Mestieri d'Arte & Design 11

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Mestieri dello spettacolo

I miei genitori avrebbero preferito facessi l’architetto. Ma io, fin da ragazzino, mi sono sempre divertito con grandi disegni, con le marionette e i travestimenti, e diventare scenografo è stato quasi naturale. La mia avventura scaligera ebbe inizio dopo una breve esperienza al Piccolo Teatro, come assistente ai costumi per lo spettacolo Barbablù. Allora ero al terzo anno dell’Accademia di Brera e il mio docente di scenografia era l’architetto Tito Varisco, direttore degli allestimenti scenici del Teatro alla Scala, che mi propose di fare un’esperienza nei laboratori del teatro. Nell’ottobre del 1972 ho varcato il piccolo cancello dei laboratori in via Baldinucci 85... Le prime settimane furono una delusione. Il lavoro che mi avevano affidato era ripetitivo e poco artistico: si trattava di incollare grandi foglie di tulle su un fondale. Il mio desiderio di cimentarmi in pitture su grandi fondali non si realizzava e il dubbio di una scelta sbagliata mi assillava. A farmi cambiare idea furono i capi scenografi del laboratorio, che mi diedero fiducia affidandomi lavori sempre più impegnativi e gratificanti. I primi due anni furono faticosi poiché dovevo conciliare la frequentazione dell’Accademia con la presenza in laboratorio che in alcuni giorni si prolungava anche

a dieci ore, ma la nuova esperienza mi aiutò anche in alcune scelte progettuali per gli studi. Nei primi sei anni approfondii alcune tecniche realizzative collaborando con i quattro capi scenografi Gino Romei, Gianni Bellini, Ludovico Sommaruga, Giorgio Cristini, ma anche con scenografi esterni come Arturo Benassi, Ettore Rondelli e Fulvio Lanza. Nel 1978 mi venne affidata per la prima volta la realizzazione di una scenografia, La storia di un soldato, regia, scene e costumi di Dario Fo. L’entusiasmo, unito alla paura di sbagliare, mi elettrizzava e, per i primi giorni, nei miei sogni vedevo elementi della scena che crollavano. Ma nella realtà ciò non avvenne e il maestro Fo, a lavoro ultimato, mi fece i complimenti. In quegli anni, la mia collaborazione con laboratori privati mi arricchì professionalmente e acquisii anche capacità organizzative, dovendo calcolare i tempi, i costi, gli spazi... Nel 1987 divenni capo scenografo e realizzai le scene per il balletto La Sylphide. L’intera scena fu dipinta su tulle. L’apporto che penso di aver portato nel realizzare le scenografie è stato quello di riuscire a reinterpretare il tratto pittorico o proporre superfici materiche molto spesso diverse da artista ad artista. Un esempio è stata la realizzazione

«L’entusiasmo, unito alla paura di sbagliare, mi elettrizzava. nei sogni vedevo elementi di scena che crollavano» del sipario per l’opera Doctor Faustus, scene e regia di Bob Wilson, dove lo stesso Bob si congratulò con me per non aver copiato pedestremente il suo quadro, ma aver interpretato il suo segno, inventandomi gli strumenti per riproporre il segno del pastello, tanto da richiedermi di sviluppare alcune sue opere in grandi dimensioni. Il mio lavoro è stato sempre condiviso con i miei collaboratori e ho cercato sempre di trasmettere alle nuove generazioni la tecnica tradizionale della pittura scenografica, ma anche di adattarla alle nuove esigenze. Non più scene bidimensionali su tela, ma elementi tridimensionali sempre più cinematografici. Con l’avvento della scena costruita anche la professione dello scenografo realizzatore cambia, non solo pittore, ma anche abile tecnico per sviluppare con grandi disegni gli elementi praticabili della scena e facili-

di generazione in generazione Negli spazi dei laboratori della Scala si custodiscono i segreti di un antico sapere e di un antico mestiere, tramandato di generazione in generazione, dal maestro all’apprendista. Un modo tutto italiano di pensare e realizzare la scena che ci assicura da secoli un’eccellenza riconoscibile in qualsiasi palcoscenico del mondo (www.teatroallascala.org).

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