Bar A.N.P.I.

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gennaio 2012 â‚Ź 3,00

Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, LO/MI Roserio.

stalker vessatori da salvare incalzati dal rancore si accaniscono contro ex partner, avvocati e camici bianchi. Senza una cura, uno su tre torna a delinquere.

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scrittori nel cassetto | a cura di | scuola holden | www.scuolaholden.it

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bar A.N.P.I. Una targa di marmo addolcita dal tempo dĂ il benvenuto tra sorsi di chianti e partite di briscola. In quello che era il regno della clara.

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| racconto | mirko bay | illustrazione | seltz

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era scritto Bar A.N.P.I., sulla targa di marmo addolcita dalle intemperie, ma si leggeva Associazione nazionale partigiani di Italia. Che poi in realtà se non lo sapevi, che era un bar, lì dentro, avresti pensato di entrare in casa di qualcuno, in casa della Clara. La scritta addormentata sul muro, come una lapide, Bar A.N.P.I., era una roba per forestieri, quella, per chi non la conosceva, la Clara. Il bancone annerito sorrideva ai tavolini della sala come i denti che col tabacco e il vino ci fanno all’amore. E la briscola, tuonava dalle nocche livide tutti i giorni: “Re! Tre! Asso!” via tutto, qualcuno c’aveva fatto il suo e aveva spazzato il tavolo come un netturbino. E giù una sorsata di rosso, perché alla briscola della Clara gli batte il Chianti dentro, è mica come il poker che ti ghiaccia il cuore, la briscola è bastarda, e calda, e ti mira diritto sul muso, c’ha fame. Mai visto un poker dalla Clara, mai uno. La dama sì: “Tah! Tah! Tah!”, volavano schiocchi come sberle, sulla scacchiera, “Un! Do! Tre!”: il mingherlino te ne faceva fuori un tre quattro in una volta sola se non stavi attento. La domenica mattina, quando ripetevi la salita per tornare in piazza dopo la messa, con le tasche cariche di cento lire, tirava su quel filo d’aria spesso di spezie che lo capivi subito che gli era scappata la trippa, alla Clara, nello stanzino: pomidori, patate, sedano, prezzemolo, e ci cacciava dentro quei due tre segreti da lasciare a bocca aperta anche i pentoloni. Lo sentivi dal prezzemolo ricamato nel vento. Ti riempivi gli occhi ancora prima di entrare, e rimanevano stampati nel sugo delle scodelle finché non li raschiavi via col pane. Tra i vapori affiorava il baluginio cromato della macchina dell’espresso, la Clara alzava il mento, annusava l’aria come un lupo: “Caffè?” e se era un “Sì” pressava la polvere arabica con la giusta forza a seconda dell’umidità. Una locomotiva, pareva che guidasse una locomotiva con quei manicotti tra le mani, ma lo sentivi, che c’entrava l’amore, perché c’andava all’alba, a mungere l’acqua fresca dalla roccia con le bottiglie attaccate

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al suo capezzolo di metallo incupito dal tempo. E nella tazzina ti si rimpiccioliva tutto il mondo come lo vedeva lei, e te la ritrovavi nella mente con quella strana sensazione di serenità già da quando apriva il portone alle sei del mattino fino a un momento prima di chiudere quando incominciava a spegnere le luci da lontano senza dirti che dovevi sloggiare, ti dava tempo, e ti ritrovavi con una sola luce accesa al centro della sala con lei che rumoreggiava tra le tazzine, a dire che di occhi in più, lì dentro, non ce ne voleva a quell’ora, bastavano i suoi per spazzare e passare lo straccio con la candeggina. Spegneva le macchine e… È strano, la Clara nessuno l’ha mai vista tornare a casa, e nessuno l’ha mai vista uscire: una volta chiuso il portone, lei, semplicemente, scompariva. Durante il resto della settimana ci infiammavamo i polpastrelli sul flipper e ci slogavamo i polsi al calcetto balilla: poh!, faceva il metallo curvo della porta, poh!, quando la pallina sbatteva secca dentro al pertugio: chi perde esce, e chi entra mette i soldi, queste erano le regole. Si arrivava fino alle nove, la Clara di più non poteva. A meno che non fosse estate. Se eri in vena, l’estate, con duecento lire potevi giocare anche fino alla mezzanotte, che dentro quello stanzino ci vivevamo. Un paio di gesti e iniziava la sfida. E si giocava, sudati marci. Qualcuno s’andava a sedere sul cornicione del terrazzo con le gambe penzoloni dal retro a non più di un metro da terra. Era lì che si mescolavano le confessioni, che si litigava o che ci si chiariva: si chiudeva la porta, e quel che c’era da dire lo si diceva. Se la porta era chiusa, la Clara non l’apriva. In fin dei conti, il Bar A.N.P.I. non era altro che un salotto ritagliato da una vecchia rimessa al pianterreno, col terrazzo aggrappato fuori come un ladro. Era la Clara che bagnava l’aria di sé, pulsando tra le cose e facendo formicolare i muri come fossero vivi. Adesso, quando ci passo la mattina per andare al lavoro, vado dalla Clara, prendo il mio caffè prima che s’alzi la musica con le luci che abbagliano, scendo verso il parcheggio della chiesa dove ho lasciato la macchina,

Mirko Bay

Seltz

È della vergine, vive in Versilia, e adora il mare. Tanto che quando può ci va anche d’inverno, a prendere freddo, con un libro in mano. E i libri sono il suo vizio peggiore, visto che abita in una casa piccola piccola.

Stefano Dorigo, in arte Seltz, nella vita di tutti i giorni Micio, nasce nell’87 da padre bacchettone e madre eclettica. Figlio unico convinto, nel 2006 si trasferisce a Torino dove vive e (fortunatamente) lavora.

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e prima di chiudere la portiera annuso l’aria fresca che sa di moka. La sala si è allargata e i tavolini di cristallo hanno spintonato via lo stanzino, tutto è più aperto e colorato e ci volano le minigonne catarifrangenti tra quei manicotti. Il mingherlino deve aver cambiato giro, dopo che la scacchiera l’hanno appesa al muro, giocano al videopoker appollaiati ai trespoli ciondolando un whisky on the rocks o un mojito. E allora penso che alla fine va bene così. A ognuno il suo. E quando esco, lampeggiato in inglese dall’insegna intermittente, frugo con gli occhi tra i barbaglìi a cercarlo, il muro dove dorme il marmo esausto, e me la rivedo all’ingresso ad aspettare sotto la scritta Bar A.N.P.I., che poi si ricominciava. Ma le piaceva così, alla Clara, volare tra i vapori del suo caffè come un macchinista. È anche per questo che ancora non ho smesso di andarci, perché mi piace di sentire quei vapori sbuffati dai manicotti, e di intravederci la sua ombra coi capelli legati a cipolla e la cuffietta bianca, come se a manovrare quella specie di locomotiva ci fosse ancora lei.


i ferri del mestiere

il suono oscuro del noir

Bar A.N.P.I. Il compito era semplice. Racconta che cosa vedi in un bar. Mirko Bay l’ha reso meno semplice, raccontando cosa vedeva e cosa vede ora nel bar A.N.P.I., un bar storico, quello dell’infanzia. E ha vinto la scommessa con se stesso, come autore. Bar A.N.P.I. è un racconto nitido che in poche battute attraversa due tempi, il passato e il presente che si passano il testimone con naturalezza. Mirko poi è riuscito a definire un personaggio memorabile, la proprietaria storica del bar: “La Clara nessuno l’ha mai vista tornare a casa, e nessuno l’ha mai vista uscire”. Nel racconto la costruzione dei tempi e l’evoluzione del personaggio si incastrano in modo piuttosto trasparente, tanto che anche noi proviamo la sensazione di aver preso un caffè dalla Clara.

l a parol a ai maestri

la versione di Ritchie di Jack Ritchie Fine scrittore di noir e mistery, Jack Ritchie è stato uno dei soggettisti preferiti da Alfred Hitchcock per la realizzazione dei suoi telefilm. Ha scritto oltre mille racconti, pubblicati in tutto il mondo. Testi spiazzanti in cui il semplice delitto è costruito all’interno di una cornice narrativa dove lo sguardo sulla realtà mitiga l’invenzione. “Va bene, signor Billins. Da quanto tempo fa l’assassino?”. Sorrise. “Da sei anni.” “E paga l’imposta sul reddito?”. Marcos y Marcos, 1997 “Le tasse, la morte e tutto il resto” è una raccolta di racconti dove la prevedibilità del delitto fa il verso all’ironia, creando un effetto perturbante. Un espediente che, in narrativa, è capace di trasformare ciò che ci è familiare in ciò che, in realtà, temiamo. ≈ “Scrittori nel cassetto” è anche una

sezione del nostro sito dove leggere i racconti già pubblicati e trovare i temi dei prossimi mesi. Vi aspettiamo su terre.it!

| testo | Alessandra Minervini

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rima di iniziare a leggere questi ferri del mestiere, procuratevi un cd. Non uno a caso. Procuratevi il concept album dei Pink Floyd: “The dark side of the moon”. Ora, premete on. E concentratevi, facendovi illuminare dal “lato oscuro della luna”. Quando penso a un racconto noir, mi viene in mente sempre un suono (adesso sapete anche quale). Sarà per quell’atmosfera enigmatica che intesse i racconti di Edgar Allan Poe o per le irregolarità che si annidano nei personaggi creati da Massimo Carlotto. Insomma che sia attuale o che sia di oltre un secolo fa, una buona storia noir ci avvolge anche dopo lo scioglimento del mistero. Non è, infatti, la soluzione dell’enigma il fascino del noir. Ma tutto quello che al mistero sta intorno. Analizziamo insieme due esempi, tra i tanti che potremmo fare su questo genere: “L.A.Confidential”, libro capolavoro di James Ellroy, e “Il grande sonno” del maestro Raymond Chandler (di cui parleremo il prossimo mese). Ellroy ambienta la sua storia nel titolo. Siamo nella Los Angeles degli anni Cinquanta: bigotta, truce e violenta. In un noir la scelta della città, dell’epoca storica, perfino l’atmosfera di una strada diventano essenziali. Per ottenere un buon risultato occorre sviluppare quindi lo spirito di osservazione, dote per altro richiesta a ogni scrittore. Solo che, in questo caso, lo sguardo dell’autore si nutre dell’ambiente, del set della propria storia. Gli stessi personaggi nascono da qui. E nel caso di Ellroy da una metropoli dove gli stereotipati lustrini e paillettes lottano contro uno scenario di desolazione, bar intossicati e corruzione. Se c’è una regola da seguire è questa: pianificare prima dove ambientare il proprio noir, perché la scelta caratterizzerà tutta la storia. E diventerà il tessuto connettivo in cui far muovere e interagire personaggi e situazioni. Lo scrittore di noir conosce sempre la destinazione prima di partire. Solo in questa maniera può muovere le fila di una storia in cui i personaggi danzano nel buio. Come stiamo facendo noi, adesso, ascoltando il lato oscuro della luna e come vedremo nella seconda parte di questo viaggio al termine del noir. ≈ Raccontare storie è un’arte che si può imparare. Lo dimostra la Scuola Holden di Torino, fondata da Alessandro Baricco nel 1994. Tra gli allievi anche Paolo Giordano, vincitore del Premio Strega 2008.

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