Mestieri d'Arte & Design n°10

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Il gusto del sapere

Prendiamo la sagoma di Gualtiero Marchesi, ritagliata con le forbici dal grande libro della cucina mondiale, allacciamo sul suo capo un colbacco, con le linguette di carta delle bambole a due dimensioni, e montiamolo imperturbabile sulla piazza post-sovietica, le lancette dell’orologio che vorticano in avanti fino al terzo millennio, fino alla contemporaneità. Assomiglia un po’ a questo Anatolij Komm, primo cuoco russo ad assurgere nell’empireo gourmet, apripista tracciabile nelle coordinate geografiche eppure al passo con il mondo. Sanguigno e raffinato, locale e globale senza indulgere alle banalità del cosiddetto «glocal». La voce baritonale sotto le onde dei capelli brizzolati, che si spartiscono la fronte col ritmo calmo del pensiero. In uno scenario come quello russo, da sempre dominato dalle voghe esterofile (di matrice internazionale o francese, fino a qualche tempo fa; oggi virato sul Mediterraneo, grazie al pellegrinaggio di tanti cuochi italiani), la sua sfida prosegue come una missione. Rompere il ghiaccio dell’inverno gastronomico russo, aggiornare e nobilitare quanto è stato finora bistrattato perché quotidiano e popolare. Pompare a tutta forza dai giacimenti gastronomici calore ed energia con le trivelle di una Gazprom culinaria. Un Marchesi del terzo millennio, dicevamo, tanto combaciano le operazioni di restyling. Quasi una novyy nouvelle cuisine volta alla de-etnicizzazione del patrimonio tramandato, oggi che la cassetta degli attrezzi risulta interamente rinnovata in chiave high-tech. Quella di Komm è infatti una cucina ad alta precisione, forse perché nella scienza affonda la biografia del suo autore. Il quale all’anagrafe risulta nato nel 1967 a Ljubercy, 20 chilometri da Mosca, e alle pareti può appendere l’attestato di una laurea in geofisica. Una breve occupazione nel ramo dell’informatica ha ceduto il passo, dopo lo scioglimento dell’Urss, alla carriera nel campo dell’import di firme di alta moda, molte delle quali italiane. Attività quanto mai gratificante, che gli ha permesso di viaggiare per il mondo e infilare le ginocchia sotto le tavole più in voga del momento, arricchendo giorno dopo giorno un invidiabile bagaglio di fantasticherie e bloc-notes. Capitava spesso che imbattendosi in

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qualche scoperta culinaria, Komm domandasse allo chef di fermarsi in stage, anche a pagamento. Il primo fu un ristorantino di Hong Kong, nel quartiere del mercato del pesce, seguito dall’Amber del Landmark Mandarin Oriental Hotel e altri indirizzi in Germania, Spagna, Caraibi e Italia. Tanto che pian piano l’hobby ha preso il sopravvento e il vecchio gioco di infilare i polpastrelli nei pierogi della nonna o emulare le pietanze degustate fra le pareti di casa si è trasformato in una scelta di vita. Chiusa l’agenzia Koty, ripiegate in tutta fretta le vesti di patron («mi ritrovavo sempre in cucina»), è stata dapprima la volta di Green, brasserie ubicata a Ginevra dove ha staccato la prima stella russa di sempre, poi venduta per problemi di visto. Il trampolino elastico per il tuffo nell’alta cucina, compiuto senza schizzi nel 2006. Il Varvary, frutto di un investimento milionario, occupa i piani alti di un lussuoso palazzo in bul’var Strastnoj, a poche centinaia di metri dal Cremlino, ma sulla sua insegna i

la piazza rossa e i monumenti culinari Sopra, la Cattedrale di San Basilio. In alto, il Sapore russo, un concerto di assaggi: gelatina di barbabietola con sfera di caramello, tartina di paté di fegato di merluzzo, crema di broccoli, spirale di gelatina, mousse di aringa. A lato, zuppa di scampi con essenza di calamari.

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