Mestieri d'Arte n°1

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Sapori e Saperi

sione di riscoperta di identità anche Michele Sabatino, macellaio ad Apricena (Foggia). Michele entra a bottega quindicenne, macellaio per via di madre Concetta, che non ne poteva più della vita da allevatore del marito Bonifacio e lo costringe a cambiar mestiere. Michele Sabatino conosce la sua terra e ne riscopre gli usi e le preparazioni dimenticate, riportandole in vita e dando loro nuovo lustro. Il lavoro con le carni podoliche, con il maiale nero dauno, ma soprattutto la Muscisca, dall’arabo mosammed, «cosa dura», una lavorazione tipica dei pastori della transumanza. Apricena è sul famoso Tratturo Regio che dall’Aquila scendeva alla Dogana delle Pecore di Foggia. Si usava la capra stanca, le carni si tagliavano a strisce sottili perché essiccassero rapidamente, le si condiva con sale e spezie. Oggi Michele Sabatino la ripropone tradizionale di capra garganica ma anche di mucca podolica. Espressione di una tradizione e di un mestiere che non deve riscoprire anche l’Antica azienda agricola Ricucci, a Rodi Garganico (Foggia). Alfredo Ricucci è alla guida dell’agrumaria di famiglia, fondata nel 1850. Coltivazione biologica, raccolta a mano per rispettare e preservare le biodiversità e trarne il meglio. Con questo mestiere ripetuto e rispettato Alfredo Ricucci produce le arance bionde e duretta del Gargano e i limoni femminielli, la cultivar più antica d’Italia, e le loro conserve, oltre a un olio biologico di grande qualità. Riscopritore di mestiere e tradizione invece Daniele Negro a Otranto (Lecce), proprietario della bella azienda di famiglia che si stende alle spalle della Torre Sant’Emiliano e che

produce una linea di formaggi che porta appunto il nome della torre. Latte munto solo da animali che vivono al pascolo nei 200 ettari dell’azienda. Daniele Negro ha ristrutturato e riorganizzato la tenuta di famiglia, investito in un caseificio moderno, nel quale però i ritmi della caseificazione sono ancora quelli tradizionali e ne viene fuori il San Felice, un «taleggio» con latte di pecora a cui il tempo regala una straordinaria complessità. E ci sono poi quelli che fanno il mestiere più antico, subito dopo il «mestiere più antico del mondo», i cuochi. Domenico Cilenti, chef patron del Porta di Basso a Peschici (Foggia). Un vecchio frantoio sul limitare della scogliera nel quale Domenico serve una cucina elegante e seduttiva, un intreccio amoroso e romantico con il mare su cui si affaccia.Pugliese ma non schiavo del territorio è Michele Rotondo, chef del locale di famiglia a Palagianello (Taranto) in Val d’Itria e delle sue gravine. La cucina della Masseria Petrino è di grande sapore, costruita sui prodotti del territorio e sugli animali da cortile direttamente allevati dallo chef. Ancora in rapporto di seduzione reciproca col mare trovate al porto di Tricase (Lecce) Imma Pantaleo e il Bolina. Adagiati sulla darsena vi propongono una cucina di orto e di mare, pulita, lineare e rispettosa delle materie prime. Materie prime che sono la vera ossessione di Imma, tanto da costringere i suoi pescatori a usare il tramaglio (la rete) anziché il conso (gli ami) per non stressare il pesce e sottoporlo a inutili sofferenze.

La Puglia ha ritrovato il suo ritmo recuperando il legame con la storia e con la sua identità.

È terra di mestieri legati alla vite, all’olio, al grano, alla pastorizia, alla intensa lavorazione della terra


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