Il treno della pioggia

Page 1

NOVEMBRE 2011 3,00

Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, LO/MI Roserio.

SE TELEFONANDO... CERCANO DI VENDERVI DI TUTTO IN UN PERFETTO ITALIANO, PROBABILMENTE VI CHIAMANO DALL’ALBANIA. DOVE I CALL CENTER SONO IMPRESE MODELLO.

lei non sa chi sono io

029


scrittori nel cassetto | a cura di | scuola holden | www.scuolaholden.it

il treno della si muove a passo lento verso tirumala, Sud dell’India, affollato da una varia umanità accorsa per il dio Brahma.

32

| 029 | novembre 11


pioggia | racconto | edoardo culasso | illustrazione | giada ricci

Per intenderci,

è uno di quelli che se gli dici, poniamo: “Timbuctù”, non gli basta. Cioè, non gli basta mica sapere che esiste, deve andarci, vederla. Gli fanno: “Ma guarda che a Timbuctù non c’è niente, i monumenti li costruivano col fango, è rimasto solo il nome”. Ma non lo convinci, lui quel niente lo deve vedere, coi suoi occhi. Il fatto è che: “L’unica cosa che si può portare nella tomba è aver visto tante cose”, così ragiona. Per questo ora se ne sta seduto per terra nell’atrio caldo appiccicoso della stazione di Madras ad aspettare il treno per Tirumala. Salito sul treno, striscia lo zaino lungo il corridoio stretto, scorre con lo sguardo i numeri stampati sui cartelli gialli appesi fuori dagli scompartimenti, raggiunge il posto a sedere impresso sul biglietto di cartoncino che stringe nella mano destra. Ogni scompartimento ha sei posti che, in questa sera di settembre, sono tutti occupati dai fedeli diretti a Tirumala per il Brahmotsavam.

| 029 | novembre 11

33


Edoardo Culasso

Giada Ricci

È nato e vive a Torino. Nelle giornate libere ama sorseggiare sangria al parco, dar da mangiare agli animali dello zoo e, poi, andarsi a vedere un film. Si ripete spesso che raccoglieremo solo ciò che abbiamo seminato.

È nata a Riccione in una tiepida mattina di 23 anni fa. Ora vive e lavora a Roma, in una piccolissima casina con un gatto. Vorrebbe avere una terrazza, per far crescere un boschetto. Ama i temporali e disegnare quando la città si bagna. Si arriverà poco prima della mezzanotte, la gente scenderà e si disperderà in piccoli gruppi, tra le luci fioche camminerà fino alle piccole locande o al dormitorio accanto al tempio. Anche il suo scompartimento è pieno: la vecchia e il bambino, la giovane coppia, l’uomo con la camicia azzurra. Tutti lo fissano mentre solleva lo zaino per infilarlo nella rastrelliera e siede accanto al finestrino di fronte all’uomo con la camicia azzurra che intanto si è rimesso a leggere una copia del Chennai news today. Fuori il cielo si è colorato di arancione e viola, per le sette sarà buio. La giovane coppia, sposi, forse, o fratello e sorella. Lei ora spezza in due una frittella gialla, secca e oleosa, il cumino e i chiodi di garofano si mescolano con le briciole nell’aria. La vecchia e il bambino, sono entrambi pelati. Ma è normale, molti, uomini e donne, si rasano i capelli per andare a Tirumala. Un sibilo, uno stridio, un piccolo tonfo sordo e il treno si muove. Scorrono lenti attraverso il finestrino opaco gli intrecci dei binari morti, i pali avviluppati dai fili elettrici, i recinti. Lui si è alzato e ha preso un libro dallo zaino. L’uomo con la camicia azzurra posa il giornale, spalanca un sorriso di denti luminosi e dice che il suo nome è Shukumar, così si chiama, dice che anche lui va a Tirumala. No, non è di Madras, sorride, né di Bangalore o Bombay. È di Boston (e qui ridacchia), a Boston ci è nato, cresciuto, i genitori ci arrivarono dal Tamil Nadu che erano ragazzini. Così lui è americano ma anche tamil. O forse né l’uno né l’altro, sussurra. Ve lo potete immaginare, la mattina con l’uniforme del collegio, a pranzo a intingere roti nel dal. Poi ha volato, ventidue ore, e ha preso un treno, anche lui, per Tirumala. Se domandi a un americano o un europeo dove stia Tirumala, nove su dieci non lo sanno. Eppure ogni anno i fedeli che vanno a Tirumala sono più di quelli che vanno a Roma, Gerusalemme o La Mecca, dice.

34

| 029 | novembre 11

| scrittori nel cassetto

Fuori si è messo a piovere, quei temporali monsonici. Milioni di gocce spesse che picchiano sul finestrino, il treno corre nel crepuscolo gonfio d’acqua e lampi. Passa il ragazzo che riempie le tazze di chai fumante. Passano i centri abitati, Thandalam, Ramagiri, battuti dalla pioggia. Sai quante persone lavorano al tempio? Dodicimila, già dodicimila, solo gli addetti al tempio. E sorride. Poi rivolge lo sguardo alla vecchia e alla coppia di giovani e anche loro annuiscono e sorridono. Poco dopo Puttur il treno rallenta e si ferma, in mezzo ai campi di miglio. La vecchia e il bambino dormono; i due giovani si stanno sussurrando qualcosa. Lui passa il palmo della mano sul vetro del finestrino, stringe gli occhi per guardar fuori. Non si sarebbe dovuto fermare, così, nel nulla, ma si è fermato. E non riparte. Quando è trascorsa oltre mezz’ora compare un uomo con la divisa blu delle Indian Railways, parla veloce, in hindi o forse tamil. Shukumar traduce: “La linea è interrotta. Ci stanno lavorando, bisogna aspettare”. La luce bianca dello scompartimento si è accesa, ora sono tutti svegli, le loro voci si confondono, parlano del tempio, della strada che hanno fatto sin qui, ciascuno di loro, per arrivarci, così dice Shukumar. Parlano della darshan, dei villaggi. Poi: “Le piace la musica?”, così gli domanda. Gli altri passeggeri si son fatti zitti, attendono che Shukumar faccia qualcosa, si direbbe. Beh, sì, certo, ama la musica. Allora Shukumar prende il sacco di juta accanto ai suoi piedi e ne estrae una valigetta, lunga e stretta, di pelle nera, lucida. Fa scattare coi pollici le piccole serrature e la apre. Dentro c’è un flauto traverso, il metallo brilla, Shukumar lo solleva con delicatezza, come fosse il gambo fragile d’un fiore. Dice: “Un mio caro amico”. Lo porta alle labbra, soffia. E suona. Bach. Handel. Nelle pause non c’è respiro. Accanto alla porta dello scompartimento s’è formata una piccola folla casuale, fitta e improvvisa come la pioggia dietro i finestrini.


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.