Di Nuovo e Ancora

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Gian Paolo Scanu

Di Nuovo e Ancora Romanzo

Di Nuovo e Ancora

L’autore, Gian Paolo Scanu, è un libero professionista che si sposta per tutta la penisola. Ama viaggiare e, nel tempo libero, leggere e fare passeggiate. E’ il primo romanzo che pubblica. Brevi, semplici esperienze letterarie, cimentandosi anche nella commedia dialettale dilettantistica, l’hanno accompagnato nelle diverse esperienze lavorative, politiche, artistiche, non profit. Sua la pubblicazione nel 1987 di alcune favole tratte da una raccolta dedicata ai figli. Vive in Sardegna.

Gian Paolo Scanu

Nuvola, come tante, è una ragazza di vent’anni. Giovane, fresca, piena di vita. E come tutte, cerca l’amore. Ma la vita a volte riserva delle sorprese e il percorso diventa più tortuoso. Solo la forza che troverà in se stessa le consentirà di andare avanti.

Foto di copertina: di Gian Paolo Scanu

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Gian Paolo Scanu

DI NUOVO E ANCORA


Di nuovo e ancora © 2010 Gian Paolo Scanu isbn 978-88-97039-04-4 L’opera depositata c/o S.I.A.E. - Sede di Cagliari - Sez. OLAF - N° 2010003884 - 12/07/2010

tgbook editore by tecnograficarossi via 1° maggio, 6 36066 Sandrigo (Vicenza) www.tecnograficarossi.it www.stampaunlibro.it Questo romanzo è frutto di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone è del tutto casuale e conseguente alla narrazione.


Capitolo 1

Il mulinello di foglie ingiallite, cartacce e polvere inseguiva disordinatamente i piedi di Nuvola. La giornata non prometteva niente di buono e il vento si era levato caldo e capriccioso. Non aveva una precisa direzione e la pettinatura fissata dalle abili mani di Ada rischiava di mandare in fumo il lavoro appena fatto. Nuvola proseguiva lungo la strada lasciando che le auto le scorressero di lato nella loro corsa insensata. Un camion sovraccarico di ghiaia arrancava nella salita lasciandosi dietro una colonna di fumo nero. Nuvola chiuse per un istante gli occhi trattenendo il fiato, preoccupata per i suoi polmoni. Troppi malati di cancro. Camminando, voltava lo sguardo verso il lato ignorando gli automobilisti che la scrutavano, indugiando oltremodo sul suo sedere modellato dal jeans, fasciata sino alle caviglie impreziosite a loro volta dai sandali bianchi, mezzo tacco. I commenti che le giungevano alle orecchie la infastidivano e nel contempo le davano un senso di compiacimento. Lo specchio della sua camera da letto confermava che tutto era al posto giusto. Ciò non le impediva di pensare che gli uomini fossero tutti scemi. Guardò l’orologio ricevuto in regalo per il diploma facendolo roteare sul polso per meglio leggere l’ora. Era 7


quasi mezzogiorno e a casa l’attendeva la madre. Antonio non si era fatto sentire. Il sms di saluto quella mattina non l’aveva ricevuto. Eppure Antonio le aveva garantito che si sarebbe fatto sentire prima di prendere l’aereo. Ancora, come lui pretendeva, Nuvola gli aveva promesso che non si sarebbe preoccupata nel caso in cui non avesse ricevuto messaggio. Estrasse dalla borsa il cellulare e verificò per l’ennesima volta. Andò in Messaggi Ricevuti. Aprì. Lesse “Ti amo”. Quel messaggio Nuvola l’aveva riletto un migliaio di volte e ancora non si era stancata, né riusciva a cancellarlo. No, non voleva cancellare quel sms. Lo trovava così semplice, bello, meraviglioso, persino completo. Nessun’aggiunta, nessun “sei carina - mi piaci - ti vorrei tutta per me”. Semplicemente, ti amo. E lei sapeva quanto fosse difficile farselo dire da Antonio.

Non che non la amasse, questo no, però talvolta glielo doveva chiedere espressamente e questo la immalinconiva. Antonio si imbarazzava e le ripeteva che lei sapeva benissimo quanto teneva a lei. Certo, Antonio era suo. I momenti più intensi li aveva vissuti con lui, solo con lui, le carezze, i baci, l’estasi dell’amore l’aveva provata solo con lui. Ma nei momenti più importanti lui taceva, nessun commento, almeno una volta sentirsi dire: “Mi fai morire”. Dopo, lei faceva fatica a trattenersi dal chiedergli a cosa stesse pensando. Conosceva già la risposta. 8


La brusca frenata dell’auto la fece sobbalzare riportandola al presente. Dal cristallo abbassato della Ford verde l’uomo sulla cinquantina protestava vivacemente dandole della stronza perché si era messa ad attraversare la strada improvvisamente senza aver controllato se stessero sopraggiungendo delle auto. - Guarda dove porti il culo - Ma come si permette! …. Riconobbe in quella voce alterata una cadenza un po’ familiare. Ancora non si era resa conto a chi potesse appartenere quando l’uomo si scusò per l’odioso epiteto proferito nei confronti della figlia del suo socio, per di più deceduto. - Oh scusa Nuvola, sei tu, non ti avevo riconosciuto. Devi stare un po’ attenta, ancora un po’ e ti mettevo sotto!- Scusi lei, ma ero sovra pensiero e non mi sono accorta - Fa niente..ti saluto… vuoi un passaggio? Dove vai? Se

vuoi… - No grazie - rispose Nuvola voltando lo sguardo da un’altra parte. E mentre l’uomo, abbozzando un viscido sorriso, ingranava la prima e si allontanava, Nuvola amaramente pensava che a lui di certo sarebbe piaciuto metterla sotto a modo suo. Era Anardi, l’ex socio del caro papà. Papà era morto e morendo le aveva lasciato un vuoto incolmabile. 9


A Nuvola il signor Anardi non era mai piaciuto. Nemmeno quando a casa, sorseggiando un brandy col padre, si accendeva nel descrivere la sua capacità nel trattare

gli affari. I dettagli si sprecavano allorquando scendeva nei particolari per essere riuscito ad avere informazioni riservate sulla sofferenza bancaria dell’avversario o di qualche debolezza della moglie per non aver resistito alle sue convincenti avances. Ma più di ogni altra cosa, a Nuvola le si stringeva il cuore nel pensare a quante volte Anardi aveva raggirato suo padre, così incline a dare fiducia e ad evitare qualsiasi scontro verbale. Era certa che suo padre avesse dato ragione al socio solo per evitare la veemenza delle sue parole. Nessuno le aveva mai tolto il dubbio che il fallimento di suo padre derivasse dalla trappola che le aveva teso Anardi, allorché lo convinse a firmare quella fideiussione bancaria. Le banche – si sa – fanno i loro interessi e non guardano in faccia nessuno, sono pronte a farti credito quando non ne hai bisogno, ma appena le cose vanno male, non solo non ti aiutano, ma ti strozzano sino a metterti in vendita la casa. Le banche, diceva il papà, danno i soldi a chi li ha già. Se non ne hai, neppure ti ascoltano. Nuvola aveva vissuto quella triste esperienza, i passi dell’insonnia di suo padre, quel rabbuiarsi ad ogni telefonata, quell’abbassare il tono di voce che le impediva di comprendere cosa stesse accadendo e del perché il papà avesse smesso di essere allegro con lei. Fu in quei tristi 10


momenti che Nuvola sentì per la prima volta la parola ipoteca, senza comprenderne appieno il significato. Solo più tardi ne avrebbe compreso le conseguenze.

Poi suo padre era morto. Di cancro. Ma per lei, la causa della prematura dipartita del papà non era stato il cancro, ma lui, il signor Anardi. Nuvola non si avvide che si trovava davanti alla porta di casa. - Buongiorno Nuvola, ci si rivede - Oh… buongiorno signor Anardi… ma … - Oh, non preoccuparti Nuvola, non son venuto a casa tua per dire a tua madre che stavo per investirti a causa della tua testa che tieni per aria…d’altronde si sa… le ragazze d’oggi hanno cose ben più interessanti a cui pensare… Nuvola fece finta di non cogliere il sorriso - un vero e proprio ghigno - che si era stampato sulla bocca dell’Anardi. Nuvola, presa dalla rabbia, fece dietro front e con una scusa banale si riallontanò da casa congedandosi da Anardi. Per non vederselo tra i piedi, in casa. Vi fece rientro dopo mezz’ora circa, non senza aver controllato intorno sulla presenza della Ford verde.

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Capitolo 2

- Ha telefonato Antonio, dice che sta bene Nuvola, appena varcata la soglia di casa, era stata raggiunta dalla voce della madre dalla vicina stanza da letto. - Non ha detto altro Antonio?… Mamma!?... Mi senti? La madre era nuovamente assorta nelle faccende e non sentiva più. Da tempo non si interessava più a lei e stava assente, estraniandosi da tutto e da tutti. La morte del marito l’aveva resa dapprima disperata poi severa con se stessa; non poteva sopportare che il marito l’avesse lasciata sola con una ragazzina da accudire. Diceva che lei non aveva fatto mai del male a nessuno e non lo meritava. Nuvola si avvicinò alla camera e insistette con la madre per sapere se Antonio avesse detto qualcosa di particolare. Nessun commento. Poco dopo, come si fosse risvegliata, la madre di Nuvola rispose: - Non ha aggiunto altro La figlia incalzò la madre: - E Anardi? Cosa voleva quel bastardo? – - Ti ho detto tante volte che non voglio che tu parli così - Ah sì? Però tu mi tratti da imbecille e continui a non dirmi le cose - Tu pensi di essere grande, ma certe cose non puoi capirle 12


- Può darsi, però per i miei gusti Anardi sta venendo un po’ troppo spesso a casa nostra. E di certo lui non è il tipo che fa visita per consolare, ma solo per interesse suo personale. Cosa nasconde? Vuole forse farti capire che con tuo marito è stato generoso? Che l’ha aiutato? Che la cattiva sorte gli ha portato via il suo migliore amico? Dai mamma - proseguì Nuvola sempre più accesa – forse sei tu che non sei voluta crescere, sei più ingenua di me e poi… - Nuvola esitò ma poi cambiando tono di voce, - e poi guarda un po’ troppo… - Cosa guarda? La domanda non ebbe risposta perché Nuvola si era già chiusa in camera, in preda alla collera, prese il cellulare, verificò il credito rimasto e digitò il numero di Antonio. La solita vocetta metallica femminile rispose… “il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile ….” Il tasto di chiusura, premuto con rabbia da Nuvola, mise fine alla cantilena. Nuvola buttò il cellulare sul letto. Poco dopo lo riprese, andò su messaggi e digitò: “Vorrei poterti dire tutto ciò che sei per me. Vorrei poter sapere che tu ami me con un desiderio che non troverà mai totale appagamento e andrà oltre questa vita. Ti amo così tanto che anche la sofferenza che deriva da questo amore diventa dolce e infinita”. Poi cercò in rubrica e trovò alla A, Antonio; selezionò ed inviò. Attese risposta per quindici minuti circa, che a lei parvero un’eternità. 13


Niente. Riprese il cellulare e selezionò per un altro messaggio: “ Soffro a saperti triste, soffro se penso che potresti star

male, soffro perché non so farti sorridere, soffro perché non mi so far amare”. Schiacciò il tasto invio e poco dopo apparve “Messaggio inviato”. Attese oltre un’ora. La vibrazione del cellulare la fece sussultare. Nuovo messaggio. Visualizzò e lesse: “Sono sfinito dal dispiacere che mi porto dentro, son convinto che stiamo uccidendo la poesia del nostro amore. Non sarò io il boia. Starò solo per sempre, nel mio dolore senza amore. Non soffrire per me. Un’ipocrita non merita una lacrima”. Che significava? Cercò il mittente per accertarsi e per negare a se stessa che quelle terribili parole non fossero state inviate da Antonio. Sconosciuto. Mittente sconosciuto. Ma non può essere! Gli sms hanno sempre un mittente! Eppure, per quanto smanettasse in “messaggi” per convincersi di aver letto bene, tutte quelle brutte parole erano lì, senza mittente e senza logica. Antonio era stato sempre sincero con lei, si erano sempre ripromessi di raccontarsi tutto, nel bene e nel male. Cos’era successo? Vero che ultimamente Antonio faceva evidente sforzo per seguirla nei discorsi, con i pollici infilati nelle tasche dei jeans che facevano da leva alle sue braccia che si tendevano e 14


si piegavano a dare vigore alle parole che più non bastavano per fermare Nuvola. Antonio sbuffava e alla fine preferiva tacere, cosa che faceva arrabbiare ancora di più Nuvola, che

continuava ad accusarlo di non pensare più a lei, di essersi dimenticato delle dolci attenzioni che le rivolgeva nei primi mesi di amore. Forse avevano fatto l’amore troppo presto, forse la passione li aveva travolti escludendo pian piano tutti gli amici, cercando di stare sempre da soli. Erano tempi di furore, nell’amore e nei litigi. Dio quanto litigavano… Quando litigavano si scatenava l’inferno, il mondo crollava e nulla aveva più senso; in quei momenti Nuvola voleva solo una cosa: morire. Dalla morte del padre qualcosa era cambiato in lei, era come se non sopportasse il dolore, il cuore non reggeva, impazziva e il petto non bastava per contenerlo. Piangeva e urlava, urlava e piangeva ripetendo che non era giusto, perché tutto a lei doveva capitare, lei che non avrebbe fatto male ad una mosca. Forse Antonio si era stancato di lei.

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Capitolo 3

Pensieri taglienti come lame affilate ferivano il cervello di Nuvola, rovi ispidi graffiavano il suo cuore facendo secernere minuscole gocce di sudore che imperlavano la superficie della fronte. Buio pesto, trafitto da lame di luce che sfrecciavano verso il cielo, fitti e intricati cespugli di rovi graffiavano le gambe di Nuvola divenute di piombo. L’angoscia e le faceva mancare l’aria. Doveva respirare profondamente, ma il fiato era troppo corto e l’aria non passava. Non era la prima volta che il cielo si oscurava sopra di lei. Panico, panico, e il terrore che non riuscisse a controllarlo era maggiore del panico stesso. Ora l’aria non bastava più, tentava di afferrarla sforzandosi di trattenerla per gonfiare i polmoni, ma non passava oltre la faringe. Quella terribile sensazione di non trovare da nessuna parte quello spazio aperto che le avrebbe ridato l’aria, faceva crescere l’ansia bloccando Nuvola nel terrore. La bestia, la bestia tornava ancora, se ne impossessava, la sovrastava totalmente. Si ritrovò in strada a correre ed ansimare, sudando freddo e scoppiando dal caldo. La pelle umida, i vestiti fradici incollati addosso. La gonna sottile incollata alle cosce le frenava la corsa verso l’aria. Non vedeva, non sentiva. I piedi le si intrecciavano litigando tra loro su chi dei due 16


dovesse precedere l’altro. E la strada si era fatta pesante, indefinita, lei era ferma, ma la strada le veniva incontro mettendo a dura prova il suo equilibrio.

Buio. Apnea. Senso di soffocamento. Lentamente l’aria raggiunse nuovamente i polmoni di Nuvola riossigenandone il cervello. Gli occhi umidi diedero via libera alle lacrime che, copiose, ora le scorrevano lungo le guance seguendo i contorni del naso e della bocca sino a bagnarle il collo. Nuvola non si era resa conto di trovarsi sotto un albero, per terra, con i capelli incollati al viso. D’istinto tirò la gonna per coprirsi e cercò di spostare i capelli che si erano infilati nella bocca ancora aperta. Il cervello riprendeva a ragionare e il primo pensiero corse al suo medico. Come spiegargli che presto sarebbe finita nell’abbraccio freddo della morte? Il dott. Settini ripeteva che non c’era nulla, che poteva stare tranquilla, che col

tempo le sarebbe passato. Ma lei e solo lei poteva riconoscere la mano che le stringeva la gola sino a toglierle il fiato. Aveva anche consultato – ma solo per far contento il suo medico – uno strizzacervelli. Aveva messo per iscritto le sensazioni che poteva ricordare dopo quegli episodi. Nuvola scrisse: Pian piano si fece buio. Scappavo ma non avevo più le gambe per correre, erano troppo corte, erano pesanti e tutti gli sforzi non bastavano per trascinarle. Cadeva a terra e si stringeva le gambe per scuoterle, per farle camminare. Ma non riusciva neppure a prenderne una. Erano molli, ruotavano e si piegavano come 17


fossero di pezza. Lei era una bambola di pezza. Apriva la bocca per parlare, ma la bocca era disegnata. Doveva scappare, sarebbe stata raggiunta e non sarebbe stata in grado di difendersi. Le braccia pesanti e tanto mal di testa. Ora la raggiungevano, sì, l’avevano presa. Veniva raggiunta e afferrata per un braccio, il braccio si allungava infinitamente e diventava sottilissimo, urlava con quanto fiato poteva avere in gola per paura che le si staccasse, ma nella sua bocca era disegnato un sorriso e nessuno poteva credere che stesse urlando dalla paura. Non un sol fil di voce usciva dalla sua bocca. Il braccio le doleva e lei cercava disperatamente di svincolarsi. Sentiva in lontananza qualcuno che la chiamava e la voce era sempre più vicina. Ora poteva intravvedere che chi le stringeva il braccio, sì, era una signora di mezza età, con i capelli ricci, biondi, freschi di parrucchiera, dall’aria decisamente preoccupata che la chiamava scuotendola “Signorina! Signorina! - Ripeteva continuamente – Si sente bene? Vuole che chiami un’ambulanza?”

- No grazie va meglio - rispondeva Nuvola - Ma le hanno fatto del male? Che le è successo? - Nulla grazie non si preoccupi. - Guardi che non c’è problema, se vuole chiamo qualcuno per aiutarla. - No grazie, davvero sto meglio. - Ma si è sentita male!? Che le è successo? Stavo passando di qui ed ho sentito i suoi lamenti e sono corsa per aiutarla. Mi sono veramente spaventata – guardi – non aveva un bell’aspetto mi creda. - Non si preoccupi, mi è capitato altre volte anche se non 18


ricordo niente. Ricordo solo che avevo una crisi di panico e sono scappata lungo la strada… poi più niente… Dopo, la voce della signora diventava fredda, metallica, cupa, come provenisse da una caverna, ora somigliava più ad un uomo con la parrucca bionda, con un accennato sorriso perfido, vagamente somigliante a qualcuno, e insisteva per aiutarla: - Guardi, se vuole l’accompagno a casa… o se preferisce mi dia il numero di telefono di casa sua .. avrà qualcuno che possa venire a prenderla o vive sola?! - No, no, va tutto bene ora mi rimetto in ordine.. è tutto passato.. grazie, grazie non si preoccupi.. - Come vuole… Mi allontanavo in fretta, non dovevo far vedere di aver paura, ma mi accorgevo di non aver più la gonna, lui o lei mi chiamava, ora avevo la mia gonna tra le mani e l’agitavo, ma dovevo scappare, le mani che cercavano di spostare i capelli che mi si incollavano sul viso e non potevo vedere, inciampavo perché grosse funi si attorcigliavano nei piedi…

Barcollando, a stento Nuvola si mise in piedi, cercò di rassettarsi i capelli ancora umidicci, la mano sulla fronte trascinò una parte delle perline di sudore che ne avevano ricoperto la superficie. Un altro episodio. Il mostro si era rivelato ancora. Era malattia? Riprese la via del ritorno a casa, preoccupata per la madre che forse la stava cercando. 19


Capitolo 4

- Spingi, dai, di più, più in alto, voglio volare in alto sino in cielo La bambina dondolava nell’altalena che la portava in alto sotto la spinta delle robuste braccia del papà. - Ancòra papà, ancòra e le risate di Nuvola si levavano nella tiepida sera di primavera, tintinnando come cristalli nello spazio del cielo azzurro, confondendosi col garrire delle rondini che erano tornate. - Tienti stretta piccina, tienti stretta - le gridava il padre pieno di felicità per quel piccolo fiore che il cielo gli aveva donato. Sorrideva, felice della vita, felice della sua Giovanna, grato di avergli fatto il più bel regalo. Angelo aveva voluto chiamarla Nuvola, come le candide e soffici nuvole che rendono morbido il cielo, fatte di bianchissima ovatta per poterci saltare e farci le capriole. La sua bambina doveva essere come il cielo, limpida e luminosa. Angelo sentiva ancora l’odore nella pelle della sua creatura appena nata, quando l’aveva tenuta in braccio davanti alla mamma che ancora piangeva di gioia e dolore, mentre dal cuore si levava un inno di ringraziamento alla vita per l’immensa felicità regalatagli. Da quel giorno Angelo camminava per strada beato, 20


col sorriso stampato sul viso; anche il mondo sembrava diverso, meno duro e più accogliente. Angelo aveva ripreso a fare progetti, i sogni sembravano più realizzabili, il

sacrificio trovava un senso ed uno scopo: rendere felice la sua dolcissima bimba. Ogni giorno che passava, per lui era sempre più difficile resistere alla tentazione quotidiana di comprare qualcosa per la sua piccola Nuvola. Adorava farle delle sorprese, cosa che, alla lunga, avevano irritato la moglie. Perché, anche quelle piccole spese quotidiane potevano trasformarsi in costi aggiunti che avrebbero inciso sensibilmente sul bilancio familiare. Per Angelo era normale tornare a casa con i vestitini in pizzo “sangallo”, le scarpette più piccole di un numero senza rendersi conto che la sua piccola era cresciuta. Insomma, un papà un po’ fuori di testa, che dava giustificazioni del tipo …. “ma erano troppo carine”. Allora Angelo nascondeva l’imbarazzo affondando il suo faccione

tra la spalla e il collo di Nuvola e facendo finta di mangiarla tutta. Il gioco del papà faceva venire il solletico alla bimba scatenandone le risate. - Ancora papà, ancora e lì nuovamente a ripetere il gioco sino a renderla esausta. A Nuvola venne in mente un episodio, benché all’epoca avesse soli due anni, quando il papà, per gioco, sollevandola in alto, le fece sbattere la testa sul lampadario del salotto. Ciò scatenò l’immediata reazione della madre che gliela prese dalle mani rimproverandolo. Quella volta Nuvola 21


trattenne le risate argentine, che tanto facevano impazzire il papà, sbalordita e spaventata più dal gridare della mamma che per il dolore del colpo ricevuto.

Nei giorni di freddo, in particolare, quando il papà faceva l’impossibile per accompagnarla alla scuola dell’infanzia, facevano questo gioco: Nuvola portava al papà il suo bel giubbotto impermeabile color lilla, ben imbottito e con un filo di pelliccia sul bordo del cappuccio, allargava le braccia per indossarlo, ma il papà faceva finta di sbagliare infilandole una manica al contrario. Le espressioni di disappunto e stupore delle bimba si sprecavano: - Ma no papà non si mette così, non si mette così … Questo faceva tanto divertire Angelo. Motivo in più per abbracciare ancora la sua stella adorata. Allora la prendeva per le braccia e la faceva ruotare intorno come la giostra. Si, sentirla ridere, vederla felice, era la cosa più bella che potesse avere. Angelo si scioglieva nel sentire le piccole braccia aggrappate al collo. - Abbracciami bimba mia… - Abbracciami papu… La piccola non aveva ancora compiuto quattro anni allorché, a scuola, accadde un episodio curioso. Nuvola andava fiera del suo papà e non permetteva a nessuna delle sue compagnette di mettere in dubbio la grandezza del suo papu. Le sfidava perché il suo papà era il più forte. Una volta, mentre giocavano con le costruzioni, Nuvola disse a tutte che suo padre aveva affrontato un orso 22


mettendolo in fuga; c’era stata una colluttazione e alla fine aveva vinto il papà. Tutte le bambine dapprima rimasero stupite e subito dopo iniziarono a prenderla in giro. Quasi

nessuna ci credette, altre rilanciarono la sfida dicendo che il loro papà aveva lottato con orsi e persino leoni. Altre ancora piansero insistendo che il proprio papà era il più forte di tutti. Ci fu qualche spintone e volò qualche schiaffo. Alla fine Giulia e Alice, le amiche di Nuvola che l’avevano difesa, si trovarono per terra, spinte con forza dalle compagne che non la sopportavano. Intervennero le maestre per separarle, tra strilli e pianti, singhiozzi e disperazione. Nuvola non piangeva, ma aveva un muso e tirava su col naso trattenendo un pianto che da li a poco sarebbe esploso per l’insostenibile offesa ricevuta, per essere stato messo in discussione che il suo papà fosse il più forte di tutti. Angelo venne avvisato dalla maestra di Nuvola per il disordine che la figlia aveva creato. Mortificato per l’inusuale comportamento della figlia, lui si scusò e promise di rimproverarla. La sera, in casa, Angelo prese la bimba e la mise a sedere sulle sue ginocchia. Poi, mosso da curiosità, più che da vero intento di rimprovero, iniziò: - Nuvola, cosa è accaduto a scuola? Mi hanno detto che hai fatto piangere le tue compagne… Nuvola ascoltava il papà con la testa china. Il papà riprese: 23


- Beh? Dov’è finita la lingua? Non dici niente? Nuvola taceva. - Ho capito, non vuoi più parlare al tuo papà… -

Ancora silenzio. Poco dopo Angelo sollevò col dito il mento della bimba. Due occhioni luccicanti lo guardavano trattenendo un fiume di lacrime. Pochi istanti ancora e Nuvola aggrappandosi a lui gli inondava il collo di lacrime. Nei singhiozzi disperati la piccola Nuvola non riusciva a spiccicar parola. Balbettava e piangeva, riempiendosi di mocio sino alla bocca. - Papu, papu mio, non mi credevano… non volevano credere… che… tu… avevi vinto un orso… che tu sei forte… che tu li vinci tutti… ma loro… insistevano… che non era vero, che il loro papà era più forte di te… - Orso? Di quale orso stai parlando Nuvola?… - Siii dell’orso che avevi affrontato e messo in fuga… Anche mammina… si era spaventata dalle urla… molto cattivo… Angelo restò un attimo sorpreso. Poi, a stento trattenne una risata per non offendere la sua piccola addolorata.. Facendo finta di tossire, Angelo riprese: - Ah, sì, ora ricordo… era quella sera… dopo cena… fuori in cortile… si erano sentiti strani rumori di animali, ed io ero uscito per cacciarli… - Si papu, si ti ricordi.. poi tu eri rientrato in casa e ci 24


avevi detto di aver messo in fuga una brutta bestia, che avevi lottato, ma che avevi vinto tu. Io ti avevo fatto un sacco di domande… quanto era grande, che colore aveva,

se l’avevi ucciso… - Si certo, mi ricordo, e io cosa ti dissi? – - Che era una grande bestia, forse un gatto selvatico… che era enorme… grande grande… ma che l’avevi minacciato di non farsi più vedere da quelle parti se no l’avresti preso a legnate… - Si un gatto selvatico, un grande gatto selvatico… ma non un orso!… Angelo ascoltava e stringeva la bimba, intenerito da quella creatura così dolce. E lei, senza sosta, raccontava tutto. - Piccola mia…. appunto… come un orso… grande come un orso… ---------------I ricordi del padre suscitavano in Nuvola una profonda malinconia, un vuoto incolmabile che la annichiliva, rendendola incapace di reagire. Sebbene ora fosse grande, si sentiva sempre piccola, terribilmente sola, senza nessuno col quale parlare, raccontare, confidare le difficoltà che non riusciva più a superare. Sola contro tutti, sola nel mondo intero. Anche prima che il papà morisse della terribile malattia, quando si lamentava per i dolori non sapeva cosa dire, come 25


aiutarlo, consolarlo. Nuvola ricordava bene, sebbene avesse solo dodici anni, che il papà non riusciva a perdonarsi di non essere stato abbastanza presente; le sue assenze per il lavoro, le corse, le preoccupazioni, le sopraggiunte difficoltà economiche; ed ora non aveva più le forze per recuperare. Eppure lui era convinto di avere il controllo delle situazioni, aveva capacità da vendere, riusciva a risolvere i problemi degli amici; ogni volta c’era una ragione urgente per andare via, diceva avrebbe impiegato poco tempo, sicuramente l’ultima volta, e allontanandosi prometteva a se stesso che non sarebbe più successo. Aveva ragione la sua Giovanna a lamentarsi per le assenze. Lui sentiva un senso di colpa per averla costretta a fare sacrifici che, ora, non trovavano senso, tantomeno ora che la malattia lo stava divorando, lacerato dai dolori che non l’abbandonavano mai. Eppure, prima che sapesse della malattia mortale, al papà era capitato di lamentarsi che la sua Giovanna, alla

quale aveva dedicato la vita, anziché consolarlo, o essergli d’aiuto od incoraggiarlo, lo riprendeva senza mezzi termini invitandolo a lavorare di meno e tornare prima a casa. Col tempo Angelo aveva rinunciato a rispondere alla moglie. Lui non aveva occhi che per la sua Nuvola. La sua corsa giornaliera aveva un traguardo che raggiungeva alla sera tardi quando, rientrando a casa sfinito, sperava che la sua bimba fosse ancora sveglia. Quando la trovava a letto, Angelo prendeva la sua Nuvola e se la stringeva al cuore, 26


salutandola con un bacio sulle guance, al quale seguiva un gridolino di sorpresa della piccola, che ricambiava con un “ciao dolce papino” e a sua volta lo riempiva di baci. Poi la

bimba, rivolgendosi al suo papu..: - Ti stavo aspettando sai? Io non dormo se non arrivi a darmi il bacio della buonanotte - Ma va là, ma se dormivi come un ghiro – proseguiva Angelo accompagnando le parole con un buffetto sulla guancia e col solletico sotto il mento, strappandole un altro dolce sorriso. - Sto aspettando la storiella, me la racconti? In quel momento arrivava la mamma che invitava Nuvola a lasciar andare il papà molto stanco perché la cena si stava raffreddando. Nuvola non demordeva: - Dai mamma, ancora un po’, ti prego solo un minutino, un minutino… - No Nuvola, papà deve mangiare, lo sai - Piccina mia, aspettami, mangio e torno da te, va bene? E così tutti i giorni. Quando Angelo, finita la cena, tornava dalla sua piccola, la trovava addormentata con un sorriso stampato sul viso; allora lui le rassettava le coperte e le dava un bacio sulla fronte sussurrandole: “Buona notte angioletto mio”. Questi ricordi commuovevano Nuvola che, a stento, tratteneva le lacrime. 27


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