Mestieri d'Arte n°5

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dell’innocenza di Martin Scorsese: «Una testa incredibile, che pensa sempre, in continuazione; ti par di sentire il tic tac del suo cervello costantemente all’opera. Il suo ultimo Hugo Cabret, delizioso anche in 2D, è un atto d’amore per il cinema delle origini, ma contiene un messaggio più profondo e ampio sul valore di far bene una cosa; Meliès non era soltanto un cineasta, costruiva, faceva, aggiustava. Lavorare con Scorsese fu faticosissimo, fu anche un gran dispendio di energie fisiche, come sempre in questo mestiere: sei responsabile di tutto quanto ha addosso un attore, anzi tutti gli attori e le infinite comparse. Anche se io con le comparse mi diverto; soprattutto all’estero, lavorare con le masse di altre paesi è davvero un modo per capire popoli diversi dal nostro: come si spogliano, ad esempio, la loro biancheria intima… E così il cinema, anche quando lo fai, ti fa conoscere la geografia oltre alla storia». Come lavora, oggi, una costumista? Che cos’è cambiato? «Ricevo proposte, leggo copioni e li sottopongo al

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cosiddetto “spoglio”, in sostanza li analizzo. Se la cosa va avanti, incontro il regista e poco dopo il produttore mi chiede un budget: anche due paginette, ma nero su bianco devo mettere una cifra che poi devo mantenere. Questo per me è complicato, mi richiede del tempo coi miei assistenti; purtroppo però, i tempi di questa fase si sono accorciati. Intanto inizio il lavoro di documentazione, e poi i disegni, la ricerca di tessuti, l’avvio di una sartoria e un laboratorio… anche qui si corre, è difficile oggi arrivare a due mesi di preparazione. E quindi il team si trasferisce sul set. I tempi si stringono sempre di più, questa mi pare la novità, magari si preferisce impiegare sempre più persone per tagliare i tempi: il tempo costa sempre di più». E il digitale? «I costumi in realtà si continuano a fare, diversamente dalle scene. Realizzare vestiti completamente in digitale è difficile e costoso. Ricordo un film di Zemeckis, Beowulf, piuttosto integralista sulle tecnologie digitali: i vestiti erano indossati da comparse e quindi scannerizzati e trattati.

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