Terre di Mezzo street magazine 014

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giugno 2010 â‚Ź 3,00

Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, LO/MI Roserio.

una vita di piatto L’operaio del Pallone

DAl marocco al Toro, il doppio sogno di Rachid ARma.

il derby degli zingari I giochi della politica Lega e Pdl a milano si contendono le elezioni 2011 A suon di sgomberi. ma quanto spendono? 5 milioni di euro.

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sulle strade di francesco

16 giorni a piedi o in bici tra Umbria, Lazio e Toscana

dI quI PASSò FrANCESCo 350 chilometri a piedi o in bici tra La Verna, Gubbio, Assisi… fino a Rieti 16 giorni con lo zaino in spalla tra Toscana, Umbria e Lazio tra foreste millenarie e vallate ricche di arte e di storia. La prima guida a piedi sulle “strade di Francesco”, dai luoghi più noti come La Verna e Assisi a quelli meno famosi, ma altrettanto affascinanti, come Montecasale o il Sacro Speco di Narni. Un itinerario da seguire tutto d’un fiato oppure a tappe, costruendosi un percorso ad hoc. Un intero capitolo è dedicato a chi vuole percorrere l’itinerario in bicicletta. 200 pagine - 18,00 euro

nella collana “percorsi”: A Santiago lungo la Via della Plata e il Cammino Sanabrese 1000 chilometri da Siviglia a Compostela. 156 pagine - 17 euro Guida al Cammino di Santiago de Compostela in bicicletta 800 chilometri da Roncisvalle a Santiago. 176 pagine - 17 euro In cammino verso Santiago

de Compostela. Fotografico. 112 pagine - 19 euro A Santiago lungo il Cammino del Nord. Oltre 800 chilometri a piedi da Irún a Compostela. 184 pagine - 18 euro Guida al Cammino di Santiago de Compostela. Oltre 800 chilometri a piedi da Roncisvalle a Finisterre, lungo un cammino ricco di storia e tradizione.

176 pagine - 17 euro A piedi a Gerusalemme 350 chilometri di cammino in Terra Santa. 176 pagine - 17 euro Gli eremi di Celestino V 29 giorni a piedi e in treno attraverso Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Lazio. 190 pagine - 18 euro Il Glorioso Rimpatrio 20 giorni a piedi sulle tracce dei valdesi tra Francia e Piemonte.

176 pagine - 17 euro Guida alla Via Francigena 900 chilometri a piedi sulle strade del pellegrinaggio verso Roma. 208 pagine - 17 euro La Via Francigena Cartografia e Gps. 22 euro Cammini in Europa Pellegrinaggi antichi e moderni tra Santiago, Roma e la Terra Santa.

254 pagine - 18 euro In Sardegna tra mare e miniere. 22 giorni a piedi nel più spettacolare parco geominerario d’Italia. 336 pagine - 20 euro Sardegna a piedi. 10 itinerari spettacolari lungo la costa. 175 pagine - 17 euro Sentieri partigiani in Italia A piedi su alcuni dei più bei percorsi della Resistenza. 160 pagine - 16 euro

I LIBRI DI TERRE DI MEZZO: IN LIBRERIA, IN STRADA E SUL SITO libri.terre.it


la città che si rinnova

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| editoriale | elena parasiliti

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ifficile trovarla sul planisfero: dicono sia grande quanto una capocchia di spillo. Un puntino che qualcuno cerca nell’emisfero australe, mentre c’è chi si ostina con il dito (e una grossa lente) a indicarla al Nord, in Europa o giù di lì. Ma poco importa, perché la città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni. Ogni mattina i suoi abitanti si svegliano in lenzuola appena lavate, fanno colazione con una scatola intonsa di corn flakes, vanno a lavorare con l’auto che profuma ancora di nuovo. Sui marciapiedi, in attesa degli angeli-spazzini, restano sacchi pieni di immondizia: le cose di ieri che oggi non servono più. Tubetti di dentifricio usati a metà, libri solo sfogliati, cellulari da cui al massimo sono state effettuate le chiamate di un giorno. Leonia si rinnova a ogni cambio di data, mentre i suoi resti finiscono in discarica. Ma a venir sostituiti non sono solo gli oggetti. Ogni mattina, i legislatori si danno appuntamento e dal loro gabinetto, con uno sforzo evidente, espellono una legge diversa. A volte modificano una parola, a volte basta che aggiungano un “non” all’inizio della frase per farla nuova. La vita di Leonia intanto continua, ricca dell’immondizia che non riesce a smaltire e che si accumula alle porte della città. Montagne pronte a travolgerla al primo pneumatico che scivola giù. Ogni giorno Leonia, nella frenesia di novità, elimina un pezzetto di sé e della propria memoria. Risponde al calendario e all’urgenza più che al piano urbanistico della felicità che la vedrebbe invece impegnata a risolvere con fatica e costanza i problemi dei suoi cittadini. A immaginarsi il loro futuro, a legiferare per il bene comune e per chi verrà dopo. La città di Leonia ancora non esiste, è una “città invisibile”, nata dalla fantasia di uno scrittore, Italo Calvino. Anche se sempre più spesso mi pare di intravederla, qua e là, nelle nostre e nelle altrui scelte. Quando facciamo piazza pulita in soffitta come nella vita. È così che “gli sgomberi” dei campi rom o le espulsioni di cittadini immigrati dall’oggi al domani sono diventati all’ordine del giorno. Non ce ne siamo neppure accorti. Ma siamo giustificati, no? Il nuovo avanza e la spazzatura va eliminata.

| notizie in circolo

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l’intervista Una vita di piatto di Osvaldo Spadaro Da operaio a calciatore. Scendiamo in campo con Rachid Arma.

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l’inchiesta Il derby degli zingari di D. Paladini, S. Cangemi, G. Augello A Milano, se lo disputano Lega e Pdl a suon di sgomberi. In palio, le elezioni del 2011. Un match che costa al Comune 5 milioni di euro.

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fotoreportage urbano Luoghi di vita di Ivan Catalano Enna e Torino, due case a confronto, tra intimità e oggetti.

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LE STORIE DI TERRE La babele bergamasca di Gabriella Kuruvilla Zingonia, sei torri abitate da stranieri. Presto saranno abbattute.  | ALTERNATIVE POSSIBILI

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viaggiatori viaggianti Così brutta, così bella di Osvaldo Spadaro Niente stelle per Livorno. Più che cartoline, ci offre la sua anima vernacolare.

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LE STORIE DI TERRE Il camper delle meraviglie di E. Parasiliti Tutti a bordo del Ludobus, per scoprire la magia delle foto in scatola.  | RISERVE mentali

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Scrittori nel cassetto Anatomia del lasciarsi di Serena Blasi Quando andiamo in pezzi non esiste una regola fissa, si va a tentoni.

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Divertimenti indipendenti Agricivisti in azione di Rosy Battaglia In compagnia di Erbaviola che insegna all’Italia a diventare più verde.

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Tu vuoi fare L’italiano? Gioventù incendiaria di Sandro Giorello Basta avere vent’anni per conquistare il mondo musicale.

VOGLTINAA PABBONATIZAZO

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In copertina Milano, 13 giugno 2008: il campo rom di via Triboniano. (Lorenzo Passoni/Tam Tam)

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n. 014 giugno 2010

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opinioni | giro d’italia | a cura di | ULDERICO PESCE

il tapiro nucleare A

volte ritornano. Succede con i vecchi democristiani e potrebbe capitare anche per il nucleare, malgrado gli italiani abbiano detto “no” a questa fonte energetica con il referendum del 1987. Non ci resta che opporci a questa possibilità. Nel frattempo, una domanda mi assilla: in Italia il nucleare è veramente finito? La risposta è no. Perché le barre di uranio dismesse dai reattori spenti 23 anni fa, che emaneranno radiazioni per altri 150mila anni, sono conservate in malo modo nelle piscine degli impianti di stoccaggio. Vasche che, letteralmente, fanno acqua da tutte le parti. A Saluggia, in provincia di Vercelli, 53 barre sono conservate in una vasca a 50 metri dalla Dora Baltea. E ce ne sono altre 64 conservate nel deposito nucleare di Rotondella (Mt), a pochi passi dal fiume Sinni. Penso poi alle 200 tonnellate di uranio che giacciono nelle vasche della centrale di Caorso (Pc) in riva al Po e al materiale radioattivo conservato a Latina, nel Garigliano, alla Casaccia di Roma. Senza dimenticare i liquidi radioattivi che vengono quotidianamente gettati nel mar Jonio, nel torrente Arrone, nel Po, nella Dora Baltea. Sul mio sito (nella sezione video denunce, ndr) è possibile firmare una petizione per chiedere che questi liquidi non vengano dispersi nei fiumi. Barre vecchie, che ci dovremo sciroppare per millenni. E come se non bastasse, dopo il referendum del 1987, si è continuato a produrre barre di uranio per i piccoli reatto-

ri ancora in funzione in alcune università. Nel laboratorio di Montecuccolino, Bologna, il reattore RB3 produce che è una meraviglia: undici barre che, secondo il giudice Nicola Maria Pace, si troverebbero nel deposito di Rotondella. Chi e quando le ha trasportate? E in che modo? In giro per l’Italia ci sono altri reattori dai nomi simpatici: Triga e Tapiro a Roma; Essor e Ispra 1 a Varese; il Cesnef a Milano; mentre a Pavia ci sono il Lena e il reattore del centro Cisam che, pare, non abbia ancora un nome.

| il rovescio del diritto | a cura di | AVVOCATI PER NIENTE

gli immigrati e il gioco dell’oca P

er ottenere il permesso di soggiorno non basta essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge (visto d’ingresso, nulla osta, lavoro, casa, etc.): l’immigrato deve avere anche tanta pazienza e sopportare le lunghe file in Questura per la presentazione dei documenti e i tempi biblici previsti per il ritiro. Ma, a volte, anche la pazienza non sembra sufficiente, ci vuole anche tanta fortuna. In uno Stato democratico la legge dovrebbe essere certa ed uguale per tutti, come stabilito dall’articolo 3 della Costituzione italiana. Eppure, secondo l’interpretazione del ministero dell’Interno (circolare 1843 del 17/3/2010), la legge che regola la sanatoria per colf e badanti, approvata nell’agosto dello scorso anno, non consentirebbe il rilascio del permesso di soggiorno a chi ha subìto un’espulsione ed è stato condannato per non aver eseguito l’ordine del Questore di lasciare l’Italia entro cinque giorni. Ma lo concederebbe invece a chi ha subìto identica espulsione, 2

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non ha abbandonato (allo stesso modo) il territorio nazionale entro cinque giorni, ma ha avuto la fortuna di non essere stato fermato, arrestato e condannato per quel reato. Si tratta, evidentemente, di una soluzione inaccettabile perché ingiusta e totalmente irragionevole. In questo modo il confine tra vita regolare e clandestinità diventa sempre più incerto e l’esistenza dei cittadini stranieri si trasforma in un tormentato gioco dell’oca. Ci sono tutte le premesse per una nuova battaglia legale, analoga a quella che avevamo sostenuto (e vinto) per la sanatoria del 2002 che, in modo altrettanto ingiusto, negava il permesso a chi era stato denunciato, e non ancora condannato, per determinati reati. (Stefano Zucali) ≈ Avvocati per niente, associazione di legali impegnati nella difesa dei soggetti deboli. È promossa tra gli altri da Acli e Caritas. Per informazioni, www.avvocatiperniente.it.

≈ Ulderico Pesce, autore di teatro civile, dirige il Centro mediterraneo delle arti. Il suo sito: www.uldericopesce.com.

La centrale, mai bonificata, del Garigliano, Caserta. (Esposito/Fotogramma)


| cassandra che ride | a cura di | PAT CARRA

| micro&macro | a cura di | LORETTA NAPOLEONI

arrivederci dal futuro L’

Le visitatrici dell’Expo di Shangai (Aly Song/Reuters) Accanto, la scacchiera ispirata ai dipinti di Escher. (A. Duret-Lutz)

≈ Loretta Napoleoni, economista

esperta di terrorismo, collabora con Bbc, Cnn, El Pais, Le Monde e The Guardian. Il suo sito: www.lorettanapoleoni.com.

Expo di Shangai è destinato a far conoscere il pianeta globalizzato ai cinesi: più del 90 per cento dei visitatori ha infatti gli occhi a mandorla. Ma è bene non illudersi, la fiera non rappresenta per noi un’opportunità per colonizzare il mercato cinese. Piuttosto dobbiamo fare la parte dei mercanti in fiera e sudare sette camicie per convincerli ad acquistare i nostri prodotti. Il mercato cinese è ormai sufficientemente grande e ricco, e possiede potenzialità di crescita tali da oscurare tutti gli altri, incluso quello occidentale. E naturalmente tutti ne vogliono conquistare una fetta. Per i cinesi l’Expo è un traguardo della lunga marcia verso la modernità che la Cina, povera e maoista, iniziò nel 1979 sotto la guida di Deng Xiaoping. Il partito comunista cinese si salvò dal terremoto del blocco sovietico grazie al capi-comunismo, un ibrido nato dall’unione bizzarra di due sistemi in apparenza antitetici: il maoismo e il capitalismo. Un sistema che non è né il comunismo classico né il capitalismo tradizione, ma qualcosa d’altro. Anche se non si è d’accordo con il carattere autoritario del modello cinese -simile a quello delle Tigri asiatiche, come Taiwan e Singapore-, non si può negare che finora nel mercato globalizzato il capi-comunismo

abbia funzionato meglio del neoliberismo. Non solo la Cina è l’unica nazione uscita indenne dalla crisi del credito, ma è stata solo sfiorata dalla recessione. Con un tasso di crescita annuo vicino al 9 per cento, nel 2009 il suo consumo ha sostenuto l’economia mondiale. Dietro le beghe monetarie tra Washington e Pechino c’è lo scontro tra due giganti, uno con i piedi d’argilla e l’altro con gli stivali d’acciaio. A Shanghai i cinesi si trovano di fronte un occidente meno democratico e più elitario di quello che, nel 1989, rimase inorridito di fronte alla repressione di piazza Tienanmen. Le democrazie occidentali sono ormai strumenti di potere nelle mani degli sponsor, le ricche élite che finanziano e fanno eleggere i politici. Una cosa è certa, a Shanghai la grande assente è la multinazionale “democrazia”. È probabile che all’Expo il capi-comunismo infligga il colpo di grazia al nostro neoliberismo democratico. Pochi però se ne accorgeranno, di sicuro non i mercanti “stranieri” che torneranno a casa con le tasche piene di contratti. Eppure sulle scritte delle bandierine che i cinesi sventoleranno alla chiusura dell’Expo, in ottobre, ci sarà scritto: “Arrivederci dal futuro”. Nessuno però si prenderà la bega di leggerle. | 014 | giugno 10

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made in Italy

I conduttori di Youtorino, il canale fondato nel 2007 per far conoscere la città. Dallo scorso anno, ogni settimana vengono trasmessi notiziari in lingua straniera.

i nuovi italiani si raccontano

servizio civile senza passaporto | a cura di | Paula Paudet Vivanco

S In ricordo della Buffalo Forse i nostri nonni se la ricordano. Per tutti era la “Buffalo”, la 92a divisione di fanteria statunitense, composta da soldati afroamericani. A rinfrescarci la memoria, arriva un documentario: “Inside Buffalo” (in dvd: insidebuffalo.org), che narra le vicende di quei militari che in Toscana, nel 1944, “combatterono due guerre: contro il nemico nazista e contro i propri ufficiali razzisti”, spiega il regista Fred Kuwornu. Italo-ghanese, Kuwornu ha una discreta familiarità con questi temi dal momento che nel 2008 ha partecipato al film “Miracolo a Sant’Anna”, diretto da Spike Lee.

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oley Peràn sa cos’è la nostalgia: l’ha imparato a 7 anni, quando i suoi genitori (papà ingegnere, mamma infermiera diplomata in Italia) hanno deciso di lasciare Torino per ritornare in Perù. “Mi mancava la città e l’unica lingua che conoscevo, l’italiano”, racconta. A 16 anni un nuovo distacco e un altro sofferto sradicamento: la madre torna nel capoluogo piemontese per lavoro e ottiene il ricongiungimento familiare. Oggi Soley ha 22 anni, è una giovanissima mamma e per ricostruire il rapporto “con la sua Torino” ha fatto una scelta precisa: il Servizio civile volontario comunale. “È stato un modo per conoscere nuove persone -spiega Soley-: ora ho diverse amiche musulmane, tanti contatti e, spero in futuro, un lavoro”. Un’opportunità rivolta solo ai giovani con passaporto straniero visto che, per legge, chi non ha la cittadinanza italiana non può accedere al Servizio civile volontario nazionale. Anche se è cresciuto, o addirittura nato, in Italia. Ed è previsto un compenso: 350 euro al mese. “Oltre a Soley abbiamo selezionato altri 19 ragazzi e ragazze tra i 18 e i 25 anni. La maggior parte di origine marocchina, visto che è una delle comunità più numerose a Torino” dice Nicoletta Giovanelli, coordinatrice del progetto ormai arrivato alla terza edizione.

Tra i requisiti richiesti per superare la selezione, un forte radicamento nella città e una buona conoscenza dell’italiano. Come nel caso di Said Hadine: arrivato in Italia a 12 anni (era un minore non accompagnato, ndr), quest’anno punta alla maturità tecnica. Insieme a Soley, Said partecipa all’ultima iniziativa inaugurata dal Comune in collaborazione con il Servizio civile volontario: i videogiornali in lingua originale trasmessi, anche in diretta, sul canale Youtoube comunale: Youtorino. “Non facciamo solo gli speaker, scegliamo le notizie, dalle informazioni di servizio, ad esempio sui bandi pubblici, agli eventi cittadini” spiega il giovane (per vederli all’opera, cliccate su comune.torino.it/youtorino/stranieri). Impegno che non esaurisce il loro lavoro: i volontari sono infatti coinvolti nei progetti di “rigenerazione urbana”, laboratori organizzati nelle periferie, nelle case popolari o in ex fabbriche presso associazioni attive sul territorio, “ma danno una mano anche all’Ufficio stranieri della Questura: orientano chi fa la fila e forniscono le prime informazioni”, conclude Nicoletta Giovanelli. ≈ Paula Baudet Vivanco, giornalista, collabora al portale della Cooperazione allo sviluppo del ministero Affari esteri e con la Repubblica.


in breve | crisi familiare

i nipotini? un piacere spesso negato

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n strada con il passeggino, ai giardinetti di fronte alle giostre oppure in attesa fuori da scuola: sono i nonni sitter che, quando i genitori sono fuori casa, si prendono cura di circa 4 milioni di nipotini, tra gli zero e i 13 anni. Quasi un lavoro. “Inoltre sono sempre di più gli anziani che, con la sola pensione, devono occuparsi dei figli divorziati, o senza un lavoro stabile, e dei loro bambini”, precisa l’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell’Ami (Associazione avvocati matrimonialisti italiani). Il 5 per cento dei nonni italiani infatti

paga di tasca propria le spese di mantenimento dei nipotini. Tanti doveri ma pochi diritti. Già perché quando mamma e papà decidono di lasciarsi anche i nonni subiscono le conseguenze della separazione: ogni anno sono più di 16mila gli anziani ai quali, per vendetta o ripicca, viene impedito di mantenere i rapporti con i nipoti. La legge non stabilisce il diritto per loro di chiedere al giudice di vedere i bambini quando vi sia un rifiuto ingiustificato da parte dei genitori. Solo con l’introduzione dell’affido condiviso è stato sancito, in maniera molto generica, il diritto dei bambini a mantenere i rapporti con i nonni. Ma per il momento non è cambiato molto: a dettare le regole sono ancora i capricci. Quelli degli adulti. (Marta Gatti)

Traffici disumani Ha 20 anni, è nigeriana ed è arrivata in Italia con l’illusione di trovare un lavoro. E invece è finita in strada. La compravendita del suo corpo, permette agli sfruttatori di intascare 5mila euro al mese. Una stima elaborata dall’Istituto interregionale delle Nazioni Unite per la ricerca sul crimine e la giustizia (Unicri) secondo cui il 60% delle donne trafficate in Italia proviene proprio dalla Nigeria. Le giovani devono versare tra i 50 e i 60mila euro per estinguere il debito contratto con gli schiavisti per pagare il viaggio verso l’Italia. Liberarsi dallo sfruttamento è difficile ma possibile: tra il 2000 e il 2007 più di 54mila donne ce l’hanno fatta. (M.G.)

| c’è chi dice no | attivisti antimafia

la stagione di rosarno C’È chi torna e chi Aspetta i fondi della ue. Mentre la giustizia fa il suo corso.

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ei mesi dopo la rivolta, qualcuno è tornato a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria. Poche decine di africani, alla spicciolata, nella speranza di poter trovare di nuovo un lavoro. “Ma la crisi dell’agricoltura in Calabria è spaventosa. Tutto qui dipende dagli incentivi europei”, commenta don Pino De Masi, vicario generale della diocesi di Oppido-Palmi e referente dell’associazione Libera. I proprietari dei terreni che, grazie a Bruxelles, intascavano fino a 8mila euro per ettaro, lo scorso inverno hanno visto ridursi quei contributi a poco più di 1.400 euro. Troppo costoso dunque raccogliere le arance, che sono rimaste a marcire sugli alberi. Inutile la manodopera immigrata e (finora) sfruttata. “A Rosarno e nella piana di Gioia Tauro lo Stato è completamente assente –dice don Pino–. È la ’ndrangheta a gestire il territorio e i flussi di manodopera, a decidere quando i lavoratori devono arrivare e quando se ne devono andare”. Preso atto del calo degli incentivi europei,

le cosche hanno deciso che era tempo di cacciare gli immigrati da Rosarno. A far scoppiare la rivolta, il 7 gennaio scorso, il ferimento di due lavoratori africani a colpi d’arma da fuoco. Pochi giorni dopo l’intervento del Governo che ha fatto deportare migliaia di persone, solo in base al colore della pelle, trasferendole nei centri d’accoglienza di Bari e Crotone. Con i ringraziamenti della ’ndrangheta. “Solo rendendo competitiva l’agricoltura sarà possibile uscire da questa situazione di sfruttamento”, commenta don Pino. Un primo passo, cui però devono seguire maggiori controlli e una politica di accoglienza “per offrire a queste persone una casa e un lavoro vero, non in nero”, conclude il sacerdote. Ma c’è un’eredità che quegli africani hanno lasciato: hanno avuto il coraggio di alzare la testa, di ribellarsi ai loro sfruttatori, persino di denunciarli. Questo gesto, così inusuale a Rosarno e dintorni, ha portato il 26 aprile scorso all’arresto di 30 caporali italiani e stranieri che

Primo maggio, Rosarno: sindacati confederati in corteo. (Francesco Arena/Fotogramma)

gestivano il racket delle braccia. “Gli africani salveranno Rosarno, e forse anche l’Italia -dice, provocatoriamente, don Tonio Dell’Olio, referente dell’area internazionale di Libera-. Quando saranno radicati nel territorio, avranno di certo un atteggiamento diverso nei confronti della criminalità”. (Ilaria Sesana) | 014 | giugno 10

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una vita di piatto | testo | osvaldo spadaro | foto | maurizio dreosti

Rachid Arma faceva l’operaio, oggi veste granata e Aspetta che L’italia lo chiami.

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o chiamano Piattone. E detto così uno si immagina un ragazzo mingherlino e sbilenco, uno che cammina con i piedi a papera e manca occasioni a raffica, nel calcio come nella vita. Maglia 22 sulla schiena, Rachid Arma è invece un lungagnone di quasi due metri che insospettabilmente corrisponde all’identikit del centravanti di buone speranze. Uno che le occasioni non se le è lasciate sfuggire. Anzi. Rachid, 25 anni, è nato in Marocco e oggi gioca, poco, in serie B, nel Torino. Il nomignolo Piattone glielo hanno dato i tifosi della Spal per via di quell’abitudine strana di calciare di piatto invece che di collo. Tutto il resto è merito suo. Gesti tecnici a parte, con il pallone ci sapevi fare fin da piccolo? Ero uno di quei bambini che tutti volevano in squadra perché vincevo le partite da solo.

a lavorare in fabbrica: reparto montaggio di un’azienda che produce carrelli elevatori. E il pallone? Dalle otto e alle sei lavoravo, poi andavo ad allenarmi quattro volte a settimana: una faticaccia. Che tu fossi un buon giocatore alla Sanbonifacese se ne erano già accorti. Dopo le trafile nelle giovanili, a 17 anni ho esordito in prima squadra, in serie D. Ricordo ancora, eravamo in trasferta, a Rovigo: entrai e segnai, bella soddisfazione. Facevi gol a raffica, ma quanto ti pagavano? Non prendevo uno stipendio vero e proprio, solo un rimborso spese.

Una soddisfazione doppia per te, marocchino nato ad Agadir e trasferitosi in Italia a 8 anni. Mio padre viveva qui già da sei anni, con mia madre e mia sorella abbiamo ottenuto il ricongiungimento familiare: era il 1993.

Durante il campionato di serie D hai subito anche qualche episodio di razzismo. Tu, centravanti marocchino in terra leghista. Episodi di razzismo sui campi di calcio ce ne sono ovunque: hai sempre il pubblico contro e c’è chi ti insulta per via di quello che sei. Ma ho imparato a non curarmene.

Forse la tua gioia più grande. Come per tanti al mio Paese, l’Europa era il mio grande sogno. Sentivo i racconti di mio padre e pensavo che volevo venire a vivere qui. Mi sono ritrovato così a San Bonifacio, in provincia di Verona.

Di gol in gol, alla fine, hai deciso di provarci sul serio, con il calcio? L’anno successivo chiesi il part-time per dedicarmi con più forza agli allenamenti. Sentivo che se avessi potuto allenarmi meglio, senza arrivare già stanco al campo, avrei reso di più.

Elementari, medie e quella passione per il calcio che intanto cresceva. Ma non sognavo di fare il calciatore, per questo non ho puntato tutto sul pallone: volevo studiare le lingue, andare al liceo.

Detto fatto: 43 gol in quattro stagioni ed eri pronto per il salto tra i professionisti. Mi comprò la Spal e approdai in C1 (addio stipendio da fabbrica: primo contratto serio, 2.500 euro al mese, ndr). Tredici gol in una stagione e poi è arrivato il Torino, in serie B.

Invece? Mi sono iscritto a una scuola professionale. Sono il primo figlio maschio ed era mio compito iniziare a lavorare per aiutare la mia famiglia. Finita la scuola dell’obbligo andai a 6

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Con calma e gentilezza in due anni hai realizzato il sogno di frotte ragazzini: da calciatore operaio a professionista. Non vedevo l’ora di dimostrare che potevo | L’intervista


Rachid Arma È nato il 16 gennaio 1985 vicino Agadir, in Marocco. Nel 1993 si è trasferito in Italia e a 17 anni ha esordito in serie D. Attaccante di peso ha realizzato 43 gol in 4 stagioni, facendo l’operaio di giorno e allenandosi la sera. Due anni fa è diventato professionista, passando in C1, alla Spal. Tredici gol in una stagione e le ottime prestazioni in Coppa Italia, hanno convinto il Torino: l’ultimo giorno di mercato l’ha comprato per 650mila euro e portato in B. dire la mia anche tra i professionisti e ce l’ho fatta: una soddisfazione per me, ma soprattutto per la mia famiglia. Ad Agadir che cosa dicono? I miei parenti fanno il tifo, con il calendario del campionato appeso in camera e sperano che un giorno decida di indossare la casacca rossa della nazionale magrebina. E tu? Il Marocco è nel mio cuore, appena posso torno, però se mi chiedessero di giocare nella nazionale non so cosa farei. Dovrei pensarci. Un bel dubbio. Ai fini del campionato la Federcalcio italiana non ti considera un extracomunitario. Potresti far parte anche della nostra nazionale. Ho fatto tutte le giovanili qui in Italia, per cui sono equiparato a un calciatore italiano a tutti gli effetti. Ma per lo Stato non è così. Ho fatto domanda per la cittadinanza, ma sto ancora aspettando. Così per ora mi trovo nella curiosa situazione di essere un calciatore comunitario con passaporto marocchino. Non ti rimane che aspettare, sognare la chiamata negli Azzurri e continuare a dare il buon esempio. In Italia quando si parla di stranieri immigrati si parla di tutt’altro che di cose belle. Io cerco di fare il mio e di dare un esempio positivo, facendo in modo che si parli delle cose belle e buone che facciamo noi immigrati e non delle cose negative. Un giorno l’Italia diventerà come la Francia? Siamo ancora un po’ indietro: la fase delle squadre miste dove giocano tanti immigrati con la cittadinanza non è ancora arrivata. Per ora ci sono ancora conflitti, ma è normale. A suo tempo anche in Francia ci sono stati. Certo, poi è arrivato l’algerino Zidane e il Mondiale vinto da una squadra multietnca. In Italia, aspettiamo che la generazione Balotelli dia i suoi frutti. | 014 | giugno 10

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il derby degli zingari 8

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| L’inchiesta


| testo | dario paladini | foto | mària dinoia

A Milano, Se lo disputano Lega e Pdl a suon di sgomberi. Un gioco che costa alle casse del comune oltre 5 milioni di euro.

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La foto-storia: il campo di via Idro Sono italiani e almeno la metà di loro ci è nata e cresciuta. Nel campo di via Idro vivono 115 rom, con loro: cavalli, pecore e altri animali. Mària Dinoia, 32 anni, ha realizzato questo fotoreportage durante il corso di fotografia sociale di Polifemo e Terre di mezzo. “Alcuni rifiutano l’idea delle case popolari -dice-, temono per la sicurezza dei figli. La paura? Che siano aggrediti da rom di altre etnie”.

ltro che Milan e Inter. A Milano il derby lo stanno disputando Lega Nord e Pdl, compagni di squadra nella giunta guidata da Letizia Moratti. A centro campo, al posto della palla, la questione rom. Nel 2011 i milanesi andranno alle urne per scegliere il nuovo sindaco. Vincerà chi si mostrerà più duro. E la partita è entrata nel vivo. Da gennaio a fine aprile il vicesindaco, Riccardo De Corato (ex Allenza nazionale), ha già ordinato 75 sgomberi di campi abusivi, quanti ne sono stati eseguiti nel 2009. Nel 2008 erano stati appena 40, 60 l’anno precedente. In tutto 250, in tre anni e mezzo. Al leghista Stefano Bolognini, assessore provinciale alla Sicurezza, però non bastano. Seguìto da telecamere e giornalisti, visita i campi rom per chiederne la rimozione e ne approfitta per attaccare la giunta Moratti: “La colpa è del vicesindaco, ci vuole un giro di vite”. Per tutta risposta, ad ogni intervento delle ruspe, fa seguito un comunicato stampa di De Corato (da inizio anno, ne abbiamo ricevuti oltre un centinaio), in cui si annuncia il trionfo della legalità. Una campagna elettorale continua. Eppure gli sgomberi costano: richiedono l’impiego di vigili urbani, poliziotti, carabinieri e del personale dell’Amsa per lo smaltimento dei rifiuti. E non risolvono il problema: perché, per ogni baraccopoli rasa al suolo, ne sorgono altre, in zone della città sempre più nascoste. A Palazzo Marino, i consiglieri Patrizia Quartieri (Rifondazione comunista) e Giuseppe Landonio (Gruppo misto) hanno presentato un’interrogazione in cui chiedono al Sindaco il “conto” di questi interventi. Era febbraio e ancora non hanno ricevuto risposta. Anche noi abbiamo chiesto informazioni a riguardo, sia al vicesindaco sia al prefetto, Gian Valerio Lombardi, che il Governo ha nominato nel maggio 2008 “commissario straordinario per l’emergenza nomadi” (insieme ai prefetti di Roma e Napoli) sull’onda dello scalpore suscitato dallo stupro e omicidio di Patrizia Reggiani, commesso nella capitale da due rom. È lui che autorizza gli sgomberi su richiesta dei Comuni. Ancora silenzio, per questo abbiamo provato a calcolare noi i costi di questa politica. In un comunicato del 14 giugno 2009, De Corato scrive che “per le operazioni di bonifica e pulizia dei rifiuti effettuate da Amsa in 27 insediamenti sono stati spesi ben 452.788 euro”. Poco meno di 17mila euro per sgombero. Moltiplicati per i 250 effettuati finora, si arriva a 4 milioni e 250mila euro. Bisogna poi considerare il costo delle forze dell’ordine: un vigile urbano, ad esempio, costa 95 euro lorde al giorno. Se per ogni operazione ipotizziamo l’impiego di 25 vigili, al nostro conto dobbiamo aggiungere 593.750 euro. Lo stesso per l’intervento di carabinieri e poliziotti. Si tratta di stime al ribasso, ma il risultato finale fa pensare: 5 milioni e 437mila euro. Più del doppio di quanto il Comune di Milano ha stanziato per l’integrazione sociale e lavorativa dei nomadi tra il 2006 e il 2009: 2 milioni e 535mila euro, unico dato certo fornito dall’assessore | 014 | giugno 10

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Najda è una nomade vera. Cittadina croata, si sposta ancora per l’Europa (ora è a Barcellona dai figli) e forse per questo non è riuscita ancora a integrarsi con la comunità di via Idro, dove vivono perlopiù cittadini italiani. Dinko è nato in Istria, vive nella stessa stanza con la moglie Julia, i loro tre figli e i nipoti. Non ha un lavoro fisso, quando riesce collabora con una cooperativa.

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ai Servizi sociali in Consiglio comunale il 19 aprile scorso. Spendiamo più soldi per abbattere le baracche che per aiutare i rom a trovare casa.

Le strategie, tra sicurezza ed Expo

Il prefetto Lombardi, in qualità di commissario straordinario, in due anni esatti ha fatto due cose: il censimento di quanti rom e sinti vivono a Milano (2.128, così suddivisi: 797 negli insediamenti abusivi e 1.331 in quelli regolari) e la scrittura del regolamento che si deve osservare nei campi comunali. Nel frattempo, nell’agosto 2009, il ministero dell’Interno ha stanziato 13 milioni e 115mila euro per fronteggiare l’“emergenza rom” a Milano. Un bel gruzzolo, che Comune e Prefettura stanno spendendo soprattutto per la sicurezza. Solo 4 milioni, infatti, sono stati destinati a progetti di inserimento lavorativo e abitativo. I 9 milioni rimasti serviranno, ad esempio, per la posa dei “dissuasori mobili” in via Cusago, periferia Sud-Ovest di Milano (400mila euro), l’installazione delle venti telecamere wireless che controlleranno gli ingressi di quattro campi (479mila euro), e per ristrutturare l’insediamento di via Idro, che diventerà un’area di sosta temporanea (4milioni e mezzo). Provvedimento, quest’ultimo, che sta suscitando le ire degli abitanti della zona, preoccupati che la “sosta temporanea” si trasformi presto in definitiva. Ma i minuti passano, e ormai siamo nel secondo tempo: ci si gioca il tutto per tutto. Il piano nomadi del Comune prevede entro un anno la chiusura di 9 campi rego-

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| L’inchiesta

lari sui 12 esistenti. Una decisione che riguarda poco più di mille persone, alcune delle quali vivono in questi campi da oltre quarant’anni. Quello di via Negrotto è nato nel 1967, quello di via Bonfadini nel 1984, via Novara nel 2001. I primi a dover sloggiare sono gli ultimi arrivati: i 600 rom ospitati dal 2007 nei quattro insediamenti fra via Triboniano e via Barzaghi, zona cimitero Maggiore. A febbraio hanno ricevuto una lettera dal Comune che intima loro di andarsene entro il 30 giugno. In quell’area dovrà passare un raccordo tra le diverse autostrade, in vista di Expo 2015.

Amarezze e proposte del Terzo settore

Mentre Lega e Pdl si contendono il risultato, dalle tribune assistono impotenti le realtà del Terzo settore: in particolare Casa della Carità, Caritas Ambrosiana e Padri Somaschi che, dal 2008, hanno in gestione i campi rom. È a loro che il Comune avrebbe voluto affidare i 4 milioni di euro destinati ai progetti sociali: un buon modo -pensava Palazzo Marino- per superare l’empasse. Ma gli enti del Terzo settore si sono rifiutati: è la pubblica amministrazione che deve assumersi la responsabilità di chiudere i campi e, in alternativa, offrire delle soluzioni. Il volontariato sarà poi disponibile a fornire aiuto e competenza. In linea di principio, infatti, le associazioni non sono contrarie alla chiusura dei campi. “Purtroppo sia via Triboniano che via Idro sono diventati dei ghetti”, ammette don Massimo Mapelli, vicepresidente della Casa della


1.331 in campi regolari 55% adulti 45% minori

797 in campi abusivi 62% adulti

2.128

38% minori

I nomadi censiti dalla prefettura nei campi rom di milano fonte: prefettura di milano, dati ottobre 2008

fonte: stima di Terre di mezzo sulla base dei comunicati stampa del Vice sindaco Riccardo De Corato e bilancio consuntivo 2009 Comune di Milano.

Sgomberi a milano

costo di uno sgombero

2007

17.000 euro

60

×

2008 40

2009 75

2010

+ 2.375 euro

Intervento in media di 25 vigili urbani, con una paga giornaliera di 95 euro lordi.

+ 2.375 euro

Intervento polizia e carabinieri, ipotizzando lo stesso costo dei vigili urbani.

75 dal 1 gennaio al 30 aprile tot

Bonifica e smaltimento rifiuti.

250 sgomberi

tot

21.750 euro

Totale costi dal 2007 al 2010

≈5.437.750

euro

Spesa del comune di milano dal 2006 al 2009 per l’integrazione di rom e sinti

fonte: risposta assessorato Servizi sociali Comune di Milano a interrogazione dei consiglieri comunali Patrizia Quartieri e Giuseppe Landonio (21 aprile 2010).

2006

1.347.208 euro

2007

25.130 euro

Presidio sociale nei campi autorizzati.

411.652 euro 621.993 euro

Altro.

2008

466.571 euro

734.754 euro

Manutenzione campi autorizzati.

2009

103.291 euro

767.169 euro

≈ 2.535.570

Borse di studio.

euro

593.369 euro

Progetti educativi per minori e inserimento scolastico.

Carità. In via Triboniano don Massimo e i suoi operatori sono riusciti a far andare a scuola i bambini, ma non c’è stato nulla da fare per per 40 adolescenti in cerca di un tirocinio in azienda, al termine del loro percorso di formazione professionale: non è stata trovata una sola impresa disposta ad accoglierli. “Nemmeno le aziende municipalizzate -sottolinea don Massimo-. Un fallimento per noi e una grande delusione per questi ragazzi”. I due campi di via Novara sono stati costruiti dalla Protezione civile nel 2001. Erano provvisori, durata massima 5 anni. “E si vede -dice suor Claudia Biondi, responsabile dei progetti per i rom di Caritas Ambrosiana-. Ora i container cadono a pezzi. Chi ci abita proveniva da baraccopoli e, a quel tempo, sembrava già un passo avanti”. I bambini di via Novara frequentano la scuola, un gruppo di donne lavora in una bottega di taglio e cucito, mentre la maggior parte dei capifamiglia ha un lavoro più o meno regolare. Però, fatta eccezione per due famiglie che hanno trovato un appartamento in affitto, le altre sono ancora tutte lì. Per rompere l’isolamento, occorre un gioco di squadra: per questo il “Tavolo Rom”, a cui aderiscono dodici tra associazioni ed enti (Acli, Arci, Caritas Ambrosiana, Casa della Carità, Cgil, Padri Somaschi e Comunità di Sant’Egidio, per citarne solo alcuni), propone di istituire un’“Agenzia di accompagnamento” a cui affidare quei 4 milioni di euro. A guidarla, sarebbe il Comune di Milano. Dovrebbe aiutare rom e sinti a trovare una casa (offrendo le garanzie ai proprietari) e un lavoro, con accordi con le imprese. Ma ci vogliono tempo e volontà politica, che ora mancano, come ricorda l’assessore ai Servizi sociali Mariolina Moioli (Pdl): “Confermiamo l’impegno di chiudere i campi entro un anno”. I rom, in qualche modo, devono sparire. Del resto, il capogruppo della Lega Nord in Consiglio comunale, Matteo Salvini, l’ha dichiarato a tivù e giornali: “Nella prossima giunta, l’assessorato ai Servizi sociali sarà nostro”. La partita continua.

Sulla pelle della povera gente

In campo, restano morti e feriti. Ogni primo novembre la Comunità di Sant’Egidio ricorda con una veglia di preghiera i rom che muoiono “in modo violento” nelle baraccopoli. Dal 1995 a oggi, se ne contano 18 a Milano e provincia, metà dei quali erano minorenni. Sabina, Nelson, Arman, Monica, Costantin, Cristian, Marian e Emil sono morti nelle loro “case”. Colpa di stufe a legna e candele che le hanno trasformate in pochi secondi in un rogo. Elèna è annegata in una roggia. Ajsa è stata travolta da un’auto ai margini della Tangenziale che scorre accanto alla sua baracca, mentre altri quattro rom sono stati investiti da un treno a Sesto San Giovanni: stavano cercando materiale di recupero per costruirsi un riparo. Ci sono poi due neonate decedute per il freddo, e sempre il freddo è la causa dell’incidente capitato a Saban, rimasta incastrata in un cassonetto per la raccolta degli indumenti usati. Infine, Monica uccisa dal marito. “Sono vittime innocenti del degrado -spiega Elisabetta Cimoli, di Sant’Egidio-. Gli sgomberi non fanno altro che peggiorare la situazione: le persone cercano rifugio in zone sempre più pericolose, e di conseguenza i rischi aumentano”. | 014 | giugno 10

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non uno di meno | testo | sandra Cangemi

Maestre e mamme controcorrente. Dopo ogni sgombero riportano in classe i “loro” bambini rom. Anche se non sempre ci riescono.

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o scheletro di un capannone di periferia. L’unico corridoio ancora coperto brulica di umanità. Tra le macerie e i rifiuti, tende e baracche di cartone e plastica ospitano una quindicina di famiglie. Nel campo ci sono solo i più piccoli, gli altri sono a scuola. Corrono incontro ad Assunta Vincenti e Maria Luisa Amendola, mamme del quartiere Feltre, periferia Nord di Milano: “Ogni domenica li portiamo a fare la doccia presso una società sportiva, così il lunedì vanno in aula puliti”. Mandare a scuola i figli non è semplice per i rom dei campi abusivi. Non c’è acqua, il fumo di legna impregna vestiti e pelle. Chi non ha la residenza paga la quota massima per la mensa e non ha diritto a sostegni. Ma soprattutto c’è la precarietà: ogni mattina puoi svegliarti con la polizia che ti spiana la baracca. Eppure, “il giorno dopo i genitori ti chiamano per sapere dove possono iscriverli”, dice Elisa Giunipero, volontaria della Comunità di Sant’Egidio. Secondo i dati forniti da Prefettura e Provveditorato, su 900 minorenni censiti a Milano nel 2008, 574 sarebbero regolarmente iscritti alle scuole dell’obbligo. Alina Uc Bucuk, 35 anni, fino al 19 novembre scorso viveva nell’ex palazzina Enel di via Rubattino, insieme ad altri 250 rom: 36 i bambini inseriti nelle scuole del quartiere Feltre. Quella mattina sono stati sgomberati e, da allora, Alina è stata cacciata dalle forze dell’ordine nove volte: “I miei figli non hanno saltato un giorno. Andavo su e giù per la città: tram, metro, pioggia e neve, con quattro bambini. Un incubo, non farmelo ricordare”. Ora è tornata in zona e si è sistemata in questo capannone. Non tutti però hanno avuto la sua costanza: tra i banchi, sono rimasti appena 15 bambini rom. “Volevo tornare in Romania, anche se laggiù non ho più nulla”, dice Alina. Qui in Italia, suo marito lavorava in nero come manovale, pagato un terzo degli italiani: c’è un listino “etnico” per i salari, e i rom sono in fondo alla lista. Ora non trova più nulla: “Sono stati i miei amici a darmi il coraggio di restare e i miei bambini, che si sentono italiani. Voglio una casa: non sono mica nomade -ride-. E voglio lavorare. Scrivi: signore e signori, voi che avete un tetto sulla testa, voi non sapete cosa vuol dire vivere per strada. Date una possibilità alle persone serie di avere un futuro per i loro bambini e il rispetto di sé, non una vita di cui vergognarsi come la mia che devo chiedere l’elemosina”. Quelli che Alina chiama “i miei amici” sono, tra gli altri, le maestre e le mamme di via Feltre. “Dei rom avevo una valanga di ignoranza e pregiudizi 12

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-ammette Flaviana Robbiati, insegnante elementare-. Un giorno ho dato un passaggio al papà di un alunno rom, abbiamo iniziato a parlare e mi ha invitata al campo, per un battesimo. Ho scoperto delle persone solari, aperte. Quando il vicesindaco De Corato ha annunciato lo sgombero, ho pensato che non si potevano perdere 36 alunni così. Abbiamo lanciato una petizione per garantire il diritto allo studio ai bambini e il diritto a una casa e a un lavoro ai genitori”. Per i mass media è una bomba: per la prima volta la gente si schiera con -e non contro- i rom. Le maestre scrivono una lettera ai loro alunni: “Vi insegneremo centomila parole, perché nessuno possa più cercare di annientare chi come voi non ha voce”. In 24 ore si organizza una fiaccolata: “Abbiamo dovuto spiegare ai rom che la gente stava dalla loro parte e che non voleva dar fuoco alle baracche”, ricorda Stefano Pasta della Comunità di Sant’Egidio. “Il giorno dello sgombero eravamo lì con loro -spiega Flaviana-: abbiamo portato i bimbi a scuola, ospitato le famiglie. Siamo riusciti a contagiare anche chi i rom li detestava”. Silvia Borsani insegna nella scuola di via Guicciardi e non riesce a togliersi dalla testa Romeo, prima elementare, che un giovedì mattina l’ha trascina in corridoio gridando: “Sgombero, polizia!”. Da lì in poi, ha subito uno sgombero ogni 15 giorni. “Con quei soldi avrebbero potuto sistemare chissà quante famiglie. Li ho ritrovati in un sotterraneo: una miseria indescrivibile. Eppure i letti erano rifatti, la sorella di Romeo lavava i piatti. Il primo marzo li hanno cacciati anche da lì, sotto la neve”. Per il Comune queste persone, colpevoli di “occupazione abusiva”, non hanno nemmeno il diritto di essere aiutate. Per fortuna, non tutti la pensano così. Il Gas Feltre, il gruppo di acquisto solidale della zona, insieme a Intergas Milano, sta distribuendo 7mila bottiglie di vino messe a disposizione da un produttore toscano per finanziare borse lavoro (per informazioni: www.gasmilano.org). “In questo modo tre rom, due uomini e una donna, hanno ottenuto dei contratti a progetto in un agriturismo e in una cooperativa di restauri”, racconta Francesca Federici, una delle promotrici. Ci sono poi altre iniziative, come le merende fuori da scuola, il laboratorio di teatro e il corso d’italiano per le mamme. Un’occasione di speranza, condivisa anche da Assunta e Maria Luisa: “Oggi i figli di Alina entrano nelle nostre case, e così insegniamo ai nostri figli che sono l’accoglienza e la conoscenza reciproca a darci sicurezza e arricchimento. La civiltà o è per tutti, o non è”.

| L’inchiesta

Giovanni Picciotta vive da vent’anni in via Idro: quando acquistò casa il campo nomadi non esisteva ancora. “Il Comune di Milano lo creò ad agosto quando gli abitanti del quartiere erano in vacanza -ricorda-. Era il 1989, e il sindaco Pillitteri promise che sarebbe stato un insediamento provvisorio”.


la capitale dei paradossi | testo | giovanni augello

ROma ristruttura i campi regolari. MAssima accoglienza, eccetto che per i Rom romeni. “Non voglio una casa che costi tanto, basta che abbia i muri di pietra”. L’ultimo campo abusivo in cui è stato Marius è il Casilino 700 (periferia Est di Roma), sgomberato nel novembre 2009. È un rom romeno, come sua moglie. Hanno tre figli e meno di trent’anni: ora vivono in una palazzina occupata in via Prenestina. Anche Samir, 22 anni, quattro figli e di mestiere mediatore culturale, abitava in un campo irregolare ma tollerato, il Casilino 900. A febbraio il Comune di Roma ha deciso di chiuderlo: chi ci viveva è stato trasferito in via Salone (periferia Nord-Est), che ora

conta quasi mille rom, in maggioranza di origine slava. “Mi trovo bene -dice-. Casilino 900 era sporco e quando pioveva c’era sempre fango”. Due pesi, due misure: a Roma il “Piano nomadi” non è uguale per tutti. Sia Samir che Marius vivevano in campi abusivi, al primo però è stato assegnato un container in un insediamento regolare, all’altro no. Una condizione che Marius condivide con i 400 rom romeni sgomberati da Casilino 700. Oggi 150 sono ospitati in un’ex cartiera sulla Salaria, affidata a una cooperativa, gli altri sono al centro di

accoglienza “Amarilli”, aperto in inverno per i senza dimora. A loro il Comune ha suggerito di tornare in Romania a spese dell’amministrazione o di trovarsi una sistemazione. “Il trattato di Schengen prevede che i rom romeni possano andare nei paesi della Comunità europea -spiega Sveva Belviso (Pdl), assessore alla Politiche sociali-, ma solo per tre mesi, poi o hanno un lavoro o devono tornarsene a casa”. A Roma, secondo il censimento effettuato nel 2008 dalla Croce Rossa vivono 7.177 rom (quasi 5mila in baraccopoli “tollerate’” o del tutto abusive). Ma è un dato per difetto. Tuttavia il Piano nomadi ha i posti contati: 13 campi per 6mila persone. Gli altri dovranno arrangiarsi. Intanto, sono in atto le ristrutturazioni: recinzioni e telecamere, tesserino personale per entrare. Costano sempre meno di quelli abusivi “che si

trasformano in discariche e non solo per colpa dei rom -precisa Salvo Di Maggio, presidente della Cooperativa Ermes-. Ci finiscono calcinacci, gomme d’auto, amianto e a volte anche rifiuti ospedalieri”. La bonifica può arrivare a costare 50mila euro: “Al vecchio campo di via Salone la facevano anche due volte al mese”. A pesare di più sui costi, le utenze (acqua e elettricità) e i vigilantes. Ma la concentrazione in pochi campi, spesso in periferia, ha determinato spese aggiuntive, come i 250 euro giornalieri per ogni scuolabus utilizzato. Mentre il ministero dell’Interno ha stanziato quasi 18 milioni di euro per questi interventi nei campi di Roma, le risorse per i progetti sociali restano sul fondo del barile. “È normale sia così -sottolinea Di Maggio-. Prima di tutto bisogna mettere le persone in condizione di vivibilità minima, poi ci si può occupare degli altri aspetti”. | 014 | giugno 10

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italiani da sbarco | testo | laura bellomi

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no sbarco per dire no al razzismo, all’arroganza e al malaffare che vedono diffondersi nella Penisola, al di là del mare. Venerdì 25 giugno saranno in mille, fra italiani trapiantati a Barcellona, spagnoli e catalani, a salpare dalla banchina del Port de Barcelona: diciotto ore di navigazione, destinazione Genova, per portare “solidarietà a tutti quelli che lottano in nome di una vera democrazia, perché non si può assistere all’Italia che va alla deriva senza fare nulla”. Una traversata, quella del comitato “Lo sbarco”, che 150 anni dopo la spedizione dei mille richiama, per coraggio e slancio, l’impresa dei garibaldini. L’idea è nata da un gruppo di genitori e insegnanti della Scuola italiana di Barcellona: “Dall’estero il degrado della democrazia italiana si mostra impietoso, il senso civico sta lasciando il passo a un clima di paura e intolleranza -spiega Andrea De Lotto, insegnante-. In Spagna la gente partecipa e vive molto di più per strada. In Italia, invece, sta chiusa in casa davanti alla televisione”. De Lotto racconta che ogni volta che torna in Italia si stupisce degli atteggiamenti di chiusura “anche in persone insospettabili”. Perplessi, preoccupati, sconcertati: il loro attaccamento all’Italia diventa più forte man mano che da oltre i Pirenei arrivano le notizie di sgombero di campi rom e di leggi ad personam. E hanno scelto di arrivare via mare perché, dicono, l’acqua unisce: il Mediterraneo, del resto, negli anni ha conosciuto migrazioni e massacri. La nave, un traghetto della “Grandi navi veloci” che parte da Tangeri con a bordo nordafricani carichi di mercanzie, arriverà a Barcellona a mezzanotte. I mille la trasformeranno in un grande spazio di creatività, anche se a viaggiare con loro ci saranno tanti altri passeggeri che magari non sanno nulla dell’iniziativa. “Musica, teatro, fotografia, ab14

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Da Barcellona a genova si mettono in viaggio in mille, Contro la deriva della nostra penisola.

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N O L EL VA C R O BA GEN >


biamo riservato mille posti tra ponte e cabine e chiesto il permesso di utilizzare gli spazi dei saloni per le performance e gli incontri”, dice entusiasta De Lotto. Lo sbarco è previsto per sabato 26 giugno, intorno alle ore 18. Fra chi organizza e chi aderisce solo con una firma, c’è voglia di mobilitazione e riscatto: “All’estero l’Italia viene vista come la patria della corruzione e dell’illegalità. Ma che Paese è diventato? -si chiede De Lotto-. Vorremmo che lo sbarco risvegliasse le coscienze civili che oggi paiono addormentate”. Cultura, democrazia e partecipazione contro l’imbarbarimento: nel manifesto de “Lo sbarco” non c’è nessun accenno alla

politica e al sistema dei media della penisola. “Sarebbe stato troppo facile -spiega De Lotto-. Abbiamo deciso di puntare sui cittadini, non sull’attacco al premier e agli altri politici”. Un movimento senza bandiere né partiti, variegato nell’unitarietà del sentire comune. Il sito losbarco.org è un miscuglio di lingue, volantini in italiano, catalano, spagnolo e un lungo elenco di cittadini che, semplicemente, hanno dato sostegno. Sull’altra riva del mare, il comitato ha messo in piedi una festa di accoglienza con concerto nel Porto antico di Genova e, mobilitando istituzioni, associazioni e famiglie, ha organizzato l’ospitalità per chi arriva dal mare. “Per mesi l’informazione ha viaggiato

via internet, abbiamo fatto rete con cittadini e associazioni di tanti paesi europei dalla Grecia alla Francia -racconta Rita Lavaggi, insegnate genovese-. Anche dall’Italia le adesioni non sono mancate: parteciperanno gruppi provenienti non solo da Milano e Torino, ma persino da Sardegna e Sicilia. Nella settimana precedente lo sbarco coinvolgeremo le periferie di Genova, mentre domenica 27 giugno, cinque piazze del centro storico si animeranno con incontri e feste”. Finiti gli incontri, chi in aereo chi in nave, ognuno riprenderà la via del rientro: “Non sappiamo come sarà tornare a casa dopo lo sbarco, ma saremmo felici anche solo di ritrovarci carichi di energia”, conclude De Lotto.

emigrati consapevoli | testo | maria gallelli

Un giornale calabrese aiuta chi è partito a non perdere le proprie radici.

Sedici anni fa sembrava un’idea senza futuro: un giornale da inviare ai compaesani emigrati nei quattro continenti. Senza prezzo di copertina, solo offerta libera. Ci poteva credere solo qualche nostalgico appassionato, che aveva visto la partenza degli altri restando al di qua della sponda. Da Badolato, provincia di Catanzaro, se ne sono andate oltre 5mila persone, tre generazioni. Un vero e proprio esodo, visto che i residenti oggi sono 3.650. Sono emigrati per cercare un lavoro, che questo splendido borgo medievale contadino, affacciato sul golfo di Squillace, non riusciva e, ancora oggi, non riesce a garantire. Quasi sempre, però, il legame è rimasto. E lo sapeva Vincenzo Squillacioti, maestro elementare in pensione che tutti in paese chiamano “il professore”, che incontrava i tanti di ritorno dalle Americhe dopo venti o trent’anni, a caccia di vecchi ricordi d’infanzia o delle tombe dei parenti. Per rafforzare questo legame, nel 1994 l’associazione culturale “La Radice” stampa il primo numero dell’omonimo periodico. “Un’edizione provvisoria, 8 pagine, in 500 copie -racconta il professore-. Oggi è

un quadrimestrale di 45 pagine, in bianco e nero, e le copie sono 1.800”. “La Radice” racconta quanto accade tra i vicoli di Badolato, ripesca episodi di storia locale, propone articoli di etimologia e lessico dialettale. E in dialetto sono le poesie, i racconti e perfino il cruciverba. Infine la rubrica “Quasi un’anagrafe”, con il nome dei morti, dei nati, di chi si sposa, dei laureati e di chi emigra. All’estero vengono spedite 420 copie: Germania, Regno Unito, Francia, Svizzera, Olanda, Malta, Argentina e Stati Uniti, passando per Africa e Australia. In Italia lo ricevono circa 1.300 persone, dalla Sicilia al Piemonte. “Siamo tutti volontari”, precisa Squillacioti. E il presidente dell’associazione culturale, Mario Ruggero Gallelli, aggiunge: “Spendiamo, per la carta e la spedizione, circa 2.500 euro a numero, ma finora mai nessun passivo”. Perché i badolatesi all’estero inviano contributi spontanei. Col tempo “La Radice” è diventato un giornale culturale apprezzato anche da chi non è nato da queste parti. E ci hanno scritto studiosi da tutta Italia, come i critici letterari Antonio Piromalli e Antonio Barbuto, il linguista Franco Mosino, il grecista Lorenzo Viscido e l’antropologo Vito Teti. Hanno ricevuto il giornale anche i figli del glottologo tedesco Gerhard Rohlfs, autore di due dizionari di dialetto calabrese, venuti a Badolato quando, per i 110 anni della sua nascita, gli hanno dedicato una piazza. | 014 | giugno 10

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fotoreportage urbano | a cura di | polifemo | www.polifemo.org

luoghi di vita | fotografie e testo | ivan catalano

Enna e Torino, Due case A confronto, in un dialogo serrato tra intimità e oggetti.

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o cambiato diverse volte casa e mi è rimasto poco e niente dei luoghi in cui ho vissuto. Riflettendoci, mi sono chiesto: dove va a finire ciò che è stato? Che cosa rimane di quanto abbiamo vissuto? Che cosa resta di ciò che ci circonda ogni giorno? Così è nata l’idea di fotografare due case, in sequenze parallele: quella dei miei genitori ad Enna, in Sicilia, dove sono nato e cresciuto, e quella di Torino dove ora convivo con degli amici.

Il senso perduto dei luoghi viene ritrovato e riproposto attraverso i simboli della vita quotidiana: oggetti concreti come una sveglia, un centrino ricamato o lo specchio di un bagno, che descrivono le identità delle persone che hanno vissuto o tuttora abitano in quei luoghi. Dettagli che raccontano, in un dialogo serrato, la presenza di due mondi: da un lato ci sono tradizione e famiglia, dall’altro la contemporaneità e la mia vita da studente. Soggiogati dal mondo delle immagini, dimentichiamo facilmente le piccole cose che ci circondano. Con “Luoghi di vita” ho voluto restituire valore a quelle piccole cose.

≈ Polifemo è un’associazione di fotografi professionisti con base a Milano, che si propone di diffondere la cultura dell’immagine e della comunicazione visiva.

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Ivan Catalano Nasce a Enna nel 1977. A 23 anni scopre i disegni dell’architetto Aldo Rossi che lo “obbligano” a iscriversi ad Architettura. Qualche anno dopo una foto di Luigi Ghirri lo porta a seguire anche la strada della fotografia. Nel 2006 ha rappresentato i giovani fotografi italiani nel progetto Pan.archive[d] ad Artissima 13. Alcuni suoi scatti sono ora conservati nella collezione permanente del Pan di Napoli. Nel 2009 segue un gruppo di pazienti psichiatrici piemontesi, realizzando con loro un progetto fotografico sul paesaggio rurale intorno agli spazi abitativi, oltre che la serie dal titolo “Noi, tra la terra e il cielo”, premiata con una menzione speciale alla XII Biennale internazionale Arte plurale (To). Oggi vive nel capoluogo piemontese e conduce ricerche sulla rappresentazione del territorio attraverso la fotografia.

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| fotoreportage urbano


I luoghi sono piÚ forti delle persone, la scena fissa è piÚ forte delle vicende umane. Aldo Rossi, architetto, 1931 - 1997

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ei torri giallo ocra, scrostate e fatiscenti, ognuna da otto piani: tre da un lato e tre dall’altro, divise da un viale alberato. In mezzo: una fontana rimasta per anni senz’acqua, “decorata” da una scultura a forma di missile. Questo è il cuore di Zingonia. Circa 170 appartamenti, che non hanno mai subito alcun intervento di manutenzione, destinati alla demolizione e abitati fino a poco tempo fa da oltre 600 inquilini. Zingonia non è un paese, ma un’area di passaggio, in provincia di Bergamo, divisa tra cinque diversi comuni e costellata di capannoni industriali e da una trentina di palazzoni. Ci vivono in tutto circa 1.700 persone, la maggioranza stranieri. Per raggiungerla, dalla stazione ferroviaria di Verdellino, si passa davanti a un albergo a quattro stelle, bianco e pulito: innalza la sua struttura in un’area abbandonata a se stessa e abitata prevalentemente da immigrati provenienti da Senegal, Pakistan, Maghreb.

Ma non è stato sempre così. Quest’agglomerato, frutto di una speculazione edilizia, fu realizzato nel 1964 dal banchiere Renzo Zingone, come città modello per gli operai, giunti dal Meridione. Il progetto, che doveva accogliere 50mila abitanti e mille unità produttive, si arenò intorno alla metà degli anni Settanta, quando Zingone decise di investire i suoi capitali in America centrale. A partire dagli anni Ottanta gli inquilini italiani, appena hanno potuto, si sono trasferiti altrove, lasciando i loro appartamenti spesso carichi di debiti ai nuovi immigrati,

Gabriella Kuruvilla Milanese, classe ’69, è una donna dall’animo eclettico, forse per le sue origini italo-indiane. Architetto mancato, oggi fa la giornalista e dipinge. “È la vita, dolcezza” (Baldini Castoldi Dalai) è suo ultimo libro.

la babele bergamasca | testo | gabriella kuruvilla | foto | francesco pistilli

è quasi certo: le torri di zingonia verranno abbattute. Recuperarle sembra impossibile.

Citofoni rotti, porte murate e la fontana, simbolo di questa terra di nessuno. 20

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che li hanno acquistati o affittati. Quelli delle sei torri giallo ocra ben presto perderanno la loro casa. Alla fine dell’anno scorso, infatti, Zingonia è stata inserita all’interno dei progetti del Fas (Fondo aree sottosviluppate): i 5 milioni di euro stanziati dal ministero per lo Sviluppo economico alla Regione Lombardia serviranno per riqualificare l’area, attraverso l’abbattimento delle torri e la creazione di un polo commerciale. In questa babele di lingue, usi e costumi lavoravano, fino al giugno del 2009, gli operatori della cooperativa Kinesis: a loro i cinque comuni che gestiscono la “patata bollente” di Zingonia avevano affidato il compito di portare avanti dei progetti di mediazione interculturale. “In tre delle sei torri avevamo iniziato a fare attività scolastica: all’interno di una portineria dismessa venivano organizzati dei corsi di italiano per adulti e uno spaziocompiti per bambini e ragazzi -spiega Marco Vanoli-. Inoltre fornivamo informazioni su


come gestire i rifiuti, gli spazi comuni e il pagamento delle bollette”. Dopo le elezioni, le nuove giunte non hanno ancora rinnovato il progetto. Non tutta Zingonia è come le torri gialle. “Ogni stabile ha la sua storia, legata ai rapporti tra i condòmini -aggiunge Marco Vanoli- : ci sono anche situazioni di normalità”. Nelle sei torri i problemi si sono accumulati: come i debiti per le bollette dell’acqua, lievitati a 400mila euro. Il 3 dicembre 2009 la Bas, azienda del gruppo A2A, ha deciso di interrompere l’erogazione dell’acqua a cinque palazzi, installando nel giardino due fontane per l’approvvigionamento temporaneo. Una rivolta dei condomini, scesi in strada all’urlo di “Acqua! Acqua!”, ha portato al ripristino della fornitura: in cambio gli abitanti delle torri si sono impegnati a versare una rata di 125 euro al mese per appartamento, oltre al pagamento delle normali bollette per il consumo dell’acqua. Che però, da ormai cinque mesi, viene tagliata a rotazione a ciascuno dei sei palazzi. Chi può se ne va da Zingonia. Una politica che sta dando risultati: pare infatti che gli abitanti delle torri, in un anno, siano diminuiti di due terzi, passando da 600 a 200. Perché il problema non è solo l’acqua: qui il riscaldamento non funziona più da cinque anni. Chi può si riscalda con le stufe elettriche o a gas. Ma c’è chi non può permettersi neanche queste. Omar è nato a Marrakech, è in Italia da 10 anni, conosce cinque lingue e paga 300 euro al mese, in nero, a un africano, per vivere in una camera di sei metri quadrati: per un clandestino è difficile trovare un’altra sistemazione. Nel suo palazzo, però, l’ascensore funziona. Un lusso, visto che nelle altre torri si sale e si scende solo a piedi. Eppure in questa terra ci viene anche chi non ci abita: “Entri a Zingonia e ti sembra di essere ad Harlem: sei catapultato in un altro mondo, in cui cambiano tutti i colori”, racconta Sherif, 31 anni, padre egiziano e madre italiana, nato a Osio Sotto, uno dei cinque comuni che si dividono il territorio di Zingonia. Sherif, nel 2000, era venuto qui per lavorare in una fabbrica di tessuti. Ha abbandonato l’impiego, per uno migliore, dopo due anni. Ma in questo luogo “cromaticamente diverso” è tornato per anni, a trovare gli amici, a giocare a pallacanestro, a comprare dei prodotti, legati alla cultura del padre. “Qui nessuno mi guardava male, venivo trattato come un fratello”. E di italiani, nella zona delle torri, se ne incrociano pochi: il bar è gestito da cinesi mentre i kebab, il parrucchiere e i phone center da arabi. In molti negozi, c’è una cassetta in legno in cui vengono raccolte le donazioni per la moschea. | 014 | giugno 10

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voci dentro: l’italia, vista dai suoi detenuti | a cura di | Pietro Pollizzi | RIstretti Orizzonti

ricovero coatto

≈ Una finestra d’informazione che nasce in collaborazione con le redazioni di tre carceri: Sosta Forzata (Piacenza), Il nuovo Carte Bollate (Bollate-Milano) e Ristretti Orizzonti (Padova-Venezia).

Per leggere le riviste: www.carcerebollate.it/ cartebollate.htm, www.ristretti.it.

Un colloquio con lo psichiatra e trenta giorni di manicomio. La testimonianza di un detenuto “normale” internato in opg.

N

egli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) ci si può finire per diversi motivi, anche trasferiti da un carcere cosidetto “normale”: perché si soffre di disturbi psichici o, semplicemente, perché si è dato in escandescenze. Quando ti mandano lì, di solito, è per periodi di osservazione della durata massima di un mese, durante i quali il personale dovrebbe aiutare il ricoverato a ritrovare il proprio equilibrio psico-fisico. Ma non è sempre così. L’ho scoperto sulla mia pelle. E non una volta soltanto. Sono stato infatti trasferito in un Opg per ben tre volte. Il motivo? Comportamenti violenti nei confronti dei compagni di cella. Erano i primi mesi di carcerazione e non accettavo il fatto che avrei dovuto passare i successivi vent’anni della mia vita in galera. Vista la situazione, riuscii a ottenere un colloquio con lo psichiatra. Gli parlai del mio stato d’animo e di alcuni incubi ricorrenti; al termine della seduta, mi ritrovai in mano la prescrizione di un ricovero in Opg per un periodo di osservazione. Appena arrivato mi misero in una cella doppia. Dopo aver trascorso i primi giorni sereni, ebbi una discussione piuttosto animata con il mio compagno di cella. Arrivarono gli agenti e mi legarono per cinque giorni a un letto di contenzione: mi denudarono completamente, mi inserirono un catetere per espletare i miei bisogni fisiologici e mi lasciarono solo in una cella spoglia. Furono cinque giorni d’inferno, durante i quali mi vennero somministrati farmaci fortissimi, che mi impedirono per un lungo periodo di parlare e camminare normalmente. Tutto questo per impedire che la quiete del posto fosse in qualche modo disturbata. Ma in quel luogo rimasti ancor più colpito dalla facilità con cui si ricorreva alla forza anche per sedare comportamenti non particolarmente aggressivi. In particolare fui testimone di un pestaggio ai danni di un ospite della struttura che aveva disturbi di natura schizofrenica, e molto spesso litigava con un compagno di cella immaginario. Per il solo fatto di aver buttato della pasta in corridoio, in seguito a una segnalazione dei sanitari, venne accompagnato a suon di calci e pugni fino al letto di contenzione e lì legato. La violenza usata era tale che il poveretto cercava, come poteva, di proteggersi dai colpi che gli arrivavano da ogni parte, mentre le sue urla servivano da monito fin troppo chiaro a chi, come lui, pensava di trasgredire le regole. Per fortuna sono rimasto nell’Opg solo trenta giorni. Ne sono uscito però con un brutto ricordo: sì, perché in quel luogo spesso la legalità è infranta proprio da chi ne dovrebbe essere il baluardo.

| Usciti per voi

Il design coraggioso di Ferro&Fuoco “La nostra materia è il ferro, il nostro odore è quello delle lamiere tagliate, la nostra dimora è la Casa di reclusione di Fossano (Cn), il nostro futuro è la libertà”. Così si presentano gli artisti di “Ferro&Fuoco”. Dalle loro mani nascono originali librerie, sedie e panchine dalle linee aggressive e coraggiose. Potete scoprire i loro lavori sul sito ferroandfuocojaildesign.it.

| parole oltre il muro | a cura di | sosta forzata L’inizio: una parola scritta alla lavagna. Poi 15 minuti. Il tempo per raccogliere i pensieri e provare a raccontarli.

trattamento (trat – ta – mén - to), s.m. Il complesso delle terapie che si applicano per curare una malattia, ma anche l’insieme delle “condizioni” di un rapporto lavorativo. 1 Sono stato spesso in “trattamento”. Odio questa parola, detesto sentirla pronunciare perché mi sono sentito peggio di una cavia. Ugo, 49 anni, Italia 2 È il modo in cui tratti le persone o gli altri trattano te. Io cerco di trattare le persone per come se lo meritano e di comportarmi in modo positivo per essere trattato bene. Sambo Bienvenido Cesar, 34 anni, Olanda** ** Sambo si è sempre comportato da persona matura e gentile. Nonostante ciò, una mattina all’improvviso lo hanno trasferito: aveva appena chiesto un permesso per venire con noi a Bologna, al convegno “La pena utile”. Non è stato trattato come meritava. Carla Chiappini, direttore di Sosta Forzata | 014 | giugno 10

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viaggiatori viaggianti: livorno | testo | osvaldo spadaro

Niente “stelle” per Livorno che al turista più che cartoline regala la sua anima vernacolare.

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La tifoseria amaranto si dà appuntamento al bar dello Stadio “Picchi” per parlare di calcio e politica, anime della livornesità. (Alessandro Cosmelli/Contrasto) A destra, il porticciolo. (Daniele Dainelli/Contrasto)

uando si racconta una città occorre essere onesti. Livorno non è una bella città. Anzi, è piuttosto brutta. Trattata male dagli alleati che la bombardarono durante la Seconda guerra mondiale e forse ancor peggio dagli architetti che nei decenni successivi la misero in ordine senza farlo davvero. Anonima, la descrive qualcuno. Scalcagnata, aggiungo altri. La più brutta delle città toscane, sanciscono perentori molti. E dunque alla larga, verrebbe da dire. Perché perdere tempo per andarci? “Cosa c’ha che non ti piace Livorno”. “Tutto”. Risponde così Mastrandrea in una delle scene di “La prima cosa bella” di Paolo Virzì, uno che prima di essere regista è livornese. Tutto vero. Eppure. Eppure, nonostante tutto, Livorno è magnifica e magnetica. Uno di quei rari luoghi dove l’essere una città viva e vissuta conta più di qualsiasi monumento. E se non

è anche una città bella, pazienza. Perché anche se a Livorno non c’è molto da vedere, almeno non di quelle cose che meritano stelle e stellette sulle guide turistiche, c’è quella cosa astratta e tangibile che si chiama “livornesità” che diventa uno spettacolo per chi la sa trovare. La gente di qui ne va molto fiera, della livornesità. Di questa incredibile differenza che si trova in tutte le cose anche quando non c’è. Una differenza che si sostanzia in un amore per la battuta colorita, per l’eccesso sempre e comunque, per quelli che un tempo chiamavano i motti di spirito. Frasi di strada che diventano citazioni di vita, dette e ridette in un vernacolo che rivela colore e calore. Per rintracciarlo, questo spirito livornese, occorre avere pazienza. E orecchio. Essere disposti a spendere un po’ di tempo non in un museo o una cattedrale, ma seduti a un bar, magari sorseggiando un ponce al rumme al bar Civili, o anche una birra va bene. Essere capaci di andare a cercare lo spirito che si respira sotto le volte del mercato delle vettovaglie, il Mercato centrale, tra le botteghe che espongono pesce fresco per davvero e file di frutta, carni e scatolami vari. Oppure rin-

così brutta, così bella

come arrivare Comodo il treno, con diretti da Milano, Roma e Firenze. Oppure in macchina sull’A12 Genova-Livorno o con l’ancor più pittoresca Aurelia.

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correre un “boja dè” poco lontano, tra le bancarelle di intimo e vestiti, in via Buontalenti. O ancora, andare allo storico mercato di piazza Cavallotti, tra una pesca, un baccalà ammollato e un bombolone con il buco venduto all’antica friggitoria. Per finire magari al mercatino americano, dove un tempo gli americani veri di stanza a Camp Darby vendevano jeans e vestiti militari e oggi si trova di tutto, basta aver pazienza. Se si vuole provare a vivere la città origliando le vite degli altri, si può andare anche sulle banchine del porto mediceo. “A Livorno, ’r peggio portuale sona ’r violino co’ piedi”, dicono i locali. Così per sentire questa musica basta sedersi accanto a una panchina, su uno scalino dove tre anziani parlano guardano il traghetto piccolo che arriva da una delle isole dell’arcipelago toscano. Qui si coglie ancora quell’atmosfera di città di transito che è sempre stata l’anima di Livorno. Città libera perché così vollero i Medici prima e i Lorena poi. Città tollerante e aperta, dove grazie ai bandi emanati nel 1591 dal granduca di Toscana Ferdinando I, tutte le comunità potevano stabilirsi e godevano di libertà di culto e di organizzazione. E

così nella città antica, che forse ai tempi era anche bella, vivevano ebrei sefarditi e mercanti olandesi, cattolici inglesi e calafati greci, marinai spagnoli e affaristi armeni. Tutti dediti al commercio, tra gli scali, le fortezze e i fossi, che disegnano il perimetro di una città di mare dove l’acqua entra nel cuore del tessuto urbano. Ed è forse grazie a questo che Livorno sembra sempre ariosa, con gli odori del mare portati dal Libeccio, i rumori replicati dall’acqua. E se non si vuole cogliere la livornesità all’aperto si può sempre andare e appoggiarsi al bancone del baretto che sta su via Arsenale e promette hambuger a modo suo: si trova sempre qualcuno che legge una copia stropicciata del Tirreno e commenta dal profondo. Perché è vero che la stessa cosa un qualunque toscano verace e sanguigno la direbbe uguale. Però Livorno è di più, e i livornesi dunque la dicono con più colore e fantasia, con trasporto e anche gioia, via. Del resto da queste parti si dice che “se vo’ fa’ come ti pare, a Livorno devi andare”, e se ne va anche piuttosto

compagni di viaggio Si chiama Piero Ciampi, “e vive nei fiori dei campi”, come l’omaggiano i Baustelle. Maledetto e avvinazzato, cantautore d’insuccesso morto nel 1980, non famoso ma stimato da tanti colleghi, Piero Ciampi era un livornese doc. Cantautore di spessore, di sé diceva di essere un poeta o un vagabondo. Era tutte e due: un personaggio che ci stava davvero bene in quegli anni. Oggi a Livorno gli hanno dedicato il Premio Ciampi, una rassegna che si tiene ogni anno al teatro Goldoni. Un Tenco amaranto. | 014 | giugno 10

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Il gazebo della Terrazza Mascagni. In basso, una scena del film “Ovosodo”, girato nel 1997 da Paolo Virzì.

un weekend a livorno

Una città da film La Livorno per bene, e quella per male, sono raccontate con affetto e partecipazione dal regista Paolo Virzì, nato e cresciuto su questo lungomare. Su tutti “Ovosodo” (il nome di un quartiere della città), il film che ha fatto conoscere i fossi e gli umori di una Livorno brutta che sa essere però affascinante. Anche nel recente “La prima cosa bella”, la città è qualcosa più di uno sfondo per le riprese.

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dormire Non essendo considerata una meta turistica, Livorno non ha un’offerta strabiliante, però si può provare con l’Hotel Ariston in piazza della Repubblica 13 (tel. 0586 - 880.149; www.hotelaristonlivorno.com). Centrale, onesto e nulla più, doppia da 85 euro. Lo stesso dicasi per l’Hotel Città in via di Franco 32 (tel. 0586 - 839.590; www.hotelcitta.it): doppia da 75 euro.

mangiare Appena passato il ponte per l’Arsenale il ristorante Aragosta (tel. 0586 – 895.395, da 20 euro) è un buon posto dove fermarsi per mangiare pesce dopo aver odorato il resto della città. Al quartiere Venezia non perdetevi la trattoria familiare L’antica Venezia (tel. 0586 – 887.353), dove i buoni piatti della cucina locale sono di casa (sui 20 euro). Consigliato anche L’ostricaio, piccolo ristorantino di legno sul lungomare (viale Italia 100, tel. 0586 – 581.345): ostriche, ottimo pesce e un ponce per 30 euro.

fieri. Ma la città non è soltanto anima. Ha anche un suo carattere estetico che a qualcuno può anche piacere. Lo si coglie bene passeggiando sul lungomare, nel tratto tra la possente Accademia della marina e quel che resta dei cantieri Orlando. Qui un tempo i signori arrivavano a frotte. Sotto i Lorena, granduchi di Toscana, i signori avevano l’abitudine di venire a prendere i bagni quando ancora era un lusso per pochi. Dopo di loro la regina Margherita decise di far costruire qui una struttura balneare come si usava nelle migliori località d’Europa. Oggi quella zona, si chiama ancora scoglio della Regina e dei fasti passati conserva solo il ricordo. Così come si conserva quello dei temerari anni Dieci, quando Livorno e la costa erano una delle ville lumierè d’Italia, prima che Forte dei Marmi divenisse una delle località predilette della classi dirigente fascista. E allora in quegli anni di successi si ricostruì il lungomare dandogli un tono europeo e costellandolo di ville e alberghi, come il grandioso Hotel Palazzo. Poi si edificò la sontuosa terrazza Mascagni da cui nelle giornate terse si contano con | viaggiatori viaggianti

varie Se avete mezz’ora fate un salto alla Libreria Edison, all’interno dell’ex teatro Lazzeri, di piazza Guerrazzi. Fosse solo per l’architettura, vale la visita. Una volta al mese, se vi piace il genere, si può anche visitare la sontuosa Accademia navale (tel. 0586 – 238.349).

le dita di una mano tutte le isole dell’arcipelago toscano. E si diede vita ai Bagni Pancaldi, esempio di architettura liberty applicata al turismo. Insomma, erano anni in cui Livorno era bella e all’avanguardia anche architettonicamente. Ora quel lungomare rimane trafficato dalle varie anime della città che si dividono equamente per classe tra i vari baracchini (si chiamano proprio così) che fanno da punto di aggregazione della gioventù. Altra estetica ma stesso fascino hanno i canali del quartiere Venezia: scali marittimi costruiti nel Seicento per ospitare i fondachi dei commercianti ospitati in città e oggi diventati un posto buono dove andare la sera per gustare pesce e odore di mare. E poi, volendo, ci sarebbe da scoprire anche la città togliattiana e di sinistra, patria del comunismo italiano, culla dei duri e puri. Con un giro sentimentale che potrebbe iniziare in quel teatro dove il 21 aprile del 1921 venne fondato il Partito Comunista d’Italia. Ma si sfocerebbe nella retorica sentimentalista del pugno chiuso, e non sarebbe la cosa migliore. Perché Livorno è da vivere, più che da vedere.


viaggiare leggeri | calendario di partenze solidali Viaggiare nel rispetto dell’ambiente e delle persone: è la filosofia dei viaggi di turismo responsabile. Queste le mete che abbiamo scelto per voi.

± molise

da luglio a settembre Cinque giorni in un rifugio nel cuore del Molise, lontano dagli agi della città. Una vacanza “preistorica” per imparare i segreti delle erbe, le tecniche di caccia e di lavorazione degli oggetti. Costo 250 euro. info Molise creativo tel 348 - 143.37.04 » www.molisecreativo.org

± sardegna

| a cura di | marco menichetti | legambiente

17 - 26 settembre Calette nascoste con acqua trasparente, oleandri e antichi ovili saranno lo sfondo di un trekking di 8 giorni nel golfo di Orosei alla scoperta del fascino selvaggio del Supramonte. Ma senza mai allontanarsi troppo dal mare. Costo: 580 euro. info La Boscaglia tel 051 - 626.41.69 » www.boscaglia.it

± Mauritius

da giugno a ottobre Non solo mare cristallino e barriera corallina, ma anche esplorazione dei laghi sacri dove è possibile ricevere la benedizione indù del viandante e vedere colonie di macachi. Dodici giorni, 11 notti. Costo: 530 euro (volo escluso). info Four seasons - natura e cultura tel 06 - 278.009.84 » www.fsnc.it

± turchia

da giugno a settembre Un viaggio che inizia con sette giorni a zonzo per la Turchia e termina con una rilassante settimana in caicco nel golfo di Gokova. Partenza da Istanbul, per poi scendere ad Ankara e quindi in Cappadocia per l’imbarco. Costo: 1.980 euro. info Il vagabondo tel 320 - 689.93.46 » www.vagabondo.net Mauritius. (Four season)

volare volare e il cielo non è più blu

I

voli low cost hanno rivoluzionato il nostro modo di viaggiare. Con qualche decina di euro si può attraversare l’Europa in lungo e in largo, anche se alle volte si finisce in aeroporti molto lontano dalle città, con la necessità di noleggiare un’auto o prendere un taxi, spendere tanto e perdere più di un’ora per arrivare all’hotel o all’ufficio di destinazione. Tenuto conto di questi possibili inconvenienti, dobbiamo ammetterlo: l’aereo è veloce e spesso costa poco. Se poi dobbiamo o vogliamo recarci in altri continenti, è l’unico mezzo. Chi ha più il tempo di andare in India via mare? Ma quanto inquina l’aereo? È possibile ridurne l’impatto ambientale? Secondo la fondazione svizzera MyClimate, una persona che viaggia in aereo da Zurigo a New York consuma quasi la stessa quantità di combustibile che serve alla sua automobile in un anno. Il trasporto aereo emette circa il 10 per cento di tutta la Co2 prodotta in Europa dal settore trasporti. Questa quota è purtroppo in continua crescita e, secondo uno studio dell’Agenzia europea per l’ambiente, si prevede che, nel 2030, l’impatto del traffico aereo sarà due volte maggiore di quello del trasporto su gomma. Per ottenere un’inversione di tendenza, è necessario agire su due livelli: progettare aerei più efficienti e meno inquinanti e razionalizzare il numero di voli. Un primo obiettivo è quello di trasportare più merci in un solo viaggio, invece che fare avanti e indietro con gli aerei semivuoti. Inoltre ciascuno di noi dovrebbe fare scelte più ecologiche. Un bel treno, soprattutto se comodo e abbastanza veloce, può essere una valida alternativa. Il sito internet delle ferrovie tedesche vi permette anche di calcolare quante emissioni in meno di Co2 produrrà il vostro viaggio. Se non possiamo proprio rinunciare al cielo, aderiamo almeno ai programmi di compensazione di Co2 offerti dalla compagnie aeree. EasyJet e Air France, ad esempio, propongono ai clienti una piccola maggiorazione del biglietto, che verrà investita in progetti ambientali certificati. | 014 | giugno 10

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alternative possibili

il camper delle meraviglie | testo | elena parasiliti | foto | alice leandro

Tutti A bordo del ludobus, per scoprire la magia delle foto in scatola.

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vederlo da fuori sembra il camper di una famiglia di clown con le pareti azzurro cielo e i disegni infantili, ma quando la porta si apre il Ludobus ti accoglie in un mondo di meraviglie in bianco e nero, formato 13x18. “Siamo nel regno della fotografia stenopeica -spiega Noris Lazzarini-, e queste sono le mie Leica”. Al posto di obiettivi e macchine fotografiche, estrae dall’armadio otto scatole di latta: piccole come un pacchetto di sigarilli o una lattina, tonde e quadrate, ex scatole di gianduiotti o di bottiglie di liquori. Strane, a forma di automobile, scomponibili. E ancora, le zucche, allungate o a pera: fatte essiccare, tagliate e dipinte all’interno di nero. A renderle “magiche”, un piccolo foro (“stenos opaios” lo chiamavano i greci, ndr) fatto con un punteruolo e “momentaneamente” chiuso dal nostro isolante, che viene tolto solo per lo scatto. È da qui che la luce filtra e imprime sulla carta fotografica il mondo esterno. Ribaltato, così come accade nel nostro occhio: una camera oscura naturale. “Sarà compito del cervello, raddrizzarla” spiega Noris, mentre alla luce rossa della lampada immerge in quattro bacinelle diverse (sviluppo, arresto, fissaggio e acqua) la fotografia appena fatta. Un negativo che, a contatto con altra carta fotografica, e con la pressione di un vecchio bromografo, in pochi istanti, produrrà il positivo. “Se fossi nata cent’anni fa –scherza Noris-, sarei stata una degna allieva di Nadar”. Una città in co-

mune tra lei e quel fotografo che affascinava con i suoi ritratti la Parigi di fine Ottocento: proprio nella capitale francese, a poco meno di 40 anni, Noris fa i suoi primi esperimenti. “Era il 1993 e da sempre ero innamorata della fotografia –racconta-. A Milano per dieci anni avevo curato le mostre della galleria Il diaframma, ma volevo esprimermi in maniera diversa”. Ci prova, con un libro di Ando Gilardi e della “Banda del buco”, che legge e rilegge, finché nell’atelier di un’amica artista, a Montemartre, esegue il primo scatto: un ritratto che mi mostrerà in seguito nel suo studio-laboratorio, altra stanza delle meraviglie ma


≈ Isola della moda è un laboratorio

di autoproduzione, nato a Milano nel 2004, per dare visibilità a giovani stilisti di moda critica (www.isoladellamoda.net).

| critical fashion | A cura di | Guya Manzoni

abiti e pantaloni a chilometro uno Q

“parcheggiata” nella sua casa di Robbiate, in provincia di Lecco. “Quell’esperienza mi ha insegnato ad avere fiducia in me e nelle possibilità degli altri”. Una passione che Noris decide di trasmettere nei corsi che organizza per adulti e bambini prima in Colombia, dove soggiorna per nove mesi e ritorna appena può, poi in Italia e in Svizzera. “A Bogotà mi presentavo con la mia lattina ai ragazzini di strada che rubavano le Nikon ai turisti, me compresa –ricorda-: era quasi imbarazzante, ma in quei pomeriggi condividevamo il piacere della fotografia, dove il risultato non dipende dal costo dell’apparecchiatura, ma dal metodo che utilizzi e dal tuo sguardo sulle cose”. La “missione” di Noris, “Solidal foto in scatola -progetti di solidarietà cercansi”, prosegue anche oggi, in tutta Italia, grazie al suo Ludobus trasformato in una “macchina fotografica” gigante che l’accompagna in casa della gente, alla sagre di paese, nelle scuole dove a fine anno ha tenuto dei laboratori per realizzare insieme ai bambini “la loro foto di classe”. Un’occasione unica che ha un prezzo, diverso in base al tipo di attività e dalla distanza da percorrere: si va dalle 200 euro per un laboratorio di quattro ore a scuola in su (per informazioni, www.fotoinscatola.it). I progetti continuano: ultimi nati, il memory con le carte in positivo e negativo e la scatola “stenostopica stenopeica”, antenata degli occhiali 3D. “Da piccola sognavo un carrozzone da circo -sorride-: a 60 anni mi comprerò una motocicletta rossa per attraversare la Colombia”. E c’è da giurarci che Noris lo farà, con la sua Leica ben posizionata sul serbatoio.

uando si parla di produzioni “a chilometro zero” o “a filiera corta”, spesso si fa riferimento ad alimenti o a prodotti agricoli locali, che vengono distribuiti nelle vicinanze del luogo di produzione. Ma è possibile parlare di “filiera corta” anche nel campo della moda? Magari pensando a un mercato “critico” che valorizzi le risorse locali e contrasti, dal basso, la delocalizzazione? I grandi marchi di abbigliamento si dedicano ormai prevalentemente all’outsourcing, esternalizzando le produzioni in Paesi con regimi fiscali più indulgenti e manodopera a basso costo. Mentre la tariffa oraria di un operaio tessile (chi confeziona i capi di abbigliamento, ndr) in Italia si aggira tra i 6 e i 18 euro l’ora, in Cina è mediamente intorno ai 0,54 centesimi di euro, fino ad arrivare agli 0,44 centesimi di Thailandia o gli 0,38 del Vietnam. Non è quindi difficile comprendere come mai i produttori italiani, avendo perso competitività sul mercato comune, preferiscano dedicarsi a capi “di fascia alta”, più costosi rispetto a quelli d’ importazione. Con un paradosso: il passaggio in manifattura per le sole rifiniture, escamotage spesso utilizzato per etichettare il prodotto come “made in Italy”. In questo contesto la qualità del “fatto a mano in Italia” riacquista il meritato valore, grazie soprattutto ai tanti progetti di moda critica, che si pongono come obiettivo quello di far riscoprire al pubblico il fascino quasi dimenticato dell’artigianalità. Come nel caso della collezione “Chilometro uno”, proposta per la primavera-estate 2010 dal Laboratorio Isola, un progetto nato lo scorso anno per coniugare la ricerca dei tessuti e il design più innovativi. Questa collezione è ideata, prodotta e distribuita a Milano fra il quartiere Bovisa e il quartiere Isola, grazie alla collaborazione di Samanthakhan Tihsler, frizzante ed eclettica stilista “rubata” per l’occasione ai suoi abiti da sposa. Nascono così forme e volumi decisi e delineati, curati fin nel minimo dettaglio, con l’attenzione tipica della manifattura sartoriale. Il tutto a “chilometro uno”, provare per credere: lo showroom della designer ed il laboratorio sono divisi da solo 15 minuti di tram.

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l’arabo è di casa | testo | Ilaria Leccardi e Mauro Ravarino

Maha ha 27 anni e da Livorno, armata di webcam e microfono, raggiunge su youtube 7.400 studenti.

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Una lezione di Maha, e una bismalah che recita: “In nome di Dio il misericordioso il misericorde”.

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aha Yakoub è seduta su un divano oppure in piedi, tra le mura di casa. Parla ai suoi studenti, come se fosse in classe. Se li immagina di fronte, penna in mano a prendere appunti, mentre lei spiega come in arabo si pronunciano e scrivono le lettere dell’alfabeto, poi i numeri, i giorni della settimana, i saluti. Eppure di fronte ha solo la webcam di un computer e un microfono. Strumenti che le permettono di arrivare virtualmente nelle case di migliaia di studenti. Lei che di anni non ne ha ancora 27 e da un po’ vive a Livorno con Luca, il marito italiano. In mano ha una laurea in Lingue e letterature straniere (inglese, arabo ed ebraico), presa a metà tra il suo Paese di origine (“che preferisco non dire qual è”) e l’università di Pisa. È bastato poco. Una buona inventiva, la capacità di spiegare con chiarezza le basi di una lingua straniera, la dimestichezza dell’utilizzo della rete e il viso accattivante di una ragazza dolce e dai modi familiari. E così, nel novembre del 2008, Maha ha aperto un canale su Youtube, “Learn arabic with Maha”. Ha iniziato con lezioni dall’inglese all’arabo, con uno stile informale e preciso che ha colto nel segno: i contatti sono presto lievitati. “Ho scoperto -racconta- che sono tante le persone interessate a studiare l’arabo, specialmente nei Paesi anglosassoni. Anche musulmani che non lo conoscono. E ho il piacere di superare i soliti pregiudizi nei confronti degli arabi”. Poi, un giorno, un’altra svolta nella vita di Maha: “Diversi utenti italiani mi chiedevano lezioni nella loro lingua”. È la nuova sfida. Il 30 novembre 2009 ha pubblicato la prima lezione in italiano, sull’alfabeto arabo. Pochi giorni dopo ha confezionato il video che sarebbe diventato quello dei record, “Merry Christmas in arabic”, oltre 750mila contatti. Per realizzarlo, è bastata una piccola telecamera, una lavagna, luce favorevole e un buon programma di montaggio. “La maggior parte delle clip le faccio da sola, a volte mi riprende Luca”. Negli ultimi mesi i suoi studenti online sono arrivati a quota 7.400 iscritti al canale: “Ho aperto un profilo Facebook, per avere un feedback con loro, facendomi conoscere anche nella vita privata. Mi mandano i | alternative possibili

compiti, scambiamo foto e musica”. Ma quello di Maha è davvero diventato un lavoro. Tanto che, oltre ai canali come Youtube e Facebook è possibile trovarla sulla piattaforma “eduFire”, social network di e-learning. Diffuso soprattutto negli States, mette in contatto studenti e tutor, permettendo lezioni private a costi modici. Come risulta dalla sua pagina personale nel network, le tariffe di Maha sono di 15 dollari per 30 minuti di lezione di arabo, 25 per un’ora di arabo ed ebraico. “È uno strumento usato per lo più da adulti che vogliono imparare nuove lingue senza spostarsi da casa”, spiega. E sono tante ormai le piattaforme che propongono questo tipo di scambio linguistico e culturale, come “Livemocha”, “Myngle” oppure “Guavatalk”, dedicato all’insegnamento del cinese. “Sono canali attraverso cui è facile trovare un madre lingua, vedere il suo volto, i commenti di altri studenti. In America ci sono tanti bambini che ormai studiano da casa, via internet, con piattaforme organizzate direttamente dalle scuole”. Maha è contenta del suo progetto, lavora, si aggiorna. Sogna di imparare dieci lingue. E magari condividere saperi sul web. “Credo che l’e-learning e internet in generale siano uno strumento ideale per lo scambio culturale-linguistico. Sono il futuro. E la cosa più bella è che puoi contemporaneamente insegnare a Geoffrey, un bambino americano di 9 anni, e a Corrado, un signore italiano di 70 anni”.


| buone pratiche per vivere meglio | a cura di | Dario paladini

porta la tua sporta S

ulla porta di casa, poco prima di uscire, le fatidiche tre domande: chiavi? Fazzoletti? Portafoglio? D’ora in poi ricordatevi anche della sporta. Sì, la borsa per la spesa. Ogni supermarket e negozio ha i suoi sacchetti, magari anche bio, ma se l’avete con voi potrete dire “no grazie” e darete una mano all’ambiente. È questo il principio della campagna “Porta la sporta”: per dire basta ai sacchetti di plastica ci vuole un po’ di attenzione e organizzazione. Entro il 2011 in Italia verranno banditi, ma già ora si può fare di più. E dire no anche a quelli biodegradabili. I più creativi possono costruirsi la borsa per lo shopping riciclando vecchie stoffe o abiti dismessi. Sul sito portalasporta.it ci sono le istruzioni, i cartamodelli scaricabili e anche i video che passo dopo passo vi guidano. “I nostri comportamenti dovrebbero seguire la regola delle tre erre: riduci, riusa, ricicla -spiega Silvia Rizzi, promotrice della campagna, in collaborazione con l’associazione Comuni virtuosi-. Non basta sostituire i sacchetti in plastica con quelli biodegradabili, perché anche questi sono un rifiuto da smaltire”. Se il primo passo è

quello di bandire la plastica (impiega quasi due secoli a decomporsi, ndr), il secondo è ridurre comunque l’utilizzo dei sacchetti. “Dobbiamo smetterla con i prodotti usa e getta -aggiunge Silvia-. Vecchie lenzuola possono trasformarsi in bellissime borse, personalizzate e colorate”. Per chi non ha dimestichezza con la macchina da cucire, ci sono comunque in commercio le shopper in stoffa. “Il problema è che i supermercati non incentivano i clienti a cambiare abitudini -sottolinea Silvia-. In aprile abbiamo organizzato una settimana di sensibilizzazione e molte catene della grande distribuzione hanno aderito. Si tratta però solo di una parentesi”. La Campagna, iniziata nel 2009, ha già raccolto l’adesione di 7 Regioni, 9 Province, 82 Comuni e 24 associazioni. Chi vuole promuoverla nel proprio quartiere può scaricare dal sito il kit (manifesti e volantini): “Per iniziare basta individuare un paio di esercenti sensibili che siano disposti a tenere un assortimento di borse riutilizzabili”, spiega Silvia Rizzi. Il passa parola e l’esempio faranno poi il resto.

3 domande a Domenico Finiguerra 38 anni, sindaco di Cassinetta di Lugagnano (Mi)

Insieme all’associazione “Comuni virtuosi” ha proposto di celebrare il “Buonsenso day”. Perché? Dopo tanti “No day” penso sia giunto il momento di lanciare un’iniziativa che dia risalto alle buone pratiche. Porteremo in piazza a Roma le idee, i fatti e i progetti che centinaia di sindaci, assessori, associazioni e cittadini, stanno già sperimentando e consolidando a livello locale. Che cosa avete in mente? Mostreremo ai parlamentari, di maggioranza e opposizione, i nostri pannelli solari, i kit per la raccolta differenziata, i lampioni a led, le brocche con l’acqua pubblica. E chi sottoscriverà la “Dichiarazione di buonsenso” dovrà impegnarsi a dire no ai provvedimenti contrari al benessere dei cittadini. Quando lo celebrerete? Non abbiamo ancora deciso, stiamo però raccogliendo le adesioni attraverso il blog buonsensoday.wordpress.com. Ma credo tra settembre e ottobre.

| mondopen | a cura di | tommaso ravaglioli | openlabs

software libera tutti F

inora abbiamo parlato di software dando per scontato che si trattasse sempre di programmi per il computer. In realtà si tratta di una definizione che possiamo estendere fino a comprendere altre opere dell’ingegno: dalle fotografie ai romanzi. Pensiamo alla musica: può essere veicolata attraverso uno spartito o un file in formato Mp3. Allo stesso modo, un libro può avere forma cartacea o essere composto da migliaia di byte. Il contenuto non varia, la forma sì. E la forma, soprattutto negli ultimi anni, è stata cruciale per la diffusione dei contenuti. A scuola abbiamo studiato come la parola scritta abbia avuto una diffusione esplosiva con l’invenzione

della stampa, mentre siamo stati tutti testimoni del dilagare della musica con l’invenzione di vinili e musicassette prima e dei formati digitali, come l’Mp3, poi. Inoltre i lettori di file musicali si stanno fondendo con altri oggetti come televisori, telefoni cellulari e autoradio. Permettendo di nuovo una diffusione inedita dei contenuti che ha messo in crisi le tradizionali regole di distribuzione. Da queste considerazioni nasce un’idea rivoluzionaria: distribuire film, testi, fotografie e musica come se si trattasse di software liberi. Manipolabili, ridistribuibili, duplicabili e utilizzabili gratuitamente. Lasciando agli autori il potere di decidere quali diritti concedere agli utilizzatori, tramite la licenza “Creative

≈ Openlabs è un’associazione culturale fondata nel 2000. Organizza corsi, seminari e convegni per la diffusione del software libero. Info: openlabs.it.

commons” (per saperne di più, creativecommons.it). Il creatore di un’opera d’ingegno è titolare di una serie di diritti e, quindi, può disporne liberamente. Può, per esempio, permettere la riproduzione dell’opera a patto che non sia modificata (opzione “Non opere derivate”) o che non vi sia una finalità prevalentemente di lucro (“Non commerciale”). Oppure che qualora la si modifichi (“Opera derivata”), venga ridistribuita con le medesime condizioni alle quali si è ricevuto l’originale (“Condividi allo stesso modo”). Una rivoluzione che per brevità descriviamo con un solo esempio: oggi è possibile utilizzare musica di qualità per locali e colonne sonore di film, senza pagare i diritti d’autore. | 014 | giugno 10

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scrittori nel cassetto | a cura di | scuola holden | www.scuolaholden.it

anatomia del lasciarsi | racconto | serena blasi | illustrazione | angelo monne

Quando andiamo in pezzi non Esiste una regola fissa, possiamo solo andare a tentoni e pensare al domani.

— Eri innamorato di lei? — Credevo di esserlo, ma avevo paura di ammetterlo. Notte, con la lampada che nella cucina illumina solo alcuni oggetti, una sola parte della stanza, arbitrariamente. Il resto è in ombra, e io ci sono dentro. Lui è in camera da letto e sfoglia le mie riviste di moda, dice che mi starebbero bene quei completi, che vorrebbe vedermi solo circondata da cose belle. E io, non riesco a pensare ad altro che ai suoi capelli, che un giorno avremo dei figli con i capelli ricci, perfetti. Che i nostri figli parleranno tanto al mattino, come lui. Io non parlo al mattino, non accendo la televisione e bevo il mio tè in un angolo. Lui è seduto sul mio letto, non è proprio seduto, è semisdraiato, e io penso al mattino, è notte e penso al mattino.

— Sei solo con il tuo bisturi, spada contro spada. Mattino, per strada mi stupisco di come le persone sembrino decise, attente e padrone del proprio destino, quando in realtà so benissimo che non è così. Una donna bionda si sistema il cappello davanti una vetrina, ha il rossetto sbavato, di un rosso arancio che mi ferisce gli occhi. Davanti quella vetrina lui un giorno mi ha baciata. Ha deciso di baciarmi proprio quel giorno, così perché avevo un buon odore e usavo tanti avverbi. Poi ha continuato il suo discorso, ha ripreso a parlare di cani e molecole. Mi chiedo che cosa rimanga di certi discorsi, se poi nel tempo ricicliamo pezzi di conversazione in modo inconsapevole, frasi rimaste orfane, se lo stesso valga anche per le persone. | 014 | giugno 10

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Serena Blasi

Angelo Monne

Nasce sull’Isola Tiberina, all’una di notte del 14 dicembre 1983. Cresce tra le dolci malinconie de gregoriane e le supercazzole di “Amici miei”. Ora vive a San Salvario (To), quando c’è bel tempo dalle finestre del suo monolocale si vedono le montagne. Sta cercando la domanda giusta e il vestito della sua vita. Si definisce un’aristocratica naif.

Sono nato, vivo e quasi certamente morirò a Dorgali (Nu), dove lavoro come grafico e illustratore. Sono antifascista. Al momento ho 45 anni. Per seguirmi, vi basta andare sul mio sito: angelomonne.com.

— Non so come mi sia capitato di non avere nessuno, ma io non ho nessuno. — Non è vero, e tu lo sai. Pomeriggio, disegno l’abito che ho sognato stanotte ma non è mai lo stesso: il collo all’americana, la vita stretta e la gonna di raso, non mi decido a rinunciare, non sarà mai come l’ho visto. Il capo mi ha dato via libera, posso finire a casa se voglio, posso andarmene, tanto qui non c’è più nessuno, è sempre così il sabato. E lo farò, credo. Me ne andrò senza soffermarmi troppo nell’androne fresco del palazzo, dove lui una volta mi ha chiesto di disegnare uno smoking nero, lo smoking della sua vita, lo stesso giorno in cui mi ha baciata per la prima volta. — Quando noi andiamo in pezzi non c’è una regola fissa, possiamo solo andare a tentoni. E non c’è niente di peggio. E non c’è niente di meglio. Sera, con la luce rossa che entra nella cucina e illumina alcuni oggetti, arbitrariamente. Seduta sul divano, preparo la ciotola con i pop corn e apparecchio la mia abitudine. Una puntata per ogni sensazione, interpretazioni diverse per ogni stato d’animo. Ma soprattutto frasi, da ascoltare senza riflettere, da annotare, da riprendere. Dialoghi tra innamorati che fingi di aver avuto, linee tematiche che si rincorrono e trovano una soluzione definitiva, sempre, dopo 50 minuti. Pazienti che muoiono e che, inaspettatamente, vivono, amici che si tradiscono e amori che finiscono. Soprattutto amori che finiscono. Sempre allo stesso modo, con una frase che risuonerà nella tua testa ancora per un po’, fino a che non la dimenticherai. Quando dormivo da lui, l’estate scorsa, mi addormentavo molto tardi. Guardavo le mie puntate con le cuffie, la sigla era una porta che si apriva, consolante. E lui dormiva presto, invece, e mi diceva di non preoccuparmi che non lo avrei mai disturbato, che potevo fare ciò che volevo. 34

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| scrittori nel cassetto

Guardo le mie puntate, anche oggi, e fingo che non sia tutto affidato al caso. Fingo che tutto abbia un senso, che arriverà presto o tardi. Tra 50 minuti, un mese, una vita. Arriverà e verrà svelato da una frase a effetto che io potrò annotare sul mio diario. La frase della mia vita, il vestito della mia vita, l’uomo della mia vita. Guardo e mi affeziono a situazioni e rapporti che hanno il sapore dell’eterno e che percepisco come definitivi. Che continuo a percepire come definitivi nonostante tutto cambi, sfacciatamente, inevitabilmente. — Non so se la tua sia saggezza o inconsapevolezza. Ti serve un posto dove rifugiarti. Alla fine della giornata è di questo che vuoi sentir parlare. Notte, serrande abbassate e finestre semi aperte, ho cancellato la giornata dal mio viso, nessuna traccia di trucco ormai. Sfoglio le mie riviste di moda e abbozzo nella mente vestiti estivi, gonne ampie, abiti da cocktail, tratti lievi che ora immagino in questo modo. Linee che si perderanno, non saranno mai più le stesse. Lui non c’è, è da un’altra parte. Lui non c’è, semplicemente. Nessuna traccia di noi, l’unica cosa che rimane è una conversazione, parole che si fanno ossessive, le stesse che riuscirò a dimenticare. Un giorno. Vorrei saper cogliere i segnali, come fanno i personaggi che seguo, tutte le sere. Vorrei camminare sul marciapiede e leggere un nome, su un cartellone pubblicitario, il nome giusto per quel preciso momento. Vorrei far finta che sia importante, influenzare la mia vita per un segno. Sono queste le cose che mi piace vedere, ogni sera. È come un rifugio. Pensare che qualunque cosa accada troverai il tuo posto, che ne esiste solo uno adatto a te, lo troverai, nessuno può prendersi ciò che è tuo, alla fine della giornata o tra vent’anni lo troverai. Se non sarà oggi, poco importa. Domani comincerà di certo una nuova serie. E, se avrai fortuna, sarà quella che amerai di più.


i ferri del mestiere

cinque sensi per scrivere al meglio | testo | marco purita

anatomia del lasciarsi

Il racconto di Serena Blasi si articola in due storie parallele: Lei ricorda la sua storia d’amore, Lui è già “solo col suo bisturi”. La scansione del tempo si dipana con lentezza mentre le descrizioni, scena dopo scena, progrediscono tramite un gioco di luce e ombra. Ogni elemento ha la sua giusta proporzione, nonostante la difficoltà di gestire due storie avvicinate dall’istinto condiviso di fuggire. Lui verso un luogo dove rifugiarsi a fine giornata, Lei in cerca di una frase a effetto, dal sapore di eternità. Il tono, l’atmosfera, le azioni e i monologhi si fondono così in modo coerente, necessario, mai superfluo. l a parol a ai maestri

il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald Quello della vista è il senso che più spesso si tende a dare per scontato. Non è così per Francis Scott Fitzgerald, autore de “Il grande Gatsby”, che invece focalizza l’attenzione su oggetti banali per descrive gli effetti collaterali dell’opulenza americana borghese degli anni Venti. Con espressioni come “antipasti scintillanti” o “tacchini incantati” Fitzgerald ingioiella il reale, mascherando allo stesso tempo la perversione e le lacerazioni del mondo pseudo-aristocratico incarnato dal “sogno americano”. Il prato incominciava sulla spiaggia e si stendeva per mezzo chilometro fino all’ingresso principale della casa, scavalcando meridiane e sentieri lastricati di mattoni e giardini fiammeggianti per innalzarsi poi, giunto alla fine, quasi sotto la spinta della corsa, in rampicanti vivaci. La facciata era spezzata da una fila di porte finestre, ora rilucenti d’oro riflesso e spalancate al vento caldo del pomeriggio.

Mondadori, 1976 ≈ “Scrittori nel cassetto” è anche una sezione del nostro nuovo sito, dove potete pubblicare i vostri commenti e trovare i temi dei prossimi racconti. Vi aspettiamo su terre.it!

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i svegliai che avevo sete”, scrive Luis Mateo Diez nell’incipit del romanzo “I mali minori” (Il melangolo, 1996). Poche parole che catturano l’attenzione, solleticano i vostri sensi e vi fanno immaginare il tocco leggerissimo dell’acqua sul palato. Quello di Diez è uno stile efficace, perché precipita il lettore nel mezzo dell’azione. Allo stesso modo, nelle vostre storie, dovete far percepire al lettore la carezza di un’amante sulla pelle, l’aria frizzante di aprile su per il naso. Il sapore di un biscotto. Pensate a un soffice dolcetto a forma di conchiglia, dal sapore simile a quello del plum cake, che in Francia viene chiamato madeleine. Un narratore di nome Marcel, dopo anni, lo assaggia di nuovo e il sapore di quel dolcetto risveglia in lui l’intenzione di scrivere un libro. Nasce così “La ricerca del tempo perduto” (Bur, 2006), forse il più lungo romanzo del mondo. Come il gusto, anche l’olfatto è un senso collegato alle emozioni. Spesso a quelle più feroci, come gli istinti primitivi di un cane. Leggete “Il richiamo della foresta” (Einaudi, 2005) di Jack London. Il cane Buck, dopo essere stato venduto, bastonato e sfruttato dai cercatori d’oro, ritrova, seguendo il proprio fiuto, il corpo morto del suo amato padrone John Thornton. L’odore del sangue scatena in lui un senso di ribellione nei confronti della civiltà umana, lo spinge a rompere ogni legame, a riscoprire il canto della foresta e a fuggire per riunirsi a un branco di lupi. Anche voi, quando scrivete, dovete seguire l’istinto. Soprattutto per dare una forma ai protagonisti delle vostre storie. Quando un personaggio appare sulla pagina, il lettore vuole avere tutte le informazioni necessarie per conoscerlo e per immedesimarsi in lui. Per uno scrittore poco esperto non è facile creare personaggi che “buchino il foglio”, figure che il lettore vorrebbe incontrare, magari telefonandogli subito. Per non fallire, scegliete pochi dettagli specifici, inseriteli all’interno di una trama conflittuale e utilizzate le metafore, con parsimonia, come quando si getta il sale nell’acqua bollente di una storia. ≈ Raccontare storie è un’arte che si può imparare. Lo dimostra la Scuola Holden di Torino, fondata da Alessandro Baricco nel 1994. Tra gli allievi anche Paolo Giordano, vincitore del Premio Strega 2008.

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forchette e bacchette Agriturismo Portella della Ginestra Si trova lungo la SS 624 Palermo - Sciacca, 2 km dopo l’uscita Piana degli Albanesi. Tra i servizi offerti: bed and breakfast, vendita di prodotti biologici, maneggio. Il ristorante ha 50 coperti. Si spendono circa 25 euro, vino incluso (i bambini fino a 4 anni non pagano). Il prezzo delle stanze varia a seconda della stagione, da 35 a 64 euro. Per informazioni, tel. 091 - 85.74.810 oppure liberaterra.it.

il g(i)usto della sicilia | testo | antonella lombardi

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Piana degli Albanesi, angolo della provincia di Palermo dove si parla ancora il dialetto arbëreshë, vive e lavora un mago dei fornelli: Emiliano Rocchi. Vulcanico chef dai modi spicci e gioviali, accoglie i clienti dell’agriturismo “Portella della Ginestra” con un motto del tutto originale: “Il vostro grasso è la nostra felicità”. Difficile resistere alle sue prelibatezze, sintesi felice di innovazione e rispetto della cucina siciliana: dalla rosa di speck con ricotta e pistacchio alle melanzane alle spezie, dai fusilli in salsa di frutta secca all’agnello al marsala, per chiudere trionfalmente con i dolci classici della tradizione, come la cassata o i cannoli. Non solo: la pasta, i legumi e il vino provengono dai terreni confiscati alla mafia, i 17 ettari che circondano questo casolare del ’700 che apparteneva a Bernardo Brusca, boss condannato nel primo maxi-processo e fedelissimo di Totò Riina. Assegnato nel 2001 alla cooperativa sociale “Placido Rizzotto Libera Terra” e inaugurato quattro anni dopo, l’agriturismo è dedicato 36

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alla memoria di Portella della Ginestra, teatro della strage del primo maggio del 1947. A pochi chilometri da qui i braccianti siciliani lottarono per conquistare i benefici della riforma agraria, contro lo sfruttamento di mafiosi e latifondisti. L’attenzione al territorio continua oggi, a partire dal metodo di coltivazione (rigorosamente biologica) che ha reso fruttuosi terreni inariditi dall’incuria. Un modello “aziendale” che anche le scolaresche possono scoprire nei tour didattici. E quando l’agriturismo apre ai grandi gruppi, il rispetto per l’ambiente continua a tavola con le stoviglie biodegradabili. Per chi volesse fermarsi, poi, la Portella della Ginestra mette a disposizione dieci confortevoli posti letto per quanti vogliono approfittare degli itinerari di turismo responsabile proposti tutto l’anno da Libera o fare delle escursioni nella vicina area archeologica di Monte Jato. Se poi volete imparare ad andare a cavallo, c’è anche il centro ippico intitolato al piccolo Giuseppe Di Matteo, vittima di mafia, con vista mozzafiato sulla valle dello Jato.


≈ Hai scoperto un buon ristorante, un’osteria come quelle di una volta o un simpatico punto di ritrovo mangereccio? Passaparola su tempolibero@terre.it, perché le cose buone... si condividono!

| passaparola | BRESCIA

PERUGIA

roma

consigliato da Andrea

consigliato da Francesca e Luca

consigliato da Cristina

Gelateria storica del centro di Brescia (ha aperto nel 1935), propone prodotti originali come lo spumone e il cestino di croccante, insieme a gelati dai gusti arditi come uovo sbattuto o fiori di viole. Un’originalità eccessiva solo all’apparenza, che non delude il palato dei più golosi.

Non esistono più le mezze stagioni, ma in questo posto è possibile assaggiarne ancora i sapori. Primavera, estate, autunno e inverno scandiscono il menu fisso, che ogni giorno propone un pasto completo con un antipasto, due primi, secondo, contorno e dolce, tutto made in Umbria.

All’interno del Campo Boario, tra le strutture dell’ex mattatoio, nel quartiere Testaccio un ristorante da non perdere per chi vuole godersi una cena all’insegna del chilometro zero.

Chi ci porteresti: gli amici più gourmand della compagnia, la fidanzata in pausa dal lavoro, una persona a cui volete bene per condividere un momento di dolcezza. Perché: senza tema di essere smentiti, potrete dire di aver mangiato uno dei gelati più buoni della vostra vita. Da non perdere: quasi tutto, compreso un gelato tipo “cremino” in diverse varianti di gusto, tutte rigorosamente coperte da un abbondante strato di cioccolato. Costo: una pallina di gelato, 80 centesimi, un chilo 19 euro. Dove: Brescia, via Vittorio Emanuele II 115, tel. 030 - 41.031.

Chi ci porteresti: amici o colleghi di lavoro, a patto che amino i sapori rustici. Perché: per scoprire che la torta al testo non è un dolce e i birbanti non sono bambini indisciplinati. E per raccogliere i “cocchi”, ossia le banconote con la foto del proprietario. Alla ventesima c’è in regalo un fiaschetto di vinsanto. Da non perdere: le penne alla norcina e le fettine ’mbriache, cotte sul vino. Se capitate nel giorno del farro con funghi assaggerete un piatto sorprendente. Costo: 13 euro, liquorino compreso. Dove: Perugia, corso Garibaldi 12, tel. 075 - 573.25.11.

Gelateria del Biondo

| la ricetta

Dal mi’ cocco

Chi ci porteresti: il mio migliore amico. Perché: si mangiano piatti gustosi e originali, senza dover rinunciare al piacere di una bella chiacchierata (l’atmosfera è ideale). Inoltre, dopo cena si può concludere la serata con un po’ di shopping “etico” negli spazi della Città dell’Altra economia. Da non perdere: come antipasto assaggiate lo strudel vegetariano con zucchine, scamorza, funghi e biete, per passare poi a un piatto di maltagliati con crema di ricotta e carciofi. Costo: tra i 20 e i 25 euro per antipasto, primo e secondo. Dove: Roma, largo Dino Frisullo, tel. 333 - 418.78.70.

| food and the city | a cura di | davide de luca

la rossa dolcezza che nasce in riva al mare

Fusilli alla salsa di frutta secca offerta dallo chef Emiliano Rocchi Ingredienti per 10 persone Un litro di latte intero, 1 kg di fusilli “Libera Terra” (oppure 800 grammi, a seconda dell’appetito dei commensali), 100 grammi di parmigiano, sei cucchiai di olio extravergine di oliva, 70 noci, 150 grammi di mandorle, 100 grammi di pistacchio, sale e pepe. Mettete a bollire l’acqua per la pasta. Sgusciate la frutta secca (come varietà lo chef consiglia noci di Altofonte, mandorle di Avola e pistacchi di Bronte) e tritatela. Mettete in un mixer il latte, l’olio, la frutta secca, il sale e il pepe e frullate per qualche minuto, fino a quando non avrete ottenuto una crema omogenea ma abbastanza liquida. Nel frattempo scolate la pasta al dente e copritela subito con la crema. Mescolate e servite con una spolverata di parmigiano. Se volete dare un tocco di colore, aggiungete a crudo un pugno di pistacchi tritati sopra ciascun piatto.

Città dell’Altra economia

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Le trecce di cipolle di Tropea. (Clara Mazzaferro)

affascinante borgo di Tropea, cittadina calabra in provincia di Vibo Valenzia, a strapiombo sul limpido mare di capo Vaticano, non solo è una meta turistica famosa per le sue spiagge ma anche per il fascino della sua storia e della sua gastronomia. Camminando per le viuzze incontrerete numerosi negozi che tengono in bella mostra lunghe trecce della “Rossa di Tropea”. Non sono quelle di una bella donna però, ma della cipolla rossa, rinomata per il suo gusto dolce e delicato. La prima testimonianza storica della “Rossa” ci arriva dalla “Storia naturale” di Plinio il Vecchio (I sec. d.c.) e pare furono i mercanti fenici a importare dall’Africa questa pianta, che avrebbe trovato nel territorio calabro un clima propizio. Le sue proprietà sono innumerevoli e la tradizione popolare la considera una panacea contro tutti i mali, sia ingerita che applicata esternamente sul punto da curare. La sua naturale dolcezza permette poi di prepararla e gustarla in diversi modi: cruda, in insalata, nei sughi o in marmellata, è ideale per accompagnare gli arrosti. | 014 | giugno 10

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invenzioni a due voci La cartolina vincitrice del concorso “Carta bianca awards 2009”, organizzato da Promocard. Gli ideatori sono Andrea Piovesana, Francesco Russo e Federica Lana.

stagisti professionisti | testo | Michela gElati

Con ironia e pazienza, smascherano gli imbrogli delle Aziende a caccia di giovani volenterosi.

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opo cinque stage, è nato un giornale. Dopo uno, tragicomico, in un’azienda metalmeccanica di Torino (che somiglia molto alla Fiat), è nato un romanzo. Eleonora Voltolina e Mauro Orletti hanno in comune, come molti italiani tra i 20 e i 30 anni, periodi più o meno lunghi di lavoro semi-gratuito. Ma, diversamente da tanti coetanei, hanno tratto dai loro stage l’idea per qualcos’altro: lui ha descritto la propria esperienza nel libro autobiografico “Mi sento già molto inserito” (Zandegù). Lei ha fondato una testata giornalistica online, La repubblica degli stagisti. “Era il 2007, dopo il quinto stage, che ancora una volta non aveva fruttato un’assunzione né uno stipendio che mi garantisse l’indipendenza. Mi dicevo: Non è possibile essere stagista a 23 anni e anche a 28”, ricorda Eleonora: “Così è nato il sito, un aggregatore di notizie e luogo di dibattito che registra oltre 30mila visite al mese”. Con lei lavorano una ragazza che si occupa di marketing e un programmatore, oltre a cinque collaboratori giornalisti. “Gli stagisti in Italia sono aumentati: secondo Unioncamere, nel 2007 erano 220mila, oggi 300mila. Il divario con chi ha un contratto a tempo indeterminato è vergognoso, anche perché in Italia avere il posto fisso è indispensabile, se si desidera accendere un mutuo” spiega Eleonora, che non punta solo alla protesta, ma a un rapporto fruttuoso tra aziende e stagisti. Per questo ha creato la certificazione “Ok stage”, rivolta

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alle profit che decidono di sottoscrivere la “Carta dei diritti dello stagista” stilata dal giornale: “Per ottenerla l’azienda deve pagare almeno 250 euro i diplomati, 500 euro i laureati, più di 500 chi ha un master, e garantire l’assunzione di un terzo degli stagisti”. Tra i virtuosi, Nestlé e Ferrero, ma anche piccole realtà come StarTrash, che si occupa di consulenza ambientale. L’azienda (che versa una quota di partecipazione, ndr) guadagna in immagine: il bollino è infatti indicato anche nelle pagine lavoro dei principali quotidiani. Ma quali sono i settori più a rischio? “I più chic: moda, giornalismo, comunicazione. Quelli in cui le aziende si permettono di pensare qui uno viene a lavorare anche gratis. Due studenti dell’università di Napoli erano stati reclutati per fare i commessi nei negozi di una casa di moda. Si sono indignati e l’azienda è finita sui giornali: pessima figura”. Esempi tragicomici? Stagisti salumieri in punti vendita della grande distribuzione, o una ragazza che svolgeva mansioni di responsabilità in una multinazionale informatica al posto del capo, restando invisibile: divieto di rispondere al telefono, firmare lettere, assistere a riunioni. Si è trasferita in Olanda, dove ha un contratto da 1.800 euro al mese. Esperienze che sfiorano l’assurdo, diventate materiale letterario, dai classici “Vita precaria, amore eterno” di Mario Desiati (Mondadori) e “Il mondo deve sapere” di Michela Murgia (Isbn) al recente “Voglio scrivere per Vanity Fair.

Precaria sì, ma con stile” di Emma Travet (Memori), passando per titoli quasi comici: “Volevo solo lavorare” di Luigi Furini (Garzanti) o “Tu quando scadi? Racconti di precari” (Manni). Fino al romanzo di Orletti: “Questi libri hanno un aspetto comune -dice Mauro-: non c’è nessuna ideologia, il protagonista è solo e affronta il mondo del lavoro senza armi”. Come De Filippis, alter ego dell’autore che si aggiudica uno stage nel settore risorse umane della ditta metalmeccanica Sav. Al giovane di belle speranze lo stage viene descritto come “il modo migliore per tutelare l’azienda e il neolaureato, che non sa bene cosa lo aspetta. Lo steig è la soluzione ideale per maturare un’esperienza di lavoro”. Magistra-

Mauro Orletti

Eleonora Voltolina

Nato a Chieti nel 1977, dopo la laurea in Giurisprudenza a Bologna, ha fatto uno stage a Torino da cui ha tratto il suo primo romanzo, “Mi sento già molto inserito”. Tornato a Bologna, è stato abbastanza fortunato da trovare il posto fisso e ora si occupa di relazioni sindacali. Dal 2006 collabora con la rivista L’Accalappiacani.

Trentun’anni, giornalista, ha fondato sul web “La repubblica degli stagisti” dopo la laurea in Scienze della comunicazione alla Sapienza di Roma, la scuola di giornalismo “Carlo de Martino” a Milano e 5 stage, tra cui uno a Rai Piemonte, uno alla Sec, agenzia di relazioni pubbliche e istituzionali, e uno a Panorama.


| i libri di terre | parola d’autore | di emanuela bussolati

“D

i chi è l’acqua?”, domando ai bambini prima di leggere “Marta e l’acqua scomparsa”. Quasi nessuno risponde: “È di tutti”. Abituati al fatto che le cose siano di qualcuno, non pensano che la Terra e le sue risorse fondamentali, tra cui l’acqua, siano un bene comune. Spesso i libri per l’infanzia propongono modelli positivi di comportamento: non sprecare, non sporcare. Ma poi si cresce e ci si dimentica quello che si è imparato. Perché allora non lasciar spazio all’immaginazione, potente qualità che può trasformarsi in azione? Che cosa succederebbe se l’acqua fosse in vendita? Qualcuno vorrebbe accaparrarsela, e si metterebbe in vendita perfino la visione dell’arcobaleno e, con prezzi diversi, a seconda del calibro, ogni goccia di pioggia. Le nuvole sarebbero legate, perché non se ne vadano da altri affaristi, e via di seguito. Quando propongo questo gioco, si scatena una vera gara per trovare tutte le situazioni in cui l’acqua è presente; e sono tante, molte di più di quelle che immaginiamo, che anch’io ho immaginato. Ecco, così mi piace scrivere e illustrare: libri su temi che riguardino tutti, grandi e piccoli, stimolando il pensiero più che l’obbedienza, giocando sul paradosso e sull’osservazione più che proponendo al lettore un percorso esente da dubbi.

| letti per voi

Matematici nel sole

Sette piccoli sospetti

“Ma come, arriva l’estate e ci proponi questo?”. Non fatevi ingannare dalle apparenze: il libro di Stelzer -che per un pelo non ha vinto l’ultima edizione del “Libro dell’anno” di Fahrenheit su Radio3- è un romanzo poetico e delicato sul matrimonio. D’accordo, lo spunto che muove la storia è la scoperta da parte di Hus di avere un male incurabile: da lì la decisione di pianificare la cerimonia funebre e il “dopo”, dalla suddivisione del patrimonio tra i figli alla ricerca del nuovo partner per la moglie. Ma la morte resta sullo sfondo, mentre le pagine raccontano la storia d’amore (luminosa, anche se non priva di momenti bui) di una coppia lungo il corso di una vita. (Davide Musso)

Un gruppo di ragazzini in una piazza del Centro Italia, in un’estate degli anni Ottanta. Pochi soldi, famiglie scalcagnate e grandi speranze, i sette amici organizzano una rapina alla banca del paese, chi per andarsene all’estero e sfuggire a un destino segnato, qualcun altro per aiutare i genitori, avere la maglia del campione di calcio o un paio di scarpe nuove per fare colpo sulla bella della classe. Tra avventure tragicomiche e sogni di gloria, il bel romanzo di Frascella, senza pretendere di diventare un affresco generazionale, riesce a dipingere uno spaccato di vite minime, lasciando intravedere dietro l’ironia le difficoltà di un’iniziazione alla vita. (Michela Gelati)

Franco Stelzer

Christian Frascella

Matematici nel sole Edizioni Il Maestrale 2009 320 pagine ± 16,00 euro

Sette piccoli sospetti Fazi editore 2010 347 pagine ± 17,50 euro

EMANUELA BUSSOLATI

Marta e l’acqua scomparsa Terre di mezzo Editore, 2009 48 pagine a colori ± 7,50 euro le la risposta di De Filippis-Orletti: “Senta, voi assumetemi a tempo indeterminato e vedrete che, se mi fa schifo lavorare in Sav, mi dimetto senza preavviso dopo una settimana”. “Nel libro ho usato toni ironici, per svelare l’assurdità di dinamiche che altrimenti sembrerebbero legittime” spiega Mauro. Così, le parole inglesi, usate dai colletti bianchi, sono storpiate senza pietà: breinstorming, pauerpoint, miting. La cosa peggiore? “Arrancare sempre per dimostrare di essere all’altezza, sentendosi in realtà un apolide vittima di un’instabilità economica devastante. Il mercato prevede stagisti a rotazione: se alzano la testa sono messi alla porta”. I giovani hanno colpe? “Siamo figli di un contesto. Non siamo gente impreparata, ma quello che ci abituano a credere è molto diverso da ciò che accade”. Più dura Eleonora: “I precari devono tirar fuori la voce, molti accettano ogni sopruso sperando di essere assunti. Le aziende vanno rieducate con calma e fermezza”. Anche perché altrimenti “a uno gli viene in mente di essere sfruttato e allora si sa come vanno queste cose: ti nasce una specie di coscienza di classe, e allora poi son cazzi perchè vivalarivoluzioneproletaria”. Parola di De Filippis.

| piccoli grandi lettori | a cura di | anselmo roveda di andersen

Sopra ogni cosa l’amore

≈ Andersen, il mondo dell’infanzia è un mensile che dal 1982 si occupa di letteratura per i piccoli. Ogni anno assegna il Premio Andersen alla migliore produzione editoriale (www.andersen.it).

Nello zoo di Central Park a New York vive una comunità di pinguini; tra loro anche Roy e Silo, due esemplari maschi che dal 1998 vivono in coppia. Se n’è accorto per primo Rob Gramsey, il custode. La storia vera del loro amore è diventata un libro per bambini. Un racconto delicato, scritto da Justin Richardson e Peter Parnell e illustrato da Henry Cole, che ha il merito di destrutturare tanti luoghi comuni sulla “omoaffettività”. “Roy e Silo studiarono attentamente il modo in cui gli altri pinguini costruivano il nido. Fu così che anche loro si costruirono il proprio nido in pietra”, narrano gli autori. E qui torna in scena il custode che affida loro un uovo. La coppia diventa così una famiglia. Questa la storia di E con Tango siamo in tre (Edizioni Junior 2010, 32 pagine, 12 euro). L’omosessualità nei libri per ragazzi non è più tabù. Seppure non moltissimi, i romanzi che parlano di affettività, amore e sessualità tra i piccoli, non mancano. Soprattutto per preadolescenti e adolescenti. Recente è la riproposizione, in un’edizione elegante, di un classico contemporaneo: Lettere dal mare (Einaudi ragazzi 2010, 96 pagine, 10 euro) di Chris Donner. La vacanza di una famigliola vede l’iniziale esclusione di Christopher, il figlio maggiore. Grazie alle lettere del fratellino e al disastroso procedere delle cose ecco ricomparire Christopher con il fidanzato. E anche la situazione (oltre ai rapporti familiari) si aggiusta. Una narrazione capace di far sorridere. Meno leggero, ma assai ben scritto è il romanzo Fratelli (Aer 2002, 136 pagine, 12 euro) di Ted van Lieshout. Uscito qualche anno fa, continua a essere una lettura imprescindibile. | 014 | giugno 10

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divertimenti indipendenti

agricivisti in azione

≈ Festival, corsi ed eventi: il divertimento è senza confini. Manda le tue segnalazioni a tempolibero@terre.it, le pubblicheremo anche sul sito!

| testo | Rosy Battaglia

LA campagna chiama, la città Risponde. Parola di Erbaviola, che insegna All’italia come Diventare più verde.

“V

oglio andare a vivere in campagna” cantava Toto Cotugno sul palco sanremese dell’Ariston. Un inno alla fuga dalla città, dal traffico e dal cemento. Era il 1995, un secolo fa. Perché di strada da allora i green oriented ne hanno fatta: si sono inventati gli attacchi verdi del “guerrilla gardening” (fiori e piante che compaiono notte tempo negli incroci cittadini) e il balconaggio, l’arte di coltivare sul terrazzino di casa frutta e verdura. Quindi non sorprende che l’ultima tendenza sia l’agricivismo. “Diventare cittadini-contadini, creando reti sociali armate di semi e allegria, migliora noi e la qualità delle nostre metropoli -spiega Grazia Cacciola, esperta di ecosostenibilità e autrice di “L’orto su balcone: coltivare naturale in spazi ristretti” (Edizioni FAG 2009, 224 pagine 18,90 euro). Un manuale che insegna a curare “con minima spesa e massima soddisfazione” ogni tassello di terra sopra e sotto casa, preservando le biodiversità e proteggendo fragole e pomodori dall’inquinamento, senza utilizzare prodotti chimici. L’unico fertilizzante ammesso per rendere rigogliose le nostre oasi pensili è la condivisione. Come dimostra il viaggio di Grazia, in arte Ebaviola, attraverso l’Italia. “Avrei potuto promuovere il libro nelle librerie -sorride-: ma ho preferito organizzare un corso (gratuito) di un paio d’ore per gli aspiranti agricoltori urbani”. Un’opportunità offerta ad associazioni e scuole che possono mettere a disposizione uno spazio e preparare il “corredo del corsista” per ogni partecipante. “Si tratta di pochi oggetti riciclati -precisa Grazia-: una bottiglia d’acqua e un bicchiere di plastica, una vaschetta da ortofrutta (vuota), un sacchetto in mater-b e due pagine di giornale. Ovviamente terra e un po’ di semi”. Poi, non resta che contattarla via mail, ed Erbaviola arriverà a suggerire il percorso più semplice per diventare dei perfetti “agricivisti”. 40

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Il primo a fiorire è stato l’Abruzzo, grazie al corso di “orticoltura cittadina con tecniche naturali” organizzato lo scorso maggio dal centro Olis di Pescara e dalla “Rete nonviolenta”, in prima linea con il Movimento delle carriole, per il ritorno alla normalità delle popolazioni terremotate. Nel mese di giugno segnaliamo i mini-corsi che si terranno presso la sede di Paea, associazione di Reggio Emilia che promuove progetti alternativi per l’energia e l’ambiente, in collaborazione con 167Contatto! e il Comune. “Serve davvero poco per cambiare in meglio il nostro stile di vita -sottolinea Grazia-: si riparte dalla terra, senza però dimenticare chi ci vive, animali compresi”. Per questo, i diritti d’autore del suo libro sono interamente devoluti alla campagna “Conoscere e salvaguardare i diritti degli animali”, promossa da AgireOra (www.agireora.org).

Il kit (tutto reciclato) del buon contadino urbano.

Per ospitare Grazia cacciola e il suo libro: Mail »

grace@erbaviola.com www.erbaviola.com


| agenda italia

| scelti per voi

In gara, un mito a pedali

manifesti e video di tutte le russie

Se avete più di 30 anni è quasi certo che ne abbiate pedalata una. Della mamma, della cugina, della zia, inconsapevoli di cavalcare un mito. Perché la Graziella è molto più di una bici, è un pezzo di storia del design e del costume italiano. Una leggenda che spinge migliaia di aficionados a impegnare il weekend in lunghi restauri, ma soprattutto a organizzare raduni come le Grazielliadi, in calendario a Bergamo il 26 giugno, che hanno persino ispirato un film: “In motu Gratia” di Andrea Zanoli. info tel »

| testo | Andrea d’agostino

È

il rosso il colore dominante di “Russie!”, la mostra che rilegge la storia della Rivoluzione d’ottobre a partire dalle immagini che hanno trasformato in icone -sia in vita ma soprattutto dopo la morte- Lenin e poi Stalin. Le Russie del titolo sono i tanti volti del Paese che nell’arco di un secolo da Impero divenne Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche fino alla nuova Federazione. Il sottotitolo memoria, mistificazione, immaginario chiarisce che siamo di fronte a quadri, foto, manifesti e filmati che avevano lo scopo di convincere il popolo di quanto dovesse essere felice per la caduta dello zar e l’inizio di una nuova era con il potere ai lavoratori, il socialismo e l’uguaglianza. Nascondendo, invece, gli aspetti più brutali e sanguinosi di quella che sarà la dittatura staliniana. Organizzata dall’Università di Venezia e dalla Regione Veneto, “Russie!” espone opere di due collezioni private, Morgante e Sandretti: tra gli altri, i quadri di Chagall, Kandinskij, Malevic, per proseguire con

Grazielliadi 2010 389 - 51.37.313 grazielliadi2010.blogspot.com

Cibo e fumetti en plein air Basta una tovaglia a quadri e un cestino pieno di leccornie per partecipare alla terza edizione del Picnic festival. Il 4 luglio, dalle ore 10 alle 19, il parco “Le caprette” di Reggio Emilia accoglie infatti libri illustrati, spazi per disegnare, letture ad alta voce e cibi biologici. Ospiti d’onore saranno fumettisti e illustratori come Massimo Bonfatti e Eva Montanari e la francese Ninie Virginie Soumagnac. info »

tel »

La notte di San Giovanni 080 - 214.68.68 www.prolocobitetto.com

Dove Quando »

Russie! Ca’ Foscari, Venezia fino al 25 luglio www.russie.it

Mille artisti, una strada

La magia del solstizio d’estate

info

info

| ticket d’oltralpe

Picnic festival picnicfestival.blogspot.com

Per le streghe, il solstizio d’estate è il momento più magico dell’anno. E proprio nella notte tra il 23 e il 24 giugno, a Bitetto (Bari), si festeggia la “notte di San Giovanni”. Il centro storico si riempie di bancarelle, musicisti, artisti di strada e installazioni. Ma non mancano la lettura del futuro nel piombo fuso e le cartomanti. E per stuzzicare l’appetito ci sono i tipici spaghetti alla “Sangiuannidd”, con pomodori, capperi e acciughe.

opere di propaganda dagli anni ’20 agli anni ’50 quando, dopo la morte di Stalin, inizia il “disgelo” con un’arte “clandestina”, che vuole uscire dalle rigide maglie della censura. L’ultima sala è dedicata alla celebre Biennale del “dissenso” di Venezia nel 1977, che fece conoscere all’Occidente una nuova generazione di artisti.

Pronto? Si gira! Con i cellulari di ultima generazione, tra una chiamata e l’altra si può girare un film. E magari vincere 1.500 euro a un concorso per cineasti mobili. Non ci credete? Fate un giro a Parigi dal 18 al 20 giugno e mettete il naso in questo festival. Ne telefonerete (pardon, vedrete!) delle belle.

Giocolieri, fachiri e suonatori, ma anche gommosi contorsionisti e improbabili ginnasti in bombetta e costume da bagno. Variopinti personaggi che troverete riuniti al campionato mondiale di arte di strada, appuntamento inaugurale dell’estate irlandese. Una pazza carovana che, per il quinto anno consecutivo, è pronta a far strabuzzare gli occhi del pubblico prima al Fitzgerald park di Cork (12 e 13 giugno) e poi a Merrion Square, celebre piazza di Dublino (dal 17 al 20 giugno). info

info tel »

Pocket films festival (+33)01 - 447.663.00 www.festivalpocketfilms.fr

»

Street performance world championship 2010 www.spwc.ie | 014 | giugno 10

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in prima fila

≈ esterni nasce nel 1995. Sviluppa progetti per lo spazio pubblico a Milano e in altre città in Italia e nel mondo. Organizza il Milano film festival. Il loro sito: esterni.org

| premiÈre | a cura di | esterni

Annecy: la casa del cartoon Magari le cose cambiano

Documentari ribelli

Dal 7 al 12 giugno, i cartoni animati trovano ancora una volta casa ad Annecy. La città francese ospita infatti fin dal 1960 il festival e il mercato internazionale del film d’animazione. Tra le novità di questa edizione “d’oro”, un concorso su Youtube, aperto a tutti. Il tema? Naturalmente, i 50 anni del cartoon. Per informazioni, vi consigliamo di visitare il sito annecy.org.

Un altro appuntamento d’oltralpe: dal 22 al 25 giugno, tutti invitati a La Rochelle, per il “Sunny side of the doc”, l’incontro internazionale di produttori, registi e distributori di documentari indipendenti, arrivato ormai alla 21a edizione. Tutto quello che vi serve sapere lo trovate su sunnysideofthedoc.com. Ospiti d’onore della manifestazione, i professionisti di Cina, India e Africa.

Due donne alla periferia di Roma: niente autobus, niente servizi, una lotta quotidiana per vivere meglio. A raccontare la loro storia (vera), il film “Magari le cose cambiano” di Andrea Segre, già regista di “Come un uomo sulla terra”. Dopo l’anteprima al Torino film festival, il documentario è ora in circolazione, grazie alla rete di distribuzione civile. Per saperne di più, magarilecosecambiano.blogspot.com.

la fantasia al potere | testo | Lucia Alessi

I

n sogno lo abbiamo incontrato tutti, almeno una volta. Eppure “L’uomo fiammifero” è diventato famoso solo grazie a Marco Chiarini, regista classe ’74, che nel 2005 decide di aiutarlo a evadere dal mondo delle fantasia per portarlo sul grande schermo. Dopo quattro anni, alla fine ci riesce grazie a Simone, l’undicenne protagonista del film che, in compagnia degli amici immaginari, si mette alla ricerca di questo strano personaggio, deciso a dimostrarne l’esistenza al padre. “Volevo raccontare l’atmosfera di un periodo in cui certe storie erano ancora possibili -spiega il regista-: un’epoca in cui cellulari e videogiochi non avevano ancora invaso il mondo dell’infanzia, e le giornate si coloravano di figure fantastiche e leggende”. Giochi certo che non trovano posto sugli scaffali dei negozi. “Non ho messo freni nemmeno all’eredità della mia terra” ammette Marco, e tra una coccia di morto (testa di morto) e un po’ di surico (granturco), il film rivela tutto il sapore 42

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di una regione, l’Abruzzo, che a questo lungometraggio ha offerto ben più che una location. È infatti il sostegno del Cineforum di Teramo, l’associazione che decide di cofinanziare il progetto, a dare il via alle riprese. “Ho raccolto in un libro gli acquarelli e le foto scattate quando, con Giovanni De Feo, lavoravamo alla sceneggiatura”, spiega Marco, pittore prima che regista. Dopo 3mila copie e 20 tavole vendute, “avevamo 20mila euro: il nostro budget”. Ma la vera innovazione è la creazione della “Social distribution”, un sistema di distribuzione che aggira i canali ufficiali coinvolgendo direttamente lo spettatore: proponi il film in una sala, prendi il 10 per cento degli incassi. “La distribuzione è legata a doppia mandata alla produzione: presentare un lavoro già pronto significa trovare le porte chiuse”. Un’idea vincente al servizio di un buon prodotto, tanto da aver superato anche la prova più dura: una proiezione speciale per i detenuti di Rebibbia. Il luogo più difficile dove parlare di sogni.

L’uomo fiammifero Organizzate la vostra proiezione. Come? Scegliete un cinema che disponga di una sala digitale, fissate la data e iniziate il passaparola. Per informazioni, socialdistribution.org.


a cavallo di una sedia | testo | Rosy battaglia

L

o scalpitio dei cavalli ricreato con i tacchi delle scarpe, sulle tavole del palcoscenico. In groppa a una sedia, armato della sola voce e di una gestualità formidabile, Marco Baliani da oltre vent’anni racconta la storia di Michele Kholhaas, allevatore di cavalli nella Germania del 1500, vittima di un sopruso a cui si ribellerà, pena la vita. Una storia vera, narrata per la prima volta dallo scrittore romantico Heinrich von Kleist nel 1810 e riscritta a quattro mani per il teatro da Marco Baliani e Remo Rostagno: “Kholhaas” è una metafora amara, senza tempo, sulla ricerca di giustizia in un mondo corrotto. In scena dal 1989, questo spettacolo ha segnato la nascita del teatro di narrazione in Italia, diventando un “cult”. “È cambiata la società e siamo cambiati noi -spiega Marco Baliani-, ma il racconto di Kleist ha conservato la forza originaria e, come ogni grande opera d’arte, continua a rivelare i mali che ci affliggono”. Difficile poi non identificarsi nell’onesto Kholhaas. Depredato dei suoi migliori purosangue da un aristocratico, l’uomo si ostina a chiedere alle autorità di vedere riconosciuto il torto subito. Diritto che gli verrà negato e che lo trasformerà nel capo di una rivolta epica e fatale che lo porterà a sfidare persino il principe di Sassonia e a trovare così la morte. “Per la mia generazione, targata 1968 -confessa l’autore-, questo romanzo racchiude diversi interrogativi: sul senso della giustizia, umana e divina, e sulla difficoltà dell’individuo nel reagire all’iniquità”. Oggi quelle domande sono ancora aperte e insieme alle reazioni del pubblico, dopo tante stagioni, sono state raccolte nel libro “Ho cavalcato in groppa ad una sedia”, uscito questa primavera per la casa editrice Titivillus. Ma gli affamati di storie possono ancora incontrare Marco Baliani in tournèe e nei workshop che quest’anno si tengono nei teatri di tutta Italia, in occasione del ventennale di “Kholhaas”. Mentre al “Napoli teatro festival”, dal 24 al 26 giugno, è previsto il debutto di una pièce corale (nove gli attori in scena) che porta la sua firma: “La Repubblica di un solo giorno”. Protagonista, la breve avventura di quel laboratorio politico e sociale che nella Roma del Papa Re (era il 1849) è stato all’origine della nostra democrazia. “Un momento quasi sconosciuto della nostra storia -ammette Baliani-, l’unica vera rivoluzione fatta finora in Italia”.

Kholhaas Per informazioni sull’attività artistica di Marco Baliani, la tournée, gli spettacoli e i video vi consigliamo di visitare il sito marcobaliani.it.

| si alzi il sipario

Via Paal, i ragazzi a teatro Pergine spettacolo aperto Tra i giochi di sapone e le tessere colorate di un grande mosaico urbano, torna “Via Paal”, festival del teatro-ragazzi. In programma a Gallarate (Va), dal 16 al 19 giugno, oltre venti spettacoli di compagnie nazionali ed europee. Si parte con “Ribolle”, l’operetta senza parole di Art’inconnessione, per proseguire con “Stupidorisiko”, sulla geografia della guerra, a cura di Emergency. E l’ultimo giorno, tutti alla parata di teatro acrobatico. DOVE tel »

Via Paal, Gallarate (Va) 0331 - 784.140 fondazioneculturalegallarate.it

“La città dei matti”: così veniva chiamata Pergine Valsugana (Trento), sede fino al 1978 di un ospedale psichiatrico senza nome. Ma grazie al festival “Pergine spettacolo aperto”, da domenica 4 a sabato 10 luglio, il luogo della vergogna verrà trasformato in spazio di creatività e incontro. Tanti gli eventi per menti irrequiete: gli stage e gli spettacoli di teatro e psichiatria con Alejandro Jodorowsky, il concerto “Dall’ultima nota alla prima” di Maurizio Mastrini, “Jekyll e Hide” in chiave clown. DOVE tel »

Pergine spettacolo aperto 0461 - 530.179 perginepsa.it | 014 | giugno 10

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tu vuoi fare l’italiano? ≈ Rockit nasce nel 1997. È il database di gruppi italiani più ricco al mondo. Organizza anche eventi, tra cui il Mi ami a Milano.

NT89, 21 anni, è nato a L’Aquila, ma oggi vive a Rotterdam.

| segnali sonori

A vent’anni si conquista il mondo: Il successo di Nt89 e dei Leggins.

Mamavegas This is the day! I see... Salernitani, sono capaci di sfoderare una scia di folk tribale che ti fa alzare dalla sedia e cantare a squarciagola o dondolarti al chiaro di luna con ballad song che odorano di paglia, melodie senza tempo e tintinnii che scompaiono al tramonto. Il canto liberatorio di un’infanzia ritrovata, corse a perdifiato e chitarre da imbracciare. (Ester Apa)

| a cura di | sandro giorello | rockit

gioventù incendiaria S

e di solito frequentate questa rubrica, avrete già capito che, sfuriate sentimentali a parte, ho alcuni chiodi fissi: sono affascinato da chi fa molto e pontifica poco, chi ci prova all’estero e chi si butta nella musica fin da giovanissimo. Un anno fa vi avevo proposto due gruppi a malapena ventenni: gli Iori’s eyes e gli Heike has the giggles. Oggi possono considerarsi band di tutto rispetto, sono rischiesti nei festival internazionali e hanno collezionato un’infinità di date lungo lo stivale. Bene, ora ve ne presento altri due: NT89 e i Leggins. Nima Tahmasebi, in arte NT89, ha 21 anni ed entrambi i genitori persiani, anche se lui è nato e cresciuto a L’Aquila. Fa musica elettronica: partito con sonorità scure e aggressive, oggi si trova più a suo agio “in climi solari e ritmi tropicali”, dice. Dopo che, lo scorso settembre, si è trasferito a Rotterdam, ogni cosa per lui è decollata: ha suonato in quasi tutti i Paesi europei e la Southern fried records di Norman Cook (noto ai più come Fat boy slim) ha deciso di pubblicare il suo ultimo singolo “Dooma ep”. I Leggins hanno una storia simile. Vicentini di nascita, sul loro profilo Myspace preferiscono

Il Genio

scrivere Londra: forse perché Michele Pretto, voce e chitarra della band, ha la madre inglese e per un lungo periodo ha vissuto lì. Ora sono stati scelti dalla prestigiosa Dim mak di Steve Aoki, etichetta americana che ha pubblicato tra gli altri i dischi dei Bloc party o dei The kills. “È stato un incontro così informale da poter quasi essere definito squallido –racconta Michele-: abbiamo inviato una mail un po’ freddina a Steve, chiedendogli di ascoltare i pezzi. Dopo un paio di mesi abbiamo ricevuto i suoi apprezzamenti e un contratto”. Insomma, NT89 e i Leggins ce l’hanno fatta, ma se chiedo loro quale sia stata la mossa vincente, fanno scena muta. Un’idea io però ce l’ho: non ci hanno pensato troppo, hanno agito e basta. Vi consiglio di seguirli con attenzione, mai che si impari qualcosa di nuovo.

Vivere negli anni 10 Non è facile levarsi di dosso la patina di una “killer song” come “Pop porno”. Occorre cambiare rotta, suoni, parole. Nel nuovo lp, Il Genio aggiunge colore allo spettro compositivo. Innaffia di malinconie e buoni arrangiamenti un disco da pausa-pranzo, leggero ma non evanescente. Una maturità stilistica per chi non ammette mezze GRAFICA 7” redwormsfarm misure. (E.A.)

REDWORMSFARM

| prove d’orchestra | a cura di | marta Gatti

Il piffero delle 4 provincie È un piffero, ma non attira topi e neppure bambini, come accadeva al suonatore magico di Hamelin. Ha sottili lamelle in bambù (le ance), una canna conica con 8 fori ed è tipico delle “quattro provincie” (Pavia, Genova, Alessandria, Piacenza). “L’ho scoperto grazie alle danze popolari” dice Francesco Nastasi, che vive e lavora alla cooperativa Valli unite, a Costa Vescovado (Al). Un ingegnere 44

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Red worms’ farm 4 Dal 2002 a oggi si sono evoluti, arricchiti di anno in anno con le più diverse sfumature. Dal vivo sono sempre stati un carro armato, una qualità che su disco, però, non è mai emersa a dovere. Questo piccolo vinile rappresenta invece una svolta: ci sono sonorità new-wave, synth che arrotondano il profilo di una musica che è muscolare alla radice. Sembra proprio che abbiano trovato la chiave di volta. (Sandro Giorello)

acustico che per hobby (a malincuore, visto che vorrebbe farne un lavoro) suona nei Brisco. “È stata dura imparare: pur avendo studiato flauto traverso al conservatorio, ci vuole una muscolatura delle labbra particolare”. Il suono è forte e pungente, e sono le ance a dargli il carattere: “Cerco il bambù, lo essicco e lo raschio, poi modello le lamelle, così creo il mio stile”. Che cosa aspettate? Vi aspettano su duobrisco.interfree.it. info: fondo

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bandi e concorsi ≈ Giornalismo

| a cura di | ilaria sesana

tutte le lingue del cinema

L’Europa è ricca ma il 17 per cento della sua popolazione non riesce a soddisfare i bisogni primari. La Commissione europea, con il concorso “2010 against the poverty”, chiede ai giornalisti di parlare di povertà ed esclusione sociale. I servizi devono essere pubblicati o trasmessi tra il 1° ottobre 2009 e il 31 agosto 2010 in paesi dell’Unione europea, in Islanda o in Norvegia. Al vincitore 4.500 euro.

V

i sarà certamente capitato di vedere un film in inglese o in francese, ma nessuno in occitano, sardo o catalano. Il Babel film festival è il primo concorso cinematografico dedicato allo slang, alle lingue minoritarie, a quelle morte e a quella dei segni. Il tema è libero, ma almeno il 60 per cento dei dialoghi deve essere in una lingua “minore”, con sottotitoli in italiano o inglese. “Vogliamo valorizzare la lingua parlata e la cultura delle comunità minoritarie italiane ed europee” spiega Antonello Zanda, direttore della Cineteca sarda “Società umanitaria” di Cagliari e ideatore, insieme al regista Paolo Carboni e allo sceneggiatore Tore Cubeddu, del festival. Si può partecipare al concorso con cortometraggi e documentari. Tre i premi in palio, assegnati dalla giuria (3mila euro), dal pubblico (1.500 euro) e dalla città di Cagliari (2mila euro). Una sezione speciale è riservata ai giovani autori sardi: i vincitori potranno partecipare a un workshop a Cinecittà. I film in concorso verranno proiettati durante il festival, che si svolgerà in autunno in tutte le cineteche della Sardegna. A Cagliari le opere saranno accompagnate da mostre e incontri, oltre che dalla visione di alcuni documenti video della Cineteca sarda.

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31.07.2010 Babel film festival 070 - 280.367 www.babelfilmfestival.com

≈ Illustrazione

≈ Tesi

Volete fare i registi, ma vi dicono che siete troppo piccoli? Questa volta, se avete dai 4 ai 18 anni, la seconda edizione del concorso “Un minuto di diritti” è dedicata a voi. Unicef, in collaborazione con Rai e il ministero dell’Istruzione, vi invita a girare il vostro video sulla libertà di espressione. Si può partecipare con un massimo di tre opere, nelle tre categorie: dai 4 ai 7 anni, dai 7 ai 12, e dai 13 ai 18. Se sarete tra i vincitori, potrete vedere il vostro video in tivù, sulle reti Rai, dal 13 al 19 novembre 2010.

Quante volte, da piccoli, siamo stati catturati dai fantasiosi e colorati disegni del nostro libro preferito. Per far rivivere queste emozioni, la città di Hasselt, in Belgio, ospita il concorso biennale di illustrazione “Key colours” per libri dedicati ai bambini dai 2 ai 7 anni. Possono partecipare singoli o gruppi, di qualsiasi nazionalità, l’importante è che le opere siano originali e inedite. Ai vincitori un premio di 7.500 euro e la pubblicazione del libro. La quota di partecipazione è 5 euro per i belgi, 15 per tutti gli altri.

Città di confine, prima sardopiemontese e poi annessa all’impero francese. La Camera di commercio italiana a Nizza, dal 2000, organizza il concorso “Giuliana Falotico”, aperto a italiani e francesi, per valorizzare i rapporti tra i due paesi. Verranno premiate tesi di laurea e di dottorato sui temi dello sviluppo sostenibile, della promozione del territorio e delle relazioni tra Italia e Francia. Il vincitore avrà la possibilità di pubblicare la sua tesi (nelle due lingue) che verrà poi distribuita nelle università.

tel »

31.07.2010 Un minuto di diritti 800 - 745.000 unminutodidiritti.rai.it

Fanatici delle vignette di Vauro e Giannelli? Per voi c’è il concorso “Humor grafic” riservato alle illustrazioni umoristiche che affrontano il tema della violenza. Il concorso, organizzato dall’Unione dei giornalisti di Valencia, è aperto a professionisti e amatori, di qualunque nazionalità. Le opere vincitrici verranno esposte a Valencia (7 - 12 novembre) e in altre città spagnole.

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≈ Bambini

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≈ Vignette satiriche

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| le opportunità del mese

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12.07.2010 Key colours (+32) 11 - 239.550 keycolours.com

scade info tel »

15.07.2010 Premio Giuliana Falotico (+33) 49 - 703.03.70 ccinice.org

31.08.2010 Commissione europea 800 - 678.910.11 2010againstpoverty.eu

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30.06.2010 Humor grafic (+34) 96 - 392.09.68 feco-spain.blogspot.com

≈ Urban art Una campagna di promozione della sicurezza stradale, che noia! Ma non se a pensarla sono gli studenti e i designer che parteciperanno a “Re-creativity”, il concorso organizzato dal comune di Latina, in collaborazione con l’associazione Threetiype. L’obiettivo: creare locandine e installazioni di arte urbana per le rotatorie della città. Le opere vincitrici verranno esposte per due settimane nel mese di settembre. scade info tel »

15.07.2010 Threetiype 0773 - 176.32.77 recreativity.it | 014 | giugno 10

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| previsioni del tempo sociale | a cura di | dario paladini

Disabili e tivù

Ronde con le ali

Volontariato in posta

Donne al lavoro

sereno

sereno

sereno

nuvoloso

A Firenze è nata “Sipario Tv”, la prima emittente web gestita da disabili. C’è chi fa il cameraman, chi il conduttore o il giornalista e così via. Nel palinsesto non manca nulla: dal tg al meteo, dai programmi musicali a quelli enogastronomici. Non vi dico altro, andate a vederla su sipariotv.it e inseritela nella lista dei vostri siti preferiti.

A Bologna e Genova può capitare di incontrare, a tarda sera, dei giovanotti con piccole ali bianche. Non preoccupatevi: non avete le traveggole. Sono gli “angeli alle fermate”, una simpatica iniziativa dell’associazione bolognese Teatro dei Mignoli. Accompagnano chi ha paura di viaggiare di notte sui mezzi pubblici, raccolgono segnalazioni e osservazioni dei cittadini sulle situazioni di degrado e aiutano chi ha bisogno di assistenza. Sono la versione simpatica, serena e propositiva delle ronde di cui tanto si è parlato (ma chi le ha mai viste?).

Il vento, per fortuna, ha spazzato via le nuvole nere che avevamo previsto nel mese di maggio. Una brutta previsione, giustificata però: erano state soppresse le tariffe postali agevolate per associazioni e onlus. Una mazzata, tanto che alcune avevano rinunciato a spedire i pieghevoli per la raccolta fondi. Una petizione on line contro questo provvedimento ha raccolto 15mila firme. E finalmente, il 7 maggio, la Camera dei deputati ha approvato un decreto legge che ripristina le agevolazioni. Speriamo che i senatori non riservino sorprese.

Quasi la metà delle donne che non lavorano hanno lasciato il loro impiego per accudire i figli. La maggior parte tornerebbe volentieri nel mondo del lavoro, se riuscisse a trovare un part-time. Sono i dati “amari” di una ricerca condotta dall’Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori). Le cause? Primo, il mercato del lavoro offre un precariato rigido: contratti brevi con orari inconciliabili con la prole. Secondo, mariti troppo all’antica.

corrispondenze

il dilemma delle camicie cinesi Cara redazione, da qualche tempo vivo a Milano, in zona Giambellino. Per lavoro devo sempre indossare la camicia e ne cambio cinque alla settimana. In casa mi arrangio a fare tutto, sarei quasi un perfetto casalingo se non fossi troppo lento a stirare. Ho scoperto una nuova lavanderia cinese che stira camicie a 99 centesimi l’una. Con meno di 10 euro me ne sono fatte stirare dieci! Passato però il primo momento di euforia, mi sono posto alcune domande. Innanzitutto la lavanderia non è una lavanderia ma un “centro di raccolta” di abiti che vengono spediti non so dove e

che ritornano quattro giorni dopo lindi e perfettamente stirati. Quindi, chi è che toglie le pieghe ai mie indumenti? E dove? E in che modo? Assalito dai soliti pregiudizi sui cinesi penso al classico laboratorio sotterraneo dove bambini incatenati lavorano come schiavi. Magari non è proprio così, ma credo che il mio vantaggio economico sia però a svantaggio di qualcuno. Come fare dunque ad essere cosmopoliti nell’uso dei servizi che gli stranieri ci offrono e allo stesso tempo etici nelle proprie scelte? Antonio

Abbiamo fatto un veloce giro delle lavanderie a Milano e il prezzo difficilmente scende sotto i 2 euro. Il lavoro nero è una piaga e non è giusto diventarne complici. 46

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Sconti a teatro per gli abbonati di Terre “Sogniamo un teatro che ritorni a essere rito civile, che sia il più vicino possibile alle persone”: con questo obiettivo si presentano gli attori di Alma Rosé, compagnia teatrale nata a Milano nel 1997. Con i loro spettacoli girano l’Italia. Agli abbonati di Terre di mezzo riservano un trattamento speciale: sconti sul biglietto d’ingresso dei loro spettacoli, sui libri e i laboratori. Per informazioni, almarose.it.

Nozze in redazione Wessen Maruwge e Andrea Rottini, giornalista di Terre di mezzo, il 1° maggio sono convolati a nozze in quel di Salò (Bs). Congratulazioni e auguri dalla redazione del giornale e dei libri, dall’amministrazione, dai venditori e dallo staff di “Fa’ la cosa giusta!”.


due piccioni con una Fava

posta del cuore letteraria di linda fava (2piccioni@gmail.com)

Cara Fava, sedici anni fa ho sposato una donna fantastica, e sono ancora molto felice con lei. Da qualche mese, però, ho preso a fare sogni che mi destabilizzano. La protagonista è una signora prosperosa in bermuda e camicia da scout che cammina per un sentiero di montagna. È molto atletica, e per quanto mi sforzi non riesco a raggiungerla. Nel sogno ho un desiderio ben preciso: vorrei prenderla per mano e chiederle di aiutarmi a cucinare salsiccia e fagioli, tonno e cipolla e altri manicaretti ipercalorici da scout. Mi sveglio in uno stato di batticuore e languore romantico che potrei cantare in un musical. Ho qualche idea sull’origine del sogno: quando ero uno scout (in cambusa) avevo una cotta paurosa per la mia caposcout Bagheera, la rossa Marisa, di due anni più grande, eterea

e irraggiungibile. L’avevo eletta mio unico amore, ma quel che c’è stato tra noi si limita a un paio di occhiate di sottecchi scambiate durante un falò. Perché Marisa è tornata a turbarmi? Posso essere ancora innamorato di un fantasma adolescenziale? lupetto Alberto Caro Alberto, altroché se è possibile! I primi amori ritornano, fattene una ragione. Per fortuna non minano gli amori veri di tutti i giorni, ma popolano i nostri desideri inconsci e nutrono la nostra sete di romanticismo. Cento poesie d’amore a Ladyhawke (Einaudi) è un libricino di Michele Mari, romanziere milanese che qui si cimenta coi versi, raccontando -con equilibrismi miracolosi tra cinismo e commozione- la

storia mai compiuta ma sempre agognata tra l’io narrante e una compagna di liceo, sua prima inarrivabile passione. I due si sono poi rincontrati, adulti, con ritorni di sospiri e turbamenti, e hanno sempre sfiorato l’idillio, ma a un passo dal realizzarlo hanno preferito che rimanesse una fantasia. Cova e coccola la tua Lady Hawke, Alberto, cerca di raggiungerla sulla vetta della montagna, cucinate fagioli e sbafate nutella. Non aver paura di coltivare quel sogno di infinito e di farne pane per la tua immaginazione. E poi, a meno che tu non finisca per dedicarle un libro di poesie, non c’è pericolo che tua moglie lo venga a sapere.

Compra e vendi il nostro magazine Gestisci un’edicola, una libreria o un altro esercizio commerciale e vuoi vendere Terre di mezzo nella tua città? Puoi farlo! Telefonaci allo 02 - 873.656.01 oppure scrivi una mail a segreteria@terre.it.

Volontario di Insieme nelle Terre di mezzo dal 2004, Andrea Iacono è stato eletto presidente lo scorso 10 aprile.

| insieme nelle terre di mezzo onlus | Associazione.Terre.it

i mondiali con le terre I

l tifo di un argentino è uguale a quello di un italiano o di un nigeriano? Se volete scoprirlo, non dovete fare altro che partecipare all’iniziativa di Insieme nelle Terre di mezzo per i mondiali di calcio. Preparatevi allora a guardare Argentina-Nigeria (sabato, 12 giugno) e Brasile-Costa d’Avorio (domenica, 20 giugno) con le comunità di stranieri presenti a Milano. Ad allietare il tifo, anche manicharetti etnici. “È un modo per vivere in maniera diversa questi mondiali, che diventano così un’occasione per conoscere culture differenti”, spiega Andrea Iacono, 37 anni, nuovo presidente dell’associazione. Per informazioni su orari e luoghi, vi conigliamo di visitare il sito: associazione.terre.it.

A Milano ci trovate qui:

a Roma

A CartaCanta, l’edicola solidale in viale Monza 106, a due passi dalla metrò rossa Turro (www.edicolacartacanta.com); all’Altraedicola, in piazza Cordusio (di fronte a Poste Italiane) e all’edicola di piazza XXIV Maggio 7, accanto a Porta Ticinese. Siamo anche nelle edicole di viale Caterina da Forlì 40 (Bande Nere), via Molino delle armi (Colonne di San Lorenzo) e via Lorenteggio 3.

Libreria Le storie, via Giulio Rocco 37/39 (Università Roma Tre), tel. 06 - 573.000.82. Libreria Vescovio, via Stimigliano 24/a, tel. 06 862.118.40. Giufà, via degli Aurunci 38, tel. 06 - 443.614.06. Cooperativa Fuori Posto Via Oreste Mattirolo 16 (Centocelle) tel. 06 - 218.084.66.

L’associazione Buon Mercato via Roma 15/a, tel. 02 - 440.84.92. www.buonmercato.info

novità in Piemonte Negozio Leggero di Torino, Novara e Saluzzo (Cn). Indirizzi e informazioni su www.negozioleggero.it.

a Bologna

a Nuoro

Modo infoshop via Mascarella 24/b, tel. 051 - 58.71.012.

Associazione culturale Iskida, via Sardegna 37.

a Genova

a Morbegno (So)

Libreria Finisterre, piazza Truogoli di Santa Brigida 25, tel. 010 - 275.85.88.

Punto Einaudi, piazza San Giovanni 1, tel. 0342 - 615.517.

a Corsico (Mi)

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avvista(menti)

nei secoli fedele

Ira, una splendida lupa bianca, la sua lapide in granito verde se l’è guadagnata con 15 anni di fedeltà e amicizia. Buck, cane lupo del nucleo cinofilo “Laika” di Novara, ha speso una vita a estrarre uomini dalle macerie. Nel cimitero dell’Ente nazionale protezione animali alle porte di Novara, inaugurato nel 1974, riposano 220 cani e gatti provenienti da Piemonte e Lombardia. Wlady Bergamini, marmista funebre di 74 anni, da sei si prende cura della struttura su incarico dell’Enpa. “Distaccarsi dai nostri amici a quattro zampe è dura -racconta-, lo si capisce dalle dediche. Io stesso ne so qualcosa”. Con 300 euro si ha diritto a una sepoltura in concessione per 10 anni per venirli a trovare in quest’oasi di pace in mezzo alle risaie tra Pernate e Trecate (No). C’è chi passa ogni settimana. (Barbara Ciolli; foto: Alessia Gatta)

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Una primavera di novità Giusi Marchetta

Enrico Macioci

napoli ore 11

TERREMOTO

Dopo il successo di Dai un bacio a chi vuoi tu (3 edizioni, 11.000 copie), una nuova raccolta di racconti che scavano nel ventre di Napoli e nelle storie di bambini che vivono al limite, sospesi tra la normalità e il baratro. Come il solitario Nicola: un giorno sul terrazzo troverà una bambola che nasconde un inquietante segreto. O Colapesce, che a dieci anni, la notte di Capodanno, è rimasto sfregiato da un petardo. Oppure quel ragazzo muto, mai nominato dall’autrice, che per dichiarare il proprio amore “diverso” a un coetaneo è pronto a sfidare il padre e tutto il quartiere. 192 pagine - 7,00 euro

Enrico Macioci utilizza il terremoto del 6 aprile 2009 che ha colpito la sua terra, L’Abruzzo, come spunto letterario per indagare l’essere umano e le sue piccole/ grandi tragedie: l’evacuazione di un edificio porta alla resa dei conti tra due condòmini per una questione di abuso edilizio; dopo il disastro, un uomo perde la memoria e chiede a chi incontra che cosa sia accaduto, suscitando reazioni rabbiose che non riesce a spiegarsi; un uomo sta alla finestra di casa, nonostante il rischio di crollo, nella speranza che tornino i gatti che era solito sfamare. 128 pagine - 10,00 euro

CAMMINARE

è un po’come volare

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