rappresentazione del vino su una mensa è forse infatti l’unico denominatore comune alle nature morte di tradizione italiana e fiamminga, generi entrambi di cui indistintamente abbondano le nostre collezioni museali di arte antica. L’arte nel cibo: tra i migliori cuochi, spesso vi sono proprio gli artisti, perché, paradossalmente, insofferenti ed incapaci di assoggettarsi a regole e canoni di barbosissimi manuali gastronomici, sono tuttavia pilotati dal loro stesso estro creativo nello sperimentare inediti accostamenti sensoriali, in una sinestesia tra gusto, olfatto e vista, tale da produrre risultati quantomeno non inferiori al sopra citato A-chrome di Branzino di Piero Manzoni. Ricordo al proposito almeno un paio di “storiche ed irripetibili” ricette del pittore romano Lorenzo Indrimi, risalenti ai primi anni novanta: risotto al fernet e frittata di uva bianca con spolveratura di caffè, davvero straordinarie. Irripetibili in quanto, proprio perché dettate dall’estro dell’attimo fuggente, non risultavano mai uguali tra loro. La metafora dell’arte come cibo dell’anima: se Winkelmann sostiene che l’arte è un processo di sublimazione dell’individuo verso ciò che è superiore ed immanente, e arte e cultura si equivalgono e si interfacciano, allora, dobbiamo qui oggi concludere con Massimo Palumbo che “con la cultura si mangia… mangiamo cultura”, titolo di una sua forte installazione per il Museo d’Arte Diffusa di qualche anno fa, preconizzante, nei vassoi ferrosi posati su traversine di binario e ricolmi di rosette calcinate debordanti di fette, anzi, pagine stampate della Divina Commedia, la valanga di spunti, deduzioni, diatribe, dèjavu, avvicendatisi sull’affascinante binomio arte-cibo dai primordi al panorama dell’arte contemporanea.


Piero Manzoni’s Seabass Achrome is served Section curated by

Fabio D’Achille Cossu

Text by Marcella

“I love food and I love art. How else can these two things come together if not in the pursuit of artists and photographers who use food for their works? That’s why I decided to share this fantastic creative world and put these two things together”, said in a recent interview celebrated Italian chef and art and music lover Gualtiero Marchesi, who created a multitude of calembour recipes, such as Piero Manzoni’s Seabass Achrome or Jackson Pollock’s Fish Dripping, showing off an irreverent sense of humor that can only be compared to Marcel Duchamp’s. These days, the duet of art and food plays a primary role in Italy, in fact it will also be the theme of the 2015 Expo that will soon be held in Milan. But, still, Italian Revanchism, together with our ability to more or less rise like a phoenix from the ashes, never stopped focusing on these two glorious and undeniable symbols of the Italian peninsula’s excellence, not even during the darkest chapters in the ongoing national and European financial crisis. Everybody admires and envies Italy’s art heritage and cooking traditions! Food in (Italian or non-Italian) art: from the Romanesque cycles of portals of baptisteries and churches in the Po Valley area, which are decorated with representations of harvesters and grape-pickers at work, to the Late Gothic miniatures of the Tacuinum Sanitatis, ancient health and well-being handbooks containing recipes with herbs and medicinal plants, to Arcimboldo’s manneristic Vegetable-Man puzzlelike portraits, to the lavish banquet tables of 17th century still life painting, to Carracci’s butchered meat to the contrasting essentiality of the “fiasella”, the basket of fruit on the edge of the bare table in Caravaggio’s “Supper at Emmaus”, which was reinterpreted with bronze and majolica by Manzù, to Boccioni’s volumetric spatial decomposition of an elaborately set table, to Morandi’s dusty compositions of bottles and vases, to Arman’s “accumulation” of cutlery, to Spoerri’s remains of meals eaten, to Warhol’s Campbell’s Soup Cans up to Oldenburg’s soft oversized hamburgers… these are just a few examples in a very long list. However, an image that stays in everybody’s mind is the contrast between a sleek, sheer crystal glass and the wine’s bloody ruby red color: the sensuality conveyed by the representations of wine on a table is perhaps the only common denominator of Italian and Flemish still life painting, two genres that enrich our ancient art museum collections. Art in food: artists and great chefs are often one and the same as, paradoxically, due to their impetuous nature and inability to abide by the rules and principles set by boring cookbooks, their creativity pushes them to experiment with unexpected sensorial combinations, giving life to a synesthesia, a union of the senses – taste, smell and sight – that produces results that are certainly no worse than the abovementioned Piero Manzioni’s Seabass Achrome. On the matter, I can think of at least two “historic and unique” recipes by Roman painter Lorenzo Indrimi dating back to the early 90s: Fernet risotto and a white grape omelet sprinkled with coffee… truly extraordinary. These recipes were unique in the sense that, since they stemmed from a “eureka moment”, they were never the same twice. The “art is food for the soul” metaphor: if Winckelmann states that art is an individual’s sublimation process toward an immanent superior form, and art is equated and interfaces with culture, then today we have to agree with Massimo Palumbo that “with culture we eat… let’s eat culture”, which is the title of an installation that he created for MAD (Museo d’Arte Diffusa) a few years back and that was a forerunner of this theme, with its iron trays placed on railway ties and overflowing with calcined bread rolls stuffed with pieces of paper rather than slices of ham, with printed pages from the Divine Comedy, a torrent of inspirations, deductions, disputes, and déjà-vu that, from ancient to contemporary art, have revolved around the intriguing theme of art and food.


Tommaso Andreocci Natura morta su alzata diafana, pesche, ciliege e foglie accese di linfa e un cielo innocuo come sfondo 2014 80 x 100 cm Olio e sabbia su tela


Angela Maria Antuono QUESTIONE DI POMODORI 2013 40 x 60 cm Digital print


Claudio Asquini Dama con galletto 2009 80 x 100 cm Photoprint


Francisco Bosoletti (Argentina) L’ultimo santo 2015 50 x 50 cm Serigrafia


Antonella Catini Il piatto è servito 2014 Diametro 60 cm Olio su tavola


Cecilia de Paolis Imitatio Christi 2015 “HOC EST ENIM CORPUS MEUM, HIC EST ENIM CALIX SANGUINIS MEI” Scultura (bustino in seta, velluto, legno, rame) Foto Ugo Lo Pinto


Massimo Palumbo Mangiamo cultura.... con la cultura si mangia 2010 600 x 60 cm Ferro e pane, pagine della Divina Commedia


Nicoletta Piazza Primizie 2007 45 x 30 x 13 cm Installazione legno, spago e ceramica


Marcello Scopelliti Extra_ordinary life 2015 70 x 70 cm Photoprint


Paola Acciarino SEVEN, I SETTE PECCATI CAPITALI: GOLA 2014 100 x 40 cm Fotografia e digital painting



CORTI D’ANIMAZIONE ANIMATED SHORT FILMS


Corti d’Animazione Sezione a cura di

Giannalberto Bendazzi

Desideroso di “non comandare, ma ancor meno essere comandato”, Osvaldo Cavandoli lasciò lo studio dei fratelli Pagot dove si era fatto cineasta, e nei primi anni Cinquanta si mise in proprio dedicandosi ai pupazzi animati. La piccola guerra (databile al 1957) fu l’ultimo dei suoi cortometraggi pubblicitari, che cessarono quando l’advertising si spostò dalle sale cinematografiche ai salotti televisivi. I film rimasti dimostrano che il nostro grande autore, poi famoso per l’invenzione puramente bidimensionale de La Linea, sarebbe potuto essere un degno concorrente del céco Jiri Trnka, re allora indiscusso dell’animazione volumetrica, se solo le circostanze economiche e industriali dell’Italia lo avessero spalleggiato. La piccola guerra è un gioiellino perché 1) è divertente, 2) richiama efficacemente il prodotto (la pasta Combattenti, allora formidabile concorrente della Barilla), 3) ottiene il massimo risultato con i minimi mezzi (la fumata dei cannoni e delle mitragliatrici che sparano è ottenuta con pochi fotogrammi di... bambagia). Poi Osvaldo non tornò più al cibo. La Linea s’innamora, suona, fa sport, subisce i dispetti della Mano, ma non si dà da fare (per quanto io mi ricordi) con coltello e forchetta. Perché mai? La mia teoria è che il cinema usi i tre sensi con cui non può esprimersi (odorato, tatto e, appunto, gusto) solo in casi estremi, e mai in quanto tali ma solo visualizzzandoli. Ci furono tentativi di “odorama”, chiamati con vari nomi, ma tutti fallimentari. Nessuno, che io sappia, si cimentò mai in modo professionale a fare film tattili o saporiti. Cosicché noi vediamo gente che fiuta, che tocca e che mangia, ma non compartecipiamo della loro esperienza. In altre parole, rinunciamo in partenza a identificarci con i personaggi. In altre parole ancora, mettiamo più che mai in atto quella ‘willing suspension of disbelief’ che annotava Samuel T. Coleridge nella sua Biographia Literaria (1817) e che è alla base del rapporto fra spettatori e spettacolo. Il mangiare, sugli schermi, ha quasi sempre una funzione grottesca: chi non ricorda la straordinaria Grande abbuffata di Marco Ferreri, o il contenitore di Nutella formato barile da cui si affanna a nutrirsi Nanni Moretti? O il bunueliano Fascino discreto della borghesia, nel quale un gruppo di persone si mette di continuo a tavola senza riuscire mai a consumare il pasto? Tale è il distacco dalla comicità pura che nemmeno un maestro dello slapstick come Oliver Hardy (“Ollio”) utilizzò mai la sua enorme pancia come un mezzo di spettacolo, collegandola alla voracità. Nell’animazione, vengono alla mente le pantagrueliche scopracciate di Donald’s Cousin Gus (Walt Disney, Jack King, 1939, primo film d’animazione a essere trasmesso in TV) o di La faim / Hunger di Peter Foldes (1971, uno dei primi cortometraggi di computer animation), in cui un uomo s’ingozza fino a esplodere. Ma veniamo al cartellone della retrospettiva. Zupa, del maestro polacco Zbygniew Rybczynski, è un’opera di grande rilievo, che sarebbe potuto essere firmata da Beckett o da Ionesco. Qui la preparazione e il consumo del cibo sono parti costitutive di una quotidianità delirante, in cui la realtà è più onirica del sogno e ogni porta si apre sempre su un destino inimmaginabile. Zbygniew Rybczynski è un cineasta condannato dal proprio successo, e rinchiuso dai catalogatori in un cassetto con l’etichetta Tango. Quel film, oltre trent’anni fa, vinse il Gran Premio al festival prestigiosissimo di Annecy, e l’Oscar. Era un elegante e allegro esercizio di trucchi cinematografici, a cui seguirono altri lavori non meno bizzarri sul piano del linguaggio, ma intellettualmente più corposi. Tutti assieme, essi costituiscono oggi una filmografia di prima classe; ma ben pochi ne sono consapevoli e insistono sull’equazione Zbygniew Rybczynski = Tango. Peccato per Zupa... e per noi. Hieronim Neumann, amico e collaboratore di Rybczynski, a sua volta è segnato da un marchio a fuoco, quello di essere uno Zbygniew Rybczynski riciclato. Ovviamente non è vero. Certamente anche Neumann ama sconquassare e ricostruire il linguaggio del fotogramma, ma il suo delirio e le sue allucinazioni sono del tutto autonomi e originali: potremmo dire che mentre il tema di Zbygniew Rybczynski è il mondo, quello di Hieronim Neumann è l’uomo.


Nel film Wolfgang Amadeus Mozart – V Sonata C-dur kv-13 egli si arroga il diritto, a fine Novecento, di contaminare un pittore cinquecentesco, Giuseppe Arcimboldo (famoso per i suoi manieristici ritratti composti aggregando frutti, verdure, pesci – ma anche fiori e libri) e un musicista settecentesco, W. A. Mozart. La mistura fra cibi, stili, epoche, movimenti, note, incredibilmente funziona; e produce un film assai appetitoso per l’occhio e per l’orecchio. Il batter d’ali di una farfalla dà l’alito della vita a una banana esibizionista, poi a un cetriolo, una pera, due ciliegie e via enumerando. Alla fine i frutti e i vegetali formano due profili arcimboldeschi, che si baciano. Traduzione: dove c’è vita c’è amore, e questo vale in ogni secolo. Un unico rimpianto: l’animazione sarebbe potuta essere migliore. Questo fallo, per un regista della tempra e del genio di Hieronim Neumann, è quanto meno inaspettato. Restiamo ad Arcimboldo. Alla sua attività è legato il primo segmento di Possibilità di dialogo, il film più noto e premiato fra quelli che Jan Svankmajer ha girato in animazione. Due figure arcimboldesche di fronteggiano, si divorano e si vomitano, si ridivorano e si rivomitano a vicenda più volte, fino a quando si riducono in poltiglia. Effetto? Potente. Idea? Inedita. Significato? Nessuno. O meglio: tutti. Svankmajer osò, nella Cecoslovacchia comunista, vantarsi di fronte ad amici e nemici di aderire al Surrealismo, quindi di seguire i suggerimenti del sogno, dell’improvvisazione, della scrittura non controllata dalla ragione. Cerchiamo pure a lungo, ma non troveremo nulla di più distante di questi precetti rispetto al Realismo Socialista ufficiale, che era pedagogico, unidimensionale, propagandistico e insapore. Così il regista frugò nei suoi ricordi di scuola e trovò quello strambo pittore milanese che quattrocento anni prima aveva fatto scandalo durante la sua permanenza a Praga. Lo combinò con la sua propensione alla sinestesia (le sue sculture da toccare e da odorare erano già state esposte), ed ecco che il film con frutta e verdura fu servito. Si è parlato giusto poche righe fa di vomito. Il tema è tutt’altro che accattivante, e tutto sommato poco ha a che fare con il cibo. Tuttavia qualche autore vi si è cimentato. L’americano Bill Plympton a più riprese e con risultati tutt’altro che soddisfacenti; il nostro Mario Addis con La materia, film ben più nobile. Qui si vede un grasso professore che vomita il suo sapere agli studenti, i quali inorridiscono ma pian piano finiscono per cibarsi della disgustosa materia. Mario Addis fa ciò che al liceo c’insegnavano facesse il romano Gaio Petronio Arbitro, presunto estensore del Satyricon: cammina nel fango senza sporcarsi i calzari. Tale è la finezza del suo disegno, tale la leggerezza con cui tratta il suo tema, che le opere risultano scabrose nell’aspettativa ma deliziose nella fruizione. Questo accade appunto con La materia, che oltretutto non è tanto un film sul cibo quanto, piuttosto, un film sul potere e sulla sottomissione - tanto imposta quanto accettata. Cari buongustai, il vostro palato è evidentemente un pregio troppo individuale per essere ritratto adeguatamente da un meccanismo di massa come il cinema... Ma potrete/potremo consolarci pensando che neanche nelle altre discipline artistiche l’anatra all’arancia, il caviale e il paté de foie gras hanno trovato molto posto. Unica eccezione, il vino. Dunque, libiamo alle fortune di tutti con il vino spumeggiante nel bicchiere scintillante (Pietro Mascagni, Cavalleria rusticana)!


Animated Short Films Section curated by

Giannalberto Bendazzi

Not wanting to “rule or be ruled”, Osvaldo Cavandoli left the studio of the Pagot brothers, where he had learned the art of film-making, and started his own business in the early 1950s, dedicating himself to cartoons. La piccola guerra (The small war, circa 1957) was his last commercial, as, with the advent of TV, when advertising left the theaters and entered Italian homes, he stopped making them. The few remaining films show that Cavandoli – who later enjoyed worldwide recognition for his bi-dimensional character La Linea (Lineman) – could have easily stood up against celebrated Czech illustrator Jiri Trnka, who at the time was the undisputed king of volumetric animation, if only the Italian economic and industrial situation had supported him. La piccola guerra is a gem, because: 1) it’s great fun, 2) it effectively brings the product to mind (i.e. Combattenti pasta, which at the time was Barilla’s greatest competitor), 3) it delivers maximum results with minimum effort (the cannon and rifle smoke from firing is the result of just a few frames of… cotton wool). However, after that, Osvaldo never tackled the topic of food again. La Linea falls in love, plays the piano, practices sports, gets angry when La Mano (the Hand) teases him, but will never (as far as I know) use a fork and a knife again. But why? My theory is that cinema uses the three senses (smell, touch and, in this case, taste) only in extreme circumstances, and never as such but only as visualizations of the same. Some “smell-o-vision” – or other similarly named – attempts have been made, but they were never successful. Nobody, that I know of, has ever given a shot at professionally making tactile or savory movies. Therefore, we watch people as they smell, touch or eat something, but we do not share their sensorial experience. In other words, from the very beginning we give up the idea of identifying with the characters. Or, still in other words, we engage in a phenomenon called the ‘willing suspension of disbelief’, which was coined by Samuel T. Coleridge in his Biographia Literaria (1817) and on which the entire relationship between the audience and the show is based. Eating in movies often verges on the grotesque: how could anyone forget Marco Ferreri’s amazing Blow-Out or the giant Nutella jar in which Nanni Moretti drowns his sorrows? And how about Buñuel’s The Discreet Charm of the Bourgeoisie, in which a group of people repeatedly attempt - despite continual interruptions - to dine together, but never manage to do so? Eating and pure comedy are two worlds apart: not even slapstick master Oliver Hardy has ever dared use his large belly as a way to entertain the audience by depicting it as a symbol of voracity. As regards animation, the first cartoons that come to my mind are Donald’s Cousin Gus, in which Donald Duck’s cousin eats him out of house and home (Walt Disney, Jack King, 1939, the first cartoon ever shown on American television) or Hunger/La faim, by Peter Foldes (1974, one of the first computer animation short films) in which a man indulges in eating until it kills him. But let’s now move on to the retrospective. Zupa (Soup) by Polish film-maker Zbigniew Rybczynski, is such a great short movie that Beckett or Ionesco could easily have been its author. Here, food preparation and eating are integral parts of a bizarre everyday life, where reality is more dream-like than a dream and every door opens onto an unimaginable destiny. Zbigniew Rybczyński has been condemned by his success, having been labeled Tango by the catalogers, who thus locked him in a drawer and threw away the key. Tango, that over thirty years ago earned him the Oscar for Best Animated Short as well as the prestigious grand prize at the Annecy Festival, is an elegant, cheerful ensemble of cinematic tricks. His following works, though, are no less bizarre in terms of language, yet intellectually more substantial. Taken all together, they make a first-class filmography; however, very few people are aware of this and keep insisting on the equation Zbigniew Rybczynski = Tango. Too bad for Soup… and for us. Hieronim Neumann, a friend and a collaborator of Rybczynski’s, was also marked for life as being a “recycled” Zbigniew Rybczynski. Of course it’s not true. It is true, however, that Neumann loves shattering and recreating the language of the frame, but his delusion and hallucinations are 100% authentic and original: we could say that while Zbigniew Rybczynski focuses on the world, Hieronim Neumann deals with the man.


In his Wolfgang Amadeus Mozart – V Sonata C-dur kv-13, Neumann claims the right to contaminate, at the end of the 1900s, a 16th-century painter, Giuseppe Arcimboldo (who is famous for his manneristic portraits made from fruit, vegetables, fish – but also flowers and books) and an 18th-century composer, W. A. Mozart. This mix of food, different styles, time periods, gestures and notes incredibly works, giving life to a movie that is a tasty treat for the eyes and the ears. The flap of a butterfly’s wings instills life into an exhibitionist banana, then into a pickle, then a pear, two cherries and so on. At the end, the fruits and vegetables form two Arcimboldo-like profiles kissing. The meaning of all this is that where there is life there is love, and this is always true, in every century. Just one regret: the animation could have been better. This flaw, for a genius of his caliber, is unexpected to say the least. But let’s go back to Arcimboldo. The first section of Dimensions of Dialogue, Jan Svankmajer’s most famous and appreciated animation movie, nods to the celebrated painter. Two Arcimboldo-like heads facing each other cannibalize and continuously devour and vomit each other back out again, until they are reduced to bland copies. Its effect? Powerful. Its idea? Brand new. Its meaning? None. Or, better still: any and all. In Communist Czechoslovakia, Svankmajer dared show off, in front of his friends and enemies, his adherence to surrealist principles, stating that he drew inspiration from his dreams and embraced improvisation and free-flow writing. As much as you try, you won’t find anything similar to these concepts in the officially approved socialist realism that, instead, was pedagogical, one-dimensional, propagandistic and tasteless. Therefore, the director found, in the back of his mind, among his old school memories, that weird painter from Milan who, four hundred years back, had caused a scandal during his stay in Prague. He took this memory, mixed it with his propensity for synesthesia (his tactile sculptures had already been exhibited) and served a movie starring fruit and vegetables. We talked about vomit earlier on. The theme is far from attractive, and, after all, has little to do with food. However, some authors have taken on the challenge. American Bill Plympton for one, who tackled the issue various times but never successfully; Italian Mario Addis does so in La materia (The subject): same topic, better results. In this film, a fat professor vomits his knowledge to his students, who are horrified at first but gradually end up feeding on the disgusting subject. Mario Addis does exactly what we were taught in high school that Roman Gaius Petronius Arbiter, reputed author of the Satyricon, once did: he can walk in mud without dirtying his shoes. His drawings are so exquisite and the theme is treated so lightly that his works are offensive only in our expectations, while in reality they are charming. This is true for La materia that, moreover, is not a movie about food, it is about power and – imposed and accepted – submission. Dear food lovers, your palate is evidently a too individualistic virtue to be adequately depicted by a mass mechanism like cinema… but you/ we can take comfort in the fact that orange roasted duck, caviar or foie gras have never found their place in other art disciplines either. Wine being the only exception. So, let us toast to our good fortune with sparkling wine, bubbling in the glass (Pietro Mascagni, Cavalleria rusticana)!


Osvaldo Cavandoli La Piccola Guerra (Pasta Combattenti) (1955) 3’ - film a colori Soggetto, Pupazzi, Scene e Animazione: Osvaldo Cavandoli Fotografia: Ugo Gelsi Musica: F. Borgazzi Voce: Alighiero Noschese

Zbig Rybcznski Zupa (1974) 10’ - 35 mm b/n e colore Soggetto, Sceneggiatura e Regia: Zbig Rybcznski Montaggio: Barbara Sarnocinska Musica: Eugeniusz Rudnik - Suono: Mieczslaw Janik Interpreti: Grazyna E Marek Kreusch Direttore di Produzione: Tadeusz Strak Produzione: SE. MA. FOR. (Studio Malych Form Filmowych, Lodz)

(1920-2007) Animatore, regista e fumettista italiano. Nel 1944 entra nella squadra della Pagot Film, dove avviene la sua formazione di animatore. Collabora alla realizzazione di alcuni film e del primo lungometraggio italiano a disegni animati, I fratelli Dinamite, e negli anni cinquanta con Ugo Moroni crea Pupilandia, azienda di produzione artigianale di film a pupazzi animati. Tra il 1950 e il 1957 gira una ventina di film per la pubblicità, tra i quali La piccola guerra, e negli anni ‘60 vari cortometraggi. Massimo Lagostina, titolare dell’omonima fabbrica di pentole, sceglierà come protagonista della sua campagna pubblicitaria, l’originale personaggio di Osvaldo che nasce e vive in un unico tratto bianco, La Linea. All’inizio degli anni settanta riceve i suoi primi riconoscimenti nei maggiori festival di animazione, il Festival di Annecy e Zagabria. Muore a Milano il 3 marzo 2007.

(Lódz, 1949) Uno dei grandi maestri della sperimentazione cinematografica ed elettronica. Dopo aver frequentato la scuola di Lódz, all’inizio degli anni Settanta comincia a realizzare i suoi primi cortometraggi, mescolando immagini dal vero e tecniche di animazione. Nel 1983 uno dei suoi capolavori, Tango (1980), sarà premiato con un Oscar. L’anno successivo Rybczynski si trasferisce negli Stati Uniti e qui gira diversi videoclip musicali. Ma la svolta arriva nel 1986, quando Zbig inizia ad utilizzare l’alta definizione. In questo formato realizza video quali Steps (1987) e l’Orchestre (1990).


(Praga, 1934) Artista e cineasta, è uno dei maestri riconosciuti della storia del cinema d’animazione. Autore di decine di cortometraggi e di alcuni lungometraggi, realizzati nell’arco di oltre 40 anni, questo fantasmagorico animatore di oggetti e raccontatore di storie spesso inquietanti, ha saputo creare un immaginario di surrealistica quotidianità, dove un erotismo e un voyerismo bizzarri si mescolano indissolubilmente, dando vita a un cinema dell’inconscio e della metamorfosi.

Jan Švankmajer Possibilità di dialogo (dialogo esaustivo) (1982)

(Poznan,1948) Artista polacco. Dopo aver terminato la Scuola di Belle Arti di Poznan, si dedica all’animazione. Scrittore, autore del diritto d’autore e regista di film, associato con lo Studio di piccolo film Forme SEMAFOR a Lodz, TV Animation Film Studio a Poznan e Studio MANSARDA a Poznan, Neumann rappresenta la tendenza sperimentale nel film d’animazione polacco, incorporando abilmente nei suoi corti la fotografia dopo-shot, ampliando e superando così le classiche barriere di genere di animazione. Docente presso l’Università delle Arti di Poznan e l’Accademia di Belle Arti di Varsavia, e vincitore di diversi premi ai festival di Huesca, Oberhausen, Losanna, Cracovia e Poznan.

Hieronim Neumann W. A. Mozart, V Sonata C-Dur KV-14 (1992)

35’ - colore 35 mm. Regia, Soggetto, Sceneggiatura e Scenografia: Jan Švankmajer Fotografia: Vladimir Malik Montaggio: Helena Lebduscova Animazione: Vlasta Pospisilova Musica: Jan Klusak Produzione: Klara Stoklasova per Kratky Film, Studio Jiri Trnka

2’44”- film a colori Soggetto, Regia, Scene e Animazione di Hieronim Neumann Musica: W. A. Mozart


Mario Addis La Materia (1999) 2’ 20” - Film 35 mm - Carboncini su carta Creato, diretto, disegnato e animato da: Mario Addis Produzione: Groucho Pictures Produttori esecutivi: Pietro Pareglio, Albertina La Rocca Vertical camera: Raffaele Radice (FILMIDEA) Musica: Paolo F. Bragaglia

(Sassari, 1961) Regista di film cartoon, animatore e illustratore. Nel corso degli anni ha lavorato con registi di talento come Roberto Benigni, Giulio Cingoli, Enzo D’Alò, Dario Fo, Carlo Gabriel Nero e Maurizio Nichetti. Il suo lavoro include i crediti di apertura per Roberto Benigni nella pellicola “Il mostro”(1994), la serie commerciale “Fai la cosa giusta”(1992, vincitore a Annecy per il miglior Film di pubblicità), la sequenza “Il sogno di Nina”, “La gabbianella e il gatto”(1998), e l’animazione per il film “La febbre” con Vanessa Redgrave e Angelina Jolie. Le sue ultime opere sono il film Tv “Robin Hood” con Veronica Pivetti e un cortometraggio d’animazione “Pene e cotte”, una serie di divertenti variazioni sul tema, che hanno come protagonista l’organo sessuale maschile.


POESIA-ARTE PERFORMATIVA POETRY-PERFORMANCE ART


Poesia come straordinario alimento Sezione a cura di

Ugo Magnanti

Una delle più intriganti riflessioni sulla natura dell’ispirazione poetica, e delle più votate al fallimento, tanto più in quanto praticata con uno sguardo di sferzante ironia, è quella montaliana del sorbetto e del girarrosto come rispettive metafore di creazione intuitiva e di lungo lavoro ‘a freddo’; rafforzate in simmetria da altri termini di campo semantico ‘gastronomico’ usati nel medesimo testo dal poeta, quali forno e surgelante (“La poesia” in “Satura”, 1971). Se questa arguzia metapoetica adottata per rappresentare l’artificiosità della questione, di per sé inutile, evoca contesti quotidiani e circostanze consuete attraverso riferimenti al cibo, lo stesso non si può dire per una certa sottigliezza che anima in modo convinto, ma senza prendersi troppo sul serio, la sezione di poesia performativa che curiamo nell’ambito della V edizione di “Shingle22j”, quest’anno appunto incentrata sulla tematica del cibo. Infatti, volendo rintracciare un’intenzione comune nei lavori selezionati, anche molto diversi tra loro per mezzi e modi espressivi, si può, al contrario, rilevare come l’uso di elementi e ambiti ‘alimentari’ sia funzionale alla riproduzione di occorrenze straordinarie, di momenti topici, oltre che di propositi non conformi, magari anche sottoforma di fittizie normalità, in cui però lievita sempre la sottile vertigine di ottiche rovesciate; e se l’ispirazione montaliana, al di là dell’insidia retorica che si nasconde nelle sue dibattute origini, finisce col sovrapporsi tout court alla poesia stessa, una poesia che si nega e che non ha nessun fine, noi invece abbiamo voluto richiedere ai poeti-artisti (e agli artistipoeti) di “Shingle22j”, un’ammissione di impegno, una visione in qualche modo prospettica del ‘consorzio umano’, a partire dal modo di rapportarsi al cibo soprattutto come valenza simbolica. È quasi scontato infatti, notare come l’alimentazione umana non coincida soltanto con un fisiologico istinto di conservazione, ma anche con l’espressione di una filosofia, di una significativa interpretazione dell’esistenza. Il nostro ‘rovello’ non riguarda dunque una possibile funzione della poesia e dell’arte in genere, poiché in assenza di tale funzione perderebbe senso anche la nostra presenza ‘pubblica’, per di più su territori culturalmente deprivati, ma semmai è un ‘rovello’ che riguarda i confini fra la parola poetica e la sua dimensione performativa e interdisciplinare; e si interroga su quali termini, un atto intimo, appartato, come quello della scrittura, specie se poetica, possa elaborare o sostenere rapporti, in particolare, con forme che si danno in quanto reciproche ‘incursioni’ fra discipline, a volte persino con l’azzardo dello snaturamento, e in quanto aspirazioni a condividere voce, gesto, corpo, anche attraverso ormai consolidati ‘passaggi’ multimediali. In questo senso la tematica del cibo risulta davvero propizia, poiché la poesia, che attraverso la sua azione ‘contaminata’ diventa una specie di rito collettivo in grado di offrire agli altri addirittura sacrifici personali, può esprimere con maggiore evidenza correlazioni con l’atto del mangiare, dal momento in cui tale atto diventa un ‘mangiare insieme’, e da semplice nutrizione organica, privata, si converte in esperienza culturale. Questa natura collettiva della poesia quale relazione, che è la stessa natura del cibo come fatto sociale, proprio in quanto tale non può darsi se non, più o meno apertamente, all’insegna di una critica esercitata sui modelli imperanti, e proprio attraverso la presenza tangibile, l’hic et nunc dell’artista che offre se stesso e la sua etica alla comunità, o attraverso un dialogo possibile fra una realtà effettiva e la sua eccedente e complessa riproducibilità. Certo, tutto ciò avviene anche con prassi adiacenti a soluzioni più propriamente letterarie e più vicine alla pagina scritta, o come pura sonorità e prevalenza del significante, o arrivando fino a determinarsi in una sorta di negazione della parola quale oggetto specifico, e come preludio a una poesia in bilico fra stricto sensu e lato sensu, o ancora come puro tema, e in rapporto al tema del cibo nell’ambito di interventi quasi esclusivamente ‘artistici’. Così in questa edizione di “Shingle22j”, la poesia si pone come uno straordinario alimento, e al tempo stesso come apice di una emblematica catena alimentare che aspira ad assimilare e a interrogare l’arte, i suoi antichi e diffusi sedimenti rispetto a una tematica quale quella del cibo, pregna di speciali implicazioni ‘storiche’, proprio per la sua costante presenza fin dalle origini dell’azione performativa nell’arte contemporanea.


Poetry as extraordinary food Section curated by

Ugo Magnanti

One of the most intriguing reflections on the nature of poetic inspiration – that, however, is most likely to fail, all the more so as it is tinged with cutting irony – is Montale’s reference to the terms roaster and sorbet as metaphors of intuitive creation and ‘cold’ time-consuming work, respectively, that the poet used in conjunction with other semantic culinary terms, such as oven and freezing, in the same text (“La poesia” in “Satura”, 1971). If this metapoetical witticism evokes everyday life and normal circumstances through references to food to convey the artificial nature of an issue that is useless per se, the same can’t be said for the performance poetry section of the fifth edition of Shingle22j – that we curate and that this year revolves around the theme of food – which is enlivened, in a determined yet playful way, by a sort of subtlety that doesn’t take itself too seriously. In fact, if we want to find a common thread in the selected works of art, which differ greatly in terms of means and forms of expression, we can see how the use of “culinary” elements and contexts is, instead, functional to the reproduction of extraordinary events, decisive moments, as well as unconventional intentions, perhaps even in the form of fake normality, always characterized, however, by the subtle turmoil of reverse standpoints; and while Montale’s inspiration, apart from the rhetorical hidden danger that lies within its much-debated origins, ends up overlapping, tout court, onto poetry itself, a kind of poetry that denies itself and has no end, we decided to require from the poets-artists (and artists-poets) of Shingle22j an admission of commitment, a somehow perspectival vision of the ‘human consortium’, starting with how we relate to food, especially in its symbolic meanings. It almost goes without saying that human nutrition not only coincides with a physiological instinct of self-preservation, but also with a philosophical expression, a significant interpretation of existence. Our ‘nagging thought’ therefore, does not regard a possible function of poetry and art in general, as, in the absence of such function, our ‘public’ presence would no longer make sense, especially in culturally deprived territories, but it regards the boundaries between the poetic word and its interdisciplinary performance dimension; it wonders about how the intimate, private act of writing, especially when writing poetry, can build or establish a relationship with forms that mutually cross and ‘raid’ other disciplines, at times verging on denaturing them, and that represent a desire to share a voice, a gesture, a body, also through well-established multimedia ‘passages’. In this sense, the theme of food is propitious, since poetry, which, through its ‘contaminated’ action becomes a sort of collective rite capable of even offering personal sacrifices, can better express a correlation with the act of eating, as such act takes on the meaning of ‘eating together’ and is therefore converted from a simple private nutrition matter into a cultural experience. The collective nature of poetry as a relationship, which is equivalent to the social nature of food, cannot be conveyed, as such, if not more or less openly through a critical review of the prevailing models and through the tangible presence, hic et nunc, of the artists offering themselves and their ethics to the community or through a possible dialogue between reality and its excessive and complex reproducibility. Of course, this may also happen with practices that are more similar to literary forms of expression and therefore closer to written texts, or through pure sonority and the prevalence of a signifier, or even through a sort of negation of the word as an autonomous object foreshadowing a form of poetry that is on the boundary between stricto sensu and lato sensu or, once again, through a pure theme or in conjunction with how the theme of food is considered in almost exclusively ‘artistic’ contexts. Therefore, in this edition of Shingle22j, poetry presents itself as an extraordinary type of food, as well as something at the top of an emblematic food chain that strives to assimilate and question art and its ancient and rich heritage with respect to a theme, such as food, that is embedded with special ‘historical’ implications as, since the dawn of performance art, it has been a constant presence in contemporary art.


In Corpo

Sara Davidovics Quindici semi (ed altrettante radici)

Vitaldo Conte in Vitaldix T Rose CibAzione d’Amore

Installazione diffusa di semi linguaggio per un orto legato e lessicale

Parole memorie sonoritĂ per raccontare il desiderio

Iago Il verso batte dove il ventre duole

Marcia Theophilo Frutta-Eros

Degustazioni su carta istantanea

con Fausto Ciotti latinamente alla chitarra

Maria Luisa Bigai Fra labbra e cuore con improvvisazioni jazz alla chitarra di Fausto Ciotti

Eugenia Serafini Magnant centum, magnant mille!

Dona Amati Non di sangue. Carne(t) di suoni

Claudio Marrucci, Maria Borgese, Antonio Veneziani Nel ventre del forno Equilibri instabili tra danza e poesia


Giovanna Iorio La cena africana

Fancy Menei Hurtado Poesie da mangiare e da suonare con Giovanna Cutuli alle percussioni da cucina

Ilaria Palomba, Cristiano Quagliozzi Homo homini virus

Nina Maroccolo Un angelo di farina

Helena Velena Giustizia poetica in cucina. Un giorno mangeremo gli…

Kyrahm e Julius Kaiser (A)mare conchiglie con anziani, erranti, lucciole, migranti

Tomaso Binga Basta un po’ d’olio sopra il pane

Analía Beltrán i Janés Il cibo e il silenzio

Contrito Piaciu Mangio


In Video

Kyrahm e Julius Kaiser Corpo del Testo Nutriti di sola poesia fino allo sfinimento Video di una performance estrema (24h)

Libera Mazzoleni Oggi, Gli dei se ne sono andati (da l’Ultima Cena) Video realizzato all’interno della ex chiesa sconsacrata di San Carpoforo di Milano

Il pollo e l’Arte

In Corpo e in Video

Gianni Godi La carne di Dante

Flavio Sciolè Mangio arte per vivere

Video più intervento poetico performativo

Video più intervento poetico performativo

In Teoria

Antonio Saccoccio Poesia Cucina Futuriste

Marked Melody The difference


OSPITI GUESTS


Ospiti Non servono parole per raccontare una storia, a volte bastano dei gesti, delle azioni, spesso bastano solo buone idee per stimolare un appetito intellettuale.

Sezione a cura di

Guendalina Sabba

Gli artisti ospiti di questa nuova edizione di Shingle22j raccontano in maniera emblematica, come l’arte e il cibo, uniti in uno storico sodalizio, possano essere veicolo costante di sottili messaggi subliminali quanto ancora, di importanti spunti di riflessione. Dario Di Franco e Tatiana Ferahian si fanno portavoci ed interpreti di un’autentica e personale testimonianza: l’uno sottolinea l’aspetto materiale e consumistico di questa società, irrimediabilmente massificata, l’altra, evidenzia l’aspetto spirituale e morale di un evento bellico che ha condotto un’intera generazione a soffrire la fame. Da una parte, dunque, i risultati dell’opulenza e dell’abbondanza attuali, dall’altra il ricordo della povertà e della miseria in tempo di guerra. Gli artisti, seppur lontani nella scelta del concept si ritrovano affiancati dal medesimo linguaggio estetico dell’installation art. Entrambi utilizzano oggetti di uso quotidiano, materiali poveri o di scarto e mirano a solleticare la percezione dello spettatore che, in simbiosi con l’artista, diviene depositario di memoria. Nelle Conserve d’Artista, di fatto, vengono collocati in vitro ricordi personali o dell’immaginario collettivo, mentre, con 25 grams of Rice: Food for Thought, viene tristemente commemorato il centenario del genocidio armeno. Dario Di Franco, artista partenopeo, classe 1965, presenta Conserve d’Artista, installazione New Pop, collocabile senz’altro tra la concezione artistica del Merzbau di Kurt Schwitters e della celeberrima Merda d’Artista di Piero Manzoni. L’opera conta ad oggi oltre duecento elementi, ognuno diverso dall’altro, numerato e datato cronologicamente e in continua evoluzione. Al loro interno vengono conservati frammenti di vita quotidiana, un patrimonio di ricordi e di emozioni, deliberatamente preservato per trasmetterne memoria attraverso il tempo e lo spazio. Tatiana Ferahian, artista armeno-cipriota, classe 1970, ha realizzato per la quinta edizione di Shingle22j, 25 grams of Rice: Food for Thought. Opera site-specific, di 287 sacchetti in wax paper, ritagliati e cuciti a forma di piccole colombe, contenenti ognuno 25gr. di riso. Le colombe, unite tra loro da invisibili fili di nylon, si raccolgono in un ideale volo concentrico, emblema della vita e della sua ciclicità. La storia, che lega l’opera al ricordo del genocidio armeno avvenuto durante le persecuzioni del primo conflitto mondiale, ha origine nell’operazione filantropica chiamata Near East Relief, avviata dall’ambasciata americana a supporto degli orfani armeni. La bottiglietta di vetro, contenente pochissimi grammi di riso, che venne utilizzata per sensibilizzare la popolazione, era la testimonianza della fame che questi orfani erano costretti a soffrire. Fortunatamente l’operazione ebbe esito positivo e 25 grams of Rice è un tributo a tutti quei bambini sopravvissuti che hanno dato vita ad una nuova nazione armena.


Guests You don’t need words to tell a story, sometimes gestures or actions are enough, and often just good ideas can stimulate the intellectual appetite.

Section curated by

Guendalina Sabba

The artists who participate in this new edition of Shingle22j tell us, in an emblematic way, how art and food, which are historically bonded together, may be a constant means of communication of subtle subliminal messages as well as food for thought. Dario Di Franco and Tatiana Ferahian are the spokespeople and interpreters of an authentic personal testimony: the former underlines the material and consumerist aspect of this irreparably massified society, while the latter emphasizes the spiritual and moral aspects of a war that forced an entire generation to suffer starvation. On the one side, therefore, we have the results of today’s opulence and abundance, and on the other side, the memory of poverty and misery at times of war. Although these artists choose dramatically divergent concepts, they both share the same aesthetic language, i.e. installation art. They both use everyday objects, poor or waste materials, to tickle the spectator’s perception, who, together with the artist, becomes the depositary of memory. Conserve d’Artista, in fact, features in vitro personal or collective memory, while 25 grams of Rice: Food for Thought sadly commemorates the 100th anniversary of the Armenian Genocide. Dario Di Franco, an artist from Naples who was born in 1965, presents Conserve d’Artista, a New Pop installation that certainly belongs to the same artistic concept as Kurt Schwitters’ Merzbau and Piero Manzoni’s famous Artist’s Shit. This artwork currently contains over two hundred elements, which are all different, all numbered, chronologically dated and constantly evolving. They contain fragments of everyday life, a rich heritage of memories and emotions that has been deliberately preserved to be handed down through time and space. Tatiana Ferahian, an Armenian-Cypriot artist who was born in 1970, created 25 grams of Rice: Food for Thought for the fifth edition of Shingle22j. This site-specific work is composed of 287 wax paper bags that have been cut and sewn together to form tiny little doves, each containing 25 grams of rice. The doves, joined together by invisible nylon strings, are arranged in an ideal concentric flight formation, a symbol of life and its cycle. This artwork tells a story, which is linked to the memory of the Armenian Genocide during WWI and has its origins in the humanitarian operation called Near East Relief that was launched by the American embassy to support Armenian orphans. The small glass bottle full of rice grains that was used to raise awareness of the issue among the population was a testimony to the starvation that these orphans were forced to suffer. Luckily, the operation was a success and 25 grams of Rice is a tribute to all those children who survived the genocide, giving life to a new nation, Armenia.


Particolare

Dario Di Franco Conserve d’artista Installazione iniziata nel 2012 e continuamente in evoluzione. Al momento circa 200 elementi. Dimensioni variabili “Materiale autentico raccolto a mano dalle strade della città e conservato fresco”. Tecnica mista sotto vetro


Tatiana Ferahian 25 grams of rice – Food for Thought 2015 250 x 300 cm Riso, carta cerata, nylon Particolare



ACCADEMIA DI BELLE ARTI ACADEMY OF FINE ARTS


Accademia di Belle Arti Sezione a cura di

Enrico Pusceddu

La collaborazione istaurata quest’anno tra l’Accademia delle Belle Arti di Roma e Shingle22j, nasce dalla necessità di immedesimarsi e confrontarsi con un presente, che vede sempre più la città di Roma legata indissolubilmente all’ambiente metropolitano. Un contesto che accresce le opportunità di arricchimento culturale, stimolando la sinergia positiva delle contaminazioni tra l’interno del centro urbano e la sua tentacolare provincia. “Arte e cibo” un avvincente e intrigante connubio, nonché territorio di riflessione, pluralità di pensiero, spazio d’interazione, condivisione di sentimenti, gesti, emozioni e processi di pensiero, intorno all’uomo e al suo essere. Riflettere il nostro rapporto con il cibo attraverso i suoi svariati aspetti: reazioni estetiche, emotive, relazione comunicativa, coinvolgendo territori, sapori, tradizioni, consuetudini e dissuetudini, con l’intento di generare una stimolante provocazione intellettuale che spinga il fruitore verso logiche alternative. Il diverso punto di vista sulle cose c’induce a riflettere e allora … idea e metodologia progettuale, tramite le quali osservare, analizzare e comunicare da diverse prospettive il rapporto tra “cibo e corpo”. Attraverso i sensi, s’intrecciano tra loro sapori, colori, profumi, forme e rumori, mettendone a fuoco aspetti che nel frenetico tran tran quotidiano spesso ci sfuggono. Su questi concetti di fondo gli allievi dell’ Accademia di Belle Arti di Roma si sono impegnati e messi in gioco con vitalità e grande inventiva, esprimendosi con un linguaggio attuale, fatto di sovrapposizioni visive, sonore e tattili, degne di chi ha scoperto nell’arte e nella libera espressione la possibilità di comunicare con onestà e sincerità intellettuale, tramite la pluralità dei linguaggi visivi, veicolando fortemente il concetto di multisensorialità. Questa collaborazione, tra l’Accademia e la Biennale d’Arte Contemporanea di Anzio e Nettuno, ha rappresentato un’ottima occasione per sostenere i giovani studenti nel confronto concreto con una realtà sempre più complessa ma estremamente creativa, dando loro la possibilità di realizzare ed esporre le opere create appositamente per questa V edizione dedicata alla tematica del Cibo, puntando l’attenzione sull’alimentazione e la fantasia, in armonia con il pensiero ottocentesco di Feuerbach “l’uomo è ciò che mangia”. Un viaggio, quello tra “Arte e Cibo”, frutto di molteplici aspetti che vanno dalla storia, alla varietà d’influenze culturali, alle esperienze plurisensoriali, amalgamando e insaporendo tra loro elementi e materie prime, quali le tecniche, le tecnologie, il colore e la forma, in continua evoluzione e metamorfosi. Nello svolgersi del viaggio abbiamo vissuto affascinanti incontri tra terra e mare, luce e ombra nella loro armoniosa e osmotica coesione, nello spazio intercorso tra le fasi di nascita, sviluppo ed evoluzione della vita che hanno caratterizzato l’identità di ciascuno di noi. Il cibo come l’arte ha cambiato il mondo, mettendo in relazione generazioni diverse, in quell’indissolubile viaggio tra saperi e sapori, diversità e culture, territori e tradizioni, che costituiscono da sempre un patrimonio dell’umanità … Ma nell’Arte come nel Cibo, è il pensare e il fare, che attraverso la mano dell’uomo fa la differenza.


Academy of Fine Arts Section curated by

Enrico Pusceddu

This year’s collaboration between the Academy of Fine Arts of Rome and Shingle22j stems from the need to face and identify ourselves with the present, a time in which the city of Rome is increasingly and inextricably tied to the urban environment. This context offers great opportunities for cultural enrichment, stimulating positive synergies between the city and the surrounding small towns. “Art and food” is a compelling, intriguing combination that provides food for thought, as well as a space for dialogue and an occasion to share one’s feelings, gestures, emotions and thoughts on man and human existence. This theme gives us an opportunity to reflect on our relationship with food and its many aspects, delving into the aesthetic and emotional reactions it evokes, and drawing on certain places, flavors, traditions, customs – and things long gone into desuetude – to offer stimulating intellectual provocation that pushes the viewer toward alternative thoughts. Seeing the world from others’ eyes makes us reflect… it offers ideas and methods to observe, analyze – from different standpoints – and share the relationship between “the body and food”. By stimulating the senses, we can evoke flavors, colors, aromas, shapes and sounds, and focus on some aspects that are often overlooked in daily life. The students of the Academy of Fine Arts of Rome have focused on these key concepts, taking on the challenge with great energy and creativity and expressing themselves with a contemporary language that uses visual, auditory or tactile overlapping elements so well that it becomes apparent how these students see art as freedom of expression, as a chance to openly and honestly communicate their thoughts through a multitude of visual languages and clearly convey the concept of multisensoriality. The collaboration between the Academy and the Biennial of Contemporary Art of Anzio and Nettuno has provided the opportunity to support young, emerging talents and help them deal with an increasingly challenging yet creative reality, by giving them the chance to create and exhibit their works at the fifth edition of Shingle22j – that this year is dedicated to the theme of food – and focus their attention on nutrition and imagination, in line with Feuerbach’s 19th-century statement “man is what he eats”. The theme of “Art and Food” is a journey through history, different cultures and multisensory experiences, a unique blend of many constantly evolving and ever-changing elements and raw materials, such as techniques, technologies, colors and shapes. Throughout this journey we have witnessed fascinating encounters between the land and the sea, between light and shadow: a harmonious mix that conveys the life cycle – birth, growth and development – as well as the human evolutionary stages characterizing the identity of each and every one of us. Food and art have changed the world, by putting different generations together in this journey through knowledge and flavor, differences and cultures, territories and traditions, that have always been considered common heritage of mankind… But in Art and Food, thinking and taking action through the hands of men is what makes a difference.


NEI MIEI PANNI L'opera è un collage di foto che raffigurano parti del corpo di persone diverse, ognuna con pesi e storie differenti. Il prototipo è stato realizzato, a grandezza naturale sia per l'uomo sia per la donna, affinché ogni utente possa riconoscersi e interagire con l'opera. Essa infatti è formata da strisce mobili al di sotto delle quali è possibile trovare una descrizione della persona e dell'alimento che la caratterizza. L'idea di questo lavoro nasce dal continuo confronto con le persone, che molto spesso esprimono giudizi senza conoscere la storia e i “mostri” che ognuno di noi affronta con fatica tutti i giorni; senza sapere cosa si nasconde dietro quel fisico a volte tanto odiato. La riflessione che il lavoro vuole lasciare allo spettatore è suggerita dal titolo..ti sei mai messo nei panni di qualcun' altro?

Mara Chisu & Barbara Limongi NEI MIEI PANNI Nei miei panni Mara Chisu 2015

Barbara1m, Limongi Donna altezza 1.60 larghezza Uomo altezza 1.70 larghezza Collage fotografico stampato su cartone/forex Collage fotografico


Simone Cera Similar but different 2015 100 x 60 cm Fotografia digitale


Mara Cimmino Mangio: sono 2015 Sagome e tubi 1,80 cm Installazione Tubi in plexiglass


Morena Foglia L’uomo? Ciò che mangia 2015 70 x 100 cm Digitale


Victor Giuliani Social Breakfast 2015 1 metro (altezza) x 2 metri (lunghezza) Stampa digitale su forex (spesso 1 cm /2)


Giuseppe Gagliardi, Cristina Moffa & Monica Vinci Food Code 2015 2mt di larghezza e 1,50 mt di altezza Installazione ambientale Pannello Forex, spessore 3 mm


Carlo Pio Guerra Mangiamo quello che siamo 2015 Installazione Distributore: legno e plexiglass
rotolo: carta rosa commestibile al gusto di fragola e stampata con inchiostro vegetale


Karin Latino & Alessio Corcio E tu che cibo sei? 2015 1:45:21 min Video installazione


Particolare

Particolare

Particolare

Ostap Opryshko Interior (Opera multipla) 2015 Panello singolo 80 cm di larghezza x 180 cm di altezza - trittico 150 cm di larghezza x 50 cm di altezza Forex spessore 3 mm


Paolo PutortÏ Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei 2015 4 minuti 28 secondi in loop Video Installazione


Federica Valenzisi & Silvia Valente Limite Invalicabile 2015 Tavolo 80 x 80 Installazione ambientale Tavolo quadrato di plastica, piatto di ceramica, filo di ferro spinato


Gioele Viterbo Come mangi/sei? 2015 70 x 100 cm Stampa digitale su fogli di acetato



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