Artigianato 53

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S E G N A L A Z I O N I  AUTORI Elena Donadini Il tentativo di recuperare risorse presenti sul territorio e il desiderio di riscoprire antiche pratiche di lavorazione artigianale, stimola molti giovani creativi lombardi a proporre il loro lavoro attraverso laboratori, punti vendita, associazioni culturali, eventi, mostre, con e-siti spesso interessanti. Elena Donadini, giovane artista-artigiana di Uggiate Trevano (CO), alcuni anni fa decise di avvicinarsi all’antica arte della lavorazione del ferro, minerale che tra il XVII e XVIII secolo diede impulso allo sviluppo di una fiorente attività artigianale soprattutto nelle zone tra Brescia e Lecco. Tutt’oggi Premana (LC) rappresenta uno dei più importanti centri per la fabbricazione di forbici, coltelleria e attrezzi agricoli. Dopo la laurea al-l’Accademia di Belle Arti di Brera, uno dei pochi laboratori sperimentali in cui spesso la cultura del progetto incontra la cultura del fare, Elena apre un piccolo laboratorio, seguito nel 2001 da un punto vendita nella stessa cittadina.

Tavolo realizzato da Elena Donadini, lastra di metallo irregolare con inserti di ceramica raku.

Dalla pratica artigianale quotidiana, con pazienza e perseveranza, nascono opere uniche di “arte applicata”, frutto di studio e sperimentazione artistica intorno alla materia: complementi d’arredo co-me tavoli, sedie, cornici, paraventi, pez-zi unici ed originali concepiti sulle esigenze del cliente o frutto di ricerche da parte dell’autrice sulle nuove esigenze dell’abitare e sui bisogni di una società in continua evoluzione, attenta ad usi e consumi ma desiderosa di avere intorno a sé oggetti comunicanti. Interessanti i tavoli in ferro che inglobano ciotole di ceramica raku, tecnica anch’essa amata dall’autrice per i sempre imprevedibili risultati e per i caratteristici colori iridescenti che ricordano la lucentezza del metallo e che creano quindi giochi illuIsabella Taddeo sori affascinanti.

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Guido De Zan “Figure senza tempo, poco terrene, che guardano senza occhi, introspettivamente, attendendo forse momenti diversi per volgere il loro sguardo all’esterno, verso il mondo” così Guido De Zan, ceramista milanese, definisce alcune delle ultime opere, strane e sottili figure solcate da graffiti, bu-sti dalle linee sinuose vagamente u-mane. Da diversi anni la sua attenzione si è spostata dalla tecnica raku al-l’uso di porcellana e grès, materiali la cui cottura richiede temperature e-levate: “quando si lavora ai limiti del-la resistenza del materiale la terra inizia a muoversi, afflosciarsi, trasformarsi spontaneamente in una nuova forma” con risultati inaspettati, ma sempre degni di interesse. La produzione di De Zan spazia dalla scultura a oggetti e complementi d’arredo, co-me gli splendidi vasi realizzati con la tecnica della “lastra”: al primo sguardo sembrano sottili fogli di carta lievemente afflosciata su se stessa, attraversata da strani segni che accentuano il desiderio della materia di trasfigurarsi sul piano della bidimensionalità; sono forme silenziose e curiose, da osservare e toccare, a metà strada tra funzione e finzione, che invitano a riflettere sul materiale che tenta di diventare altro. La sua ricerca raffinata e gioiosa che si interroga sulle infinite possibilità espressive della ceramica è un’indagine ove realtà ed artificio si fondono e si confondono in un gioco altamente colto, che ri-corda le sperimentazioni di Picasso e Braque con i “papiers collés”. Svaria-te sue opere sono presenti in molte gallerie e nel suo laboratorio (Mila-no, colonne di S. Lorenzo). I. T. Vaso in grès di Guido De Zan.

Nedda Bonini Gli oggetti che Nedda Bonini ha portato a “Casa dell’Ariosto” di Ferrara, in occasione della personale “Confini mobili”, allestita dal 28/6 al 28/9/03, provengono dall’intima memoria di un’infanzia che ha continuato a esistere con le sue immagini, adattandosi di volta in volta al crescere della persona, al di fuori di qualsiasi infantilismo.

Opera-oggetto di Nedda Bonini.

Oggetti che si propongono, in un certo senso, come memorie in cui pe-rò l’accento non cade tanto sul ricordo, cioè sulla cosa, quanto piuttosto sull’azione, e cioè sull’atto del ricordare che evoca la cura con la quale devotamente sono stati costruiti. Il suo è un mondo tipicamente femminile, visto e ricreato con gli occhi di una donna che, finalmente, decide con semplicità di non sottomettersi alla sensibilità maschile ricalcandola, ma, giustamente appagata della propria condizione, sceglie il suo lato migliore per mostrarsi. Ed ecco allora che esercizi casalinghi, come il cucito e la conservazione, una volta filtrati attraverso l’elaborazione espressiva, diventano tecniche attraverso le quali giocare una manifestazione estetica, alla stessa stregua dell’incisione, nella quale Nedda è indubbiamente valente e sensibile sperimentatrice e attraverso la quale in realtà distilla qualsiasi altra concretizzazione delle sue immagini. Tutto serve per dimensionare a ricordo la percezione della realtà, ma non è un ricordo da tenere a distanza, incasellato nei polverosi scaffali di un museo personale da mostrare a un pubblico che, diligentemente, si aggiri tra le stanze della sua memoria con ossequiosa contemplazione. Sono, al contrario, ricordi che chiedono di essere usati, possibilmente con intima dolcezza, perché possano rivivere nel Angelo Andreotti presente.


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