L'eredità di Leandro

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periodico di politica cultura società • www.alambicco.com

Deriso in vita, diviso in morte. Comune, Sovrintendenza, appassionati, cittadini stanno lottando contro il tempo per tentare di far apporre un vincolo che salverebbe le opere e il Santuario del grande artista sancesariano

anno XII numero 59 • ottobre 2013 • distribuzione gratuita

L’eredità di


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Il riscatto del figlio rinnegato A 32 anni dalla scomparsa, San Cesario prova ancora una volta a rilanciare la figura del suo concittadino più eccentrico: Ezechiele Leandro

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n trovatello di Lequile dei primi del ’900, dalla personalità complicata, distorta, adottato controvoglia da una San Cesario che, fintanto in vita, non l’avrebbe mai accettato. Troppo scomodo per lu paise ranne quel suo essere schivo, scontroso, almeno in apparenza irrispettoso di tutto e tutti. Abbiamo iniziato ad apprezzare troppo tardi quei suoi impasti fatti di terra battuta, cocci colorati, olio d’oliva. Quelle sculture di cemento e frammenti di terracotta. Troppo tardi per chiedergli scusa. Ma in fondo, tutto questo lo aveva previsto e, a suo modo, anche detto in quell’opera che chiamava “il mio autoritratto”: una scultura rappresentante un grosso maiale. Disprezzato in vita, “gustato” a pieno dopo la morte. “Ezechiele Leandro rappresenta una risorsa importante per il nostro territorio ed il recupero e la salvaguardia delle sue opere è un’operazione culturale di altissimo valore, un dovere alla memoria dell’artista. […] È nostra intenzione attivare tutti gli strumenti idonei per la definizione di un progetto che, con il coinvolgimento della Provincia di Lecce, l’Università, l’Accademia di Belle Arti ed il Museo Provinciale “Castromediano”, promuova un ritratto completo dell’artista, un censimento delle opere, la salvaguardia

e la ristrutturazione della casa-museo e del Giardino della pazienza” (febbraio 2002). Ad esprimersi così un giovane Salvatore Capone, ancora sindaco, nella presentazione del volumetto La Creazione (opera letteraria di Leandro, ndr). Omaggio che San Cesario elevava al genio di Ezechiele a 21 anni dalla morte. A riportarmi a queste poche righe è stato un articoletto a firma del compianto Ennio Bonea (deputato ed uno dei più importanti docenti universitari del nostro ateneo) pubblicato sul numero zero de “l’alambicco”. Un salto indietro di 11 anni in cui già emergeva, dirompente, la voglia della comunità di riscattare il figlio rinnegato. Uno dei suoi concittadini più illustri e chiacchierati. Sicuramente il più eccentrico. A distanza di tanti anni, fa specie sapere disattesi tutti quei buoni propositi. Svegliarsi una mattina qualsiasi dell’estate 2013 e scoprire “profanato” di parte delle sue creature quel Santuario, emblema dell’originalità e della creatività dell’artista. Quanto vale, al borsino dei sentimenti offesi, l’annichilimento culturale di quell’opera? Perché non si è più dato corso alle promesse sbandierate da Capone in quel febbraio 2002? Per capirlo occorre fare un ulteriore passo indietro. Siamo nel 2001. Eredi, Comune, Provincia ed

Immagine aerea del Santuario della Pazienza (foto di Roberto Leone)

Accademia delle Belle Arti sottoscrivono un protocollo d’intesa per la catalogazione delle opere di Leandro e la sua rivalutazione complessiva (messa in sicurezza del Santuario in primis). L’anno successivo il Comune, in accordo con gli eredi, pubblica a proprie spese un volumetto (per l’appunto, la già citata Creazione – ndr) ed elabora un progetto per la copertura del Santuario. Realizzare quest’ultimo passaggio implica la concessione della struttura (non delle opere), per svariati anni, ad un ente pubblico (magari il museo “Sigismondo Castromediano” o lo stesso Comune) o la costituzione di un soggetto giuridico (fondazione, associazione o simili) che possa presentare il progetto e gestirlo sotto l’aspetto economico e finanziario. Per un motivo banalissimo: un ente che non risulti essere il proprietario o il gestore di un bene non può chiederne il finanziamento. A questo punto qualcosa si rompe. Gli eredi entrano in un reciproco disaccordo e il tavolo salta. Anni dopo, incalzato dall’associazione Variarti, uno dei successori lascia intendere, parlando al nostro giornale, che la ripresa del dialogo non è cosa impossibile. Così, Moscara Associati inserisce Ezechiele Leandro all’interno di un progetto di “museo diffuso” che avrebbe coinvolto l'intero

territorio. Sembra la volta buona ma, in continuità col passato, l’iter si arena e, di conseguenza, gli eredi (legittimati dalla legge) procedono con la divisione delle opere. Ognuno per la propria quota. In questi ultimi anni, grazie a Luigi Negro e al gruppo de “Lu cafausu”, l'opera di Leandro è tornata alla ribalta nazionale ma di progetti concreti o di accordi nulla. Confidenzialmente, nel 2011, un nipote dell’artista ci conferma la volontà di vendere le opere ma senza alcuna catalogazione (come diceva Andreotti? A pensar male…). A questo punto il Comune avrebbe potuto acquistare le singole tele e destinarle al museo cittadino oppure acquistare l’intero immobile, opere incluse. Ma quel sarebbe stato il loro valore? Senza catalogazione è impossibile una stima, se non quella di mercato per un suolo, quello del Santuario, ad oggi edificabile. Qual è il prezzo corretto per le opere del nostro? Inoltre, è eticamente corretto riempirsi le tasche di soldi pubblici per appagare i propri fini senza preoccuparsi minimamente della tutela dell’artista? Personalmente, è una strada che rifiuto. Con le mani legate dai vincoli sul diritto d'autore, ma con la ferma volontà di tutelare il genio di Leandro, la macchina pubblica si è gettata in un ultimo, disperato, tentativo: far porre il vincolo artistico su casa-museo e Santuario della Pazienza. Questo impedirebbe a chiunque di disporre delle opere a proprio piacimento. Quadri e sculture verrebbero catalogati, impedendo la messa in circolo di (ulteriori) falsi. Il 12 agosto prima ed il 20 settembre poi, casamuseo e Santuario della Pazienza sono stati oggetto di visite ispettive della Sovraintendenza alle Belle Arti. I fascicoli, redatti, sono stati trasmessi alla Sovraintendenza di Bari che il primo ottobre è venuta nel nostro comune per fare rilievi sulle due strutture e dare il via all'istruttoria preliminare (che è in fase molto avanzata). Tutto fa presagire che la possibilità che la casa-museo venga valorizzata come “laboratorio d’arte”, con la conseguente imposizione del vincolo, è più che una speranza. Parallelamente il Comune, nella persona del sindaco, ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica per informarla del tutto. Inoltre, facendo proprio il sentimento popolare di promuovere, valo-


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rizzare e salvaguardare l’opera di Leandro, ha messo in cantiere un ricco programma che, da qui a dicembre, dovrebbe rilanciare con forza la figura dell’artista. 12 ottobre “Ma ormai suntu Lenadro” - proiezione di filmati su Ezechiele con interventi, tra gli altri, di Giuliano Capani (autore di un’intervista a Leandro) e del già citato Luigi Negro. 2 novembre - in occasione della Giornata dei Vivi organizzata dal gruppo Lu Cafausu, proiezione di un docufilm sull’artista, con interventi del regista Corrado Punzi e dei critici d’arte Cesare Pietroiusti e Achille Bonito Oliva. In dicembre - Io mostro Leandro: esposizione antologica con opere pro-

venienti dalle case dei concittadini ed estimatori. Oggi Leandro è apprezzato in una mostra in Milano. Nel 2014 ad aprirgli le porte sarà la Biennale di Venezia. Chissà cosa ne avrebbe pensato Ezechiele di tutto questo “chiasso” attorno ai suoi lavori. Non so. Mi piace immaginarlo seduto su una qualche panchina con alla destra Picasso. A sinistra, Dalì. In silenzio, a osservare. Poi all’improvviso, scuotendo il capo, infrangere quella calma con una delle sue frasi proverbiali “nu capiscenu nienti. è inutile ca parlanu, tantu nu capiscenu nienti”.

Una casa per l’acqua Il Comune di San Cesario ha appena pubblicato il Bando per la realizzazione di due “case dell'acqua”

Paolo De Blasi paolo@alambicco.com

Firma anche tu Da pochi giorni è possibile firmare una petizione online per la salvaguardia di Leandro

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uigi Negro e il suo gruppo “Lu Cafausu” sta diffondendo in rete e tra artisti e intellettuali una petizione per la tutela del patrimonio artistico di Leandro. Ecco il testo della petizione che si può firmare online sul sito: www.change.org “Alle Istituzioni e a chiunque riconosca nel "Santuario della Pazienza" e nell’opera di Ezechiele Leandro un valore culturale e artistico da salvaguardare e da ricomporre: Chiedo la tutela del Santuario della Pazienza come patrimonio collettivo nazionale. Riconosco l’alto valore artistico e culturale nell’opera di Ezechiele Leandro. Riconosco il Santuario della Pazienza come unità organica inalienabile e indivisibile. Ne chiedo la tutela come patrimonio collettivo. Condivido e sostengo l’azione delle Soprintendenze per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Lecce, e per i Beni Storici e Artistici di Bari, promossa dal Comune di San Cesario di Lecce, finalizzata all’apposizione del vincolo di tutela. Condanno qualsiasi azione volta a smembrare o depauperare l’intero patrimonio del Santuario della Pazienza, concepito dall’artista come corpo unico. Chiedo a chiunque sia depositario o proprietario di opere provenienti dal Santuario della Pazienza di dare la propria disponibilità a restituirle al loro luogo di origine.” Firmiamo tutti, non costa niente.

’Italia detiene il primato europeo di consumo di acqua minerale in bottiglia: ogni anno ne consumiamo 194 litri a testa. La confezione (in bottiglie di plastica) e il trasporto (principalmente su gomma) dell’acqua minerale hanno enormi ripercussioni sull’ambiente, in termini di emissioni di gas serra e di rifiuti prodotti. Da questa considerazione nasce il progetto “Casa dell’Acqua”, un distributore pubblico di acqua filtrata in forma liscia, refrigerata o gassata, dove il cittadino può riempire self-service le proprie bottiglie a un costo molto basso rispetto a quelli di mercato. “Si tratta di un progetto – ci ha dichiarato il Sindaco Andrea Romano – concreto di sostenibilità, grazie al quale ci auguriamo che le abitudini dei nostri concittadini cambino in meglio: verrà fornita acqua di qualità, si risparmierà e si darà una mano all’ambiente, diminuendo la produzione e la circolazione di plastica e, quindi, le emissioni di CO2 in atmosfera. Insomma, un gesto semplice ma di grande significato economico e ambientale.” Come funzionerà la “Casa dell’acqua”? Ancora siamo nella fase del bando (che scadrà il 31 ottobre p.v.),

per cui ci potranno essere delle modifiche. Tuttavia il concetto è semplice: il cittadino si reca nella “Casa” con i propri recipienti in vetro e, a fronte di un piccolissimo contributo economico (che dovrebbe aggirarsi attorno ai 5 centesimo al litro) potra scegliere tra acqua liscia, effervescente e refrigerata. Con un sistema di filtri, infatti, l’acqua che proviene dall’Acquedotto Pugliese (e che è già ottima in partenza) verrà microfiltrata e sterilizzata con una lampada a raggi ultravioletti che distruggerà il Dna dei batteri. Un filtro composito, poi, renderà l’acqua priva di cloro e gradevole al gusto. Secondo l’Istat, mediamente ogni singola “Casa” già impiantata in alcuni Comuni, eroga 2.500 litri al giorno, che equivalgono a circa 1.700 bottiglie in plastica da un litro e mezzo. In un anno, quindi, prelevando l’acqua dalla “Casa” si “risparmiano” circa 620 mila bottiglie. Tradotto in numero di mezzi pesanti che circolano per il trasporto delle confezioni d’acqua significa 65 TIR in meno su strade e autostrade. Una scelta ecofriendly che ci piace e che speriamo venga accolta positivamente dalla nostra comunità.

A N N A PARRUCCHIERI PER DONNA DAL 1981 73016 SAN CESARIO DI LECCE (LE) • Via Leone 2 • 0832.200627 • 3491302488

La redazione

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Calendario 2014 un grande ritorno

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i siamo presi un anno di pausa perché pensavamo che il “Calendario di San Cesario”, quello che ogni anno dal 2004 ha raccontato la storia della nostra comunità, avesse svolto oramai il suo dovere. E invece questo 2013 orfano delle vostre foto – quelle di vita quotidiana, delle ricorrenze speciali, delle giornate di lavoro o di festa, dei giochi e dei riti – non è passato inosservato: moltissimi sancesariani ci hanno chiesto di ritornare sulla nostra decisione e di ripubblicare il calendario per il 2014. Eccoci qua, allora, per questo nuovo capitolo della nostra storia a cui, come sempre, vi chiediamo di contribuire direttamente mandandoci le vostre foto, aprendo l’archivio di famiglia, quello che va dagli anni ’80 indietro fino a quando i ricordi non sbiadiscono completamente.

L’oro in cantina

In 9 edizioni abbiamo pubblicato oltre 300 foto: da quella che ritraeva la storica visita del campione di ciclismo Bartali alle scene dai matrimoni; dalla processione di San Cesario alle formazioni storiche della nostra squadra di calcio; dalla costruzione del Calvario ai “capucanali”... e tante, tantissime altre. Eppure non basta: San Cesario ha molto altro da raccontare e il “Calendario dell’alambicco” tornerà a fare bella mostra di sé nelle case, nei negozi, nei mercati del nostro paese e dei sancesariani che vivono fuori, aiutando a mantenere vivo quel filo fragile e prezioso che lega ciascuno alle proprie origini. Che aspettate allora? Portate le vostre foto, prenotate la vostra copia!

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rriva l’autunno e riprendono le attività della nostra associazione. Il primo appuntamento sarà legato alla rassegna “L’oro in cantina”, il percorso di degustazioni enogastroniche giunto ormai alla sua quarta edizione. Giovedì 17 ottobre, alle ore 20,30, ospiteremo la cantina Giovanni Petrelli di Carmiano e i suoi vini. Come sempre, saremo guidati da Michele Marangio (sommelier e collaboratore della guida ai vini di SlowFood). Contattateci per prenotarvi (i posti sono limitati): 392.7104152.

La redazione

Contattateci per mandare le vostre foto: 392.7104152 / 393.5384433

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rUsCIU

dI LUIgI pasCaLI Non saprei dire se sono un buon narratore, ma credo di essere almeno un discreto “osservatore”, nel senso che difficilmente guardo distrattamente le “cose” inusuali che possono capitare in qualsiasi momento della giornata. Alcune cose, parole, alcune persone, provocano nella mente sensazioni improvvise, talvolta violente, talvolta di una tenerezza infinita, forse anche un po’ ingiustificate, ma tant’è che la preoccupazione di essere invecchiato diviene sempre più vivida: sarà il momento di affrontare la realtà di qualche (tante) ruga e qualche (i pochi rimasti) capello bianco? Opto per la soluzione di non pensarci, almeno per il momento! Una mattina di luglio, quelle della prima afa di quest’anno, che impigriva ancor di più la mia giornata, alzo gli occhi e mi appare una figura che, come una bevanda ghiacciata al punto giusto, mi catapulta a poco meno di cinquant’anni fa: mi rivedo bambino, cu’ li causi curti te la festa, quando nel nostro paesello La Festa te San Cisariu era degna di questo nome. Eravamo tutti ’mposumàti e mpumatàti te brillantina Linetti, cu la scrìma te coste (li chiù “titìlli” cu’ la scrima a ’mienzu!). La paraziòne, la banda, la cassarmònica, li palloni aerostatici, le baràcche, li giocàttuli, le nucèddhre, la cupèta… lu passèggiu (lu strùsciu)… avevano un fascino magico, che dopo l’adolescenza, non ho mai più ritrovato: proba-

Fucili e bovoloni bilmente l’entusiasmo, la spensieratezza di fanciullo ne viziano il ricordo… ma due erano le cose a cui si ambiva di più: le giostre e li fucili! Le giostre le ho vissute poco, poiché dopo i primi giri, era proibitivo acquistare i famosi gettoni te plastica… allora con i pochi spiccioli concessi si andava a sparare alla barracca te li fucili. E qui si fa largo nei miei pensieri, come avventuriero col machete nella giungla, il nostro personaggio: Attilio Tondi, che ai più dirà poco, ma se dico SETTECUERI nessuno potrà fare a meno di pensare ad una figura storica di S. Cesario: fisico asciutto, provato dalla fatica (tanta), coppola, sopracciglia irte, baffetto da sparviero, alla Clark Gable, che faceva da corona alla dentatura leggermente sporgente, asimmetrica, quelle dentature che rendono simpatici. Sguardo vispo, attento, linguaggio “commerciante” (da non confondere con “commerciale”), italiano approssimato e incerto, affidato ad una voce graffiante, accattivante, lanciata in un magnetofono la cui membrana era protetta da un fazzoletto legato con lo spago, assicurato al collo con un robusto filu te ramerussa per avere sempre le mani libere. Attilio gestiva la sua barràcca; con 10 o 15 lire potevi sparare un colpo con un fucile ad aria compressa modificato: sulla canna era saldato un adattatore in ottone nel quale posizionava un piccolo tappo di sughero (che riciclava) “sputa-

to” dall’aria del fucile verso la fila dei “bovoloni” (una piccola confezione di Wafers) sistemati a poca distanza: se il bersaglio cadeva nella tela sottostante, ci si assicurava un delizioso biscotto. C’erano anche le bottigliette mignon dei liquori, ma era difficile colpirle e non adatte alla nostra tenera età. Noi ci concedevamo alcuni colpi. Sparando, sognavamo di emulare Ringo o Django… e i “bovoloni” erano i nostri fuorilegge! Attilio non gestiva solo i fucili, diversificava la sua attività di ambulante delle feste non solo lavorando sodo nei campi di giorno, per far vivere dignitosamente la sua bella e numerosa famiglia, arretu alla Giurdàna, ma alternava i fucili con altre “attrazioni” ormai desuete: il tiro ai pesciolini rossi, dove riuscire a fare “canestro” in un vasetto, con una pallina da ping pong ti consentiva di vincere un pesciolino; la giostrina del porcellino d’india (mai visti prima, tant’è che spesso era scambiato per un grosso topo) coperto al centro di una raggiera composta da tanti scomparti numerati. L’animaletto, una volta liberato, correva a ripararsi ina una di quelle piccole caselle, e il fortunato possessore del biglietto con il relativo numero vinceva una bottiglia di spumante, pomposamente definito “sciampagna italiano”. Mitica era la baracca della pesca alla bottiglia, dove l’abilità consisteva nel riuscire ad infilare un anello fissato ad un’asta nel collo di una delle bottiglie

sistemate al centro di un perimetro appositamente delimitato. Al passaggio di qualche leggiadra signorina, l’ammiccamento al magnetofono era immancabile, esplicito, ma mai eccessivo, mai volgare. Talvolta produceva un suono nasal-gutturale improponibile con una descrizione (i più curiosi possono contattarmi per una dimostrazione dal vivo) seguito da semplici, efficaci parole: “Giovanotti, la infiliamo una bella bottiglia di sciampagna pe’ la signorina?” e li beddhri carùsi acquistavano immediatamente l’asta fornita di anello per tentare di catturare una bottiglia, nella vana speranza di “stapparla” in compagnia della bellona che, fintamente stizzita ma adulata, si allontanava ancheggiando tra la folla! Tutto questo mi sono raccontato, in pochi secondi, quella mattina, di fronte alla figlia Antonietta, chiedendo solo qualche piccola conferma. Quando mi ha detto, concedendosi una lacrima, che Attilio se n’è andato a gennaio, a 86 anni, assistito fino all’ultimo dall’amatissima figlia, mi sono intristito, ma solo per un istante: mi piaceva pensare ad Attilio che faceva pescare le bottiglie agli Angeli, per festeggiare una vita intensa e dignitosa!


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L’Hospice di san Cesario: traguardi e prospettive Dopo un’esperienza pluriennale di assistenza agli ammalati in fase terminale, è stato presentato nei giorni scorsi un progetto di assistenza domiciliare. Ne abbiamo parlato con il Direttore Sanitario dott. Vincenzo Caroprese e il coordinatore infermieristico Luisa stefanizzi Facciamo il punto della situazione sulla struttura, a dieci anni dalla sua apertura. Quali sono stati i riscontri sul territorio e quali gli aspetti del servizio da migliorare? Nei primi anni non abbiamo avuto delle richieste numerose, abbiamo utilizzato otto, nove posti su un totale di dodici disponibili. Ora si lavora con tutti i posti occupati e potrebbero aumentare con l’aumentare delle richieste. Abbiamo faticato molto per riuscire a far capire il reale servizio che offre questo tipo di struttura, superando pregiudizi e facili etichette. Per anni siamo stati considerati come l’ospedale dei morti. Questa struttura ha un merito che va aldilà dell’assistenza ai malati che la collettività ci ha assegnato: c’è la consapevolezza di aver gettato un sasso in uno stagno. L’Hospice di San Cesario è stato il primo della Regione e ha portato la gente a confrontarsi con una dimensione della vita che culturalmente si è cercato spesso di rimuovere. Abbiamo dato un nuovo tipo di assistenza, che prevede una presa in cura globale dei pazienti, per garantire il pieno rispetto dei loro diritti e della loro dignità. La differenza tra l’hospice ed un ospedale, oltre alla tipologia dell’ammalato sta nel fatto che nella nostra struttura viene accolto l’ammalato e la sua famiglia. La presenza della famiglia è un continuo, senza limitazione di orari. I familiari possono contare su un’assistenza psicologica che li segue, li prepara ad un evento ineludibile e comunque doloroso, al lutto. Rispetto ai parametri della Legge 38/10, non solo al potenziamento qualitativo e quantitativo delle dotazioni sanitarie, ma anche

all’accessibilità all’assistenza, a che punto siamo in Puglia? In Puglia sono circa 1800 all’anno i pazienti in fase terminale che necessitano di cure palliative. Nel Salento ci sono al momento due strutture pubbliche operanti, l’Hospice di San Cesario e l’Hospice di Tricase. In Puglia sono in tutto tredici le strutture di questo tipo. Un buon supporto è dato dalle associazioni di volontariato. Importante novità che vi riguarda è la presentazione di un progetto di assistenza domiciliare. Cosa prevede? In Puglia l’assistenza domiciliare viene fatta nella gran parte dei casi da associazioni, per es. Lilt, Alt. La nostra struttura è nata senza prevedere l’assistenza domiciliare. L’idea di questo progetto nasce da un lato dalla continua richiesta di assistenza che registriamo e, dall’altro lato, dalla possibilità di contare, al momento, di personale più che sufficiente e particolarmente addestrato. Abbiamo presentato insieme al Dott. Rodolfo Rollo, Direttore generale AUSL Brindisi, un progetto che muove dall’idea di impegnare le professionalità che negli anni abbiamo formato, nel territorio. Portare sul territorio le cure palliative significherebbe offrire un ulteriore sostegno alle famiglie che, laddove possibile, potrebbero curare i propri familiari in casa. L’aspetto più difficile è saper stare accanto ai malati e alle loro famiglie. Affianco all’aspetto tecnico-assistenziale c’è la possibilità di fare insieme un percorso di sostegno, di accompagnamento. Non esiste una semiotica palliativa, è più facile gestire il dolore fisico che l’angoscia. Il progetto è destinato, almeno inizialmente, ad un

Periodico di politica cultura società Anno XII n. 59 - Ottobre 2013 IscrItto al n. 792/2002 del reg. stampa del trIbunale dI lecce

Direttore responsabile: giancarlo greco. Hanno collaborato: antonella perrone, aristodemo de blasi, cristian nobile, emanuele Faggiano, enrico tortelli, gianni nobile, giuliana scardino, giuseppe nobile, Ilaria parata, lucia luperto, luigi patarnello, luigi pascali, paolo de blasi, paolo Verardo, pierluigi tondo, pierpaolo lala. Redazione: via umberto I, 65 - san cesario di lecce e-mail: redazione@alambicco.com internet: www.alambicco.com facebook: www.facebook.com/redazione.alambicco twitter: @lalambicco Distibuito gratuitamente a San Cesario, Cavallino, Lequile, San Donato stampato presso: s.&g. grafiche - galugnano (le) Chiuso in tipografia il 7 ottobre 2013 alle ore 23

territorio limitato, comprendente i paesi del circondario. Che ruolo hanno i volontari? Nel nostro hospice lavorano da anni i volontari dell’associazione Il Mantello di San Martino, fondata dai familiari dei pazienti assistiti. Anche nel servizio di assistenza domiciliare, potrebbero dare un sostegno alle famiglie. Sarebbe anche per loro una continuazione del servizio offerto nell’ hospice. Nel nostro territorio la disponibilità ad offrire questo servizio, dopo un iniziale entusiasmo, si è affievolita nel tempo, probabilmente per il tipo di impegno emotivo che richiede. In questo momento avremmo bisogno anche di volontari portinai che si occupassero anche solo della prima accoglienza di pazienti e familiari. Come riuscite a conciliare la professionalità con le implicazioni emotive del contatto con questa realtà? Ciascuno di coloro che opera in questa struttura è cambiato nel tempo. La visione della realtà è diversa, ci si rapporta in modo diverso con il quotidiano, siamo migliorati, perchè anche il vissuto personale è visto e valutato in modo diverso. Ma abbiamo anche imparato a difenderci dall’emotività eccessiva. C’è un rapporto stretto con i nostri ammalati pur sapendo che i tempi sono spesso brevi, brevissimi. Si vive la realtà con una consapevolezza maggiore e si apprezza quello che si ha. Chi entra nell’ hospice deve sentirsi da subito accolto e percepire che ci sono persone sulle quali contare e di cui fidarsi. Tra accanimento terapeutico ed eutanasia, una terza via che preserva la dignità della persona, oggi è data dal ricorso alla sedazione terminale.

È necessario essere chiari a riguardo. Noi pratichiamo la sedazione parziale con degenti che ne hanno necessità. Ogni passo in questo settore terapeutico lo concordiamo con i familiari, anche perchè fattivamente si interrompe il loro rapporto con l’ammalato, ed è l’ultima scelta cui si ricorre, quando non si può farne a meno. Noi ci occupiamo di malati che hanno problematiche cliniche in fase terminale, ma il dibattito sull’eutanasia, oggi, è molto acceso e riguarda anche altre patologie, ad esempio di natura psicologica, che spingono alcuni ad andare all’estero per poter ricorrere alla morte dolce. È necessario perciò che si affronti il problema e che si operino delle scelte chiare. Quanto alla realtà dell’accanimento terapeutico, figlia di un retaggio culturale, sembra si stia gradualmente superando. Di fronte a casi in cui non si può più far nulla è opportuno, giusto, continuare ad assistere un ammalato pur nella consapevolezza che non si può strapparlo alla morte. È stato questo un salto qualitativo determinante, compiuto in tempi brevi dalla Sanità. Un malato terminale oggi non viene più semplicemente rimandato a casa, dicendogli che non c’è più niente da fare, ma ha la possibilità di essere assistito in un hospice o dalle associazioni di volontariato. Giuliana Scardino giuliana@alambicco.com

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Non solo serT Da luglio è operativo il nuovo SerT di San Cesario. In arrivo altre due attività che renderanno la nuova struttura un vero centro polifunzionale

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pre il nuovo SerT di San Cesario (il Servizio per le Tossicodipendenze), ovvero la struttura color corallo situata sul lato ovest della circonvallazione ed in merito alla quale già scrivemmo lo scorso anno. L’apertura è avvenuta, un po’ in sordina, il 1° luglio 2013 appena sono state raggiunte le condizioni minime per garantire la continuità del servizio fino a quel momento operato presso l’ospedale di San Cesario. Ancora una volta è il dott. Salvatore Della Bona, direttore del Dipartimento Dipendenze Patologiche dell’Ausl di Lecce, a fornirci informazioni in merito, spiegandoci che l’impegno di traguardarne l’apertura per la fine del 2012 si è scontrato (guarda un po’!) con i tagli ai finanziamenti che interessano oramai tutti i settori pubblici. Questa volta, però, la Direzione dell’ Ausl si è dimostrata fermamente decisa nel perseguire l’obiettivo dell’apertura del nuovo centro: nonostante i finanziamenti siano bastati per la copertura delle sole ristrutturazioni e messa in sicurezza, essa si è adoperata per individuare nuove voci di budget da cui attingere il denaro necessario per l’acquisto degli arredi che rischiavano di bloccare ulteriormente l’avvio delle attività. “L’accelerata della Direzione Ausl nel condurre il progetto in porto”, ci svela, “è dovuta a due ragioni principali: miglioramento della qualità del servizio, attraverso l’accoglienza dei pazienti in locali nuovi e più ampi e attraverso il decentramento dello sportello in favore di una maggiore privacy, e la minaccia

di nuove irruzioni vandaliche”. Ulteriore passo in avanti è stato fatto dal punto di vista dello staff con l’inserimento di un infermiere al fianco del medico e dello psicologo già operanti e con la possibilità futura di reclutare nuovo personale per il potenziamento del servizio. Al momento l’ambulatorio è garantito dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle 14 più due aperture pomeridiane. La struttura, inoltre, aprirà le porte dei locali superiori per accogliere altre due attività. La prima, come già anticipammo, è lo sportello di Psicoterapia Famigliare, attualmente presso il Vito Fazzi di Lecce, che continuerà ad offrire a San Cesario il sostegno ai soggetti che soffrono di disagi dovuti a difficoltà di apprendimento scolastico, disturbi dello sviluppo psicofisico, della socializzazione dei minori e della gestione delle problematiche di coppia o individuali degli adulti. La seconda attività, invece, è quella della Lila (la Lega Italiana per la Lotta all’AIDS) di Lecce che, con il suo possibile insediamento, potrebbe consolidare i già stretti rapporti di collaborazione con il SerT con il quale è stata negli anni impegnata in iniziative e convegni in favore della prevenzione. Insomma, la struttura, che in origine era destinata ad ospitare solamente il nuovo SerT, adesso sembra assumere i contorni di un centro polifunzionale di assistenza che mira a migliorare il servizio a giovani e famiglie vittime di disagio. Pier Luigi Tondo pierluigi@alambicco.com

Le avventure di Nonna papera

Il Commissario Basettoni era in ferie...

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d agosto ero in vacanza sulla bellissima spiaggia di Torre del Morso quando è venuto a trovarmi il mio amico Pippo con alcuni suoi amici per trascorrere insieme una piacevole giornata al mare. Ed in effetti l’acqua cristallina ed il solleone di agosto ci hanno regalato piacevoli ore di divertimento, tuffi e nuotate, durante le quali Pippo mi ha tra l’altro raccontato di una sua escursione in barca nel Golfo di Taranto pochi giorni prima, durante la quale aveva avuto l’occasione di ammirare numerosi delfini a cui aveva fatto anche alcune splendide fotografie con la sua reflex. Reflex che aveva portato con sé proprio per farmele vedere. Oggi vi racconto perché né io né Pippo, né in verità nessun altro, ha potuto più vedere queste foto. È tutta colpa del Commissario Basettoni, che quel giorno purtroppo era in ferie. Usciti dall’acqua io e Pippo ci siamo avviati verso l’ombrellone sotto il quale aveva lasciato la sua macchina fotografica quando i vicini di ombrellone ci sono venuti incontro per avvisarci che due ragazzotti con una birra in mano e dei vistosi tatuaggi sulla schiena si erano con destrezza impossessati della macchina fotografica, allontanandosi poi verso la pineta che circonda la spiaggia. Noi però non ci siamo persi d’animo e subito, con l’aiuto degli stessi vicini di ombrellone e dei ragazzi del lido balneare presso cui ci trovavamo ospiti, ci siamo messi alla ricerca dei due ladruncoli, che dalle descrizioni di chi li aveva visti all’opera avevano caratteristiche piuttosto riconoscibili. Poco dopo i nostri sforzi sono stati premiati: uno dei ragazzi del lido ha visto sotto la pineta due giovinastri che corrispondevano alla descrizione e, chiamati subito due dei vicini di ombrellone che li avevano visti rubare la macchina fotografica ha avuto da entrambi la conferma che si trattava con certezza delle stesse persone. Mentre due di noi li seguivano a distanza, abbiamo subito chiamato i Carabinieri della vicina Stazione di Perendugno, raccontando loro il fatto e chiedendo quindi il loro pronto intervento. Sono trascorsi invano lunghissimi minuti di pedinamento nell’attesa dei Nostri. Per fortuna i due malviventi, ignari di essere stati individuati, si sono fermati a mangiare in una vicina pizzeria con altri tre punkabbestia, mentre

un altro gruppetto di loro restava sotto la pineta. Non vedendoli arrivare dopo tanta attesa un nostro amico ha chiamato nuovamente i Carabinieri, sentendosi rispondere che sì, avevano già ricevuto una segnalazione del fatto e che avrebbero… (sic!) inviato una macchina. (Che evidentemente non era ancora neanche partita!). A quel punto abbiamo chiamato la Questura, dove l’operatore ci ha spiegato che loro non potevano intervenire, trattandosi di località di competenza dei Carabinieri di Perendugno, e che avrebbero al massimo potuto fare un sollecito. Li abbiamo pregati di fare almeno questo, ed in effetti pochi minuti dopo sono arrivate sul posto ben due volanti! Fantastico! La Giustizia stava infine trionfando! Ma i Nostri, dopo aver identificato e perquisito i due ladri ed i loro commensali (che naturalmente non avevano con sé la refurtiva) li hanno lasciati andare, dicendo invece a Pippo che doveva recarsi entro le 19 presso la caserma per formalizzare la denuncia. Pippo, rassegnato ormai alla giornata doppiamente rovinata, ci ha quindi lasciati frastornati e perplessi in spiaggia per andare a sporgere questa benedetta denuncia. Solo dopo oltre due ore, al suo ritorno, abbiamo scoperto il mistero di quell’intervento così sorprendentemente interrotto: i nostri eroi, semplicemente, non avevano capito! Non avevano capito (nonostante i fatti fossero stati illustrati da due persone diverse in due distinte telefonate) di essere di fronte a due ladri colti in flagranza, che avrebbero quindi potuto essere arrestati e processati per direttissima, di fronte alla vittima ed ai testimoni del furto appena commesso. Forse avranno pensato che in un caldo pomeriggio di agosto, proprio nell’ora della pennichella, li avevamo inseguiti, trovati, pedinati ed avevamo chiesto in più persone ed a più riprese l’intervento delle Forze dell’Ordine solo perché, avendo appena subito un furto, avevamo visto due ragazzotti con un tatuaggio ed una brutta faccia. Certo, se quel giorno il Commissario Basettoni non fosse stato in ferie, forse avrei potuto raccontarvi un’altra storia, a lieto fine come le favole, in cui il delitto non paga, i ladri se scoperti vengono arrestati e la refurtiva restituita. Insomma una storia in cui la legalità viene garantita a noi cittadini di Paperopoli anche nei fatti! Pazienza, sarà per la prossima volta…


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Innovazione contro la crisi Un sancesariano alla guida dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali della Provincia di Lecce: rosario Centonze Presidente, innanzitutto auguri. La sua nomina è un segnale importante anche per il nostro territorio, evidentemente capace ancora di accogliere professionalità di primissimo rilievo. Come nasce la sua elezione? Il mio impegno in seno al Consiglio dell’Ordine nasce dal lontano 1996 quando fui eletto per la prima volta, ho ricoperto la carica di Segretario prima e VicePresidente dopo, fino al 2009, mentre nel 2010 sono stato nominato Segretario della Federazione Regionale dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Puglia. Però quello che ha contraddistinto i ruoli assegnati è stato l’impegno profuso, la disponibilità verso i colleghi, la voglia di rinnovare ed innovare la categoria professionale alla quale mi onoro di appartenere, la sentita necessità di dar voce a professionisti che, pur svolgendo attività complesse, spesso sono relegati a ruoli secondari nel panorama professionale. La crisi economico-sociale non sta risparmiando nessun settore del Paese. Quali sono le maggiori criticità che investono i dottori agronomi e cosa può fare l’Ordine per venire incontro ai bisogni dei suoi iscritti? L’Ordine, è bene ribadirlo, non è un’associazione privata di professionisti, è diretta emanazione del Ministero della Giustizia e regolamentato da leggi dello

Stato che ne disciplinano l’accesso, la struttura ed il funzionamento oltre le attività ed il comportamento che ogni iscritto deve tenere nell’ambito dell’esercizio della sua professione. Il periodo congiunturalmente negativo colpisce tutti i settori dell’economia ed in particolar modo quello dei servizi al quale le professioni intellettuali appartengono; le criticità che si affrontano quotidianamente nell’esercizio delle professione nascono dalle difficoltà che hanno le imprese, quindi ci sono problemi di “trasparenza del mercato”, di mancanza di “riconoscimento” da parte di enti, di “visibilità”. L’Ordine non deve far altro che riempire di contenuti la sua azione e rendersi efficace per determinare sviluppo e nuove opportunità, soprattutto per i giovani che si affacciano nel mondo del lavoro. Deve spingere all’innovazione della professione verso nuovi sentieri della progettazione, delle idee e del coinvolgimento sociale. La professione è cambiata come sono cambiati il nostro ruolo e le nostre attività. Dall’agronomo che amministrava le aziende, all’agronomo estimatore che insegnava nelle scuole ad indirizzo scientifico fino all’agronomo che guida il processi dell’agroalimentare, tutela e valorizza il paesaggio e l’ambiente, collabora alla pianificazione del territorio ed all’uso delle sue risorse.

Una nuova coscienza ambientale sta diffondendosi anche da noi. Che giudizio ha dei nuovi piani Paesaggistici della Regione e come si stanno muovendo gli enti locali nella programmazione del loro sviluppo edilizio? Non posso che guardare con estrema soddisfazione ed essere favorevolmente predisposto verso il Piano Paesaggistico Territoriale Regionale che riconosce al mondo rurale quel ruolo centrale nello sviluppo sostenibile di un territorio, e riconsegna all’agricoltura quelle funzioni ambientali e paesaggistiche che da sempre le appartengono. Bisognava porre un freno al consumo della terra e con il PPTR ci sono i presupposti perché ciò avvenga. Gli enti locali dal canto loro dovranno iniziare, se non lo hanno già fatto, la fase di “osservazione” al Piano e far pervenire alla Regione tutte le criticità riscontrate. Però vorrei ribadire ancora una volta che gli enti locali devono abbandonare il concetto di “sviluppo edilizio” ed abbracciare quello più ampio di “sviluppo territoriale sostenibile” e svecchiare il concetto che la programmazione del loro territorio sia limitata all’ambito urbano e che il territorio rurale debba assumere solo attenzioni San Cesario: il nostro comune è stretto tra le discariche e la periferia

di Lecce. Cosa si dovrebbe fare per tutelare il territorio comunale? Che suggerimenti darebbe all’amministrazione comunale? Parto dalla fine. Innanzitutto nella redazione del PUG avrei visto bene la figura professionale del dottore agronomo e/o dottore forestale, se è vero che lo strumento di pianificazione riguarda l’intero territorio comunale, è altrettanto vero che è necessaria una figura professionale che abbia coscienza del rapporto città-campagna, che conosca le dinamiche del paesaggio, della qualità del territorio, dell’ambiente e della qualità e sicurezza agroalimentare. Personalmente, auspicherei una decisa azione di riqualificazione del paesaggio rurale attorno agli impianti sportivi comunali ed al depuratore, che investa anche il privato ed altri enti con il recupero funzionale dei quasi 20 ettari di pineta ormai quasi completamente distrutta. Paolo Verardo

“La macchina fotografica fissa un’immagine nel tempo permettendoci di conservare il ricordo di un’esperienza visiva che non vogliamo dimenticare”

“UDITO”: la foto vincitrice di questo numero Il concorso fotografico “alamCLICCO 2013” è dedicato ai cinque sensi Gusto, Olfatto, Tatto, Udito, Vista Il prossimo concorso avrà come soggetto “GUSTO” tutte le foto sono visibili sul nostro sito www.alambicco.com e sul nostro profilo facebook facebook.com/redazione.alambicco

Guarda la galleria fotografica del concorso sul tuo cellulare attraverso il QR Code a destra

“Musica” di Giovanni De Micheli

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I miei desideri in versi Anna Lorena Rizzo ci racconta la sua seconda raccolta di poesie

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Lorena, come nasce questo libro e di cosa parla? A dire il vero questo non è il mio primo libro. Ne ho già scritto un altro. Entrambi sono dei libretti di poesie. Attraverso i miei versi vorrei presentarmi. Vorrei che coloro che leggeranno le mie poesie possano capire qualcosa in più di chi in realtà io sia, qual è il mio pensiero, quali sono i miei sogni. Sono una ragazza come tante, che ha idee, programmi, che però per una serie di circostanze della vita non ha avuto ancora la possibilità di concretizzare, di portare a termine. Mi è sembrato un modo diverso per farmi conoscere quello di mettere nero su bianco questi miei sentimenti e di condividerli con altre persone. Spesso si pensa che chi ha un handicap ha solo un pensiero nella mente: come muoversi, come superare quell’ostacolo e tutto finisce lì. In realtà, nel nostro cuore ci sono progetti, ambizioni, desideri come quelli di chiunque altro. Cosa ti ha spinto a scrivere? Tutto è partito da un periodo di depressione. Rabbia, dolore, indolenza, apatia erano alcuni dei sentimenti che covavo dentro e che avevano voglia di uscire. Partendo proprio da tutte queste emozioni ho iniziato a tirare fuori quel che provavo scrivendo. Attraverso le poesie narro le emozioni che hanno caratterizzato la mia vita; non a caso il titolo del mio primo libro è Emozioni. Mentre questo mio ultimo lavoro, I Diritti, è sempre un libro di poesie ma che hanno come tema centrale i vari problemi che tutti i giorni si affrontano. In particolare si parla delle difficoltà, come l’abbandono e i maltrattamenti, subiti dalle donne e dai bambini. Qual è la poesia a cui sei particolarmente legata o che meglio ti rappresenta? Ho due poesie a cui sono particolarmente legata: la prima ha per titolo Fortuna, è quella che mi rappresenta meglio, l’ho dedicata a me. Non accettavo il mio handicap e ho immaginato che se la “Fortuna” fosse stata dalla mia parte e mi avesse aiutato forse sarei stata diversa, sarei stata una ragazza normale. La seconda poesia è dedicata a un figlio che avrei voluto, un desiderio, un sogno che la vita non mi ha concesso. Vorrei concludere lanciando un messaggio soprattutto alle nuove generazioni: è arrivato il momento di capire e cambiare mentalità, di avere maggior rispetto per i portati di handicap perché il disabile non è chi non usa le gambe, ma chi non usa il cervello. Antonella Perrone antonella@alambicco.com

Il male di vivere e la bellezza del quotidiano Un invito a godere a pieno la nostra esistenza, anche nei momenti più dificili

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ercorriamo a piedi nudi questa vita con piccole gioie nel cuore e con i ginocchi piagati. La vita dei desideri frementi e silenziosi, delle parole taciute, delle corse sfrenate a perdifiato. La vita dolceamara, con i barbagli di latte del primo mattino, con i crepuscoli aranciati, con la notte sciame di stelle. E la luna che ci guarda. La vita dimessa, giocata ai margini, con le ansietà gialline, con le tempeste improvvise. Pioggia e sole. E coltre di nubi, che a volte nascondono il volto della realtà. La vita clandestina, di chi vuole scandagliare a fondo senza smarrimento nei meandri della propria anima, per lumeggiare il nucleo radiante e zone d’ombra, che celano il fanciullo scalpitante, che talvolta piange. Quel fanciullo fragile che rincorreva su selciati rosso sangue un pallone ed esigeva attenzione, carezze, amore. Quel fanciullo che, nei conventi di periferia, scoprì la bontà strabiliante del messaggio di Francesco, anima folle straziata d’amore. Nel presente fiorisce il passato, la rimembranza è memoria vivida, che apre il giorno. Eppoi, c’è la realtà quotidiana. Dobbiamo rapportarci in continuazione ad un ambiente interno multiforme, a volte dolente per antiche, ancestrali ferite. Dobbiamo, altresì, schivare i colpi d’un ambiente esterno talvolta ostile, indecifrabile, contraddittorio. La vita umana davvero è un teatro variamente abitato: qualche volta luogo eletto della felicità, della partecipazione, dell’incontro, dell’amore; altre volte, luogo dei travagli, dei rancori, delle rabbie distruttive e invalidanti, terra persa bruciata da soli disperati, terra lontana, porto dei mille esili. Epperò, ogni individuo è consapevole di imboccare un cammino diversamente accidentato, di accostarsi ad una realtà che è vasta, intricata, di vivere nonostante tutto. “La vita… è ricordarsi di un risveglio triste in un

treno all’alba: aver veduto fuori la luce incerta: aver sentito nel corpo rotto la malinconia vergine e aspra dell’aria pungente”, cantava Sandro Penna. L’esistenza umana è sensazione mutevole, passione che erompe, anche nelle più gravose difficoltà può schiudere all’orizzonte le nuvole rosa. E chimere fascinose e sdegnose. Attraenti, come un’alba sognata. In fondo, anche la perniciosa, globale, dilagante crisi economica, che colpisce indifferentemente giovani e meno giovani, dovrebbe invogliarci ad affrontare l’esistente non con rassegnazione, ma con rinnovata attesa. Di qualcosa che verrà. Nel grande libro delle relazioni umane, ognuno di noi è chiamato a dare un contributo prezioso, a diffondere semi fecondi, virgulti di primavera. Siamo figli di questa madre Terra e siamo caratterizzati da un comune destino: quello di calarci nelle pieghe della Natura, amandola con il carico dei nostri limiti, con i nostri piccoli pregi. Tutti siamo inclini, indipendentemente dall’etnia, dalla professione o meno di fede, dall’appartenenza sessuale e di genere, a esprimere compiutamente parti di noi, a lasciare agli altri tracce definite. È ricca una cultura composita e aperta, che sappia proporsi con fiducia all’altro da sé, che sappia rispettare ciascuno per la sua integrità e individualità, per la sua essenza inerente. Non dobbiamo aver paura di traversare la quotidianità, con la corazza di saldi principi e valori, radicati ad una coerente e plurale etica del possibile, ricordando sempre che l’esistenza non è solo amore ma è anche dolore. Rammemorando magari le parole di Alda Merini: “Nonostante tutto, io la vita l’ho goduta a pieno, perché l’ho pagata a caro prezzo”. Marcello Buttazzo


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Il coraggio del TEdxLecce Storie di economia e informazione, scienza e impresa, arte e design, impegno sociale e diritti umani e civili: torna TEDXLecce. Il 26 ottobre ventisei relatori di rilievo nazionale e internazionale si alterneranno sul palco del Teatro Politeama Greco sul tema del coraggio

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e storie che racconteremo o meglio che si racconteranno ci insegneranno molte cose. Tracceranno una via. Potranno offrirci speranza o essere il nostro modello”. Sintetizzano così gli organizzatori dell’Associazione Diffondere Idee di Valore, la seconda edizione del TedxLecce dedicata al coraggio. Sabato 26 ottobre sul palco del Teatro Politeama Greco, ventisei relatori di rilievo nazionale e internazionale si alterneranno per raccontare le loro storie nei campi di economia e informazione, scienza e impresa, arte e design, impegno sociale e diritti umani e civili. Il coraggio è una virtù della forza intesa come quella capacità di vivere secondo ciò che si crede giusto per sé e per la collettività, seguendo scelte precise di valore che danno senso alla vita come contenuto e direzione. TedxLecce fa parte delle iniziativa promosse dall’associazione Ted. Iniziata come una conferenza di quattro giorni in California 30 anni fa, TED - che in questi anni ha ospitato, tra gli altri, Bill Gates, Al Gore, Richard Branson, Philippe Starck, Stephen Hawking, Isabel Allende, Gordon Brown - è cresciuta nella sua “mission“ attraverso molteplici iniziative e un programma di eventi locali. Nel 2012 sono state organizzate oltre 3000 conferenze TEDx in 46 lingue, in più di 130 Nazioni.

Grazie al lavoro e all’impegno dell’associazione Diffondere Idee di Valore dall’anno scorso anche Lecce ha il suo Tedx. Molto ricco e variegato l’elenco degli speaker di questa seconda edizione: Brad Templeton, uno dei principali consulenti per lo sviluppo della Google self-driving car, già presidente della Electronic Frontier Foundation; Maryam Al Khawaja, giovane vicepresidente del Centro per i diritti umani del Bahrain; Massoud Hassani, designer nato e cresciuto a Kabul; Azadeh Moaveni, giornalista e scrittrice statunitense di origine iraniana; Christophe Deloire, direttore Generale di Reporters sans Frontieres; Yvan Sagnet, attivista contro lo sfruttamento dei braccianti agricoli; Filippo La Mantia, chef; Selene Biffi, imprenditrice sociale; Arturo Filastò, hacker, programmatore freelance e consulente per la sicurezza; Federico Morello, attivista della banda larga; Riccardo Luna, giornalista; Antonio Daniele Pinna, chirurgo; Sandra Savaglio, astrofisica; Andrea Loreni, funambolo; Salvatore Barbera, attivista sociale e direttore delle campagne di Change.org in Italia; Stefano Cucca, consulente strategico e docente di management; Jaromil, programmatore GNU/Linux; Dario Carrera, innovatore sociale; Andrea Rangone, docente di Business Strategy ed Ebusiness presso il Politecnico di Milano; Massimo

poETIx

guardare indietro per poter andare avanti

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acques Prevert nacque a Neuilly-sur-Seine nel 1900 dimostrando, fin dalla più tenera età, una spiccata propensione per la Letteratura e lo Spettacolo. Pur svolgendo lavori umili, umile infatti era la provenienza famigliare, Prevert continuò a coltivare l’interesse per la cultura, tanto da entrare a far parte, nel 1922, del nascente movimento Surrealista. In questi anni, che lo videro al fianco di alcuni dei più importanti intellettuali del tempo, fra cui André Breton, iniziò la sua lunga attività poetica, accolta con molto favore dalla critica francese, che vedeva in lui l’uomo che avrebbe potuto sollevare le sorti poetiche della Francia. Ma la vena artistica di Prevert, focalizzata sul concetto dell’Amore, trova la sua più alta espressione nelle sceneggiature teatrali e cinematografiche. Svolse attività teatrale fino al 1936, partecipando anche come attore e recitando, in una occasione, in compagnia di Pablo Picasso, ma da questo momento in poi si concentrò sull’attività cinematografica e sullo sviluppo dell’arte poetica, partecipando alla realizzazione del film capolavoro Gli amanti perduti. Nel 1948 precipitò da una finestra della Radio per la quale lavorava, restando per due settimane in coma. Ripresosi, continuo a scrivere sceneggiature, in particolar modo per bambini e pubblicò un nuovo volume di poesie dal titolo Histoires, et d’autres histoires,che ebbe un enorme successo nell’ambiente, ma la sua opera più importante è e resterà sempre Paroles, dalla quale è tratta la poesia che segue. Trascorse gli ultimi anni di vita isolato dal mondo esterno e costretto alla sofferenza da un cancro ai polmoni, che lo porterà alla morte l’undici Aprile del 1977.

Arcangeli, linguista, sociologo della comunicazione, critico letterario e saggista; Gino Castaldo ed Ernesto Assante, giornalisti. Non mancheranno alcune eccellenze pugliesi come il trombettista Vincenzo Deluci, il cooperatore sociale Alessandro Leo, la information designer Angela Morelli, l’imprenditore Claudio Quarta. Questa seconda edizione sarà, inoltre, arricchita inoltre da altri due giorni di incontri, dibattiti, confronti, mostre. Dal 25 al 27 ottobre, infatti, XOff coinvolgerà circa una settantina tra giornalisti, imprenditori, attivisti, blogger, ricercatori, musicisti, docenti universitari, scrittori, designer, amministratori pubblici in una quindicina di incontri su economia e impresa, politiche giovanili e lavoro, diritti e inclusione sociale, libertà di informazione e censura, Medio Oriente e attivismo digitale, lingua della politica, scienza e design. Info e contatti tedxlecce@gmail.com - www.tedxlecce.it. Pierpaolo Lala

di Luigi Patarnello

I ragazzi che si amano I ragazzi che si amano si baciano in piedi Contro le porte della notte E i passanti che passano li segnano a dito Ma i ragazzi che si amano Non ci sono per nessuno Ed è la loro ombra soltanto Che trema nella notte Stimolando la rabbia dei passanti La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno Essi sono altrove molto più lontano della notte Molto più in alto del giorno Nell’abbagliante splendore del loro primo amore. I ragazzi che si amano è una delle liriche più riuscite di Prevert. Attraverso quest’opera, l’autore vuole esaltare l’aspetto totalizzante dell’Amore: due ragazzi si amano fra la folla, due rose in un campo di grano, il tempo intorno a loro, le persone, le cose, tutto scorre lentamente; i rumori si fanno più fiochi, le immagini sbiadiscono, i loro sguardi tesi l’uno verso l’altro come due mani che chiudono l’infinito, nulla esiste attorno a loro se non ciò che gli unisce. Ma dove c’è amore c’è invidia: i passanti li segnano con il dito, insultano ciò che non possono comprendere, hanno l’anima scavata dalla rabbia e sul volto portano disegnato un sorriso che nasconde le lacrime del loro dolore. Disprezzano fra le risate i due teneri amanti ma loro, i ragazzi innamorati, non ci sono per nessuno, non odono le ingiurie né gli sguardi incattiviti e restano fermi l’uno di fronte all’al-

tro, inebriati dall’abbagliante splendore del loro primo amore. All’interno dell’opera i ragazzi rappresentano l’idea che Prevert ha dell’amore, un amore che unisce oltre ogni cosa, che fa soffrire e gioire, che nonostante tutto nessuno smette mai Jacques Prevert di cercare e soprattutto che coincide con un altro concetto chiave della sua poetica, quello della nascita che è sinonimo di vita, di rinnovamento, perché amare è vivere, morire e rinascere all’infinito. I passanti, invece, sono coloro che non riescono né a comprendere né a provare quell’amore, essi rappresentano quella parte di umanità che è schiava della razionalità e sottomessa ai luoghi comuni. I due amanti non hanno tempo per parlare, i passanti, invece, si dilungano a farlo perché non hanno nulla da amare, non riconoscono l’amore così intenti come sono a invidiare. L’amore non ha un’età, non ha nazionalità né sesso o religione, non c’è un amore giusto e un altro ingiusto, non c’è amore che può essere forzato o indotto. L’amore è quanto di più libero e puro possa esistere, eppure ai giorni nostri si vedono tanti passanti con l’indice puntato, tanta gente che vuole amare ma che non consente ad altri di farlo perché hanno dimenticato che l’amore non è solo ciò unisce uomo e donna, ma è forza di coesione fra individui, è la barca che tiene a galla le famiglie, è un filo che lega oltre il tempo e oltre la vita due anime… opposte o uguali!


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L’arte di sperimentare

Natura e socialità

Un convegno su Nullo d'amato

L'esempio della pro Loco di Lequile

La masseria “Li Belli”

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n occasione del primo centenario della nascita dell’artista sancesariano Nullo D’Amato, il Comune di San Cesario (Assessorato alla cultura), organizza una giornata di studi per la celebrazione di una delle personalità che più hanno dato prestigio e fama non solo alla città, ma anche - superando i confini urbani - all’Italia. “Oltre all’aspetto artistico - ha dichiarato l’Assessore Daniela Litti - la giornata di studi su Nullo D’Amato mira ad analizzare la vita dell’artista da un punto di vista storico, approfondendo varie sezioni di indagine: dalla vita privata allo sviluppo della tecnica artistica.” Alla giornata di studio prenderanno parte critici, eredi e intellettuali che hanno conosciuto l’artista sancesariano e studiato la sua opera: da Toti Carpentieri (critico d’arte) a Carmelo Cipriani (critico d’arte e curatore), da Sirella D’Amato (figlia dell’artista) a

Lucio Galante (Università del Salento), da Cecilia Leucci (critico d’arte e curatore) a Bruno Pellegrino (Università del Salento), da Teresa Prastaro (allieva del maestro) a Maria Luisa Stringa (UNESCO). L’apertura dei lavori per il convegno sarà affiancata da una preview della mostra antologica Nullo D’Amato e la sua Arte a cura di Cecilia Leucci, che sarà inaugurata nel 2014. La giornata di studi e la mostra sono patrocinate da: Ministero per i Beni e le Attività Culturali; Regione Puglia, Provincia di Lecce, Comune di San Cesario di Lecce, Federazione Italiana UNESCO ed Università del Salento. Un evento importante per rendere omaggio a uno degli artisti che ha maggiormente contribuito a rendere grande il nome di San Cesario. La redazione

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ontefalco, paesino medievale vicino Foligno, si affaccia su una valle con all’orizzonte di destra Ascoli Piceno e a sinistra Perugia. Altezza 600 mslm, mura fortificate, sede della Pro Loco incastonata in piazza, a pè della Torre civica. Analoga ubicazione quella della Pro Loco di Spello, splendido borgo con i suoi presepi permanenti e le viuzza infiorate. Anche nel Salento (vedi Specchia, Borgagne, Galatone) le sedi della Pro Loco sono in piena agorà, perché sono associazioni che operano “per il territorio”. Realtà prive di scopo sociale definito, assumono iniziative, promuovono cultura, conoscenza, identità, radici, storia, costumi, tradizioni a beneficio di tutti. Danno supporto operativo alle altre associazioni per il conseguimento degli obiettivi nelle differenti specificità. La Pro Loco di Lequile, per l’azione spontanea del gruppo promotore, opera da tre anni con risultati apprezzabili e

riconosciuti. Il logo, una rana, simboleggia la natura, l’ambiente, la salubrità, la trasparenza, la pulizia. L’impegno, l’abnegazione, il lavoro collegiale, il coinvolgimento nello stare assieme, portano a sviluppare valori umani, solidarietà, relazioni, condivisione e rispetto reciproco. Tutte circostanze necessarie al buon vivere civile. In questi anni, diverse iniziative hanno avuto il plauso della cittadinanza, manifestato dalla copiosa partecipazione (a cominciare dalla Scuola). Tra tutte, vale la pena ricordare la passeggiata notturna alla masseria Li Belli e l’escursione all’oasi naturale della Tenuta De Raho, in occasione della festa “Te li mangiaracali”. Da queste pagine, vogliamo mandare un sentito augurio alla Presidente, Patrizia Buttazzo, perché possa continuare questa grande azione di sviluppo e coinvolgimento della comunità lequilese. Vito Carignano

dE-CoM-prEs-sIoN Un progetto musicale che nasce a San Cesario ma del quale sentirete parlare anche fuori le quattro mura: l’ultimo album di Carlo Zakà perrone, in uscita a metà ottobre in versione digitale

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uscita del nuovo album di Carlo Perrone, in arte Zakà, è ormai imminente e sarà disponibile da metà ottobre sui maggiori digital stores mondiali come i-Tunes, Spotify e Amazon, solo per citarne alcuni, ma è già possibile ascoltare e scaricare gratis l’anteprima su Soundcloud e sul sito web dell’artista. Terzo lavoro in digitale per l’etichetta indipendente Improvement Produzioni, fondata nel 2010 dallo stesso autore, segue i lavori precedentemente pubblicati con Musiche inattuali (flussi emotivi e coscienti applicati) nel 2011 e Navigator nel 2012. Il disco s’intitola Decompression e non è classificabile sotto un unico genere, e probabilmente l’artista non ne vuole uno, “si fida delle sue orecchie” – spiega Carlo Perrone. Un mix dove s’incontrano il reggae, la musica elettronica e il genere new age, probabilmente vicino ad uno dei generi tanto in voga negli ultimi anni in Italia e all’estero, il dubstep, sviluppatosi come un’evoluzione del drum’n bass all’interno di stili diversi e che fa della ricerca musicale il suo punto di

da metà ottobre 2013 solo in versione digitale su: itunes spotify - amazon - dada - real - Juno - deezer - emusic. http://carlozakaperrone.altervista.org

forza; ascoltandolo incontrerete suoni eleganti come il piano e vi scontrerete con fischi striduli digitali, un viaggio sonoro del quale non si rimane delusi, anche per i non cultori del genere. Idee, sentimenti, influenze letterarie e non, messi assieme da sonorità elettroniche e linee morbide, danno vita ad un album intrigante e coinvolgente. Un progetto autodidatta e tutto sancesariano quello di Zakà che sin da ragazzino ama l’arte in ogni sua sfaccettatura, collabora con i Sud Sound System e da vita a due band: i Sound Massive e gli Update: oggi impegnato in questa straordinaria avventura dell’etichetta indipendente, prosegue la sua attività di dj. Un progetto originale che si inserisce nello scenario musicale digitale e che vuole dare la sua visione del mondo e che ne pretende l’unicità e l’autonomia. Lucia Luperto lucia@alambicco.com


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Capire tu non puoi Il talento, il genio e la modernità dell’uomo che cambiò la musica leggera italiana: Lucio Battisti

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ogol-Battisti, un binomio nato per puro caso ma perfetto. La musica italiana dopo di loro non sarà più la stessa, le canzoni diventano finalmente “patrimonio della gente”. Battisti (amante della “black music”, quella musica che ”…sgorga dal cuore, dall’anima.”) cesella nuovi suoni ed armonie, e su queste Giulio Rapetti (in arte Mogol) posa i suoi versi, un linguaggio semplice, quotidiano (che a volte rasenta la banalità), ma che proprio insieme a quella melodia diventa un tutt’uno, e nasce qualcosa di magico ed inspiegabile. Creano in definitiva delle suggestioni mai ascoltate, delle “emozioni non codificate”. Lucio si inserisce perfettamente in questo contesto di “sperimentazione” (prerogativa fondamentale in tutta la sua vita), e riesce a dare un senso concreto alle parole di Mogol con un modo di cantare e di comunicare innovativo. Ma Mogol e Battisti con la loro musica hanno fatto di più, hanno reso cioè “inquieta” la canzone popolare italiana. In anticipo rispetto ai cantautori “politicizzati”, sono riusciti a dar voce alle paure e dalle ansie, che di lì a poco avrebbero attraversato la nostra Italia, con l’avvento degli anni di piombo. Emozioni certamente è il brano che apre un varco, e meglio di tanti altri riesce a sintetizzare tutto questo. In ogni svolta artistica nella carriera di Battisti, c’è stato un "viaggio", che a volte era un viaggio geografico (con la presa di coscienza con altre culture musicali), in altri casi un viaggio interiore. Agli inizi degli anni ’70 Mogol e Battisti, vollero concretizzare il viaggio interiore in uno reale e simbo-

lico al tempo stesso, con una lunga cavalcata attraverso l’Italia, che poi ha generato una serie di riflessioni che sono entrate immediatamente nella loro produzione con dei capolavori rimasti intatti nella memoria di tutti.

Dopo Mogol, Lucio “azzera” il suo passato, e si dirige verso la sperimentazione pura, cambiando radicalmente la modalità compositiva. ccetta la “provocazione letteraria” di Pasquale Panella, che gli propone dei versi surreali ed inadatti alla canzone, e su quelli crea sonorità “elettroniche ed introverse” che escludono le parole (i sentimenti), a tutto vantaggio della melodia, della nota “libera”. Nasce anche da qui il concetto che il musicista romano ha amato spesso ripetere: “L’artista non esiste. Esiste la sua arte…”, e si radica quindi l’idea che “…la canzone esiste solo sino a quando l’artista la esegue, una volta che non è più udibile, non esiste più. Ecco perché chiunque cerchi di riprodurre un brano dell’ultimo Battisti si ritrova sempre con un pugno di mosche”. Suggestiva è anche la visione del compianto Bruno Lauzi: ”Lucio cercava di rappresentare la crudezza e la durezza che sentiva presente nel mondo. Secondo lui, il romanticismo delle canzoni di una volta aveva perso di valore. Era stato ucciso dalla cattiveria e dall’indifferenza dell’uomo”. Il nostro percorso si conclude con una sentita dichiarazione di Panella sui lavori composti insieme: “C’è qualcosa di grande in quei dischi, lo so che c’è, e resta intatta. Non ne hanno approfittato tutti, perché l’interprete era magnifico. Battisti è riuscito a musicarmi, a togliere dai testi di ogni brano la mia musica, ed a metterci la sua”. In fondo è stato grande anche per questo. Stefano Portaccio

Carmelo Bene: che capolavoro! In occasione del decennale dalla morte, antonio Zoretti pubblica un saggio sul pensiero e l’opera del genio salentino

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Antonio Zoretti Carmelo Bene, il fenomeno e la voce Lupo Editore (Lecce, 2013)

cegliere un esordio editoriale con un libro su Carmelo Bene è un rischio enorme. Da un lato perché l’artista salentino è per antonomasia sfuggente, inafferrabile, indefinibile. Come egli stesso si definiva, egli è “tutto e niente”. Dall’altro lato perché la sua vita e la sua opera sono state sotto la lente di ingrandimento di critici e studiosi di tutto il mondo. Eppure, questa “scommessa” di Antonio Zoretti (operatore culturale di San Cesario) è da considerare vinta. A dieci anni dalla scomparsa del mestro, Zoretti cura un saggio complesso, meticoloso e suggestivo: Carmelo Bene. Il fenomeno e la voce (Lupo, 2013). Il primo elemento che salta subito agli occhi è la passione: quella che ha guidato l’intera opera di Bene e quella che ha mosso gli studi di Zoretti nel rincorrere e analizzare questo genio poliedrico, ironico, provocatorio, costantemente fuori dal coro. Bene, in vita come in morte, è autore controverso ma il segno indelebile che ha lasciato nella cultura italiana gli viene universalmente riconosciuto. Questo libro, come dicevamo mosso dalla passione dell’autore, è pervaso dalla smania di far conoscere a un pubblico vasto (ma colto) gli innumerevoli ambiti in cui il pensiero di Bene si è mosso: dalla musica allo studio del linguaggio, dalla voce all’arte nell’intendo di dema-

terializzare il pensiero, a partire dell’io (inteso soprattutto come se stesso). Bene ha combattuto per liberare il teatro dalla rappresentazione della realtà. Egli considerava la scena il luogo in cui trionfano i sensi, le emozioni: “l’unico, auspicabile riconoscimento di un prodotto estetico è la sensazione, capace di incorporare tutti i sensi”. Ogni individuo deve diventare un capolavoro superando la propria corporeità. Questa è forse la chiave di lettura della sua immensa eredità artistica, letteraria, filosofica, poetica: Carmelo Bene si considerava un capolavoro, un immortale, proprio perché capace di oltrepassare il suo stesso corpo. Zoretti riesce a mettere ordine nell’intricato - e spesso inaccessibile - universo di Bene senza intellettualismi di maniera, senza gabbie, restituendo l’immaterialità e la complessità del suo pensiero. A noi lettori rimane una domanda: ci sarà qualcuno in grado di raccogliere l’eredità di un genio così assoluto? Forse no, forse per questo Bene si considerava un “classico” già in vita e forse questa è la sorte che spetta ai grandi, a chi è fuor dal coro, a chi ama il nulla, il conflitto, il contraddittorio, a chi rifugge ogni convenzione. Compreso l’anticonformismo. Giancarlo Greco giancarlo@alambicco.com

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Bevi la CocaCola che ti fa digerire Cosa si nasconde dietro la bevanda più diffusa al mondo? Proviamo a guardare “dentro” la lattina...

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e un estraneo vi dicesse: “chiudi gli occhi e apri la bocca”, vi fidereste? Eppure lo facciamo quotidianamente. Costretta dagli obblighi di legge a scrivere gli ingredienti dei propri prodotti, l’industria alimentare, pensando che sarebbe stato brutto rovinare quelle belle confezioni colorate o terrorizzare la gente con spaventosi nomi chimici, ha preferito usare caratteri microscopici e incomprensibili codici così da costringere, chi avesse l’assurda pretesa di sapere cosa sta per mettere in bocca, a munirsi di lente di ingrandimento e di un cifrario per 007. Figlie di pseudo informazione volutamente confusa, sento giovani mamme dire serenamente: “dottore a mio figlio per l’acetone ho dato la Coca Cola”. La capacità “curativa” di questa bevanda, nasce solo dal fatto di contenere zucchero. Mi chiedo se non fosse stato meglio per quel bambino, bere dell’acqua e zucchero o del latte con il miele e se la mamma mi avrebbe parlato così serenamente sapendo di aver fatto ingurgitare al suo bebè anche acido fosforico, caffè, coloranti ed aromi vari ed eventuali. Realisticamente è utopistico al giorno d’oggi poter pensare di mangiare o bere solo roba sicura e salutare, ma come diceva Paracelso, è la dose che fa il veleno. Per questo, mentre da un lato mi parrebbe eccessivo impedire ad un bambino di condividere un bicchiere di

bevanda gassata al compleanno dell’amichetto, dall’altro mi pare non proprio salutare darla ad un neonato o vederla sul tavolo ad ogni pasto come fosse semplice acqua. Ma vediamo di capire bene cosa “nasconde” un bicchiere di Coca Cola. Prima di tutto zucchero. Uno studio della Harvard School of Public Health ha rilevato che una bibita zuccherata al giorno aumenta del 60% il rischio obesità nei bambini e del 20% il rischio di un attacco cardiaco negli adulti. Da non dimenticare poi quel piccolissimo problema chiamato diabete. Secondo ingrediente: acido fosforico (E338). Robetta da nulla. Questo elemento, che serve a ren-

dere la Coca Cola poco meno acida degli stessi succhi gastrici, ha come altro effetto quello di impedire al nostro corpo di assorbire calcio. Risultato? Le bevande che lo contengono sono la prima causa di osteoporosi nei giovani, mentre donne adulte che bevono tre dosi di bevanda al giorno hanno una mineralizzazione delle ossa più bassa del 2,3-5,1% rispetto alle altre. Ricordo che in tutte le più note tipologie di Coca Cola (Classica, Light e Zero) sono presenti caffeina ed acido fosforico. Tra loro si distinguono solo per il contenuto di zucchero, che nella “light” e nella “Zero” è sostituito da sostanze chimiche “addolcenti” quali l’acesulfame K, l’aspartame e il ciclamato di sodio.

Questi prodotti chimici sono sotto stretta osservazione poiché non sono pochi i dubbi sui loro effetti sulla salute, tanto da controindicarne l’uso ai bambini sotto i 7 anni. Vari enti hanno sollevato queste perplessità, compresa la stessa Coca Cola che ha tolto ciclamato e acesulfame dagli ingredienti delle sue bevande distribuite negli USA ma non in quelle distribuite in Europa. Misteri del commercio. Quando comprate qualcosa, non fate la spesa in fretta e furia e dedicate più tempo alla lettura degli ingredienti, ne va della nostra salute. Prosit! Aristodemo De Blasi aristodemo@alambicco.com

romanzo Crimi Diversamente Berlusconiani

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uesta volta (per fortuna) non ce l’ha fatta. Ed il suo nuovo romanzo criminale è rimasto scritto a metà. Il Sagace Politico scelto da Grillo insieme alla simpatica Roberta Lombardi come primo capogruppo degli stellati in Parlamento riuscì infatti a marzo nella missione di togliere dai guai Silvio Berlusconi. Sconfitto nelle urne a febbraio ed

apparentemente condannato dagli elettori all’opposizione, il vecchio marpione fu riesumato e rimesso al centro della scena politica dall’atteggiamento intransigente dei due brillanti capigruppo stellati che, in ossequio al non statuto, al non regolamento ed all’uomo mascherato (e pronti a speculare sulla nostra pelle nella logica del tanto peggio tanto meglio) sbarrarono la strada ad ogni possibile alternativa e ci buttarono fra le braccia della riconferma di Napolitano al Colle e delle oscene larghe intese in cui oggi siamo (chissà ancora per quanto) invischiati. Stavolta il Nostro, membro della Giunta delle elezioni del Senato, nel giorno in cui dopo settimane di rinvii, ricatti e tira e molla si doveva finalmente decretare la decadenza del noto pregiudicato dallo scranno e dallo stipendio di Senatore della Repubblica, ha pensato bene di vomitare squallidi insulti via facebook all’indirizzo del vecchio Caimano, dando allo Schifani di turno (d’altronde gli sarebbe andato bene anche come presidente del Senato…) nuovi argomenti per cercare di rinviare o bloccare la decadenza. Praticamente un genio! Che si

è poi giustificato dicendo che il suo post non lo aveva scritto lui… (non sono stato io, signora maestra). Un po’ come se Giovanni Falcone, prima di emettere la sentenza del maxiprocesso contro Cosa Nostra avesse intrattenuto i giornalisti dicendo che Riina e Provenzano puzzano, salvo poi smentire sostenendo che avevano parlato con un suo sosia. Per fortuna nostra e del Sagace e sveglio senatore la sua irrilevanza ha mandato finora a monte il coraggioso tentativo. Ma vedrete che ad un nuovo ordine del G. parlante lui o chi per lui ci proverà ancora, ah se ci proverà…. Enrico Tortelli


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promozione: e il san Cesario va... Aria di rinnovamento e nuove speranze per la Polisportiva San Cesario Aria Sana

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gni volta che c’è da parlare della Polisportiva San Cesario (chiedo scusa se utilizzo il nome antico della società) Gianni Nobile mi chiama e mi “intima” di scrivere qualcosa sull’argomento, in virtù di un certo attaccamento che mi porta a seguire le sorti della squadra sia in casa che in trasferta, passione condivisa con tanti nostri concittadini e che esprimiamo anche con un certo folklore, quello tipico dei tifosi, poco obiettivo nei confronti della terna arbitrale e dei meriti della squadra avversaria (mi sembra una parodia del modo contemporaneo di intendere la politica, solo che in quest’ultimo campo il folklore è un po’ più dannoso). Ma ritorniamo alla Polisportiva, che da un po’ di anni si chiama San Cesario Ariasana, che noi sappiamo essere il nostro quartiere alle porte di Lecce ma che i forestieri potrebbero leggere come una sorta di denuncia nei confronti dei miasmi della discarica di Cavallino. Grandi cambiamenti in quest’annata, nella dirigenza, nello staff tecnico e nella rosa dei giocatori e come tutti i cambiamenti portano una certa diffidenza iniziale in base al vecchio proverbio dei nostri nonni “ci lassa la strata ecchia pe’ la noa, sape cce llassa e nu sape ce troa”, anche se in questo caso l’alternativa al cambiamento sarebbe stata la chiusura del campo sportivo e la dissipazione di un patrimonio, quello vero, che è la scuola calcio del San Cesario, frutto dell’impegno di tanti dirigenti, tutti nostri concittadini, che con dedizione hanno seguito in questi anni l’organizzazione della società. Non li cito perché rischierei di dimenticarne qualcuno, ma è giusto riconoscere i meriti a queste persone che, a onor del vero, hanno avuto riconoscimenti ed attestati di stima più dall’esterno che dal nostro paese. Ma è così, l’esterofilia è sempre stata un nostro difetto. C’è un nuovo Patron (tanto per darci un tocco di serietà): il signor De Finis, imprenditore di origini foggiane che da anni vive e opera a Lecce. È un appassionato di calcio, che i beninformati dicono essere stato il promotore del cambio dei colori sociali

I ragazzi della Polisportiva esultano sotto i propri tifosi (campionato 2012/13) - Foto Fabio Ciccarese

che quest’anno sono il rosso e nero (a rimarcare le sue origini foggiane, vezzo che gli perdoniamo proprio per la nobiltà del gesto, anche se avremmo preferito un ritorno ai colori argentini della “Celeste”). Ci sono nuovi dirigenti, nuovi giocatori, c’è un nuovo allenatore, il Sig. Russo, che ha sostituito il vulcanico e stimato Oscar Greco. La squadra è stata costruita per ambire al salto di categoria, dalle prime partite pare che ci siano le necessarie premesse. L’unica continuità è nel campo sansoso del Comunale Zanchi, che ovviamente rimane un neo che si evidenzia. Da questo punto di vista mi preme sottolineare l’auspicio di noi tifosi: che la nuova società, con progetti apparentemente ambiziosi e alla quale chiediamo la salvaguardia del patrimonio della scuola calcio (oltre, ovviamente, l’ambizione di successi con la prima squadra) e l’Amministrazione Comunale siano lungimiranti nel pensare ad una sinergia e convergenza di interessi che porti al completamento di un lavoro già avviato per dotare anche il campo di gioco di un manto erboso. È chiaro che per realizzare ciò occorre una vicinanza da parte dei nostri amministratori alla nuova società, ma anche la certezza che la nuova società voglia svolgere nel nostro paese un progetto di lungo termine, che non si riduca al mero acquisto di un titolo calcistico.

Quel che è certo è che la nuova squadra sta già riscuotendo simpatia e la domenica è visibile un certo attaccamento che sta avvenendo anche nei confronti di molti giovani del paese che vengono ad incitarla. L’ultima cosa che vorrei sottolineare, che non vuole essere una critica nei confronti di alcuno, ma uno sprone a riscuotere maggiore consenso: è evidente che in prima squadra, a eccezione del solo Riccardo Ciccarese, non vi sia la presenza di altri calciatori autoctoni, così come è evidente che la scuola calcio sia troppo selettiva ed escludente, privilegiando forse in maniera eccessiva le cosiddette qualità naturali di un ragazzo a discapito della funzione sociale della scuola calcio. A dire il vero questo è un aspetto che riguarda anche la precedente gestione e, secondo me, tutto il sistema delle scuole calcio che sono presenti in provincia. Forse, a mio modesto parere, riguarda anche la poca cultura sportiva delle famiglie e i modelli sbagliati degli stessi ragazzi, gli unici inconsapevoli di questo errore. Siamo passati dagli anni “te lu Cataninu Gentile” (partecipazione gratuita, litigi con i nostri genitori perché si trascuravano gli studi e, soprattutto, funzione sociale che, seppur valorizzando il talento, non escludeva nessuno), alle scuole calcio moderne a pagamento, a imitazione dei vivai professionistici e con genitori ingombranti, capaci di danneggiare i propri figli con il loro atteggiamento competitivo. Una via di mezzo nella gestione del vivaio a mio avviso farebbe riscuotere ancora maggiore simpatia verso il fenomeno calcistico a San Cesario, perché penso che la crisi dei vivai italiani nasca proprio da questi atteggiamenti che escludono intere fasce di ragazzi impossibilitati a partecipare e vedono a volte improbabili e improponibili responsabili tecnici dei vivai che pensano di giudicare un ragazzo in 10 minuti di provino. Chiudo con l’auspicio che i nuovi dirigenti diano spazio a quest’ultima tematica, almeno quanto la naturale ambizione a riscuotere successi con la prima squadra. Forza Polisportiva San Cesario! Enzo Marenaci

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giovani promesse e “vecchie” certezze andrea Cicerello e mister Enrico diamante: giovane promessa del calcio salentino il primo, allenatore navigato del settore giovanile il secondo; entrambi sancesariani doc Verrebbe quasi da intervistarli insieme e mettere a confronto due ruoli, generazioni e approcci completamente differenti al calcio ma è praticamente impossibile perché il calcio è anche e soprattutto impegno e sacrificio, poco tempo libero da dedicare a famiglia ed amici. Ed ecco a voi un viaggio nelle giovanili, quelle che sono il cuore e il futuro del calcio.

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Incontro mister Diamante appena rientrato da un allenamento, ancora con il borsone in mano si preoccupa di non perdere il dvd con la partita di domenica scorsa, perché anche se si è vinto, bisogna visionarla con i ragazzi e capire gli errori. Come inizia l’avventura nel mondo del calcio giovanile? La mia esperienza inizia da San Cesario, dove con un gruppo di amici - Fabio Ciccarese, Annino Micella e Tonino De Giorgi - abbiamo fondato una scuola calcio che in breve tempo diventò per numeri e qualità il fiore all’occhiello di tutta la provincia. Gli ottimi risultati raggiunti con la scuola hanno attirato l’attenzione di Robertino Rizzo e Gino Dimitri che mi proposero il passaggio nelle giovanili dell’U.s. Lecce; ho accettato perché la voglia di mettermi in discussione era ed è tanta, anche se è stata una decisione difficile perché il legame con gli amici della Polisportiva era forte e i quasi 300 ragazzi iscritti in quell’anno erano una grande soddisfazione. Il primo anno mi sono diviso tra San Cesario e Lecce, l’anno successivo nel campionato agonistico e da lì c’è stato un continuo e progressivo passaggio di categoria. Questo lavoro è fatto di un continuo aggiornamento e studio, che ha sottratto e sottrae tempo e risorse alla famiglia ed alla vita privata ma che sa dare grosse soddisfazioni professionali e soprattutto umane. Qual è l’approccio con i calciatori in fin dei conti bambini o adolescenti e quanto influiscono le famiglie con la crescita sportiva dei ragazzi? Alla base di tutto c’è sempre il divertimento e nel divertimento riesci a far emergere le qualità di un ragazzo. A volte, uno dei problemi della scuola calcio sono proprio i genitori, perché la gran parte delle ansie dei ragazzi è dettata dalle pressioni dei genitori; le ambizioni delle famiglie e dei ragazzi stessi sono un limite difficile da superare proprio perché a volte non fanno emergere le qualità, soprattutto se si considera che la formazione di un giocatore è piena di sacrifici. Qual è la più grande soddisfazione della sua carriera? Ho avuto la fortuna di selezionare ragazzi che oggi si dividono tra Beretti e prima squadra nel Lecce. Un gruppo di 4/5 giocatori nell’orbita del Milan, Roma, Fiorentina e Sampdoria che ancora oggi a fine partita mi chiamano per raccontarmi l’incontro, chiedere consigli che non posso dare perché non bisogna mai essere invadenti nei confronti dei colleghi; l’estate quando tornano ci tengono a regalarmi le maglie firmate. Questa è la più grande soddisfazione, perché questo vuol dire che, oltre ad essere stato un buon insegnante, si è instaurato un rapporto umano che va oltre il calcio.

Cosa pensa delle scuole calcio sponsorizzate da giocatori importanti e/o procuratori? Una delle problematiche dei ragazzi che ruotano intorno ai settori giovanili è proprio quella dei procuratori: una volta l’età minima perché si potessero contrattualizzare gli atleti era quella dei 16/17 anni, oggi ci sono pseudo procuratori che contattano i ragazzi già a 12/13 anni; una fascia d’età critica, quella che si affaccia ai giovanissimi nazionali sottoposti a contratti pluriennali, e quindi si perdono dei talenti davanti a proposte che si chiamano Milan, Fiorentina. Ripeto sempre ai giovani, ma soprattutto alle famiglie, che in queste grosse società i ragazzi sono numeri con poche possibilità di trovare spazio, mentre in società come Empoli, Bari, Lecce, Atalanta sono contesti in cui si lavora per la crescita, continui ad avere un nome e cognome e ci sono più possibilità di fare un percorso completo ed arrivare in prima squadra. L’intervista è finita ma passiamo altri venti minuti a commentare tutte le foto appese al muro, tornei in giro per l’Italia, vittorie contro squadre importanti dalla Roma al Liverpool, all’Arsenal, sempre tra bambini e ragazzi che cercano di imparare quanto più possibile dal loro mister, ammaliati, un po’ come me, dalla sua passione.

Andrea Cicerello

Andrea Cicerello è a casa con la sua famiglia: un ragazzo sincero ed educato, con tanti sogni e sulla buona strada per realizzarli. A quando la prossima partita in prima squadra? Mi hanno chiamato ieri sera per allenarmi in prima squadra per la partita di coppa, ma purtroppo mi sono infortunato sabato scorso contro il Vigor Lamezia. A 17 anni non deve essere facile gestire tutti gli impegni tra scuola, amici e calcio. Com’è la tua giornata? Frequento il quarto anno al Commerciale, quindi torno da scuola e faccio gli allenamenti ogni giorno. Rientro a casa alle 18.30 e ci sono i compiti che mi aspettano; ho poco tempo libero per la famiglia e gli amici, ma sono sacrifici che faccio volentieri perché

Mister Enrico Diamante

mi piace giocare a calcio e perché lo devo alla mia famiglia che fa molti più sacrifici di me, senza mai farmi pesare niente, per farmi vivere questo sogno e sperando che un giorno tutti questi sacrifici saranno ricompensati. Com’è iniziata la tua avventura? Nel Lecce nel 2005, prima a San Cesario dove mi seguiva il mister Diamante; grazie a lui sono diventato quello che sono come calciatore ed anche come persona. Nel 2005/2006 abbiamo fatto un bel campionato, sono andato a Coverciano dove abbiamo fatto uno stage e poi ogni anno così fino ad arrivare alla Beretti. …e l’esordio in prima squadra? Ho esordito contro il Parma grazie alla possibilità che mi ha dato mister Moriero, in Coppa Italia: tanta emozione di giocare con il mio Lecce su un campo di serie A, ma soprattutto tanta emozione di allenarmi con giocatori del calibro di Miccoli e Bogliacino, ed essere stato allenato anche se per poco da Moriero che in carriera ha ricoperto il mio stesso ruolo, fare l’uno due con Miccoli…tutti atleti da cui io posso solo imparare. Qualche ringraziamento particolare? Sicuramente il mister Diamante che ha seguito tutta la mia crescita e mi ha dato tanti consigli, nei momenti difficili era qui con mia madre e mio padre a confortarmi, a darmi fiducia e farmi capire le mie capacità, e mister Morello che mi ha dato tanto: sarebbe riduttivo definirli semplici mister. Devo ringraziare anche Antonio Magliano che segue la mia preparazione l’estate e Luca Laudisa che ho conosciuto nell’U.S. Lecce e che continua ad aiutarmi e seguirmi come fisioterapista. Per quale squadra tifi? Tifo Lecce da quando da piccolo papà e mio zio mi hanno portato a vedere Lecce-Napoli in serie B finita 1 a 1; ancora non giocavo a calcio, ma amo il Lecce perché è la squadra della mia città, della mia terra. La scuola è al primo posto, devo terminare gli studi ma voglio continuare questo sogno sperando diventi la mia professione, magari nel Lecce, da giocatore titolare, provare l’emozione di giocare al Via del mare, e segnare sotto la curva nord davanti ai tifosi giallorossi. Emanuele Faggiano emanuele@alambicco.com


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Ciak, si vola! Abbiamo trascorso un pomeriggio a San Cesario con roberto Leone per sperimentare dal vivo un piccolo prodigio tecnologico che sta cambiando il modo di fare video e foto. Prepariamoci a vedere le bellezze dei nostri monumenti e paesaggi da un nuovo, affascinante, punto di vista Nei mesi scorsi Ozpetek è tornato a Lecce per montare 2 mesi di riprese video per il backstage (non girare un nuovo film dopo il successo de “Le mine lo invidio per niente!). Inoltre, ho avuto modo di provaganti”. Anche il nostro concittadino Roberto porre questo particolare servizio per feste in lidi sul Leone ha contribuito alla realizzazione del film con litorale ionico e in una discoteca a Santa Cesarea la sua camera “molto speciale”. Ci puoi dire quale Terme. è stato il tuo ruolo e quale particolare videocamera Ci puoi spiegare cosa è e com’è fatto un drone? hai utilizzato? In gergo vengono chiamati “droni” ma a me piace La produzione mi contattò perché cercava una tele- chiamarli “multirotori”. Sono essenzialmente degli elicamera da utilizzare per due mesi di riprese del backcotteri radiocomandati, ma con 3-4-6 oppure 8 motori stage. L’idea mi piacque sin dall’inizio perché apprezed eliche di dimensioni diverse, in grado di trasportare zo molto il Maestro Ozpetek; quindi mi dissi: “Quale una telecamera e varie apparecchiature elettroniche. La migliore occasione per conotecnologia moderna scerlo?”. Così mi presentai e permette di far comconobbi un po’ di gente, piere numerose evolucompresi gli operatori, il zioni in volo, con una direttore della fotografia e stabilità e un controllo ovviamente Ferzan. Durante unici. Utilizzano la le riprese per la scena “Al navigazione GPS, e benzinaio”, a Porta Napoli a sono in grado di comLecce (un pub allestito appopiere delle vere e prositamente per alcune scene prie “missioni”. del film), installai una microImpostando le coordicamera sulla macchina da nate di latitudine e longitudine, possono presa montata su uno steadyspostarsi agevolmente cam (un dispositivo Il drone si alza in volo in piazza garibaldi elettro/meccanico montato su nei cieli, scattando un operatore che permette di foto georeferenziate realizzare riprese stabili in movimento) perché necessi- oppure registrando dei video in altissima definizione, il tavano di un punto di vista “globale” della scena. tutto in maniera totalmente autonoma, stando comodaPortai con me anche un piccolo drone munito di mente seduti! Tramite dei monitor aggiuntivi, l’operamicrocamera in grado di registrare video a 4K (quasi 4 tore può ottenere diverse informazioni trasmesse dal volte la risoluzione FullHd) con un supporto “giro-stamultirotore: stato della batteria, quota, velocità, direbilizzato”, che avevo appena finito di assemblare e zione, coordinate gps e ovviamente un’antemprima sperimentare qualche giorno prima... lo mostrai a video in diretta. Alcuni hanno portate di diversi chiloFerzan e l’ idea piacque da subito: Ciak! Il contesto era metri, viaggiano a 15-20 metri al secondo e raggiungoricco di elementi e comparse, illuminazione perfetta e no quote di diverse centinaia di metri. Esistono però tanto pubblico. Porta Napoli e l’Obelisco facevano da delle leggi, e non mi riferisco solo alla privacy, ma cornice a una magica scena, allora portai in volo il anche alla protezione aerea, leggi che purtroppo in quadricottero effettuando alcune riprese sotto la guida pochi rispettano. Quali sono i costi? Sono oggetti accessibili a di Ferzan che era al mio fianco. Davvero una bella tutti o solo a professionisti? esperienza. Come mai la produzione ha chiamato te? Hai Oggi i costi sono davvero irrisori, chi ha un po’ di già fatto lavori con questa tecnologia? manualità e dimestichezza con l’elettronica può autoÈ stato merito di un mio amico/collega Stefano costruirsi un drone con poche centinaia di euro, altriTramacere, un vero professionista del settore, che menti esistono dei modelli “RTF” (Ready to fly) pronti attualmente si sta occupando dell’oneroso compito di al volo e con poco più di 400 euro chiunque può affacciarsi a questo meraviglioso mondo. Per i professionisti, mi riferisco a fotografi e videomaker, esistono dei multirotori in grado di volare con una videocamera o roberto leone prepara il suo drone per le riprese con una fotocamera reflex, costituiti da telai totalmente in fibra di carbonio ed elettronica sofisticatissima dalle prestazioni eccezionali; il costo si aggira intorno ai 78000 euro ma può anche arrivare a 12000 euro. Nelle scorse settimane su internet è stato diffuso un video molto bello sul Salento realizzato con le riprese fatte da un drone. Pensi che un modo nuovo di vedere le bellezza paesaggistiche e architettoniche potrebbe migliorare la comunicazione “istituzionale” del nostro territorio e renderlo anche più appetibile turisticamente? Ne sono convinto, il nostro territorio andrebbe valorizzato ulteriormente, e un modo interessante per farlo è integrare delle riprese aeree ai siti più importan-

roberto leone al lavoro con la stazione di controllo remoto del drone

ti. E il Salento ne è pieno! Filmare un luogo, monumento o chiesa da questa prospettiva, avvicinando il multirotore a pochi centimetri, oppure una semplice carrellata o panoramica, è una ripresa suggestiva che incuriosisce molto. So che tu stai lavorando a un progetto che riguarda la Città di Lecce. Di cosa si tratta? È un’idea che ho avuto da quando ho iniziato a lavorare in questo settore, più che altro una sfida! Abbiamo un Salento spettacolare e sono convinto che anche noi salentini non lo conosciamo bene. Quindi ho deciso di realizzare un filmato partendo dalla promozione della città di Lecce. Da un paio di mesi, effettuo delle riprese con uno dei miei esacotteri, alle primissime ore del mattino, in totale assenza di vento, ma sopratutto senza i curiosi che si affollano ogni volta intorno a me. Far volare un multirotore a pochi centimetri dalla statua di S. Oronzo è molto complesso,

Veduta aerea di piazza garibaldi filmata dal drone

peggio ancora se mentre sei attento a non commettere errori (che potrebbero essere fatali!) qualcuno ti tempesta di domande! Le riprese del breve filmato fatto a San Cesario mi hanno fatto venire l’acquolina in bocca. Che dici, possiamo fare insieme uno spot sul nostro bel paese? È mia intenzione fare qualcosa per il paese di San Cesario, e questa non è solo una promessa, ma sarà una grande soddisfazione! Gianni Nobile gianni@alambicco.com

Puoi vedere il video realizzato a San Cesario sul nostro sito

www.alambicco.com

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