Terre di mezzo, numero zero

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febbraio 2009 € 2,50

Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, DCB Milano Roserio

amianto quotidiano

pronto a partire?

fuorilegge a piede libero: proibito nel 1992, il minerale killer miete vittime fuori e dentro casa

nasce un  terre di mezzo  completamente nuovo:

il primo street magazine italiano, il primo fondato dal basso, che fa della condivisione un progetto. P e r c h é i l s o c i a l e n o n diventa uno dei duemila fondatori: Abbonati su w w w.t erre . it

nozze all’italiana Filmini Formato cinema: è più ai m argini, m a al centro.

una Giovane regista Cattura il BelPaese nel giorno del fatidico sì

facciamo numero

elyron.it

Obiettivo 2000: nuovi lettori Cercansi. Se siete Disposti a guardare l’italia da un altro punto di vista, vi invitiamo a leggere questo giornale. e a non esserne gelosi

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A gerusalemme In cammino nella storia

Alla scoperta di Milano

come sempre spostarsi a piedi obbliga a incontrare persone, culture, religioni diverse...

Davide De Luca illustrazioni di Gabriele Orlando LA STORIA SUI MURI 192 pagine - 25,00 euro

350 chilometri di cammino in terra santa 16 giorni a piedi tra Israele e Palestina, sulle orme degli antichi pellegrini che, sbarcati ad Acri, avevano come meta la città santa. La “salita” a Gerusalemme, ma anche Nazaret e il Tabor, il monte delle Beatitudini, Gerico, Betlemme. Con le cartine, i percorsi, gli indirizzi, i costi.

novità terre di mezzo

PAOLO GIULIETTI A PIEDI A GERUSALEMME 176 pagine - 17,00 euro

della stessa collana:

Protagonisti illustri e sconosciuti: tutti i volti di una città insolita e sorprendente I muri di Milano sono una miniera di storie. Centinaia di targhe disseminate per strade e piazze raccontano di personaggi famosi o di comuni mortali: un libro aperto sulla storia passata e recente della città, un viaggio ricco di sorprese.

guida al cammino di santiago de compostela A piedi: 176 pagine- 17,00 euro In bicicletta: 168 pagine- 17,00 euro

38 giorni a piedi dal Monginevro a Roma lungo lo storico tracciato. Monica D’Atti, Franco Cinti

Guida alla Via Francigena

208 pagine - 17,00 euro

La prima guida a piedi sulle “strade di San Francesco”: tra La Verna, Gubbio, Assisi, Rieti. Angela M. Seracchioli

Un inedito connubio di percorsi a piedi e su ferrovie secondarie, nei luoghi dove ha vissuto il monaco eremita e papa del “grande rifiuto<.

168 pagine - 17,00 euro

Riccardo Carnovalini, Roberta Ferraris

di qui passò francesco

GLI EREMI DI CELESTINO V 192 pagine - 18,00 euro

I LIBRI DI TERRE DI MEZZO: IN LIBRERIA, IN STRADA E SUL SITO libri.terre.it

divertimento indipendente Se volete divertirvi ma siete stanchi della cultura venduta un tanto al chilo, se cercate una proposta non omologata e originale, a Milano ce n’è per tutti i gusti: dalla videoteca specializzata al teatro “civile”, dalla libreria jazz allo spazio espositivo attento ai giovani artisti, dal cineforum alla musica davvero alternativa in un centro sociale di periferia. Una guida pratica per orientarsi tra 120 proposte, suddivise per tipologia e zona della città.

DIVERTIRSI A MILANO SENZA PADRONI 128 pagine - 8,90 euro

I LIBRI DI TERRE DI MEZZO: IN LIBRERIA, IN STRADA E SUL SITO libri.terre.it


| notizie in circolo

A

ncora non ci credo. E questa volta penso di non essere l’unica. Più lo guardo, e più mi piace. Già, perché è bello, ironico, intelligente. Ma soprattutto ricco. Di idee, fotografie, notizie. Nelle pagine di questo giornale c’è davvero un mondo: sono tante le realtà, gli amici e i colleghi che si sono dati appuntamento nelle nostre “terre di mezzo”. Per condividere informazioni e saperi, per confrontare i punti di vista. Per dialogare tra loro, e con voi lettori. I primi a scommetterci sono stati proprio i nostri collaboratori: Ulderico Pesce, Pat Carra e Loretta Napoleoni, Leo Brogioni, Valerio M. Visintin e tutte le firme “amiche” che incontrerete sfogliando queste pagine. Siamo andati a trovarli nei luoghi e alle ore più impensate: nei circoli proletari dell’hinterland, raggiunti oltre Atlantico o dietro le mura di un carcere. Impegnati sui fronti più diversi, si sono fermati per un istante ad ascoltarci. A rimanere senza parole però siamo stati noi, di fronte a ogni sì, ai tanti si può fare, mi piace, ci sto. Da quegli incontri è nato Terre di mezzo – street magazine. Quello che avete tra le mani è solo l’inizio, il nostro numero zero. Ve lo presentiamo, con un pizzico di orgoglio. Nelle grandi realtà editoriali di solito il numero zero è “top secret”. Si tratta di una prova, un segreto che si rivela a gruppi di lettori scelti in cambio di critiche e consigli. Così, si corregge il tiro. Vi chiediamo di fare lo stesso. Sfogliate questo giornale e lasciatevi incuriosire dalle tante novità che vi accoglieranno a ogni volta di pagina. In questo numero vi regaliamo più che un assaggio, vi proponiamo uno sguardo alternativo sulla società. Se vi riconoscete in questa sfida, fateci volare verso quei 2mila nuovi abbonati che ci permetteranno ogni mese di dar voce a queste ormai abitate Terre di mezzo. Leggetelo, crediamo ne valga la pena.

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giro d’italia di Ulderico Pesce / micro&macro di Loretta Napoleoni / cassandra che ride di Pat Carra / scusi... dov’e’ il centro? di Laboratorio Perimetro

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l’intervista Carlo Lucarelli di Ilaria Sesana

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l’inchiesta Amianto quotidiano di Dario Paladini e Francesco Abiuso, con interventi di Enrico Bullian e Loretta Napoleoni. Capannoni, navi, thermos e palazzi: in Italia l’amianto ha provocato oltre 8mila morti in 12 anni. E negli Usa era persino nelle Torri Gemelle.

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made in italy a cura di Paula Baudet Vivanco / C’È chi dice no Vacanze contro la ’ndrangheta

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FOTOREPORTAGE URBANO Storie popolari di Chiara Goia

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le storie di terre Matrimoni all’italiana di Valeria Raimondi

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voci dentro: l’italia, vista dai suoi detenuti a cura delle redazioni delle carceri di Piacenza, Bollate e Padova-Venezia  | ALTERNATIVE POSSIBILI

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viaggiatori viaggianti Appuntamento a Metelkova di Osvaldo Spadaro / Viaggiare leggeri a cura di Legambiente

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| editoriale | elena parasiliti

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LE STORIE DI TERRE Un guardaroba a noleggio di Eleonora De Bernardi / CRITICAL FASHION di Tiziana Tronci / mondopen a cura di OpenLabs

punti di vista

| RISERVE mentali

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scrittori nel cassetto Via Arquata di Dark0 / forchette e bacchette di Valerio Massimo Visintin

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invenzioni a due voci Enzo Barnabà incontra Pap Khouma di Laura Silvia Battaglia / IN PRIMA FILA a cura di esterni / tu vuoi fare l’italiano? a cura di Rockit / bandi e concorsi

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previsioni del tempo / corrispondenze / il perché del nome

n. 000 FEbbraio 2009 www.terre.it

Direttore responsabile Elena Parasiliti direttore@terre.it Redazione Andrea Rottini Dario Paladini Ilaria Sesana Francesco Abiuso redazione@terre.it Art director Antonella Carnicelli grafico@terre.it

Progetto grafico Elyron.it

Segreteria segreteria@terre.it

Ringraziamo per questo numero Carola Fumagalli, Carlo Giorgi, Rosy Iaione, Chiara Righi, Giorgia Ricagni, la redazione di Terre di mezzo editore, il magazzino e lo staff di Fa’ la cosa giusta!.

Magazzino magazzino@terre.it Pubblicità segreteria@terre.it

Direzione e redazione Cart’armata Edizioni srl via Calatafimi 10, 20122 Milano tel. 02 - 83.242.426 fax 02 - 83.390.251 Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 566 del 22 ottobre 1994 Terre di mezzo è tra i promotori di International Network of Street Papers www.street-papers.org

Stampa Arti Grafiche Stefano Pinelli Srl Via Farneti 8, 20129 Milano tel. 02 - 20.47.722 fax 02 - 20.49.073 Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, DCB Milano Roserio

1,50 euro del prezzo di questo giornale restano al venditore | 000 | febbraio 09

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In queste pagine trovate tutti i modi per essere parte di questa avventura. Vi chiediamo di abbonarvi o di regalare un abbonamento ad amici, colleghi, parenti.

Con questo numero zero che avete tra le mani, l’autobus di Terre di mezzo - street magazine accende il motore. A bordo ci sono già 500 nuovi abbonati. Per partire, però, il nostro giornale ha bisogno di altri lettori-fondatori: dobbiamo arrivare infatti a 2.000 nuovi abbonati. Bastano anche solo 5 euro, perché mai come in questo caso l’importante è partecipare. Solo quando saremo 2.000 inizieremo a stampare ogni mese il giornale.

E abbiamo bisogno del vostro passaparola. Fate circolare la voce: Terre di mezzo rinasce.

facciamo numero: fonda U

na scommessa inedita nel panorama giornalistico italiano, un prodotto editoriale che si occupa in modo nuovo del sociale e che abbraccia la nostra vita quotidiana. Sì, perché per noi “sociale” significa relazione: quella che sta dietro a una notizia o a un’inchiesta, ma anche ai nostri consumi, dalla moda alla musica. Una sfida che vogliamo lanciare attraverso uno strumento insolito: la partecipazione diretta e diffusa alla fondazione di un nuovo giornale. Sull’esempio di alcuni casi di successo realizzati in ambito musicale e cinematografico all’estero (ma ce ne sono alcuni anche nel nostro Paese), vi chiediamo di essere parte della nascita del primo street magazine italiano, con una quota che si tradurrà poi in un abbonamento a un giornale ricco di contenuti. Terre sarà così il primo caso editoriale di giornale fondato direttamente dai lettori, da tutti coloro che ci mettono del proprio: una piccola cifra, un’idea, una donazione, un regalo, una segnalazione. Per saperne di più scrivici oppure, se il nostro progetto ti convince, sottoscrivi una delle quote che ti proponiamo.

≈ 5 euro

≈ Amico (200 euro)

abbonamento annuale + 4 libri di terre + 2 ingressi a flcg 2009

1 numero + 2 in download

Con 5 euro puoi dare una mano a far partire il progetto. Una volta nato il giornale, ti invieremo il primo numero per posta e potrai scaricare (download) il numero 2 e 3 in formato pdf, collegandoti al sito www.terre.it.

≈ 15 euro

5 numer1 + 2 in download

Con 15 euro sarai a tutti gli effetti già a bordo. Ti invieremo i primi 5 numeri del giornale più 2 in download.

≈ 25 euro

8 numer1 + 3 in download

Con 25 euro avrai diritto a 8 numeri di Terre più 3 in download.

≈ 50 euro abbonamento annuale + 1 libro di terre

Con 50 euro avrai diritto a 11 numeri più un libro della collana “Narrativa” di Terre di mezzo Editore.

Versando una quota di 200 euro, potrai diventare “amico” di Terre di mezzo. In cambio, riceverai un abbonamento annuale (11 numeri cartacei), quattro libri della collana “Narrativa” di Terre di mezzo Editore e due ingressi gratuiti a Fa’ la cosa giusta! 2009.

≈ Sostenitore (500 euro) abbonamento annuale + 4 libri di terre + 2 ingressi a flcg 2009

Infine, se deciderai di diventare nostro “sostenitore”, con una quota di 500 euro sarai annoverato tra i grandi cofondatori di Terre di mezzo e riceverai un abbonamento annuale (11 numeri), quattro libri della collana “Narrativa” di Terre di mezzo Editore e due ingressi gratuiti a Fa’ la cosa giusta! 2009.

compra il biglietto Scegli l’abbonamento che fa per te. Su www.terre.it puoi seguire l’andamento della campagna e abbonarti. 2

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Terre di mezzo - street magazine sarà così il primo giornale in Italia fondato dal basso, sostenuto solo dai suoi lettori.

Le parole d’ordine del nuovo Terre sono: informazione, condivisione e cambiamento.

Sarà il mensile delle “alternative possibili”, moda e divertimenti compresi. Oggi più che mai il sociale fa parte della nostra quotidianità. Vi aspettiamo.

Vi racconteremo il Paese con le nostre inchieste, i reportage urbani e di viaggio, e una scuola di scrittura.

con noi il nuovo terre | come abbonarsi | web, banca, posta o in redazione

≈ In viaggio x due (100 euro)

2 abbonamenti annuali + 2 libri di terre + 2 ingressi a flcg 2009

Con l’opzione “in viaggio per due” (100 euro), hai diritto a due abbonamenti annuali (11 numeri), a due libri della collana “Narrativa” di Terre di mezzo Editore e a due ingressi a Fa’ la cosa giusta! 2009.

1 Sul web

2 In banca o in posta

Con la tua carta di credito puoi abbonarti in pochi minuti andando sul nostro sito: www.terre.it.

Se non hai familiarità con carte di credito e internet, puoi usare il buon vecchio metodo del versamento in posta o un bonifico bancario.

3 In redazione Dalle 9.30 alle 18, dal lunedì al venerdì, trovi sempre qualcuno in via Calatafimi 10 a Milano pronto ad accoglierti. Mentre compili il modulo, ti offriamo un caffé.

≈ Estero (15 euro)

Per velocizzare l’abbonamento in banca o in posta puoi utilizzare questo modulo e inviarcelo.

abbonamento annuale in pdf

Offro:

Se abiti, studi o lavori in un Paese straniero, non perderti l’appuntamento con la libera informazione dall’Italia! Con l’opzione estero, a soli 15 euro, potrai scaricare un anno di Terre (11 numeri) in pdf!

≈ Gruppi base (20 euro) abbonamento annuale

≈ Gruppi speciale (30 euro) abbonamento annuale + 4 libri di terre

Bonifico bancario Intestatario: Cart’armata Edizioni Srl Banca: BPM AG.7 MILANO IBAN: IT24X0558401607000000046378 SWIFT: BPMIITMM

5 euro 15 euro 25 euro 50 euro In viaggio per due Amico Sostenitore Estero Gruppi base

≈ Biblioteche (30 euro)

Gruppi speciale

abbonamento annuale + 4 libri di terre

Biblioteche

Se fai parte di gruppi, associazioni, o se lavori in una scuola, potrai sottoscrivere quote-abbonamento annuali davvero vantaggiose. E c’è un’offerta speciale anche per le biblioteche!

Pago con: Versamento su c/c postale Intestatario: Terre di mezzo Cart’armata Edizioni srl Indirizzo: via Calatafimi 10, 20122 Milano C/C: 42235200

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opinioni | ulderico pesce | giro d’italia | www.uldericopesce.com

≈ Ulderico Pesce, autore di teatro civile,

gira l’Italia con i suoi spettacoli di denuncia, tra gli altri “Storie di scorie”. Dirige il Centro mediterraneo delle arti.

È

risaputo che il 75 per cento dei rifiuti industriali italiani si producono al Nord e che una parte viene smaltita illegalmente sulle terre fertili del Casertano o nel Tavoliere delle Puglie o in Calabria. Nel solo 2007 la malavita è arrivata a nascondere sotto terra una montagna di rifiuti tossici alta 2.600 metri e con una base di tre ettari. Nel Sud, nonostante questi numeri, lo Stato sta cominciando a funzionare con i suoi mezzi di prevenzione e controllo: i malavitosi hanno intuito che il loro spazio di azione diminuisce, perciò prelevano parte dei rifiuti industriali del Nord e li scaricano direttamente nei terreni del Nord, superando i controlli e risparmiando benzina. Qualche esempio? Il 18 settembre scorso viene arrestato a Milano Fortunato Stillitano, ’ndranghetista, che ha scaricato 178mila metri cubi di rifiuti al piombo e al cromo in terreni alle porte di Milano, tra i comuni di Desio, Seregno e Briosco. Dobbiamo essere grati al sostituto procuratore di Monza

caserta-milano, andata e ritorno

Giordano Baggio che l’ha scoperto, anche se ho grandi perplessità sulla durata dell’arresto. In genere, infatti, i trafficanti di rifiuti pagano un’ammenda pecuniaria ed escono perché il reato contro l’ambiente non è inserito nel codice penale italiano (pensare che nel 1231 l’imperatore Federico II puniva questo reato con la condanna a morte). Sempre a Milano, il Comune realizza un parcheggio interrato di cinque piani in piazza Meda, dietro il Duomo. A vincere l’appalto per realizzare lo scavo è la ditta Codelfa della famiglia Gavio, che lo subappalta a Marras, un sardo che vive vicino a Milano e che ha sul suo conto varie indagini per tentato omicidio volontario, sequestro di persona a scopo di rapina, porto abusivo di armi, furto, rapina, associazione per delinquere. Cosa ci fanno le sue ruspe sotto la Madonnina? Dobbiamo ringraziare il Prefetto di Como che si è accorto del pericolo e poi chiederci con urgenza cosa stia succedendo nel Nord, prima che sia troppo tardi.

| loretta napoleoni | Micro&macro | www.lorettanapoleoni.org

quando la crisi capovolge gli equilibri A

lla riunione del Fondo monetario internazionale di ottobre i Paesi in via di sviluppo hanno attaccato quelli ricchi, responsabili della crisi finanziaria. Le nazioni che dovevano dare l’esempio di buon governo, di ottimi standard e codici di comportamento per il settore finanziario sono quelle da dove nascono i problemi finanziari che oggi mettono a repentaglio la stabilità del mondo, queste le parole del ministro delle Finanze brasiliano, Guido Mantega. È la prima volta che i ruoli si rovesciano e il Sud del mondo esprime disappunto nei confronti delle politiche economiche del Nord. Il pericolo è serio: la negligenza delle banche occidentali rischia di trascinare nella recessione il pianeta e di porre fine al processo di sviluppo dei Paesi più poveri, ai quali il Fondo monetario ha imposto regole severe. Ecco perché le loro riserve monetarie sono più solide e l’indebitamento del settore bancario irrisorio rispetto a quello dei giganti della globalizzazione. Riuscirà il Sud a ‘schivare’ la recessione grazie alla solidità delle proprie economie? Per farlo i governi devono stimolare la domanda 4

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interna e far crescere i rapporti commerciali tra Paesi in via di sviluppo. Negli ultimi 20 anni, dalla caduta del Muro di Berlino, il contributo delle nazioni povere al Pil mondiale è passato dal 25 al 50 per cento. Anche il consumo interno è aumentato e nei Paesi “Bric” (Brasile, Russia, India e Cina) -le economie trainanti- cresce a un ritmo tre volte superiore di quello dei Paesi industrializzati. Ma i segni della modernizzazione non finiscono qui: secondo la banca inglese Hsbc, nel 2007 la spesa reale di capitale dei paesi Bric è salita del 17 per cento, mentre quella dei paesi ricchi è appena l’1,2 per cento. Il commercio tra economie emergenti sta per superare quello tra Nord e Sud. Nel 2007 le esportazioni cinesi negli Stati Uniti sono cresciute solo del 5 per cento, mentre quelle dirette in Brasile, India e Russia sono salite del 60 per cento. La più grande crisi finanziaria del dopoguerra potrebbe rovesciare gli equilibri economici del mondo e offrire ai Paesi poveri l’opportunità tanto attesa di raggiungere il livello di sviluppo di quelli ricchi.

≈ Loretta Napoleoni, economista, vive tra

Londra e gli Stati Uniti. Tra i massimi esperti di terrorismo, è consulente per la Bbc e la Cnn ed editorialista per El Pais, Le Monde e The Guardian.

Tokyo, ottobre 2008: la sagoma di un passante si staglia su un tabellone elettronico con gli indici delle borse mondiali. (Reuters/Toru Hanai)


Nella pagina a fianco: in rosso, l’area delle discariche abusive di materiali tossici scoperte dalla Polizia provinciale di Milano, tra i comuni di Desio e Seregno. (De Grandis/Fotogramma)

| pat carra | cassandra che ride | www.patcarra.it

| laboratorio perimetro | scusi... dov’È il centro? | www.perimetrolab.it

foto di classe per alunni stranieri D ≈ Il Laboratorio periferie metropolitane è diretto da Francesca Zajczyk, docente di Sociologia all’università Bicocca di Milano. È un luogo di condivisione e ricerca sulle trasformazioni metropolitane.

Gruppo di studenti di una scuola lombarda. (Lorenzo Passoni/Tam Tam)

ieci anni fa erano poco più di 70mila, oggi gli alunni stranieri hanno superato il mezzo milione, pari al 5,6 per cento della popolazione scolastica. Ma non tutte le regioni e le scuole sono coinvolte allo stesso modo. Se l’Emilia-Romagna è la regione a più alta incidenza di alunni figli di immigrati (10,7 per cento), la Lombardia ne ospita il maggior numero (121.520, quasi un quarto del totale nazionale), mentre le regioni del Sud cominciano solo ora a confrontarsi con il fenomeno. Tra le province con più classi multietniche troviamo Milano, Torino, Bolzano, Roma e Brescia. All’interno della stessa città, istituti distanti anche solo poche centinaia di metri possono presentare tassi di concentrazione straniera molto diversi. A Milano, ad esempio, la maggior parte delle scuole di primo grado (elementari e medie) ha un’incidenza di iscritti stranieri inferiore al 20 per cento, mentre solo in alcuni istituti si supera il 30 o il 40 per cento del totale, e in qualche raro caso anche il 50. Le 14 scuole a più alta incidenza accol-

gono, da sole, quasi un terzo di tutti gli alunni stranieri della città. Questa disomogeneità è il risultato di più fattori. Le famiglie immigrate abitano soprattutto in alcuni quartieri, con conseguente aumento del “peso” degli allievi stranieri nelle scuole della zona. Contano poi i comportamenti delle famiglie italiane, che evitano di iscrivere i figli nelle classi che ospitano molti bambini immigrati. La concentrazione di alunni stranieri costituisce un problema, per almeno due ragioni. Da un lato, genera frustrazione nel corpo docente e indebolisce le capacità di integrazione e promozione sociale dell’istituzione scolastica. Nel contempo, come già avvenuto in altri Paesi europei, c’è il rischio che si creino dei ghetti. Oltre a essere sbagliata sul piano educativo e delle possibilità di apprendimento, la proposta della Lega Nord di creare “classi ponte” per soli alunni immigrati, un effetto lo ha già sortito: ha banalizzato una questione seria e complessa. (Barbara Borlini)

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la logica del quadrato abbiamo incontrato carlo lucarelli a bologna, nell’appartamento che condivide con la scrittrice simona vinci. E nella sua cucina, tra i cartoni della pizza, ci ha spiegato che a lui, in fondo, i misteri non piacciono.  | testo | ilaria sesana | foto | alessandro albert/grazia neri

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| l’intervista


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n appartamento condiviso nel quartiere Santo Stefano a Bologna. “Simona (Vinci, scrittrice) cercava una casa in città e abbiamo deciso di fare questo investimento insieme. Lei ci vive e io ho allestito qui il mio studio”, spiega Carlo Lucarelli. Maglia nera, pantalone beige, il giallista mi accoglie nella sua cucina per un pranzo in compagnia, accanto a me la coinquilina e un amico di passaggio. Attorno ai cartoni della pizza, commentiamo le reazioni suscitate dalla puntata di “Blu notte” dedicata ai rapporti tra mafia e politica dove si facevano i nomi di Giulio Andreotti, Silvio Berlusconi e del suo stalliere, Silvano Mangano. “Mi aspettavo l’editto bulgaro anche per noi -ammette Lucarelli, una pausa a effetto-. No: la nuova strategia è far finta di niente, così i giornali non scrivono nulla e tutto finisce lì”. Altra pausa, un gesto “televisivo”: “Ma non è vero che tutto finisce. La puntata, in onda in prima serata su Rai Tre, ha avuto 2 milioni e 500mila telespettatori e ora è su internet. Quindi, forse, sono diventati 5 milioni. Cosa faranno queste persone? Ci ripenseranno?”. Tra frigo e fornelli scopro anche che a Carlo Lucarelli i misteri proprio non piacciono. “Mi attraggono –dice–. Però, se scrivi gialli, è perché non vuoi che esistano”. E mi spiega che nei romanzi mette in scena un quadratino di vita –ne disegna la forma sul tavolo– e all’interno di quel quadrato c’è una logica. “Il problema è che viene voglia di fare altrettanto nella vita reale. È molto frustrante”.

È come leggere un giallo appassionante, cui manca l’ultima pagina.

di criminalità organizzata finisci anche per parlare del traffico di rifiuti tossici.

Che differenza c’è tra scrivere un romanzo e raccontare la realtà? Dal punto di vista narrativo nessuna. In entrambi i casi, riprendo dei fatti veri e li metto in scena. -ci riflette, e se ne esce con un esempio. Il tono della voce cambia-. C’è una finestra chiusa, i pompieri in strada. “Oddio, cos’è successo?” La tensione cresce… Si apre la porta e c’è una donna stesa per terra. Chi sarà? E allora si comincia dal principio, come in un flash back.

Un tema che ci porta all’omicidio della giornalista Ilaria Alpi. In Somalia si occupava proprio di questo: armi e rifiuti tossici. Credo che nelle prossime puntate riuscirò a parlare anche della sua vicenda. È un desiderio che coltivo da tempo, ma solo ora le due Commissioni parlamentari che hanno indagato sul caso hanno prodotto della documentazione utile a ricostruire i fatti. Potremo dunque consultare le carte e farle conoscere. Penso che la storia di Ilaria Alpi avrà un forte impatto emotivo sugli spettatori: chi vedrà la puntata, alla fine, spegnerà la tivù e resterà con una grande rabbia.

Ti accade anche quando racconti casi come quello di Ustica? La strage di Ustica non è un mistero, ma un segreto. Ufficialmente non si sa che cosa sia successo. Ma se provo a collegare i fatti e uso il buonsenso, posso arrivare a una spiegazione plausibile. Per avere la certezza assoluta, la verità “giudiziaria”, però bisognerebbe trovare la famosa carta nel cassetto. I casi di cronaca sì, sono veri misteri: se non conosci la dinamica di un omicidio, non riesci a ricostruirlo.

Non hai mai paura? Roberto Saviano, da più due anni, per questo vive sotto scorta. Roberto, e come lui altri giornalisti, stanno sul posto e fanno inchieste: sono più pericolosi di me e di “Blu notte”. Noi siamo un programma storico: rompiamo le scatole perché facciamo memoria in prima serata.

da dove ti deriva la passione per la verità ? IN Parte da un’indignazione civile. Scoprire la verità significa migliorare la vita.

Ritorniamo anche noi al punto di partenza: la mafia. Che fine ha fatto Cosa nostra? Agisce in silenzio e si è riciclata in un comitato d’affari che utilizza mezzi criminali. Te ne stai occupando ancora, dunque. Mi interessa l’aspetto economico, quotidiano della mafia. Di solito si pensa al mafioso come a uno che di mestiere rapina, spaccia e chiede il pizzo. E se non hai a che fare con un tipo così, ti convinci che la mafia non ti riguarda. Un errore: la criminalità organizzata avvelena anche te, scaricando rifiuti tossici dove non potrebbe, o ti costruisce un casermone davanti a casa perché lucra sui terreni. Quanto ne siamo consapevoli? Per nulla: questa mafia è assolutamente sconosciuta. La sfida è farlo capire alla gente.

In “Navi a perdere”, uscito per la collana VerdeNero (Edizioni Ambiente), parli di ecomafia. Non c’è un motivo particolare. Se ti occupi

Conosci bene i tuoi spettatori. Ho la fortuna di incontrarli per strada. Universitari, ragazzi anche giovanissimi, e molti extracomunitari. Tra loro, anche la mia benzinaia, una giovane romena che guarda la trasmissione con il fidanzato italiano. Le ho chiesto perché: “Vivo qui -mi ha risposto- e voglio sapere cosa succede”. E poi tutte, ma proprio tutte, le forze dell’ordine. Da dove ti deriva la passione per la verità? In parte da un’indignazione civile: non sapere cosa sia successo alla stazione di Bologna, per esempio, non mi lascia indifferente. Scoprire la verità significa migliorare la vita. Un obiettivo comune. Anche tu, per caso, sei un giornalista? Scrivevo di “nera” per Sabato sera, un settimanale di Imola. Ma non era il mio mestiere. Quell’esperienza ha lasciato traccia? Sì, mi ha fatto conoscere l’ambiente di Polizia e Carabinieri e mi ha portato sui luoghi del delitto, in Questura e alla Scientifica. In alcuni uffici il piantone mi salutava così -ride e porta la mano alla fronte-. Forse pensava che fossi uno dei servizi (segreti).

Carlo Lucarelli Non è giornalista, non è criminologo, non suona in un gruppo punk, come è stato scritto di lui. “Sono semplicemente uno scrittore”, così si definisce Carlo Lucarelli. Giallista e volto di “Blu notte”, ma non solo. È anche autore di una miniserie a fumetti intitolata “Cornelio delitti d’autore” (Star comics) e ha creato il soggetto per l’albo 153 di Dylan Dog “La strada verso il nulla”. Nato a Parma, il 26 ottobre 1960, vive tra Mordano (Bo), Bologna e San Marino. | 000 | febbraio 09

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amianto quotidiano  | inchiesta a cura di dario paladini e francesco abiuso | foto matt corner

ha ucciso Oltre 8mila italiani in 12 anni. Nonostante sia fuorilegge dal 1992, ne siamo circondati: nel nostro paese Ci sono Ancora 2,5 miliardi di metri quadrati di coperture in eternit. per liberarcene ci vorrebbero 6 miliardi di euro, una mezza finanziaria. E le discariche autorizzate sono solo una decina. con contributi di enrico bullian e loretta napoleoni

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| l’inchiesta


Milano, uno dei palazzi contaminati di via Russoli e un residente, con in mano frammenti di asbesto. A sinistra, l’avvocato Marco Di Cesare sul terrazzo del suo condominio a Roma: tetti e camini sono in cemento amianto. Sempre al Prenestino, un campo da bocce ricoperto in eternit.

In Italia la fibra killer si può trovare fuori e dentro casa: tetti, camini, mezzi di trasporto e oggetti di uso comune, come i thermos. Tra il 2007 e il 2008 ne sono stati ritirati dal commercio sei modelli, made in China.

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ra i vasi di fiori del cortile li trovi ancora. Pezzetti bianchi di dimensioni diverse, leggeri, un po’ polverosi. Sono frammenti dei pannelli che ricoprono le facciate delle case popolari di via Russoli, periferia Sud di Milano. E contengono amianto. L’estate scorsa due lastroni sono caduti da uno dei quattro palazzi di proprietà dell’Aler, l’Azienda lombarda per l’edilizia residenziale (nella sola provincia di Milano gestisce più di 66mila alloggi). “Quando piove i pannelli si gonfiano -racconta Tina Monaco, rappresentante del comitato di quartiere-, abbiamo chiesto più volte di bonificare le facciate, ma per ora nessuno si è mosso”. A Roma, quartiere Prenestino, il giovane avvocato Marco Di Cesare vede amianto ogni volta che si affaccia alla finestra. Il suo palazzo e buona parte di quelli attorno sono ricoperti da eternit (una miscela di cemento e amianto). Da tre anni cerca di convincere i vicini di casa e l’amministratore di condominio a bonificare il tetto del palazzo. Ha scritto all’Asl, al Sesto municipio, all’Arpa. “Non è successo nulla -spiega-. Nessuno è venuto a fare controlli”. Nel vicino circolo degli anziani, che confina con una scuola materna, intanto si continua a giocare a bocce sotto una vecchia e malconcia tettoia in eternit.

Resistente al calore e al fuoco, negli anni ’70 e ’80 l’amianto (o asbesto) veniva impiegato per gli usi più svariati: nei tetti, nelle coibentazioni di navi e treni ma anche in piccoli oggetti, dalle pastiglie dei freni ai ferri da stiro, nonostante la sua nocività fosse nota fin dagli anni ’60. Le sue fibre microscopiche, infatti, se respirate possono agganciarsi agli alveoli dei polmoni e provocare, anche a distanza di 30-40 anni, patologie come l’asbestosi (una malattia respiratoria) o il mesotelioma, un tumore che non lascia scampo. Possono inoltre facilitare l’insorgenza di altre neoplasie, come il carcinoma polmonare. Un minerale potenzialmente letale, dunque, che il nostro Paese ha messo al bando nel 1992. A distanza di 17 anni dalla legge 257, però, di amianto si continua a morire. Secondo il Renam, il Registro nazionale mesoteliomi, che in febbraio pubblicherà un nuovo rapporto di cui anticipiamo i dati, dal 1992 al 2004 almeno 8.723 persone sono state colpite da mesotelioma maligno. I ricercatori si sono messi in contatto con i malati e le loro famiglie, per capire come e quando siano stati esposti alla fibra killer. Dalle 5.702 interviste realizzate finora è emerso che il 69,7 per cento delle vittime sono ex-dipendenti di aziende che impiegavano l’amianto nelle la| 000 | febbraio 09

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vorazioni, e talvolta se lo portavano a casa: il 3,8 per cento dei morti sono loro familiari, soprattutto mogli che lavavano le tute da lavoro dei mariti. Stessa percentuale di decessi (3,8 per cento) per chi abitava vicino alle fabbriche, i cui proprietari e dirigenti sono oggi imputati in una serie di processi per risarcimento danni (vedi “Italia, dirigenti alla sbarra”, a pagina 10). Sul restante 21,3 per cento dei casi in esame rimane il mistero: di certo c’è solo che 1.241 persone, senza saperlo, hanno avuto a che fare con oggetti o ambienti contaminati. Gli abitanti di via Russoli a Milano e del Prenestino a Roma sanno bene di vivere a stretto contatto con l’amianto. Anche loro rischiano di morire di mesotelioma o di qualche altro tumore? Secondo uno studio condotto nel 1991 dalla Clinica del lavoro di Milano, già dopo due anni di vita le lastre in eternit cominciano a deteriorarsi e a sprigionare le fibre nell’aria. Umberto Torromacco, fotografo milanese di 56 anni, non ha più dubbi: a causargli un adenocarcinoma polmonare sono stati i tetti dell’ex Ansaldo. Il suo studio, in via Stendhal 30 a Milano, è proprio a ridosso dei 7mila metri quadrati di capannoni in disuso dell’ex fabbrica. Dal 1991 Torromacco respira aria contaminata, come dimostrato dalla perizia medico legale che ha commissionato a Giuseppe Basile e ad Alberto Passeri, entrambi medici: le fibre di amianto rilasciate da quelle tettoie sono state una “causa preponderante” dell’insorgenza del tumore. “Lo

scorso gennaio ho chiesto a una società specializzata uno studio ambientale -racconta- e questa ha concluso che l’eternit andava rimosso al più presto perché era così deteriorato da costituire un pericolo per gli abitanti del quartiere”. Sei mesi fa, il Comune di Milano, proprietario dell’area ex Ansaldo, ha bonificato la zona. Torromacco ha intenzione di denunciarlo ugualmente. “Certo, più una persona vive a contatto con l’amianto e più aumentano le probabilità che si ammali -spiega Alessandro Marinaccio, responsabile del Renam-. Il mesotelioma, tra l’altro, può essere provocato anche da un’esposizione saltuaria”. E l’amianto è oggi presente in oggetti di recente produzione, che arrivano in Italia da Paesi che ancora usano o esportano asbesto, come Cina, Canada, Russia e India (vedi “L’amianto punta a Sud”, inchiesta pubblicata su Altreconomia, n. 98). In due anni, tra il 2007 e il 2008, le Asl e le associazioni dei consumatori hanno fatto ritirare dal commercio sei modelli di thermos fabbricati in Cina e distribuiti con diversi marchi: Arte & Fuoco, Vacuum Flask, Home Type, Wonderful life, Happy Casa e Tescoma. Non presentavano alcun pericolo immediato per la salute: il rischio nasceva solo in caso di rottura. Nelle pareti interne del thermos era contenuta una pastiglia di amianto. Una volta individuatane la presenza, il problema è liberarsene. La legge del 1992 stabiliva la rimozione di tutto l’asbesto presente in Italia. A tutt’oggi, però, nessuno è in grado di dire quanto

amianto ci sia in case, industrie, edifici pubblici. Le Regioni dovrebbero svolgere un censimento delle strutture, private e pubbliche, che lo contengono. Diciassette Regioni lo stanno facendo: mancano all’appello Calabria, Sicilia e la Provincia autonoma di Trento. Al ministero dell’Ambiente risultano per ora quasi 23mila siti. Ma è un dato incompleto. Basti pensare che solo in Lombardia ne hanno censiti 21.500, in gran parte privati (18.236). Secondo una stima del Centro nazionale ricerche (Cnr) svolta nel 2005, in Italia esistono ancora 2 miliardi e 500mila metri quadrati di coperture realizzate con eternit, pari a circa 32 milioni di tonnellate. Il costo “puro” dello smaltimento in discarica (escluse quindi le operazioni di smontaggio e trasporto) va dai 200 ai 400 euro a tonnellata. Per bonificare l’eternit ancora presente ci vorrebbero, quindi, almeno 6 miliardi e 400 milioni di euro, poco meno della metà

Contaminazioni inconsapevoli. Secondo il Registro nazionale mesoteliomi, il 21,3 per cento delle vittime è venuto a contatto con l’amianto senza neppure saperlo.

il nemico nella stiva dopo 34 anni nella marina militare, L’ufficiale sorgente ha scoperto di avere un mesotelioma. Non È l’unico. Secondo la procura di padova, altri 553 marinai sono vittime accertate dell’a mianto. Sulle loro tracce si È messo anche un avvocato americano.

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| l’inchiesta

Un vortice in cui nemmeno un esperto uomo di mare come lui riesce a districarsi. Silenzi e telefoni che squillano a vuoto, l’abisso creato dagli amici e colleghi d’un tempo che all’improvviso s’allontanano. All’origine di tutto, l’amianto. Su “ferri” e “battelli”, come in Marina chiamano navi e sommergibili, stava nelle tubature, nel motore, nelle caldaie, nelle resistenze lasciate a vista. “Dappertutto”, dice amaro il 64enne Francesco Paolo Sorgente, ufficiale della Marina militare in pensione con il grado di capitano di vascello, “e mai nessuno ci ha messo in guardia sui possibili rischi”. Quando si arruola, nel 1966, ha solo 23 anni. Passa più di un decennio su sommergibili e navi di superficie. Alcune di queste imbarcazioni (come la

Pietro Cavezzale) sono di fabbricazione statunitense: nel Dopoguerra sono state cedute a prezzo simbolico all’Italia che, appena entrata nella Nato, ha bisogno di crearsi una flotta navale. Nel 2000 Sorgente va in pensione. Cinque anni dopo scopre di avere un mesotelioma pleurico. Inizia a preparare i documenti per una causa di servizio alla Marina che è ancora in corso. I colleghi lo abbandonano: “Ma come, sputi nel piatto in cui mangi?”. Il suo, però, non è un caso isolato. Un’inchiesta della Procura della Repubblica di Padova ha portato alla luce altri 553 episodi di marinai colpiti da malattie collegate all’amianto. Di questi, 307 si sono conclusi con la morte per mesotelioma. Nel lungo elenco delle vittime ci sono semplici marinai, sottufficiali, ufficiali e


della manovra finanziaria approvata per il 2009 (13,1 miliardi di euro). In Senato giace un disegno di legge che prevede l’istituzione di un fondo per la bonifica degli edifici pubblici pari a circa 30 milioni di euro. Senza contare che le discariche sono appena una decina, con una capienza inadeguata alle necessità. Prendiamo il caso della Lombardia: la Regione stima che ci siano 2 milioni e 800mila metri cubi di eternit, ma la discarica è una sola, la Soeco di Cavriana (Mantova), che nel 2008 ha raccolto i suoi ultimi 45mila metri cubi di eternit. I rifiuti in amianto prendono allora la strada per l’Austria e la Germania, con costi più elevati. È in corso l’iter amministrativo per aprire tre discariche private, tutte in provincia di Brescia: la Profacta di Buffalora (80mila metri cubi), la Ecoeternit di Montichiari (480mila metri cubi) e la Cerca di Travagliato (435mila metri cubi). Ammesso che vengano attivate, potranno ospi-

tare il 35 per cento dell’eternit presente in tutta la Lombardia. Intanto la gente è costretta ad arrangiarsi. La legge obbliga i proprietari di oggetti e strutture che contengono asbesto ad autodenunciarsi all’Asl e a provvedere alla bonifica tramite ditte specializzate (iscritte all’albo dei gestori ambientali). Ne abbiamo contattate sette, ipotizzando di dover smaltire una tettoia di 20 metri quadri. “Al di sotto dei 50 metri costa sempre 1.100 euro”, ci ha risposto il titolare di un’impresa. “Solo per sbrigare le pratiche all’Asl -ci ha spiegato un altro-, occorrono 700 euro. Con l’asportazione e lo smaltimento del materiale si arriva a 1.3001.400 euro”. Ma noi la tettoia l’abbiamo già smontata, abbiamo provato a dire. Non può farci uno sconto? “Guardi è meglio se la rimette su, perché rischia una multa”, è stata la risposta. A Milano esiste un servizio di raccolta gratuito fino a un peso di 450 kg e a una superficie di 30 metri quadrati: chiamando il numero verde, nel 2007, 175 famiglie si sono liberate di circa 31,5 tonnellate di materiale. Nel 2008 la stessa quantità era già stata raggiunta al 30 settembre. Ai cittadini di Viareggio, in provincia di Lucca, viene consegnato un kit gratuito (guanti, tuta, mascherine, nastro rosso e bianco, e una vernice per evitare dispersione di fibre): ognuno rimuove

l’amianto in autonomia. In molti Comuni non esiste nulla di tutto questo. Risultato? L’eternit finisce nelle discariche abusive. “I costi elevati e la penuria di siti di stoccaggio favoriscono le cosche mafiose -afferma Sergio Cannavò, responsabile del Centro azione giuridica di Legambiente-, che risolvono a modo loro il problema”. L’asbesto rischia di soffocare anche le attività economiche. È il caso della Fonte Appia di Ciampino (Roma), un tempo controllata dall’ex re delle acque minerali, Giuseppe Ciarrapico. Dopo il fallimento, nel 2003, per salvare il posto di lavoro 10 dipendenti hanno creato una cooperativa e ottenuto dalla Regione la concessione per lo sfruttamento della fonte, a cui ogni giorno si approvvigionano d’acqua circa 200 persone, pagandola 0,08 centesimi al litro. Nonostante questo, i conti dell’azienda sono in rosso, anche perché i vecchi capannoni in eternit non consentono di riprendere l’attività di imbottigliamento. “Abbiamo bonificato la zona delle fontanelle -precisa Beatrice Cesari, presidente della cooperativa-: restano fuori 40mila metri quadrati di tetto (8 euro al metro quadro)”. Forse la struttura verrà rilevata da uno dei grandi nomi dell’industria dell’acqua minerale, ancora top secret. Ma, intanto, la fibra killer avrà già fatto un’altra vittima.

Ciampino, Roma: la Fonte Appia. Ex proprietà della famiglia Ciarrapico, lo stabilimento è stato solo in parte bonificato: se l’acqua è sicura, l’azienda è ancora a rischio.

anche due contrammiragli: la fibra killer non ha guardato in faccia nessuno. La Procura ha chiesto il rinvio a giudizio di 16 ufficiali, fra cui capi di Stato maggiore, direttori dei cantieri navali, responsabili della sanità militare e comandanti in capo della squadra navale. L’accusa per loro è di omicidio plurimo colposo: non avrebbero tutelato la salute dei sottoposti nonostante fosse nota la pericolosità dell’amianto. Il processo (il 29 gennaio il Gup deciderà se e quando si farà) riguarderà però solo la morte di due sottufficiali: Giovanni Francesco Baglivo (49 anni) e Giuseppe Calabrò (61 anni), residenti a Padova. Per gli altri casi la documentazione è stata girata alle Procure competenti.

Sorgente, nella sua carriera, ha lavorato anche negli arsenali della Marina. “A metà degli anni ’80 mi trovavo a Brindisi -ricorda-, un giorno ci arriva una circolare di Navalcostarmi (la Direzione generale delle costruzioni, ndr) a firma dell’ammiraglio Francesco Chianura. Ci avverte della pericolosità dell’amianto. Al tempo stesso, però, siamo invitati a utilizzare il materiale stoccato nei magazzini fino a esaurimento scorte”. Scuote il capo. Soltanto dieci anni fa, ammette, non avrebbe mai dubitato della buona fede dei suoi superiori. Nel giugno 2008, Fulvio Aurora, segretario dell’Associazione italiana esposti amianto, lo avvisa che un avvocato americano, Mitchell Cohen, sta rintracciando ex marinai con malattie asbesto-correlate

che siano stati imbarcati su navi made in Usa. Garantisce risarcimenti fino a 120mila dollari. Sorgente accetta di sottoporsi alle domande, esibisce documenti e firma la delega. A settembre, dopo solo quattro mesi, arriva la quietanza per due assegni per un totale di 80mila dollari. “Gli armatori accettano l’accordo pur di non subire un nuovo processo -spiega Benedetta Orsini, dello studio legale Ceriani di Milano che segue le pratiche in Italia-. Sentenze precedenti hanno riconosciuto la loro colpevolezza per casi simili, e nella giurisprudenza degli Stati Uniti questo conta molto”. All’americana è anche l’assistenza legale: gratuita nelle fasi iniziali, ma in caso di risarcimento l’avvocato trattiene dal 25 al 33 per cento del compenso.

Per ora sono una ventina le richieste partite dall’Italia. Non molte. I marinai sono restii a chiedere giustizia. “Quando passi una vita sul ‘ferro’ -spiega Salvatore Garau, imbarcato per 22 anni e oggi membro dell’Associazione esposti amianto- ti identifichi in fretta con la Marina: è come se fosse una mamma e contro di lei non ti rivolteresti mai”. Leggendo vecchi fogli matricolari, in cui vengono annotati i passaggi di ogni militare da nave a nave, sta cercando di rintracciare gli ex colleghi per informarli della possibilità di risarcimento. “In questi casi -dice convinto- a fare torto non è stata la mamma. Ma gli uomini: marinai verso altri marinai. Fratelli contro fratelli”.

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| casi di mesotelioma dal 1993 al 2004 | regione per regione 1.963

totale: 8.723

1.246

30

23

21

17

6

Basilicata

Abruzzo

Valle d’Aosta

Calabria

232

Sardegna

346

Marche

445

Friuli V. G.

478

Campania

517

Puglia

664

Sicilia

Veneto

Lombardia

Emilia R.

Liguria

769

Piemonte

età media 68,3 anni uomini 72,4% donne 27,6%

959

Toscana

1.007

rielaborazione dal Terzo rapporto - Registro nazionale mesoteliomi, febbraio 2009. Per Lazio, Molise, Trentino Alto Adige e Umbria i dati non sono disponibili.

italia, dirigenti alla sbarra enrico bullian*

Amianto, “il male che non scompare”. È la definizione che un ex operaio dei cantieri navali di Monfalcone (Go) ha dato della sua malattia. Aveva il mesotelioma, un tumore che non lascia scampo: l’aspettativa di vita è infatti inferiore a un anno. Ma questo male non scompare nemmeno per la società: il picco delle morti asbesto-correlate in Italia si avrà tra il 2015 e il 2020 e già ora si registrano ogni anno 1.200 nuovi casi di mesotelioma. Si riuscirà con la ricerca medica e le bonifiche a evitare questo dramma? Il mancato rispetto delle norme di sicurezza sui luoghi di lavoro, nel frattempo, ha permesso al “male” di svilupparsi. Sono molti i procedimenti giudiziari in corso: gli ammalati e i loro familiari chiedono “verità e giustizia”. A Casale Monferrato (Al), dove sorgeva la Eternit (industria famosa per la produzione delle tettoie ondulate in cemento amianto, ndr), si attende con trepidazione l’apertura del maxi-processo che si terrà al Tribunale di Torino. Il Procuratore della Repubblica, Raffaele Guariniello, ha incriminato i vertici della multinazionale per “disastro doloso”: avrebbero causato la morte di circa 2mila dipendenti e fatto ammalare un altro migliaio di persone. Sarà il processo del secolo.

| tipologia di esposizione Professionale 69,7% Familiare 3,8% Ambientale 3,8% Extralavorativa 1,4% Ignota 21,3%

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A Gorizia, nell’aprile scorso, il giudice Caterina Brindisi ha condannato a un anno di reclusione un dirigente del cantiere navale per il decesso di un’operaia. A Venezia, il giudice Barbara Lancieri ha ritenuto colpevoli di omicidio colposo i dirigenti del cantiere di Marghera per la morte di 11 lavoratori e di tre mogli di operai. Le pene vanno dai due anni e otto mesi fino ai tre anni e otto mesi. La Procura di Mantova ha chiuso, nel novembre 2008, un’inchiesta, durata ben otto anni, sulle morti per tumore al Petrolchimico causate dalle esposizioni professionali ad agenti cancerogeni: amianto, ma anche benzene e stirene. L’indagine ha riguardato 39 casi, dei quali otto per mesotelioma e 19 per tumore polmonare da amianto. Si attendono i rinvii a giudizio. A fine anno, invece, la Procura di Trieste (che ha avocato le indagini alla Procura di Gorizia per inerzia) ha chiuso un’inchiesta sulla morte di 42 operai del cantiere di Monfalcone per mesotelioma. Il pubblico ministero ha inquisito per “omicidio colposo plurimo” 15 dirigenti dell’allora Italcantieri. A breve sarà anche conclusa dalla stessa Procura un’altra indagine su 21 lavoratori dei cantieri navali di Monfalcone deceduti per malattie asbesto-correlate. Possiamo allora rispondere a quell’operaio di Monfalcone che un giorno il suo male sarà debellato?

*Enrico Bullian, autore de “Il male che non scompare” (Il ramo d’oro editore, 2008), è membro della Commissione regionale amianto del Friuli Venezia Giulia.

| l’inchiesta

L

a tragedia dell’11 settembre non lancia solo la guerra contro il terrore, per gli abitanti di Lower Manhattan, a New York, e per molti soccorritori inizia la battaglia contro il cancro. Almeno 110mila persone sarebbero state esposte all’amianto sprigionato dal crollo delle Torri Gemelle. Ma questa è una storia che pochi conoscono, neppure i giornali ne hanno parlato. Il motivo? Evitare di denunciare le responsabilità dello Stato e delle autorità locali che si sono sottomesse alle pesanti pressioni delle lobby delle costruzioni e delle società assicurative e l’indifferenza nei confronti della tragedia dei residenti rispetto alla minaccia di al Qaeda. Quando le Twin Towers crollano, una polvere di detriti sommerge un quarto di New York. La polvere è intrisa di particelle d’amianto, altamente cancerogene. I due grattacieli, costruiti all’inizio degli anni ’70, quando si faceva grande uso di questo prodotto nel settore delle costruzioni, ne sono pieni. Anche se è provato scientificamente che l’amianto porta gravi forme di cancro, nel 2001 in America non è ancora proibito usarlo. Eppure, già nel 1976, il Congresso americano approva il Toxic Substance Control, una legisla-


New York: un gruppo di pompieri cammina tra le macerie delle Twin Towers. In seguito alle operazioni di soccorso, molti vigili del fuoco hanno contratto malattie respiratorie. (Reuters/Peter Morgan)

sotto il tappeto dell’11-9 zione che regola l’uso di materiali tossici nelle costruzioni, ma nella lista manca proprio l’asbesto. La pressione delle lobby è troppo forte e si decide di non vietarne l’uso, ma di limitarlo. Così negli anni ’80 circa il 20 per cento degli edifici americani finisce per contenerlo. Secondo i dati della Us Geological Survey, tra il 1991 e il 2001, gli Stati Uniti avrebbero importato circa 250mila tonnellate di amianto. Non sorprende quindi che l’American Academy of Actuaries stimi che, nel corso del Ventesimo secolo, circa 100 milioni di americani siano stati in qualche modo già contaminati. Nel caso dell’11 settembre, gran parte delle circa 400 tonnellate d’amianto contenute nei due grattacieli invadono le strade di Lower Manhattan. Rilevazioni condotte il giorno dopo l’attacco dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente mostrano che nella zona circostante al World Trade Centre il livello di asbesto nell’aria è due volte quello reputato accettabile, ma si tratta di dati divulgati solo nel 2004. Il 13 settembre i livelli crescono ulteriormente. La zona viene evacuata non perché “contaminata”, ma per il pericolo di crolli. Pochi giorni dopo, quando la nube si è diradata, le autorità incoraggiano privati e so-

cietà residenti a ripulire i detriti privatamente e non diramano alcuna direttiva su come proteggersi dalla contaminazione. Nessuno spiega che ci vogliono maschere speciali per maneggiare l’amianto e che prima di essere trasportati i detriti devono essere lavati. Molti camion poi partono senza una copertura che prevenga la fuori uscita delle particelle lungo la strada. Una settimana dopo l’attentato le autorità dichiarano che i residenti possono tornare a casa, anche se i livelli di contaminazione sono ancora altissimi. Semplici i motivi: secondo una dichiarazione rilasciata alla Nbc nel settembre 2003 da Nikki Tinsley, uno degli ispettori dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente, “occorreva far tornare la gente a lavorare e avere così un impatto positivo su Wall Street”. Il Governo ignora anche i bisogni di cure di chi inizia a manifestare i primi sintomi delle malattie legate alla contaminazione. Solo un gruppo di filantropi fonda un’organizzazione privata che aiuta i malati. Tra questi, anche molti pompieri. Ancora oggi l’amministrazione americana rifiuta di accettare la responsabilità di quanto è accaduto.

| testo | loretta napoleoni

La guerra ad al Qaeda ha distolto l’attenzione da un altro nemico: l’a mianto sprigionato dal crollo delle torri gemelle, che ha contaminato oltre 110mila persone.

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made in Italy

a ritmo di rap

“Paura di nessuno” è il titolo dell’ultimo album firmato dal giovane rapper romano Amir, disponibile da dicembre nei negozi di dischi. Il cd è prodotto da “La grande onda” di Tommaso Zanello, alias Piotta, altro rapper della capitale, in collaborazione con la Prestigio Records. Di padre egiziano, nato e cresciuto nel quartiere multietnico di Tor Pignattara, Amir dice di “non essere uno straniero ma un italiano a tutti gli effetti”, anche se non rinnega di essere figlio di un immigrato.

i figli di immigrati si raccontano

I

taliani col permesso di soggiorno. Così vengono chiamati i figli dell’immigrazione secondo una delle definizioni inaugurate dalla Rete G2 – Seconde generazioni, “realtà nazionale autorganizzata fondata nel 2005 proprio da giovani di origine straniera cresciuti in Italia, discendenti di chi è emigrato nel Belpaese per lavorare”, spiega Lucia Ghebreghiorges, nata a Roma e portavoce di G2. Un’organizzazione “diventata necessaria perché il nostro numero aumenta sempre più e la società in cui viviamo fatica ancora a riconoscerci anche come suoi figli” aggiunge Mohamed Tailmoun, altro rappresentante di G2, passaporto libico ma in Italia dall’età di 5 anni. In effetti, si stima che i figli dell’im-

migrazione siano circa un milione. Questa la proiezione della Fondazione Agnelli per gli inizi del 2008. Secondo l’Istat, poi, oggi circa 650mila sono gli alunni con cittadinanza straniera, nati e non nati in Italia, iscritti nelle scuole e 64mila i nuovi nati nel 2007 da genitori stranieri. Numeri in crescita, ma difficoltà ancora tutte da superare. “Innanzitutto questo: chi di noi non è riuscito a ottenere la cittadinanza italiana non gode degli stessi diritti dei propri coetanei e deve sopravvivere con il permesso di soggiorno”, spiega Tailmoun. La Rete G2 è nata per rendere la legge sulla cittadinanza italiana più aperta verso i figli di immigrati cresciuti in Italia. Obiettivo da raggiungere usando anche strumenti di comunicazione auto-

| A cura di | Paula Baudet Vivanco Arte e seconde generazioni si incontrano in rete. Accade su Crossmode.com, social network fondato a Bologna da un gruppo di giovani. Tra le iniziative, un concorso creativo per nuovi italiani.

fieri di essere italiani stanchi di chiedere “permesso” prodotti come il sito www.secondegenerazioni.it (con più di 500 iscritti), alcuni video e addirittura un fotoromanzo con storie di giovani figli di immigrati. Una copia di quest’ultimo è stata consegnata nelle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha accolto con favore le parole di G2. Ma il cammino è ancora lungo “perché dal punto di vista culturale esistono ancora molte resistenze nel riconoscere come italiano chi ha tratti somatici meno tipici -dice Ghebreghiorges-. La società dovrà capire che anche noi siamo semplicemente made in Italy”.

≈ Paula Baudet Vivanco

Giornalista, redattrice del portale informativo della Cooperazione allo sviluppo del ministero Affari esteri e consulente del settimanale Metropoli La Repubblica – Il giornale dell’Italia multietnica.

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in breve  | Prevenzione e supereroi

| informazione di prima mano

è in arrivo “coca”: la striscia antidroga

braille news, notizie da toccare

dario pal adini

andrea rot tini

M

U

irko è un adolescente di Napoli che sniffa cocaina. Per comprarla ruba e ogni tanto finisce in prigione. Si sente come un supereroe: la polverina bianca gli dà energia. Ma col passare del tempo la sua vita diventa un incubo. Per fortuna, dopo varie disavventure, riesce a uscire dal girone infernale in cui si è cacciato, grazie all’aiuto dei genitori, degli amici e degli insegnanti. Mirko è il protagonista di “Coca”, fumetto realizzato dal Centro territoriale Mammut di Napoli e distribuito nelle scuole medie della regione per ricordare agli alunni i pericoli della cocaina. I disegni sono di Francesca Ghermandi, i testi dello scrittore Maurizio Braucci (lo sceneggiatore di Gomorra, ndr) e dell’insegnante Federica Lucchesini. Nelle strisce i giovani lettori trovano una storia avvincente ma reale, e il finale ha un messaggio di speranza. La distribuzione di “Coca” è stata possibile grazie a un contributo della Regione Campania. Per prenotarne delle copie, basta inviare una mail a mammut.napoli@gmail.com.

n anno di notizie, tutte da toccare. Sì, perché gli articoli di Braille news si possono leggere solo sfiorandoli con i polpastrelli. Il primo settimanale di notizie per non vedenti d’Italia, nato poco più di un anno fa, viene distribuito ogni sabato in 1.200 copie nelle

edicole di Roma (e, da dicembre, di tutto il Lazio), in allegato al quotidiano Il Tempo. Il progetto, realizzato anche grazie al contributo della Regione, nasce da un’idea di Caterina Ferrazza, presidente della cooperativa sociale “Handy systems” e lei stessa non vedente. Braille news è un giornale di 50 pagine con notizie di cronaca, politica, economia e sport, scritte dai giornalisti de Il Tempo. “Per ora non c’è spazio per la pubblicità in braille ma ci stiamo organizzando -dice il direttore Angela Francesca D’Atri-, e poi visto l’interesse suscitato, un giorno ci piacerebbe diventare un quotidiano”.

| C’è CHI DICE NO | ATTIVISTI ANTIMAFIA

vacanze contro la ’ndrangheta nasce “i viaggi del goel”, tour operator che accompagna i turisti alla scoperta della calabria, delle sue bellezze e dei suoi mali. Per farli dialogare. il aria sesana

I

Una cascata nella catena montuosa delle Serre, tra Sila e Aspromonte. Una zona della Calabria finora preservata dal turismo di massa.

l mare e il paesaggio incantevole della Locride. Tipica cucina calabrese e la possibilità di conoscere persone che lottano contro la ’ndrangheta e le massonerie deviate. Sono gli ingredienti del neo-nato “I viaggi del Goel”, tour operator di turismo responsabile promosso dal Consorzio sociale Goel, fondato su impulso di monsignor Giancarlo Bregantini e a cui aderiscono 15 fra cooperative e associazioni della Locride. Una realtà che, tra i suoi obiettivi, ha quello di creare opportunità di lavoro in diversi ambiti, dall’agricoltura all’artigianato. L’idea del tour operator si basa sulla convinzione che, anche organizzando una vacanza, si può dare il proprio contributo alla lotta alla ’ndrangheta. E non solo attraverso la creazione di opportunità di lavoro “pulite”. “Questa forma di turismo permette di andare al di là della realtà dipinta dai media e fa diventare il viaggiatore corresponsabile della realtà che visita -spiega Vincenzo Linarello, presidente di Goel-. In questo modo possiamo costruire nuove alleanze con tante persone,

una cosa di cui abbiamo bisogno come il pane”. Perché il legame con la Locride non si spezza, una volta disfatta la valigia. Un primo passo è aggiungersi alle 2.800 persone e ai 700 enti che hanno già sottoscritto l’Alleanza per la Locride e la Calabria (basta un click al sito www.consorziosociale.coop) lanciata il 1° marzo scorso. “Noi combattiamo in prima linea e abbiamo bisogno di aiuto -aggiunge Linarello-, ma i nostri alleati possono impegnarsi nelle seconde e terze linee, combattendo l’infiltrazione mafiosa a casa loro”. Una battaglia che, sul fronte della Locride, avrà come arma la riproposizione, in chiave moderna, delle società di mutuo soccorso, uno strumento che servirà a spezzare la deleteria alleanza tra ’ndrangheta e politica. “Le associazioni criminali piazzano i loro uomini nei posti chiave -dice Linarello-. E quelli che sarebbero servizi per il cittadino, come un ricovero o una casa popolare, diventano favori in cambio di voti. Per interrompere questo circolo vizioso occorre dare un’alternativa concreta alle persone”.

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≈ Polifemo è un’associazione di fotografi

fotoreportage urbano

professionisti con base a Milano, che si propone di diffondere la cultura dell’immagine e della comunicazione visiva.

| a cura di | polIfemo | www.polifemo.org Ho deciso di raccontare la vita degli abusivi che occupano le case popolari del quartiere Giambellino a Milano, dopo avere guardato in tivù “W l’Italia”, la trasmissione di Riccardo Iacona in onda su Rai Tre. Quella puntata era dedicata all’aumento dei prezzi delle case e al problema degli affitti che coinvolge chi vive nel capoluogo lombardo, dal centro alla periferia, senza distinzioni. L’inchiesta mi ha lasciata del tutto spiazzata: non sapevo che situazioni così drammatiche avessero luogo proprio nella città in cui vivo da anni e,

| fotografie | chiara goia

come me, probabilmente non ne erano a conoscenza (e non lo sono tuttora) migliaia di altri cittadini. Ho iniziato a lavorare a questo progetto nel 2007, a fine giugno, ma mi ci sono volute un paio di settimane prima di incominciare a fare i primi scatti: gli incontri con la maggior parte dei giornalisti che prima di me avevano ricamato sul termine “quadrilatero della paura”, aveva lasciato brutti ricordi e amarezza negli abitanti del quartiere. Per questo mi ci è voluto un po’ di tempo per guadagnare la loro fiducia. Il lavoro è proseguito nei due

mesi successivi: in via Giambellino trascorrevo almeno due giornate la settimana: stavo con le famiglie, prendevo il caffè nelle loro cucine, osservavo i bambini giocare in cortile. Non ho mai avuto problemi con nessuna delle persone che ho fotografato anzi, sono sempre stata trattata come una di casa. In Italia oggi ci sono oltre 21mila alloggi di edilizia popolare occupati abusivamente, 4.700 solo a Milano. Con questo mio reportage spero di contribuire a far conoscere la normalità di chi abita in queste case.

Chiara Goia è nata a Torino nel 1982. Diplomata presso l’International Center of Photography di New York, con “Giambellino” ha vinto la sezione Borsa di studio del Premio Canon giovani fotografi 2007: “Per aver dato visibilità a un problema sociale, restituendo dignità ai protagonisti”. In questo momento sta lavorando in India.

storie popolari Porte blindate. Dopo diversi tentativi di occupazione e altrettanti sgomberi l'Aler, l’Azienda lombarda di edilizia popolare che gestisce gli stabili del Giambellino, può decidere di blindare le porte di determinati appartamenti, per evitare altri "ospiti indesiderati”. Spesso queste case, al loro interno, vengono semi-distrutte per renderle del tutto inagibili. E così restano, in attesa di una ristrutturazione che, in alcuni casi, avviene anche dopo 10 anni.

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Via Bellini, Giambellino. Ogni pomeriggio, dopo le quattro, adulti e bambini si danno appuntamento nel cortile del caseggiato. La sensazione è quella di trovarsi fra i membri di una famiglia allargata, dove tutte le donne sono chiamate “zie”. A preoccupare gli abitanti, più che il clima di buon vicinato, è la manutenzione degli stabili, datati 1924. Spesso si registrano casi di infiltrazione all’interno degli appartamenti, ma anche crolli di intonaco e di cornicioni dalle facciate e dagli interni delle case. Un problema che coinvolge inquilini regolari e abusivi.

La famiglia P. all’ora di cena. Mentre Sabina, 32 anni, serve in tavola, il capofamiglia siede sul divano, aspettando il proprio turno. I loro figli mangiano sempre per primi perché a casa non ci sono sedie per tutti. La famiglia P. vive in un appartamento di 35 metri quadrati da ormai 13 anni. In sei con due mezzi stipendi non troverebbero altro. E se rinunciassero alla casa, non avrebbero diritto a fare domanda per un altro alloggio prima di 5 anni, come stabilisce la legge varata dalla Regione Lombardia nel 2005.

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Sergio ha da poco trovato un nuovo lavoro, part-time. Questo gli consentirà di portare a casa 200 euro in più al mese. Soldi necessari, ma che non gli basteranno a pagare l’affitto perché, in quanto abusivo, è stato inserito automaticamente nella fascia più alta di reddito.

Immacolata guarda fuori dalla finestra della casa che ha da poco occupato. Ventinovenne al settimo mese di gravidanza, ha “sfondato” due appartamenti nel giro di tre giorni, dopo aver dormito in macchina con il marito per quasi due settimane. È stata convinta dal pubblico ufficiale e dagli impiegati dell’Aler a lasciare il primo appartamento. In cambio le avrebbero dato una mano a trovare un’altra casa nel giro di 24 ore. Le promesse però non sono state mantenute e Immacolata ha deciso di occupare un secondo alloggio.

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La signora Lina è arrivata a Milano nel 1971 dalla Calabria. Con cinque figli da allevare e nessun posto in cui vivere, ha occupato abusivamente un appartamento. Adesso vive in via Bellini con il marito. La figlia Luisa, dopo essersi sposata, 11 anni fa, ha trovato un appartamento vuoto di fronte all’alloggio della madre e l’ha occupato. Ci vive con il marito e i due figli.

A lume di candela. La famiglia O. vive da più di un anno senza elettricità. Per cercare di farli andare via, l’Aler ha disposto che venisse tolta loro la corrente. Ogni tanto guardano la tivù con una batteria che dura in totale circa due settimane. La sera si muovono in casa grazie all’aiuto di torce, candele e una lampada a gas. Marocchini, sono abusivi dal 2003 quando, pagando 500 euro, si sono fatti sfondare la porta di ingresso di un appartamento vuoto.

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Porto di Palermo, 1955. L’imbarco per l’America sulla nave Vulcania. (Agenzia Fotogramma)

la memoria può attendere Frammenti di un’Italia fatta di arrivi e partenze: passaporti, fotografie, lettere e giornali di comunità. Oltre a filmati e registrazioni audio che serviranno a raccontare 30 milioni di storie salpate tra il 1860 e il 1970, e le quasi 3 milioni e mezzo di nuove cittadinanze registrate fino al 2008. Si chiamerà Museo delle migrazioni. Ma l’Italia dovrà attendere. A ribadire la necessità di una struttura nazionale che raccolga le testimonianze di vecchi e nuovi flussi è il Centro studi emigrazione di Roma: “Mai come in questo momento l’Italia deve fare i conti con una forte pressione migratoria -spiega Lorenzo Prencipe, direttore del Cesr-, ma guarda ancora il fenomeno attraverso una doppia lente: quella della vergogna per il passato e della paura per il futuro. Un rapporto controverso che rende faticoso accettare questo museo”. L’obiettivo, per usare le parole di Enrico Todisco, docente di Demografia all’università romana la Sapienza, è di unire le tre memorie dei flussi migratori: “Quella che passa attraverso i cambiamenti del territorio, quella

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racchiusa nei documenti, e quella delle genti, fatta di testimonianze e interviste”. Un modello già usato all’estero: a Ellis Island, a São Paolo del Brasile e a Melbourne. “Musei che non si limitano a una carrellata sul folclore -aggiunge Prencipe-, ma spiegano la complessità dei fenomeni migratori con percorsi di comprensione”. Nell’ottobre 2007 il ministero degli Affari esteri ha ospitato un tavolo di confronto tra le diverse nazioni: un’iniziativa che spinse l’allora viceministro Franco Danieli a inserire il museo nazionale nella Finanziaria 2008, con una somma pari a 2 milioni 800mila euro. Fondi che, dal cambio di Governo, sono rimasti solo sulla carta: “La cifra è stata ridotta a un terzo, e il comitato scientifico non è mai stato convocato -conclude Prencipe-, ma il nostro impegno non si esaurisce”. All’indirizzo internet www. roma-intercultura.it, è ora possibile sottoscrivere l’appello pubblico per dare nuova voce alla richiesta di un museo italiano. Nell’attesa, non resta che guardare oltreoceano. (V.R.)

U

na proposta che sa di fiori d’arancio fa capolino all’uscita della chiesa: “Stai per sposarti? Basta il fatidico sì per diventare protagonista di un film”. Il documentario sulle nozze all’italiana prenderà forma così: quasi fosse un grande album del matrimonio, quello con la M maiuscola. Che scorre a 25 fotogrammi al secondo. Nato dalla mente e dall’occhio -della telecamera- di Barbara Seghezzi, regista milanese nascosta in rete dietro lo pseudonimo di Mister Strawberry (misterstrawberry.com), il progetto metterà al centro della scena “veri” sposi, ripresi il giorno delle nozze. Un cortocircuito tra realtà e finzione per raccontare il matrimonio in modo autentico e condiviso. Con 2mila euro le coppie si portano a casa fotografie e filmino, e contribuiscono a finanziare il progetto. “Soldi e storie -spiega Barbara- che serviranno per rispondere a una domanda: perché ci si sposa ancora?”. Era il 1965 quando Pier Paolo Pasolini, microfono alla mano, attraversò campagne e città per parlare d’amore in un’Italia alle prese con la rivoluzione dei costumi. Paure e tabù messi a nudo in quei “Comizi d’amore” cui Barbara ha voluto rendere omaggio tre anni fa con un documentario (i “Nuovi comizi d’amore”) girato armata solo di videotelefonino: sesso ed emotività visti con gli occhi del Ventunesimo secolo. “Pasolini ha scelto di chiudere il film con l’im-


Gaia e Sergio hanno accettato di far riprendere il loro matrimonio dalla regista di “Nozze all’italiana”. (Roberto Ponti)

matrimoni all’italiana

| testo | valeria raimondi

magine delle nozze, e da lì ripartirò: per capire su che strada stia viaggiando il matrimonio, e dov’è destinato ad arrivare”. Nell’epoca di Pacs, DiCo e DiDore, in cui quasi un figlio su cinque nasce da unioni non riconosciute, vien da chiedersi se la favola delle nozze non sia stata sepolta sotto la polvere del tempo, investita dall’onda d’urto del cambiamento. Per rendersene conto basta lasciar parlare i numeri: secondo i più recenti dati raccolti dall’Istat, nel 2006 in Italia sono state celebrate poco meno di 246mila cerimonie. Una cifra in caduta libera almeno dal 1972, quando furono registrate circa 419mila unioni. Tramonto del lieto fine? Non secondo Barbara. Che, di crisi, proprio non vuol sentir parlare: “I valori assoluti sono un tranello: per me, a essere messa in discussione, è solo l’idea tradizionale del matrimonio, tutta abiti bianchi e scambio di fedi in grande stile. Ma credo che esistano tante alternative spesso sconosciute e ignorate, in cui proverò a tuffarmi con sguardo curioso”. Ci si sposa meno, certo, ma ciò che più conta è che ci si sposa ancora. Anzi, ci si sposa in modo diverso: sempre nel 2005 oltre un’unione su tre è stata celebrata con rito civile. Una percentuale che, in alcune città d’Italia, cresce in maniera esponenziale: il record a Bolzano, dove più di sette matrimoni su dieci sono celebrati con rito laico. E le variazioni sul tema possono

essere tante. A Bologna, città in cui il 30 per cento dei 7mila matrimoni civili officiati ogni anno è misto, il sindaco Cofferati ha attivato lo scorso gennaio il servizio di nozze in streaming: la cerimonia è trasmessa gratuitamente su internet dal sito del Comune, riunendo -anche se solo virtualmente- le famiglie d’origine degli stranieri in Italia. Ci sono i riti religiosi diversi da quello cattolico, che la legislazione italiana ha ammesso e regolato dai primi anni ’80: dal valdese all’avventista, passando per il rito ebraico, protestante o geovita. Senza contare le seconde nozze, cartina di tornasole dell’aumento di separazioni e divorzi: in almeno il 10 per cento dei casi uno dei due coniugi è al secondo “sì”, il 23 per cento in Valle d’Aosta. Barbara è pronta per accendere la luce rossa della telecamera. Il suo sarà un work-in-progress: la speranza è quella di arrivare a trenta matrimoni entro l'estate del 2009. Ma una certezza già c'è: “Le prime immagini saranno del matrimonio dei miei genitori, sposati nel 1964 con la più classica delle cerimonie, e quello di mia sorella, che ha deciso di regolarizzare la sua unione nel 2000, dopo anni di convivenza e due figli. Sarà l’inizio di un filo rosso che si srotola nel cambiamento”. Oltre l’obiettivo ci sono idee ed emozioni. E un solo rimpianto: “Dover rinunciare ai matrimoni gay”. Perché queste nozze, almeno per ora, di italiano hanno ben poco.

Il BelPAese prova a raccontarsi con un documentario sul giorno del fatidico “si”. e Un museo, che ancora non c’è, Per ricordare chi è partito in cerca di Fortuna.

La cartolina che invita i futuri sposi a partecipare a “Nozze all’italiana” è stata distribuita anche nelle chiese.

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voci dentro: l’italia, vista dai suoi detenuti ≈ Una finestra d’informazione che nasce in collaborazione con le redazioni di tre carceri: Sosta Forzata (Piacenza), il nuovo Carte Bollate (Bollate-Milano) e Ristretti Orizzonti (Padova-Venezia).

Per leggere le riviste: www.carcerebollate.it/ cartebollate.htm, www.ristretti.it.

eroi dei tempi moderni  | testo | adriano pasqual | IL nuovo carte bollate

| a cura di | ristretti orizzonti

più carcere crea davvero più sicurezza? molti detenuti si sono ricostruiti una vita grazie alla legge “gozzini”. ora qualcuno vuole modificarla.

S

pesso le parole sono strumenti che, invece di aiutare a capire assumono un ruolo di autentica disinformazione. Se si tratta di carcere, poi, c’è il ‘vantaggio’ di non avere nessuno che replichi o smentisca, sia perché chi sta dietro le sbarre non ha facile accesso ai mezzi d’informazione, sia per una cultura che tende a togliere il diritto di parola a chi ha commesso un reato”. Le riflessioni di Stefano, ex detenuto, spiegano il senso della sfida del nostro giornale, Ristretti Orizzonti: aiutare il lettore a capire una realtà complessa come la galera. Una vera sfida, perché siamo disabituati a un pensiero che conceda spazio al dubbio, fondamentale per ogni ragionamento sui problemi del carcere, “Io ho un sogno”. Graffito sul muro della Casa circondariale di Rebibbia a Roma. per i quali molto spesso è impossi- (Andrea Rossi/Eidon) bile trovare soluzioni immediate. E anche quando i rimedi poi si trovano, rischiano di essere bocciati in nome di luoghi comuni come quello oggi più di moda: “Che se la facciano tutta la galera!”. C’è una legge, la “Gozzini”, che dalla sua entrata in vigore, nel 1986, ha consentito a migliaia di detenuti, dopo aver scontato in carcere una parte della pena, di poter iniziare un percorso graduale di reinserimento nella società, prima con permessi premio, poi con misure alternative (semilibertà e affidamento ai servizi sociali). Non un diritto, quindi, ma un beneficio concesso dal Tribunale di sorveglianza, che finora si è dimostrato efficace: il 69 per cento di chi rimane chiuso in cella fino all’ultimo giorno torna a compiere reati mentre, tra i beneficiari della “Gozzini”, soltanto il 19 per cento si ritrova a delinquere. Una legge che funziona, dunque, ma alcune proposte depositate nel 2008 in Parlamento (tra cui il Ddl Berselli-Balboni) vorrebbero modificarla in nome della sicurezza, la stessa che questa legge ha dimostrato di garantire. “Davvero la gente si sente più sicura se un detenuto sconta per intero la sua pena senza affrontare un percorso che lo riconsegni migliore alla società? -si chiede Maurizio, detenuto a Padova-. Se si vuole aumentare la possibilità di reinserimento di chi finisce dentro, non si può pretendere di ‘chiudere il carcere nel carcere’, ma bisogna puntare sul dialogo tra istituzioni, volontari, detenuti e società. La chiusura sviluppa emarginazione e violenza e una persona costretta a vivere così si ritrova nelle condizioni di riprodurre i meccanismi di quella stessa violenza”.

M

uore in mare per salvare due bambini. Milanese-eroe si tuffa e gli cede il cuore. Primo Romeo Priotto era un pensionato di 56 anni”. “Salva due bambini ma viene sopraffatto dalle correnti marine. Dragan Cigan, muratore bosniaco, un eroe che lascia una giovane moglie e due bambini. Dragan è stato insignito della medaglia d’oro al valor civile”. “Aiutò i feriti del bus dopo lo schianto. Diventa milanese il clandestino eroe. Moustapha, 17 anni, senegalese: ‘In questa città non devo più nascondermi’”. Sono alcuni dei titoli con cui i quotidiani hanno raccontato le gesta di queste persone: uomini altruisti con un marcato senso del dovere civico, qualità che ognuno di noi dovrebbe avere. Invece siamo costretti a sottolineare questi gesti di grande generosità come atti d’eroismo. Il dizionario Garzanti alla voce “eroe” dice: “Nella mitologia grecoromana, figlio nato dall’unione di una divinità con un mortale, dotato di virtù

eccezionali; chi sa lottare con coraggio e generosità per un ideale”. Nello stesso dizionario leggiamo la definizione di altruismo: “Amore verso il prossimo”. I nostri “eroi” sono uomini semplici e comuni che hanno saputo spogliarsi d’ogni egoismo per aiutare il loro prossimo, senza considerare eventuali conseguenze che, per malasorte, in alcune occasioni hanno portato al loro estremo sacrificio. Una famosa citazione dice: peggio è per quel Paese che ha bisogno d’eroi, peggio per noi e per il nostro futuro se non sapremo ricostruire valori morali, ideali e senso civico per convivere in una comunità che inevitabilmente si fa variegata e mescola le varie culture, ma che attualmente ha come punto in comune l’egoismo dei singoli. Poi leggiamo di uomini che d’eroico hanno un grande cuore, utilizzato non solo come muscolo cavo e contrattile, ma come sede del più nobile dei sentimenti: l’amore verso gli altri.

| parole oltre il muro | a cura di | sosta forzata L’inizio: una parola scritta alla lavagna. Poi 15 minuti. Il tempo per raccogliere i pensieri e provare a raccontarli.

domandina (do·man·di·na), s.f. vocabolo del gergo carcerario che identifica il modello 393, il modulo che occorre compilare per inoltrare richieste all’amministrazione.

1 È una parte del carcere perché ogni volta che devi telefonare, tagliare i capelli, andare dal dentista o per qualsiasi altra cosa serve compilare “la domandina”. Non se ne può fare a meno. Armando, 28 anni, Albania 2 Per noi è come una chiave. Gli agenti hanno

la chiave che apre le porte, noi invece abbiamo la domandina che ci apre le speranze per il futuro e anche per la vita di tutti i giorni. Nest, 33 anni, Albania 3 Questa parola è talmente necessaria che è

impossibile non nominarla per un giorno intero. Però c’è una domandina che venero ed è quella che mi permette di telefonare ai miei genitori e di sentire il mio meraviglioso bambino. Daniele, 25 anni, Italia

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viaggiatori viaggianti: lubiana

Da sinistra: il caffè del Celica, l’ostello ricavato in una ex prigione militare; serata reggae al club Gala Hala; l’internet corner del Celica; una mostra alla Alkatraz gallery; il bar del Gala Hal.

A

lle quattro del pomeriggio Metelkova stante la capitale ospiti ben tre orchestre sinsembra un posto sonnacchioso e tran- foniche, decine di musei e centinaia di eventi quillo. Non troppo diverso dal resto di culturali durante tutto l’anno, i giovani sloLubiana, capitale in scala di uno stato popolo- veni cercano cultura indipendente, musica so quanto un quartiere di Pechino. Poca gen- alternativa e novità. Quasi sempre le trovano te si incrocia per strada, nelle piccole gallerie a Metelkova. Librerie anarchiche, galleristi di ogni tenqualche curioso si sofferma sulle opere mentre i galleristi, immancabilmente giovani, leg- denza, associazioni non governative, gruppi di gono assorti un libro con una tazza in mano, marionette per bambini, attivisti politici per o al più concentrati guardano il computer. Di i diritti dei gay e delle lesbiche popolano gli edifici di quella che si è autoproclamata una giorno qui è quasi sempre così. Di notte tutto cambia, o meglio si anima. zona culturale autonoma. La sua storia inizia qualche anno dopo la “Questo è l’unico posto in Slovenia dove puoi sentire qualsiasi tipo di musica a qualsiasi ora guerra dei dieci giorni tra la Slovenia e la Judella notte”, è una delle spiegazioni che van- goslavia in via di disgregazione. Fino al 15 otno per la maggiore quando si domanda perché tobre 1991 Metelkova era il quartiere generale questo luogo sia così importante per la vita dell’Armata popolare jugoslava in Slovenia. Qui c’erano il comando, le caserme dei solculturale della capitale. L’altra è numerica. dati e le prigioni per gli A Lubiana vivono oppositori. Dopo il 25 meno di 300mila per- persino il primo ministro ottobre erano tre acri di sone e circa 60mila stu- non ha saputo resistere palazzi liberi nella zona denti, la maggioranza al fascino di un pranzo NordEst della capitale, fuorisede. La fame di al celica, il ristorante poco distante dalle stacultura è tanta. Nono- dell’ostello prigione. 24

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| viaggiatori viaggianti

zioni dei treni e dell’autobus. L’anno prima il 23 dicembre, il giorno del plebiscito per l’indipendenza, era stata fondata “la rete per Metelkova”, un’organizzazione di movimenti studenteschi che si proponeva di trasformare le caserme in centro culturale. Ma il negoziato con le autorità cittadine non produsse nulla. Tempo due anni le ruspe avevano iniziato ad abbattere parte della prigione e il portone d’ingresso delle caserme, così gruppi di artisti e attivisti politici occuparono i palazzi bloccando tutto. Da allora la zona ha un rapporto abbastanza ambiguo con il Comune di Lubiana, che è ancora proprietario dell’area. L’ultimo tentativo di sgombero risale all’estate del 2006 e ora le autorità temporeggiano: non appoggiano le attività, ma finanziano eventi e associazioni. Allo stesso tempo, non più tardi della scorsa primavera, Janez Jansa, Primo ministro della Repubblica slovena, è venuto a Metelkova per una breve visita con tanto di pranzo al Celica, l’ostello che costituisce una delle strutture più sorprendenti della zona e che nell’occasione fe-


una meta raggiungibile Da Venezia a Lubiana treni quotidiani percorrono il tragitto via Trieste in circa quattro ore e mezza, l’unico diretto (per ora) arriva a Lubiana alla 1.41 di notte. Sul sito trenitalia.com periodicamente ci sono offerte da 25 euro. In alternativa da Trieste diversi pullman al giorno. In macchina si può arrivare via autostrada sia da Gorizia che da Trieste: il bollino autostradale, obbligatorio dallo scorso luglio, costa ben 35 euro per sei mesi, o 55 per un anno. Non ci sono invece voli diretti tra Italia e Slovenia.

steggiava i cinque anni di attività (vedi box). Del resto la cittadella di Metelkova è divisa in due: a Nord la zona gioiosamente anarchica e creativa, a Sud una parte in cui lo Stato ha investito e sta investendo per costruire grandi musei. Sono già aperti il Museo etnografico sloveno e una sezione del Museo nazionale della Slovenia. Nel 2009 aprirà anche il nuovo Museo di arte moderna. Intanto neogotici e punk, rasta balcanici e quarantenni ben vestiti, condividono piazza e locali all’interno di Metelkova. Che continua a essere un esperimento in divenire. Idealmente legato alla storia di questo Paese, dove una parte della prima opposizione al regime jugoslavo si coagulava attorno a un gruppo punk, i Laibach, e a un collettivo di artisti -il Neuwe Slowenische Kunst- che certo oggi qui non stonerebbero. Quest’esperienza ricorda da vicino quanto tentato a Christiania, il quartiere hippy di Cophenhagen, ma in scala minore e con un rispetto dell’ordine che si addice molto a un Paese come la Slovenia, stato balcanico per modo di dire. > segue a p. 26

| testo | osvaldo spadaro | foto | filip horvat

Fino al ’91 era una Cittadella Militare, oggi questo quartiere di lubiana, In slovenia, è una Fortezza DElla cultura Indipendente. DA scoprire, di notte.

appuntamento a metelkova | 000 | febbraio 09

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un weekend a lubiana

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Sembra un posto per turisti, e forse lo è anche: però è in pieno centro, si mangia bene e cucina piatti tradizionali sloveni a prezzi onesti. Gostilna Sokol Ljubljana

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dormire

Eccetto gli ostelli e le case dello studente che in estate sono aperte ai turisti, Lubiana offre ancora poche sistemazioni graziose a prezzi convenienti, quindi occorre adattarsi a pagare un po’ di più, oppure scegliere posti molto sovietici, ovvero bisognosi di manutenzione. Due indirizzi per tutti i gusti: Hotel Park

Economico per modo di dire, attraente ancor meno. All’ultimo piano è un ostello con doppie e quadruple da 20 euro a testa. Agli altri piani è una torre di 155 camere, un hotel a tre stelle senza infamia e senza lode, con doppie da 100 euro. www.hotelpark.si Vila Valesova

Un moderno ostello vicino al centro, ricavato da una bella villa risistemata con gusto. Doppia da 32 euro. www.v-v.si

varie

Se state un paio di giorni in città conviene fare la Lubiana Card (circa 13 euro), che permette di usare i mezzi pubblici e offre sconti nei musei. Per sapere che cosa accade ogni giorno in città si può consultare il blog in italiano www.lubiana.org. Il sito dell’ente del turismo cittadino è www.visitljubljana.si mentre quello della Slovenia è www.slovenia.info.

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compagni di viaggio Notti sicure, dietro le sbarre Chi vorrebbe trascorrere una notte in carcere? In pochi, forse nessuno. Eppure a Lubiana la vecchia prigione dell’Armata popolare jugoslava è uno dei luoghi più gettonati per passare la notte. Nel 2005, infatti, è stata trasformata nel Celica hostel, che tradotto suona come l’ostello prigione. Fondato dall’associazione degli studenti dell’Università di Lubiana, il Celica è una struttura piuttosto particolare che si trova all’interno di Metelkova. Venti tra le sue stanze -quelle del piano di mezzosono vecchie celle con tanto di sbarre a porte e finestre, la cui ristrutturazione è stata affidata ad artisti di tutta Europa. Così può capitare di dormire in una stanzetta affresca in stile Chagall dal russo Maxim Issajev -la 107- oppure in una -la 116- arredata con un letto circolare sospeso a mezz’aria e le pareti dipinte con i testi delle canzoni di Leonard Cohen. Ma non solo, il Celica è conosciuto anche per il suo bar e per la galleria d’arte che offre uno spazio per mostre temporanee ad artisti internazionali. Come se non bastasse, al Celica organizzano anche visite guidate. No. Non alla città: all’ostello stesso, visto che è considerato un’opera d’arte contemporanea. info: www.souhostel.com tel (+386) 1 - 23.09.700, Metelkova utca 8, Lubiana. Prezzi: nelle celle-stanze doppie con bagno al piano vanno da 23 a 27 euro a notte (prenotate per tempo!). Dormitori con 12 letti, da 16 a 20 euro. Appartamenti da 16 euro a testa.

Il libro

Viaggiare con consapevolezza vuol dire anche sapere qualcosa di più del Paese che si attraversa. Per questo può essere utile leggere il libro dello storico tedesco Joachim Hosler, che dagli Illiri all’ingresso in Europa racconta la storia dei nostri vicini di casa senza tralasciare nulla dei rapporti non sempre buoni tra i governi italiani e quelli sloveni. Slovenia. Storia di una giovane identità europea. 304 pagine ± 20 euro. Beit 2008.

La band

A sentirli senza sapere la loro storia non è che colpiscano, anzi: se non si è amanti della musica noise, industrial e altri rumori affini sembrano puro baccano. Eppure i Laibach, che è la parola tedesca per Lubiana, sono tra i pilastri della cultura slovena contemporanea: semiclandestini ai tempi della Jugoslavia, accusati a scelta di nazionalismo, fascismo e comunismo portano avanti un’estetica militante e aggressiva sovvertendo qualsiasi ordine e qualsiasi sistema.

segue da p. 25 >

Più simile al candore alpino dell’Austria che al disordine rumoroso di Mostar, ai nostalgici del realismo architettonico socialista Lubiana offre il minimo sindacale di palazzi tutti alti e tutti brutti uguali che popolano con discrezione la sua modesta periferia. Ma vista dall’alto della collina del castello, si presenta come un raccolto fazzoletto di tetti rossi e campanili a cipolla, organizzati sui due lati della Ljubljuanca, il fiume che divide la capitale. Una città che, se la guardi in inverno, potrebbe trovarsi incastonata in una sfera di vetro con la neve che cade quando la agiti. Sotto la volta, un benessere mittleuropeo non finto ma reale l’avvicina più a Udine e Klagenfurt che a Zagabria o Fiume. Qui le vecchie Zastava 600 e le fumose Yugo 750 sono un ricordo, per stra| viaggiatori viaggianti

da circolano solo Clio e Golf, oppure Bmw. Questa facciata da presepe la si coglie ancor meglio passeggiando a piedi, che poi è il modo migliore per visitare Lubiana. Tutto è a circa cinque minuti dal centro, che gravita su Prešernov trg, una piccola piazza sulla sponda sinistra del fiume, poco distante dal Colonnato del mercato e dallo slargo dove ogni giorno le bancarelle vendono ortaggi e fiori. Oltre il Tromostovje e lo Zmajski most -due dei ponti più belli della città– si susseguono i caffè, dando l’impressione che l’attività preferita dei giovani sia ritrovarsi davanti a un bicchiere per chiacchierare all’infinito. O almeno fino a quando non arriva la sera. E allora è di nuovo il momento di imboccare Metelkova utca.


| con la valigia in mano | calendario di partenze solidali Viaggiare nel rispetto dell’ambiente e delle persone: è la filosofia dei viaggi di turismo responsabile. Queste le mete che abbiamo scelto per voi.

Muktinath, Nepal: donne con la macina a pietra. (Renzo Garrone/Ram Viaggi)

± Terme di Chianciano

13 - 15 febbraio, 27 febbraio – 1 marzo Libera la mente e il corpo! Tre giorni di escursioni nella natura senese e pomeriggi di relax da trascorrere nella completa cura di sé. Costo: 205 euro (escluso viaggio). info Four seasons - Natura e cultura tel 06 - 278.00.984 » www.fsnc.it

± Libia (a piedi) 1 - 12 Marzo

Un trekking nel Sahara in compagnia dei tuareg per conoscere il Parco del Tadrart Akakus, famoso per le ripide falesie, e i piccoli laghi dell’Erg Ubari. I cammelli portano i bagagli, l’acqua e il cibo. Si dorme in tenda, sotto le stelle. Costo: 1.030 euro + 450 euro per il volo aereo. info Le vie dei canti tel 0583 - 356.182 » www.leviedeicanti.it

± GUATEMALA 5 - 19 Aprile

Al cuore della cultura Maya. Guidati da una famiglia impegnata in attività di sostegno alle comunità degli altopiani, si visitano il Quichè e la parte orientale, Rio Dulce, la Costa Atlantica e Tikal, il magnifico Centro Maya nella giungla del Peten. Costo: 2.200 euro (volo incluso). info Pindorama tel 02 - 39.218.714 » www.pindorama.it

± Nepal 11 - 26 aprile

Kathmandu, Pokhara e il trekking sull’altopiano dell’Annapurna: un itinerario tra cultura (patrimoni dell’Unesco) e progetti solidali. Tra gli altri, l’incontro con l’Ong Cwin, che si occupa dei bambini di strada. Partenze anche individuali. Costo: 2.150 euro + 750 euro di cassa comune. info Ram - viaggi incontro tel 338 - 160.69.10 » www.ramviaggi.it Libia: i laghi tra le dune sono nelle zona di Ubari, seconda tappa del viaggio proposto da “Le vie dei canti”. (Barka Kati, guida locale)

| Viaggiare leggeri | a cura di legambiente

la ricetta anti-smog: chi inquina paga

andrea danese

P

agare per entrare in città con l’auto è diventata una consuetudine. Accade a Londra, Stoccolma, Oslo e Singapore, solo per citare i casi più famosi. Un po’ ovunque le amministrazioni hanno introdotto un ticket con lo scopo di decongestionare il traffico, incoraggiando scelte di mobilità alternative all’auto. Funziona, il road pricing. Nella capitale britannica, grazie alla tassa, il traffico è diminuito del 21 per cento, la concentrazione di PM10 del 15. Percentuali analoghe hanno caratterizzato il provvedimento di Stoccolma. Nei centri urbani, sempre più intasati di auto, le iniziative di congestion charge, la tassa sulla congestione, sono meritorie.

Cosa ben diversa, almeno per gli intenti, sono gli esperimenti di pollution charge (tassa sull’inquinamento), basati sul principio che “chi inquina paga”. Nella grande Londra (circa 8 milioni di abitanti) dall’inizio del 2008 i vecchi camion per circolare devono pagare 200 sterline al giorno (300 euro!), a meno che non installino speciali filtri anti-particolato. Alcune città tedesche si sono spinte oltre: hanno introdotto il divieto di circolazione a tutti i mezzi che non soddisfano precisi standard di emissione. E in Italia? Le città restano congestionate, con evidenti conseguenze su ambiente e salute pubblica. Il nostro continua a essere il Paese con la più alta concentrazione di automobili: 60 ogni 100 abitanti. Primo e unico esperimento italiano di road pricing, per ora, è l’Ecopass di Milano, attivo dal 2 gennaio 2008. Nato come provvedimento antismog, l’Ecopass ha da subito suscitato dubbi sulla sua efficacia: l’area di applicazione è ridotta (solo 8 km2) e molti veicoli sono esentati dal ticket. Ma tutto sommato ha dimostrato che si possono introdurre principi e strumenti di governo della mobilità. Dopo un anno di sperimentazione, però, è auspicabile andare oltre. Facendo pagare, magari, le auto diesel Euro 4 non dotate di filtro anti-particolato, molto più inquinanti di quelle a benzina Euro 0; oppure estendendo la zona di applicazione. Serve il coraggio dell’amministrazione pubblica nel rendere l’Ecopass davvero efficace. Altrimenti il ticket antismog di Milano è condannato ad essere un esperimento, l’unico in Italia, mal riuscito. | 000 | febbraio 09

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alternative possibili

Come infrangere un tabù: Ora le donne di brescia possono condividere l’armadio. In nome del riciclo, del risparmio e di una stilista a loro disposizione.  | testo | eleonora de bernardi | illustrazione | silvia bonanni

un guardaroba a noleggio A

vere un abito impeccabile ogni giorno senza doverlo lavare e stirare, una stilista personale che ti interpella a ogni stagione, un laboratorio di sartoria che confeziona i vestiti su misura per te. Tutto a un prezzo abbordabile. È il sogno proibito di molte donne, spesso con poco tempo o pochi soldi da dedicare ai propri desideri. Proibito per molte, ma non per Vittoria

Vittoria Bono e la figlia Valentina nel loro show-room. (Spada Reporters)

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Bono, bresciana doc, 45 anni, due figlie e una buona dose di senso pratico e determinazione. Dopo una lunga esperienza nel settore abbigliamento e due anni di studi e ricerche di mercato, ha inventato un servizio inedito di noleggio di abiti da tutti i giorni. E il nome è tutto un programma: Ego, Ecologico guardaroba organizzato. Lo show-room di 100 mq con sartoria e lavanderia incorporate, ha aperto la scorsa primavera a Brescia ed è basato su tre concetti chiave: sostenibilità, condivisione e raffinatezza. Con un abbonamento mensile di 96 euro o uno annuale di 1.152 euro (più tessera associativa di 99 euro valida per 12 mesi), le clienti hanno diritto ad un capo diverso ogni giorno, per 365 giorni l’anno. Dall’etnico al classico, dal romantico al dandy sono 120 i modelli a disposizione per ogni collezione e per ogni taglia, dalla 40 alla 48. “La condivisione è il principio base di Ego -spiega Valentina, 21 anni, figlia di Vittoria, già coinvolta nel progetto-. I vestiti infatti non sono di proprietà delle associate, ma del guardaroba. Le donne Ego scelgono le stoffe e i modelli all’inizio della stagione tra le proposte della nostra stilista, Maria Laura Uggetti, poi, di fatto, usano gli abiti a turno. | alternative possibili

Noi ci occupiamo di realizzare i capi, organizzare gli scambi e di fornire loro un guardaroba sempre in ordine e alla moda”. Si tratta di un’elaborazione del dress sharing, sistema nato in Inghilterra, in cui un gruppo di amiche decide di acquistare insieme degli abiti e di usarli in comune. Vittoria Bono ha pensato a ogni dettaglio. “Il cambio dei vestiti avviene una volta a settimana su appuntamento -spiega l’ideatrice-. Ogni associata viene nel nostro atelier, ci lascia i sette capi usati e ne sceglie altri sette. Abbiamo pensato anche ad un sistema di consegna/ritiro a domicilio”. Non ci sono neppure sprechi perché, anche se si cambia taglia o gusto nel corso dell’anno, il guardaroba contiene capi di tutti gli stili e di tutte le misure. A fine stagione, poi, è possibile acquistare con lo sconto i vestiti preferiti. “È un sistema pratico e divertente -racconta Carla Sora, dirigente d’azienda e associata della prima ora-. I primi 14 capi della collezione estiva li ho scelti io e sono stati cuciti su di me. Ma se un giorno non mi piacessero più, pazienza. Ne ho altri cento da scegliere e so che non ho buttato via soldi né sprecato qualcosa. Un’altra donna potrà usarli e divertirsi a cambiare”.


| critical fashion | la moda diventa sostenibile

jeans: una comodità che (a volte) non inquina tiziana tronci

I

jeans fanno parte della nostra quotidianità e sono una delle icone della moda di sempre. Un capo versatile che tutti indossano e hanno indossato: cowboy, ribelli del cinema, hippy, capi di stato, teste coronate e fashion victim di ogni latitudine.

Donne manager, ma anche insegnanti, commesse, impiegate e studentesse. Le abbonate provengono da ogni estrazione sociale. Come Elisabetta Becchetti, universitaria: “Quest’estate sono partita per le vacanze con il guardaroba Ego in valigia e dopo 15 giorni gliel’ho riportato usato. Non ho dovuto neanche disfare i bagagli a casa”. Si risparmia tempo, e non solo. “Abbiamo pensato alle tasche di tutti: di fatto ogni capo costa circa 3 euro, meno che portarlo in tintoria -continua Vittoria-. In più alle nostre clienti chiediamo di imparare a trattare bene gli abiti, nell’ottica che a usarli non saranno le sole”. Sostenibile e raffinato: sì perché ogni capo è realizzato da laboratori bresciani. “Il legame con il territorio è per noi fondamentale -spiega Vittoria-. Se duplicheremo la nostra esperienza altrove, studieremo i gusti delle donne di quel luogo e cercheremo lì stilisti e sarti”. Sui progetti futuri però Valentina e Vittoria fanno le misteriose: anche se a breve, sussurrano, pensano di aprire un Ego a Milano e di lanciare un franchising su scala nazionale.

Ogni anno nel mondo se ne vendono circa 1,5 miliardi di paia: per questo la corrente di moda ecosostenibile e di consumismo coscienzioso, che spopola in Inghilterra e in America e che lentamente sta affermandosi anche in Italia, non ha potuto ignorarli. Nel mondo sono circa 50 i marchi, da Levi Strauss a Replay, che negli ultimi anni hanno accettato la sfida di proporre sul mercato jeans “ecoresponsabili” a un prezzo accessibile. Pochi sanno, infatti, che la produzione dei jeans è una delle più inquinanti nel settore tessile dell’abbigliamento, perché utilizza molti lavaggi e finissaggi per rendere il tessuto morbido, invecchiato, arricciato, sfumato, come la moda impone. Ma a rendere tanto comodi i jeans è il loro tessuto, il denim: realizzato con ordito e trama di cotone (anti-

≈ Tiziana Tronci è consulente marketing

e comunicazione nel settore del tessile ecosostenibile. Collabora per progetti italiani e internazionali legati al mondo del lifestyle e della sostenibilità.

camente l’ordito era in lino), si distingue per robustezza, resistenza e adattabilità. Il colore classico del denim è il blu non regolare, un aspetto che può variare con diversi trattamenti di finissaggio, tra cui lo “stone washed” e il “delavé”. Alcuni marchi pionieri come Kuyichi, Tierra del forte e Linda Loudermilk hanno trovato soluzioni intelligenti per limitare l’impatto sull’ambiente. Per esempio, vengono eliminati alcuni processi di lavaggio utilizzando meno sostanze chimiche, oppure i lavaggi agli enzimi vengono sostituiti con quelli fatti a base di sapone di Marsiglia. I finissaggi chimici poi possono essere rimpiazzati da trattamenti a mano che utilizzano pietre abrasive e infusioni di fiori e oli essenziali, per dare al tessuto l’aspetto stropicciato e “vissuto”. Non solo: al posto del cotone convenzionale si sta diffondendo l’uso del cotone organico e anche piccoli dettagli come bottoni e rivetti vengono realizzati in materiali riciclabili, tra cui cocco e pelle vegetale, che sostituiscono metallo e pelle animale. Oltre all’aspetto ambientale, brand come Loomstate ed Edun (linea lanciata nel 2005 dal cantante degli U2, Bono, e dalla moglie Ali Hewson), hanno impostato il loro business sul commercio equo e socialmente responsabile.

Tessuto denim in cotone organico. Una curiosità: anticamente l’ordito era realizzato in lino.

e.G.o. ecologico Guardaroba organizzato via Fura 50, 20125 Brescia tel 030 - 353.42.76 sito: www.suiteatwork.it e-mail: mail@suiteatwork.it

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| testo | stefania cecchetti

uno scandalo nel carrello Roma, ipermercato. (Pierpaolo Scavuzzo/Eidon)

Per mangiare informati

Una piccola guida sul cibo industriale e sugli alimenti confezionati che sempre più invadono le nostre tavole: dagli yogurt alle merendine, dalle patatine ai surgelati. In un ideale pranzo completo, dalla prima all’ultima portata, il volume ci accompagna alla scoperta di ciò che mangiamo. Stefania Cecchetti I mostri nel mio frigorifero Terre di mezzo editore, 201 pagine ± 12,00 euro.

solo il 45 per cento dei consumatori legge le etichette dei prodotti, elenchi di nomi e sigle spesso incomprensibili. ma oggi, anche grazie a internet, tutti possono soddisfare la propria curiosità.

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salumi no! Per carità, sono pieni di nitrati, si dice siano cancerogeni. Una pasta con un sugo pronto è più sicura: speriamo però non contenga coloranti tossici, in passato è successo. E allora, nel dubbio, stiamo sul salutistico: una mozzarella di bufala campana Dop, con un filo di olio extravergine. E se fossero contraffatti? A simili slalom mentali molti consumatori sono abituati, perché oggi chi vuole alimentarsi in modo sano può avere vita davvero difficile. Per fortuna, dalla nostra abbiamo un’arma importante: l’etichetta. Peccato che, secondo un’indagine condotta nel 2007 da Ipsos per il Movimento difesa del cittadino, solo il 45 per cento degli italiani la controlli sempre prima di fare un acquisto. Anche i più virtuosi si trovano disorientati da formulazioni complicate come rebus. Alzi la mano, chi sa cosa siano gli amidi modificati e se siano parenti degli Ogm (la risposta è no: sono semplici amidi, come il mais, modificati in modo da acquisire le proprietà più adatte ai processi di lavorazione che dovranno subire, ad esempio una maggiore resistenza alla cottura). Dell’etichetta si ignorano anche aspetti più banali, ma che nascondono informazioni utili, come l’elenco degli ingredienti, dove le sostanze sono riportate in ordine decrescente di peso. Una tavoletta di cioccolata il cui primo ingrediente in etichetta è il cacao sarà certo più sana di un’altra che vede lo zucchero in pole position. Nemmeno l’etichetta, però, è uno strumento infallibile. È il caso di un prodotto industriale 30

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“tranquillo” come i sughi pronti, un comparto il cui giro d’affari è sempre in crescita (nel biennio 2006 - 2007, 131 milioni di euro, più 5 per cento rispetto a quello precedente, dati Iri). Nessuno ci può garantire che la salsa rossa sia fatta con pomodori maturati sotto il bel sole della Campania e non con “concentrati” made in China, arrivati in fusti da 200 chili. L’esempio è tutt’altro che casuale: nel 2007 le importazioni di pomodoro concentrato dal gigante asiatico sono quasi triplicate, per un quantitativo di 140 milioni di chili, che equivale a circa un quarto della produzione di pomodoro coltivata in Italia. La qualità della materia prima è uno dei nodi critici, come avverte anche Marco Riva, docente all’Università di Scienze gastronomiche di Bra (l’Ateneo di Slow Food): “Spesso demonizziamo coloranti e conservanti, ma oggi le normative europee ci proteggono abbastanza bene dal loro utilizzo. Il problema è la rete dei controlli, è lì che si riscontrano grosse mancanze, come ha dimostrato lo scandalo del formaggio grattugiato, confezionato con escrementi e pezzi di plastica”. Scandali a parte, è possibile tenersi sempre aggiornati e in questo internet aiuta: sono diversi infatti i siti web dedicati all’alimentazione. Tra gli altri merita una visita http://trashfood. com, il blog ideato da Gianna Ferretti, docente di Biochimica della nutrizione all’Università Politecnica delle Marche. Nella sezione “etichettibus”, la docente propone un quiz che invita con un pizzico di ironia a scoprire l’ingrediente misterioso. “Il sito è nato dall’incontro tra lavoro accademico e scoperta di Internet, come luogo di incontri virtuali con altre persone curiose di cibo e stili alimentari –spiega Ferretti–. Tutti facciamo la spesa, essere informati significa fare scelte più consapevoli, ma con leggerezza”. | alternative possibili


| buone pratiche per vivere meglio

la finanza con i piedi per terra A

llettanti per il profumo (di denaro), ma dal contenuto indigesto. I prodotti finanziari legati ai “mutui subprime”, è stato detto, erano come una salsiccia all’apparenza gustosa ma di cui non si conosce il ripieno. Prestiti ad alto rischio venivano venduti impacchettati in obbligazioni “garantite”, con la promessa di rendimenti a due cifre.

Ora che la crisi finanziaria punisce chi si è dato alla scorpacciata, viene da pensare alla diversità di principi che rende “altra” la finanza etica. Nessuna speculazione su derivati o mutui, bensì una scommessa sull’economia solidale, sul sostegno dato ai progetti di chi, escluso dal circuito del credito tradizionale, persegue una finalità sociale nel proprio territorio. “Chi ci consegna i propri risparmi -spiega Marco Grassi, dell’ufficio promozione di Mag 2 Finance (www. mag2.it)-, lo fa perché crede che aiutando qualcuno ne riceverà un beneficio anche per sé, sebbene in modo indiretto e a distanza di tempo”. Una rendita di tutt’altro tipo che giustifica l’interesse con cui l’investitore etico pretende di conoscere dove siano finiti i propri risparmi, a differenza di

chi si limita ad attendere i dividendi per passare all’incasso. Le Mag, mutue di auto-gestione, sono cooperative finanziarie solidali. Raccolgono soldi attraverso libretti di risparmio o con l’ingresso nel capitale sociale. Mag 2 Finance, nata 30 anni fa, conta oggi 1.195 soci e un capitale di circa 2 milioni e mezzo di euro. Per entrare a farne parte bisogna versare un contributo minimo di 51,64 euro. In qualsiasi momento il socio può decidere di uscire dalla cooperativa, e all’aprile dell’anno successivo gli vengono restituiti i soldi investiti. Versare i propri risparmi a Mag 2 significa sostenere progetti come “Livecom”, primo operatore telefonico non profit nazionale che da’ lavoro a giovani con disagio sociale e psichiatrico, oppure “Una rete per Angela” che, con il microcredito, aiuta donne sole che tentano di avviare un’impresa. Nessuna rendita da favola, bensì la garanzia di ritrovare i propri soldi anche a distanza di anni. Non poco di questi tempi. Senza contare la rendita “etica” del proprio investimento. (Francesco Abiuso)

3 domande a Mario Crosta

direttore generale di Banca Etica

In che cosa si può investire in questi mesi di crisi? Meglio concentrarsi sui prestiti obbligazionari con durata variabile fra i tre e i cinque anni, che garantiscono tassi di rendimento annuo superiori al 3 per cento, e sui certificati di deposito nominativi, da 18 o 24 mesi, protetti dal rischio insolvenza dal Fondo interbancario. È sufficiente? Occorre anche sostituire al concetto di speculazione (denaro che produce altro denaro) quello di finanza etica, con investimenti agganciati all’economia reale. Chi ha creduto in noi si è trovato più tutelato, grazie a trasparenza e tracciabilità dell’investimento. Consiglierebbe di investire in fondi come quelli di Etica Sgr? Certo, magari con un piano di accumulo che consenta di impegnare il capitale con gradualità, limitando anche il rischio.

| mondopen | a cura di | openlabs | www.openlabs.it

liberi e ribelli con il pc L

ibertà di eseguire un programma, di studiarne il funzionamento, di migliorarlo e ridistribuirlo. Se i grandi dell’informatica dettano ancora legge sui mercati, queste condizioni rappresentano i quattro emendamenti del Software libero (Free software), garantendo alcuni “diritti fondamentali” agli utilizzatori di questo tipo di software, scaricabile a costo zero e “aperto” alle modifiche della comunità degli utenti.

Il primo emendamento, infatti, garantisce a tutti gli utenti (persone singole, organizzazioni o aziende) la libertà di eseguire il programma, qualsiasi sia lo scopo finale. Il secondo consente di poter studiare liberamente come funziona il software e, a quanti sono in grado di farlo, di poterlo adattare alle proprie necessità

agendo sul codice sorgente (la “matrice principale” del programma, un po’ come il Dna degli esseri umani). Il terzo emendamento sancisce la facoltà di ridistribuire le copie del software, in modo da consentirne l’utilizzo anche a chi non ha le possibilità economiche di acquistare programmi “blasonati”, dal costo spesso ingiustificato. Il quarto e ultimo emendamento consente di apportare miglioramenti al programma e di diffonderli, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio. Se un programma rispetta queste quattro condizioni, si può quindi fregiare del titolo di “Software libero”. Per una persona, un’azienda o un ‘organizzazione, avere a disposizione questo tipo di prodotti significa non

solo poterli utilizzare senza chiedere o pagare alcun permesso, ma anche fare modifiche, per esigenze di lavoro o per divertimento, senza doverlo dire a nessuno. Grazie alle loro caratteristiche, free software come OpenOffice, Gimp, Firefox e Thunderbird stanno acquistando una popolarità sempre crescente tra gli utenti informatici, anche perché sono ormai disponibili per tutti i sistemi operativi più diffusi (Windows, Mac OsX, Linux). La prossima volta affronteremo altri aspetti inerenti il software libero e il suo utilizzo, in modo da avere una prima “infarinatura” su questo ampio mondo e sulle sue implicazioni nella vita di tutti i giorni. (Tommaso Ravaglioli)

≈ OpenLabs è un’associazione culturale fondata nel 2000. Organizza corsi, seminari e convegni per la diffusione del software libero e open source.

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si apre con la storia di un adolescente il primo degli appuntamenti con “scrittori nel cassetto”. In queste pagine trovate racconti inediti, scritti dai lettori e commentati per noi dai docenti della Scuola Holden.  | racconto di | dark0 | illustrazione | alessandro baronciani

via arquata A

l contrario di come si potrebbe immaginare, via Arquata è assolutamente diritta. Una volta Emiliano mi ha detto: – Una curva si dice dritta o diritta? Io ho risposto senza neanche un tentennamento: – Diritta! Lui ha sogghignato e si è messo a ridere, e anche Angela, che stava seduta sulla graziella rossa, si è messa a ridere, ma cercando di trattenersi un po’. Allora ho capito che stavo sbagliando qualcosa e ho cercato di correggermi: – Dritta... Dritta! Si dice dritta! Stavolta Angela non è riuscita a contenersi più e si è piegata sul manubrio della graziella rossa e singhiozzava dalle risate. Emiliano si è avvicinato a me e mi ha dato due pacche sulla spalla: – È una curva… una curva. Io sono rimasto con gli occhi sbarrati guardando lui e ripensando a come fossi riuscito a sbagliare due volte in poco tempo, cadere nel tranello di Emiliano, essere deriso davanti Angela. Deriso da Angela. – Vado a vedere se c’è Daniele -, dice Emiliano. – Aspetta, vengo anch’io -, dice Angela e forse mi guarda e sorride ancora. – Io vado a casa. – Dai, ma vieni con noi. Se c’è Daniele siamo quattro e si può andare alla ferrovia. No, davvero. Andate voi, poi al massimo vi raggiungo. Emiliano e Angela sono andati verso casa di Daniele. Qui a via Arquata siamo tutti vicini. È un quartiere qua-

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drato con sei quadrati. Come fare a farvi capire? Non ci sono curve. Niente linee dolci. Solo incroci e strade diritte e brevi. Da una parte c’è corso Unione, dall’altra corso Dante e dopo c’è il ponte della ferrovia. La ferrovia. Quando papà torna la sera da Mirafiori, dice che siamo fortunati a stare qui a via Arquata e che, anche se vicino la ferrovia, è un posto invidiabile. Che stiamo al centro, che non manca niente. La sera papà fuma una sigaretta sul balcone dove teniamo la scala di ferro. Guarda la ferrovia e io mi metto vicino a lui e insieme aspettiamo che passi il treno. Prima sentiamo i cavi dell’alta tensione muoversi e sibilare come fruste e io mi tengo forte al suo pantalone perché so che tra un po’ passerà vicinissimo e velocissimo; poi, nella notte, lo vedo arrivare con il suo occhio luminoso. Non so come spiegarvi, ma papà non si muove di un centimetro quando passa, anzi, allunga una mano e grida: – Lo tocco! Lo tocco! E io ho paura. Ho paura che lo tocchi sul serio e che il treno possa deragliare. Non andare più diritto e accartocciarsi su se stesso per colpa sua. Gli grido di smetterla. Glielo grido forte. E lui ride. Ride di gusto. Poi ritira la mano. Il treno passato. Fa un ultimo tiro alla sigaretta e dice che è ora di andare a letto che è tardi. Io sento ancora il vento del treno fischiare nei capelli. Mi tengo a lui fino a quando non siamo entrati dentro casa. Al sicuro. Quando lo lascio, lo osservo andare verso la camera da letto con il pantalone tutto stropicciato.

| scrittori nel cassetto



“Scrittori nel cassetto” è anche una sezione del nostro nuovo sito, dove potete pubblicare i vostri commenti e trovare i temi dei prossimi racconti. Vi aspettiamo su terre.it!

Dark0 Giuseppe Franco è Dark0 quando scrive, disegna, suona la chitarra e si emoziona. Laureato in Ingegneria, ha vissuto a Cosenza per trent’anni, ora vive a Torino e porta sempre le scarpe slacciate.

Alessandro Baronciani Trentenne, illustratore e fumettista, lavora tra Pesaro e Milano. Ha iniziato disegnando gli “Afumetti” che spediva via posta ai suoi abbonati. Un esperimento di autoproduzione confluito nella raccolta “Una storia a fumetti”. L’ultima fatica? “Quando tutto diventò blu”, Black Velvet editore.

Sono sul balcone dove teniamo la scala di ferro. È giorno e vedo Emiliano e Angela che scavalcano il muretto giallo e l’inferriata con il cartello con il teschio. Daniele non c’è. Emiliano aiuta Angela e poi scavalca anche lui. Li perdo di vista dietro gli alberi che seguono il bordo della ferrovia. Non riesco più a vederli. Vado dentro la camera da letto di papà, prendo lo sgabello di legno della scrivania e lo metto sotto la finestra. Mi arrampico e guardo fuori. Li vedo: sono vicino le rotaie. Stanno tirandosi dei sassi aguzzi. Poi sento i cavi dell’alta tensione frustare. Frustano forte. Arriva. Sta arrivando. – Sta arrivando! Toglietevi di lì! Sta arrivando! Sono sicuro di gridare, ma né Angela, né Emiliano mi sentono. Lo sgabello mi sfugge da sotto i piedi e io cado. Non riesco a sentire il rumore che faccio perché il treno sta passando e il suo fischio è assordante. Resto per terra, non so se per il dolore della caduta, per la paura del rumore, o per quello che è appena successo. Il treno è passato. Veloce. Mi precipito giù per le scale. Esco su via Arquata. Corro. Scavalco l’inferriata e sono sulla ferrovia. Li cerco. Sento che non va. Qualcosa non va. Ho paura. Improvvisamente mi sento solo. Poi li vedo. Sdraiati per terra. Vicino al muretto giallo. Stanno ridendo e si abbracciano. Forse si baciano. Forse si abbracciano e basta. Oppure si abbracciano e si baciano senza ridere. Non voglio che Angela mi veda. Non voglio. 34

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Vorrei nascondermi, ma qui ci sono solo rotaie e pietre aguzze e traversine di legno. Corro verso il muretto. Scavalco l’inferriata. Mi siedo, spalle al muro. Sono dentro il quadrato, dentro le linee diritte: via Arquata. Qui, al sicuro. Daniele mi guarda dall’altro lato della strada. Viene verso di me e mi chiede dove sono Angela e Emiliano. – No... Non lo so. – Mi avevano detto che andavano alla ferrovia. – E allora? Se lo sai perché me lo chiedi? – Ma se ti ho visto che scavalcavi! – Senti Daniè... – Chè? – Una curva si dice diritta o dritta? – È una curva! Quindi non si dice né diritta, né dritta, perché se è una cur... – Vaffanculo, Daniè. Via Arquata dopo vent’anni è rimasta sempre la stessa. Non ci sono curve. Niente linee dolci. Io oggi sono ritornato. Sono tornato per papà. L’ho trovato sul letto. Stanco. Forse malato, ma non ancora rassegnato. Dormiva, così sono sceso per strada. Sono stato davanti casa di Emiliano, poi davanti casa di Angela. Poi vicino la ferrovia. La ferrovia. Ora non mi fa più paura. Ma più continuo a guardarla più mi sento solo. Come fare a farvi capire? Sono tutte queste curve. Queste curve così diritte.

| scrittori nel cassetto


scrittori nel cassetto | a cura di | scuola holden | www.scuolaholden.it i ferri del mestiere

via arquata

È un racconto riuscito per la fedeltà al tema proposto, “Periferie”, per la capacità dell’autore di costruire un buon incipit, un deciso sviluppo e un finale coerente. L’autore racconta con delicatezza il momento in cui il protagonista della narrazione diventa adolescente. L’incipit fornisce le informazioni giuste: il luogo in cui si svolge l’azione, l’età del protagonista e l’estrazione sociale della sua famiglia. La parte centrale è dedicata allo sviluppo del personaggio: lo snodo più importante avviene quando gli amici del protagonista, schivando un treno in corsa, sfuggono alla morte. Dark0 ha consapevolezza di ciò che sta raccontando e lo dimostra separando con uno spazio il corpo centrale del testo. Da “La ferrovia” a “Improvvisamente mi sento solo”, l’autore crea un universo narrativo. Il finale è la conferma della crescita del personaggio: dice di sentirsi solo, come succede agli adulti. Via Arquata è un racconto riuscito anche per il suo sviluppo narrativo forte e concreto.

l a parol a ai maestri

moby dick o la balena di Herman Melville Mi piace pensare a Melville chiuso nella sua camera mentre pensa a Ismaele, il protagonista di “Moby Dick”. Mi piace pesare a Melville lì, nella sua stanza, illuminato solo dalla luce di una candela, mentre pensa e ripensa a come diavolo presentare Ismaele finché, immagino, sarà arrivato alla conclusione. La più diretta possibile: “Chiamatemi Ismaele”.

Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa - non importa quanti esattamente - avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Adelphi, 1994 traduzione di Cesare Pavese Esiste un modo più diretto e coinvolgente di questo per iniziare un romanzo? Forse sì. A differenza di altri però, l’incipit di “Moby Dick” ha in sé tutto quello di cui un lettore ha bisogno per essere coinvolto nella storia: il nome del protagonista, il suo carattere e cosa fa per vivere. L’incipit perfetto? Forse.

chi ben comincia…  | testo | Alessandro baccara

L’

incipit. Un inizio. L’inizio. Di una storia, di un viaggio. L’incipit è una partenza per un luogo, l’origine di un itinerario prestabilito o sconosciuto. Il luogo, o il momento, in cui si intraprende qualcosa di nuovo, che sia un viaggio, un romanzo o una rubrica per una rivista. L’incipit è il momento in cui l’autore presenta la sua storia: lo stile narrativo scelto, l’ambiente in cui si svolge l’azione e i personaggi protagonisti della vicenda. Da qui in avanti non si possono avere esitazioni o ripensamenti: l’incipit di una storia può apparire anche come una promessa, la promessa fatta dall’autore al suo lettore: “Quel che leggi in queste pagine sarà quel che troverai se vorrai continuare”, più o meno. Come avrete capito è arrivato il momento di lustrare le scarpe e abbottonarsi il panciotto, perché è durante le prime pagine del vostro romanzo che il lettore si formerà la prima impressione sulla vostra storia. Potete usare un punto di vista astratto: un occhio che dal cielo osserva il mondo planando sulla testa dei personaggi, come ne “Il profumo” di Suskind (Tea, 2007). Oppure potete usare la prima persona e descrivere il vostro personaggio, il genere di vicende che racconterà e quelle a cui andrà incontro, come ne “Il tamburo di latta” di Günter Grass (Feltrinelli, 2008). O potreste descrivere un cappello: un oggetto apparentemente banale ma, se caricato di significato come il cappello di monsieur Bovary in “Madame Bovary” di Flaubert (Garzanti, 2007), riuscirà a descrivere un personaggio e il suo universo narrativo in pochi tratti. Prendete come riferimento l’autore o il genere letterario che più vi piace, descrivete minuziosamente la realtà che vi circonda o procedete per sottrazione dei particolari, l’importante è che l’inizio della vostra storia sia coinvolgente, curata in ogni suo aspetto e soprattutto che sia coerente con il resto della narrazione. Rischiare la prima mano, a volte, significa vincere tutta la posta.

≈ Raccontare storie è un’arte che si può

imparare. Lo dimostra la Scuola Holden di Torino, fondata da Alessandro Baricco nel 1994. Tra gli allievi anche Paolo Giordano, vincitore del Premio Strega 2008.

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forchette e bacchette

Woody’s café

Américan restaurant Un po’ bistrot e un po’ ristorante, un po’ saloon e un po’ wine bar, il Woody’s offre un menu che assembla piatti freddi e piatti caldi di forno (e solo di forno) con ottimi risultati. Qualche esempio? Affettati (crudi e cotti), lasagne, torte salate, agnello con verdure e via così. Più che discreta la cantina, calibrata su ricarichi molto onesti. Conto sui 20/25 euro, bere a parte. viale Monza 140, Milano tel 02 - 257.149.54 chiuso: sempre a pranzo e il lunedì.

al woody’s café, l’atmosfera dei ’70  | testo | valerio massimo visintin | foto | alessia gatta

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he ci si possa sempre fidare di un ristorante con una bella storia alle spalle è un teorema infallibile. Tanto più in una città come Milano, dove i locali, oramai, sembrano quinte sceniche in cerca d’autore e senza un bel niente da raccontare. La storia del Woody’s, per esempio, parte da lontano, anche se l’insegna e l’arredo sono nuovi di zecca. Ce la facciamo raccontare da Fiorenzo Corona, che ogni sera dirige la sala da dietro il bancone, come un comandante sulla tolda della nave. “È vero, proprio qui c’era la trattoria del Teatro Officina, della quale questo posto è, in qualche modo, figlio”, racconta con l’aria di voler ridimensionare gli eventi e il tempo. In che anni? Ci pensa un po’ e finalmente si rende conto: “Nel 1977: porca miseria se eravamo giovani!”. Eravate? “Al principio c’erano l’Adriano e l’Annina. Io sono arrivato dopo. Ho cominciato come cliente, poi sono diventato cameriere e alla fine socio”. Per una quindicina d’anni, i tre hanno servito piatti caldi e freddi, divenendo un punto di riferimento per un popolo in eskimo e jeans, affratellato da una comune inclinazione ideale. “Sì, va bene -minimizza Fiorenzo-, ma era soprattutto un’osteria dove si pagava pochissimo; una cosa molto popolare”. Nel 1990 la trattoria chiude e i tre si dedicano ad altre imprese. Devono passare quasi 36

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vent’anni perché la storia compia il suo giro di boa. L’idea matura in concerto con lo Zelig, che nel frattempo ha assorbito gli spazi del Teatro Officina. Annina, Adriano e Michele Mozzati (la seconda metà della coppia Gino e Michele) decidono di dare vita a un locale che viaggi in simbiosi con il tempietto del cabaret, pur coltivando una dimensione autonoma: “Loro hanno messo l’input. E io lo sto portando avanti”, spiega Fiorenzo. Il Woody’s (così battezzato in omaggio a Woody Allen) non ha l’aria proletaria della trattoria della quale raccoglie l’eredità.

Tuttavia, in un certo senso, ne replica lo spirito, ponendo in campo ingredienti analoghi, sia pure con qualche aggiornamento: prezzi onesti, cordialità, piatti sapidi e casalinghi. “Facciamo tutto al forno, con cotture che possono essere rapide o lunghissime, ma sempre con cautela nell’uso dei condimenti”, spiega Fiorenzo. Che scelta originale, perbacco. Come mai tutto al forno? E qui il patron ci smonta, concludendo con inguaribile scetticismo: “No no. Nessuna scelta. Ci siamo dovuti inventare questa cosa perché non abbiamo la licenza per i fornelli”.


| food and the city | di davide de luca

“P

overa ma buona” potrebbe essere il titolo di un film che racconta la storia della cicerchia, un legume scomparso dalle nostre tavole e che abbiamo ritrovato al mercato di via Calatafimi a Milano grazie a Francesco, fruttivendolo. A metà tra i ceci e le fave, la cicerchia (Lathyrus sativus) ha origini molto antiche e arriva dal Medioriente. Fino agli anni ’50 ha fatto parte della cultura alimentare italiana, oggi è coltivata solo in piccole zone del Centrosud. Ottima da cucinare in zuppe e minestre, con la cicerchia è possibile realizzare anche la farina con la quale preparare maltagliati e pappardelle. Curiosità: la zuppa di cicerchia è il piatto ufficiale di Campo di mele (Lt), paese famoso per la longevità dei suoi abitanti. Anticamente, “aver mangiato le cicerchie” sostituiva il detto “avere le traveggole”: si credeva infatti che questo legume causasse problemi alla vista, forse perché non le si metteva in ammollo prima di consumarle o perché non le si cucinava il tempo necessario per eliminare la latirina, un sostanza tossica che può essere nociva al sistema nervoso (in caso di abuso!).

| la ricetta

ricordate la cicerchia? Un gustoso piatto a base di cicerchia, funghi prataioli, farro e broccoli.

| passaparola - Le vostre segnalazioni a redazione@terre.it

Parmigiana di zucchine alla murgiana

Na p ol i

Ingredienti per 6 persone 1,5 kg zucchine 2 uova fresche 2 uova sode farina bianca q.b. 400 g di mozzarella 100 g di mortadella 1 kg di salsa di pomodoro (meglio se fresco) 70 g di parmigiano grattugiato 1 cipolla a fette basilico q.b.

È il ristorante più “maleducato” sotto il Vesuvio e si trova nei Quartieri spagnoli, tra le vie dello shopping e una delle zone più popolari della città.

offerta da Adriano Benedetti

Fate imbiondire in una padella tre fette di cipolla, aggiungendovi poi la passata di pomodoro e le foglie di basilico rigorosamente spezzettate a mano (il basilico odia il coltello). Dieci minuti di cottura. Tagliate longitudinalmente le zucchine per circa mezzo centimetro di spessore. Salatele e fatele riposare per un'ora in modo che perdano la loro acqua. Quindi, infarinatele e passatele nell’uovo. Friggetele in olio extravergine di oliva, badando bene di farle asciugare di volta in volta su un foglio di panno-carta. In una teglia rettangolare da forno fate una leggera base di salsa di pomodoro, stendendovi un primo strato di zucchine, badando di sovrapporle leggermente. Cospargete il primo strato con pezzetti o fettine di mozzarella, listarelle di mortadella e dadolata (a dadini) di uovo sodo. Continuare così, fino a esaurimento delle zucchine. Infine, coprite col sugo, aggiungendo basilico e parmigiano misto a pane grattugiato. La cottura in forno (a temperatura moderata) durerà circa 30 minuti. Si consiglia di servirla tiepida (ma può andar bene anche fredda).

Nennella

consigliato da Maria

Chi ci porteresti: gli amici in cerca di un goliardico divertimento che non se la prendono; gli amanti della cucina tipica napoletana. Perché: è caratteristico al 100 per cento, si mangia bene (e tanto). Menu casereccio con pochi piatti tipici serviti da personale simpaticissimo. Da non perdere: pasta e patate con la provola e la “tracchiulella”, la cotoletta partenopea. Costo: menu completo, bevande comprese, viene 10 euro a persona, 11 euro con gli antipasti. Dove: Napoli, vicolo Lungo Teatro nuovo 103 tel 081 - 414.338.

Pa l e r mo

Il mirto e la rosa consigliato da Marco

È la mecca dei vegetariani e della cucina creativa siciliana. Il ristorante di Antonella Sgrillo si trova nel centro di Palermo, a pochi passi dai teatri Politeama e Massimo.

P isa

Circolo Arci “L’alba” consigliato da Francesco

È nel cuore della città universitaria, ma non ha nulla di ricercato: tovagliette di carta gialla, menu alla giornata e ambiente alla mano.

Chi ci porteresti: gli amici che amano i cibi biologici e le ricette che uniscono tradizione e innovazione. Perché: valorizza i prodotti del territorio e propone accostamenti insoliti che non deludono. Da non perdere: “la provola dei Nebrodi ai carciofi e caramello al peperoncino”, la tagliata di pesce agli agrumi e la bavarese al cardamomo con biscottini. Costo: i prezzi dei menu degustazione variano dai 13 ai 21 euro, vini esclusi. Dove: Palermo, via Principe di Granatelli 30 tel 091 - 324.353. Chi ci porteresti: chi apprezza il “mangiare” semplice toscano e chi conserva il gusto di tirar tardi attorno a una brocca di vino. Perché: la cucina di Valeriana è un concentrato di sapori della “vecchia” Pisa e il personale, tutto alle prese con problemi psichici (L’alba è un’associazione di promozione sociale), riesce sempre a strapparti un sorriso. Seduti ai tavoli, docenti universitari e studenti, operai, turisti e aspiranti artisti. Da non perdere: spezzatino con piselli, seppie con la bietola e cavolo “strasciato”. Costo: menu completo (bevande comprese) non più di 12 euro a persona. Dove: Pisa, via delle Belle Torri 8 - tel 050 - 544.211.

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invenzioni a due voci Sudafrica, tradizione e modernità. Donne in costumi etnici a bordo di un’auto di lusso. (Reuters/Antony Kaminju)

Un afro-scettico e un afro-entusiasta si incontrano a genova. Pap Khouma e Enzo Barnabà discutono di cultura e globalizzazione. su un punto, però, non hanno dubbi: Le Armi non servono.

non più bombe ma libri per l’africa  | testo | laura silvia battaglia

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i incontrano per la prima volta a Genova. Una coppia sui generis in un porto di mare. Lui altissimo e nero, l’altro bassino e bianco. Li ha portati qui il treno. Uno dall’Italia, l’altro dalla Francia. Per parlare di Africa, di un continente ingombrante e spesso dimenticato, uno dei Sud più Sud del mondo. Se fossero nati tre secoli fa, Pap e Enzo, sarebbe stato difficile vederli passeggiare da pari a pari. Sarebbero arrivati a Genova dalla stessa nave, l’uno schiavo, l’altro padrone. E invece sono qui, a perdersi tra i carruggi della giudecca, senza mai chiedere indicazioni, troppo intenti a disegnare un’Africa possibile per occuparsi della strada messa sotto i loro piedi. Con loro parliamo di Africa. E spieghiamo che noi, dell’Africa, conosciamo solo le immagini della fame, dei conflitti, delle dittature. Ma l’Africa è solo questo? O, piuttosto, non è una, cento, mille? Pap: “L’Africa sono le guerre, è vero. Ma spesso tutto nasce dalla necessità. Chi si ribella al

potere ha solo le armi per prenderlo. Salvo poi che, arrivato a ottenere ciò che desiderava, si trovi a fare le stesse nefandezze di chi lo ha preceduto”. Enzo: “Quando i missionari ci presentano un’Africa pauperista, quell’Africa è vera, ma non è tutta l’Africa. Ci sono anche i carnefici. L’Africa è anche razzista. Ecco, non si dovrebbe dire, ma l’ho detto. Ho visto del razzismo in Costa d’Avorio, verso gli altri neri, che faceva impressione. Se c’è un posto in ospedale, il primo a occuparlo è l’autoctono, poi tocca all’immigrato”. Ma l’Africa del villaggio monoculturale esiste ancora? Pap: “Credo di no. La trasmissione della cultu-

ra tradizionale dipende dal rispetto degli anziani. Se pensate che mia madre ha 70 anni e quando racconta un po’ di tradizioni i miei nipoti ridono…”. Enzo: “In Africa si dice che quando muore un vecchio, brucia una biblioteca. Una volta, vi-

Enzo Barnabà

Siciliano ma non di mare –è nato a Enna– per ovviare al suo destino si è messo a viaggiare. Francesista, ha conosciuto l’Africa nera attraverso la lingua dei cugini d’Oltralpe. Dopo l’insegnamento universitario in storia ad Aixen-Provence, a Scutari in Albania e a Niksic in Montenegro, è partito per l’Africa. Destinazione Abidjan, Costa D’Avorio. Da qui è tornato, un po’ africano anche lui, e ha pubblicato due raccolte di racconti, “Dentro il Sahara” (Philobiblon edizioni, 2004), “Sortilegi” con Serge Latouche (Bollati Boringhieri, 2008) e il romanzo “Le ventre du Phyton” (Aube, 2008). È andato a vivere quasi in Francia, a Ventimiglia. 38

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Pap Khouma

sto che la cultura era trasmessa oralmente, era così. Oggi, anche in Africa, se un anziano non trasferisce sapere in una società, la sua presenza è inutile”. Pap: “Ecco perché io, adesso, non ho più fiducia nell’Africa. Sono afro-pessimista”. Enzo: “Ma non ci credo! Del resto, si può essere pessimisti della ragione ma ottimisti della volontà”. Pap: “Sì, d’accordo. Il fatto è che non mi interessa se l’Africa vuole vivere all’occidentale, alla cinese, o all’africana. Io vorrei che lì cambiasse il modo di vivere. La mancanza di organizzazione la fa sempre da padrona. Non posso credere che la gente muoia ancora per il mal di testa, o per la malaria. E questa stessa gente aspetta dai governi delle soluzioni”. Enzo: “Per capire un governo, bisogna seguire il cuoco del ministro quando va al mercato. Perché, se non fa altro che comprare champagne e caviale, capirai facilmente quanto interesse avrà per il popolo”.

Ha sfiorato la Francia vent’anni fa, quando si è trasferito dal Senegal, suo Paese natale, all’Europa. Coltissimo, ha fatto diversi lavori prima di diventare scrittore: venditore di avorio in Africa nera, vu cumprà in Italia, giornalista, commesso in un negozio di libri. È famoso per il suo “Io, venditore di elefanti” (Baldini e Castoldi, 1990), scritto con Oreste Pivetta e, adesso, per “Nonno Dio e gli spiriti danzanti” (Baldini e Castoldi, 2005). Sta scrivendo un secondo romanzo sul rapporto tra italiani e immigrati, ambientato a Milano, la città in cui vive.


| i libri di terre | parola d’autore

Pap: “Appunto. I primi ministri per curarsi vanno a Parigi e per fare studiare i figli li mandano a Londra: i soldi dunque li hanno. Che cosa importa a loro sollevare le sorti della popolazione? Ci vorrebbero non bombe, ma libri per l’Africa. Non bombe ma medici. E bisogna formarli. Poi c’è la ‘fuga di cervelli’: se ci sono più medici nigeriani in Canada che in Nigeria, e quelli che sono via per studiare rimangono all’estero, che vantaggi abbiamo?”.

V

olevo che fosse un libro scritto più con le gambe che con le mani. Storie di immigrati, raccolte passo dopo passo: tra phone center e negozi etnici, bar e centri sociali. Volevo che ogni riga sapesse di movimento e ricerca. Non solo di vita vera, ma anche del modo in cui la vita si interseca con la città, la cambia o ne viene cambiata. A Milano, la 56 è una delle linee di autobus più frequentate da immigrati. Ho usato le impressioni di viaggio come quadri di una babele colorata. Dietro il libro ci sono gambe e curiosità. Le storie sono fuori, pronte a essere raccolte. Fuori da ogni luogo comune, dentro a un luogo condiviso. Armato di questa convinzione, ho ascoltato. E ho scritto.

Questo non è il segno dell’acquisizione piena dei costumi occidentali? Vi siete interrogati su questo nei vostri romanzi. Enzo: “Sì. Nel ‘Le ventre du Phyton’, la mia

protagonista, un’ivoriana che si rifà una vita a Palermo ma che poi pensa di rientrare in Africa, prima di ripartire, si tiene in contatto con la sorella via internet, con una webcam. E scopre i gusti della nipote adolescente di Abdjan che parla di telefonini Motorola e Sony, degli attori americani, del nuovo modello wap di computer, degli abiti di Armani e Versace, dei giocatori di calcio. E si rende conto degli effetti della globalizzazione e di quanto –lei dice– appartenga a quest’Africa: ‘un tubo digerente che inghiotte tutto quello che l’Occidente produce. Un continente che ha gettato la spugna perché non reagisce all’arroganza dei bianchi. Oggi, cos’è l’Africa, lo sanno solo i presuntuosi’”. Pap: “Bravissimo. Per questo nel mio ultimo romanzo non c’è finale. In realtà non ci può essere perché ad alcune questioni ancora non c’è risposta. L’Africa ha un sacco di problemi perché continua ad appoggiarsi agli altri, Cina compresa. E continua a gettare la spugna”. Sì, però avete iniziato a riscoprire e difendere le vostre lingue etniche. Pap: “Sono cose che piacciono agli africani per

solleticare la loro identità. Infatti, gli scrittori che fanno questa scelta sono visti come persone che ci riportano allo splendore ma, in verità, continuano a tenerci distanti dal mondo. Io, per esempio, non scrivo per i senegalesi. Scrivo per gli africani all’estero. Il problema è:

giorgio fontana

Babele 56. Otto fermate nella città che cambia Terre di Mezzo 2008 119 pagine ± 7,00 euro

chi scrive in kikuyu, ad esempio, troverà un lettore locale, chi scrive in wolof, no. Non c’è mercato. Io, che sono di lingua wolof, nel mio piccolo, ho bisogno di essere letto. È frustrante scrivere se nessuno ti legge. Quindi, perché dovrei scrivere in wolof? Meglio il francese. Del resto, i miei autori preferiti li ho letti in Francia e in Italia, dove un libro non è un lusso”. Enzo: “Allora, Pap, bisogna spezzare questo ciclo infernale per cui non c’è mercato africano per la letteratura africana. Gesualdo Bufalino diceva che il rimedio ai problemi della Sicilia sono: primo, i libri; secondo, i libri; terzo, i libri. Per l’Africa è la stessa cosa. Il mercato bisogna crearlo non solo per chi sta agli Champs Elysées, ma anche per chi in Africa c’è rimasto. Investire in libri di scuola, non in armi, e scrivere non solo per chi vive all’estero”. Pap approva e alza gli occhi al cielo, ché forse piove. “Speriamo”. Enzo incoraggia il progetto con una pacca sulla spalla: “Iniziamo insieme e troviamoci un editore”. Che coppia.

| I colori della fantasia  | a cura di vinicio ongini

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ero è il nome di un cane, che ha il pelo nero. Abbandonato dai padroni, a volte è “nero” persino il suo umore. Lo racconta lui stesso nel libro di Renzo Di Renzo, Nero (Einaudi ragazzi, 79 pag., 8,50 euro), dove parla della sua vita e di quella degli umani che lo circondano. Ma nero è anche il colore della pelle di Ayele, un bambino adottato. Le loro storie corrono parallele e, alla fine, si incontrano al “Paradiso del cane”, o “L’inferno degli ammortizzatori”, tanto è lunga e piena di buche la strada per arrivarci. “Un nero alla Casa Bianca”: persino i giornali hanno giocato con i colori nel

presentarci il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Una novità che influenzerà, forse, il nostro immaginario. Di solito associamo il nero a dei valori negativi: fame nera, pecora nera, uomo nero. Eppure il nero nasce dalla mescolanza di tutti i colori, e fa coppia fissa col bianco: nelle maglie della Juve, nelle foto, nelle strisce pedonali. Per fare amicizia con il nero, leggete il racconto Bambino di colore (Edizioni Arka, 32 pag., 8 euro). Per mamma e papà invece c’è il libro dell’antropologo francese Michel Pastoreau, Nero. Storia di un colore (Ponte alle Grazie, 210 pag., 34 euro).

| Letti per voi

La prima regola di Clay Ivano ha vent’anni, per campare lavora in una carrozzeria. Appena può vola in palestra. Ha talento e tira di boxe come un campione: così diventa Clay. “Guardia bassa, movimenti veloci”, Clay ha un futuro nello sport, ma si brucia tutto il giorno in cui decide di vendicare il padre, intossicato da una vita passata in una fabbrica di vernici. Un tema importante quello toccato da Munforte, che rischia però di restare inchiodato sullo sfondo da una struttura narrativa che si perde per rivoli secondari. (Davide Musso) giuseppe munforte

La prima regola di Clay Mondadori 2008 167 pagine ± 17,00 euro

Il lavoro smobilita l’uomo Due amare verità: coi tempi che corrono, del lavoro si può avere solo nostalgia. Perché non c’è. E l’ozio forzato, causato da esuberi e casse integrazioni, non fa bene a nessuno. Serena Zoli tratteggia generazioni lontane (dai trentenni ai cinquantenni), avvicinate da mobbing, mal di lavoro, flessibilità e precarietà. E scopre che, di horror vacui, oggi soffrono tutti. Non ci resta che (sperare di) lavorare. Per chi crede ancora nell’articolo 1 della Costituzione. (L.S.B.) serena zoli

Il lavoro smobilita l’uomo Longanesi 2008 216 pagine ± 14,60 euro

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divertimenti indipendenti

non è il grande fratello, ma la sfida del fotografo FRANCESE yann arthus bertrand: raccontare i sentimenti del pianeta.  | testo | andrea rottini

sei miliardi davanti alla telecamera

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rendete un pescatore brasiliano, un avvocato australiano, un artista tedesco e un contadino afghano. Metteteli davanti a una videocamera e fate a tutti le stesse domande: “Che cosa hai imparato dai tuoi genitori? Che cosa ti auguri di insegnare ai tuoi figli? Quali difficoltà hai affrontato? Che cosa rappresenta per te l’amore?”. È quello che ha fatto un gruppo di reporter con “6 billion others” (Sei miliardi di altri), una sfida che punta a raccogliere le testimonianze degli abitanti del nostro pianeta su temi comuni a tutte le culture. Dal 2003 sono

5mila le interviste realizzate in 75 Paesi. L’inventore di questa splendida follia è il fotografo francese Yann Arthus Bertrand, non nuovo a imprese di questo genere: autore di 80 libri, nel 1991 ha fondato Altitude, la prima agenzia specializzata in scatti aerei e nove anni più tardi ha pubblicato “La terra dall’alto”, un best-seller da tre milioni di copie tradotto in 24 lingue, resoconto di un progetto realizzato in collaborazione con l’Unesco per mappare il patrimonio naturalistico mondiale. Con i proventi dei diritti d’autore, nel 2003 Arthus Bertrand ha dato vita a “6 bil-

lion others” (6 miliardi di altri), con l’obiettivo di “far vedere ciò che vivono e sentono le persone, ma anche ciò che c’è di buono in noi”. Le testimonianze finora raccolte, in gran parte già disponibili su internet, diventano ora una mostra al Grand Palais di Parigi (fino al 12 febbraio). Ma il progetto non finisce qui e ognuno vi può collaborare, magari proponendosi come traduttore. 6 billion others - 6 miliardi di altri info Goodplanet » www.6billionothers.org

| smart | a cura di | anna lagorio

l’arte: una collisione tra pubblico e privato C’ Kuba Bakowski, Tv zero zones, video del 2004, Firenze.

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è un giorno degli anni Settanta, in cui la tivù ha messo in luce il suo lato più sperimentale. Il 30 novembre 1970, alle 22.50, il palinsesto della Ard si è trasformato in un evento di arte contemporanea. Senza alcun preavviso, la rete tedesca ha trasmesso le performance di artisti come Joseph Beuys, Gilbert&George, Mario Merz. Per Gerry Schum, ideatore dell’happening televisivo e autore dei video in onda, “l’arte deve immettersi nella vita quotidiana, facendo entrare in collisione spazio pubblico e spazio privato”. Non è un caso, dunque, che la mostra “My Space. Cosa vuol dire pubblico?” (in-

gresso 5/3 euro) si apra con Identifications, la sua storica raccolta di video. Trent’anni dopo, Giuseppe Stampone riprende le intuizioni di Schum, spostando le sue incursioni su internet, dove realizza installazioni “site specific” per Second Life. Accanto agli spazi virtuali, il percorso espositivo presenta altri territori –apparentemente ordinari- come un parco o una fermata del bus. Nella serie fotografica Camaleos, Janaina Tschaepe teatralizza la solitudine delle donne di Rio de Janeiro, inserendole all’interno di paesaggi urbani spogli e silenziosi, mentre nel video Quelli che non c’entrano, Cesare Pietroiusti indaga le rea-

zioni di una comitiva di anziani invitati a un vernissage. In modo altrettanto rarefatto, i disegni di Niklas Goldbach raccontano le tensioni che costellano le periferie del pianeta. Le sagome grigie dei condomini emergono dal foglio bianco, dando vita a un conflitto fra la delicatezza del tratto e l’oppressione di uno spazio malinconico. My Space. Cosa vuol dire pubblico? info Pan - Palazzo delle Arti Napoli fino al 20 aprile 2009 tel 081 – 79.58.605 » www.palazzoartinapoli.net


| agenda italia

≈ Venezia, carnevale al buio “Dialogo nel buio”, la mostra in cui si può compiere un percorso sensoriale completamente al buio accompagnati da guide non vedenti, si sposta nello scenario del Carnevale di Venezia, con un percorso inedito realizzato in collaborazione con l’Istituto dei Ciechi di Milano. Dal 14 al 24 febbraio l’installazione è ospitata nel sestiere di Castello di Venezia, con orario di apertura dalle 11 alle 20. Ingresso: 3 euro. info Carnevale Venezia 2009 tel 041 - 24.12.988 » www.carnevale.venezia.it

≈ Roma ospita Munari In occasione del centenario della nascita del grande designer Bruno Munari, Roma ospita due appuntamenti, in calendario fino al 22 febbraio. Oltre alla rassegna al Museo dell’Ara Pacis (ingresso 8/6 euro), da non perdere “Vietato non toccare”, la mostra-gioco allestita presso il Museo dei bambini (www.mdbr.it) in cui, i più piccoli possono immergersi in un labirinto di esperienze tattili e visive (7/6 euro).

| scelto per voi

londra mette in mostra i suoi homeless  | testo | andrea rottini

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nterviste audio e video, pagine di diario e poesie, opere d’arte e oggetti personali: tutto è utile per calarsi (idealmente) nei panni dei senza dimora di Londra e andare oltre i luoghi comuni. Un’esperienza che si può fare visitando “Homeless in the capital”, la mostra realizzata a Londra con l’aiuto degli utenti del centro “The Connection at St Martin’s”, che ogni giorno dà aiuto, sostegno e ospitalità a 200 homeless della capitale britannica. Ospitata nel foyer del Museum of London, l’esposizione è aperta tutti i giorni fino al 22 febbraio, dalle 10 alle 18. Ingresso libero. Tra gli oggetti in mostra anche le radioline portatili. (foto: Museum of London)

Museo dell’Ara Pacis 06 - 06.08 www.arapacis.it

≈ “Monnezzopoli” a Napoli “Monnezzopoli. La grande truffa” è il titolo del libro del giornalista napoletano Paolo Chiariello che nel 2008 ha vinto una targa del Presidente della Repubblica per i suoi reportage sull’emergenza rifiuti in Campania. Mercoledì 20 febbraio alle ore 17.30, l’autore presenterà il suo libro presso la Sala Conferenze del quotidiano Il Denaro in piazza dei Martiri 58 a Napoli. Un appuntamento da non perdere per chi vuole scoprire dove sono finiti i 2 miliardi di euro spesi per l’emergenza rifiuti. info Il Denaro tel 081 - 421.900 » www.paolochiariello.it

info Museum of London tel (+44) 20 - 700.198.44 » www.museumoflondon.org.uk

| ticket d’oltralpe

il valzer dei rifugiati

info tel »

giovani amanti del cinema? a berlino c’è spazio per voi

Ogni anno, in occasione del Carnevale, le sale da ballo di Vienna si riempiono: debuttanti e militari, imprenditori e operai, ogni categoria ha la sua serata danzante. Anche i rifugiati politici. A loro è dedicato un evento organizzato dal Comune della capitale asburgica (l’anno scorso vi hanno preso parte oltre 3mila persone). I proventi della serata vanno a sostegno dell’Integrations Haus, progetto di accoglienza per gli stranieri rifugiati nella capitale austriaca. L’appuntamento è per il 20 febbraio, il biglietto d’ingresso costa 35 euro. info Integrationshaus tel (+43) 1 - 21.23. 520 » www.integrationshaus.at

Fin dal 1978 la Berlinale, il Festival internazionale di cinema di Berlino, è attenta al cinema per ragazzi. Quest’anno, dal 5 al 15 febbraio, i giovani giurati della sezione speciale “Generation” sono chiamati non solo a premiare i migliori film in concorso con gli Orsi di cristallo, ma hanno a disposizione un portale (www.jungejournalisten.berlinale. de) dove, come veri giornalisti, possono pubblicare in tempo reale recensioni, interviste ad attori e a registi e lasciare commenti sui film proiettati. info Berlinale tel (+49) 30 - 259.200 » www.berlinale.de

ratatouille per innamorati La buona cucina, si sa, è da sempre strumento di info Arômes et saveurs complicità: l’associazione “Arômes et saveurs” (Aromi e tel (+33) 6 - 80.524.426 sapori) organizza per giovedì 8 e venerdì 9 febbraio un » www.saveurs-aromes.com “corso di cucina per innamorati” in vista di San Valentino. Due giorni nella magica cornice di Parigi per imparare ricette di sapore e seduzione, ispirate al libro di Isabelle Allende “Afrodite, l’amore del cibo e il cibo dell’amore”, al costo di 68 euro.

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in prima fila 1

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≈ esterni nasce nel 1995.

Sviluppa progetti per lo spazio pubblico a Milano e in altre città in Italia e nel mondo. Organizza, tra gli altri eventi, il Milano film festival.

| premiere

1 Cinéma du réel

Si svolge a Parigi, dal 5 al 15 marzo, il più importante festival francese dedicato al cinema documentario. Oltre ai video in concorso, in programma la rassegna dedicata a Pierre Perrault, uno dei grandi maestri del genere, scomparso dieci anni fa. Location d’eccezione il Centre Pompidou. Per informazioni: www.cinereel.org.

2 Documè

Associazione torinese che promuove il cinema documentario in tutta Italia attraverso un circuito indipendente di distribuzione. Sul sito docume. org è possibile consultare il catalogo dei film (molti i titoli su tematiche sociali), il calendario degli appuntamenti e le modalità di organizzazione delle proiezione. I video sono disponibili per la proiezione in cinema, associazioni culturali e scuole.

ildocumentario.it

Gli amanti dei documentari non possono non passare di qui. Su questo portale si trovano notizie aggiornate su festival e concorsi, ma anche recensioni, interviste, il calendario delle proiezioni e gli indirizzi delle scuole di cinema che organizzano laboratori e corsi per aspiranti registi.

| a cura di | esterni | www.esterni.org

il film “invisibile” sulla raffineria dei Moratti  | testo | ilaria sesana

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arroch, provincia di Cagliari, poco più di 5mila anime affacciate su uno dei golfi più belli della Sardegna. La prima volta che Massimiliano Mazzotta ci passò fu impossibile non vedere il petrolchimico. Lui, fotografo e regista leccese trapiantato a Milano, in un attimo tira fuori la videocamera e gira le prime immagini della Saras, il mega stabilimento di proprietà della famiglia Moratti sorto negli anni Sessanta. Davanti a una birra i giovani del posto gli raccontano di un amico morto di tumore, delle “spigole diesel” che sanno di nafta, dei rumori e della puzza che riempiono le giornate, della voglia di fare qualcosa per cambiare la situazione. Dopo un anno e mezzo di spola tra la Sardegna e Milano nasce “Oil”, un documentario che denuncia le devastazioni ambientali e i gravi danni alla salute che la raffineria sta provocando agli abitanti di Sarroch. Un lavoro che racconta, come recita il sottotitolo, “la forza devastante del 42

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petrolio e la dignità del popolo sardo”. Il regista fa propria la battaglia degli abitanti del paese, decisi a pretendere non la chiusura della raffineria, ma piuttosto “la difesa della salute di chi lavora in Saras e di chi vive fuori”. Il film-documentario è articolato in capitoli che affrontano i temi della salute, della sicurezza e dell’ambiente: c’è spazio anche per spiegare casi emblematici come quello della Sarlux, un’azienda controllata di Saras che utilizza le scorie della raffineria per produrre energia elettrica, sfruttando gli incentivi statali previsti dal provvedimento “Cip6” del 1992, che considera le scorie di raffineria fonti d’energia “assimilate” a quelle rinnovabili. Per il momento però “Oil” l’hanno visto in pochi. L’unica proiezione pubblica c’è stata lo scorso dicembre all’Accademia di Brera a Milano: “Qui hanno avuto coraggio -dice Mazzotta-: altrove ho incontrato solo rifiuti”.

Oil regia di Massimiliano Mazzotta durata: 75 minuti Per informazioni: www.oilfilm.it oppure tel (+39) 377 - 15.02.655


| a cura di | antonella lombardi

la mafia in scena. a casa tua U

n sacerdote e un mafioso, due vocazioni a confronto. Una distanza che sembra incolmabile separa due fratelli, Rosario, killer spietato, e Salvuccio, sacerdote in missione in Africa. Ciascuno ferreo interprete della propria, personale, legge morale. È l’idea provocatoria che anima “Mutu” (in siciliano “muto”, “zitto”, parola-sintomo dell’omertà mafiosa), lo spettacolo di Lauro Versari portato in scena dalla compagnia di teatro civile PrimaQuinta. Nei panni dei protagonisti il siciliano Aldo Rapé e il pugliese Nicola Vero. “La storia si svolge all’interno di una casa semivuota, precaria: una gabbia che rasenta la claustrofobia”, spiega il regista. L’antimafia arriva a teatro, ma lontano dai soliti schemi. Non esiste un palco, gli attori si muovono in un appartamento, sullo stesso piano degli spettatori. Non a caso, oltre che a girare per le scuole, l’evento viene messo in scena in tutte le case dei privati che possano mettere a disposizione uno spazio di 5x10 metri (si concorda il prezzo del biglietto con la compagnia). Lo spettacolo ha già attraversato la penisola: Roma, Napoli, Milano e il 29 gennaio a Palermo, quartiere Brancaccio, nel centro “Padre nostro” voluto da don Pino Puglisi, sacerdote ucciso nel 1993 da Cosa nostra. Ma la tournée prosegue anche in primavera. A ispirare la sceneggiatura di “Mutu”, una suggestione nata dopo aver visto i boss in compagnia di un testo sacro: la Bibbia. “L’affiliazione a Cosa nostra avviene bruciando le immagini dei santini”, conferma Aldo Rapé, autore oltre che interprete. Una critica feroce e spietata anche a quella “Chiesa devota i cui ministri si lasciano liberamente baciare le mani dai mafiosi”. In uno dei passi più toccanti, Rosario rivela al fratello di essere stato uno dei killer di don Puglisi, e di essere entrato in crisi proprio allora: “Mi ha detto ‘Vi stavo aspettando’, ha sorriso e ho sparato… In quel momento sono morto pure io”. “Volevamo raccontare la mafia senza cadere nella retorica, descrivendola non come un’entità astratta ma attraverso l’umanità di due persone così diverse”, spiega Nicola Vero, che interpreta il sacerdote. Per farlo gli attori hanno dato vita a un faccia a faccia serrato tra i due protagonisti. Ciascuno ha seguito la propria vocazione, uno votando a Dio la propria esistenza, l’altro giurando sui santini la propria fedeltà. Entrambi sotto gli occhi dello stesso Dio, entrambi muti per anni. Fino a quando, tra un’aria della Tosca, i resti di una cena, un carillon dell’infanzia e una pistola, la voce della coscienza non si fa strada e il dramma squarcia le distanze, finora incolmabili, tra i due.

Mutu con Aldo Rapè, Nicola Vero scritto da Aldo Rapè regia di Lauro Versari Per informazioni e prenotazioni: www.primaquinta.it oppure telefonare al 320 - 86.37.282 o al 347 - 47.87.835.

| Si alzi il sipario

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1 Onde refrattarie

Un radio-show che va in onda a mezzanotte, su frequenze inesistenti, un venerdì al mese fino a maggio. Musica dal vivo, jingle pubblicitari, interviste, contro-rassegna stampa, ospiti illustri. Una diretta senza diretta che viene trasmessa dal palco: è “Radio-ovvero l’adunata dei refrattari”, lo spettacolo messo in scena dalla compagnia Mercanti di storie. Protagonisti, un’accolita di refrattari alla legge che si riuniscono clandestinamente in cerca di coraggiosi da arruolare alla loro causa. info Teatro della contraddizione via della Braida 6, Milano tel 02 - 54.62.155 » www.teatrodellacontraddizione.it

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2 Teatro in carovana

Il teatro stabile d’innovazione La Piccionaia è nato da una famiglia di commedianti di strada e propone spettacoli itineranti. Quest’inverno porta per l’Italia “Strada carrara – Tavole di un teatro viaggiante”, un progetto di Titino Carrara, uno dei fondatori della compagnia, in cui il protagonista narra la propria vita, fra carovane e teatri mobili. Un pretesto per raccontare la società italiana dal dopoguerra a oggi. A marzo “Strada carrara” sarà a Tavernole (Br) il 6; al Teatro Civico di Caraglio (Cn) il 20; al Teatro Lelio di Palermo il 29. info La Piccionaia - I Carrara Stradella dell’Isola 19, Vicenza tel 0444 - 541.819 » www.piccionaia.it

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tu vuoi fare l’italiano? | a cura di | rockit | www.rockit.it

un paese di note ignote

≈ Rockit nasce nel 1997. È il

database di gruppi italiani più ricco al mondo. Organizza anche eventi, tra cui il Mi ami a Milano e il Sorpasso a Roma.

| testo | sandro giorello

S

eguire le vicende della musica italiana non è facile. È un susseguirsi di nascite, nuove collaborazioni, grandi ritorni. Un continuo fermento di cui spesso neppure ci accorgiamo. Qualche esempio: avrete presente la canzone “Pop Porno” de Il Genio –brano che nell’arco degli ultimi mesi è diventato un vero e proprio tormentone– dovete sapere che Gianluca De Rubertis, uno dei due “geni”, era il tastierista di un gruppo validissimo chiamato Studiodavoli, la cui cantante, Matilde Davoli, ha da poco dato alle stampe un ottimo lavoro a nome Girl with the gun (e può darsi pure che vi piaccia più de Il Genio). Dovete sapere anche che il leader di un gruppo chiamato Reggae national tickets, che verso la fine degli anni ’90 ebbe un discreto successo, ora vive in Giamaica, ha cambiato nome, da Stena in Alborosie, ed è una delle voci reggae più apprezzate oltreoceano (e non solo). Mentre tra i grandi nomi dell’elettronica mondiale oggi spicca quello dei veneti The bloody beetroots. I padovani Jennifer gentle invece vanno fortissimo in Giappone: l’ultima volta che hanno suonato nel Paese del Sol levante i fan

erano talmente numerosi che è dovuta intervenire la polizia. Tra le nostre esportazioni anche gli emiliani A classic education: fanno più concerti a Londra che a Bologna. Sorprendente poi l’ascesa del giovanissimo cantautore Vasco Brondi, in arte Le luci della centrale elettrica, che nell’arco di un anno è passato da perfetto sconosciuto a vincere la Targa Tenco e fare tour da venti concerti al mese. Perché dare attenzione a queste notizie? Perché prendersi il cruccio di ascoltare anche solo uno di questi nomi? Perché ne vale la pena e questa rubrica ha il compito di ricordarvelo. L’Italia sforna buona musica in continuazione. Noi, ogni mese, vi daremo qualche consiglio. Perché bisogna conoscere “Non ti scordar mai di me” di Giusy Ferreri e “Bruci la città” -che in molti attribuiscono a Irene Grandi ma che in realtà è stata scritta da Francesco Bianconi dei Baustelle- ma anche le canzoni di Paolo Benvegnù, dei Perturbazione, dei Non voglio che Clara, di Dente, dei Ministri, dei Marta sui tubi, di Beatrice Antolini, dei Giardini di Mirò e di molti altri ancora. Ogni nome ha una sua storia e ne completa tante altre, non ultima, la nostra.

| prove d’orchestra

Roberto e la sua quena

| segnali sonori

1 Girl With The Gun

Incontro geniale tra la caratteristica, avvolgente voce di Matilde Davoli (già Studiodavoli) e il talento elettronico di Populous, il progetto “Girl with the gun” vira su attenuazioni acustiche, grazie anche alla collaborazione di graditi ospiti (tra gli altri Giorgio Tuma e Short Stories). Raffinato.

2 Beatrice Antolini

Beatrice è cresciuta. Dopo il primo “Big saloon” –lavoro che raccoglieva molte influenze musicali ma a cui mancava una chiara direzione compositiva– ci stupisce con “A due”. Un album che aggiunge ai generi già sperimentati (la musica anni ’30, il rock e il pop) anche un certo tribalismo post punk e un’aggressività grunge. Ha molto talento, continuerà a darci soddisfazioni.

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3 Superpartner

I Superpartner sono un raro connubio di freschezza e profondità, meraviglioso romanticismo e power-pop istantaneo dai toni morbidi e leggeri. Atmosfere da carillon e sonorità che hanno la vaporosità delle tinte pastello sono i migliori pregi del gruppo leccese, neonata creatura della Pippola Music.

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È argentino, ha una voce affabile e ama suonare per gli sconosciuti. Qualità che ben descrivono sia la quena, il flauto di bambù dal suono dolce, sia Roberto Lagoa, musicista dell’Orchestra popolare multietnica di Napoli (www.myspace. com/brigadainternazionale). Entrambi sono nati nel Paese latino americano e sono abituati ai lunghi tragitti. “È uno strumento dai materiali semplici, diffuso nei villaggi andini già in epoca precolombiana -racconta Lagoa-. I musicisti dall’entroterra partono in tour per mostrarlo agli abitanti delle città, che non l’hanno mai visto”. Poco conosciuto persino in patria. “Anch’io come lui sono spesso straniero. Ma non mi spavento: so che con la mia quena posso parlare qualsiasi lingua”. Con questo flauto si accompagnano i ballerini di tango e si suona il contropasso, melodia “senza diritto d’autore”: “Viene da così lontano che nessuno sa chi l’abbia scritta”. (E.D.B.)

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bandi e concorsi | a cura di | ilaria sesana

volete comunicare? sporcatevi le mani

“S

iete pronti a sporcarvi le mani?”. È la sfida che il Forum del terzo settore lancia ai giovani che vogliono intraprendere la professione di comunicatori sociali. A loro si rivolge la quarta edizione del progetto formativo culturale “Giorgio Bonelli” promosso dal Forum, in collaborazione con la facoltà di Scienze della comunicazione dell’università La Sapienza di Roma, con il contributo di ArcaEnel. Un’iniziativa che risponde alla crescente attenzione per i temi e le problematiche sociali che si sta facendo largo nel mondo dei media. Questa edizione del progetto intitolato a Giorgio Bonelli, per 40 anni capo ufficio stampa delle Acli e scomparso nel dicembre 2003, prevede tre profili. Il primo riguarda i giornalisti (professionisti e pubblicisti, senza limiti di età) per i quali ci sono in palio due stage di aggiornamento sociale. La seconda categoria offre otto stage a giovani laureati (di cui tre aperti a tutti e cinque riservati agli associati Arca-Enel) e 10 stage per studenti iscritti al corso di laurea magistrale che danno diritto a crediti formativi. Sono previste esperienze di lavoro per un monte complessivo di 310 ore da svolgersi in tre mesi. Al termine del periodo di praticantato verranno erogate, a giornalisti e laureati, borse di studio del valore di mille euro lordi. Per partecipare alla selezione occorre compilare, entro il 13 marzo 2009, il modulo pubblicato sul sito www.forumterzosettore.it nella sezione dedicata al “Progetto Bonelli”.

Il Parc, Direzione generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanea del ministero per i Beni e le attività culturali, bandisce la terza edizione del Premio per la Storia e la critica dell’arte contemporanea. Due le categorie in concorso: premio alla miglior tesi di laurea specialistica (o di diploma accademico di secondo livello o vecchio ordinamento) e premio alla miglior tesi di dottorato. Per i vincitori è prevista la pubblicazione della tesi (con la casa editrice Electa) e la somma di 5mila euro. scade 20.04.2009 info Parc tel 06 - 58.43.48.21 » www.parc.beniculturali.it

≈ Teatro

Premio Bonelli scade 13.03.2009 info Forum Terzo Settore tel 06 - 68.13.68.44 » www.forumterzosettore.it

| le opportunità del mese

≈ Fotografia

≈ Critica dell’arte

≈ Arte

≈ Cinema

È riservata ad artisti con meno di 35 anni la prima edizione del Premio italiano di fotografia dedicato al varesino Franco Pontiggia. I concorrenti possono partecipare con un portfolio composto da un minimo di 12 a un massimo di 25 fotografie, stampate professionalmente e accompagnate da una scheda sintetica di presentazione del progetto. Il premio per il primo classificato è pari a mille euro mentre gli autori selezionati avranno la possibilità di esporre una mostra personale nell’ambito della rassegna “Giovane fotografia italiana 2010”.

“Siate grandi, siate bambini” è lo slogan della seconda edizione del Premio Pinacoteca Agnelli, riservato agli studenti che frequentano gli ultimi due anni di tutte le Accademie d’arte pubbliche italiane. Ai partecipanti si richiede di realizzare un’opera da installare sulla facciata o nell’atrio di “Casa Ugi”, edificio dedicato all’accoglienza delle famiglie di bambini e ragazzi sottoposti a terapia oncologica. I finalisti, selezionati dalla giuria, potranno esporre le proprie opere ad “Artissima 2009” e il vincitore riceverà un premio di 10mila euro.

scade 30.03.2009 info Archivio fotografico italiano tel 347 - 59.02.640 » www.archiviofotografico.org

scade 15.03.2009 info Pinacoteca Agnelli tel 011 - 00.62.615 » www.premiopinacoteca-agnelli.it

Sono aperte le selezioni per giovani cineasti che vogliono partecipare alla XXVII edizione dell’AsoloArtFilmFestival, che si svolgerà ad Asolo (Treviso) dal 28 agosto al 6 settembre 2009. Il concorso si articola in sei sezioni: film sull’arte, biografie d’artista, film su architettura e design, videoarte e computer art, produzioni di scuole di cinema, armonia e territorio. Sono ammesse alle selezioni solo opere realizzate dopo il 1° gennaio 2007. Un’apposita commissione di selezione valuterà quali progetti saranno ammessi a partecipare al concorso. scade 15.05.2009 info AsoloArtFilmFestival tel 0423 - 19.95.235 » www.asolofilmfestival.it

Un concorso per selezionare le compagnie che si esibiranno nella sezione “teatro” del Play Arezzo Art Festival 2009 che ha per tema “Il viaggio”. Possono partecipare attori e compagnie di età inferiore a 35 anni (almeno l’80% del gruppo) e lo spettacolo deve avere un riferimento, anche indiretto, al tema del viaggio. Per motivi tecnici verranno presi in considerazione soltanto allestimenti base, che dovranno essere presentati in una scheda. L’opera non dovrà avere una durata superiore ai 60 minuti. scade 15.03.2009 info Rete teatrale aretina tel 0575 - 27.961 » www.reteteatralearetina.it

≈ Fumetti Il sito internet “The iron cops” bandisce il primo concorso on line Stanky Jack riservato a fumettisti esordienti, sopra i 15 anni, cui viene chiesto di disegnare il poliziotto del futuro. Il candidato dovrà realizzare una storia a fumetti di due tavole formato libero (massimo A4). Al concorso possono partecipare solo autori non professionisti. Sono ammessi gli studenti delle scuole di fumetto. Il lavoro migliore verrà pubblicato sulla rivista specializzata Fumo di china. scade 06.04.2009 info The iron cops » www.theironcops.net

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| previsioni del tempo sociale | a cura di | dario paladini

Musulmani

Rom

Prostituzione

Bambini in carcere

Nuvo l e ba s s e

Va r i ab i l e , p r e c i p i ta z i o n i i m p rovv i s e

P i o g g i a e r i s c h i o p e g g i o r am e n t o

Sereno

Il 1 dicembre 2008 la magistratura ordina l’arresto di due marocchini del centro culturale Pace di Macherio, perché progettavano attentati a Milano. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni propone di sospendere la costruzione di nuove moschee. Il 3 gennaio centinaia di immigrati musulmani pregano in piazza Duomo a Milano al termine della manifestazione contro Israele. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa invoca “una messa riparatrice”. Altro che nuove moschee, i fedeli di Allah in Italia (oltre un milione) si rassegnino a pregare nei garage. Apriti cielo!

Hanno passato un’estate terribile, fra schedature, impronte digitali e sgomberi. Adesso dei rom non si parla quasi più, ma le loro condizioni di vita non sono certo migliorate. Almeno non sono nell’occhio del ciclone, ma da un momento all’altro potrebbe tornare la tempesta.

Inizia la discussione, alla commissione Affari costituzionali del Senato, del disegno di legge contro la prostituzione voluto dal ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna. Punisce le prostitute che “esercitano” in luogo pubblico. Secondo don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione Libera, se passa il provvedimento, la prostituzione si sposterà negli appartamenti e sarà ancora più difficile aiutare le donne a liberarsi dai loro sfruttatori.

Quando la mamma è in carcere, i figli da zero a tre anni possono stare con lei. È giusto che sia così, ma crescono dietro le sbarre. A Milano, da quasi due anni, c’è una struttura lontana dal carcere, in grado di ospitare madri e figli: gli agenti di polizia penitenziaria sono senza divisa e le sbarre sono mimetizzate. Sembra quasi una casa normale. Il Ministero della Giustizia ha annunciato che entro la fine del 2009 aprirà altri centri simili. Vogliamo essere ottimisti e crederci. Vi terremo informati.

corrispondenze

quelli che... con noi dall’inizio ≈ Tifo di strada

≈ Non perdiamoci di vista

dal blog di erbaviol a .com

Irene Bertazzo, padova

Carissima Elena, cara redazione, vi esprimo la mia vicinanza e quella dei soci fio.PSD (la Federazione italiani organismi persone senza dimora) per l’impegno che il vostro giornale ha profuso nel tempo a favore delle persone svantaggiate. Sono certo che questa nuova esperienza avvalorerà il significato del lavoro svolto negli anni. Non mi resta che salutare te e tutta la redazione che ti affiancherà, inviandoti un sincero “in bocca al lupo!”.

Ciao a tutti. Cosa può spingermi, nel mezzo di un trasloco, a scrivere ben due “post” in un giorno? Una questione veramente importante! Chi di voi conosce Terre di mezzo? Su la mano! Ecco. I milanesi tutti. Terre di mezzo è un mensile nato nel 1994, scritto da giornalisti professionisti e venduto in strada da venditori senegalesi. E guai a voi se fate l’espressione “Oddio che palle!”. Se fate quell’espressione, non avete mai letto Terre. È un mensile bellissimo, pulito, vero, concreto, umano e solidale. Che urgenza c’è di parlarvi di Terre di mezzo? C’è urgenza: dopo 14 anni il giornale si rinnova e non uscirà in versione cartacea fino a quando non avrà trovato 2mila nuovi lettori. Vi avanzano mica 5 o 15 euro? A me gli euri sono saltati fuori, perché in questo Paese vale la pena di fare qualcosa! Pensate che mi sono saltati fuori persino dieci minuti per andare in posta a pagare il bollettino.

Mi piacete. Vi ho conosciuto prima attraverso la faccia del signore che distribuiva, davanti alla stazione dei treni di Padova, Terre di mezzo. Rimarrà nella mia memoria di studente universitaria. E poi, vi ho rincontrati quando ho comprato uno dei “vostri” libri sul cammino di Santiago. Ho guardato tutto il vostro progetto e vi sosterrò, nel mio piccolo.

≈ Un gentile omaggio opera san francesco per i poveri, Mil ano

Accogliamo con favore questa nuova iniziativa del vostro giornale che, nella babele delle informazioni sul disagio sociale, ha sempre rappresentato un punto fermo di informazione reale poiché condivisa con chi questo disagio lo vive quotidianamente. C’è la necessità di una vera conoscenza dei fenomeni che parta dall’osservazione della realtà e non da impianti pregiudiziali. Questo è l’augurio che vi facciamo e che condividiamo offrendo 30 abbonamenti ai nostri volontari. Pace e bene.

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≈ A prova di trasloco

paolo pezzana , presidente fio.psd, Genova

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≈ Dolci “evasioni” detenuto con permesso di lavoro esterno

L’unica cosa che devo capire è come fare a fare il versamento visto che non posso uscire dal percorso e nel percorso che mi hanno dato non ci sono poste... Devo vedere se riesco a farlo dal carcere o se no devo studiare un sistema... In ogni caso anch’io settimana prossima sarò un abbonato. Anche se piccolo il mio contributo, spero possa servire a farvi incominciare!

≈ Accanto a chi non ha voce Marco Pitzen, Mil ano

Cari, provvederò a girare ai miei contatti la vostra comunicazione, perché ritengo importante il lavoro che svolgete di “controinformazione” in un momento così duro di attacco alle garanzie e ai diritti sociali dei più deboli, migranti, precari, inquilini, studenti.


| homeless world cup | a cura di | massimo acanfora

un assist alla creatività C

ala il sipario sulla sesta edizione della Homeless World Cup, il mondiale dei senza fissa dimora: a Melbourne l’Afghanistan ha sconfitto la Russia in un match di straordinaria intensità per 5-4 e si è aggiudicata il titolo mondiale. Adesso scatta l’organizzazione dell’edizione 2009, per la prima volta a Milano, dal 5 al 13 settembre al Parco Sempione. L’associazione “Milano, Myland” vuole dare all’evento e al problema delle persone senza dimora una grande visibilità. Per questo lancia “Assist... Il tocco che fa la differenza”, concorso di idee creative per la promozione della Homeless World Cup. Cerchiamo un’idea creativa, fuori dagli schemi, on o off line, blog o community, un co-marketing o un gadget, un’azione di guerrilla o ambient marketing, un viral. Tutto insomma, tranne la comunicazione tradizionale: affissione, annuncio stampa, spot radio e tivù. La partecipazione è aperta a scuole, agenzie, free lance, creativi, liberi professionisti, associazioni. Primo Premio: la realizzazione dell’idea. Scadenza: il 28 febbraio 2009. Il bando completo è consultabile sul sito www.terre.it.

| insieme nelle terre di mezzo oNlus

“carta canta”: l’edicola equa L’

L’edicola “Carta canta” si trova a Milano, in viale Monza 106.

informazione alternativa a Milano è sbarcata in edicola. E non soltanto lei: accanto a quotidiani e riviste più o meno tradizionali, in viale Monza 106 da novembre è possibile acquistare anche alimenti e oggetti del commercio equosolidale, i libri di “Terre di Mezzo” e “Altreconomia”, gli itinerari responsabili dell’agenzia turistica “Viaggi e miraggi”. All’edicola “Carta canta” le news dal mondo delle alternative possibili e dell’economia solidale fanno capolino ogni giorno tra i titoli del Corriere e del Sole 24-Ore. Merito di Dario Brioschi e Marco Gimmelli, neoproprietari dell’attività. Entrambi volontari dell’associazione Insieme nelle Terre di mezzo onlus. Al civico 106 esisteva una comune rivendita di giornali: loro l’hanno rilevata immaginandola già come diversa. “Come un’edicola qualsiasi vendiamo giornali, ricariche telefoniche, svolgiamo il servizio di invio fax -spiega Dario-. Ma chi entra da noi trova ben in vista il cioccolato equosolidale e i manufatti originari di altri continenti, le riviste e libri sull’economia alternativa esposti in bacheca”. Naturalmente, aggiunge, c’è anche chi se ne va con il giornale in mano senza nemmeno accorgersi della differenza. Ma qualcun

altro ha già iniziato a fermarsi, guardare gli oggetti, chiedersi cosa fossero. Essere un edicolante prevede sveglie all’alba ogni mattina per ricevere le consegne dai distributori, lunghe pause di una giornata che dura fino a sera. Ma è un mestiere che fa sperare che un giorno il negozio, oltre che un punto di passaggio, si trasformi in un luogo di ritrovo: “Chissà, magari ci riusciremo -conclude Dario-. Ci piacerebbe creare una sorta di banca del tempo, e diventare il riferimento per un gruppo d’acquisto solidale”. Ai loro sogni, va il nostro in bocca al lupo! (Francesco Abiuso)

≈ cercansi volontari per la nostra fiera La sesta edizione di “Fa’ la cosa giusta!”, la fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili organizzata a Milano da Terre di mezzo, si svolgerà, dal 13 al 15 marzo, a FieraMilanoCity. Cerchiamo volontari che ci aiutino in mansioni semplici, ma al tempo stesso fondamentali per la buona riuscita dell’evento. info volontari@falacosagiusta.org tel 02 - 58.118.328

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il perché del nome

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Il nome del giornale l’abbiamo scelto avendo in mente quei luoghi desolati, eppure talvolta splendidi,

che dividono due nazioni, due modi di essere, due culture. Terre di mezzo.Terre di nessuno. Le attraversi veloce, dopo aver varcato un confine. Ti senti un poco straniero. Nessuno si ferma. Ce ne sono tante di queste “terre di mezzo” nella vita, frontiere invalicate,

luoghi ed esperienze attraversati in fretta, senza quasi alzare lo sguardo;

spazi dove l’altro non solo è uno straniero ma forse anche un nemico.

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Incominciare ad abitare le terre di mezzo, e farle ridiventare terre di tutti. È il nostro augurio.

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A gerusalemme In cammino nella storia

Alla scoperta di Milano

come sempre spostarsi a piedi obbliga a incontrare persone, culture, religioni diverse...

Davide De Luca illustrazioni di Gabriele Orlando LA STORIA SUI MURI 192 pagine - 25,00 euro

350 chilometri di cammino in terra santa 16 giorni a piedi tra Israele e Palestina, sulle orme degli antichi pellegrini che, sbarcati ad Acri, avevano come meta la città santa. La “salita” a Gerusalemme, ma anche Nazaret e il Tabor, il monte delle Beatitudini, Gerico, Betlemme. Con le cartine, i percorsi, gli indirizzi, i costi.

novità terre di mezzo

PAOLO GIULIETTI A PIEDI A GERUSALEMME 176 pagine - 17,00 euro

della stessa collana:

Protagonisti illustri e sconosciuti: tutti i volti di una città insolita e sorprendente I muri di Milano sono una miniera di storie. Centinaia di targhe disseminate per strade e piazze raccontano di personaggi famosi o di comuni mortali: un libro aperto sulla storia passata e recente della città, un viaggio ricco di sorprese.

guida al cammino di santiago de compostela A piedi: 176 pagine- 17,00 euro In bicicletta: 168 pagine- 17,00 euro

38 giorni a piedi dal Monginevro a Roma lungo lo storico tracciato. Monica D’Atti, Franco Cinti

Guida alla Via Francigena

208 pagine - 17,00 euro

La prima guida a piedi sulle “strade di San Francesco”: tra La Verna, Gubbio, Assisi, Rieti. Angela M. Seracchioli

Un inedito connubio di percorsi a piedi e su ferrovie secondarie, nei luoghi dove ha vissuto il monaco eremita e papa del “grande rifiuto<.

168 pagine - 17,00 euro

Riccardo Carnovalini, Roberta Ferraris

di qui passò francesco

GLI EREMI DI CELESTINO V 192 pagine - 18,00 euro

I LIBRI DI TERRE DI MEZZO: IN LIBRERIA, IN STRADA E SUL SITO libri.terre.it

divertimento indipendente Se volete divertirvi ma siete stanchi della cultura venduta un tanto al chilo, se cercate una proposta non omologata e originale, a Milano ce n’è per tutti i gusti: dalla videoteca specializzata al teatro “civile”, dalla libreria jazz allo spazio espositivo attento ai giovani artisti, dal cineforum alla musica davvero alternativa in un centro sociale di periferia. Una guida pratica per orientarsi tra 120 proposte, suddivise per tipologia e zona della città.

DIVERTIRSI A MILANO SENZA PADRONI 128 pagine - 8,90 euro

I LIBRI DI TERRE DI MEZZO: IN LIBRERIA, IN STRADA E SUL SITO libri.terre.it


febbraio 2009 € 2,50

Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, DCB Milano Roserio

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fuorilegge a piede libero: proibito nel 1992, il minerale killer miete vittime fuori e dentro casa

nasce un  terre di mezzo  completamente nuovo:

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una Giovane regista Cattura il BelPaese nel giorno del fatidico sì

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Obiettivo 2000: nuovi lettori Cercansi. Se siete Disposti a guardare l’italia da un altro punto di vista, vi invitiamo a leggere questo giornale. e a non esserne gelosi

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