Nichi 2.0

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maggio_2010

10-05-2010

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ASSOCIAZIONE

UN MERCOLEDÌ DA SCRITTORE

Grande successo per il corso di scrittura; ecco i racconti dei partecipanti. C’è chi segue il corso di cucina e chi quello di scrittura creativa. Visto che in cucina mi preferisco nella parte del consumatore finale, ho optato per la scrittura creativa. Da oggi continuerò a scrivere cazzate, ma con classe. Una lezione dopo l’altra abbiamo scelto le parole, frullato i pensieri, impastato le idee, glassato le frasi, alchimizzato le pause, inseguito la bontà. Meraviglioso. Penso che il mercoledì da letterati andrebbe istituito per decreto. Ridurrebbe anche l’incremento della comunità dei cuochi. Che incrementano la categoria dei soggetti a dieta. Che ingrandiscono il gruppo di quelli che fanno trekking per dimagrire. Che vanno a intasare gli ospedali, strangolati dall’affanno. Viva i corsi di scrittura creativa, ritemprano le menti e aiutano a restare magri. Giovanna Buttazzo

Scrivere è viaggiare nell’ultimo sogno per scrivere della sua stessa sostanza. Scrivere è trovare le parole per elaborare il proprio dolore o descriverne i silenzi. E forse aver usato altre parole sarebbe bastato a cambiare strada e a vedersi in altri orizzonti. Non è parlare di un uomo, di una donna, dell’amore, di una passione o delle passioni, delle storie e delle fughe, dell’inganno e del ritorno, dei tempi, dei momenti e delle attese. Saranno essi stessi a parlare con la loro leggerezza imponderabile e a far trovare le parole esatte, che saranno quelle soltanto. Le parole diranno sempre qualcosa di inaspettato, comico e drammatico. Come la vita. Giulia Diso

Mi capita spesso di essere da sola nella mia testa e di macinare pensieri senza sosta. Li faccio affiorare, li giro, li rigiro, li rinnego, li rispetto, li ripeto ossessivamente, li scaccio. A volte tra questi, mi capita di pensarne uno diverso, uno che non avevo considerato. Quando sento arrivare quel fermo immagine, spesso frutto di un albero di pensieri, cresciuto lentamente nel tempo, tra rami di ragionamenti personali o assorbiti dall’esterno, vorrei trattenerlo. Spesso deriva da un lungo travaglio, fino a che non diventa un ragionamento compiuto, dignitosamente formato e a mio parere, pieno di significato.

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Mi è capitato spesso di non riuscire a trattenere l’ efficacia di quelle frasi neanche il tempo di scriverle. Arrivano con tale disinvolta leggerezza, da svanire alla stessa maniera. Vorrei avere ondate di pensieri del genere, invece mi capita raramente e spesso esploso il lampo, non rimane che il profumo della pioggia. Mi piacerebbe pensare meglio, imparare a trattenere e trattare le parole per ricordarle, per raccontarvele. Grazie ad Antonio e al gruppo di sgangherati pivelli scrittori al seguito, qualche pagina in più verrà scritta, anche in sgangherese se proprio dovessimo. Perché dobbiamo lavorare ancora molto, ma di una cosa siamo convinti, che tutti abbiamo un esperienza del tutto personale alle spalle e quindi qualcosa da dire, di saggio. Anche perché, se pur non fossimo pienamente d’ accordo con qualcosa che un nostro compagno del corso o al di fuori di esso abbia scritto, come disse Voltaire: “Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu possa esprimerla”. Valeria Girau

La donna è l’anima dell’uomo. L’anima è come il vento. Il vento non si può fermare, afferrare, intrappolare, rinchiudere ma fugge e segue il suo destino. Il corso della natura. Può essere brezza di mare che rinfresca. Corrente d’aria che muove pale eoliche o quelle di

mulini a vento. Tempesta di sabbia che impietosamente copre. Tromba d’aria che avvolge. Uragano che rumorosamente travolge e tutto sconvolge. L’uomo di tutto questo ha paura. È ammaliato dal suo fascino ma al tempo stesso se ne allontana e la idealizza. Pubblicità, pornografia, violenza sessuale sono le forme per controllarla e renderla innocua. Atteggiamenti da macho per affermare la propria identità e stupidità. Firmare la propria condanna ad essere posseduto per tutta la vita. Basterebbe. Semplicemente. Amarla. Ennio Lecciso

Dovessi scrivere qualcosa, non comincerei di lunedì. Stanco per la solita domenica della gita fuori porta, il lunedì lo dedico al divano e rimando tutto a martedì. Ma in questo giorno non si sposa e non si parte, come dire, né arte né parte. Allora proverò col giovedì. Così brillante, austero, sempre al centro della scena. Ma non sarà un po’ tardi cominciare a scrivere una storia a ridosso del weekend. Voi mi vedreste di sabato sera a girare nella stanza per cercare le parole.

No, meglio una birra in compagnia. Rinuncio. Ma come ho fatto a non pensarti prima, già sei timido, introverso, il nome lungo. Comincerò così, da te mercoledì. Tonio Panzera

La mia testa era lì. Immersa in ogni pezzettino bianco deformato a misura da forbicetta magica. Per riuscire a colorare sia pure soltanto con una linea nera impercettibile ed unica. Combaciante e armoniosa con le altre. Era sempre lì. Continuamente. Nella storia da reinventare. In quella storia, da inventare come tracciato da percorrere cercando di lasciar traccia osservando una linea sottile d’orizzonte sbiadita o nitida. Ma talmente lontana da non dover desiderare di raggiungerla mai. Ecco, dove portavo la testa. In un puntino verso cui poter tendere con la speranza di vederlo ingrandire, e la consapevolezza di non trovarvi niente e nessuno, se non, una remota minuscola e straordinaria, parte di me. Pierpaolo Petrosillo

I BAMBINI NON SON PELATI

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uesta volta vorrei raccontarvi una storia, accaduta in un grande paese lontano, tanto tanto tempo fa… In quel paese grande c’era un asilo nido con tanti bambini e quattro brave maestre, ognuna delle quali si occupava di alcuni di loro, ed ogni bimbo era naturalmente molto affezionato alla sua maestra. Accadde un giorno che una delle maestre fu costretta ad assentarsi per un lungo periodo, e si rese quindi necessario procedere ad una sua sostituzione. Viveva però in quel paese un oscuro burocrate, di cui la storia non ci ha tramandato il nome, ma di cui sappiamo che aveva ricevuto direttamente dalle mani dell’allora Ministro delle finanze il “Tremontino d’argento” per i tagli ai servizi sociali, che fece una bella pensata.

Si disse: se in un supermercato si rompe uno scaffale, per risparmiare si prendono i piccoli oggetti che ci stavano sopra: biscotti, merendine e scatole di pelati, e li si mette sugli scaffali residui, qua e là, dove si trova spazio. Perché allora non fare così anche con i bambini? In fondo, che differenza c’è? Anche loro sono piccoli! Li mettiamo tutti in ordine di altezza, li ridistribuiamo fra le maestre rimaste, ed evitiamo di comprare un nuovo scaffale… Per fortuna i genitori e le maestre volevano molto bene ai loro bambini, e non accettavano l’idea che potessero essere spostati da un giorno all’altro come si fa con le scatole di pelati sugli scaffali dei supermercati. E siccome non si sentivano sudditi borbonici, decisero di comportarsi da cittadini: chiesero al borgomastro ed al suo scudiero di convocare un’as-

semblea dei genitori, e con grande compostezza, ma con altrettanta fermezza, illustrarono insieme alle maestre le loro ragioni e quelle dei bambini, trovando per fortuna attenzione ed ascolto. Il borgomastro seppe riconoscere le loro ragioni, e consentì ai bambini di restare con le loro maestre, garantendo loro la serenità e l’affetto di cui da che mondo è mondo tutti i bambini hanno bisogno. E così furon salvati Dal destino dei pelati I bambini sorridenti (e vissero tutti felici e contenti) Perché quella volta, in quel grande paese, con il contributo di tutti, la poesia fu nei fatti… Nonna Papera


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