Artigianato 48

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Originalità di Carlo Zauli Un profilo biografico “... non è la materia a determinare un fatto creativo di alta qualità, ma è la fantasia ed il talento dell’uomo a dare origine ad opere significative e durature”. (Carlo Zauli, giugno 1966). Carlo Zauli (Faenza, 1926-2002) si forma nella Faenza dell’immediato dopoguerra, sulla scia di grandi maestri quali Rambelli, Bucci, Biancini, per approdare a linguaggi contemporanei internazionali ed elaborarne poi uno completamente suo. A ciò si aggiunga l’arrivo al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza di opere assolutamente dirompenti fra le quali le cinque donate da Picasso fra il ’49 e il ’51 e i febbrili scambi prodotti dall’incrocio di diverse culture. A Faenza arrivano Guido Gambone, Tullio Mazzotti, Gio Ponti; poco più tardi Carlo Zauli farà della propria bottega, aperta nel ’50, un punto di incontro per costoro, ai quali si aggiungono poi il francese Albert Diato, il marchigiano Nanni Valentini e il pugliese Pino Spagnulo. Pochi anni dopo l’apertura dell’atelier, nel ’53, Carlo Zauli vince il Premio Faenza con uno sconcertante vaso asimmetrico (allora si diceva “scentrato”) ornato da un fine rilievo su fondo turchese. Nel ’58 vince di nuovo, stavolta con un grande vaso in grès a bocca strettissima che ricorda più un pesce-luna o una scultura arcaica. Nella giuria sono presenti artisti come Fausto Melotti, assai sensibile alle nuove istanze della scultura e all’indagine su materiali non “aulici” e non convenzionali. Portando per la prima volta il grès su un podio d’onore, Zauli smentisce il primato -che a Faenza pareva incrollabile- della maiolica. Da lì in poi proseguirà una ricerca personalissima, volta a sondare tutti gli aspetti della scultura in ceramica: dal geometrismo delle forme perfettamente tornite (vince nel ’62 il suo terzo Premio Faenza con una coppia di vasi di pulitissimo e solidissimo rigore) fino alle rarefatte composizioni degli anni ’70 e ’80 dove Zauli si avvicina alla natura, lasciandosi suggestionare dalle forme più primordiali e più libere, in definitiva quelle della sua terra: le grandi “arate”, le bizzarre successioni di creste e solchi che ricordano il mare dei calanchi, le steli mosse dal vento, le sfere e i cubi che si liberano

della loro gabbia per sgretolarsi o per assumere vere e proprie ali. Nella sua spasmodica ricerca di verità e di semplicità si inseriscono anche i vasi sconvolti, i grandi pannelli a onde, le superfici a zolle, dove l’unico imperativo sembra quello di tornare alla bellezza naturale. Non a caso in Giappone -ove ha avuto un notevole successo- è maestro indimenticabile, unico capace di trattare l’argilla come un grande corpo umano e così di certificare l’esistenza della materia simboleggiandone la vita e la morte”.

Dall’alto e da sinistra: Museo Zauli, Sala degli anni ’50, vaso asimmetrico con decori a rilievo, maiolica, 1953 (foto Raffaele Tassinari); Museo Zauli, Sala degli anni ’80, “Genesi” 1984, grès, (foto R. Tassinari); “Premio Faenza” 1953, vaso asimmetrico con ornati a rilievo su fondo blu, maiolica, h cm 29 (Faenza, M.I.C.).

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