Uniti (?) per San Cesario

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febbraio_2009

17-02-2009

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DAL MONDO

“OSCAR ROMERO”

QUALCUNO FERMI MUGABE!

IN COLLABORAZIONE CON IL CENTRO

Lo Zimbabwe è un paese paralizzato. Oltre l’80 per cento della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno. Non vi è libertà di espressione e le notizie che filtrano sono scarse e poco verificabili.

P

artiamo dall’emergenza alimentare. Nell’ottobre 2008 un reportage pubblicato dal Times dava l’allarme: «Cinque milioni di zimbabwani, quasi la metà della popolazione nazionale, dipendono dagli aiuti alimentari e, pertanto, rischiano di morire di fame. Gli ospedali del paese, già privi di medicinali sufficienti per affrontare le malattie comuni, non riescono a fronteggiare la malnutrizione che colpisce soprattutto i minori. L’Onu ha chiesto aiuto per 81 miliardi di dollari per far fronte al problema, ma secondo il World Food Programme con questa cifra si arriverebbe a coprire le esigenze solo fino a gennaio 2009». In questo momento ad Harare i supermercati sono vuoti, i campi incolti, le scuole chiuse: lo Zimbabwe è più che mai al collasso. «Con un tasso di disoccupazione ormai superiore all’80 per cento e un’iperinflazione galoppante, la Banca Centrale del paese non trova altra soluzione che emettere ciclicamente sul mercato nuove banconote. L’ultima del valore di 3 miliardi di dollari zimbabwani, circa 20 euro. Medici, insegnanti e altri professionisti scelgono di lasciare l’impiego perché raggiungere il posto di lavoro, sia con mezzi privati che con mezzi pubblici, è troppo costoso». (Nigrizia)

A questo quadro già triste si è aggiunta in questi giorni un’epidemia di colera causata dalla contaminazione dell’acqua. Le vittime sono più di 4000. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara che «la situazione è completamente fuori controllo, con il sistema sanitario nazionale al collasso e oltre 70 mila persone contagiate». Chi ha portato lo Zimbabwe alla rovina? Domanda retorica. Risposta complicatissima. Di sicuro, in questo momento, vi è uno stallo politico che paralizza ogni settore vitale del Paese. E, sempre di sicuro, questo stallo è causato dal risultato delle presidenziali dello scorso anno dalle quali, tra brogli e violenze, è uscito vincitore per il suo sesto mandato Robert Mugabe, 84 anni, al potere dal 1980. Un dittatore coi fiocchi! Del resto non poteva che vincere lui, visto era l’unico candidato. L’oppositore Morgan Tsvangirai, dato per favorito, era stato costretto a ritirarsi a causa delle violenze esplose nel paese subito dopo il primo ballottaggio. Pressioni internazionali, esercitate da Onu, Ua (Unione Africana), capi di stato europei, americani e africani hanno cercato, senza successo, di portare Mugabe alla ragione. Sembrava che la situazione si risolverse con un “governo di unità nazionale”, con

Mugabe presidente e Morgan Tvangirai capo del governo. Poi il contenzioso si è spostato sull’assegnazione dei ministeri. Mugabe non accetta di rinunciare al potere; pretende il controllo di tutti i ministeri chiave: Esteri, Interno, Difesa, Finanze, Giustizia, Comunicazioni. Su questa drammatica situazione è intervenuta anche la Chiesa cattolica. I Vescovi dell’Africa australe hanno chiesto con forza a Robert Mugabe di dimettersi per «dare spazio a un governo di unità nazionale ad interim che permetta al più presto lo svolgersi di elezioni libere sostenute e validate dalla comunità internazionale». I vescovi hanno inoltre invitato i governi e le istituzioni di tutta l’Africa australe a chiudere i rapporti con il regime di Mugabe: «La sua presenza al potere è un atto illegittimo che sta causando un genocidio» hanno concluso nel loro intervento. Altrettanto determinata è stata l’Unione Europea, che ha approvato nuove sanzioni contro il regime di Harare. In particolare è stato esteso il divieto di ingresso nell’Ue – e il congelamento di loro beni – a 26 persone e a 36 compagnie legate a Mugabe. Così si colpisce il commercio di pietre preziose (diamanti), l’unico che permette ancora all’anziano presidente di sopravvivere. Speriamo che le società europee che campano trafficando, più o meno legalmente, “materie prime” preziose – diamanti, oro, coltan – non eludano quest’embargo!

E adesso veniamo all’Unione Africana che, nei confronti di Mugabe, non è ancora riuscita ad assumere una posizione unitaria. Al momento solo il Kenya si è espresso in maniera chiara: il premier kenyano Raila Odinga ha chiesto all’Ua di «sospenderlo dall’organizzazione continentale fino a quando non ci saranno nuove elezioni, stavolta libere e corrette». Infine, la reazione degli Stati Uniti. Sembra che la nuova presidenza Obama spinga su Russia e Cina per far approvare in sede Onu una serie di sanzioni “dure” contro la dittatura di Mugabe. Sarà la volta buona?! L’anno scorso, al culmine delle violenze esplose durante le elezioni presidenziali, proprio Russia e Cina – con motivazioni dettate da interessi politici (Russia) ed economici (Cina) – avevano impedito che il Consiglio di Sicurezza varasse sanzioni “dure” nei confronti di Harare. Assurdi “artifizi politico-diplomatici” che passarono sopra la testa della gente, trascurando persino i bisogni primari. Oggi non è più tempo di artifizi. Lo Zimbabwe è letteralmente alla fame e ha bisogno di soluzioni immediate. L’emergenza colera va affrontata subito con ogni mezzo. Perché questo si realizzi è importante che Mugabe si dimetta e, a 84 anni, passi il testimone. Qualcuno riuscirà a portare Mugane alla ragione? Gianni Albanese

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