Credete nella mia pura innocenza?

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luglio_2010

19-07-2010

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SAN CESARIO

È L’ESTATE CHE VA... POI RITORNA IL SERENO? Riflessioni di un bagnante accaldato sull’anno politico appena trascorso: onde anomale in vista di una stagione delle piogge che non tarerà ad arrivare

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l bello delle ferie estive è che mi lasciano il tempo per riflettere. L’anno lavorativo che si conclude, le occasioni perse e quelle colte, i buoni propositi per il prossimo inverno e quelli appena disattesi. Insomma, riesco a fare una sorta di bilancio consuntivo di questo ultimo anno. E ora che sono qui al riparo di questo ombrellone, le onde perpetue e ipnotiche del nostro splendido mare mi fanno ripensare a questi ultimi mesi del nostro paese, San Cesario, e ai suoi politici e amministratori. È vero, con poco sforzo potrei pensare a qualcosa di meglio ma, come ho appena detto, le onde sono ipnotiche… E allora rivedo il sindaco la scorsa estate, alle prese con una “rimodulazione” di giunta figlia dei numerosi autogol e harakiri della maggioranza durante le elezioni provinciali. Ripenso all’immobilismo amministrativo di quei mesi, all’estate trascorsa senza uno straccio di manifestazione culturale (ma anche solo di pura e onesta evasione). Penso ai laboratori politici, agli smarcamenti tattici, alle manovre di assestamento di qualche vecchio “nuovo politico”. Mi vengono in mente il trio comico delle

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“ciciri e tria”, responsabili (non loro, chiaramente, ma la delibera di giunta per il loro spettacolo) della rottura traumatica degli accordi tra i partiti della maggioranza e dell’allontanamento di due assessori. E proprio il benservito ai due assessori ha dato il via alla stagione delle battaglie frontali tra ex compagni di strada. Sono così ricomparsi i manifesti a firma di comitati di liberazione delle periferie, quelli doppi del PD (nel primo si diffidava e si prendevano le distanze dal sindaco, e nel secondo si

DI LUIGI PASCALI

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Ripenso al Pdl sancesariano, impigrito da anni di blanda opposizione, spiazzato dalla guerra tutta interna alla maggioranza. Ripenso alla sua affannosa rincorsa sui temi oggetto della battaglia, consapevole, forse, di aver compromesso le prossime elezioni comunali, avendo lasciato lo scettro di unico oppositore all’ex pupillo del garofano, ormai in rampa di lancio per ritornare là dove era seduto giusto venti anni fa (quando si dice il nuovo che avanza!). Penso allo stato d’animo di chi dovrà intavolare una difficile trattativa con l’ex-ma-forse-di-nuovosindaco, il quale, forte del suo esercito di firmatari, non cederà i galloni di generale molto facilmente (è un eufemismo…). Penso alle oasi con le palme e i cammelli, penso al deserto… alla sabbia… Oggi il sole picchia duro anche sotto l’ombrellone e l’afa non dà tregua. È meglio fare un bagno prima che la testa inizi a fumare e a bruciare quei pochi neuroni sopravvissuti. Buon bagno a tutti. Gianni Nobile gianni@alambicco.com

RUSCIU

nche se quest’anno l’estate si è proprio fatta desiderare, finalmente sembra essere arrivato il bel tempo e il caldo. Lo so, ci sono due partiti contrapposti, quello del caldo e quello del freddo ma, mi perdonerete, io aprirei una terza possibilità: lu partitu te lu friscu! Che non vuol dire caldo, ma che per esistere necessita di questi. Mi spiego meglio: avrete sicuramente provato la bellissima sensazione di ristoro, dopo una camminata o semplicemente una sosta sotto il sole, di sdraiarsi o semplicemente soffermarsi all’ombra di un grande albero: sembra di rinascere, se poi si è sfiorati da una leggera brezza te tramuntana, la goduria è infinita! Questa sensazione non potrebbe esistere se non ci fosse una esposizione ad una bella giornata di afa, preludio al sollievo paradisiaco te lu friscu! Non sto parlando di ventilatori o peggio ancora di condizionatori, che seppure risolvono anche seri problemi di salute, sovente ne causano degli altri.

diffidava e si prendevano le distanze dal primo manifesto). E ripenso alla primavera delle firme: 100, 500, 2000, 5000 e non abbiamo ancora finito! Qualcuno è rimasto chiuso in casa per paura di trovarsi a dover fare outing, di dichiarare il proprio tifo per l’una o l’altra squadra. Mi viene in mente il gruppo misto, un tempo pura ipotesi statutaria (fu modificato lo statuto per consentirne la costituzione con un solo consigliere invece che con due) e oggi porto sicuro per ogni piccola mareggiata.

A scàccu te sule Parlo di una sana e genuina ombra, che mi riporta ai tempi in cui i frigoriferi non esistevano, alcuni fortunati possedevano una ghiacciaia alimentata con blocchi di ghiaccio di cui abbiamo già detto, ma i più si industriavano diversamente. Erano i tempi in cui quasi tutti possedevano lu puzzu o la cisterna nei quali si calava lu sargenìscu per tenerlo an friscu e l’acqua per bere, tirata a forza di braccia cu lu ‘nzartu e lu sicchiu te rame zingata si teneva intru allu mmìle te crita per mantenerla fresca; il recipiente era chiuso con un tappo ricavato te ‘nu stanghiteddhru te arveru te fica, sapientemente modellato con il coltello, che oltre a preservare l’acqua da impurità, conferiva un sapore aromatico all’orlo, quando ci si dissetava, rigorosamente “a canna”. I tappi di sughero erano una rarità! L’acqua per uso domestico si teneva intru alle menze, sempre te rame zingata, compreso lu tampagnu. La calata te lu sargeniscu richiedeva una tecnica e una perizia speciale, in

quanto veniva posto in un secchio che doveva essere mantenuto a pelo d’acqua, in quanto il frutto, galleggiando, se fuoriusciva dal secchio vagava in fondo al pozzo facendo impazzire quanti ne tentavano il recupero. Talvolta veniva persino richiesto l’intervento di veri e propri campioni te li pampauddhri (attrezzo in ferro, a forma di croce, con numerosi ganci fissati a catenelle, assicurato ad una corda, ideato per il recupero dei secchi precipitati accidentalmente in fondo ai pozzi) ma non sempre l’esito era positivo: anu rimasti sargenischi pe’ misi, abbasciu alli puzzi e in quei casi si consumava anche un piccolo dramma, poiché lu sargeniscu ‘nfetesciutu rendeva l’acqua inutilizzabile per qualche tempo. Per fortuna c’erano sempre i pozzi dei vicini, in tempi in cui la solidarietà non era quella di oggi. Tempi in cui noi ragazzini, incuranti del sole che cuoceva la pelle, a scàccu te merìsciu, giocavamo scalzi a pallone per ore, inseguendo e avventando-

ci tra erbacce, petre te frìcciu e ausapìeti (erbe dai piccoli frutti spinosi: da qui il nome) su una sfera che con grande fantasia chiamavamo pallone te cuoiu, sperando di non colpire con l’alluce o peggio ancora di testa una delle innumerevoli grossolane cuciture di spago su ciò che era rimasto di quel “cuoio”. Il proprietario di quella sfera faceva il bello e cattivo tempo, pena il ritiro dell’agognato oggetto e conseguente fine delle scorribande te merìsciu. Lui decideva chi giocava e chi no e in quale ruolo, lui determinava le squadre (la soa engìa sempre), lui decideva quando lu pallone ulìa gonfiatu, (essendo rigorosamente dotato te pompa e spillu!). Spesso si passava più tempo a discutere se la “palla” aveva oltrepassato o no la porta (ddò piezzi te tufu) che a giocare. Tutto, sempre, a scàccu te merìsciu!

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