Gioco di sponda

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MAGGIO 2009 € 2,50

Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, DCB Milano Roserio

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gioco di sponda FLIPPER ADRIATICO NEL 2008 L’ITALIA HA RIMBALZATO OLTRE 5MILA MIGRANTI SALPATI DALLA GRECIA: 1.500 SONO PARCHEGGIATI A PATRASSO. IN ATTESA DI RIPROVARCI

nel bagno degli “uomini” FOTOREPORTAGE URBANO

GLI HOMBRES TRAVESTITI CHE SFIDANO IL MACHISMO MESSICANO

qualcuno protesta, loro ve le cantano I CORI DELLE LAMENTELE DA FIRENZE A MILANO, METTONO IN RIMA IL DISSENSO DEI CITTADINI


Regione Toscana Diritti Valori Innovazione Sostenibilità

mostra-convegno internazionale

terrafutura

buone pratiche di vita, di governo e d’impresa verso un futuro equo e sostenibile

firenze - fortezza da basso

29-31 maggio 2009

abitare

VI edizione ingresso libero

produrre coltivare

• appuntamenti culturali • aree espositive • laboratori • animazioni e spettacoli

agire

governare

Terra Futura 2009 è promossa e organizzata da Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus per conto del sistema Banca Etica (Banca Etica, Etica SGR, Rivista “Valori”), Regione Toscana e AdescoopAgenzia dell’Economia Sociale s.c. È realizzata in partnership con Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete, Legambiente. In collaborazione e con il patrocinio di Provincia di Firenze, Comune di Firenze, Firenze Fiera SpA, AIAB-Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, AIEL-Associazione Italiana Energia dal Legno, Alleanza per il Clima, ANCI-Associazione Nazionale Comuni Italiani, APER-Associazione Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili, Associazione Cultura & Progetto Sostenibili, AUSER, AzzeroCO2, Centro SIeCI-Mani Tese, CGIL Nazionale-Dipartimento Welfare e Nuovi Diritti, CIA-Confederazione italiana agricoltori, CNCA-Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Coordinamento Agende 21 locali italiane, Coordinamento Nazionale Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani, ENEA-Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente, Fairtrade Italia, Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali, Federbio-Federazione Italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica, FIBA-CISL, Forum Ambientalista, GIFI-Gruppo Imprese Fotovoltaiche Italiane, ICEA-Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale, Istituto Italiano della Donazione, Lega delle Autonomie Locali, Kyoto Club, Metadistretto Veneto della Bioedilizia, Parlamento Europeo - Ufficio d’Informazione per l’Italia, Rete di Lilliput, Multiutility, Rete Nuovo Municipio, Touring Club Italiano, UISP-Unione Italiana Sport Per tutti, UNCEM-Unione Nazionale Comuni Comunità Enti montani, UNDP-United Nations Development Programme, UNEP-United Nations Environment Programme, UPI-Unione delle Province d’Italia, Valore Sociale, Wuppertal Institut, WWF. Media partner: Valori, AGImondoONG, Arcoiris Tv, Asca, Carta, Ecoradio, IPS-Inter Press Service, La Nuova Ecologia, Left, Radio Popolare Network, Redattore Sociale, Unimondo, Vita-non profit magazine. Relazioni istituzionali e Programmazione culturale Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus via N.Tommaseo, 7 - 35131 Padova tel. +39 049 8771121 fax +39 049 8771199 email fondazione@bancaetica.org

Organizzazione evento Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c. via Boscovich, 12 - 35136 Padova tel. +39 049 8726599 fax +39 049 8726568 email info@terrafutura.it

www.terrafutura.it


| notizie in circolo

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rovate a disegnare una casa. La vostra, quella di quando eravate bambini. Il tetto a spioventi si fa con due righe. E poi la porta, grande, in blu. Un albero, il sole, l’erba, il cielo e voi, sproporzionati. Due virgole nere che diventano rondini. Accartocciate il pezzo di carta e la casa scompare. Collassata su se stessa, insieme al sole e all’erba immancabilmente verde. Come in un gioco, non esiste più nulla. Con i nostri ricordi, a volte facciamo lo stesso. Non li cancelliamo, ma decidiamo di metterci una pietra sopra. Schiacciati sotto quel cumulo restano le sensazioni di una vita, esperienze e persone. Si dimentica per ripartire più leggeri. Si fa piazza pulita per ricostruire, convinti che ricordare porti via tempo e rallenti il passo. Mettere una pietra sui ricordi però produce un silenzio totale, senza diritto di replica, che ha odore di morte. Alle macerie di “casa nostra” non eravamo più abituati, almeno fino al mese scorso quando il terremoto ha colpito il cuore dell’Italia e la nostra immaginazione. Una potenza devastante, capace di causare quasi 300 morti e 70mila sfollati tra gli abitanti d’Abruzzo. Per noi, una provocazione potente che ci porta a guardare oltre. E per un istante, rimaniamo sospesi: che cosa fai in questi casi? Accetti il peso della memoria o fai spazio al futuro? Per superare il silenzio, proviamo in questo numero di Terre a balbettare qualcosa. Non parleremo de L’Aquila, ma di casa, terra, ricordi e futuro. Quelli dei migranti imprigionati tra Grecia e Italia. Giovani profughi vittima di un flipper violento tra Stati, che però non cancella le radici e la memoria. Perché, in fondo, la differenza tra un ramingo e uno “sfollato” sta in questo: al petto si tiene stretta la propria storia. Per poter continuare il suo viaggio.

i ricordi, mattoni per il futuro n. 002 maggio 2009 In copertina I piedi di un migrante a Patrasso, Grecia. (Matt Corner)

www.terre.it

Redazione Andrea Rottini Dario Paladini Ilaria Sesana redazione@terre.it

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l’intervista Mario Perrotta di Michela Gelati Novello cantastorie della memoria d’Italia, tra diari e miniere.

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l’inchiesta Gioco di sponda di Ilaria Sesana e Dario Paladini Nel 2008, oltre 5mila profughi sono rimasti imprigionati nel braccio di mare tra Grecia e Italia. Come palline di un flipper.

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le storie di terre Un coro di proteste. In rima di V. Raimondi Se in città qualcosa che non va, bisogna cantarlo a tutti.

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FOTOREPORTAGE URBANO Nel bagno degli “uomini” di N. Frioli Un fotografo italiano racconta le vittime della società machista messicana. Senza ipocrisie.  | ALTERNATIVE POSSIBILI

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viaggiatori viaggianti Porto. La principessa nella botte di Osvaldo Spadaro / Viaggiare leggeri a cura di Legambiente

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LE STORIE DI TERRE Bebè a domicilio di Eleonora De Bernardi / fa’ la cosa giusta! Yoga: la terapia della risata di F. Abiuso  | RISERVE mentali

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scrittori nel cassetto È ora che muori di Ugo Coppari con il commento della Scuola Holden / Divertimenti indipendenti Scatti periferici di Michela Gelati

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| editoriale | elena parasiliti

Direttore responsabile Elena Parasiliti direttore@terre.it

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tu vuoi fare l’italiano? Baci, festival e bucato a cura di Rockit Abbiamo incontrato il cantautore Dente. In attesa di vederlo al Mi ami.

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previsioni del tempo / corrispondenze / AVVISTA(MENTI)

Progetto grafico Elyron.it

Segreteria segreteria@terre.it

Ringraziamo per questo numero Antonella Carnicelli, Carola Fumagalli, Michela Gelati, la redazione di Terre di mezzo editore, il magazzino e lo staff di Fa’ la cosa giusta!.

Magazzino magazzino@terre.it Pubblicità segreteria@terre.it

Direzione e redazione Cart’armata Edizioni srl via Calatafimi 10, 20122 Milano tel. 02 - 87.36.56.01 fax 02 - 87.36.56.03 Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 566 del 22 ottobre 1994. Terre di mezzo è tra i promotori di International Network of Street Papers www.street-papers.org

Stampa Arti Grafiche Stefano Pinelli srl via Farneti 8, 20129 Milano tel. 02 - 20.47.722 fax 02 - 20.49.073 Poste Italiane spa Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, DCB Milano Roserio.

1,50 euro del prezzo di questo giornale restano al venditore | 002 | maggio 09

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opinioni | UlDerico Pesce | giro d’italia | www.uldericopesce.com

≈ Ulderico Pesce è un

autore di teatro civile, tra i suoi spettacoli “storie di scorie”. dirige il centro mediterraneo delle arti.

amore e amianto. lo chiamavano inferno

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ari amici, questo mese vorrei regalarvi uno stralcio di “a... Come amianto”, lo spettacolo che presenterò in anteprima il 19 maggio a Bresso (mi). Frutto, come sempre, del mio pellegrinare per il nostro Belpaese. Maria: “Quante cose sai sull’amianto. Vorrei essere amianto per attirare la tua attenzione”. Nico: “L’amianto entra nei polmoni, tu mi sei entrata nel cuore”. “ma perché i nostri padri tornavano con le tute impolverate di amianto se lavoravano in una fonderia?”, mi chiese maria. all’ilva di taranto e alla Breda di Sesto i nostri padri fabbricavano l’acciaio. l’acciaio è una lega che si ottiene fondendo ferro e carbonio. il pezzo di acciaio usciva dal forno a quasi 1.200

1974: operai della Breda in assemblea. (Ag. Fotogramma)

gradi e gli operai andavano alla bocca del forno coperti da una tuta di amianto. il pezzo veniva portato in una piscina piena di acqua e olio. Passati un tot preciso di minuti, lo cacciavano dall’acqua e lo coprivano con un lenzuolo di amianto. l’amianto è una fibra sottile, puoi fare un lenzuolo leggero leggero e isolante da far paura. Perché mettevano ’sto lenzuolo? Perché l’acciaio se si raffredda subito si spacca. e allora grazie al lenzuolo si raffreddava piano. a contatto con l’acciaio rovente, però, si sfibrava liberando polvere di amianto. ma non è finita. quando al pezzo di acciaio dovevano dare una forma particolare, veniva messo sotto una pressa. Colpendo l’acciaio faceva partire schegge incandescenti, che finivano sulle tute di amianto che si sfibravano. era il reparto più brutto e pericoloso. lo chiamavano l’inferno.

| loretta naPoleoni | miCro&maCro | www.lorettanapoleoni.org

la corsa all’oro e i nuovi pionieri

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ogliendo tutti di sorpresa, a metà marzo la Federal Reserve, banca centrale statunitense, ha acquistato obbligazioni del governo Usa sul mercato internazionale per 300 miliardi di dollari. Una manovra che ha consolidato la politica del quantitative easing, adottata in primavera sulle due sponde dell’atlantico: la banca centrale stampa cioè moneta e la utilizza per acquistare obbligazioni, azioni e altri titoli dalle banche. Secondo milton Friedman, padre della teoria monetarista, è come se la banca centrale si trasformasse in un elicottero che getta banconote sui mercati, allo scopo di pompare moneta nell’economia e abbassare i tassi delle obbligazioni, costringendo le banche a prestare soldi al settore produttivo. dopo questo intervento, i tassi dei buoni del tesoro americani sono scesi, mentre gli indici azionari si sono ripresi, ma secondo alcuni il massiccio acquisto di titoli governativi è l’ennesimo segno di debolezza del sistema. e il recente aumento del prezzo dell’oro potrebbe essere un altro indicatore del perdurare della crisi. il metallo giallo, si sa, è un bene rifugio: in momenti difficili, chi può acquista lingotti o investe nell’industria aurifera. l’oro protegge contro l’infla2

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zione (dopo la crisi petrolifera legata alla rivoluzione khomeinista del ’79, schizzò a 800 dollari l’oncia), il suo prezzo è un barometro della fiducia dei mercati nei sistemi finanziario ed economico (e nei governi che li gestiscono) ma, per chi si guadagna la vita in borsa, è soprattutto uno strumento speculativo. Sempre a metà marzo “Paulson & Co.”, il leggendario hedge fund fondato da John Paulson, uno dei pochissimi a prevedere la crisi del credito, ha acquistato l’11,3 per cento delle miniere aurifere della sudafricana anglogold ashanti per 1,28 miliardi di dollari. Un investimento che, con il minimo rischio, riflette la volontà di “scommettere” contro le politiche dei governi occidentali, e che altri potrebbero imitare. molte società di brokeraggio sono convinte che la domanda di oro continuerà a crescere, anche perché il pericolo del quantitative easing non è il fallimento della manovra, ma l’inflazione e l’aumento del debito pubblico che ne potrebbero conseguire. rischi che le banche centrali possono scongiurare rivendendo le obbligazioni acquistate e distruggendo il contante ricevuto prima che le economie si riprendano. Per questo le autorità monetarie di mezzo mondo ritengono il quantitative easing l’ultima spiaggia prima della depressione.

≈ loretta napoleoni, economista, vive tra londra e gli Usa. tra i massimi esperti di terrorismo, consulente per la Bbc e la Cnn, è editorialista per El Pais, Le Monde e The Guardian.

Secondo le società di brokeraggio la domanda d’oro, bene rifugio in tempo di crisi, è destinata a crescere. (Reuters/Siphiwe Sibeko)


| Pat carra | CaSSaNdra CHe ride | www.patcarra.it

| laBoratorio PeriMetro | SCUSi... doV’è il CeNtro? | www.perimetrolab.it

immigrati: un affare condominiale

P ≈ il laboratorio periferie metropolitane, è diretto da Francesca zajczyk, docente di sociologia all’università Bicocca di milano. È un luogo di condivisione e ricerca sulle trasformazioni delle aree urbane.

Milano, via Gulli. Nel palazzo vivono immigrati di origine egiziana, marocchina e romena. (Max Abordi/Tam Tam fotografie)

iù che un fenomeno di quartiere, l’immigrazione è una “questione condominiale”. Proviamo a capire perché, puntando la lente di ingrandimento sulla lombardia, la regione in cui si concentra il 23 per cento degli immigrati presenti in italia. Secondo il dossier Caritas/migrantes 2008, proprio milano è la città con più stranieri residenti, circa 414mila. Se lì trovano lavoro più facilmente che altrove, si scontrano poi con la mancanza di case a basso prezzo. Per quanto milano cominci ad assumere i tratti caratteristici delle metropoli multietniche, non ospita ancora grandi quartieri connotati per etnia (fanno eccezione la zona Paolo Sarpi e via Padova) come invece accade in altri Paesi europei. Nelle pieghe della città, però, sono sorte le “case di immigrazione”, singoli stabili privati in cui la presenza di immigrati raggiunge la totalità degli occupanti. qualche esempio: viale Bligny 42, via arquà 10, via Cicco Simonetta 19 o via adda. interi palazzi ubicati in zone semiperiferiche (vicino a loreto o al lorenteggio), ma anche in quartieri centrali (come ticinese e isola).

Non è possibile fare una stima di quanti siano, poiché le situazioni abitative degli stranieri sono spesso precarie e persino gli stabili hanno vita breve: sfollati, abbattuti o venduti. in molti casi ci si trova di fronte a case di ringhiera, mal tenute e degradate, con alloggi piccoli (monolocali o bilocali). a volte i proprietari sono italiani, a volte loro connazionali, ma capita anche che gli appartamenti vengano occupati abusivamente. Non vi è nemmeno un dato certo sul numero di inquilini. gli alloggi sono spesso sovraffollati (l’albergo-bunker scoperto a marzo a milano dalla Polizia con 60 cinesi stipati in 300 mq, ne è un esempio) e le persone hanno un alto turnover. molti degli stranieri che oggi vivono in una casa di proprietà (o con un affitto regolare) hanno abitato, al loro arrivo in italia, in uno di questi stabili, che costituiscono quindi una delle prime tappe per chi cerca di stabilirsi a milano. il fenomeno non è solo milanese. di fronte alla scarsità di alloggi, le case di immigrazione sono una risposta informale al problema e, probabilmente, sono più diffuse di quanto si pensi in tutte le città. (Silvia Mugnano) | 002 | maggio 09

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made in Italy

i Figli di immigrati Si raCCoNtaNo

Roma, ricreazione in una scuola del Prenestino. (Eidon/Vincenzo Tersigni)

≈ Paula Baudet Vivanco Giornalista, scrive sul portale della cooperazione allo sviluppo del ministero affari esteri e su Metropoli La Repubblica, il settimanale dell’italia multietnica.

banchi multietnici | a CUra di | PaUla BaUDet ViVanco

l Metropoli hip hop È dedicato a Milano “MetroCosmoPoliTown”, nuovo disco autoprodotto del rapper di origini siriane Zanco el Arabe blanco: “Si tratta di un mosaico in quattro lingue –racconta l’artista–, sei dei nove musicisti sono cresciuti come me in Italia, figli di genitori stranieri ma tutti, anche se originari di Siria, Cile, Tunisia, Marocco, Camerun, Eritrea, Calabria e Campania hanno in comune la milanesità e il legame con la cultura hip hop”. Per ascoltarlo, myspace.com/zanco.

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a scuola italiana sta cambiando fisionomia: nel prossimo anno scolastico, 2009-2010, gli alunni con passaporto straniero saranno circa 710mila (stima del ministero dell’Istruzione), 60mila in più rispetto a quelli che già siedono tra i banchi. Ma non spunteranno tutti insieme come funghi autunnali, catapultati da un momento all’altro nelle aule. Perché, in realtà, buona parte di loro è nata in Italia: “Più del 70 per cento dei bambini inseriti nelle scuole dell’infanzia e circa la metà di quelli che frequentano la scuola primaria sono qui da anni” spiega la pedagogista Graziella Favaro, in passato consulente del ministero della Pubblica istruzione. “Le preoccupazioni sulle difficoltà con la nuova lingua andrebbero quindi riservate solo a 50mila alunni, i cosiddetti ‘neoarrivati’ -prosegue la Favaro-, per i quali la via migliore di apprendimento non sono le classi di inserimento separate proposte dalla mozione leghista”. Consigliabile è invece “l’inserimento negli stessi corsi degli altri alunni ma con specifici moduli intensivi di lingua”. Sulla necessità di concentrarsi sugli alunni che arrivano direttamente da altri Paesi, è d’accordo lo stesso ministero dell’Istruzione, tanto che attraverso il programma nazionale “Scuole aperte” ha previsto 6 milioni di euro

per percorsi di approfondimento dell’insegnamento della lingua italiana. Proprio ai neoarrivati è dedicato un progetto nato e sperimentato ormai da anni nel capoluogo lombardo: “Non uno di meno”, frutto della collaborazione tra l’assessorato all’Istruzione della Provincia di Milano, l’università Bicocca, il centro Come e l’Ufficio scolastico regionale. L’iniziativa prevede sette azioni tra cui laboratori di italiano, formazione per docenti, mediazione culturale, orientamento per le famiglie e anche un sito internet con materiali didattici e informazioni. Questi strumenti, si spera, miglioreranno la situazione degli alunni stranieri che, secondo i dati nazionali, hanno in media un rendimento più basso dei compagni e sono a rischio di abbandono scolastico. Senza però dimenticare che nei singoli territori si intravedono segnali positivi. Come racconta Jaskarandeep Singh di G2, rete nazionale di figli di immigrati, anche lui arrivato in Italia dall’India all’età di 7 anni: “Quando incontriamo alunni e insegnanti delle scuole superiori accade che i professori e i dirigenti scolastici ci assicurino che i loro studenti di origine straniera hanno dei buoni profitti, a volte addirittura ce li indicano come i migliori. Ma difficilmente si tratta di alunni giunti qui da adolescenti”.


Il cortile dell’Istituto a custodia attenuata di Milano.

in breve | consUMi critici

zoes, il facebook sostenibile

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bambini fuori dal carcere, sempre di più Quasi una casa vera, con una cucina e una stanza per i giochi. A Milano, da due anni, le detenute di San Vittore e i loro figli (da zero a tre anni) scontano la pena fuori dal carcere e tra non molto decine di altri bambini faranno lo stesso. L’Istituto a custodia attenuata per madri detenute (Icam) di Milano verrà replicato a Roma, Firenze, Favara (Ag) e in Sardegna. L’accordo con gli enti locali c’è già e presto si sigleranno le convenzioni. “In tre casi abbiamo trovato le abitazioni e stiamo lavorando per adeguarle alle esigenze di custodia richieste”, spiega Maria Pia Giuffrida, presidente del Gruppo nazionale di lavoro voluto dal ministero della Giustizia. Si inizierà, probabilmente, a Favara, in una struttura confiscata alla mafia.

orse non diventerà famoso come Facebook, ma ora esiste un nuovo social network. Si chiama “zoes - zona equosostenibile” (www.zoes.it) e il suo obiettivo è di diventare un punto di riferimento per persone, enti, associazioni e gruppi interessati allo sviluppo sostenibile, il commercio equo e solidale, le risorse energetiche alternative. Su Zoes è possibile creare una pagina personale, trovare oppure inserire notizie di eventi, convegni e campagne. C’è poi “Buonmercato”, il negozio virtuale per lo shopping equo, e

nella zona “Wiki” si trova l’enciclopedia dell’equosostenibilità, dove ogni utente può inserire contenuti, rispettando una carta etica di comportamento. tra i promotori di questo nuovo social network c’è anche terre di mezzo, in compagnia di altri giornali come Altreconomia, Valori, Aam Terranuova o di enti quali Fondazione sistema toscana, Banca etica e Valore sociale. Come ogni social network che si rispetti, Zoes si arricchisce grazie alla partecipazione dei suoi internauti e per questo vi invitiamo a farci un salto.

| c’È chi Dice no | attiViSti aNtimaFia

riciclaggi senza confini meNtre aPre a Palermo la Bottega dei SaPeri e dei SaPori, liBera gUarda all’Ue CoN UNa PetizioNe.

aNtoNella lomBardi

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n gesto concreto di resistenza contro “la mafia delle parole e un’economia inquinata”. È la sfida lanciata da don Luigi Ciotti a Palermo, con l’apertura della “Bottega dei sapori e dei saperi della legalità” nella centralissima piazza Castelnuovo. Fino al 1994 qui c’era un negozio di abbigliamento di proprietà di un boss di Brancaccio. Per ristrutturarlo ci sono voluti 75mila euro, raccolti con una campagna di Libera nazionale. Adesso sugli scaffali ci sono i sapori prodotti da un’economia pulita, cioè pasta, olio, legumi, il vino “Centopassi” e, al piano inferiore, i saperi, cioè libri in consultazione e in vendita, video sui movimenti antimafia e uno spazio per dibattiti. Un negozio dove poter acquistare i frutti delle cooperative agricole “Libera Terra” che lavorano sui terreni confiscati alla criminalità organizzata, ma anche un’officina di idee aperta ai cittadini e alle associazioni, dopo

gli esempi di Torino, Roma, Napoli, Pisa e Firenze. Un successo, ma ancora lunghe sono le pratiche per ottenere un bene confiscato e destinarlo a uso sociale, come ha ricordato il presidente di Libera: “Su 1.091 aziende confiscate, 665 sono state chiuse e 257 sono ancora da assegnare. Solo 64 sono sopravvissute”. A Palermo don Ciotti ha annunciato la raccolta di 300 firme tra i parlamentari europei perché si facciano promotori di una direttiva che preveda la confisca internazionale dei beni. “Le mafie investono all’estero e nei momenti di grande difficoltà fanno un po’ da banche, prestano soldi a piccole e medie imprese e usano delle ‘teste di legno’ per forme di usura. Questa crisi favorirà il riciclaggio di denaro –ha ribadito il sacerdote–. La criminalità si è globalizzata e per questo bisogna globalizzare anche la reazione”. Ed è stato il prefetto Giancarlo Trevisone a fare un esempio di “gesti reali”, leggendo

alcune righe del diario della collaboratrice di giustizia Rita Atria: “Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo avere sconfitto la mafia dentro di te puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci”. | 002 | maggio 09

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il cantastorie

dopo aver portato in scena i racconti dei migranti pugliesi, mario perrotta torna a lavorare sui nostri ricordi. | testo | michela gelati

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ono un migrante di lusso”. Mario Perrotta, regista e attore teatrale, sorride definendosi un’anima zingara. A dieci anni, da solo, ogni mese partiva in treno da Lecce, dove viveva con la madre, per raggiungere il padre che lavorava a Bergamo: i genitori lo affidavano a famiglie di pendolari tra Nord e Sud Italia. Un’esperienza che ha portato in scena nel progetto (in due parti) “Italiani cìncali!”. Protagonisti, i connazionali minatori in Belgio e il ritorno (“la turnàta”) delle famiglie emigrate in Svizzera. L’emigrazione italiana è un tema che ti affascina: perché? Per un’esigenza personale: ho lasciato la mia terra, la Puglia, per andare prima a studiare a Bologna e poi a lavorare a Roma. Lì non stavo bene e ho capito che il problema non era la città, ma ero io: stavo scappando da me stesso. Spesso quando si viene dalla provincia si tende a dimenticare le proprie origini. Ma prima o poi bisogna fare i conti con il luogo in cui si è nati. Ora ho lasciato la città, vivo vicino a Bologna. Qui c’è il bar di fronte a casa, i discorsi degli anziani: un’atmosfera da don Camillo e Peppone. Come hai preparato questi spettacoli? Ho fatto 150 ore di interviste a circa 200 persone, girando per i bar del leccese, per sentire storie di emigranti. Mi sono spinto anche all’estero. Ogni singola vicenda avrebbe meritato un film. Ce n’è una in particolare che ti ha colpito? Mi ha fulminato la storia di un vecchio

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| L’intervista


postino. Nel Dopoguerra in tutta la provincia italiana i postini erano gli unici alfabetizzati, oltre a preti e sindaci. Questo postino, che all’epoca aveva 16 anni, doveva leggere le lettere alle donne e scrivere sotto dettatura le risposte per i mariti che lavoravano in Belgio, Germania e Australia. Procrastinava le morti e le brutte notizie. Così, involontariamente, è diventato la coscienza storica di un’intera comunità. Mi ha detto: “Conosco tutto il mondo, senza essermi mai mosso da qui”. Quali differenze vedi tra la nostra emigrazione e quella di chi arriva in Italia oggi? Nessuna. Le motivazioni delle migrazioni sono sempre le stesse: fame, guerra, voglia di una vita migliore. Quando una massa si muove, si spostano buoni e cattivi: anche noi abbiamo esportato criminalità ma soprattutto forza lavoro, e questo vale anche per i migranti di oggi. Negli Usa si diceva che gli immigrati italiani rubassero e violentassero. Ma le cifre, allora come ora, raccontano tutt’altro: a inizio ’900, quando il New York Times parlava malissimo dei nostri compatrioti, nelle carceri Usa c’erano 2mila italiani, ma fuori in 6 milioni costruivano le ferrovie per la conquista dell’Ovest. Anche tu, a tuo modo, sei un migrante. Sì, di lusso, perché posso scegliere se partire o restare. E so cosa significhino il distacco da casa e la fatica di ricominciare. Non voglio però essere un cantore dell’emigrazione: anche se mi batto per l’integrazione, non è questa la mia unica cifra artistica. Ho lavorato anche a una trasposizione teatrale dell’Odissea per esplorare il rapporto tra Ulisse e il figlio. A breve debutterai con un’opera di Moliére: un cambiamento di rotta? Nessun cambiamento di rotta: non esiste la distinzione tra teatro civile e di narrazione,

ma solo tra buon teatro e cattivo teatro. E il buon teatro è sempre necessario. Di Moliére porto in scena “Il misantropo”, la prima sarà il 24 giugno al festival delle Colline torinesi. Il protagonista è un uomo che non sa adattarsi a una società dove tutto è potere e convenienza, anche i rapporti d’amore. Così diventa un perdente, un reietto. “Il misantropo” fa parte di una serie di tre spettacoli in cui vorrei raccontare il nostro tempo: l’anno prossimo sarà la volta de “I cavalieri” del greco Aristofane e nel 2011 toccherà a “Bouvard e Pecuchet”, i due idioti di Flaubert. Oltre che in teatro, la tua voglia di raccontare l’Italia è andata sulle frequenze di Radio 2. Nelle 15 puntate di “Emigranti espréss” ho dato voce a 15 nuove storie di emigrazione (per ascoltarle, marioperrotta.com). La radio impone l’assenza fisica. Bisogna far immaginare mondi con le parole, non con i gesti. Per questo, ho lavorato molto sulla scelta dei brani musicali per creare le atmosfere: da Monteverdi ai Muse, da Edith Piaf alla Callas. Ora sei al lavoro su un libro che uscirà a settembre per Terre di mezzo. Ci anticipi qualcosa? Nel libro racconto la storia dell’Archivio di Pieve Santo Stefano (Ar), che quest’anno compie 25 anni. L’archivio riunisce diari e biografie di italiani di tutte le età: memorie di guerra, epistolari intimi, lettere tra nobildonne e i loro amanti, storie di emigrazione. Testi trasversali, che attraversano epoche storiche e classi sociali. La catalogazione viene fatta per anno di spedizione e ordine alfabetico, e questo crea strani “cortocircuiti”: le memorie di partigiani sono a fianco di quelle dei repubblichini, divisi nella vita ma costretti a convivere sugli scaffali. Nel mio libro, che è una storia in forma di romanzo, le voci degli autori dei diari prendono vita di notte, quando l’archivio è chiuso e silenzioso.

Mario Perrotta Nato nel 1970 nella periferia di Lecce, dove da piccolo parlava il dialetto e giocava a scalare palazzi in costruzione. Ha studiato teatro a Bologna, dove ha fondato la compagnia “Teatro dell’argine” e si è laureato in filosofia. Dopo una parentesi romana, è tornato nel bolognese. Tra i suoi lavori, “Emigranti espréss” (Fandango editore), il libro tratto dall’omonimo programma radio. Nel 2008 ha ricevuto il premio “Città del diario” per il suo impegno nel recupero della memoria collettiva. | 002 | maggio 09

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| L’inchiesta


Patrasso (Grecia): due profughi scrutano i traghetti in partenza per l’Italia. Nell’attesa di imbarcarsi di nascosto.

gioco di sponda | teSto | ilaria sesana | Foto | Matt corner

Come PalliNe di UN FliPPer. Nel 2008 oltre 5mila ProFUgHi SoNo rimaSti imPrigioNati iN UN BraCCio di mare, tra la greCia e l’italia.

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lza tre dita. Una per ogni volta che è approdato, nascosto a bordo di un traghetto, nei porti di Ancona, Bari o Venezia. Sbarchi non riusciti perché Javat, afghano di 21 anni, è sempre stato scoperto dalla polizia e rispedito a Patrasso, in Grecia. Da otto mesi è imprigionato nel braccio di mare che separa le due sponde dell’Adriatico. È in cerca di asilo, ma la legge europea lo obbliga a chiederlo nel primo Paese dell’Unione incontrato lungo la strada. In Grecia però solo due rifugiati su 100 trovano protezione. Non può nemmeno tornare a casa, può solo rischiare il tutto per tutto: “Ogni giorno cerco di infilarmi sotto i camion, per andare in Italia”, racconta, mimando il gesto con le mani, mentre camminiamo lungo la strada che costeggia il porto. Da qui, in pochi minuti si arriva nella piccola Kabul di Patrasso, un vero e proprio campo profughi che ospita circa 1.500 afghani. Tutti maschi, ragazzi sotto i 30 anni d’età, stipati in un’area grande come mezzo campo di calcio. “Da poco più di un anno (da quando l’Iran ha iniziato a rimpatriare gli sfollati afghani, ndr) è aumentato il numero dei minori che viaggiano soli, prima non era così. Oggi qui ce ne sono circa 200”, spiega Haji, riconosciuto da tutti come il capo della baraccopoli in cui vive dal 2002. Hanno un solo obiettivo: arrivare in Italia e, da qui, in Svezia, Norvegia e Gran Bretagna per ricongiungersi ad amici e familiari. Ma il loro progetto si infrange a metà strada: 5.544 migranti, nel 2008, hanno rimbalzato come palline di un flipper tra una sponda e l’altra dell’Adriatico. Patrasso, Igumenizza e Atene da una parte, Ancona, Venezia, Bari e Brindisi dall’altra. Protagonisti di una guerra silenziosa che si combatte nelle stive dei traghetti e che, dal dicembre 2006, è costata la vita a 15 persone: asfissiati nei container o schiacciati sotto gli autoarticolati. “Quella tra Italia e Grecia è una frontiera interna all’area Schengen -spiega Mario Sica, dirigente della Pol| 002 | maggio 09

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Porto di Patrasso: un profugo mostra il braccio rotto da una manganellata della polizia. Nella foto grande, la Polmare di Ancona scopre due clandestini nel sottofondo di una bisarca.

mare di Ancona-. Per questo i due Paesi hanno stipulato, nel 1999, un accordo di riammissione: chi non ha i documenti in regola viene affidato al comandante della nave e respinto”. Ma l’accordo “è illegittimo -contesta Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione-. Anche perché è in contrasto con normative comunitarie successive”. E con la legge italiana (dlgs 25/2008): a chi scende dai traghetti deve essere spiegato, in maniera chiara e con l’aiuto di un interprete, che ha la possibilità di chiedere asilo e non può essere rispedito al mittente come un pacco postale. Non è stato così per Javat: non ha ricevuto alcuna informazioni, né ha incontrato gli operatori del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), uno degli enti che gestisce gli sportelli di accoglienza ai valichi di frontiera. E il suo non è un caso isolato: dal porto di Venezia (dove gli operatori non possono salire a bordo dei traghetti durante le

5.644

A Patrasso, tra musica e baracche

Persone rimandate in Grecia nel 2008.

2.106

da Ancona 10

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1.610

da Venezia

1.198 da Bari

| L’inchiesta

ispezioni della polizia, ndr) nel 2008 sono state respinte 1.610 persone e solo 138 hanno potuto parlare con operatori e interpreti. Una situazione che, lo scorso anno, ha spinto il servizio di pronto intervento sociale del Comune di Venezia a interrompere l’attività al valico iniziata 12 mesi prima. “Facevamo fatica persino ad accedere al porto -spiega Rosanna Marcato, responsabile del servizio-. Spesso avevamo notizia degli sbarchi dal ‘Gazzettino’ del giorno dopo, senza ricevere segnalazioni dalla polizia”. Per lavorare bene, servirebbe anche più tempo. Ad Ancona i colloqui hanno luogo nelle due ore tra l’attracco e la ripartenza del traghetto. “Non è facile essere attenti alle esigenze. Impossibile costruire un rapporto di fiducia -spiega Sandra Magliulo, referente dello sportello del Cir di Ancona-. Una volta io e due poliziotti ci siamo attardati a bordo e il traghetto è ripartito mentre stavo ancora parlando con dei ragazzi”. Eppure si continua a tentare la traversata.

730

da Brindisi

Gli scheletri di due palazzi ancora in costruzione segnano il confine del campo di Patrasso. “Ci vivono quelli che hanno perso la baracca dopo l’incendio di gennaio”, racconta Javat. La striscia di terreno tra gli edifici e la strada è un cumulo di rifiuti. La puzza, acida, ti assale mentre ti avvicini e ti porta, istintivamente, a coprirti il viso. Scavalcate le pozzanghere, si entra nel campo. E l’odore scompare.


profughi in italia: casa e lavoro solo per pochi iN 10mila HaNNo otteNUto i doCUmeNti. ma lo Stato PUÒ aCCoglierNe Solo 3mila.

Non c’è acqua corrente: ci si lava e ci si rade a fontanelle di fortuna. Manca l’elettricità: un complesso allacciamento abusivo porta la luce in alcune baracche. Si dorme in case costruite con cartoni e teli di plastica fissati su intelaiature di legno e si prega in una moschea realizzata allo stesso modo. La musica, a tutto volume, riempie l’aria. Fatta eccezione per i volontari di Medici senza frontiere, non ci sono associazioni umanitarie. Khodada, 25 anni, estrae dal marsupio il “foglio di via” rilasciato dalle autorità elleniche: “Ero arrivato a Venezia e per sette mesi ho abitato lì, poi sono stato rimandato indietro -spiega-. Mi hanno detto che dovevo fare domanda d’asilo qui”. Una prassi prevista dal regolamento europeo Dublino II (2003): il rifugiato deve chiedere protezione nel primo Paese dell’Unione in cui mette piede. Ma le possibilità che la domanda di Khodada sia accolta sono pressoché nulle: Atene concede protezione a meno del 2 per cento dei richiedenti (Acnur, Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, 2007). Subiscono maltrattamenti, detenzioni arbitrarie e “viene persino impedito loro di presentare la richiesta –elenca Giusy D’Alconzo, di Amnesty International-. Per questo chiediamo ai Paesi europei di non rimandare più i migranti in Grecia”. Nell’aprile 2008 anche l’Acnur, con un documento ufficiale, ha denunciato questa situazione e ha invitato i governi a non applicare il regolamento. Appelli che non hanno intaccato la pratica dei respingimenti alla frontiera, anche se nelle aule di tribunale qualcosa si sta

Akmal credeva di avercela fatta. Estrae dalla tasca il passaporto, il permesso di soggiorno e tutti i documenti che certificano la sua condizione di rifugiato politico. Adesso è al sicuro, lontano dall’Afghanistan e dalla guerra. Ma non ha un lavoro, parla a stento l’italiano e trascorre le notti all’addiaccio nell’ex scalo ferroviario di Porta Romana a Milano, tra edifici abbandonati e cumuli di rifiuti. Mentre Akmal parla, una ventina di suoi connazionali annuiscono e mostrano tutti lo stesso foglio: “protezione sussidiaria”, dice l’intestazione. Sono solo alcuni degli oltre 10mila stranieri ai quali, nel 2008, l’Italia ha concesso tutela: riconoscendo loro o lo status di rifugiato politico (per motivi di razza, religione e appartenenza politica) o la protezione sussidiaria, offerta solitamente a chi è in fuga da un Paese sconvolto dalla guerra. Tutte persone che potrebbero, in teoria, usufruire di un percorso di inserimento sociale e lavorativo, della durata di sei mesi, all’interno del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (lo Sprar, istituito con la legge 189/2002), una rete di enti locali che garantisce interventi di accoglienza per questa particolare categoria di immigrati. Ma il sistema non è sufficiente per far fronte alle esigenze dei richiedenti: nel 2008 lo Sprar ha messo a disposizione appena 2.556 posti e 3mila nel 2009. Pochi se si pensa che, tra il 2007 e il 2008, 18.575 migranti hanno ottenuto dalla Commissione nazionale asilo il riconoscimento dello status di rifugiato o la protezione sussidiaria. Centinaia di persone, che pure hanno i documenti in regola, sono così imprigionate in un circolo vizioso che li lega alla strada: non parlano italiano e non riescono a trovare un lavoro. E, senza soldi, neppure un posto in cui dormire. “Se avessi saputo che era così non sarei mai partito”, commenta Akmal che ha dovuto vendere la casa per mettere assieme i 12mila dollari necessari per pagar il suo viaggio in Italia. Il sistema di accoglienza deve anche fare i conti con la crescita esponenziale

31.097

Domande d’asilo presentate nel 2008.

21.933

Domande esaminate dalla commissione.

3.000

Posti messi a disposizione dallo sprar per il 2009.

delle domande di asilo: le 10mila richieste del 2006 si sono moltiplicate per tre, arrivando a quota 31mila nel 2008. Una cifra che ha portato il nostro Paese al quarto posto nella classifica mondiale stilata dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur). Ci precedono solo Stati Uniti, Canada e Francia. Ma ci sono, per fortuna, anche le storie a lieto fine. Ghulam, 25 anni, oggi ha un lavoro ad Ancona come facchino, parla bene l’italiano e ha molti amici. Il suo viaggio ha avuto inizio sei anni fa, quando ha lasciato l’Iran, dove viveva con gli zii, per raggiungere l’Europa. Prima a piedi, attraverso le montagne che separano l’Iran dalla Turchia, poi a bordo di un furgone per passare il Bosforo e arrivare in Grecia. “Dovevo sempre stare attento alla polizia perché non avevo documenti -ricorda-. Una volta, in Turchia, mi hanno persino picchiato, derubato e rimandato in Iran”. Ultima tappa per lui, la traversata dell’Adriatico, nascosto sotto un tir. “Ero solo, faceva freddo e avevo paura”, dice. Riesce a superare i controlli alla frontiera di Ancona e a presentare domanda d’asilo. Nel tempo libero, gli piace viaggiare. Ha visitato Milano, Roma, Venezia, Civitanova e Macerata. “Ma il mio sogno -conclude Ghulam- sarebbe di tornare in Grecia, in Turchia e in Iran: attraversare quei Paesi con un documento in tasca, senza avere paura”. | 002 | maggio 09

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muovendo. Lo scorso giugno una sentenza del Tar della Puglia ha bloccato il trasferimento di un ragazzo afghano che avrebbe dovuto far ritorno a Patrasso. Basandosi proprio sul documento dell’Acnur, i giudici hanno stabilito infatti che per lui la Grecia non è un Paese sicuro. Anche il Consiglio di Stato, con una sentenza del febbraio 2009, ha preso una decisione analoga nei confronti di un altro cittadino afghano “alla luce dei danni paventati dal ricorrente, che si presentano gravi e irreparabili”.

Contrattempi di viaggio: malattie e controlli

“Questi ragazzi hanno tanti problemi e tanti pensieri. Come una bomba nel cervello”, dice Haji, il capo del campo. Thomas Paraschis, psicologo di Medici senza frontiere, definisce con precisione questa sofferenza: “Ansia, depressione, disturbi del sonno -elenca-. Sognavano di andare in Europa per rifarsi una vita e aiutare le loro famiglie. Ma sono bloccati qui e si sentono in colpa”. Poi ci sono casi di scabbia, infezioni respiratorie e altre patologie legate alle cattive condizioni igieniche. Senza contare le ossa rotte, i lividi, le falangi delle dita amputate a manganellate dalla polizia. Basta tornare verso il porto per vedere i “commando” (così li chiamano gli afghani) in azione. Decine di agenti camminano lungo il perimetro del porto di Patrasso disperdendo chi si avvicina troppo. Pare quasi di assistere a una partita a guardie e ladri che gli afghani sembrano vincere: né la cancellata alta più di tre metri, né il filo spinato riescono a impedire loro di intrufolarsi sulla banchina per nascondersi sotto i tir o all’interno dei telonati all’insaputa degli autisti. Chi può permetterselo paga una traversata nel doppio fondo di un camion. “I carichi vengono preparati in modo da creare dei vani in cui nascondere le persone”, spiega il sostituto procuratore della Repubblica di Ancona, Mariangela Farneti. 12

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| L’inchiesta

Secondo la Procura nel 2008 hanno tentato lo sbarco in questo modo 399 persone, tre su quattro erano afghani. Prezzo del biglietto: circa 2mila euro per un viaggio di 30 ore nascosti sotto quintali di arance o rotoli d’alluminio. Stremati e affamati, “talvolta vengono scoperti per via della puzza nauseabonda che si crea all’interno del container”, aggiunge Farneti. C’è anche l’opzione “paghi uno e prendi due”: con 3 - 5mila euro, se ti va male la prima volta, hai diritto a un secondo tentativo per puntare ai Paesi del Nord Europa. “Lo scorso anno 193 afghani sui 237 che abbiamo incontrato al porto di Ancona non hanno chiesto asilo in Italia. Hanno preferito tornare in Grecia e tentare la traversata un’altra volta”, spiega Sandra Magliulo del Cir. Nella speranza che, questa volta, la pallina del flipper si fermi.


ragazzi da sbarco

Un gruppo di profughi afghani in attesa di “assaltare” i camion diretti al porto di Patrasso. A fianco, la baraccopoli della città greca con le sue fontane.

| teSto | Dario PalaDini

a VeNezia, Nel 2008, SoNo arriVati 400 miNori StraNieri NoN aCComPagNati. Per molti la lagUNa è Solo UNa taPPa, VerSo il Nord eUroPa.

i

rvin mostra con orgoglio le sue nuove scarpe da tennis, bianche e immacolate come i jeans e la camicia che indossa. Le ha pagate 90 euro. Ha 17 anni e tanto gel nei capelli. Visto così, con quel suo sguardo scaltro, potrebbe sembrare un adolescente qualunque. Ma non lo è. Alle spalle ha un lungo viaggio, da un villaggio sui monti del Kosovo fino a Venezia. Non vuole raccontare come è arrivato, dice solo: “Ho fatto la banana in mezzo alle casse di frutta”. Irvin è uno dei 40 minori stranieri ospiti del centro di accoglienza di Tesséra, nella laguna di Venezia, gestito dal 2005 dalla cooperativa Coges nell’ex caserma del Forte Rossarol. Provengono da Kosovo, Albania, Kurdistan iracheno o turco e dall’Afghanistan. Con i primi soldi, una paghetta mensile di 150 euro ricevuti al centro di accoglienza, Irvin si è comprato uno spicchio dei suoi sogni: un paio di scarpe firmate. All’educatore che gli dice “Potevi spenderli meglio”, lui risponde con una risata, accompagnata da quella degli altri ragazzi della comunità. Sono scappati da guerre e povertà, hanno sfidato poliziotti di frontiera e rischiato di morire soffocati sotto il carico dei tir. Ma non hanno perso la loro indole, da adolescenti. Nel 2008 sono arrivati a Venezia 400 minori e aumentano di anno in anno: nel 2003 erano appena 79. Il Comune lagunare li sistema nelle comunità per minori.

Nel Forte Rossarol, le casupole gialle in cui una volta alloggiavano i soldati sono state divise in stanze di due o tre posti letto con bagno. C’è una grande sala con la tivù satellitare, la mensa e tanto verde intorno. Sembra di stare in una colonia estiva. “In tre anni sono passati di qui circa 250 ragazzi, la maggior parte aveva 16 o 17 anni”, spiega Renato Mingardi, responsabile del centro di accoglienza. A Venezia ci arrivano in due modi: via mare, nascosti nei tir imbarcati sui traghetti dalla Grecia, o via terra. E il viaggio è tutt’altro che di piacere. Ahmed è partito dall’Afghanistan due anni fa: “Sono stato 10 mesi in Iran, otto in Turchia e sei in Grecia”. È poi riuscito a infilarsi in un traghetto di cui non conosceva la destinazione. Bodan, 16 anni, è partito dal Kosovo e ha attraversato in auto Serbia, Ungheria, Austria. Costo del biglietto, di sola andata: 2mila e 500 euro. Giunto a Venezia si è presentato alla polizia: sapeva che in quanto minorenne sarebbe stato assistito e non espulso. L’Italia ha ratificato la Convenzione Onu per i Diritti dei fanciulli del 1989: questa prevede l’obbligo per gli Stati di garantire a qualsiasi minore il diritto alla salute, all’istruzione e a una vita dignitosa. “Solo il 20 per cento dei ragazzi rimane nella nostra comunità, gli altri dopo un breve soggiorno ripartono, la loro meta è il Nord Euro-

pa: Germania e Svezia in particolare”, racconta Renato. Per quelli che restano, inizia una vera e propria corsa contro il tempo. Dal giorno stesso in cui compiono 18 anni, infatti, sono considerati dalla legislazione italiana migranti come tutti gli altri, a rischio d’espulsione. “Se ci arriva un ragazzo di 17 anni, in un anno dobbiamo insegnargli l’italiano, fargli fare le 150 ore per la licenza media, magari anche un corso professionale e, infine, trovargli un lavoro”, aggiunge il responsabile del centro. Per ogni ospite, il Coges riceve dal Comune di Venezia 55 euro al giorno. “Qui lavorano 12 persone, ci stiamo dentro a mala pena -ammette Renato-. Inoltre, tra i ragazzi c’è chi ha visto morire i genitori, altri hanno subito violenze. Ci vorrebbero psicologici e tempo, un lusso che non possiamo permetterci”. Fra le casupole del Forte Rossarol si respira un clima sereno. Le porte sono sempre aperte e i ragazzi vanno avanti e indietro da Venezia, dove frequentano i corsi di italiano o la scuola. Alcuni aiutano in cucina, altri si occupano della serra. “Chi lavora lo paghiamo -aggiunge-. Cerchiamo di responsabilizzarli sull’utilizzo del denaro e gli insegniamo a vivere in una società occidentale. Arrivano in Italia con tanti sogni, poi si scontrano con la realtà, capiscono che non sarà facile sistemarsi e aiutare la famiglia rimasta nel Paese d’origine”. Tra qualche mese il Coges aprirà a Mestre un appartamento, che diventerà una tappa intermedia tra la comunità e la vita “libera”: i ragazzi dovranno autogestirsi, seguiti da un educatore. | 002 | maggio 09

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L’esibizione dei “lamentanti”, lo scorso marzo, in corso Vittorio Emanuele a Milano. E le “missioni” di Critical city.

un coro di proteste. in rima | teSto | Valeria raiMonDi

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n po’ riunione condominiale, un po’ gruppo gospel”. Quando descrive il suo coro, Ivan sorride divertito. E in effetti basta osservarli durante le prove per capire che non avrebbe potuto trovare definizione più azzeccata: sul tavolino in fondo al salone dell’Auditorium San Fedele, a due passi dal Teatro alla Scala, ci sono ancora tracce di un aperitivo a base di vino rosso e torte fatte in casa. I ragazzi arrivano di corsa, con i caschi al braccio, mentre Annamaria e Mariuccia –le “nonne” settantenni del gruppo– chiacchierano sedute in prima fila. Bassi, tenori, contralti: poco alla volta tutti i cinquanta coristi prendono il proprio posto. Un cenno del maestro e via: è tempo di schiarire la voce e lamentarsi a ritmo di musica. Fa tappa all’ombra della Madonnina il progetto Complaints choirs, originale forma di dissenso che riunisce gruppi di cittadini in tutto il mondo, con un solo obiettivo: cantare a squarciagola quel che non sopportiamo dell’ambiente in cui viviamo o che, nella vita di tutti i giorni, si ostina ad andare per il verso sbagliato. L’idea nasce nel 2005 da un’intuizione di due giovani finlandesi, Tellervo Kalleinen e Oliver Kotcha-Kalleinen: trasformare piccole e grandi frustrazioni in un messaggio potente diretto alle amministrazioni, al datore di lavoro o semplicemente al vicino di casa. Da Singapore a Chicago, passando per Budapest, Birmingham, Gerusalemme e Amburgo. Sono più di venti le città che vi hanno aderito, attraverso pochi semplici passi: chiamare a raccolta un gruppo di aspiranti cittadini-coristi, farsi consegnare le proposte di lamentela, elaborare testo e

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partitura. Senza dimenticare di registrarsi al sito complaintschoir.org. A Milano l’iniziativa porta la firma della casa di produzione audio-video “The tune” (www.thetune.it), che ha lanciato il progetto LamentaMi lo scorso novembre: “Quello della città -spiega Ivan Merlo, 27 anni, tra i responsabili dell’iniziativa- è un tema comune a persone anche molto diverse tra loro: attraverso il coro abbiamo voluto offrire un’occasione di confronto e, soprattutto, di incontro”. Email e Facebook per farsi conoscere tra i più giovani, un “porta a porta” tra i cori delle chiese per arrivare anche agli anziani: così Ivan, insieme al direttore artistico Lorenzo Magnaghi, 35 anni, in poche settimane ha raccolto sul sito lamentami.wordpress. com centinaia di rimostranze e decine di candidature da parte di cittadini comuni. Certo, non siamo a Sanremo e nemmeno a Castrocaro: nessuno ha velleità o particolari capacità canore. Ma poco importa: perché l’unico requisito richiesto è la convinzione del proprio sfogo. A coprire le spese ci ha pensato la Provincia di Milano, con un bando riservato alle iniziative artistiche più innovative, vinto proprio da LamentaMi. Si va dalle critiche alla mobilità (“A Milano ci sono le bici comunali ma poche piste ciclabili”) a quelle di denuncia (“I barboni muoiono per il freddo e nessuno se ne accorge”) o, ancora, quelle che prendono di mira l’inquinamento (“A Milano chi paga pass”) e il costume (“Una città metà snob e metà smog”). Le migliori sono finite nel brano “Milano, no!”, composto dal cantautore Emiliano Bargiola, per tutti Emil,


giochi critici urbani le Città oggi Si traSFormaNo CoN UNa BUoNa doSe di CreatiVità. e allora C’è CHi Si dà aPPUNtameNto Per CaNtare qUello CHe NoN Va e CHi SCeNde iN Strada Per gioCare al BUoN CittadiNo. insieme al resto del coro: lo scorso 8 marzo circa 50 “lamentanti” si sono sfogati durante un’esibizione itinerante per le piazze della città. E la performance diventerà presto un cortometraggio che ha coinvolto, nella parte tecnica, anche gli studenti del Centro di formazione professionale “Vigorelli” di Milano: “In questo modo -aggiunge Ivan- tutti entreranno a far parte di una vera opera d’arte”. Divertimento, incontro e sguardo ironico sull’ambiente urbano: una formula già sperimentata a Firenze, città che lo scorso anno ha aperto la strada nel nostro Paese alle proteste in musica. Nell’aprile 2008 il primo complaints choir italiano si è esibito sulle rive dell’Arno: formato da 52 persone e un cane, mascotte del gruppo, il coro fiorentino si è costituito intorno all’associazione culturale Start (www.associazionestart.org). Un’esperienza che, a distanza di un anno, suscita ancora qualche emozione nella sua ideatrice, tedesca di nascita ma fiorentina d’adozione: “Gli inizi sono stati faticosi –ricorda Corinne Voss- e delle lamentele non c’era alcuna traccia: temevo che Firenze si fosse addormentata, e che mi sarei ridotta a canticchiare qualcosa con pochi amici. Ma sono bastati impegno e promozione per trovarmi circondata dalle persone più diverse”. Se l’esperienza fiorentina può dirsi conclusa, a Milano il sogno è quello di continuare a realizzare nuovi brani, rendendo quello con il coro un appuntamento fisso. Gli organizzatori stanno cercando le risorse economiche necessarie, eventuali sponsor sono avvisati: la lamentela può arrivare quando meno te l’aspetti.

Possono partire per una “missione” armati solo di vanga, spray o gessetti. Disegnano su muri e marciapiedi le ombre lasciate dalla città sotto la luce dei lampioni. Piantano alberi tra il cemento delle periferie e trasformano anonimi cassonetti in coloratissimi contenitori porta rifiuti: sono i giocatori di Critical city, prima piattaforma online di riqualificazione urbana collettiva. Un’idea nata da un gruppo di amici decisi a riappropriarsi degli spazi pubblici in modo divertente e originale: perché allora non pensare alla città quasi fosse un campo da gioco? Chiunque può partecipare: basta iscriversi all’indirizzo internet criticalcity.org e scegliere una delle attività proposte, scendere in strada e giocare. Come si faceva da bambini. Unici requisiti richiesti: tanta creatività e una macchina fotografica, per documentare ogni avventura e metterla a disposizione della community. Il quartier generale del progetto –partito

nel 2008 e già vincitore del Kublai Award, premio del ministero per lo Sviluppo economico– è a Milano, ma è possibile giocare ovunque. Esplorazione urbana, itinerari a tema: la lista delle “missioni” è davvero infinita. “Non ci sono regole e le indicazioni sono volutamente generiche: ogni critical citizen interpreta il gioco in base all’ambiente che lo circonda”, spiega Augusto Pirovano. Grafico informatico, è tra gli ideatori dell’iniziativa, che conta sulla partecipazione di oltre 400 persone in tutta Italia. Un gioco, motore delle trasformazioni urbane. Come a Milano, nel maggio scorso, dopo che il tram numero 7 è deragliato andando a finire dritto nella facciata di un palazzo per la mancata precedenza di un’auto: “A quell’incrocio non c’erano cartelli -ricorda Augusto-: ci abbiamo pensato noi, con una segnaletica ironica simile a quella ufficiale: il quartiere ci ha sommerso di ringraziamenti. E il Comune si è accorto del problema”.

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fotoreportage urbano | a cura di | polifemo | www.polifemo.org ≈ Polifemo è un’associazione di fotografi professionisti con base a Milano, che si propone di diffondere la cultura dell’immagine e della comunicazione visiva.

nel bagno degli “uomini” Per entrarE andiamo fino in messico, Dove un fotografo italiano ha provato a raccontare, senza ipocrisie, le vittime della società mAchista.

| fotografie e testo | Nicola “okin” frioli

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l progetto En el Baño de los “Hombres” (Nel bagno degli “uomini”) è nato da una suggestione arrivatami leggendo la stampa locale messicana. “In terra di machos, uomini rudi come sono in generale gli uomini di questo Paese, su una denuncia di omicidio omofobico a discapito di omosessuali o travestiti, vengono in realtà commessi, nella sola Città del Messico, cinque atti di violenza sessuale non denunciati”, scriveva il quotidiano La Jornada. Anche se la capitale messicana è considerata una città cosmopolita, aperta e tollerante nei confronti delle diversità culturali, si è ancora molto lontani dall’accettare il “terzo sesso”. Ho voluto quindi partecipare ad alcune feste di travestiti per iniziare a prendere i primi contatti e a farmi un’idea di quello che doveva essere il mio progetto fotografico. La soluzione è nata in loco, in pochi minuti, semplicemente guardando i loro volti. Ho subito intuito che il lavoro doveva essere ritrattistico, per sottolineare meglio la per-

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sonalità di questi uomini e il loro differente modo di esprimere il senso di libertà provato in una notte da protagonisti. Gli eventi a cui ho preso parte comprendevano la cena e il concorso per eleggere la “più bella!”. Una sera ho deciso di passare l’intera festa nel bagno delle signore, immaginandomi che, sentendosi donne, i travestiti avrebbero evitato il bagno degli uomini. Così è stato: dopo la cena, si sono presentati nel bagno delle signore per sistemarsi il trucco, e lì ho iniziato a scattare le foto chiedendo sempre il permesso e spiegando quello che avevo in mente. Il bagno delle donne quindi, si è trasformato per una sera nel “bagno degli uomini vestiti da donna”. Anche se il lavoro può apparire “orribilmente” divertente, non si può prescindere da un dato di fatto piuttosto triste: obbligati dalla societa “machista” messicana, alcuni di questi bizzarri personaggi hanno dovuto raggiungere forzatamente il ruolo di padri di famiglia.


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La scelta dei personaggi fotografati è stata forzata: ho cercato i volti più grotteschi, quelli in cui meglio si notava che sotto trucco e parrucche, c’era un corpo maschile.

Nicola “Okin” Frioli

jorge luis

alberto

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È nato a Rimini 31 anni fa. Dopo gli studi in arti visuali, si innamora del fotogiornalismo. Inizia così, a 21 anni, i suoi viaggi per il mondo in compagnia della fedele macchina fotografica. Partecipa, con una borsa di studio, ai corsi dell’Università dell’Immagine di Milano, la scuola fondata dal fotografo Fabrizio Ferri. Oggi vive a Città del Messico e lavora come freelance e per l’agenzia Anzenberger di Vienna. Ha pubblicato fotoreportage su riviste italiane e estere. Tra le altre, Gulliver, Vanity Fair, Internazionale, The Guardian e The New Yorker. Il suo sito è www.okinreport.net.

| fotoreportage urbano


O fai il padre di famiglia o, illuso, aspetti il giorno in cui si presenterĂ il principe azzurro.

“lorena�

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Una scena di “Nient’altro che noi!”, il film di Angelo Antonucci.

l’HaNNo già ViSto iN 200 SCUole, ora arriVa aNCHe SUl graNde SCHermo. Per laNCiare UN meSSaggio: il BUlliSmo Si ComBatte, CoN la Forza dell’a miCizia.

compagni sbullonatori | teSto | anDrea rottini

M

arco è un ragazzo tranquillo. Suona il violino, gli piace studiare, da grande vorrebbe fare il musicista. Nel tempo libero cammina sui parapetti lungo il Tevere o si arrampica sulle piramidi di corde al parco giochi, alla ricerca di un equilibrio tutto suo. All’ultimo anno di liceo, Marco si ritrova a cambiare scuola, ma insieme a tre nuovi amici, trova subito una brutta sorpresa: Miki, il duro della classe, lo prende di mira per la sua bravura ma soprattutto per la simpatia che nasce tra lui ed Elisa. Sarà l’inizio di una sfida lunga un anno, in cui Marco dovrà misurarsi con le prepotenze del bullo, ma anche con le proprie debolezze. È la storia di “Nient’altro che noi!”, un film che tratta con delicatezza, ma senza maschere, il tema del bullismo. Una pratica odiosa che va ben oltre la canzonatura isolata e che si configura quando minacce, percosse, provocazioni e vessazioni (nei casi più gravi anche furti e violenze), diventano atti ripetuti verso una persona non in grado di difendersi. Premiata al festival del Cinema di Salerno, la pellicola è stata proiettata in 200 scuole italiane davanti a migliaia di studenti e, da metà aprile, è nei cinema di Torino, Roma, Firenze, Bari e di altre città (nientaltrochenoifilm.weebly.com). Una storia fresca, con un messaggio da lanciare: l’unione fa la forza. “Se si rimane isolati è più difficile contrastare il bullismo -spiega il regista Angelo 20

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Antonucci, 38 anni, romano d’adozione- e bisogna avere la forza di denunciare subito le vessazioni, altrimenti se ne favorisce l’escalation”. Ma, come si vede nel film, denunciare non è facile. Secondo l’ultimo Rapporto nazionale sull’infanzia e l’adolescenza (a cura di Eurispes e Telefono azzurro, novembre 2008), tra gli adolescenti vittime di bullismo solo il 7,8

per cento ha avvertito un insegnante dell’accaduto. Ancora meno quelli che si sono rivolti ai genitori (6,5 per cento) o che hanno chiesto aiuto ai compagni (5,8 per cento). Uno su cinque, invece, subisce le angherie senza aprire bocca, magari sotto gli occhi dei compagni, che reagiscono nei modi più diversi. Secondo le vittime, il 15,5 per cento dei ragazzi, pur disapprovando il fatto, non interviene; il 12,1 per cento rimane indifferente e, percentuale inquietante, il 21,4 per cento sembra addirittura divertirsi, magari riprendendo tutto con il telefonino, come ha confessato di aver fatto l’8,2 per cento dei maschi. Un’arma a doppio taglio, che in qualche caso ha portato il bullo in prima pagina. “Durante le riprese ho dovuto spesso apportare piccole modifiche alla storia, perché la cronaca ha offerto episodi che superano qualunque tipo di immaginazione -racconta Antonucci-. Spero che il film aiuti a riflettere sulle motivazioni che spingono molti giovani, all’apparenza normali e spesso provenienti da famiglie di livello sociale medio-alto, a mettere in pratica gesti ed azioni di violenza fisica e verbale verso i loro coetanei”. Il cinema, del resto, da sempre offre spunti di approfondimento sulle problematiche giovanili: “Un film unisce stimoli alla riflessione a vissuti emotivi ed è perciò un ottimo strumento di discussione -conferma Alfio Maggiolini, docente di Psicologia dell’adolescenza


attori e teatri di quartiere

all’Università degli studi di Milano Bicocca-: i film per adolescenti sono pieni di atti di bullismo e vengono utilizzati come base di riflessione per finalità cliniche o pedagogiche”. E lo strumento visivo è così efficace che, per alcuni, non è fondamentale che il film tratti argomenti adolescenziali per suscitare interesse: “Quando lavoriamo nelle classi delle scuole possiamo partire anche da scene di film di Walt Disney o dallo stralcio di una partita di calcio -dice Gabriella Cappelletti che insieme al figlio Marco, a suo tempo vittima dei bulli, gestisce il sito bullismo.com-: l’importante è stimolare i ragazzi, in modo che il problema del gruppo emerga da sé”. Creare un diversivo, insomma, per evitare che i ‘bulli’ si nascondano e per farli uscire allo scoperto. “I film sul bullismo sono forse più utili agli adulti -prosegue Cappelletti-, perché presentano situazioni che potrebbero trovare nella loro quotidianità, aiutandoli a non sottovalutare i segnali che arrivano dai ragazzi”. Anche se, avverte Maggiolini, “l’obiettivo dev’essere favorire momenti di riflessione tra adulti, ragazzi e insegnanti e non colpevolizzare i genitori” che tuttavia, dal film di Antonucci, escono senza distinzioni con le ossa rotte: se da un lato il bullo Miki si ritrova un padre in carriera che sniffa cocaina, dall’altro il tranquillo Marco non riesce a confidarsi con sua madre, troppo spesso concentrata su di sé.

Milano, periferia Sud. A pochi passi dalla fermata “Abbiategrasso” della metropolitana, il Teatro di Ringhiera è uno spazio angusto, difficile da scovare: segnaletica minima, nessun bar dove chiedere, solo una gradinata di cemento e una balconata da cui sbuca un’insegna. Una volta entrati, però, il grigiore lascia spazio alle tonalità decise degli spettacoli di Atir-Associazione teatrale indipendente per la ricerca, che gestisce il “Ringhiera”. Atir è una delle 15 realtà che fanno parte del progetto Etre (progettoetre. it), finanziato dalla Fondazione Cariplo con oltre 2 milioni di euro e voluto per sostenere le giovani compagnie teatrali attive in Lombardia. “È un’iniziativa che nasce dal basso per favorire le compagnie ‘di residenza’, cioé quelle che stabiliscono un rapporto privilegiato con il territorio in cui lavorano”, spiega Mimma Gallina, già dirigente teatrale e membro del comitato scientifico del progetto. Due i requisiti che le compagnie devono avere per essere selezionate: avere meno di dieci anni di vita ed eleggere un teatro come propria sede per almeno tre mesi l’anno, ma

vanno bene anche un ex capannone industriale, uno spazio monumentale o persino un carcere, come ha fatto la cooperativa Estia a Bollate (Mi). Le iniziative prescelte sono finanziate per metà del loro valore, fino a un massimo di 150mila euro per le residenze individuali e 300mila per quelle multiple, formate da più compagnie teatrali. “Il progetto è partito un anno e mezzo fa e oggi siamo a metà del percorso -continua Gallina-: la qualità della produzione teatrale sta crescendo e anche il pubblico sta rispondendo bene: a Cazzago Brabbia, paese di 900 abitanti sul lago di Varese, ogni anno la compagnia Arteatro organizza una rassegna di grande successo (il festival Castelli del lago, ndr), la cui gestione coinvolge tutto il paese”. In ordine di tempo, l’ultima residenza teatrale è stata inaugurata il 28 marzo scorso a Tavazzano, vicino a Lodi, dove è nato il primo Centro di documentazione per il teatro civile in Italia, gestito dalla compagnia Anabasi. E, nel 2010, spazio ad altre cinque iniziative. (Ha collaborato Giorgia Ricagni)

Dalmine, Bergamo: nella residenza teatrale “Qui e ora”, della compagnia Aida, va in scena “Amore sia”.

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voci dentro: l’italia, vista dai suoi detenuti | a CUra di | ristretti orizzonti

≈ Una finestra d’informazione che nasce in collaborazione con le redazioni di tre carceri: sosta forzata (Piacenza), il nuovo carte Bollate (Bollate-milano) e ristretti orizzonti (Padova-venezia).

galere under 30: i rischi del tutti dentro

Per leggere le riviste: www.carcerebollate.it/cartebollate.htm, www.ristretti.it.

7 giugno al gran completo

eltoN KaliCa

UN deteNUto “aNziaNo” oSSerVa i NUoVi arriVi. daVaNti a loro UN FUtUro ComUNe. SoVraFFollato.

P

ercorrendo il lungo corridoio che conduce all’area dedicata ai colloqui, in questi giorni ho notato un continuo viavai di persone ammanettate che, scortate da agenti armati, trascinano dei sacchi con gli effetti personali. Arrivano dal carcere giudiziario dopo essere state condannate, ma c’è anche chi è stato trasferito perché il carcere in cui stava è ormai pieno. Alla vista delle file di nuovi arrivati, il primo commento che scivola fuori dalla bocca di chi sta in un carcere già sovraffollato come questo di Padova è “ma dove li metteranno?”, invece confesso che l’assuefazione alle difficoltà, che mi hanno provocato i miei 12 anni di galera, mi ha permesso di notare solo la loro giovanissima età. La cosa comunque non deve sorprendere. Negli ultimi anni non si fa altro che inasprire le pene: ora si finisce in carcere anche per illeciti relativi all’immigrazione clandestina e alla guida in stato di ebbrezza, per le violenze negli stadi e per il piccolo spaccio dovuto alla tossicodipendenza. Inoltre, ho l’impressione che siano molti i cittadini italiani che, convinti che in galera ci finiscano solo le persone “brutte, sporche e cattive” ai margini di una società scintillante, hanno dato il loro consenso a politiche volte a vedere ovunque emergenze e a volerle risolvere con il carcere. Da ultimo, questioni come l’uso delle sostanze, gli omicidi per incidenti stradali, le violenze sulle donne, toccano spesso i giovani. Il guaio delle persone “normali” è che difficilmente uno si rende conto che potrebbe diventare lui stesso un pericolo per gli altri, o lo potrebbe diventare un suo caro, e allora quando si parla di problemi, si vorrebbe sempre “più galera” nella convinzione che ci finiranno gli altri. Ma come si fa a non capire che se i giovani sono pieni di problemi e se i problemi si vuole risolverli col carcere, è ovvio che poi le galere si riempiono di giovani? Ecco, mentre guardo arrivare qui dentro le file di giovani e giovanissimi, penso alle vite e alle famiglie che si sono lasciati fuori, e provo una profonda tristezza perché, nelle condizioni di sovraffollamento drammatico in cui sconteranno la loro condanna, difficilmente usciranno cambiati in meglio, anzi, è molto più probabile che perdano ogni briciolo di umanità e di cervello. Mentre proprio per la loro età dovrebbero essere puniti in un modo che tenga conto del futuro loro e di chi starà loro vicino.

| a CUra della | reDazione Di terre Di Mezzo

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l 7 giugno sarà una giornata nera per le carceri italiane. Si raggiungerà infatti la “capienza massima sostenibile” di detenuti: 63.623. la previsione è della redazione di ristretti orizzonti e si basa sull’andamento degli ingressi (circa mille al mese) e delle uscite dagli istituti di pena. la capienza regolamentare, ossia un numero giusto di detenuti per ogni cella, sarebbe molto più bassa, poco più di 40mila posti. la capienza sostenibile è invece il limite massimo, oltre il quale basta una goccia per far traboccare il vaso.

Prima dell’indulto del 2006 i detenuti erano 60.710. in tre anni siamo tornati al punto di partenza. Circa la metà dei detenuti è oggi in attesa di giudizio, il 37 per cento è straniero e sono solo poco più di 13mila quelli che lavorano all’interno degli istituti. inoltre, il sovraffollamento nuoce al benessere psicofisico. Su 100 detenuti, infatti, solo 37 godono di “buona salute”, 50 hanno qualche acciacco e 13 invece patologie gravi. “dopo il 7 giugno le carceri non saranno più gestibili -scrivono i redattori di ristretti orizzonti-. Che si fa?”.

| Parole oltre il MUro | a CUra di | sosta forzata l’inizio: una parola scritta alla lavagna. Poi 15 minuti. il tempo per raccogliere i pensieri e provare a raccontarli.

saletta (sa – let - ta), s.f. vezzeggiativo di sala. nel mondo del carcere indica la stanza in cui fare “la ricreazione”. 1 Spazio d’incontro per varie attività: gioco di carte, biliardo, ping pong. ma anche un luogo dove scambiare idee e pensieri inerenti il carcere o altro. Giuseppe, 40 anni, Italia 2 Una gabbia piccola, piena di persone che, in teoria, dovrebbero svagarsi e risocializzare.. Roby, 40 anni, Italia 3 esci dalla cella per trovare più spazio, ma lo spazio è sempre più stretto perché in cella sei in due; in saletta in 20. Nest, 33 anni, Albania

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viaggiatori viaggianti: porto

la principessa nella botte | teSto | osValDo sPaDaro

il ViNo è Solo il Primo PreteSto Per CoNoSCere Porto. Città deCadeNte e moderNa, di Strade Strette e Cieli immeNSi. Come la Vita CHe Ci SCorre.

Imbarcazioni da Porto lungo il Douro. E, a destra, una pubblicità d’annata, conservata a Museo Ramos Pinto di Porto. (Reuters/Nacho Doce/J.M. Ribeiro) 24

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embra un gioco di parole, e dei meno brillanti, però è la verità. Ufficialmente si decide di andare a Porto per il Porto. Il vino. Qualsiasi cosa possano pensare i portoghesi non c’è altra associazione mentale che spinga un turista a imbarcarsi in un viaggio verso la seconda città del Portogallo. Perché, in definitiva, Porto quello è: la seconda città di un Paese piccolo e periferico. Una città che vive dello stesso complesso da secondogenita che hanno Milano nei confronti di Roma, Salonicco verso Atene, Barcellona verso Madrid. Una è la capitale. E l’altra? L’altra è la città del vino. Punto. Dunque, prima di parlare di un luogo umido e in salita e di addentrarsi nella Ribeira (il centro storico) o tra le architetture di Álvaro Siza Vieria, occorre sgomberare il campo dai fraintendimenti. Il Porto non lo fanno a Porto. Le cantine dai nomi britannici che da secoli

producono il vinho do Porto stanno tutte a Vila Nova de Gaia, lontano giusto uno sguardo dallo splendore un po’ decadente della città. I vari Kopke, Sandeman e Taylor’s hanno la loro sede oltre il Douro, il fiume che la bagna e forse le dà senso. Bene: andare a Porto e non trascorrere un paio d’ore tra le immense botti di rovere delle cantine, non è un’opzione percorribile. Non rimane allora che accodarsi ai tedeschi con i sandali e farsi raccontare da un’impettita guida vestita come uno studente di economia il giorno della laurea il consueto sermone tascabile sulla storia di questo vino nato per caso. Pare, dice la leggenda più accreditata, sia merito di alcuni commercianti inglesi che per stabilizzare il vino che portavano in Inghilterra vi avessero aggiunto del brandy. Anche se molti portoghesi sostengono che la tradizione sia precedente a quell’incidente. Sia come sia,


compagni di viaggio Il libro Ogni città ha il suo cantore: una volta dids erano i poeti, poi i cantautori, adesso i giallisti. Il cantore di Porto si chiama Francisco Josè Viegas, vive a Lisbona e scrive del commissario Jaime Ramos. Un tipo che ci si immagina un po’ grosso, con la pancetta e degli immancabili baffi neri, come qualsiasi poliziotto portoghese. Ma in fondo il noir è solo una scusa per raccontare una città, con i suoi piccoli ristoranti e la vita che scorre nelle strade strette. francisco JosÈ VieGas

Un cielo troppo blu La Nuova Frontiera 288 pagine ± 17,00 euro in cambio del sermone sul Porto, si riceve un morigerato assaggio di vino e l’invito, neanche troppo insistente, a comprarne un’immancabile bottiglia ricordo. Ad avere un po’ di tempo si potrebbe anche intraprendere una bella gita e risalire il Douro fin verso Peso da Régua, l’area delle quintas, le ricche tenute circondate di vigneti arroccate sulle sponde del fiume. L’ideale è farlo con un treno della linea di Douro. Lenti e pittoreschi, questi convogli partono dalla vecchia stazione di São Bento, tutta azzurra e tappezzata di azulejos, che merita una visita anche se non si deve andare da nessuna parte. Saldati i conti con la storia, la mitologia nazionale e i desideri del turista medio, rimangono varie possibilità per visitare Porto. Si potrebbe far proprio il consiglio del premio Nobel José Saramago e andar per chiese, che come le cantine non mancano e a ben vedere sarebbe la scelta giusta per chi è in cerca di redenzione dopo gli eccessi alcolici. Chiese barocche nell’aspetto e nel nome, come a Igreja dos Gritos, il monasteiro de São Bento da Vitória o la Sè, la severa cattedrale che sembra un castello. Chi non fosse attratto dai pellegrinaggi artistico religiosi di Saramago che quando viaggia “presta attenzione all’antico e al pittoresco, disprezzando il moderno e il banale” potrebbe invece dedicarsi alla vita. Pur essendo una città grande a Porto si respira sempre un forte senso di “vita vissuta”. Sarà perché in estate i ragazzini si tuffano nel Douro dalle strutture in ferro del ponte Dom Luis I, racco-

La band Fuori dal Portogallo non li conosce nessuno, ma in patria assolvono alla stessa funzione generazionale di Vasco in Italia: non c’è un portoghese sotto i 50 anni che non canti le loro canzoni. Quest’anno i Xutos & Pontapés festeggiano 30 anni di carriera. Genitori putativi del rock lusitano, sono un onesto gruppo e nulla più, citateli e farete una bella figura. gliendo l’applauso dei turisti come in un film sull’Italia del Cinquanta. O perché nel centro, tra il fiume e la cattedrale, si ha la costante impressione della vita che vive. Qui la gente occupa ancora lo spazio pubblico come supplemento di quello casalingo: il pesce si griglia per strada, la chiacchiera si fa dal balcone, i panni si appendono all’aria aperta, tra una casa e l’altra. Forse perché in centro, nella Ribeira, gli appartamenti sono spesso angusti e stretti: tre, quattro piani, tutti con poca luce e molte muffe, soffitti in legno e piastrelle sulle pareti esterne, gli azulejos. Una teoria tanto affascinante quanto poco scientifica dice che il segreto della luce abbagliante che regalano città portoghesi, Porto compresa, stia proprio in queste mattonelle di ceramica. L’oceano vicino e il riflesso del sole ne amplificherebbero all’ennesima potenza il riverbero moltiplicando in modo indefinito

come arrivare Per Porto ci sono voli diretti Ryan Air da Bergamo Orio al Serio e Pisa, oppure ogni giorno Tap vola da Milano Malpensa e Roma Fiumicino. Dall’aeroporto di Maia per arrivare in città si prende la metropolitana Linea B oppure l’aerobus. In treno è un bel viaggio, certo, ma richiede tempo. La via più rapida è attraverso Parigi, cambi a Irun, in Spagna e a Coimbra, mettete in conto almeno 30 ore. Info: www.bahn.de.

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un weekend a porto

Casa da musica; la porta di una cantina nel Museo Ramon; la Fondazione Serralves. (Reuters/Ribeiro)

dormire In Portogallo gli ostelli sono tanti, puliti e moderni. Quello di Porto si trova in una posizione invidiabile, anche se lontano dal centro. La Pousada da juventude di Porto è infatti alla foce del Douro (Rua Paulo da Gama 551, tel. + 351 2 - 26.177.257). Non è facile da trovare, certo. Però il Porto Poet’s hostel vale la ricerca. Gemello dell’ostello di Lisbona, è piuttosto centrale e gode di un’ottima vista (travessa do Ferral 13, dormitori da 20 euro, doppie da 40 euro, www.oportopoetshostel.com).

varie Può essere utile acquistare la Portocard, per un giorno costa 8,50 euro e garantisce l’accesso sui mezzi pubblici, l’ingresso in diversi musei e sconti nei negozi. Per due giorni costa 13,50, per tre 17,50. Trovate le informazioni su: www.portoturismo.pt. Un biglietto giornaliero per la metropolitana di Porto costa 5 euro, il prezzo delle singole corse varia a seconda delle zone che percorrete.

Serralves, il museo collettivo Fossero tutti così, i musei moderni. Biblioteca, auditorium, ampi spazi per rassegne temporanee, una mostra permanente di arte contemporanea, caffè e ristoranti a prezzi concorrenziali e non da elitè radical chic: tutto questo dentro un spazio collettivo che di nome fa Fundação Serralves. L’ha progettato Àlvaro Siza Viera, forse il nome più importante della Scuola di Porto, il gruppo di architetti che negli ultimi 30 anni hanno dato un volto diverso al Portogallo dopo le ristrettezze estetiche dell’Estado Novo, la lunga dittatura di Salazar. Il Serralves vale una visita anche se le mostre e le attività che ci sono non vi interessano. Magari potete semplicemente approfittare per stare e guardare le nuvole che si rincorrono stesi nel grande parco che circonda il corpo centrale del museo. Un vero gioiello di spazio verde urbano. fundação serralves www.serralves.pt 26

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la luce. Un’esperienza visiva che si comprende meglio se si capita in città in un giorno di pioggia, il che non dovrebbe essere difficile. Basta una pioggerellina fitta e leggera, di quella che non da fastidio, che quasi non bagna. E si capirebbe che è tutta una questione di cielo, di vastità del cielo e delle nuvole che corrono veloci, portate dalle correnti dell’Atlantico. Forse, addirittura, dall’anticiclone delle Azzore, che magari non c’entra nulla ma a guardare come viaggiano uno pensa che la colpa, o il merito di questi cieli sovrumani, sia tutta sua. E con la scusa di guardare in alto si finisce per notare un’altra ricchezza della città: l’architettura moderna. Basta risalire dal fiume verso Avenida dos Aliados, e specchiarsi nei palazzi, un misto da neoclassico e modernista che la fanno tanto assomigliare alla Gotham city di Batman. Andando avanti lungo la linea del tempo tocca andare a vedere la Fundação Serralves disegnata da Álvaro Siza Viera e la | ViaGGiatori ViaGGianti

Casa da musica, una navicella di cemento progettata da Rem Koolhaas. Una Porto diversa si gode prendendo il traghetto che da rua do Ouro, poco dopo il sontuoso ponte d’Arrabida, porta dall’altro lato del Douro ad Afurada. Qui c’erano le più imporanti industrie portoghesi per la trasformazione del bacalhau. Oggi c’è rimasto ben poco, giusto un trafficato mercato del pesce. Però qualche vecchia tasca, i ristorante economici con tavoli sul marciapiede, vale la passeggiata. Così come vale una passeggiata la zona di Foz do Douro, col il lungomare ventoso che dà sull’Atlantico e i tavoli all’aperto. Costituisce un buon punto di osservazione per capire cosa amano fare i giovani portoghesi del loro tempo libero. A occhio: bere uma imperial -un bicchiere di birra alla spina- e chiacchierare. E il Porto? Lo lasciano agli stranieri, quelli che ancora non hanno capito che a Porto non si va solo per il vino.


viaggiare leggeri | calenDario Di Partenze soliDali

Parigi, una delle 1.400 rastrelliere del progetto “Velib”.

Viaggiare nel rispetto dell’ambiente e delle persone: è la filosofia dei viaggi di turismo responsabile. Queste le mete che abbiamo scelto per voi.

± aBrUzzo

Da lUGlio a setteMBre Cinque giorni in un rifugio, nel cuore della Mainarde, Parco nazionale d’Abruzzo: oltre alle camminate e alla degustazione di prodotti tipici, si sperimenta la vita degli uomini preistorici e si rievocano le giornate di monaci e di cavalieri. Parte della quota sarà devoluta alle vittime del terremoto. Costo: 310 euro. iNFo Molise creativo tel 0865 - 491.789 » www.molisecreativo.org

± trieste

seMPre Con l’arrivo della bella stagione perché non programmare un week end nella città di Svevo e Joyce? Vitto e alloggio li consigliamo noi: l’Hotel Tritone e il bar-ristorante “Il posto delle fragole”, nato all’interno dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste. Entrambi sono gestiti da una cooperativa sociale che si occupa del reinserimento lavorativo di persone con disagio mentale. iNFo le Mat tel 335 - 778.06.82 » www.lemat.it

± zanziBar (a PieDi)

20 - 30 lUGlio Undici giorni di trekking, attraverso villaggi di pescatori, foreste e spiagge deserte per scoprire la costa Est dell’isola. La sera si dorme nelle tipiche abitazioni locali o nelle “guesthouse”. Costo del viaggio: 895 euro + 800 euro per il volo aereo. iNFo le vie dei canti tel 0583 - 35.61.77 » www.viedeicanti.it Zanzibar, una raccoglitrice di alghe. (Giorgio Colombo)

| a CUra di | leGaMBiente

bike sharing: liberi di muoversi a pedali aNdrea daNeSe

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l nome che a Parigi hanno dato al progetto rende bene l’idea: “Velib” è una felice sintesi di vèlò e libertè, bicicletta e libertà. Si tratta del servizio di bike sharing (bici in condivisione) della capitale francese nato un paio di anni fa. Uno dei casi di maggior successo: i parigini hanno accolto con favore la novità e per i turisti rappresenta l’occasione di contribuire all’abbattimento dell’inquinamento e alla diminuzione del traffico. Da allora il bike sharing si è diffuso in diverse città europee (Lione, Barcellona, Milano e in futuro Londra), senza modificare le sue regole generali: ci si iscrive al servizio, grazie a una tessera magnetica si preleva la bicicletta dalle rastrelliere per poi lasciarla in un altro punto della città, nei pressi della meta raggiunta. Per usufruire del servizio, si paga una somma irrisoria e spesso, per incentivare utilizzi brevi, la prima mezz’ora è gratuita. Quello che cambia, invece, è la portata del servizio. Nella capitale francese hanno da subito fatto le cose in grande, mettendo a disposizione 10mila biciclette e 750 rastrelliere. Oggi si contano più di 24mila mezzi e 1.400 rastrelliere. Il costo dell’abbonamento per un anno è di 29 euro, per un giorno di 1 euro, dopodiché non si paga altro se il tragitto non supera i 30 minuti. Nelle città italiane il piano è partito in maniera più cauta. A Roma il servizio “Roma’n’bike” offre 250 bici dislocate in 19 postazioni. L’iscrizione costa 30 euro. Alle stesse condizioni, con “Bicimia”, si può pedalare nel centro di Brescia (120 biciclette in 24 punti della città), dove si inizia a pagare dopo i primi 45 minuti. Il bike sharing infine è sbarcato anche a Milano, dove il servizio “BikeMi” mette a disposizione mille mezzi su 60 rastrelliere (l’abbonamento annuale costa 36 euro, il giornaliero 2,50 euro, la prima mezz’ora è gratis). Tant’è, ma le ricadute positive ci sono: la velocità degli spostamenti aumenta (un’auto nel traffico viaggia in media a 5 km/h), diminuisce il costo dei trasporti, crollano le emissioni di Co2 e di polveri sottili. E l’inquinamento acustico, fonte di disturbo perenne, diviene, con l’uso della bici, inesistente. | 002 | maggio 09

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alternative possibili NoN CHiamatele eVaSioNi: i FUmetti di BeCCogiallo, gioVaNe CaSa editriCe di ProViNCia, SoNo FrammeNti di memoria CollettiVa. Come l’Ultimo, dediCato a PePPiNo imPaStato. | teSto | antonella loMBarDi

un giullare contro la mafia 28

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n eroe, una seccatura, un fratello, un esaltato. Per alcuni Giuseppe Impastato, meglio noto come Peppino, è stato questo. Per altri è stato la voce che dai microfoni di Radio Aut ha osato denunciare il potere del boss Gaetano Badalamenti. Adesso il coraggio di quella voce, zittita dal tritolo sui binari della ferrovia Palermo-Trapani lo stesso giorno in cui fu assassinato Aldo Moro (era il 9 maggio 1978), rivive nella graphic novel “Peppino Impastato, un giullare contro la mafia”. A pubblicarla BeccoGiallo, una casa editrice che ha scelto di raccontare i grandi casi di cronaca attraverso i fumetti, a smentita del fatto che le strisce illustrate non siano soltanto ‘innocenti evasioni’. Un nome, BeccoGiallo, ispirato all’omonima rivista satirica antifascista fondata dal giornalista Alberto Giannini nel 1924. Il loro motto: “Attenzione: leggere libri può causare indignazione”. “Nonostante fosse crescente in Italia l’interesse per i fatti di cronaca, non c’erano ancora progetti a fumetti che dessero spazio a questi temi -spiega Guido Ostanel, direttore-: abbiamo dunque provato a riempire un vuoto culturale”. Fondata nel 2005 in provincia di Treviso da tre soci “tutti rigorosamente under 30” e con sede a Padova, lontano da classiche capitali editoriali come Roma, Torino o Milano, BeccoGiallo rivendica una scelta precisa: “La sfida della piccola provincia ai colossi editoriali”. Tra le collane in catalogo, anche “Cronaca nera”, che raccoglie i casi più inquietanti della nera italiana, come Unabomber e il delitto Pasolini, ma anche misteri particolarmente spinosi, come il sequestro Moro, Chernobyl, la strage di Ustica: “Ognuno di questi libri -prosegue Ostanel- è per noi un tassello della memoria collettiva negata agli italiani”. A sceneggiare la storia di Impastato, Marco Rizzo, già premiato a “Napoli Comicon 2008” per il volume “Ilaria Alpi, il prezzo della verità”, e che spiega così il senso del proprio lavoro: “Essere un giovane giornalista siciliano, appassionato della figura di Peppino, mi ha investito di una responsabilità maggiore. Quando si scrive di una persona realmente esistita, si raggiunge una vicinanza col personaggio che è pesante da gestire -racconta-: si crea una sorta di legame affettivo, ma allo stesso tempo si sente di invadere una qualche intimità. Non nascondo che quando si è trattato di descrivere la scena del pestaggio e dell’uccisione di Peppino non sono riuscito a trattenere le lacrime”. E se nel caso di Ilaria Alpi la difficoltà è stata quella di ricostruire con rigore una vicenda oscura, con poche fonti e per lo più contraddittorie, qui “una documentazione molto vasta e l’ingombrante presenza di un film conosciuto e apprezzato come ‘I cento


≈ isola della moda è un laboratorio di

autoproduzione, nato a milano nel 2004, per dare visibilità a giovani stilisti di moda critica (www.isoladellamoda.info).

| critical fashion | la moda diVeNta SoSteNiBile

le creazioni di marta laurin gUYa maNzoNi / iSola della moda

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“Un giullare contro la mafia” (14,00 euro) è edito da BeccoGiallo e disponibile in tutte le librerie. Per informazioni, www.beccogiallo.it.

passi’ -ammette lo sceneggiatore- mi hanno fatto impiegare più tempo per trovare la giusta chiave di lettura. Alla fine, come in un puzzle, ho preferito raccontare la storia di Peppino attraverso alcuni episodi e il ricordo di chi lo ha conosciuto”. Tra le vicende approfondite nel volume, le lotte contro la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo nel territorio di Cinisi e la conseguente espropriazione delle terre ai contadini, e il complesso rapporto di Peppino con il padre. “Del resto -spiega l’autore-, non si può parlare di Impastato senza ricostruire quell’epoca, il potere della mafia e le responsabilità politiche. E a noi, non spaventa essere politici”. Il “metodo BeccoGiallo” prevede una tecnica vicina alla ricostruzione giornalistica: la consultazione degli archivi esistenti (tra cui la Casa della memoria di Cinisi), la lettura di alcuni testi, come “La mafia in casa mia” di Felicia Bartolotta, madre di Peppino, e “Nel cuore dei coralli”, di Salvo Vitale, amico e conduttore di Radio Aut insieme a Impastato. Nel libro ci sono anche due interviste, una proprio a Salvo Vitale e l’altra al fratello Giovanni, oltre a una cronologia e un’appendice di approfondimento. A disegnare la storia, Lelio Bonaccorso: “Volevo trasmettere il messaggio di libertà, dignità e cultura di un siciliano speciale” spiega l’illustratore. Per questo, ha preferito uno “stile fresco ed evocativo”, utilizzando la mezzatinta, “una tecnica che agisce come un’impronta sui personaggi -spiega-, facendoli ‘vivere’ in ambienti che ci appaiono familiari”.

n principio “to maui” era solo la destinazione di un viaggio nell’arcipelago delle Hawaii, quello che ha portato marta laurin, 28 anni, a lasciare la toscana per conoscere il mondo. oggi “tomaui” è un marchio di abbigliamento che nasce fra le mani e nella testa di marta quando un’amica le insegna a usare la macchina da cucire e lei, quasi per gioco, comincia a sperimentare. Così gli scampoli di tessuto prendono forma. “là dove un quadro richiama alla contemplazione o all’elucubrazione, un abito accoglie e coccola il nostro corpo” spiega marta, alle spalle un diploma in pittura all’accademia di Belle arti. e se la moda ufficiale svela la nostra mancanza di autonomia con abiti seriali e “riconoscibili”, la filosofia di marta laurin è quella di creare capi unici e di stile. Come la linea “riabiti” in cui la stilista ricicla vestiti vecchi, trasformandoli completamente. in un video pubblicato su Youtube, ad esempio, la si vede in-

tenta a ricavare una camicia sexy da un paio di pantaloni bianchi. ma riesce a valorizzare anche una semplice maglietta: attacca pezze colorate, cuce, disfa, fino a quando non è esausta e soddisfatta. il progetto “riabiti” è semplice: quello che per qualcuno è uno scarto sarà per un altro una risorsa. Per questo parte degli utili ricavati dalla vendita dei capi viene devoluta per la realizzazione di progetti di solidarietà in italia e all’estero, perché, ricorda marta, “rispettare l’altro significa aiutarlo a raggiungere un equilibrio in cui possa nutrire la propria cultura”. la produzione tomaui è artigianale e segue ritmi lavorativi “umani”. “Ho vissuto a milano, Firenze, Berlino -racconta-, ma poi sono tornata a massa, dove sono nata: per creare ho bisogno di uno stile di vita che non sia frenetico”. marta laurin è anche su Facebook, con le sue creazioni e la collezione primavera estate 2009.

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Visite post partum per controllare la salute di mamma e bimbo. (La luna Nuova/Enza Tamborra)

tUtto aCCade iN CaSa, Come UNa Volta. ma ad aCCUdire PUerPera e NeoNato ora Ci PeNSa UN’èqUiPe di oStetriCHe, riUNite iN UN’aSSoCiazioNe attiVa iN tUtta italia.

bebè a domicilio | teSto | eleonora De BernarDi

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ono una trentina gli esami prenatali che si possono effettuare prima di rimanere incinta e almeno il doppio quelli durante la gravidanza, signorina. Non si è informata?”. Così mi ha accolto il primo ginecologo che ho incontrato dopo 15 giorni dal test di gravidanza. Panico: come ho potuto essere così incosciente, mi dicevo, da ignorare il rigoroso iter clinico per aver un figlio sano? Le sensazioni negative però sono durate poco. Ho cambiato Asl e trovato un medico (donna, sarà un caso) in grado di ridarmi fiducia: “Stia tranquilla, il parto è una cosa naturale”. “Gli esami clinici servono, ma non sono la condizione necessaria, né talvolta sufficiente, per garantire la salute del bambino –spiega Na-

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dia Morello, ostetrica della Casa della maternità “La via lattea” di Milano-. Ma quest’approccio è poco diffuso”. La prassi è investire le donne in dolce attesa con liste infinite di test, tanto da far sembrare la gravidanza una malattia. L’Associazione nazionale culturale ostetriche parto a domicilio e casa maternità (www.nascereacasa.it), di cui La via lattea fa parte, è nata con un’altra idea. “La medicalizzazione eccessiva rovina uno dei momenti più intensi della vita -continua la Morello- ed è dannosa anche per il feto”. I soci sono centri di maternità o ostetriche in libera professione che da quasi trent’anni, dal 1981, offrono in tutt’Italia un’alternativa al parto in ospedale, e un percorso prima e dopo la nascita in grado di rimettere al centro la donna. “Ad assistere le nascite normali basta l’ostetrica –precisa la Morello-. Le donne che hanno gravidanze fisiologiche, giunte al termine con il feto in posizione cefalica, possono partorire tra le mura domestiche. L’ospedale resti per chi ha gravidanze problematiche, parti difficili, bimbi prematuri o con qualche malattia”. La loro scuola ha convinto le mamme: oggi lo 0,5 per cento sceglie il parto in casa, nonostante costi fino a 3mila euro (solo Piemonte, Emilia Romagna, Marche e Trentino Alto Adige prevedono che sia a carico del Servizio sanitario nazionale, ma non lo garantiscono a tutti e il rimborso non copre il 100 per cento delle spese). Ogni casa è adatta, purché non sia troppo | alternatiVe PossiBili

distante dall’ospedale, in caso di complicazioni. O si può scegliere una delle “Case di maternità” dell’associazione (l’elenco è sul sito). Quella fondata nel 2003 in via Morgantini 14 a Milano, da Nadia Morello e l’educatrice Lidia Magistrati, è simile a un appartamento tradizionale: camera da letto, cucina, bagno e due stanze piene di cuscini e tappeti colorati. L’unica differenza è la vasca gialla di fianco al lettone, per il parto in acqua. “Garantiamo la presenza di due ostetriche, sempre le stesse, dall’inizio del travaglio alla nascita. Niente a che vedere con i turni dell’ospedale” racconta la fondatrice. Entro due ore dal parto la mamma viene visitata da un neonatologo: se tutto è andato come previsto dopo 12 ore può tornare a casa. Bandita l’anestesia epidurale o l’epistomia (un taglio artificiale che agevola l’uscita del feto), avviene tutto in maniera naturale. Il padre può assistere, aiutare la mamma e occuparsi del neonato. Il pregiudizio che il parto in casa sia pericoloso tuttavia mi resta. “Ogni anno seguiamo 30 nascite a domicilio o nella nostra struttura -racconta la Morello-. In uno o due casi su 10, siamo costrette a portare la mamma in ospedale, ma solo per travagli troppo lunghi o su richiesta della stessa. I casi di complicazioni sono davvero rari”. Fa una pausa e sorride. “Mettere al mondo un figlio è un rischio -conclude-. Il nostro lavoro è tirare fuori la mamma, non solo il bambino”.


| BUone Pratiche Per ViVere MeGlio | a CUra di | francesco aBiUso

yoga: la terapia della risata l’

immagine è quella di una bottiglia d’acqua gassata agitata fino a farne saltare via il tappo. a smuoversi è il nostro umore, a fuoriuscire una risata contagiosa. la più sorprendente tecnica di rilassamento degli ultimi anni si chiama “yoga della risata” (Laughter yoga). Come il classico esercizio fisico e spirituale, prevede concentrazione e impegno. ma ogni cosa accade tutt’altro che in religioso silenzio. inventa tutto il medico indiano madan Kataria, nel 1995: “era alla ricerca di un metodo capace di stimolare il sorriso per le sue qualità terapeutiche -racconta alberto terzi, presidente dell’associazione Stringhe colorate-. Scartò subito le barzellette: troppo legate a un contesto culturale, e destinate a smarrire il loro effetto dopo poco tempo”. l’illuminazione arriva: occorre respirare, ossigenare il cervello e l’anima. la risata sprizzerà quasi per legge fisica. Così Kataria teorizza il suo metodo e oggi gira il mondo: chi segue un suo corso può diventare un maestro, come alberto. esistono poi i “Club della risata”, gruppi che si ritrovano per ridere. al loro interno hanno almeno un leader

che guida la riunione. la sessione, a cadenza settimanale e di durata variabile da 30 minuti a un’ora e mezza, inizia con il benvenuto. Poi è un crescendo. tutti battono le mani allo stesso ritmo e gridano come un mantra ‘oh-oh, ah-ah-ah’. iniziano gli esercizi: inspirare da una narice, espirare dall’altra. infine arriva l’innesco: “il leader -dice alberto- chiede di ‘ridere come farebbe un animale’, e tutti si mettono a fare delle imitazioni”. Fino a che non parte l’esplosione. Si può ridere anche senza motivo, recita la “teoria della stupidità”: non bisogna avere paura di apparire sciocchi. ridere fa bene alla pressione, al cervello e stimola la produzione di endorfine, che hanno proprietà analgesiche. Non a caso l’associazione Stringhe colorate (stringhecolorate.com, tel. 031 - 303.366) ha fondato un club della risata fra gli anziani di una residenza socio-assistenziale di Bellagio (Co). la partecipazione agli incontri è gratuita. Se ne volete sapere di più, consultate il sito yogadellarisata.it, che mette in rete i club della risata italiani (in tutto una decina). oppure leggete “Yoga della risata. ridere per vivere meglio” (la meridiana, 20 euro).

3 domande a Gian Piero carezzato

Quando hai scoperto lo yoga? Ho iniziato nel 1993, a 24 anni, su consiglio del mio neurologo per risolvere una somatizzazione da stress. La passione è cresciuta fino a trasformarmi, dopo quattro anni di corso alla Federazione italiana yoga, in un docente.

39 anni, disabile e insegnante di yoga

come riesci a coniugare la pratica e la tua disabilità? Sono focomelico agli arti superiori. Ma lo yoga è l’opposto di una società competitiva, è molto democratico: infatti anche i normodotati scoprono i loro limiti. La vera disabilità sono i condizionamenti mentali. hai qualche allievo disabile? Per ora uno solo. Credo però che lo yoga aiuti a credere in se stessi. Ed è un modo per stare con gli altri. Per questo al Centro ginnastica moderna (via Santa Marta 19/A a Milano, tel. 02 - 864.527.79) abbiamo in programma diverse collaborazioni con associazioni di volontariato.

| MonDoPen | a CUra di | oPenlaBs | www.openlabs.it

openoffice.org, e scrivi senza licenza

tommaSo raVaglioli

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el numero scorso abbiamo parlato di navigazione su internet con Firefox, un browser openSource. ma c’è un’altra categoria di programmi che chi usa il computer utilizza spesso: si tratta delle applicazioni di produttività personale, i software che ci permettono di scrivere, far di conto e archiviare. Nel mondo del software proprietario, il punto di riferimento di questo settore è microsoft office. Nell’openSource, invece, il primo nome a venire in mente è openoffice.org, che nasce da un prodotto proprietario, chiamato Staroffice, realizzato da una piccola azienda tedesca. qualche anno dopo la sua nascita, questa suite (così si chiamano i pacchetti software

che contengono diverse applicazioni) attira l’attenzione di Sun microsystems, importante multinazionale dell’informatica. al sistema operativo di Sun, Solaris, mancava infatti una suite di produttività individuale e per questo era stato relegato alla nicchia dei server (i computer che nascono per erogare servizi e non per uso domestico). ma in quello stesso periodo, correva voce che anche microsoft windows dovesse affacciarsi di prepotenza nel mondo dei server per cui alla Sun decisero di fare qualcosa di veramente nuovo: liberarono il codice di openoffice, rendendola una suite openSource e donandola alla comunità degli sviluppatori.

≈ openlabs è un’associazione culturale fondata nel 2000. organizza corsi, seminari e convegni per la diffusione del software libero e open source.

dal punto di vista di Sun, puramente commerciale, questa mossa fu molto vantaggiosa, perché Sun riuscì a eliminare Windows dai propri pc, a ridurre i costi e, di fatto, a diminuire le entrate di cassa del concorrente. il fatto che openoffice.org fosse gratuito non era però una novità: Staroffice era già distribuito gratuitamente, con risultati alterni, ma la sua “liberazione” da parte di Sun spinse gli sviluppatori a contribuire al progetto, già a uno stadio avanzato e per questo molto competitivo nei confronti del software proprietario. openoffice.org è oggi disponibile per moltissimi sistemi operativi, Windows compreso. lo trovate su openoffice.org. | 002 | maggio 09

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scrittori nel cassetto | a cura di | scuola holden | www.scuolaholden.it

è ora che muori | racconto | ugo coppari | illustrazione | allegra agliardi

Nomadi o stanziali? a Volte è una questione di vita o di morte, come accade al protagonista di questo racconto. che sceglie di rischiare.

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azzo, avevamo passato più di quattro ore a spostare pesantissime lastre di marmo da un punto all’altro del magazzino. Stavamo allestendo uno show-room, ci pagavano pure bene. Uno dei dirigenti dell’azienda ci chiamava con lo schiocco delle dita, come si fa con le foche. Eravamo una decina di facchini, divisi in tre gruppi. Il dirigente dava indicazioni sul da farsi, ci si avvicinava per poi allontanarsi nuovamente. Indietreggiava fino al punto in cui la prospettiva gli avrebbe permesso di avere uno sguardo d’insieme sulla disposizione degli elementi. Voleva una disposizione semplice e lineare, senza dirci molto di più. Ci diceva di fare questo o quello, sembrava avere le idee piuttosto chiare. Ma ogni volta dovevamo ricominciare tutto daccapo. Cercava di rivolgersi a noi con un sorriso di fiducia, anche se lì dentro faceva molto freddo. Era ottobre, proprio come ce lo immaginiamo di solito. Una cosa del genere. Alle 2 andiamo in pausa pranzo. Abbiamo mangiato un panino al bar della stazione. A Foligno ci sono i bar e i treni. Il prossimo per Ancona sarebbe partito alle 2.30, con 20 minuti di ritardo. Lo aveva annunciato una voce squillante che, dagli altoparlanti, si scusava per il disagio. Seguì un lungo boato lamentoso. C’era un vecchio con una piccola valigia in mano che diceva di non poterne proprio 32

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più. Continuava a guardarsi intorno, cercando il consenso negli occhi altrui. Una ragazza madre stava chiamando qualcuno, mentre il figlio le tirava la giacca da sotto. Due giapponesi consultavano la tabella degli orari appesa alla parete. Tutti parlavano di coincidenze, del fatto che avrebbero sicuramente perso la coincidenza. Il barista mi disse che il caffè era pronto. I miei colleghi si erano seduti sopra il muretto che costeggiava il parcheggio della stazione. Alcuni si erano accasciati a terra. Non appena li raggiungo alcuni di loro cominciano a sfottermi, tanto per ingannare l’attesa. C’è Luca che mi chiede sempre come sta mia madre o mia sorella o cose del genere. Gliel’ho già detto tante volte che questo genere di ironia non fa più ridere da almeno una decina di anni. Così mi siedo vicino a Matteo, ché mi chiede sempre se ho da accendere. Capita spesso che io gli presti il mio accendino, in cambio lui mi offre una sigaretta. Dice che appena ne compra uno nuovo, nel giro di poche ore se lo perde da qualche parte. Matteo voleva fare il pilota di aerei, me l’avrà detto centinaia di volte. Quando mi ridà l’accendino lo guardo negli occhi, talmente a lungo che poi mi chiede perché cazzo lo stessi guardando in quel modo. I suoi occhi erano brace spenta, si sentiva ancora puzza di bruciato.



Ugo Coppari

Allegra Agliardi

Ventisettenne, vive a Perugia, dove collabora con il comitato artistico del P-gruppe e prova a tracciare con la scrittura nuove porte nei muri asfissianti dell’esistenza. Per gli amici è semplicemente Ugo.

Illustratrice, milanese, 30 anni. Crede nella forza del disegno, linguaggio universale capace di comunicare idee e emozioni. Condivide la gioia del suo lavoro con i più piccoli con laboratori in Italia e all’estero.

Ho pensato a quante volte mi avesse raccon- fatto perdere le mie tracce. Poi il treno parte. Me ne sto chiuso lì dentro per tutta la tato di voler volare. Non gli ho mai chiesto durata del tragitto, ché non c’ho neanche il verso dove. Ora ce ne stavamo lì, avremmo riattaccato biglietto. Una ventina di sigarette in due ore. il turno verso le 3. Passa un vecchio in sella a Ogni tanto bussa qualcuno, ma io tossisco e una bici tutta scassata, sembra cadere da un dico che ho quasi finito. Il controllore non si momento all’altro. Lo guardiamo senza dire è mai fatto vivo. Avevo abbassato il finestrino, niente, poi Fabrizio gli urla è ora che muori. quel tanto che bastava per far circolare un Fabrizio invece voleva fare il calciatore. Era po’ d’aria. Vedevo una fessura di paesaggio, davvero bravo, c’ha pure un paio di coppe a strisce di alberi, case e colline scivolare via ad casa. Giochiamo insieme a calcetto tutti i lu- alta velocità. Non ne potevo più di tutte quelle lastre di marmo, quella puzza di bruciato, nedì sera. quei giorni tutti uguali. Dagli altoparlanti la Non appena entro mi chiudo Sapevo che dal porto di stessa voce squillante di prima avvertiva che in bagno e spengo il cellulare, Ancona partivano navi per la Croazia, per i pail treno per Ancona era avrei fatto perdere le mie esi al di là dell’Adriatiin arrivo, scusandosi tracce. Poi il treno parte. co. Un po’ di soldi ce nuovamente per il disali avevo, li avevo messi gio. Io quel treno volevo proprio prenderlo, me l’ero messo in testa. da parte con gli straordinari. Una voce disse Così ho detto agli altri che sarei andato un se- che eravamo arrivati alla stazione di Ancona. condo al bagno, chissà se poi mi sono venuti Scendo, lasciando i guanti da lavoro dentro a cercare. Il treno era sul terzo binario. Cor- al cesso del treno. Un paio di guanti gialli, rendo attraverso il sottopassaggio vedo una induriti dal freddo. Chiedo indicazioni, per poi incamminarscritta: lezioni di flauto, seguita da un numero di telefono. Quando mi avvicino alla porta mi verso la biglietteria del Porto. All’ufficio del vagone più vicino, chiedo se quello su cui Informazioni mi chiedono dove volessi viagstavo per salire era il treno giusto, quello per giare, gli rispondo che mi va bene qualsiasi Ancona. Sì, mi dicono. Non appena entro mi destinazione, purché parta al più presto. Un chiudo in bagno e spengo il cellulare, avrei biglietto per Spalato, mi informano. Va bene, 34

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| scrittori nel cassetto

lo prendo. La nave sarebbe partita l’indomani mattina, verso le 6. C’avevo una lunga notte davanti, ma in fondo mi andava di stare in giro e vedere cose nuove. Entro in un bar e prendo una birra, poi un’altra e poi un’altra ancora. Sigarette, birra e facce. Cazzo, il tempo volava. Guardavo le navi attraccate, le chiglie appena riverniciate. Gru e luci, mille luci calde. Chiesi un’altra birra, l’ultima. Mi immaginavo cosa avrei potuto fare in Croazia, ma non mi veniva in mente niente. Sapevo soltanto che non avrei voluto aspettare tutto quel tempo, ma non potevo farci niente. Un tizio col ventre rigonfio mi chiede da accendere. Poi passano un cane e un paio di gatti, cani e gatti normali, mentre la radio racconta cosa è successo oggi. Ero troppo ubriaco per farmi un giro, quasi mezzanotte e il bar stava per chiudere. Così mi distesi a terra, vicino ad un distributore di lattine che mi faceva luce. Non volevo che qualcuno mi pestasse senza accorgersi di me. Spalato, cazzo. Sarei arrivato a Spalato, cominciai a pensare. Via, lontano da tutti ‘sti giorni sempre uguali. Luca non mi avrebbe più chiesto di mia sorella o mia madre, Matteo non mi avrebbe più chiesto di accenderlo. Cazzo, Spalato. Con gli occhi ormai quasi chiusi, intravidi le ultime strisce di navi riprendere fiato nelle placide acque del porto.


I FERRI DEL MESTIERE

in equilibrio sul filo della descrizione | teSto | alessanDro Baccara

è ora che muori

il racconto è caratterizzato da scene in cui l’io narrante evoca atmosfere forti e rappresentative. l’incipit funziona: introduce la vicenda con un’immagine (ambientata nella stazione ferroviaria), che descrive il protagonista senza palesarne i tratti. Per la sua storia Ugo usa una tecnica consolidata: piccole scene che mostrano i personaggi al lettore. alcuni aspetti potrebbero essere più curati, in particolare il finale, che andrebbe sintetizzato. l’autore conclude con uno “spiegone”: enuncia più che evocare, e svela il senso della storia. gordon lish, l’editor di raymond Carver, gli suggerirebbe: “Show, don’t tell” (Mostra, non dire). L A PAROL A AI MAESTRI

l’arte del levare di Daniil Charms tutte le volte che leggo “Casi” di daniil Charms, penso che l’autore russo vissuto nei primi anni del Novecento meditasse molto sulle tecniche narrative, oltre che sulle storie che raccontava. C’era un uomo con i capelli rossi, che non aveva né occhi né orecchie. Non aveva neppure i capelli, per cui dicevano che aveva i capelli rossi tanto per dire. Non poteva parlare, perché non aveva la bocca. Non aveva neanche il naso. Non aveva addirittura né braccia né gambe. Non aveva neanche la pancia, non aveva la schiena, non aveva la spina dorsale, non aveva le interiora. Non aveva niente! Per cui non si capisce di chi si stia parlando. Meglio allora non parlarne più Adelphi, 2008 descrizione o riflessione sulla descrizione? daniil Charms caratterizza il suo protagonista sottraendogli ogni dettaglio fisico, come se segnalasse al lettore che senza descrizione non esiste personaggio, e che senza personaggio non esiste narrazione. avrà ragione? giudicate voi. ≈ “scrittori nel cassetto” è anche una sezione del nostro nuovo sito, dove potete pubblicare i vostri commenti e trovare i temi dei prossimi racconti. Vi aspettiamo su terre.it!

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a descrizione? Una questione di vista. E di ritmo. Per capirlo dovrete uscire di casa. Sedetevi in piazza con un quaderno e una penna e iniziate a scrivere. Bene. Ora interrompete l’azione e descrivete quello che vedete intorno a voi: la luce, i palazzi, i passanti. Concentrandovi sull’ambiente avete fermato l’azione, ottenendo un cambio di ritmo. Ma a cosa serve la descrizione? Fornisce delle informazioni o annoia il lettore? La diatriba è aperta. Da sempre. Se nell’Ottocento era impensabile una storia senza descrizioni, per gli autori contemporanei il ventaglio delle possibilità è più ampio. Un esempio: “La sentinella”, un racconto di Frederick Brown (Einaudi, 2004). Il protagonista narra di una guerra in un pianeta sconosciuto e la vicenda si dipana lineare fino al finale in cui l’autore descrive il nemico come una creatura ributtante, con solo due gambe, due braccia e senza squame. Conciso ma efficace. Ora pensate all’incipit dei “Promessi sposi” di Manzoni: “Quel ramo del lago di Como donde esce l’Adda e che giace fra due catene non interrotte di monti da settentrione a mezzogiorno…”. Memorabile, ma infinito. In confronto le descrizioni dei romanzi contemporanei sono essenziali, minimaliste. I lettori dell’Ottocento vivevano in una società che non era fondata sulla vista e, per immaginare lo spazio, necessitavano di rappresentazioni accurate. Il lettore di oggi, viceversa, vive una realtà in cui le informazioni visive sono onnipresenti, quindi ha bisogno di uno stimolo meno complesso per immaginare una scena. Anton Cechov, il celebre drammaturgo russo, dà il suo punto di vista sulla descrizione in una lettera indirizzata a un’autrice che gli chiede un consiglio per la stesura di un racconto. Cechov sostiene che, per comunicare che la vicenda si svolge a primavera, non serve descrivere gli alberi, il cielo, il sole e gli uccellini, ma basta una semplice frase: l’erba era già verde.

≈ raccontare storie è un’arte che si può imparare. lo dimostra la scuola holden di torino, fondata da alessandro Baricco nel 1994. tra gli allievi anche Paolo Giordano, vincitore del Premio strega 2008.

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forchette e bacchette

la campana È il più antico locale di Roma, con data di nascita certificata al 1518. Serve il meglio della cucina romana e molti altri piatti svincolati da una precisa collocazione regionale in un ambiente tipico delle trattorie di qualche annetto fa: boiserie scura alle pareti, qualche quadro e tovaglie candide sui tavoli che affollano le sale. Conto sui 35 euro, vini a parte. vicolo della Campana 18, Roma tel 06 - 68.75.273 chiuso: il lunedì.

la trattoria democratica | teSto | Valerio MassiMo Visintin | Foto | antonella Di GirolaMo

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gni santo giorno, nel ristorante più antico di Roma siedono onorevoli e cineasti, griffe del giornalismo e della cultura, aristocratici d’antico rango e cognomi dell’alta borghesia. È un super concentrato di nobiltà araldiche, finanziarie e professionali come se ne vedono soltanto sulle pagine mondane dei magazine. Un’amica romana ci consiglia di prenotare il tavolo che fronteggia la porta d’entrata. Accortezza che comporterebbe un duplice vantaggio. Da un lato, avremo più agevole accesso al buffet degli antipasti sul quale ha luogo un lussureggiare di broccoli, spinaci, peperoni, carciofi, melanzane e d’altre verdure cotte e condite in mille maniere.

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D’altro canto, potremo assistere in prima fila all’ingresso in scena del cast della serata. Di quando in quando, la maniglia d’ottone si flette, la tendina bianca che protegge il vetro si riempie di un’ombra. E quindi freme, come un sipario all’apertura. Con vago senso di vergogna, ma irresistibilmente attratti, aspettiamo che il nuovo ospite si riveli. Sarà un regista o uno scrittore? Una ministra o una regina? Invece, tutt’altro. Stavolta si introduce un signorotto calvo di bassa statura, con un abito grigiastro e stazzonato che pare uscito da una colluttazione. Per qualche istante, si guarda attorno con aria spaesata. L’attesa è breve: pur correndo da un commensale all’altro come palle di bigliardino, i camerieri trovano il tempo di accoglierlo e di condurlo a un tavolo con la massima cortesia. E in quel gesto, comprendiamo l’intima natura della Campana. In cinque secoli di vita, queste pareti hanno imparato dalla storia a non fare preferenze di casta, e hanno trasmesso questo preziosa neutralità ai padroni di casa che si sono avvicendati di volta in volta. Per la famiglia Trancassini, che governa il locale attualmente, i clienti sono clienti. Rispettabili e onorabilissimi per se stessi. Non conta affatto lo status. Il più antico ristorante di Roma è una livella, che appiana le gerarchie sociali. Fuori da quell’uscio saremo quel che possiamo essere. Ma alla Campana siamo tutti “dottò”, in un’eguaglianza indistinta e democratica di mandibole al lavoro. E noi? Ordiniamo cacio e pepe, carciofi alla giudia (i migliori mai addentati), fritto all’italiana e puntarelle con l’acciuga. Paghiamo un conto da trattoria, tintinniamo un nuovo brindisi e non ci importa più un bel niente di chi si affaccia a quella porta.


| PassaParola | le vostre segnalazioni a redazione@terre.it torino

Milano

foGGia

consigliato da Massimo di Vege.to

consigliato da Michela

consigliato da Emiliano

Attivo da quasi trent’anni, a due passi dalla Mole, è uno dei migliori ristoranti vegetariani della città.

Vicino ai Navigli, un ristorante che porta a Milano sapori e profumi d’Oriente.

Nei pressi di Borgo Incoronata, per vivere un incontro con la natura e i sapori tipici.

chi ci porteresti: gli amici, ma anche il fidanzato, per provare ottimi sapori di luoghi lontani . Perché: si gustano tutte le specialità orientali, dal cous cous (di carne, pesce, verdure), ai dolci arabi, con porzioni abbondanti. Se volete assaggiare un po’ di tutto, provate uno dei menu. Da non perdere: riso Sceicco, con zafferano, pistacchi, uvetta e pinoli; tutte le varianti del cous cous; il misto di deliziosi dolcetti arabi. costo: sui 10 – 15 euro. A pranzo, menu scontati per studenti universitari. Dove: Milano, via Custodi 4 tel 02 – 454.933.99

chi ci porteresti: adatto per una cena in compagnia da trascorrere in un ambiente accogliente, quasi familiare, ma allo stesso tempo elegante e raffinato. Perché: è circondato da diversi ettari di verde, e quello che mangi è prodotto direttamente dai proprietari: olio, formaggi, salumi e carni. Da non perdere: antipasti al buffet, pasta fatta in casa, carne di manzo alla brace. costo: menu completo di antipasti, primo, secondo, dolce e liquore della casa: dai 25 ai 30 euro. Dove: Foggia, località la Torretta, Borgo Incoronata tel 0881 – 81.00.09

il punto verde

chi ci porteresti: chi pensa che i vegetariani mangino solo insalate e tofu. Perché: offre il giusto equilibrio tra cucina italiana e piemontese, con piccole incursioni nella tradizione nordafricana. Oltre 40 i piatti da cui farsi tentare. Da non perdere: gli gnocchi fatti in casa alla Toma di Castelmagno, i monopiatti macrobiotici e la bavarese di mele e castagne. costo: menu del Re (10 antipasti, tris di primi, bis di secondi, contorno, dolce) a 27 euro bevande escluse, Dove: Torino, via San Massimo 17 tel 011 – 885.543 | la ricetta

Mido

rotarott

| fooD anD the citY | a CUra di | DaViDe De lUca

carciofi alla giudia offerta dal ristorante La Campana ingredienti Carciofi Peperoncino Limone Olio Sale Pepe Si ripuliscono i carciofi eliminando le foglie esterne e il gambo. Per circa un’ora, si pone il carciofo in un recipiente con acqua e succo di limone. Si scolano, premendoli delicatamente contro il piano di lavoro per fare in modo che si aprano. Quindi si introducono a testa in giù in una pentola di abbondante olio caldo e peperoncino. Lasciar cuocere per una decina di minuti con coperchio. A questo punto, si rifinisce la cottura scoperchiando la pentola e alzando la fiamma. Per consentire una cottura uniforme, il carciofo va girato continuamente e schiacciato leggermente contro il fondo della pentola, sino a quando tutta la parte esterna sarà croccante.

Il contenitore di rovere dove vengono riposte le alici dalle quali si ottiene la preziosa “colatura”. (FotoSal/Ass.Amici delle Alici)

distillato di alici: il sapore è servito

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erso maggio, a Cetara, antico borgo marinaro della costiera amalfitana risalente all’Viii secolo d.C., i pescatori sono impegnati nella pesca delle alici, ingrediente base della “colatura”, distillato ottenuto dalla macerazione del pesce sotto sale. le origini di questo prodotto risalgono ai romani, che producevano una salsa molto simile chiamata garum. la ricetta venne recuperata nel medioevo da alcuni monaci presenti in costiera e insegnata ai pescatori che da allora la tramandano di padre in figlio. le alici, appena pescate, vengono “scapezzate” ovvero private della testa ed eviscerate, messe

in un contenitore in rovere, “inzuscate”, cioè cosparse di sale marino, e ricoperte poi con un disco di legno sul quale si collocano come pesi alcune pietre. la lenta macerazione (4/5 mesi) fa affiorare in superficie il liquido che viene progressivamente raccolto, conservato e concentrato attraverso l’esposizione al sole. al termine della macerazione il liquido è nuovamente colato sulle alici per essere infine recuperato in appositi recipienti di vetro. il distillato finale ha colore ambrato, sapore deciso, è altamente proteico e facilmente digeribile. Salsa mille usi, oltre alla pasta insaporisce insalate fresche, verdure cotte, zuppe di legumi e cereali, pizze e bruschette. | 002 | maggio 09

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invenzioni a due voci Benevento una discarica abusiva con rifiuti tossici scoperta dai carabinieri. (Agenzia Fotogramma)

UNa gara a CHi arriVa dritto al lettore. tra FiCtioN e iNCHieSta, a ViNCere è la Prima. Parola di maSSimo Carlotto.

romanzi verità | teSto | laUra silVia BattaGlia

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l segreto sta nel patto di fiducia. Una specie di contratto con gli italiani, ma di stampo letterario. Io, scrittore, ti dico una cosa vera con un di più di fiction e tu, lettore, prendi per buoni gli indizi che ti semino dentro il romanzo e ricostruisci la verità, quella verità. Lo scrittore è Massimo Carlotto, uno degli autori di noir più apprezzati d’Europa. Il lettore, uno dei numerosissimi, ma con una funzione sociale ineludibile, è una giornalista, Olga Piscitelli: nera e giudiziaria i campi in cui opera di solito; l’ambiente, il terreno di coltura di dubbi e domande nella vita di tutti i giorni. Ed è proprio perché Olga Piscitelli conosce il rapporto tra realtà e finzione, che non ha dubbi su Carlotto: “Il genere di noir che ha inventato fa meglio delle inchieste giornalistiche: smuove la coscienza del lettore”. Del resto, lo dice lo stesso Carlotto: i suoi romanzi “mediterranei”, scritti a più mani con altri autori, hanno per obiettivo quello di fare sapere ciò che i quotidiani non pub-

blicano. Verità scomode che infastidiscono le lobby di potere, gli investitori, gli inserzionisti. E che pesano sul nostro presente e sul nostro futuro perché riguardano il cibo che mangiamo, l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo. Da “Mi fido di te” a “L’albero dei microchip”, passando per “Perdas de Fogu”, Massimo Carlotto, Francesco Abate e il collettivo di scrittura Mama Sabot hanno sdoganato di tutto: frodi alimentari, inquinamento da nanoparticelle, traffico di rifiuti elettronici dall’Italia all’Africa. Carlotto ci spiega perché ha scelto di dire queste verità con la fiction: “Viviamo in un Paese che, dalla strage di Piazza Fontana in poi, ha perduto il senso della verità. Non basta più il mezzo di comunicazione di massa per raccontarla”. Oggi la verità si svela solo se è protetta da un meccanismo di finzione? Secondo Carlotto sì, perché “la forza del romanzo è proprio questa: riuscire a raccontare meglio non solo una determinata realtà, ma anche gli aspetti socia-

Olga Piscitelli Olga Piscitelli è nata a Luino nel 1967. Giornalista professionista, si è occupata di cronaca nera e giudiziaria per La Stampa e la Repubblica e per il quotidiano on line ilNuovo.it. Collabora con L’Espresso e con il Corriere della Sera. È autrice di “Colpo grosso. Bande e solisti della rapina italiana” (editrice Zona, 2005) e ha curato il volume “Sos clima: la terra è malata. Guarirà?” (San Paolo editore, 2003). Vive a Milano. 38

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li, politici, economici che le fanno da contesto”. Tanto più in casi come questi in cui è l’ambiente il protagonista. “Prendi ‘Gomorra’ di Saviano -dice la Piscitelli-: questa terra violentata dai rifiuti tossici è il personaggio principale del romanzo; raccontare l’effetto dei veleni sui campi destinati al pascolo delle bufale, ti dà la misura del rischio per i consumatori e del giro d’affari che ruota attorno all’ambiente. Un problema locale che in realtà è globale. E che ha permesso il risveglio di una coscienza civile”. Carlotto conferma: “In Francia il noir ‘Mi fido di te’ sulle frodi alimentari, scritto con Abate, sta suscitando una serie di dibattiti anche se il romanzo non è ancora uscito. Non solo, ma si è instaurata una rete di relazioni intelligenti intorno al romanzo, sfociate in organizzazioni che pubblicano black list di aziende che producono in maniera nociva”. Stessa cosa per l’inquinamento da nanoparticelle rivelato da Carlotto e Mama Sabot in “Perdas de fogu”. Piscitelli: “C’è voluto un

Massimo Carlotto Massimo Carlotto (Padova, 1956) è uno dei più famosi scrittori europei di libri noir. Ex militante di Lotta Continua, condannato a 18 anni per l’omicidio di una studentessa, latitante all’estero, graziato dal presidente della Repubblica. Tra le sue opere, “Mi fido di te” (Einaudi, 2007), “L’albero dei microchip” (Edizioni Ambiente, 2009) e “Perdas de Fogu” (Edizioni e/o, 2008) scritto con il collettivo di autori Mama Sabot.


| i liBri di terre | Parola D’aUtore | di sUsanna Bissoli | letti Per Voi

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racconti di “Caterina sulla soglia” sono per me come sedici battiti di ciglia: la protagonista apre per sedici volte gli occhi in diversi momenti della propria vita e il suo corpo è diverso, il luogo è diverso, le relazioni in cui è immersa sono diverse. la visione di quello che poteva essere il libro l’ha avuta lo scrittore Paolo Cognetti: prendere dei miei racconti, quelli che potevano avere la stessa protagonista. questa proposta mi ha illuminato riguardo la natura di quello che ero andata scrivendo negli ultimi anni. Un paio di racconti dovevano essere riscritti in prima persona, ma non c’erano dubbi: il personaggio era lo stesso. Caterina è la mia replicante: ha la mia stessa età, libro per dirci quali e quanti danni ci siano dietro gli episodi di inquinamento nella zona del poligono di Salto di Quirra, tra Cagliari e Nuoro. E dire che le vicende sono arcinote”. Perché scrivere un romanzo d’inchiesta piuttosto che un romanzo o un’inchiesta? “Non abbiamo scritto un’inchiesta perché nessuno l’avrebbe pubblicata -ammette Carlotto-. Il noir permette di raccontare la grande rivoluzione scatenata dalla globalizzazione nell’universo criminale. Una rivoluzione che ha prodotto, da una parte l’apertura di nuovi mercati nella criminalità organizzata, dall’altra connessioni sempre più forti tra le culture criminali e ambienti dell’imprenditoria, della finanza e della politica”. Ma Carlotto non ha scritto nemmeno un romanzo perché, dice, “la nostra è una scelta squisitamente politica. Potremmo scrivere altro, con più soddisfazione economica, e senza rischi per noi”. Il diritto all’intrattenimento del lettore rimane però salvo: “A lui una doppia scelta: può

ha vissuto negli stessi posti, ha una famiglia che assomiglia alla mia, ma non sono io. Nella mia vita introduce varianti e il gioco del cosa sarebbe successo se. questo libro per me è anche un modo per affrontare il mistero della metamorfosi, il fatto che nella vita siamo bambini, poi adolescenti e poi adulti pieni di fretta e di paura e, nonostante questo, parliamo dei bambini come se non lo fossimo mai stati, dei vecchi come se fosse una condizione che non ci riguarderà mai.

la morsa Si è scritto molto sulle cause della crisi economica. Quello che nessuno ha cercato di spiegare, come invece fa il nuovo libro di Loretta Napoleoni, è il legame tra la recessione economica mondiale e la guerra al terrorismo. Partendo dall’ascesa della finanza islamica a Dubai e dalla guerra mossa da Al Qaeda all’economia americana, passando per il crac Madoff, l’economista italiana non si ferma alle manifestazioni superficiali della crisi, ma ne svela gli inquietanti retroscena. E chiama in causa anche noi, comuni cittadini. (Michela Gelati)

sUsanna Bissoli

caterina sulla soglia Terre di mezzo Editore, 2009 112 pagine ± 10,00 euro

loretta naPoleoni

la morsa Chiarelettere 2009 208 pagine ± 13,60 euro

godersi la struttura del romanzo o scegliere di aprire la sua coscienza a una serie di messaggi che disseminiamo nel testo”. La Piscitelli ha fatto la sua scelta. Anni fa è riuscita a pubblicare un’inchiesta sul clima, a ridosso del primo Protocollo di Kyoto. Un lavoro giornalistico, dalla parte del cittadino: “In un campo coltivato vicino Voghera, in provincia di Pavia, le cipolle nascevano già bollite, per effetto sia del riscaldamento sia di antenne particolarmente potenti che, nella zona, facevano cuocere i bulbi anche sotto terra, fino a 20 centimetri dalla superficie. E tutto nasceva da un ragionamento: se alle cipolle succede questo, al mio cervello cosa succede?”. Un tema che si sarebbe potuto prestare anche alla fiction d’inchiesta. “Per una questione ambientale rivelata, molte ce ne sarebbero ancora da diffondere”, dice la Piscitelli. E non è escluso che, dopo questa conversazione e queste letture, da lettrice di noir, anche lei salti il confine tra cronaca e fiction.

frontiere nascoste Non esistono solo frontiere tra Stati. Ci sono confini più sottili e dolorosi, come quelli raccontati da Daniela de Robert, giornalista del Tg2, in questo appassionante saggio – reportage: dai pezzi di carta che distinguono immigrati regolari e clandestini, ai confini di stoffa che rinchiudono le donne afghane. (M.G.) Daniela De roBert

frontiere nascoste Bollati Boringhieri 2009 140 pagine ± 15,00 euro

≈ andersen, il mondo dell’infanzia è un mensile che dal 1982 si occupa di letteratura per i piccoli. ogni anno assegna il Premio andersen alla migliore produzione editoriale.

| Piccoli GranDi lettori | a CUra di | anselMo roVeDa | WWW.aNderSeN.it

Libri d’Egitto A Torino dal 14 al 18 maggio ci sarà la Fiera del Libro, il più importante appuntamento italiano per curiosare tra le pagine scritte e disegnate. Paese ospite dell’edizione 2009: l’Egitto. Una buona occasione per incontrare la letteratura contemporanea in lingua araba, anche per i più piccoli. Sono, infatti, rare le traduzioni di libri per bambini provenienti dalla sponda Sud del Mediterraneo. Non mancano però le eccezioni: da poco sono usciti Il tesoro dell’isola delle sirene (Sinnos 2008, 48 pagine, 11,50 euro) di Yakoub El-Sharouny e L’albero di sicomoro (Falzea 2008, 68 pagine, 9,00 euro) di

Mohamed Salmawy. Il primo, opera di uno dei più noti autori per bambini e illustrato da Monica Auriemma, è un avventuroso racconto nel quale due ragazzi si mettono sulle tracce delle sirene del Nilo, dovranno però vedersela con agguerriti ragni e enormi rane. Il secondo, illustrato da Lucia Sforza, è una raccolta di racconti sugli animali e le piante a opera del giornalista che ritirò per Nagib Mahfuz il Nobel nel 1988. Per Torino è inoltre attesa anche l’antologia Il cavallo che non nitriva più e altri racconti egiziani, uscirà per Città aperta junior a cura di Maria Luisa Albano e raccoglierà le firme dei più importanti scrittori egiziani per ragazzi. | 002 | maggio 09

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divertimenti indipendenti India, lo slum di Mumbai. E la casa di Asanah a Jakarta, Indonesia.

UN liBro “PoP UP” e UNa moStra. CoSÌ JoNaS BeNdiKSeN Ci aCComPagNa a ViSitare le BaraCCoPoli del moNdo.

scatti periferici | teSto | Michela Gelati

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min, Jacarta: “Per costruire una stanza, raccogli legna e chiodi ed ecco, la stanza è pronta. È sotto il ponte di Kali Malang ed è lunga tre metri e alta uno”. Amit Singh, Mumbai: “Dharavi per me è il paradiso. Sono arrivato qui appena nato. Ora lavoro come agente assicurativo e voglio diventare un uomo d’affari”. Sono due delle storie che Jonas Bendiksen, fotografo norvegese dell’agenzia Magnum (nella foto), ha raccolto nei due anni trascorsi negli slum di Mumbai, Caracas, Jacarta e Nairobi. Scatti che non nascondono povertà e emarginazione, ma con uno sguardo inedito: Bendiksen ha ritratto gli abitanti delle baraccopoli nelle loro case e ne ha registrato le voci (per ascoltarle, theplaceswelive.com). Pubblicate nel libro “I luoghi in cui viviamo” (Contrasto, 176 pagine, 29,00 euro), le foto sono diventate una mostra che si è da poco conclusa al Nobel Peace Centre di Oslo. “Stiamo pensando di portarla a Shangai, Berlino, Amsterdam e in Italia, forse il prossimo autunno”, dice Bendiksen.

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come è nato il progetto? Nel 2002 sono diventato padre e mi sono chiesto che mondo avrebbe visto mio figlio Milo da grande. Alla sua nascita, la popolazione mondiale era di 6,5 miliardi. Nel 2008, poi, per la prima volta la popolazione urbana ha superato quella rurale: un terzo degli abitanti delle città, più di un miliardo di persone, vive negli slum. E secondo l’Onu saranno due miliardi entro 25 anni: non si può capire il mondo del futuro senza parlare degli slum. Perché li hai definiti “i luoghi in cui viviamo”? Il nostro modo di vivere è l’eccezione, gli slum la norma. E poi volevo che i visitatori si sentissero immediatamente coinvolti. Io, fotografo, sono un mezzo: sono gli abitanti a raccontarsi. Questi quartieri sono miseria, ma anche speranza: non nego povertà e criminalità, ma questo è anche uno stereotipo, come l’idea che negli slum non si faccia nulla. e invece? Soprattutto nelle baraccopoli di Dharavi, a Mumbai, ci sono molte attività: riciclerie, vasai, tessitori. Ma non è il solo valore economico: le

persone mi invitavano a entrare perché nonostante le loro case fossero posti umili, ne erano orgogliose. Alcuni avevano appeso ai muri giornali o foto della famiglia. Nello slum di Kabira, a Nairobi, il primo argomento di conversazione è stato l’arredamento: mi mostravano il nuovo divano, la nuova tivù. hai deciso per questo di ritrarli nelle loro case? Non volevo cadere nei cliché. Così ho pensato di alternare a vedute delle strade gli interni delle case. Per il libro, mi sono ispirato a un libro “pop up” di mio figlio (con pagine apribili come nei libri per bambini, ndr). Ogni sala della mostra riproduce una stanza, con le foto proiettate sui muri e le voci in sottofondo. È stato difficile entrare? No. Le persone, che raramente vengono interpellate, erano ansiose di raccontarsi. Ho affittato una stanza nel quartiere per essere più vicino agli abitanti e far capire che non ero lì per giudicarli. ti sei mai sentito in pericolo? All’aeroporto di Caracas: volevano rubarmi la macchina fotografica. Ma negli slum mai. Perché non parlare delle periferie europee? Ci ho pensato. Ho voluto però concentrarmi sugli slum, perché sono il fenomeno tipico dell’urbanizzazione nei Paesi in via di sviluppo. L’Europa potrebbe essere un nuovo progetto.


| aGenDa italia

| smart | a CUra di | anna laGorio

niente fiori, ma opere d’arte

La mia arte è differente Teatro, musica e danza sono alcuni degli ingredienti del Festival internazionale delle abilità differenti che si svolgerà a Carpi, Modena e Bologna, dal 9 al 26 maggio. Da non perdere i ballerini di “Full radious dance” (appuntamento sabato 16 a Bologna) e gli olandesi di “All the way music” (domenica 24 a Carpi). INFO TEL »

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ella foto-icona Flower Power (realizzata da Bernie Boston durante una manifestazione a Washington nel 1967), un ragazzo infila dei fiori nei fucili di quattro militari. La mostra omonima, allestita nelle sale di Villa Giulia a Verbania, inizia proprio da qui per sviluppare un percorso visionario a base di video, installazioni, body art, ma anche arazzi e dipinti barocchi. L’idea del curatore Andrea Busto, è quella di utilizzare il fiore come filo rosso per attraversare discipline ed epoche storiche, mettendone in luce di volta in volta gli aspetti scientifici, filosofici, alchemici. Come nelle tavole di Urs Lüthi (Flowers, 2006), ispirate agli erbari medievali. Ma il fiore diventa anche un mezzo di analisi sociale nella scultura dell’artista cinese Ma Jun. La sua opera è costituita da sei bottiglie di ceramica finemente decorate. Il titolo, però –Coca Cola Bottles– ne ribalta completamente il significato, strizzando l’occhio alle nuove forme di colonialismo. Invece, nella sezione riservata alla natura morta, i boccioli in fiamme di Mat Collishaw (Burning Flowers, 2004), tematizzano la fragilità dell’esistenza, in

cooperativa sociale nazareno 059 - 66.47.74 www.nazareno-coopsociale.it

Solare, energia da scoprire Più sole per tutti. Dal 15 al 23 maggio si terrà la seconda edizione degli European Solar Days, le “Giornate del sole” per promuovere l’utilizzo dell’energia solare. Un centinaio gli eventi organizzati anche in Italia, tra corsi di formazione, visite a impianti, convegni. INFO TEL »

Giornate del sole 349 - 427.70.98 www.eusd.it

“Psychotropical Anima” di Thierry Feuz.

netta contrapposizione con il nucleo di opere dedicate alle devianze. Qui, il regno vegetale si trasforma in una piccola bottega degli orrori, come nella scultura di Kiki Smith: un volto di donna “intrappolato” in un tralcio di foglie. Gli oltre 150 lavori (di artisti come Joseph Beuys, Walker Evans, Louise Bourgeois, Diego Perrone, Shirana Shabazi, Jessica Stockholder, Tobias Rehberger), sono accomunati da un desiderio. Quello di riscoprire il rapporto che unisce l’uomo alla terra. Poeticamente. INFO QUANDO TEL

Villa Giulia - Pallanza (Vb) 24 maggio - 11 settembre 2009 0323 – 50.32.49

| ticket D’oltralPe

A Milano musica e baci

Neodiplomati in bella mostra

Danimarca, sbarcano sorrisi

Il 5 - 6 - 7 giugno al circolo Arci Magnolia, all’Idroscalo di Segrate (Mi), si tiene il Mi ami (Musica italiana a Milano). Il festival della “musica bella e dei baci” giunge alla quinta edizione e si conferma come l’appuntamento imprescindibile per la musica italiana. Sui due palchi si alterneranno più di 50 band (un assaggio? Linea 77, Ministri, Dente, Statuto). Sarà allestita anche un’area relax interamente alimentata a idrogeno, dove si terranno reading (c’è attesa per il fumettista Gipi). E poi lo spazio dedicato ad artisti di strada e bancarelle, con le etichette indipendenti e la moda handmade.

Vi piace l’arte? Vi sentite un talent-scout? Dal 29 maggio avete due mesi di tempo per mettere alla prova il vostro fiuto: se capitate a Londra, non perdetevi il Free Range, la fiera dove scoprire oltre 3mila opere dei più brillanti neodiplomati inglesi in design, arte, fotografia, arredamento, esposte fino a fine luglio negli oltre 44mila metri quadrati del The Old Truman Brewery, a Brick Lane. Ingresso libero.

Da “Vietato gettare le lische nel porto” a “Attenzione, caduta mucche”, sono decine i cartelli e segnali stradali di tutto il mondo raccolti dal giornalista americano Doug Lansky sul sito signspotting.com. Alcuni tra i più curiosi e stravaganti sono oggetto di una mostra itinerante che, dal 30 maggio al 30 giugno, fa tappa a Copenhagen, nella centralissima piazza Nytorv. INFO

INFO TEL »

INFO »

free range art and design show (+44) 20 - 777.061.00 www.free-range.org.uk

TEL »

wonderful copenhagen (+45) 33 - 25.74.00 www.visitcopenhagen.com

Mi ami - Musica italiana a Milano www.rockit.it

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in prima fila

≈ esterni nasce nel 1995. sviluppa progetti per lo spazio pubblico a milano e in altre città in italia e nel mondo. organizza il milano film festival.

| non solo cannes

Madrid doc

I corti di Weimar

Video art al Partenone

Dall’1 al 10 maggio Madrid ospita “Documenta”, un festival internazionale dedicato ai documentari: cinque le sezioni (tra cui una dedicata al reportage) e 27 le location della città dove verranno proiettati i lavori in concorso. Gli organizzatori cercano volontari disposti a collaborare all’evento. Per informazioni, www.documentamadrid.com.

Sperimentazione e innovazione sono le parole d’ordine dei lavori che partecipano al “Backup award”, rassegna internazionale che raccoglie sei sezioni di corti, una di videoclip e una di spot non commerciali. Appuntamento a Weimar (Germania), dal 18 al 22 giugno. Per saperne di più, www.backup-festival.de.

È la rassegna di punta dell’Ellade nel campo delle arti visive e dei nuovi media digitali. All’edizione di quest’anno del Video art festival di Atene (in programma dal 14 al 17 maggio) verrà presentata la sezione di animazione del Milano film festival. Il programma è consultabile su www.athensvideoartfestival.gr.

| a CUra di | esterni | www.esterni.org

scugnizzi mondiali ida PaliSi

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n via Milano, a Napoli, c’è una bambina cinese che canta in dialetto. A Secondigliano, nei campi attrezzati, vive una bambina rom che da grande vorrebbe fare l’insegnante. A Ponticelli, ci sono ragazzi africani che si sentono in tutto e per tutto italiani. Mentre vicino alla nuova metro del Museo ci sono i bambini srilankesi che festeggiano il loro Capodanno. Sono solo alcuni dei protagonisti di “World Napoli”, il film documentario di Prospero Bentivenga, in visione nei circuiti cinematografici alternativi. Prodotto dall’associazione “Zero de conduite” con la collaborazione dell’Istituto italiano per gli Studi filosofici, la Regione Campania e la Provincia di Napoli, il film offre una prospettiva inedita sulla città e sulle comunità di migranti che la popolano. Che si tratti di neri o bianchi, asiatici o africani, i protagonisti sono guardati nella loro quotidianità, dal di dentro: cittadini stranieri e, allo stesso tempo, napoletani “veraci”.

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Colpisce, nell’opera di Bentivenga -regista anche di cortometraggi, programmi tivù e spettacoli teatrali- la capacità di approcciare la diversità con tocco leggero e con la curiosità di un turista in terra straniera. Una terra che rimane sullo sfondo, senza invadere mai l’inquadratura, cornice di feste, cene, riti religiosi, miscugli di pelle. Napoli come Tirana, Algeri, Shangai. E non è un caso, forse, che Bentivenga si sia fatto affiancare come assistente alla regia e nel montaggio dal figlio Eduardo, 12 anni, perché nel film sono soprattutto i bambini a parlare: della vita in famiglia e nella città, delle giornate a scuola e in strada o, nel caso dei rom, al “lavoro”. “Volevo indagare la condizione dei minori -spiega il regista-: perché di loro si parla poco. Sono gli immigrati adulti, con i loro problemi di permessi di soggiorno, di occupazione e di casa a tenere banco. E i più piccoli? Si dimenticano, ingiustamente, perché a breve saranno più di 700mila nelle nostre scuole”.

World Napoli Il film di Bentivenga sarà proiettato a giugno al festival internazionale del Cinema dei Diritti di Buenos Aires. Aggiornamenti sulle proiezioni, nei circuiti alternativi, su tintadirosso.it.


“dillo come sai”: rom a teatro | teSto | stefania la Malfa

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l buio Sergio e Carlotta salgono sul palco. Nomi e cittadinanza italiani per due giovani rom fieri di esserlo. Accompagnati dalle fisarmoniche raccontano, emozionati e in un italiano a tratti incerto, il Porrajmos, il divoramento di 500mila rom nei lager, pezzo di storia di cui loro stessi hanno da poco preso coscienza. Una scenografia di parole e suoni. Davanti a un centinaio di spettatori incuriositi. È iniziata a marzo, nella parrocchia del quartiere Molassana di Genova, l’avventura di otto rom. Obiettivo creare una propria compagnia teatrale. Oltre alla recitazione, da ottobre stanno imparando a organizzarsi autonomamente per riuscire, dal giugno prossimo, a mettere in scena degli spettacoli. “Il nome della compagnia è ‘Dillo come sai’ ma è ancora provvisorio”, spiega Sergio Cizmic quasi a sottolineare la vicina autonomia. Ha 25 anni ed è italiano ma la sua famiglia arriva dall’ex Jugoslavia. Prima lavorava come bagnino. “Speriamo di far conoscere la nostra tradizione e magari anche di ironizzare sugli episodi di razzismo”. Nel gruppo c’è anche il fratello, Ismet, 42 anni, che si occupa dell’organizzazione: sua figlia Izeta e sua nipote Emra, entrambe 15enni, sono le ballerine della compagnia. L’altra attrice è Carlotta Sejdic, 17 anni, italiana ma con genitori bosniaci. Asan Asanovic, 55 anni macedone, fa il tecnico luci e audio, prima lavorava in edilizia. Il progetto è stato avviato dal regista Pino Petruzzelli con un contributo della Regione Liguria di mille euro per ogni aspirante attore (ai provini se ne sono presentati una trentina). Tra gli insegnanti l’attore Mauro Pirovano e il fisarmonicista Gianluca Campi, l’attrice rom Dijana Pavlovic e il musicista sinto Olimpio Cari. A suonare nella futura compagnia saranno due fisarmonicisti già esperti, Mariana Ene, 40 anni, e Ion Raduca, 46. Per loro, arrivati entrambi dalla Romania con la famiglia, il corso ha quasi il sapore di un riscatto: “Siamo brava gente e siamo contenti perché abbiamo l’opportunità di smettere di lavorare in strada”, dicono. La speranza per tutti è, dunque, che funzioni.

Dillo come sai Per informazioni sul progetto è possibile contattare il Centro teatro ipotesi, in via Rimassa 41/12A a Genova, telefonando allo 010 - 27.21.194 o visitando il sito www.teatroipotesi.org. | si alzi il siPario

Orti insorti

Vite di scarto

Uno spettacolo nato da una ricerca sui ricordi del nonno, mezzadro nella campagna toscana degli anni Cinquanta. Vecchie foto e memorie, bestemmie e barzellette. Con “Orti insorti”, Elena Guerrini mette in scena l’Italia contadina che fu e ne approfitta per raccontare della scomparsa delle api, dei semi ibridi venduti dalle multinazionali e degli Ogm. Da non perdere, se siete a Milano, il festival “Teatro e natura” il 17 maggio al Parco Nord.

Un angelo spazzaturaio, una discarica e cinque storie: sono gli ingredienti di “Vite di scarto”, scritto e interpretato dall’attrice (milanese) Swewa Schneider. L’ispirazione arriva dall’opera omonima del filosofo Zygmunt Baumann: “Ero attratta dalla discarica, luogo metaforico in cui dare vita e poesia agli emarginati. Chiunque può caderci dentro. Basta poco: la perdita del lavoro, una malattia...”. Date e luoghi dello spettacolo li trovate sul sito.

info

tel »

associazione culturale creature creative 338 – 287.18.54 ortiinsorti.blogspot.com

info mail »

swewa schneider figurecapovolte@gmail.com www.figurecapovolte.it | 002 | maggio 09

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tu vuoi fare l’italiano? ≈ rockit nasce nel 1997. È il database di gruppi italiani più ricco al mondo. organizza anche eventi, tra cui il mi ami a milano e il sorpasso a roma.

Dente, il suo ultimo album si intitola “L’amore non è bello”.

| seGnali sonori

Minnie’s

l’iNterViSta “Fatta iN CaSa” al gioVaNe CaNtaUtore deNte. ProtagoNiSta del mi ami. | a CUra di | rockit | www.rockit.it

baci, festival e bucato SaNdro giorello

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uando entro in casa sua lo trovo in bagno a fare il bucato. E subito mi arrabbio con me stesso per non essermi portato dietro un fotografo. L’immagine di lui che si lava le camicie ascoltando Battisti è perfetta per presentare a tutti chi è Giuseppe Peveri, in arte Dente: un cantautore romantico -anche se lui dice il contrario- che è riuscito a trovare un modo nuovo per raccontare a trent’anni l’amore e la coppia nella sua quotidianità. Il suo ultimo “L’amore non è bello” ha ottenuto ottimi risultati di vendita, e insieme al ferrarese Le luci della centrale elettrica, alias Vasco Brondi, si conferma come uno dei nomi più promettenti della nostra scena cantautorale. È la persona più adatta per parlare di sentimenti, di carezze e soprattutto del “Mi ami”, il “festival della musica bella e dei baci” che si terrà, dal 5 al 7 giugno, a Milano. Insieme a Dente suoneranno Linea 77, Statuto, Ministri e tanti altri, tutti italiani (per saperne

di più, “Divertimenti indipendenti” in questo numero, ndr). Lui commenta: “Se vuoi te ne parlo… Anche in modo molto bello (ride, ndr). È un ottimo festival. C’è sempre molta gente e dà un sacco di visibilità ai gruppi, soprattutto agli emergenti. E poi la politica dei biglietti bassi è intelligente. Uno può vedersi anche venti concerti nello stesso giorno”. E sui baci, l’amore, qualche dichiarazione? Dente fa scena muta. Dopo qualche minuto mi dice: “Ma guarda che non sono un romanticone, non sono uno che vive in mezzo ai fiori. Faccio un po’ come tutti: la gente si innamora e poi sta male. E quando uno sta male cerca di fare dell’altro così non ci pensa: io in quei momenti scrivo”. Secondo te perché le tue canzoni piacciono? “Forse il pubblico mi ha inquadrato come quello che capisce un po’ i loro problemi”. Probabilmente è così, aggiungo io. Lui mi versa da bere e apparecchia il tavolo per la cena.

l’esercizio delle distanze (sangue disken) I Minnie’s frequentano la scena punk italiana da un decennio. Con questo disco tirano le somme, osservano la loro vita e si domandano come sarebbe stata se avessero scelto strade diverse. Un disco esistenziale, con testi curati, dove il dirompente approccio punk degli esordi abbraccia suoni più dolci. Molto bello.

Masoko Masokismo (snowdonia) Non è facile giocare con il Pop, avere dimestichezza con la forma canzone (con la C maiuscola), essere ironici al punto giusto, tanto che l’ascoltatore non saprà mai dove il ritornello strappalacrime è voluto o è una presa in giro. I Masoko ci riescono alla grande, stimolano i neuroni, mettono in circolo elettricità nuova. Il loro è uno dei migliori dischi pop usciti ultimamente.

| ProVe D’orchestra

Donne e tammorra “La consiglio alle donne, perché la tammorra è femmina”. Uno strumento sensuale, ma anche impegnativo, quello scelto da Enza Prestia, fondatrice delle Assurd, compagnia nata nel 1993 che interpreta le musiche delle tradizioni popolari del Sud Italia. Della famiglia dei tamburi a cornice, la tammorra è formata da un cerchio di legno che va dai 30 ai 60 centimetri, da 44

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Meganoidi piattini di alluminio (ricavati dalla latte dei pelati) e da una pelle di capra. “Con questo tamburo riesco a produrre note sorde e profonde che mi mettono in sintonia con la mia natura ancestrale” spiega Enza. Ma lo sforzo fisico è notevole. “Con una mano impugno il cerchio e con l’altra tocco la pelle. Il corpo si muove assieme al tamburo, in un’onda che scaturisce dal ritmo della musica . Solo così riesco a suonare per ore”.

al posto del fuoco Questo album è la conferma della capacità di scrittura mutante del combo genovese. “Al posto del fuoco” spazia ora nei territori del rock granitico, ora nelle piaghe più sottili di un cantautorato italiano fatto di versi straordinari. È un disco imbevuto di chiaroscuri musicali, che cambia continuamente pelle e si ciba di barbarie, tenebre e stupori.


bandi e concorsi ≈

| a CUra di | ilaria sesana

un’altra medicina è possibile

Trenta minuti per denunciare lo stato d’incuria in cui si trova un monumento o trasmettere l’emozione che trasmette un panorama. “Io sono qui!” è il titolo del concorso per film maker esordienti (15 - 29 anni) che mira a valorizzare i luoghi, talvolta ingorati, che fanno da sfondo alla nostra vita quotidiana. L’iniziativa, promossa dalla Provincia di Alessandria fa parte del progetto “ItinerArte”.

U

n premio che prende spunto dalla storia di un uomo malato di tumore, il giornalista Tiziano Terzani, che sceglie di curarsi in uno degli ospedali più rinomati al mondo per poi accorgersi che, agli occhi dei medici, il suo corpo è una macchina, un insieme di pezzi da aggiustare. Per questo si mette in viaggio alla ricerca di una medicina diversa, che guardi l’uomo nella sua interezza, e racconta tutto nel libro “Un altro giro di giostra” (Longanesi, 2004). Alla memoria del giornalista toscano è intitolato un Premio promosso dalla Scuola di umanizzazione della medicina della Asl di Alba-Bra (Cn) e dalla Fondazione cassa di risparmio di Bra. A disposizione 50mila euro con i quali premiare il migliore progetto formativo (corso, seminario o dibattito) che sappia promuovere cultura, tra medici e infermieri, sull’integrazione di modelli di cura di etnie diverse, sull’individualizzazione delle terapie e su tecnologie a misura d’uomo. Possono partecipare soggetti pubblici e privati, cooperative e reparti ospedalieri, enti del volontariato, dell’associazionismo e del terzo settore, anche nelle forme di associazioni di utenti. I progetti possono essere inviati dal 15 giugno al 15 novembre; la scheda di iscrizione è scaricabile dal sito premioterzani.it.

fumetti

“La crisi e la sfiga” e “Sicurezza fai da te”. Di spunti certo non ne mancano (basta sfogliare i giornali) per disegnatori e fumettisti che vogliono aggiudicarsi il premio Liberetà per la satira 2009, indetto dalla rivista dei pensionati della Cgil. C’è spazio per tutti gli stili: colore, china e matita. Perché “più punge, più fa ridere”. Mille euro il premio per il primo classificato. SCADE INFO TEL »

30.09.2009 liberetà 06 - 44.48.11 www.libereta.it

Musica

INFO TEL

Premio tiziano terzani per l’umanizzazione della medicina INFO TEL MAIL »

15.11.2009 asl di alba-Bra 0173 - 316.072 info@premioterzani.it www.premioterzani.it

| le oPPortUnitÀ Del Mese

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15.06.2009 associazione inarte 392 - 42.04.621 www.inarteproduzioni.it

SCADE

SCADE

Rock, jazz, folk o popolare, purché originale ed eseguita dal vivo. Sono le condizioni per partecipare al concorso “Musica giovane” organizzato dall’associazione culturale Tablinum di Andria (Ba). L’artista o il gruppo (età compresa tra i 15 e i 40 anni) dovranno inviare un cd con due brani inediti, i testi delle canzoni e una nota biografica. Gli artisti selezionati si esibiranno al festival andriese di musica giovane, dal 3 al 5 luglio.

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20.06.2009 ass. culturale tablinum 339 - 31.27.627 www.myspace.com/tablinum

scrittura

SCADE

arte

Sei un artista e vorresti vedere le tue opere esposte nelle piazze di una città italiana? Registrati nel database del Museo urbano sperimentale d’arte emergente (Musae). Fotografie, installazioni luminose, illustrazioni, applicazioni d’arte elettronica, preferibilmente di grandi dimensioni, entreranno a far parte nel circuito espositivo del museo e potranno essere esposte in una o più città. Ogni artista (o gruppo di artisti), potrà partecipare con un massimo di tre opere che resteranno esposte fino al marzo 2010.

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30.09.2009 Musae 02 - 700.98.11 www.eventomusae.com

fotografia

Uno scatto in montagna. Quell’immagine che resta impressa nella mente (e sulla pellicola) al termine di una faticosa ma bellissima camminata. “Le Dolomiti e la montagna veneta” è il titolo del concorso fotografico promosso dalla sezione di Cittadella (Pd) del Cai per valorizzare gli scatti realizzati ad alta quota. In bianco e nero o a colori, purché richiamino emozioni, vita o ambienti della montagna. SCADE

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cinema

30.09.2009 cai - sezione di cittadella 349 - 28.50.277 www.caicittadella.it

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Una canzone del grande Faber (“Quello che non ho”) in cambio di un racconto. È la sfida che l’associazione “Carta dannata”, in collaborazione con la libreria Max88 di Tempio Pausania (Ot), lancia agli aspiranti scrittori con il concorso letterario “Una storia sbagliata”, dedicato a Fabrizio De Andrè. Al vincitore un premio di 300 euro. SCADE INFO TEL »

30.06.2009 associazione carta Dannata 338 - 10.88.751 www.libreriamax88.com | 002 | maggio 09

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| PreVisioni Del teMPo sociale | a CUra di | Dario PalaDini

Mussulmani

lampedusa

Dipendenze

crisi

PioGGia

sole

nUVoloso

alBa soleGGiata

Quattro camionette dei carabinieri sono salite sul sagrato di una chiesa e hanno chiesto i documenti ai fedeli che uscivano dalla Messa. Come commentereste questa notizia? Bene, al posto del sagrato e della chiesa, metteteci il cortile e il garage in cui ha sede la moschea di via Padova 75 a Milano. Tutto questo è accaduto venerdì 6 marzo. “I carabinieri mi hanno detto che era un normale controllo anti clandestini -spiega Asfa Mahmoud, direttore del centro-. Sono d’accordo che la legalità vada rispettata, ma questo è un luogo di preghiera e merita altrettanto rispetto”.

“Solidarietà per le vittime del terremoto”: è lo striscione esposto, il giorno dopo il sisma in Abruzzo, da alcuni immigrati rinchiusi nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Lampedusa. Alcuni di loro sono emigrati dal Sudan o dalla Somalia e sanno bene cosa si prova a rimanere senza casa.

L’Italia spende poco più di 804 milioni di euro all’anno per la cura e il recupero dei tossicodipendenti, pari allo 0,9 per cento dell’intero bilancio nazionale della sanità. Un po’ poco, dicono gli operatori, oberati di lavoro. Nel 2007 hanno assistito 272mila tossicodipendenti (di cui 73mila alcolisti). Ogni psicologo che lavora nei Sert, per esempio, ne ha in carico più o meno 200. Una quadratura del cerchio.

Le diocesi di Milano e Padova hanno istituito un fondo di solidarietà per sostenere le persone, italiane e straniere, che si trovino in difficoltà a causa della crisi economica. Speriamo che altre realtà, non solo di Chiesa, adottino misure di questo genere. Il messaggio è chiaro: dalla recessione si esce “porgendo l’altra guancia”.

corrispondenze

a volte si sbaglia, i nostri errori sull’iran È proprio vero che, parlando di Iran, si entra nel regno degli equivoci. Ed è quello che è successo nel nostro servizio sul numero di aprile di Terre di mezzo “L’Iran che fa eccezione”. L’eccezionalità dei nostri interlocutori, Farian Sabahi e Antonello Sacchetti, non ci ha risparmiato da alcune imprecisioni di cui facciamo ammenda. La prima: dalla rivoluzione del 1979 le donne iraniane non possono più esercitare la carica di giudice. Non è dunque corretta la frase riportata e attribuita a Sacchetti secondo cui “in Iran tante donne indossano la toga di giudice”. Nella nostra conversazione lo scrittore voleva sottolineare che l’Iran è un Paese in cui le donne hanno potuto e possono esercitare molte professioni di rilevo, contrariamente a molti luoghi comuni, e questo era il senso della frase. Sacchetti ha detto che “la Ebadi non è più giudice ma non è vero che ci siano giudici donna in Iran”. In questo senso, Sacchetti si riferiva al fatto che nel 1997 Khatami aveva nominato 4 donne giudici dei tribunali di famiglia e che quindi bisogna fare sempre attenzione quando si parla delle leggi della Repubblica islamica, che sono 46

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sempre meno nette e chiare di quanto si scriva in genere in Italia. Riguardo alla “febbre da voto” su Facebook, Sacchetti si riferiva al boom di gruppi di iraniani all’estero nati su Facebook che invitano a votare Khatami: gli iraniani stanno sviluppando un dibattito su quale leader, ai loro occhi, tutelerà meglio le loro finanze ma non è esatto dire che “vedano l’ora di rientrare per votare”. C’è da dire che, nel frattempo, Khatami si è ritirato dalle elezioni. Ancora. La popolazione universitaria in Iran è a maggioranza femminile. I dati corretti dicono che le immatricolazioni femminili siano al 66 per cento e non al 70. Infine, l’istituzione di quella che definiamo con Sabahi “una sorta di social card” è ancora in via di sperimentazione, essendo entrata in vigore a fine marzo, in coincidenza del nuovo anno persiano e, secondo Sabahi, è un po’ presto per dire se abbia funzionato o no. Infine, sottolineiamo che Farian Sabahi, attualmente docente di Storia dei Paesi islamici alla Facoltà di lettere dell’università di Torino, nata in Italia, è arrivata in Iran a 8 mesi

e ha sempre viaggiato tra l’Italia e l’Iran fino alla rivoluzione del 1979. La frase esattamente pronunciata è: “La mia prima volta in Iran è stata a 8 mesi. Dopo la rivoluzione non sono più rientrata, fino al ’97”. Per chi volesse approfondire alcuni aspetti del suo lavoro e del suo paese, segnaliamo il documentario “Out of place”, storia di una donna che nel 1987 decide di lasciare Teheran per trasferirsi in Israele. Il documentario è già stato presentato al Festival milanese “Sguardi altrove”. Laura Silvia Battaglia

≈ nostalgia del vecchio Terre aUrelio BUletti, lUgaNo

Gentile direttore, ho comperato ieri a Como da uno dei vostri venditori Terre di mezzo nella sua nuova forma: complimenti! Sarà lecito avere qualche piccola malinconia per la vecchia e “gloriosa” veste, ma il nuovo aspetto oltre a essere un buon segno di vitalità promette anche nuovi successi e lunga vita. Se serve qualche augurio, ve lo faccio volentieri.


| hoMeless worlD cUP | a CUra di | MassiMo acanfora

volontari a bordo campo D

al centro di accoglienza al centro del campo, dall’alcolismo al dribbling ubriacante: questo è lo spirito della Homeless world cup, la coppa del mondo di calcio di strada che si terrà a Milano, dal 6 al 13 settembre, nel parco Sempione, il cuore verde della città. Con lo stesso spirito chiediamo di scendere in campo a 500 volontari, uomini e donne, che credono nella capacità dello sport di cambiare la vita delle persone senza dimora. I volontari saranno gli indispensabili protagonisti dell’evento. Un supporto sul campo, durante l’evento ma anche dietro le quinte, nell’organizzazione e nelle relazioni con i team, i giocatori, i coach. Per essere volontari non ci sono limiti di età. Tutti sono preziosi, ma abbiamo soprattutto bi-

sogno di persone con speciali abilità: non la proprietà di palleggio o il tiro da fuori, ma la padronanza di una lingua, la conoscenza della città, capacità organizzative e di relazione. Offriamo a ciascuno il kit del volontario (T-shirt e cappellino, un “pass” per muoversi in città, buoni pasto), ma soprattutto una formazione accurata in collaborazione con il Ciessevi (Centro servizi per il volontariato): i segreti dell’evento, chi sono i senza dimora e il giusto approccio discreto e solidale al loro mondo. Iscriviti a volontari@milanomyland. it o chiama Adriano Noli allo 02 54.65.763, riceverai la scheda di partecipazione e sarai costantemente aggiornato su incontri e altre notizie. Viva il calcio senza dimora!

| insieMe nelle terre Di Mezzo onlUs

cercasi spot sovversivi ilaria taVaSCi

i

mmigrati come lamette per la barba, usa e getta. Vanno bene fino a quando possono lavorare, altrimenti devono tornarsene a “casa loro”. Il tema della sesta edizione del concorso “Buy nothing day contest” è quanto mai attuale: “Immigrato: economico, multiuso, a pronta espulsione”. Il concorso è dedicato a coloro (professionisti e non) che vogliano, per una volta, giocare e sovvertire i messaggi della pubblicità. I partecipanti dovranno prendere uno spot, uno slogan, un manifesto pubblicitario e ricomporlo, renderlo paradossale, ridicolizzarlo, a partire dalla provocazione “immigrato = prodotto di mercato”. La nostra società, animata dalla logica del consumo, corre il rischio di considerare gli stranieri solo come ingranaggi della macchina produttiva e non come persone. Il “Bnd contest” è un’iniziativa lanciata da Terre di Mezzo nel 2001 e prende spunto dalla “Giornata mondiale del non acquisto”, promossa dal network internazionale di artisti e scrittori “Adbusters”: niente shopping per un

compra e vendi il nostro magazine

giorno. Quest’anno l’appuntamento è per sabato 28 novembre. Il termine per la consegna delle opere è il 30 giugno 2009. Della giuria fanno parte Vauro (vignettista), Paula Vivanco (giornalista di Metropoli - la Repubblica) e Modou Gueye (attore senegalese). I lavori selezionati daranno vita a una mostra itinerante per eventi, scuole, teatri e associazioni. Il bando del concorso è su terre.it. Per informazioni: bnd@terre.it oppure 02 - 58.118.328.

Gestisci un’edicola, una libreria, un ristorante, un bar o un altro esercizio commerciale e vuoi vendere Terre di mezzo? Puoi farlo! Contattaci al numero 02 - 87.365.602 oppure scrivi a redazione@terre.it.

A Milano ci trovate da “CartaCanta”, l’edicola solidale in viale Monza 106, a due passi dalla MM rossa Turro (www.edicolacartacanta.com). | 002 | maggio 09

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avvista(menti)

tutta colpa di cecco

Deejay, attore e cantautore, Cecco Signa, 36 anni e un simpatico accento modenese, è soprattutto un marito e un papà felice. Tanto che il suo ultimo cd, “Colpa di Giuda” (Sugarmusic, 2009), l’ha dedicato proprio alla famiglia, perché “l’amore è l’unica certezza della vita”. Se ve lo siete perso al cinema in “Tutta colpa di Giuda”, con i detenuti delle Vallette di Torino, tenetelo d’occhio su myspace.com/ceccosigna.

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Stabilimento “Solvis” a emissioni zero. Nel 2001 ha ricevuto il premio per l’innovazione “architettura e tecnica”.

Usare il sole:

una scelta etica, che fa bene all’ambiente e al futuro. Le riserve d’energia si stanno esaurendo: il carbone finirà fra 150 anni, il petrolio, il metano e l’uranio fra 50 e i costi dei combustibili fossili continuano a salire vertiginosamente.

Ed è proprio perché vogliamo preparare un futuro pulito che dal 1992, tra i primi in Italia, lavoriamo nelle energie rinnovabili portando in Italia le esperienze di Solvis e IDM.

Il sole continuerà a regalarci energia pari a 2.500 volte quella che consumiamo per i prossimi 5 miliardi di anni. La natura ha già imparato a utilizzare l’energia del sole, ma solo ora l’uomo si è reso conto che il sole è l’inesauribile “nuova” fonte di energia del futuro che preserva l’ambiente in cui viviamo e vivranno i nostri figli.

Solvis: cooperativa di lavoratori e fabbrica a zero emissioni Solvis è una cooperativa di lavoratori che, dal 1988, si occupa di solare termico diventando l’azienda tedesca leader nella costruzione di pannelli solari con le soluzioni più innovative con più di 25.000 impianti installati.

Nel 2002 Solvis ha voluto mettere in pratica la propria filosofia aziendale sperimentando le migliori tecnologie di bioedilizia e per la produzione di energia nella sua nuova fabbrica a Braunschweig conseguendo, per questo, il premio Energy Globe Award per la più grande fabbrica europea ad emissioni zero (solvis.de). Ma l’energia si può ottenere anche dal suolo e, per i progetti di geotermia, Suntek ha scelto come partner l’azienda IDM per l’esperienza nel riscaldamento e raffrescamento degli ambienti.

Vieni a conoscerci su suntek.it, vogliamo progettare, assieme a te, un nuovo mondo. Dimezzare i costi energetici Casa unifamigliare a Como: 2 collettori Solvis F-55 (11 m²) e un SolvisMax Gas (SX-950). Consumi di gas naturale: con la vecchia caldaia: 3.450 m³ con SolvisMax: 1.800 m³.

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Dopo il successo della Guida al Cammino di Santiago de Compostela, sempre più pellegrini decidono di percorrere anche il Cammino del Nord, un affascinante itinerario lungo la costa nord della Spagna, affacciati sull’oceano. Nella guida trovate tutto quello che c’è da sapere per mettersi in cammino: le tappe, la fatica, i periodi migliori per partire, l’essenziale sull’arte e sui luoghi del Cammino. Per ogni tappa una scheda con i percorsi, le carte e le altimetrie. Ma anche i rifugi dove riassaporare l’ospitalità gratuita dei pellegrini di un tempo, con tutti gli indirizzi utili.

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