Terre di mezzo street magazine novembre 2010

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| notizie in circolo

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elou, in wolof, significa “torno a casa”. Lo scriveva, a mo’ di saluto, un amico che dopo dodici anni in Italia, fianco a fianco con la nostra redazione, a ottobre ha fatto ritorno in Senegal. Ad accoglierlo, laggiù, la sua famiglia africana: la mamma, la moglie, il piccolo Samba. “A voi lascio il mio cuore, la mia storia e mio fratello”, proseguiva. Un uomo parte e lascia un posto “vuoto”. Accade ogni volta che si cambia casa, lavoro, giro di amicizie. Accade soprattutto con la morte, dove il commiato non ha nemmeno il sapore consolatorio di un arrivederci. Accade nostro malgrado, ma ce ne accorgiamo (eccome). A creare quel senso di vuoto e di vertigine non è però la reale assenza dell’altro, ma la lenta lacerazione che accompagna e precede il momento del distacco. Una sensazione che a volte diventa persino “fisica”: nausea, ancor più che lacrime. Il tutto finisce quando quell’atto si compie. Poi dentro di noi rimane un vuoto fatto di pace e silenzio. Fateci caso: quando qualcuno parte, nello stesso istante c’è già qualcun altro che bussa alla porta. Un bimbo che arriva, due nuove colleghe, una persona a cui dare il benvenuto. Sarà riempito quel vuoto? Non credo, ma questa dinamica ci ricorda che il nostro cuore è elastico. Capace, tra un battito e l’altro, di tenere in sé partenze e arrivi.

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il rovescio del diritto Alloggi impopolari di Alberto Guariso Milano e le case per i rom: storia di una promessa non mantenuta.

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l’inchiesta Fragili abbracci di Dario Paladini Restituiti: quando l’adozione fallisce, i bambini tornano in comunità. E le istituzioni spariscono.

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LE STORIE DI TERRE Perfetta da morire di Ilaria Romano Tumori e inquinamento: il prezzo pagato da Colleferro, una città ideale.

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fotoreportage urbano L’altro lato del sogno di N. Okin Frioli Volevano vivere negli Usa. Qualcuno ce l’ha fatta, gli altri sono qui.

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LE STORIE DI TERRE Risate proibite di Osvaldo Spadaro Un garage trasformato in palcoscenico contro il regime birmano.  | ALTERNATIVE POSSIBILI

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viaggiatori viaggianti In tour dopo l’assedio di Carlo Giorgi A 15 anni dalla guerra, Sarajevo non nasconde le sue cicatrici.

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LE STORIE DI TERRE Speleologi urbani di Laura Bellomi Affascinati dai sotterranei delle vostre città? Scopriteli con loro.

| editoriale | elena parasiliti

vuoti e battiti

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| RISERVE mentali

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scrittori nel cassetto Lei è già sulla tua onda di S. Giacobone Un incontro inatteso, la musica di Cohen. E la vita è stravolta.

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avvista(menti) La scuola dei politici virtuosi di Dario Paladini Cementificare per crescere? Un corso per smontare gli slogan della politica.

Direttore editoriale Miriam Giovanzana miriamgiovanzana@terre.it

n. 018 novembre 2010

Redazione Andrea Rottini Dario Paladini Andrea Legni redazione@terre.it

In copertina Uno scatto del fotografo Nick Daly. (Getty images)

Art director Antonella Carnicelli grafico@terre.it

Ringraziamo per questo numero Carola Fumagalli, Davide De Luca, Ginevra Marino, Sandra Cangemi, Giorgio Donghi, la redazione di Terre di mezzo Editore, il magazzino e lo staff di Fa’ la cosa giusta!

www.terre.it

1,50 euro del prezzo di questo giornale restano al venditore

Progetto grafico Elyron.it

Segreteria segreteria@terre.it

Direzione e redazione Cart’armata Edizioni srl via Calatafimi 10, 20122 Milano tel. 02 - 89.41.58.39 fax 02 - 83.57.431 Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 566 del 22 ottobre 1994.

Direttore responsabile Elena Parasiliti direttore@terre.it

Magazzino magazzino@terre.it Pubblicità segreteria@terre.it

Terre di mezzo è tra i promotori di International Network of Street Papers www.street-papers.org

Stampa Arti Grafiche Stefano Pinelli srl via Farneti 8, 20129 Milano. Poste Italiane spa Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, DCB Milano Roserio.

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opinioni | giro d’italia | a cura di | ULDERICO PESCE

la bombola padana S

iamo in Val Padana. Bordolano è un paese di neanche 600 abitanti in provincia di Cremona. Nelle sue viscere e in quelle di tutta l’area circostante per 40 anni c’è stato un enorme giacimento di gas naturale (12 km quadrati di superficie) che negli anni Novanta si è esaurito. Nel 1953 un pozzo di questo giacimento subì un incendio visibile a 80 km di distanza e ci volle più di un mese per spegnerlo; c’era addirittura un’agenzia viaggi di Brescia che organizzava ogni sera un pullman per portare la gente a vederlo. I danni ambientali furono ingenti. Oggi sotto Bordolano, nelle viscere di un’area che interessa 16 comuni tra le province di Cremona e Brescia (130 km quadrati abitati da circa 55mila persone), rimane una cavità enorme che si estende fino a 1.600 metri di profondità. Un deposito di stoccaggio naturale, pronto per essere di nuovo sfruttato. La società Stogit-Eni ha infatti cominciato i lavori per riempire quell’enorme “fossa” con gas estratto da altri giacimenti. A partire dal 2013, i due pozzi preesistenti e altri sette di nuova realizzazione saranno riempiti ogni estate da un miliardo e 200milioni di metri cubi di gas me-

tano e da 3mila tonnellate di metanolo, per essere poi svuotati durante l’inverno per le esigenze energetiche della popolazione. A Bordolano nascerebbe così la Centrale di compressione di questo gas, dotata di quattro treni di motocompressori a turbogas che servirebbero a riempire i serbatoi sotterranei. Tutto, progetto alla mano, a circa 200 metri dalle prime case del paese. Molti cittadini sono già in allarme perché preoccupati dalla mancanza di un piano di “emergenza esterno”. Alcuni di loro dicono che mancherebbero addirittura le autorizzazioni dei Vigili del fuoco, e sottolineano la pericolosità per quanti andrebbero a lavorare in un impianto di questo genere, oltre che per la popolazione che vive nell’area. Ad oggi, mi dice Ezio Corradi, tra i più attivi “ribelli” della zona, “manca qualsiasi tipo di informazione ai cittadini”. E pensare che la Regione Lombardia ha inserito il comune di Bordolano tra le aree “a rischio di incidente rilevante” secondo la direttiva europea n. 82 del 1996, nota come “legge Seveso”. Un nome che rievoca una delle più gravi stragi annunciate della storia italiana, della cui memoria dovremmo tutti fare tesoro.

≈ Ulderico Pesce, autore di teatro civile, dirige il Centro mediterraneo delle arti. Per conoscere i suoi lavori, cliccate su uldericopesce.com.

Giacimento Area stoccaggio Zona coinvolta Villachiara Borgo San Giacomo

Genivolta

Verolavecchia Verolanuova

Azzanello Quinzano d’Oglio

PROVINCIA DI BRESCIA

Castelvisconti

Pontev

Bordolano

Casalmorano

PROVINCIA DI CREMONA

Corte de’ Cortesi con Cignone

Casalbuttano ed Uniti

Annicco Paderno Ponchielli

Olmeneta

| il rovescio del diritto | a cura di | AVVOCATI PER NIENTE

alloggi impopolari Q

uando leggerete questo articolo, la vicenda dei 25 alloggi popolari “dati ai rom” a Milano, forse, sarà risolta. Per chi non è milanese ne faccio un breve riassunto. È una storia con una sua piccola (o grande) morale: la legalità e il rispetto delle regole sono una gran bella cosa, ma spettano sempre agli altri. Nel marzo di quest’anno, il Comune di Milano decide di chiudere i campi autorizzati di via Triboniano e via Novara. Dove sistemare le 150 famiglie che li abitano? Per 25 di loro Comune, Prefettura, Casa della carità e Caritas trovano la soluzione: alloggeranno per un anno in appartamenti Aler rimasti finora sfitti, perché inagibili, e saranno seguite da volontari che le 2

aiuteranno a diventare autonome e a trovare una “non-rom” rischiava di venir “scavalcato”. Sencasa nel mercato privato. In luglio Prefetto, Sin- za quei soldi, gli appartamenti sarebbero rimadaco, associazioni e le 25 famiglie sottoscrivo i sti vuoti. Inoltre, il meccanismo della “assegnacontratti di affitto. Caritas e Casa della carità ini- zione in deroga”, è previsto (per un massimo del ziano la ristrutturazione. A fine settembre, però, 5 % del patrimonio) da una legge regionale (n. Lega e Pdl, partiti dellaVillachiara Giunta Moratti, insorgono: 1/04 art. 26) ed è utilizzata per trovare soluzioi rom così scavalcano migliaia di famiglie in lista ne a casi urgenti. San Giacomo Che fine hanno fatto i contratti firmati da Sind’attesa. Interviene il ministro dell’Interno, Rober- Borgo to Maroni: “Ai rom nessuna casa popolare”. Obbe- daco e Prefetto? Pacta sunt servanda, dicevano gli antichi Romani e si illudevano che su ciò dienti, Sindaco e Prefetto si accodano. La verità è che le istituzioni si sono riman- si reggesse la civiltà. Sciocconi! Volete mettere Genivolta di giate la parola. Gli alloggi non cadevano dal cie- come è più frizzante una società dove all’urlo Verolavec lo, ma facevano parte del piano “emergenza Rom” “i rom vi rubano le case” ci si può contendere un proposto dal Ministro che prevedeva lo stanzia- pacchettino di voti? Alberto Guariso mento di 300mila euro per sistemare case del patrimonio pubblicoAzzarello e assegnarle, in deroga alle ≈ AvvocatiQuinzano per niente, associazione d’Oglio ordinarie graduatorie, alle associazioni che si asdi legali impegnati nella difesa dei soggetti sumono la responsabilità di gestire i progetti di deboli. È promossa tra gli altri da Acli e Caritas. PROVINCIA reinserimento sociale dei rom. Dunque nessun Per informazioni, avvocatiperniente.it. Castelvisconti

DI BRESCIA

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Bordolano


| cassandra che ride | a cura di | PAT CARRA

| micro&macro | a cura di | LORETTA NAPOLEONI

misure anti-gigantismo R

Costa d’Avorio: un uomo carica sacchi di semi di cacao nello stabilimento Cargill di San Pedro. (Luc Gnago/Reuters)

≈ Loretta Napoleoni, economista

esperta di terrorismo, collabora con Bbc, Cnn, El Pais, Le Monde e The Guardian. Il suo sito: lorettanapoleoni.com.

ileggendo il capolavoro di Fritz Schumacher, “Small is beautiful” (Piccolo è bello, edito da Mondadori), ci si accorge che molte delle previsioni negative che l’autore, nel 1973, fa sul futuro del capitalismo si sono avverate. Una in particolare mi ha colpito, la tendenza dell’economia e della finanza al gigantismo. Non a caso, uno dei motivi per cui il libro è stato scritto è proprio il desiderio di contrastarla. Vent’anni prima dello scoppio della crisi del credito, Schumacher metteva in guardia contro i pericoli dei grandi conglomerati finanziari, e questo avveniva almeno dieci anni prima che comparissero sui mercati. City Bank, che intorno al 2006 possedeva il numero più alto di sportelli al mondo, è crollata come un gigante dai piedi d’argilla e senza l’intervento dello Stato non esisterebbe più. Il gigantismo è figlio del marketing industriale, è cioè la volontà di allargare all’infinito i propri mercati. Un fenomeno che ha portato le società più agguerrite a “ingoiare” quelle meno combattive. La nascita delle multinazionali, in questa lettura, è anch’essa dovuta al desiderio di raggiungere dimensioni sempre maggiori. Un esempio? Cargill, la multinazionale che oggi giorno controlla quasi il 50 per cento del commercio di soft commodities, cioè grano, riso, mais e altri prodotti di

vitale importanza per la sopravvivenza della popolazione del pianeta. E ne rifornisce le aziende alimentari. Ma il gigantismo influenza anche la gestione dei portafogli finanziari: l’alta “volatilità” che da mesi caratterizza il mercato dei cambi è infatti legata al movimento di ingenti masse di denaro da una moneta all’altra. I pericoli li conosciamo bene, ce li ha elencati Schumacher. La pratica del carry trade è tornata di moda: ci si indebita nella moneta con il tasso d’interesse più basso per poi dare i soldi in prestito nella moneta con quello più alto. L’Islanda è andata in bancarotta a causa del carry trade. Ma mentre prima del 2008 lo si faceva con lo yen e s’investiva nel settore immobiliare, oggi ci si indebita in dollari e si specula sul mercato dei cambi. Le monete più gettonate sono il dollaro australiano e quello canadese la cui volatilità è massima. Siamo tornati all’azzardo puro. Il franco svizzero non è immune da questa speculazione, lo si compra per compensare il rischio valutario delle monete volatili, visto è solido come una roccia. La rilettura di “Small is beautiful” ci può dunque aiutare a capire dove le falle del sistema finanziario sono ancora aperte, ma ci mette anche in guardia sui pericoli futuri, qualora non venissero riparate. | 018 | novembre 10

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made in Italy Scrittori stranieri censiti

America

i nuovi italiani si raccontano

Cina Iran

Asia totale

438

Albania

Europa Africa

248

90

457

398

Racconto

Poesia

62

335

Altro

Romania

Senegal Marocco

Oceania

190

generi letterari

Argentina Brasile

157

118

Romanzo

126

1.308

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92 ± Nazionalità rappresentate

opere catalogate al gennaio 2010

| a cura di | ilaria sesana Nel 2009, i nuovi titoli di autori immigrati in lingua italiana inseriti nel database di Basili si sono succeduti al ritmo di uno ogni tre giorni.

la babele tricolore A

Strafalcioni ministeriali “Puoi acquistare la cittadinanza italiana se sei nato in Italia e vi risiedi legalmente da almeno tre anni”. Fosse vero, sarebbe una rivoluzione rispetto alla legge attuale che consente di chiedere la cittadinanza solo dopo il compimento dei 18 anni. E invece si tratta solo di uno strafalcione, che però ha fatto sobbalzare i giovani della Rete G2 quando l’hanno trovato sul vademecum “Immigrazione come, dove, quando”, documento in nove lingue scaricabile dal sito del Ministero del Welfare (lavoro.gov.it). “
Dovremmo segnalarlo a chi di dovere, affinché aggiustino questa, sicuramente involontaria, presa in giro”, commentano i G2. 4

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mara Lakhous, Anilda Ibrahimi, Pap Khouma, Nicolai Lilin, Gezim Hajdari. Sono i volti nuovi della letteratura del nostro Paese. “Una ventata d’aria fresca portata da autori che, pur non essendo nati in Italia, scrivono nella nostra lingua”, spiega Armando Gnisci, docente di Letterature comparate presso l’università La Sapienza di Roma e creatore di “Basili”, la banca dati degli scrittori immigrati in lingua italiana con le schede delle opere di 438 scrittori e scrittrici provenienti da 92 Paesi. Per trovare questo tesoro, accessibile a tutti, basta digitare Basili in qualsiasi motore di ricerca di internet. In testa alle graduatorie gli autori europei (rappresentano il 35,8% del totale) seguiti da africani (28,8%), americani (20,5%) e asiatici (14%). “Ho iniziato a occuparmi quasi per caso di questo fenomeno, fino a quindici anni fa una realtà pressoché inedita per il nostro Paese, diversamente da quanto accadeva in Francia, Spagna e Inghilterra”, racconta Gnisci. Da qui, nel 1997, l’idea di creare la banca dati “per registrare i testi che, anno dopo anno, venivano pubblicati, individuare gli scrittori e darne un riferimento”. I primi libri in cui gli immigrati giunti in Italia raccontavano in italiano la propria esperienza migratoria risalgono all’inizio degli anni Novanta. È il caso di “Immigrato”, scritto dal tunisimo Salah Methnani a quattro mani con Mario Fortunato, e di “Io, venditore di elefanti” di Pap Khouma con Ore-

ste Pivetta”. Romanzi, poesie e racconti che hanno aiutato i lettori italiani a comprendere meglio il viaggio compiuto dai migranti che oggi vivono qui, ma hanno anche aperto piccole finestre su Paesi come Senegal, Somalia, Romania, Brasile, Transnistria. “Una successiva e importante evoluzione -aggiunge Gnisci- si è avuta quando alcuni di questi scrittori hanno iniziato a raccontare come si vive in Italia, mostrandoci la nostra società da un punto di vista nuovo”. Come fa, ad esempio, Amara Lakhous in “Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio” Questo nuovo filone letterario è stato finora relegato in una nicchia, ma in alcune grandi case editrici il vento sta cambiando e diversi autori hanno ottenuto importanti successi di pubblico e di critica in Italia e persino all’estero. Come il poeta albanese Gezim Hajdari, che nel 1997 ha vinto il premio Montale, mentre i diritti di “Educazione siberiana” e “Caduta libera” di Nicolai Lilin sono stati acquistati da ben 12 editori stranieri.

onda montante

l’andamento delle schede-libro pubblicate su basili.

121 78 28 38

201 159

131 136

67 70

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009


Centrale nucleare in Belgio.

in breve | Iniziative popolari

potere di firma: dopo l’acqua, il clima

S

e ha funzionato per l’acqua pubblica, qualche speranza c’è. È partita a giugno la raccolta firme per il referendum contro il nucleare e a favore delle rinnovabili: 50mila adesioni da raccogliere entro fine novembre (oltreilnucleare.it). Con questa proposta di legge si vorrebbe obbligare l’Italia ad applicare il pacchetto “climaenergia” già approvato dalla Ue (andrebbe recepito entro il 5 dicembre). Obiettivo 20/20/20: entro il 2020, ridurre del 20 per cento le emissioni di gas serra e aumentare del 20 per cento l’efficienza energetica e la produzione da fonti rinnovabi-

li. Non solo il nostro Paese è inadempiente rispetto al protocollo di Kyoto (per questo già paghiamo multe salate), ma il Governo spinge sull’opzione nucleare. Il che significa costi altissimi (anche ecologici) per costruire centrali che entrerebbero in funzione ben oltre il 2020. La proposta di legge escluderebbe le centrali atomiche e i sussidi per la produzione da fonti assimilabili come i rifiuti e i residui petroliferi (oggi assorbono il 90 percento della bolletta), favorendo la produzione decentrata da fonti alternative. Nel programma ampio spazio a risparmio energetico, mobilità collettiva, proprietà e gestione pubblica delle reti elettriche. Una rivoluzione da finanziare con una tassa sulle speculazioni che garantirebbe l’autonomia energetica, liberandoci dai combustibili fossili e creando 300mila posti di lavoro.

La tetraplegia entra in classe Tornare alle scuole elementari a 47 anni. Willy Boselli lo ha fatto per raccontare ai bimbi di Bologna che anche una vita in carrozzina può essere bella e piena di vita. La tetraplegia lo ha colpito quando di anni ne aveva 18, “ma grazie alla famiglia e agli amici ho reagito”, racconta. Con loro ha fondato l’associazione “Willy the king group”. Poi, l’anno scorso, ha scritto “Il ballerino sull’albero”, un libro sulla sua storia. Una maestra l’ha invitato a presentarlo ai suoi alunni: “Il loro candore mi ha commosso -dice-: per questo continuo ad andare nelle scuole, ogni volta che posso”.

| c’è chi dice no | attivisti antimafia

la forza delle parole La mafia si combatte raccontandola. come spiegano i 23 autori di “Strozzateci Tutti”.

N

asce come reazione spontanea, ma subito diventa affermazione consapevole del valore rigenerante della parola. “Se trovo quelli che scrivono libri sulla mafia e vanno in giro in tutto il mondo a farci fare così bella figura -ironizzava il premier Silvio Berlusconi il 28 novembre 2009 a Olbia-, giuro che li strozzo”. Qualche giorno dopo, ventitré donne e uomini del Sud decidono di incontrarsi. Sono giornalisti, scrittori, storici, psicologi, insegnanti, nomi più o meno noti, con alle spalle un forte impegno contro le mafie. La loro risposta è lapidaria: “Allora, dovrà strozzarci tutti!”. E per continuare ad aver voce, creano un blog, strozzatecitutti. info, una finestra sul web fatta di parole e immagini dove pubblicare articoli e commentare ciò che accade ad Acerra (Na), Gioia Tauro (Rc), Corleone (Pa), Casal di Principe (Ce), ovunque la criminalità organizzata abbia messo radici.

“Una comune volontà ci spinge a condividere saperi e competenze, senza titubanze né timori -scrivono nel loro manifesto-, per cercare le risorse a cui si può attingere per liberare le coscienze e i corpi dalla cultura mafiosa”. Il loro è un cammino quotidiano. “L’impegno civile è una scelta di vita”, ammette Francesca Viscone, giornalista, docente di tedesco, scrittrice di mafia da anni impegnata a studiare i canti di ’ndrangheta e la loro diffusione in Europa attraverso i mass media. Donna energica e combattiva, ha scelto di vivere e lavorare in Calabria. “Con questo piccolo movimento rivendichiamo il diritto alla parola come risposta a tutti quelli che in-

Marcello Ravveduto

Strozzateci tutti Aliberti Editore 639 pagine ± 20,00 euro vitano al silenzio” spiega. Perché la mafia si combatte, raccontandola. Così oltre al blog hanno pubblicato un libro antologico, a molte mani: “Strozzateci tutti”, uscito il 30 settembre. Un’opera corposa, edita da Aliberti, curata da Marcello Ravveduto con prefazione di Marco Travaglio: 637 pagine, 18 saggi, raggruppati in due sezioni, “Mafie quotidiane” e “Mafie interpretate”. Nella prima ci sono cronache, inchieste e racconti legati al territorio; nella seconda approfondimenti storici, sociologici ed economici. In copertina, su sfondo nero, le 23 foto di chi continua a raccontare. Francesca sorride, dall’angolo in basso a destra. Maria Gallelli | 018 | novembre 10

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esordire a ottant’anni | testo | davide musso | foto | francesco bruni

era solo un ragazzo quando ha assistito alle persecuzioni dei nazisti agli ebrei polacchi. volti e storie che rivivono nei suoi racconti.

I

gor Argamakow ha 80 anni, gli occhi chiarissimi e il sorriso luminoso di un ragazzino. Basta una domanda per convincerlo ad aprire la scatola dei ricordi, e capisci che potrebbe andare avanti per sempre a raccontarti la sua vita intensa e a tratti rocambolesca che sembra uscita dalla penna di uno sceneggiatore. L’intervista si prolunga per un’ora e mezza, nonostante l’insopportabile caos del Salone del libro di Torino dove ci incontriamo, e l’addetta stampa di Argamakow si affaccia un paio di volte per assicurarsi che il suo autore non sia stato preso in ostaggio. Impossibile riassumere in poche righe: nato a Wilno in Polonia (oggi Vilnius, capitale della Lituania) da madre polacca e padre russo, scappa in Italia dopo l’occupazione nazista. Qui italianizza il cognome in Argamante e lega il suo destino per sempre alla nostra terra, arrivando a diventare dirigente della Olivetti e, una volta in pensione, console onorario del Sudafrica. Dopo alcune pubblicazioni saggistiche, quest’anno ha esordito nella narrativa con “Gerico 1941” (Bollati Boringhieri), una raccolta di racconti sulle persecuzioni degli ebrei a Wilno durante la Seconda guerra mondiale. Da cosa nasce un libro del genere? Dall’esigenza di lasciare a qualcuno le mie memorie, perché ormai quelli come me -i testimoni o le vittime- sono sempre meno. Hanno scritto che gli ottantenni hanno ancora ricordi, mentre a novant’anni restano solo gli acciacchi. Dato che io ho già oltrepassato la soglia mi affretto a lasciare una traccia. Lei non è ebreo, ma ha deciso di raccontare le atrocità subite dagli ebrei dopo l’arrivo dei tedeschi a Wilno, quando era ancora un ragazzino… 6

| 018 | novembre 10

Sono nato in una città polacca dove un terzo degli abitanti erano ebrei. Lo erano i miei compagni di scuola, gli amici, i vicini di casa. Era ebrea Dora, la prima ragazza con cui ho passeggiato per strada mano nella mano. Cosa accadde? I nazisti in un primo tempo li rinchiusero nel ghetto, la parte più antica e malridotta della città. Poi li portarono via: per risanare il ghetto, dicevano, ma sapevamo tutti che fine avrebbero fatto. Ecco, un ricordo così è impossibile da dimenticare. Immagino non si potesse fare molto per impedirlo. A quell’epoca vigeva il detto del Führer “fucilate chiunque vi guardi storto”. Non potevamo certo organizzare sit-in. Ha più incontrato qualcuno dei suoi amici d’infanzia? No. Però, anche se può sembrare paradossale, sono stati i tedeschi a darvi il modo di fuggire… Obiettivamente siamo stati salvati dai tedeschi. Nel ’39, quando i carri armati sovietici entrarono a Wilno, mio padre venne arrestato perché era un ex ufficiale zarista russo: per cinquant’anni non ne abbiamo saputo più nulla. Anche mia madre e io rischiavamo, così ci siamo nascosti in una villa disabitata ai margini della città: durante il giorno passeggiavamo con il nostro alano fingendoci dei turisti. Nel ’41, con l’invasione nazista, decidiamo di lasciare il Paese. Perché scappaste proprio in Italia? Nell’Ottocento una Argamakow aveva | L’intervista

sposato un italiano. Abbiamo ritrovato il documento che lo dimostrava e mio fratello, un italianista con ottimi agganci all’Istituto italiano di cultura ai tempi del fascismo, riuscì a farci ottenere la cittadinanza. E poi di cosa si è occupato? Ho lavorato in diversi uffici stampa: il primo fu quello di una piccola casa editrice. Guadagnavo 7mila lire al mese e ne pagavamo 15mila per la stanza dove stavo con mia madre, che dava lezioni di francese e di russo e faceva qualche traduzione. Col tempo sono arrivato all’Ice, l’Istituto per il commercio estero, dove ho lavorato per otto anni all’ufficio pubblicità. Proprio grazie a quell’esperienza venni assunto in seguito da Adriano


Igor Argamante posa sullo sfondo della sua Trieste. In lontananza, il Faro della Vittoria.

Olivetti, che mi affidò prima il mercato tedesco e poi l’Europa dell’Est. Com’è finito a fare il console onorario del Sudafrica? Durante gli ultimi cinque anni alla Olivetti mi occupai dell’area Pacifico-Sudafrica. Quando andai in pensione i sudafricani mi contattarano: era l’anno in cui Mandela venne liberato, il 1990. Accettai e ricoprii la carica di console onorario per dieci anni. Quando ha deciso di mettersi a scrivere? Grazie all’interessamento dell’ambasciatore sudafricano, l’ambasciatore russo a Roma ha contattato l’archivio del Kgb a Mosca, ed è riuscito a farmi sapere che durante la guerra

mio fratello maggiore era stato fucilato e che mio padre era stato condannato a otto anni di gulag ai confini con la Mongolia. Ho iniziato a studiare quel periodo, e a partire da un dossier del Kgb su mio padre, recuperato a Vilnius dopo la caduta dell’Urss, è nato il mio primo libro “Morte da cani” (Il mulino). Si sente uno “scrittore migrante”, come si dice oggi? Rifiuto l’etichetta di “non-italiano che scrive in italiano” che mi è stata appiccicata da qualche giornalista: ho la cittadinanza da 70 anni e da 65 vivo in Italia, qui ho fatto il servizio militare, ho lavorato come parastatale all’Ice, sono un ex-dirigente dell’Olivetti... Mi sento italiano e sono orgoglioso di esserlo.

Igor Argamante “Ho sempre voluto fare lo scrittore, ma non ho mai avuto tempo”. Ecco perché Igor Argamante (nato Argamakow in Polonia nel 1930 e poi naturalizzato italiano) dopo una vita come pubblicitario, uomo d’affari e diplomatico, ha esordito solo nel 2000, alla tenera età di 70 anni, con il saggio storico “Morte da cani. Piccola storia stalinista” (Il mulino). Il suo secondo libro, “Gerico 1941. Storie di ghetto e dintorni” (Bollati Boringhieri, 2010), è una raccolta di racconti sulle persecuzioni degli ebrei a Wilno, oggi Vilnius, durante la Seconda guerra mondiale.

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| testo | dario paladini | foto | giovanni presutti

Restituiti: quando l’adozione fallisce, i bambini tornano in comunità. E le istituzioni spariscono.

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Le immagini di questa inchiesta Paolo, Gabriele e Linda, gemelli, sono tre bambini meteora. Dopo due aborti nei primi mesi, mamma Barbara e papà Antonio li aspettavano con ansia, ma loro non ce l’hanno fatta. Le foto di queste pagine raccontano storie di genitori che hanno perso un bimbo per morte perinatale, un lutto che può sopravvenire dalla 20a settimana di gravidanza a quella subito dopo il parto. Un dolore che, secondo l’associazione CiaoLapo, fondata da due medici che hanno perso il loro secondogenito, colpisce ogni anno 2mila coppie italiane, spesso lasciate sole (ciaolapo.it).

ulla targhetta della porta d’ingresso ci sono ancora tutti i nomi: “Matilde, Giovanni, Miran, Anna”. Ma Miran, adottata nel 2001 in India all’età di sei anni e mezzo, da 18 mesi non vive più in questa casa dell’hinterland milanese. “Siamo stati costretti a mandarla in una comunità terapeutica perché la famiglia rischiava di cadere a pezzi” spiega Matilde, la mamma adottiva, mentre in cucina gironzolano i due gatti comprati proprio per Miran, nella speranza che il contatto con gli animali l’aiutasse a riconciliarsi con se stessa e con il mondo. “Mai avrei immaginato di dover prendere questa decisione, ma ormai anche Anna, figlia biologica, dava segni di crisi -dice Matilde, che oggi vede Miran una volta al mese in presenza di uno psicologo-. Ora non so se tornerà a stare con noi”. La doppia promessa dell’adozione, per i genitori il sogno di crescere un figlio, per i bambini quello di avere una famiglia, può trasformarsi in un incubo. Secondo un’indagine svolta dall’Istituto degli Innocenti di Firenze, nel 2001 in Italia c’erano 351 ragazzini, 176 dei quali di origine straniera, età media 13 anni, “restituiti” dopo cinque o sei anni di adozione e consegnati a comunità d’accoglienza. Tanti o pochi che sembrino, sono la punta di un iceberg. “Ci sono casi che non si concludono con l’allontanamento del figlio, ma comunque sono caratterizzati da rapporti molto conflittuali con i genitori -spiega Marco Cristolini, psicoterapeuta e consulente dell’Istituto degli Innocenti-. Secondo vari studi condotti in Paesi europei, circa il 3 per cento delle adozioni falliscono, ma la percentuale sale al 20 per cento tra le adozioni ritenute difficili, come quelle in cui il bambino ha problemi di salute o ha vissuto gravi violenze nella sua famiglia d’origine”. Anche Miran, rimasta orfana di madre, era stata maltrattata dalla matrigna e spesso picchiata dal padre, tanto da portare ancora sul corpo alcune cicatrici. “Fin dall’inizio il rapporto con lei è stato molto difficile -racconta Matilde-. Mi sentivo divorata dal suo desiderio di attenzione e per questo tendevo a irrigidirmi”. Con l’adolescenza la situazione precipita: uso di droghe, rapporti sessuali con adulti e continui disturbi psicosomatici come forti emicranie, periodi di vomito giornaliero, enuresi, dolori e rigidità del collo e della schiena, mal di pancia, svenimenti, convulsioni, cistiti “che non passavano mai, neanche con gli antibiotici”. Nei suoi incubi, Giovanni e il suo papà naturale lottavano tra loro. Ripeteva di voler essere adottata da un’altra famiglia, minacciava di suicidarsi. In questo quadro, anche la scuola non poteva che essere un disastro. “Era, ed è ancora, incapace di vivere una vita in positivo -aggiunge Matilde-. Fino al suo arrivo in Italia nel suo codice di comportamento c’erano solo violenza e diffidenza. In casa nostra i rapporti sono improntati su ben altri valori, ma questo l’ha come spiazzata”. Ben presto tutta la famiglia viene seguita da uno psicologo: ne ha bisogno Miran, ma anche i suoi genitori | 018 | novembre 10

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Matteo Avrebbe dovuto dormire in questa cameretta, preparata da papà Nicola e mamma Silvia. Lei, psicologa, mai avrebbe pensato di poter affrontare un simile dolore. Il fratellino di Matteo si chiama Alec.

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e la sorella, ormai esausti. “Miran ha una grande rabbia dentro di sé, contro il mondo, contro tutti. Ma nella nostra famiglia non era permesso tirarla fuori nei modi in cui lei avrebbe voluto, urlando e picchiando. Per cui eravamo diventati noi il canale della sua rabbia. E questo mi sfiniva”. Nel gennaio 2009 per Miran si aprono le porte della comunità. Una scelta fino a poco prima ritenuta impensabile, spiegata da Matilde in una email ai parenti e agli amici più stretti: “Anche se so che è la cosa migliore e sento che abbiamo fatto il possibile, nessuno mi toglie la sensazione di avere un buco nello stomaco. Mi sento un po’ fallita, mi rendo conto che la montagna era più alta di quanto avessimo calcolato e che non bastava la buona volontà. E quando guardo la mia famiglia soffrire, nel silenzio della stanzetta dello psicologo, mi chiedo dove ci porterà tutto questo dolore”.

Traumi indelebili. I fattori di rischio

Sono tre i fattori che possono portare al fallimento di un’adozione. “Il primo è legato al bambino: i traumi subiti a volte sono così profondi da renderlo incapace di costruire relazioni positive -spiega Marco Cristolini-. Conta poi l’atteggiamento dei nuovi genitori, in particolare la loro disponibilità ad accettare un bambino ‘non perfetto’ come l’avevano sognato, con i suoi ritardi, i suoi

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fallimenti scolastici, i tormenti sulle sue origini”. Infine, la solitudine della famiglia stessa: non sempre, infatti, i servizi sociali e la scuola sono preparate a sostenerla. “Abbiamo un’Italia a macchia di leopardo -sottolinea Cristolini-: in alcune regioni ci sono buoni servizi e in altre quasi neanche il minimo previsto dalla legge”. La trafila per adottare un bambino è abbastanza lunga: si inoltra una domanda al Tribunale per i minorenni, i servizi sociali scandagliano la vita privata dei candidati e, sulla base della relazione, un giudice decide se sono idonei o meno. A questo punto chi cerca un figlio all’estero si affida a un ente abilitato dal Comitato adozioni internazionali (Cai), che conduce a buon fine il percorso dell’adozione in circa 18 mesi. Chi desidera un bambino italiano aspetta la chiamata dal Tribunale, pur sapendo che per ogni bambino adottabile ci sono 12 coppie in attesa. A questo punto, se l’iter non si è concluso con successo nel giro di tre anni, la coppia deve ricominciare tutto da capo. I genitori che hanno ottenuto un bambino, invece, durante il primo anno d’adozione vengono seguiti dai servizi sociali, poi devono camminare sulle loro gambe. “L’Asl ci ha garantito solo dieci sedute all’anno con lo psicologo, ma noi ne avevamo bisogno molte di più e abbiamo dovuto pagarcele da soli -dice Matilde-: circa 90 euro a seduta”.


Sara Nata con un parto naturale senza apparenti problemi, dopo un’ora dalla nascita ha smesso di respirare. Vivrà intubata per 34 giorni senza riprendere conoscenza. La sorella Martina le ha dedicato diversi disegni, mamma Valentina ha conservato una ciocca dei suoi capelli.

A volte, però, lo psicologo non basta e, per stare in piedi, c’è bisogno di confrontarsi con altri genitori. “I problemi vengono fuori soprattutto con l’adolescenza -spiega Marina Maino, presidente del coordinamento Famiglie adottive alto vicentino-. In questo periodo abbiamo sentito il bisogno di scambiarci le esperienze e di confortarci e oggi abbiamo due gruppi di auto aiuto per un totale di 20 famiglie. I nostri figli rimettono in discussione tutto: ‘Non siete il mio papà e la mia mamma veri!’, ‘Mi avete adottato solo per sembrare una famiglia come le altre!’ e così via. Certo ogni adolescente contesta il padre e la madre, ma nel nostro caso è necessario un lavoro maggiore, proprio perché sono ragazzi che hanno subìto traumi”. Difficoltà e problemi che i figli a volte cercano di risolvere da soli. Come ha fatto Pablo, originario del Perù, adottato all’età di 6 anni e mezzo da una famiglia dell’Italia centrale. “I miei genitori li ho fatti letteralmente disperare -racconta-. Verso i 13 anni ho cominciato a vestire e mangiare in stile sudamericano, mi sono rifugiato nelle droghe leggere, non mi sentivo parte della famiglia. Loro non mi avevano mai nascosto le mie origini e la mia storia ma io ero andato in crisi, tanto che mi è venuta l’alopecia”. Nel 2007, la svolta. “Decido di andare in Perù -racconta Pablo-. Ci sono stato per due mesi e sono riuscito a trovare i miei genitori biologici. Ho potuto vedere i loro volti, ascoltare la loro storia, conoscere zii e cugini. Mi hanno accolto e addirittura hanno organizzato una festa per me”. Quando è nato, i suoi genitori naturali erano poco più che ventenni. “Poverissimi. Non sapevano come darmi da mangiare”. Pablo, al contrario di altri, non ha mai vissuto in istituto: “Il passaggio da una famiglia all’altra è stato diretto: ho ancora una foto con i miei genitori naturali e quelli adottivi e io in mezzo. Un momento che avevo rimosso, anche se dentro di me sentivo di essere

stato strappato alle mie origini”. Oggi, però, Pablo si sente sereno. “È come se avessi ricucito quello strappo, anche se per me i miei veri genitori restano quelli adottivi. Con loro sono molto cambiato e anche l’alopecia mi è sparita”.

Minori fuori controllo

Nel nostro Paese ogni anno vengono adottati poco più di mille bambini italiani e circa 3.500 stranieri ma nessuno, dopo l’adozione, si preoccupa di monitorare il destino di questi piccoli e delle loro nuove famiglie. Al Tribunale dei minorenni di Roma, però, hanno deciso di cambiare rotta. “Vogliamo capire cosa ne è di loro, anche a distanza di anni”, sottolinea il presidente del Tribunale, Melita Cavallo, che ha introdotto vincoli relativi all’età e al numero dei bambini che una coppia può accogliere nei decreti di idoneità all’adozione internazionale. “È capitato che chi avesse chiesto un figlio in età prescolare, una volta giunto nel Paese straniero abbia scoperto che il bambino era più grandicello, oppure che avesse anche un fratello. A quel punto cosa fanno? Dicono di no e tornano in Italia? -racconta Melita Cavallo-. In queste settimane stiamo gestendo il caso di una ragazzina di 13 anni: è arrivata nel nostro Paese da pochi mesi ma la famiglia l’ha già restituita. Non fa altro che piangere perché dice che le avevano raccontato che sarebbe partita solo per una vacanza. Mi sembra che ci sia da riflettere su casi di questo genere”.

Figli per sempre. Corpo a corpo

A Milano l’associazione Amici dei bambini (Ai.bi.) promuove un gruppo di confronto fra adottati adulti. “Si ritrovano per scambiarsi esperienze, per aiutarsi -racconta Cristolini, che ne è l’animatore-. La storia della loro infanzia li segue per tutta la vita. Quando diventano a loro volta genitori devono magari spiegare ai figli perché i | 018 | novembre 10

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Ania Secondogenita di Flavia e Pierluigi, è sepolta al cimitero romano di Prima Porta. Qui, nel “Giardino degli angeli”, sono tumulati feti e bambini nati morti, quasi sempre senza che i genitori lo sappiano.

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nonni sono così diversi. In caso di malattie, inoltre, pesa il fatto che non si conosca nulla o quasi delle patologie ereditarie dei genitori biologici”. Sui social network sono nati anche gruppi di figli italiani adottati che cercano notizie o testimoni delle loro radici. Spesso si registrano con il nome e cognome fittizio assegnati loro al momento della nascita: chissà che la mamma navigando su internet non li riconosca. Pubblicano data, ora, nome dell’ospedale in cui sono stati partoriti e altri dettagli che possano far tornare la memoria a ostetriche, infermiere, vicini di letto. La legge italiana impedisce ai figli non riconosciuti di accedere alla documentazione che riguarda l’identità dei genitori consentendola, con beffarda ironia, solo al compimento dei 100 anni d’età (25 per gli “allontanati”). “I cosiddetti figli di n.n. sentono molto forte il desiderio di sapere qualcosa di più delle proprie origini -racconta Emilia Emiliani, 58 anni, psicologa e fondatrice di un gruppo su facebook intitolato ‘La punizione dei 100 anni. Sostegno ai figli adottivi non riconosciuti’-. Abbiamo come un buco nero nella nostra vita. Non ci siamo mai rispecchiati nei lineamenti di qualcuno d’altro”. In Parlamento giacciono tre disegni di legge, che mirano a ridurre gli anni di “segretezza” assoluta: prevedono che il figlio possa chiedere al Tribunale di contattare i genitori biologi e se questi ultimi acconsentono, viene rivelato il loro nome, senza che questo comporti per loro nessun obbligo. Uno di questi, depositato nel novembre 2009 da Maurizio Paniz, avvocato bellunese e deputato

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Pdl, fissa a 25 anni il nuovo limite per avere diritto a chiedere informazioni sui propri genitori originari, estendibile a 40 nei casi più delicati. Una proposta che a febbraio è stata oggetto di un primo esame presso la Commissione giustizia. “È un tema importante -dice Paniz-: bisogna stare attenti a gestire i diversi interessi dei soggetti coinvolti, rispettando gli affetti consolidati”. Ma la vita reale è più veloce delle cerimonie parlamentari: così Mariarosa De Rosa, 52 anni, mossa dalla curiosità è finita dall’altra parte del mondo per conoscere la sua mamma biologica. “Morti i miei genitori adottivi, ho scoperto da una zia che verso i 16 anni volevano ‘restituirmi’ perché ero finita in un ospedale psichiatrico per le angherie subite dal mio padre adottivo -racconta-. Erano riusciti a sapere il nome della mia mamma biologica”. Mariarosa finalmente sa che è figlia di una donna originaria del Molise, che l’aveva partorita, ancora nubile, a 25 anni. “Erano tempi diversi e i parenti la costrinsero a non riconoscermi. Mi diede alla luce in un ospedale di Napoli e mi lasciò lì”. Mariarosa è andata in Molise ed è riuscita a sapere che è in Australia. “Le ho scritto -ricorda-. Un anno fa l’ho incontrata a Sidney. Ho visto in faccia le mie radici. Ho scoperto che anche lei ha una venuzza in rilievo sulla gamba, abbiamo inoltre la stessa pianta dei piedi. Ho trovato somiglianze in alcune cugine, a partire dai capelli. Per chi non è adottato è difficile capire quanto ciò sia importante”. Quest’anno, per Natale, Mariarosa volerà in Australia.


Alberto È morto nel 1998, ma per 10 anni mamma Roberta non ha saputo dove fosse stato seppellito. Oggi conserva una zolla di un terreno incolto del cimitero di Cantù (Co), dove riposava il suo piccolo.

adozioni coraniche | testo | dario paladini | foto | giovanni presutti

La kafala, unica via per accogliere un bimbo secondo l’Islam, non è riconosciuta in Italia. E 600 richieste sono ferme alla Farnesina.

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unir ha solo due anni e mezzo e vive in un orfanotrofio del Cairo. Da quasi 10 mesi attende che le autorità italiane gli permettano di venire nelle Marche dove lo aspetta la sua nuova famiglia. Non è stato adottato: i suoi nuovi genitori -Masoud Kamal, 41 anni, egiziano con la cittadinanza italiana, e Moira Paletti, 43 anni- sono infatti musulmani e il Corano vieta l’adozione. Sono ricorsi all’istituto islamico della Kafala, molto simile all’affido: il bambino non cambia cognome, non diventa figlio della coppia, ma quest’ultima si impegna a crescerlo e accudirlo, fino a quando compie 18 anni. In Egitto e in tutti i Paesi musulmani è l’unico strumento per dare una famiglia ai minori abbandonati. Il problema è che l’Italia non riconosce la kafala e quindi non concede il permesso di soggiorno a Munir. “Nell’agosto del 2009 abbiamo inoltrato la domanda per la kafala al ministero degli Affari sociali dell’Egitto -racconta Moira-. Tramite il loro consolato in Italia, hanno

controllato il nostro stato patrimoniale, verificato che fossimo entrambi veramente musulmani e che fossimo in grado di crescere un bambino. Ci hanno anche chiesto le pagelle scolastiche del nostro figlio naturale”. A febbraio di quest’anno arriva il via libera dall’Egitto e i coniugi Kamal volano al Cairo. “Ci hanno indicato l’orfanotrofio e, come previsto dalle leggi egiziani, abbiamo scelto noi il bambino”, ricorda Moira. Al Consolato italiano hanno inoltrato ben 5 volte la richiesta di ricongiungimento familiare, ma la risposta è sempre stata negativa. “Ora abbiamo fatto ricorso e attendiamo che il Tribunale di Ancona si pronunci”. Munir non è l’unico bambino “kafalino” che attende un visto per venire in Italia. “Nel 2008 solo al consolato di Rabat in Marocco ci sono state 250 richieste -racconta Marco Griffini, presidente dell’associazione Amici dei bambini (Ai.bi.) che sostiene la battaglia legale di alcune di queste famiglie-. Stimiamo che siano circa 600 le domande ferme al

ministero degli Esteri italiano provenienti dai Paesi nordafricani”. L’Italia finora non ha concesso i visti perché teme che la kafala possa diventare un modo per aggirare sia le norme sull’adozione sia quelle sull’immigrazione. In Europa alcuni Paesi riconoscono la kafala: il Belgio l’ha inserita nel suo Codice civile, Svizzera e Spagna ne consentono la trasformazione in adozione. In Germania, Regno Unito, Francia e Lussemburgo è invece la giurisprudenza a darle validità. La famiglia Kamal ha fiducia nella giustizia italiana. Anche perché nel 2008 la Corte di Cassazione ha già dato ragione a una coppia marocchina, sostenendo che è un diritto del minore poter vivere nella famiglia cui è stato affidato nel rispetto delle leggi del suo Paese d’origine. “In futuro questi casi aumenteranno -sottolinea Moira-, perché in Italia sono sempre di più le coppie musulmane. Per coerenza verso la nostra fede non possiamo adottare, ma vi assicuro che i controlli effettuati dalle autorità egiziane sono stati molto rigorosi, non abbiamo cercato una scorciatoia”. La svolta potrebbe arrivare se il Parlamento ratificasse la Convenzione dell’Aja del 1996, che stabilisce le competenze fra gli Stati in materia di tutela dei minori. “L’Italia, in questo modo, riconoscerebbe la validità della kafala -spiega Marco Griffini-, anche se poi dovrebbe emanare norme specifiche per regolarla”. Come spesso accade, il nostro Paese è in ritardo, la Convenzione imponeva la ratifica entro il 5 luglio 2010. Qualche speranza comunque c’è: il 7 ottobre il sottosegretario agli Esteri, Vincenzo Scotti, ha sostenuto al Senato che il Governo ha sciolto ogni riserva sulla kafala. Probabilmente i ministeri della Giustizia e degli Esteri presenteranno un disegno di legge con le procedure per la concessione del visto ai bambini “kafalini”. “Una buona notizia, ora Parlamento e Governo devono agire con più celerità”, dice il presidente di Ai.bi. I tempi della politica sono però troppo lenti per un bambino di due anni. La famiglia Kamal ha anche meditato di trasferirsi in Egitto. “È stato il nostro figlio naturale a proporci di cambiare Paese -sottolinea Moira-. Mi auguro proprio di non dover compiere questo passo”.  | 018 | novembre 10

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perfetta da morire | testo | ilaria romano | foto | antonella di girolamo

TUMORI E INQUINAMENTO: È IL PREZZO PAGATO DA COLLEFERRO, NATA PER ESSERE LA CITTà IDEALE.

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albero di Natale si faceva il 4 dicembre, per santa Barbara. Poi la festa patronale: agli impiegati il padrone offriva il pranzo, agli operai biscottini e vermut. C’era la lotteria. Il premio? “Un cesto coi prodotti aziendali: ddt, detersivo”. Mario Sinibaldi era un bambino quando le tradizioni di questa città adolescente ruotavano tutte intorno alla fabbrica. Colleferro ha compiuto 75 anni lo scorso giugno. Oggi ha 22mila abitanti e solo 2mila operai. Ma senza l’industria questo posto non esisterebbe. Siamo a 51 chilometri da Roma, lungo la via Casilina e la valle del fiume Sacco. Un luogo ideale per viverci, se decenni di produzioni chimiche non avessero lasciato il segno. Perché oggi Colleferro fa i conti con il prezzo pagato per lo sviluppo. “Si parla di inquinamento da vent’anni -spiega Alberto Valleriani, presidente di Retuvasa, la Rete per la tutela della valle del Sacco-. Nel 2004 sono morte delle mucche. La causa era il cianuro, ma dalle analisi è venuto fuori il resto”. I fusti di rifiuti tossici interrati nel comprensorio industriale hanno rilasciato per anni un antiparassitario, il beta-esaclorocicloesano, in concentrazioni “molte volte superiori a quel14

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le previste dalla legge”, come sintetizza un opuscolo informativo per la popolazione. È scattata l’emergenza ambientale, poi la bonifica. Tra il 2005 e il 2006 i medici del Dipartimento di Epidemiologia della Asl Roma E hanno misurato il veleno nel sangue della gente: i più contaminati sono gli anziani e chi vive lungo il fiume. A suscitare preoccupazione, i dati che riguardano i tumori: fra il ’97 e il 2000 nei Comuni più vicini al vecchio polo industriale gli uomini deceduti sono stati il 21 per cento in più che nel Lazio. In particolare il cancro alla pleura ha colpito 6 volte più che nel resto della regione. Diffusi anche il cancro alla vescica e le patologie cardiovascolari e respiratorie. Retuvasa si è costituita parte civile nel processo contro le società e i consorzi che dovevano vigilare sulla tenuta dei fusti interrati e sulla qualità delle acque. Alberto Valleriani vive lontano dal Sacco ma si è sottoposto lo stesso ai controlli: “Se risulto contaminato, sapremo che il fenomeno è più ampio”. In fabbrica si usavano sostanze chimiche e amianto, ed è accertato che la causa di alcuni tumori “sia l’esposizione lavorativa, e non ambientale, alle sostanze tossiche”, scrive nel 2009 Francesco Blasetti, direttore del servizio Igiene degli alimenti e della nutrizione della Asl locale, sul bimestrale informativo dell’azienda sanita-

ria. In altri casi, invece, “i fattori di rischio sono molteplici”. I dati finora raccolti non dicono con certezza se le malattie derivino da fattori lavorativi o ambientali, né se ci sia correlazione tra i tumori e il beta-esaclorocicloesano. Indagini e analisi continuano. Il cancro, intanto, entra nei discorsi della gente. La paura di ammalarsi fa a pugni con l’immagine di luogo ideale che questo comune ha ereditato dalla sua storia. Alla nascita, infatti, Colleferro è un’ordinata e accogliente città per i lavoratori. La progetta nei primi anni Trenta Riccardo Morandi, per accogliere i dipendenti della Bpd, la fabbrica di esplosivi avviata nel 1912 dai senatori-imprenditori Giovanni Bombrini e Leopoldo Parodi Delfino. L’Italia intende potenziare la produzione bellica e loro si mettono all’opera. Parodi Delfino chiama maestranze da tutta la Penisola:


Da sinistra, in senso orario: manifesto celebrativo dell’Aviodi Colleferro, centro d’eccellenza del settore aerospaziale; l’ingresso del cementificio, attivo dal 1921; un operaio di Italcementi; installazione con il razzo Ariane, i cui propulsori vengono prodotti dall’Avio; lo stemma comunale, dedicato alla nobiltà del lavoro.

artificieri dal Piemonte, metalmeccanici dalla Toscana, costruttori dalle Marche, poi veneti, calabresi e ciociari dei dintorni. Eterogenei per dialetti e usanze, uniti dalla Bippidì: “il padre fondatore” dà lavoro, casa, scuole, impianti sportivi, l’ospedale. Nella cattedrale il mosaico di santa Barbara, patrona degli artificieri e di Colleferro, accosta i simboli della fede a quelli dell’industria. Nella Seconda guerra mondiale la Bpd è un gigante con quasi 15mila lavoratori. Anni Cinquanta: lo scrittore Guido Piovene trova Colleferro “una piccola città operaia e modernista” che “spicca sullo sfondo agricolo e pastorale”. Il motto del comune diventa in labore virtus, nel lavoro la virtù. Dopo la guerra la Bpd si dedica soprattutto alla chimica. Per i suoi abitanti-operai la fabbrica è motivo di orgoglio: “Eravamo moderni,

i paesi intorno si sviluppavano grazie a noi”. Il lavoro si difendeva anche col passaparola: “Quando iniziammo a fare il sapone lauril -racconta Maria-, lo regalai ai parenti, così l’avrebbero comprato ancora”. Il last al limone, la fibra sintetica delfion, l’insetticida profumato sono pietre miliari dell’identità cittadina. Nel ’68 la Bpd chiude i cancelli. Ma Colleferro non rinuncia al polo industriale e si riconverte. Oggi il vanto arriva dal settore aerospaziale: “Il 60 per cento dei satelliti -spiega Francesco Depasquale dell’Elv, società del gruppo Avio- è in orbita grazie a motori prodotti qui, e si lavora al razzo Vega che sarà utilizzato dal 2011”. C’è poi la Alstom che si occupa di treni. L’Italcementi: il suo impianto, funzionante, divide in due l’abitato. “Fino agli anni Ottanta ci svegliavamo sotto la polvere”, ricorda Renzo

Rossi, studioso di storia locale. Ora i filtri sono migliorati, le emissioni monitorabili online. Un falco fa il nido sulla torre e il cementificio continua a stagliarsi contro il profilo della città. Tra le fabbriche, una produce armamenti: è la Simmel Difesa contestata dai pacifisti durante la guerra in Iraq perché produceva le bombe a grappolo. “Tutte queste industrie impiegano solo 2mila persone -conta il sindaco Mario Cacciotti, Pdl-: il primo problema qui è l’occupazione”. Con l’inquinamento, invece, si convive. Nel 2002 sono arrivati persino due inceneritori, a poche centinaia di metri dalle case. Nel 2009 sono stati al centro di uno scandalo: bruciavano combustibile non conforme e i valori delle emissioni venivano falsati da chi avrebbe dovuto vigilarli. Costruiti nonostante il parere negativo della Asl, all’inizio sono stati avversati dai cittadini che oggi li tollerano perché, dicono, “dopo i guai ci sono più controlli”. L’inceneritore è su una collina; in basso c’è una scuola elementare. Un paio di chilometri fuori città, un’altra scuola sorge di fronte alla discarica di Colle Fagiolara: sono cresciute insieme. Ed è allo studio la costruzione di una centrale turbogas. “La gente è rassegnata -dice Alberto Valleriani-. Forse dipende dalla nostra storia”. Forse c’è un’altra ragione: “Per l’inceneritore la città percepisce un ristoro economico”, dice il sindaco: 887mila euro l’anno. Insieme al beneficio economico per la localizzazione della discarica, che per il 2010 è calcolato in 5 milioni di euro, “Questo ci consente di tenere bassa la tassa dei rifiuti. E la mensa dei bimbi costa un decimo che altrove”. C’è chi se ne va. Ma Colleferro è vicina a Roma e ben collegata, e le previsioni dicono che crescerà. Anna Dello Iacono, insegnante di chimica, arriva dalla capitale: “Spiego che la chimica è vita, che sta all’uomo farne buon uso. Ma anch’io mi faccio qualche domanda”. Andrea Cicini, 32 anni, vive in un paese vicino: “A Colleferro si sta bene, c’è tutto. L’inquinamento? Da me è lo stesso, cambia solo l’odore”. | 018 | novembre 10

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fotoreportage urbano | a cura di | polifemo | www.polifemo.org

l’altro lato del sogno Volevano raggiungere gli Stati Uniti a cavallo della “Bestia”. Qualcuno ce l’ha fatta, gli altri sono qui.

| testo | gabriela alfaro | fotografie | Nicola “okin” frioli ≈ Polifemo è un’associazione di fotografi professionisti con base a Milano, che si propone di diffondere la cultura dell’immagine e della comunicazione visiva.

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l tetto del treno merci, che senza fermata né orario stabilito attraversa il Messico, è l’unica opportunità per gli immigrati centroamericani di raggiungere gli Stati uniti. Arrivano da Honduras, El Salvador, Guatemala, Nicaragua. Durante la traversata sono vittime dell’altro lato del sogno: assalti, stupri, la corruzione della Migra (la polizia messicana che controlla gli immigrati), i sequestri compiuti dalla Maras Salvatrucha, gang di origine salvadoregna. E se non bastasse, anche della violenza della “Bestia”. Così viene chiamato questo treno: una creatura vorace, capace di divorare braccia e gambe di chi vive nell’illusione di una vita migliore e alla fine si ritrova bloccato in Messico, nell’umiliazione e nel disprezzo della popolazione locale. Le immagini che vi proponiamo sono ritratti crudi, reali, commoventi, silenziosi, violenti.

Mostrano il prezzo pagato dagli immigrati che provano a superare la frontiera del Sud del Messico in cerca di lavoro per mantenere la famiglia rimasta a casa. Quest’anno anche Amnesty International si è occupata di loro, pubblicando un rapporto con le testimonianze delle vittime e un appello per il ministro degli Interni messicano, da sottoscrivere online. Li abbiamo incontrati nel centro d’aiuto per “Immigrati illegali e gravemente feriti” fondato da Olga Sanchez a Tapachula, in Chiapas. Questa signora fino a qualche anno fa si faceva trovare lungo i binari e lanciava bottiglie d’acqua al treno in corsa per dare da bere a queste persone già in viaggio da giorni, senza cibo né acqua. Oggi si dedica a loro a tempo pieno.


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Nicola “Okin” Frioli È nato a Rimini 32 anni fa. Dopo gli studi in arti visuali, si innamora del fotogiornalismo. Inizia così, a 21 anni, i suoi viaggi per il mondo in compagnia della fedele macchina fotografica. Oggi vive a Città del Messico e lavora come freelance e per l’agenzia Anzenberger di Vienna. Ha pubblicato fotoreportage su riviste italiane ed estere tra cui Internazionale, Vanity Fair, The Guardian, Time Magazine, Glamour, Financial Times. Il suo portfolio è sul sito okinreport.net.

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| fotoreportage urbano


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risate proibite | testo | osvaldo spadaro

costretti a recitare nel garage di casa, i “moustache brothers” dileggiano il regime birmano. ma solo per i turisti.

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a anni recitano in un garage, quello di casa. Ma a Mandalay li conoscono tutti lo stesso. Nella seconda città della Birmania basta fermare un guidatore di trishaw, fare il segno dei baffi con le mani e dire “moustache”. Sei straniero e dunque è abbastanza normale che alla otto di sera tu voglia andare lì: in quella casetta a tre piani sulla trentanovesima strada. Del resto se fossi birmano anche volendo non potresti andarci: da anni il governo ha proibito ai Moustache brothers di esibirsi davanti a qualsiasi pubblico locale. Pena l’arresto: per loro e per il pubblico. Così sono costretti ad allestire lo spettacolo solo per gli stranieri. “Perché è importante raccontare quello che succede in Birmania e che all’estero si sappia”, spiega Lu Maw, il più giovane della compagnia e anche l’unico che parla inglese. I Moustache brothers sono più di due fratelli: sono un intero clan familiare -mogli, cugini e nonno- che conduce una tenace battaglia per la libertà. Per trent’anni hanno calcato le scene del Paese, mischiando satira e teatro, portando avanti un’antica tradizione tramandata da padri e nonni. La loro forma di espressione in birmano si chiama a-nyeint pwe: un po’ di danza, un po’ di musica, molte battute lascive e un comportamento da eterni giullari fustigatori del potere. Ma il governo di Rangoon ha un sense of humor incredibilmente limitato anche per gli standard già bassi delle dittature internazionali. Così ora i Moustache sono confinati nel loro sottoscala attrezzato a teatro: un tappeto come palco e nove sedie per platea. Alle pareti, tra le tante immagini, tengono anche una ritratto del premio Nobel Aung San Suu Ky. In Birmania è proibito. Talmente proibito che da solo basterebbe per finire dritti ai lavori forzati, specialità del regime. Ma questo garage trasformato in palcoscenico per alcuni versi è un mondo a parte. Qua si può dire quello che altrove si può solo pensare. Per due ore al giorno, quando sulle sedie distribuite lungo

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la parete si siedono i turisti, in questa stanza c’è assoluta libertà di espressione e di satira. È praticamente l’unico luogo in tutto il Paese dov’è possibile. I Moustache -che campano grazie ai nove biglietti da 8 dollari staccati ogni sera e alle magliette autoprodotte che vendono agli spettatori- lo sanno e fanno di tutto per resistere, anche se gli uomini dei servizi segreti sono sulla porta e la loro è una libertà più che vigilata. La forza degli sketch colpisce chi li va a sentire. La miglior battuta è forse quella di un birmano che ha mal di denti e va in Thailandia a farsi curare. Il dentista, che in quella settimana ha già ricevuto una dozzina di clienti birmani, chiede: “Mi scusi, ma perché venite tutti qua? Da voi in Birmania non avete dentisti?”. E il paziente risponde: “Per averli li abbiamo: però in Birmania è proibito aprire la bocca”. A ben vedere una battuta abbastanza innocua, ma sufficiente per finire in carcere. E dietro le sbarre i Moustache sono stati più e più volte. L’ipercinetico Lu Maw, il più piccolo dei due che tiene banco con i turisti, solo per pochi giorni. “Mi avevano scambiato per mio fratello, neanche il loro lavoro sanno fare questi”. Par Par Lay, che è il mattatore del gruppo e il più famoso nel Paese, invece è un abbonato delle galere nazionali. L’ultima volta è finito dentro nell’autunno del 2007, durante la rivolta zafferano. Un mese e venne liberato: era accusato di aver sfilato accanto ai monaci. Non era andata così bene nel 1996. Quella volta Par Par partecipò a una manifestazione in supporto di Aung San Suu Kyi. Fece una battuta di troppo sullo stato in cui versava l’economia birmana e venne condannato a sette anni di lavori forzati, in catene. È stato liberato dopo cinque anni grazie alla pressione di alcune organizzazioni internazionali sul governo birmano. Anche i Moustache, dai loro venti metri di garage, cercano di tenere sotto pressione il governo. E lo fanno invitando gli stanieri a venire nel Paese, per non lasciare da sola la popolazione. “Turisti venite in Birmania. Venite, ma state attenti a non rubare. Al nostro governo non piace la concorrenza”.

Par Par Lay, leader del gruppo teatrale “Moustache brothers”. (Ed Cropley/Reuters)


un paese fondato sul lavoro (forzato) mettono bambini a costruire dighe e strade. in attesa di libere elezioni.

In un Paese in cui una battuta costa anni di carcere, l’opposizione birmana -costituita da partiti politici, sindacalisti e minoranze etniche- vive in perpetua clandestinità: braccata da servizi segreti e inseguita dalle scorrerie dell’esercito. È anche per questo che in Italia c’è chi li sostiene. Cecilia Brighi, sindacalista Cisl e esperta di diritto internazionale del lavoro, da anni si occupa della Birmania. “In questo Paese tutti i diritti fondamentali vengono infranti -spiega-. Migliaia di persone

sono sistematicamente messe ai lavori forzati per costuire strade, erigere dighe, scavare canali”. Il Governo è stato più volte sanzionato dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), ma continua con non curanza a reclutare anche donne e bambini. “Il lavoro forzato rappresenta la spina dorsale dell’economia birmana”, prosegue. “L’Oil ha anche promosso una risoluzione per interrompere i rapporti commerciali con le società birmane, ma i governi, soprattutto quelli asiatici, fanno finta di non vedere. Facciamo pressione sulle aziende italiane che intrattengono rapporti con il regime, ma molti non se ne curano, oppure aggirano il problema facendo passare le merci dalla compiacente Cina”. Per questo la Cisl

raccoglie fondi per la causa birmana: servono ad animare scioperi, sostenere la rete del sindacato clandestino e tanti sindacalisti in esilio in Thailandia. “Ma finanziamo anche scuole per i figli dei lavoratori birmani che lavorano da irregolari in Thailandia e ci siamo dati da fare per sostenere le vittime dello tsunami”, spiega Cecilia, che anima il sito birmaniademocratica.com; una fonte preziosa per sapere quel che accade nel Paese asiatico e seguire gli sviluppi delle elezioni del 7 novembre, le prime da 20 anni. Un appuntamento-farsa secondo gli osservatori, messo a punto dai militari che hanno annunciato anche la scarcerazione del premio Nobel Aung San Suu Kyi. Si sono tolti la mimetica e hanno indossato la giacca, ma nulla è cambiato. | 018 | novembre 10

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voci dentro: l’italia, vista dai suoi detenuti | a cura di | Ristretti Orizzonti

paziente o simulatore?

≈ Una finestra d’informazione che nasce in collaborazione con le redazioni di due carceri: Sosta Forzata (Piacenza), e Ristretti Orizzonti (Padova-Venezia). Per saperne di più, visitate il sito ristretti.it.

IL rapporto tra medico e malato diventa ancor più delicato se di mezzo ci sono le sbarre (e i pregiudizi) di un carcere.

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i sono voluti dieci anni per portare a termine la riforma della sanità penitenziaria. E solo dal 2008 detenuti e liberi cittadini godono di pari diritti per quanto riguarda la tutela della salute. A rendere lungo e complesso questo processo, è stato soprattutto il passaggio di competenze dal ministero della Giustizia al Sistema sanitario nazionale. Purtroppo però, ci sono ancora tanti problemi da risolvere. Diverse Regioni, per esempio, non hanno le competenze necessarie per operare in una realtà delicata come il carcere: servono con urgenza formazione adeguata e strumenti di controllo efficaci. Chi si trova dietro le sbarre, inoltre, deve avere la possibilità di agire concretamente per non restare in balia di un sistema dove, spesso, la prima preoccupazione medica è che il detenuto simuli un malore. Il rapporto medico-detenuto deve cambiare radicalmente e la persona reclusa deve essere considerata un paziente a tutti gli effetti. “Chi controlla l’operato dei medici, quando ci accusano di simulare e ci fanno aspettare mesi per un esame o una visita specialistica? -chiede Maurizio Bertani, recluso nel carcere di Padova-. Noi non abbiamo un referente a cui rivolgerci”. Per questo motivo, sarebbe importante avere la possibilità di presentare reclamo a un Garante che, a sua volta, possa inoltrare richieste di chiarimenti e sollecitare le autorità competenti: l’azienda sanitaria, la direzione dell’istituto, il magistrato di sorveglianza. Oggi, purtroppo, questo non accade. “Il detenuto ammalato non sa con chi parlare quando non gli vengono assicurate le cure di cui necessita –prosegue Maurizio- e resta spesso schiacciato da un sistema che non gli crede e non gli dà ascolto”. Come è successo, racconta “a un uomo che lamentava dolori alla testa insopportabili, e che era stato etichettato come simulatore. Alla fine hanno dovuto ricoverarlo in ospedale e gli è stato diagnosticato un tumore al cervello”. In questa situazione, i detenuti malati potrebbero trovare un inatteso alleato nella direzione del carcere. Con la riforma della sanità penitenziaria, infatti, i medici non sono più alle dipendenze del ministero della Giustizia “ed è l’Azienda sanitaria locale a dover tutelare la salute dei detenuti -spiega Maurizio-. Ma la responsabilità della vita dell’individuo recluso ricade anche sulla direzione del carcere in cui si trova”. Per questo motivo “se riscontra poca attenzione, ritardi e incuria da parte dei medici -conclude-, dovrebbe essere la direzione stessa a sporgere denuncia”.

| Usciti per voi

Magliette e accessori sotto la Lanterna I tessuti in cotone bio provenienti dal circuito del fair trade, la poesia di un cantautore indimenticabile come Fabrizio De André e la tenace creatività dei detenuti della sezione alta sicurezza del carcere di Genova-Marassi. Così nasce “O’ press”, una linea di abbigliamento e accessori 100 per cento etica, in vendita presso la Bottega solidale di Genova o sul web (bottegasolidale.it).

| parole oltre il muro | a cura di | sosta forzata L’inizio: una parola scritta alla lavagna. Poi 15 minuti. Il tempo per raccogliere i pensieri e provare a raccontarli.

perquisizione (per-qui-si-zió-ne), s.f. Dal latino, “cercare con cura”, “fino in fondo”. In carcere può essere personale o della cella. Viene fatta di ritorno da ogni colloquio coi familiari e nei momenti stabiliti dalla custodia. 1 Il significato della parola è chiaro a tutti. Quello che risulta poco chiaro qui in carcere è la ratio che giustifica la perquisa. Tante volte viene fatta ripetutamente, a distanza di pochi giorni, nelle stesse celle, magari occupate da detenuti che non hanno mai dato adito a sospetti. A volte si risolve con un’occhiata fugace negli armadietti, a volte sembra che passi l’uragano Katrina. Poche volte dà risultati positivi (ritrovamento di oggetti non consentiti). Il gioco, a mio avviso, non vale la candela. Alla fine, comunque, è una grande rottura visto che viene effettuata sempre alla mattina molto presto. Stefano, 43 anni, Italia | 018 | novembre 10

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viaggiatori viaggianti: sarajevo

in tour dopo l’assedio | testo | carlo giorgi

a 15 anni dalla guerra, la capitale bosniaca non si vergogna delle sue cicatrici.

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i rendo conto di quanto sia bella la sera, al ristorante. Il “Parco dei Principi”, dove ceniamo, è incastonato sul fianco della montagna e da qui la puoi vedere tutta, Sarajevo. Un firmamento di luci elettriche, una corona di montagne intorno. Ma allora, dicono le guide, il colore del cielo era il rosso. Come il fuoco degli incendi scatenati dalle bombe dei militari serbi. E neanche una lampada accesa, per un misto terrorizzato di miseria e prudenza.

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È passato troppo poco tempo. Solo 15 anni. Dal 1992 al 1995 Sarajevo è presa d’assedio dall’esercito serbo. La Bosnia proclama la sua indipendenza e, il giorno dopo, iniziano a sparare i cannoni su una popolazione inerme. Alla fine in città si contano 11mila morti, di cui 2mila bambini. Cosa significa essere assediati, non avere da mangiare, scappare dai colpi dei cecchini, sentirsi in balia di uno più forte? E cosa invece assediare, sparare sapendo che potresti colpire gente come te? La nostra guida si chiama Nedim, ha 33 anni e non ancora un capello bianco. È vestito come esige il popolo delle vacanze, in una raffinata capitale europea: pantaloni di lino, sandali, camicia colorata e una piccola borsa a tracolla. La sua divisa, oggi, è leggera e spensierata. Ma, quando nel ’92 l’esercito serbo cinge d’assedio Sarajevo, ci racconta, lui musulmano bosniaco è in città e ha solo 15 anni. L’anno successivo, ottenuto il permesso dai genitori, si arruola nell’esercito di resistenza e la divisa che mette è quella mimetica del soldato. Per tre anni combatte di palazzo in palazzo, nelle trincee sotto le linee cetniche. Tra i boschi minati delle aspre montagne bosniache, che solo


come arrivare Vi suggeriamo di organizzare il viaggio con la vostra automobile, avendo la premura di lasciarla sempre in parcheggi custoditi. In circa 20 ore, da Milano, siete a destinazione. Un “viaggio nel viaggio” che permette, attraversando Slovenia, Croazia e Bosnia, di cogliere le differenze tra questi stati e la difficile convivenza. Oltrepassata la frontiere croata di Slavinskj Brod rimarrete stupiti di leggere, dopo il cartello di benvenuto in Bosnia, il cartello di benvenuto (anche in cirillico) nella Repubblica Srbska. E toccherete con mano come questo Paese (dove la guerra ha fatto quasi 100mila morti) sia tappezzato di ostili enclavi a maggioranza serba. In quante generazioni riusciranno a perdonarsi a vicenda?

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nel 1984 avevano ospitato le Olimpiadi invernali. Poi grazie a Dio finisce tutto; arriva la fragile pace di Dayton, Usa, con le strette di mano tra Clinton e Milosevic. E Nedim si reinventa la vita: mette in piedi un’agenzia turistica, perché Sarajevo, l’Istanbul continentale, crocevia tra Oriente e Occidente, finalmente restaurata torna a risplendere in tutta la sua bellezza di capitale di confine. All’ufficio turistico di Sarajevo, Nedim lo chiamano per il cosiddetto “Times of misfortune tour”, il tour della disgrazia: un itinerario di tre ore che consente di tornare al tempo della città sventrata dai bombardamenti. Per toccare con mano i luoghi della guerra, capire dove fossero asserragliati i cecchini e da dove piovessero le granate. Il giro inizia a Est della città vecchia, al Latinska c´uprija, il ponte latino: è qui che nel 1914 venne assassinato l’erede al trono austroungarico, il principe Francesco Ferdinando. Il suo attentato fu uno dei più tragici della storia perché accese la miccia della prima guerra mondiale. Un affare da 16 milioni di morti. Proprio davanti al ponte, si erge la Vijecnica, l’aristocratico edificio della Biblioteca nazionale, orgoglio culturale della città: prima dell’assedio vi erano

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conservati oltre un milione di volumi. Ed è proprio per colpire al cuore l’identità di Sarajevo che, nell’agosto del ’92, nelle prime fasi della guerra, i serbi decidono di bombardarlo. Ancora oggi la biblioteca attende un restauro e la fuliggine intorno alle finestre ricorda l’incendio di allora. Saliamo sul furgoncino di Nedim, diretti a Nord, il quartiere olimpico: si percorre via Mustafà Baseskija, di fianco alla medievale piazza Bascarsija, l’antico mercato cittadino con al centro la fontana Sebilj, il simbolo più riconoscibile di Sarajevo. Nell’arco di poche centinaia di metri qui svettano il minareto della cinquecentesca moschea ottomana di Gazi Husrev-beg, le cupole della madrassa musulmana Kuršumlija, ma anche il campanile della cattedrale serba ortodossa, quello della cattedrale cattolica e due sinagoghe. Ricchezza spirituale che ha permesso una convivenza tra credenti diversi, durata secoli; e che ha fatto guadagnare a Sarajevo l’epiteto di “Gerusalemme dei Balcani”. Per arrivare allo stadio passiamo davanti al mercato pubblico Markale, la gente è stipata tra i banchi per acquistare frutta e verdura. Nell’inverno del ’94 una granata serba lo centrò in pieno: 68 morti e 144 feriti, mai così tanti in un

A sinistra, viale Mese Selimovica, ribattezzato durante la guerra “sniper alley”, viale dei cecchini. (Daniele Dainelli/Contrasto) In alto, la fontana Sebilj, simbolo della città, e sullo sfondo la moschea. (Raphael Schön)

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un weekend a sarajevo Questa città, come tutta la Bosnia, ha il vantaggio di avere ancora prezzi competitivi per le nostre tasche. Si trovano “lussuosi” hotel a tre stelle a poco più di 40 euro. Se cercate una soluzione economica, c’è la Pansion Sebilj (Bravadžiluk, tel. 033 - 573.500, info@pansionsebili. ba): 40 euro per una matrimoniale e parcheggio (fondamentale se partite con l’auto) a 10 euro. La pensione, semplice ma dignitosa, è accanto alla Biblioteca nazionale, in pieno centro.

Per tirare il fiato tra una visita e l’altra, vi consigliamo di trascorrere qualche ora alla libreria Connectum, in Cˇurˇciluk Veliki 27, a un passo dalla moschea Gazi Hursev, nel centro storico. È ricchissima di libri fotografici, guide turistiche, romanzi e testi sul conflitto, anche in inglese. Ma ha una dote in più. Si tratta di un bar-libreria. Ordinate qualcosa da bere e, ai tavolini all’aperto, sfogliate i libri che una gentile commessa con il velo vi suggerirà.

colpo solo. Ho un vago ricordo dei banchi insanguinati, nelle immagini di un tg della sera, quando successe. Il pullmino si inerpica su un’altura vicino al centro sportivo Olimpico Zetra e allo stadio Kosevo, trasformati durante l’assedio in rifugio per le organizzazioni umanitarie. Da qui si vede tutta la città e il perimetro delle montagne su cui erano appostati i cannoni serbi. Ti colpisce il fatto che spesso, tra le case, non ci sia un prato vuoto: nei ritagli, filari di lapidi bianche; Sarajevo è la città dei cimiteri. “I morti erano così tanti che li seppellivamo anche nelle aiuole e nei campi da calcio –racconta Nedim-. All’inizio i funerali avvenivano di giorno. Quando i serbi hanno iniziato

Il giro della memoria Il “Time of misfortune tour”, ovvero il giro delle disgrazie, lo propone un’agenzia turistica che si chiama semplicemente Sarajevo Tour e che ha pensato di inserire anche un itinerario di turismo “responsabile”, all’interno di un ventaglio di occasioni fatto di visite artistiche ad altre città della Bosnia, rafting tra le onde delle profondissime gole del Neretva o camminate sulle verdi montagne dello Skakavac. O anche una visita al santuario di Medjugorje, in Erzegovina, dove da trent’anni secondo alcuni veggenti e molti fedeli, appare la Madonna. Perché seguire un tour della disgrazia, allora? Perché, come recita il sito dell’agenzia a nome di tutti gli abitanti di Sarajevo, è fondamentale “scoprire la verità sul più grande assedio del XXI secolo, nel cuore d’Europa. Com’è iniziato e finito. A cosa ha portato e quali sono le nostre speranze oggi”. Per informazioni, sarajevotour.com. 26

Il libro

varie

dormire

Il Museo del tunnel, vicino all’aereoporto.

compagni di viaggio

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| viaggiatori viaggianti

Margaret mazzantini

Venuto al mondo Mondadori 531 pagine ± 20,00 euro

Prima di tuffarvi nella Sarajevo moderna, per vederla attraverso lo spettro di quello che fu durante la guerra, è utile leggere pagine come quelle scritte da Margaret Mazzantini nel suo ultimo libro “Venuto al mondo”, premio Campiello 2009. Una storia d’amore consumata in una città sotto assedio. Una vita venuta al mondo nonostante tutto il male. Una donna che si ostina a ricordare e a ritornare...

a bersagliare i cortei funebri, abbiamo iniziato a seppellire di notte”. Scendiamo: si passa davanti al palazzo presidenziale (dove l’anziano Alija Izetbegovi´ c trascorse tutto l’assedio) e al parlamento. Percorriamo tutta la cosiddetta “sniper alley”, il boulevard dei cecchini: una lunga e spaziosa linea retta che unisce la città antica, ad Est, con la Sarajevo moderna e l’aeroporto, ad Ovest. È una via essenziale per i movimenti e la comunicazione; un’aorta d’asfalto che indirizza il sangue della città dal cuore alla periferia. I serbi avevano conquistato Grbavica, un quartiere affacciato proprio sulla sniper alley. E i cecchini appostati sull’altro lato, avevano buon gioco a fare strage di donne con le sporte, pensionati, bambini. Una tombola sadica per cui la vittima veniva scelta con il solo scopo del terrore. “Mi ricordo di un casco blu, forse italiano, centrato in piena fronte da un cecchino –racconta Nedim-. Stava andando a soccorrere un ferito”. I severi palazzi di stile socialista della via sono ancora laceri di colpi, enormi lenzuoli trivellati. Il giro termina con la visita del Museo del tunnel, appena oltre l’aeroporto internazionale di Sarajevo, ai margini della città. Durante l’assedio l’aeroporto era controllato dall’Unprofor, il contingente di truppe Onu che si dimostrò incapace di proteggere gli assediati. In città c’era bisogno di tutto: medicine, vestiti, combustibile, armi. Nel corso dei mesi, in segreto, la gente di Sarajevo costruì un tunnel che spuntava al di là della pista di atterraggio, nella cantina di un’abitazione di una famiglia bosniaca consenziente. Largo poco più di un metro, alto meno di due, lungo 760. Scavato con pale e picconi. Progettato da ingegneri privi di computer, con calcoli fatti a penna. Oggi ne sopravvivono solo pochi metri. Il tunnel è stato interrato per motivi di sicurezza aeroportuale. È la città che guarda avanti. E apre le sue braccia, cercando con tutte le forze la normalità dopo la tragedia, a greggi di giapponesi dagli ombrellini colorati. L’invasione, mai così tanto benedetta, del popolo consumista dei turisti occidentali.


viaggiare leggeri | calendario di partenze solidali

Ciclisti. (Eisenbahner)

Viaggiare nel rispetto dell’ambiente e delle persone: è la filosofia dei viaggi di turismo responsabile. Queste le mete che abbiamo scelto per voi.

± Italia per le scuole

Tutto l’anno Si organizzano viaggi di istruzione, campi scuola e escursioni giornaliere con tematiche “verdi”, storiche o culturali. In programma anche visite nel parco nazionale del Gran Paradiso (To) e nel parco Marturanum (Vt). info Four Seasons tel 06 - 278.009.84 » fsnc.it

± Senegal

26 dicembre – 6 gennaio 2011 Questo Paese si può visitare in tanti modi. Planet viaggi vi propone di partecipare al “Festival Mondial des Arts Nègres”, appuntamento annuale di musica tradizionale e moderna, danza e arti visive. Costo: 1.130 euro (volo escluso). info Planet viaggi tel 045 - 800.51.67 » planetviaggi.it

± Sri Lanka

24 dicembre – 11 gennaio 2011 Il tour prevede l’incontro con i raccoglitori Tamil delle piantagioni di té, la visita ai siti archeologici buddisti e al centro indù di Kataragama. Spostamenti in treno e autobus pubblici. Costo: 2.600 euro (voli inclusi). info Ram viaggi tel 338 - 160.69.10 » ramviaggi.it

± Namibia

26 dicembre - 10 gennaio 2011 Per chi ama la natura incontaminata e gli animali. Si dorme nei villaggi, si incontrano le cooperative locali e si fa tappa al Chetaah conservation, centro che si occupa della salvaguardia dei ghepardi. Costo: 2.350 euro (volo escluso) info Viaggi solidali tel 011 - 43.79.468 » viaggisolidali.it Sri Lanka, la fortezza del Leone. (Jim Crossley)

| a cura di | marco menichetti | legambiente

città amiche dei pedali

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a dove vai bellezza in bicicletta?”, cantava Mina. Oggi a Reggio Emilia e Lodi la ragazza potrebbe rispondere “ovunque, ci sono tante piste ciclabili”. Le due città infatti sono in testa alla classifica dei centri urbani amici dei pedali, stilata da Legambiente nella ricerca “a-bici”. A Reggio Emilia ogni abitante ha a disposizione oltre 34 metri fra piste ciclabili, isole pedonali e strade a traffico limitato. A Lodi sono 31. Seguono Modena (28), Mantova (27) e Vercelli (24). Il capoluogo in cui la bicicletta viene usata di più è, però, Bolzano: i suoi cittadini fanno pedalando uno spostamento su tre. Tutte città del Nord Italia; del Sud troviamo solo Lecce fra le prime trenta: si è classificata al 16o posto. Milano ha sviluppato il bike sharing più gettonato nel nostro Paese, con 12mila abbonati all’anno e picchi di utilizzo che superano i 4mila prelievi giornalieri. È un esperimento che sta funzionando bene, ma rimane molto indietro rispetto al bike sharing di città come Parigi, Barcellona o Londra. Un solo confronto: nella capitale francese c’è una bici affittabile ogni cento abitanti, a Milano una ogni mille. Nonostante alcune indicazioni positive e delle esperienze particolarmente riuscite, nel nostro Paese l’attenzione verso la bicicletta rimane molto bassa: dal 2000 a oggi l’estensione delle piste ciclabili è quasi triplicata, ma nello stesso periodo la percentuale di spostamenti urbani in bicicletta, circa il 3,8 per cento, è rimasta invariata. Ogni anno gli italiani effettuano 5 milioni di viaggi in auto per accompagnare i figli a scuola, nonostante l’86 per cento delle famiglie impiegherebbe a piedi meno di un quarto d’ora. Basterebbe poco per cambiare abitudini: in Gran Bretagna il programma “Bike it” ha fatto salire il numero degli “studenti-ciclisti” dall’1 al 27 per cento in un anno. In Italia il ministero dell’Ambiente ha stanziato quest’anno 14 milioni di euro che i Comuni e gli Enti Parco potranno utilizzare per avviare o potenziare il bike sharing. Meglio di niente, ma si dovrebbe investire di più, soprattutto per la sicurezza dei ciclisti e per incentivare gli italiani a lasciare l’auto nel box. | 018 | novembre 10

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alternative possibili

speleologi urbani | testo | laura bellomi

volete scoprire i segreti sotterranei della vostra città? unitevi a loro.

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a domenica mattina, quando la città ancora sonnecchia, indossano stivali e caschetto e s’infilano nei pertugi del terreno. Esplorano cisterne e rifugi antiaereo e se qualcuno lancia l’idea di seguire le acque sotterranee del fiume Olona che dalla Darsena corrono verso il Lambro, nessuno si tira indietro. Loro, i volontari dell’Associazione speleologia cavità artificiali Milano (www.associazionescam.it), conoscono il sottosuolo come le proprie tasche. E se vedono una collinetta sormontata da un’apertura “sospetta”, prendono la pala e cominciano a scavare. Come è successo a Villa Finzi, nel capoluogo lombardo, dove hanno riportato alla luce un tempietto di gusto neoclassico con capitelli corinzi. Armati di pila frontale e mascherina antipolvere, con rilievi topografici e documentazione alla mano gli speleologi partono in esplorazione. Perché il sottosuolo, ne sono certi, ha sempre qualche sorpresa in serbo. “Da Tarquinia alla Brescia romana -spiega Gianluca Padova, presidente di Scam -: fra gli ambienti che abbiamo esplorato ci sono il Forte di Fuentes a Lecco, la fortezza di Verrua a Torino, poi Lodi, Trezzo sull’Adda, Manerba nel bresciano, Finale Ligure, la Valassina e le grotte della Val Meria, nel lecchese”. Tutto è cominciato con il Castello Sforzesco di Milano. “Giravano leggende su stanze misteriose, non abbiamo resistito al richiamo dei cunicoli e già nel 1985 abbiamo scoperto la Galleria dell’Acqua marcia, la fonte che serve i laghetti del Parco Sempione”, racconta. Ogni volta che si entra in una cavità, dicono gli speleologi urbani, si percepisce un’atmosfera particolare, come se il genius loci, l’anima del posto, sprigionasse ricordi e umori di chi in passato ha vissuto le cavità. “Nelle miniere senti tutta la fatica di uomini sfruttati che lavoravano a basso costo -condivide Padovan- e a quasi un secolo di distanza dalla Prima guerra mondiale, nelle trincee avverti ancora forte la violenza del sangue versato”. E se per partecipare alle spedizioni negli ambienti più ostici occorre essere speleologi e aver avuto il via libera del direttivo Scam, l’associazione organizza anche giornate aperte a tutti, per visitare le cavità e contribuire a rendere agibili gli spazi sotterranei dimenticati e riempitisi con il tempo di detriti e sporcizia. Ogni anno Scam partecipa anche a “Puliamo il mondo”, le giornate lanciate da Legambiente (di cui Scam è diventata un circolo) per liberare città e ambienti naturali dal degrado: “Promuoviamo la versione sotterranea dell’evento, Puliamo il buio -racconta ancora Padovan-. A fine settembre ad esempio, siamo intervenuti nel rifugio antibombe della scuola di via


Gli esploratori del sottosuolo in azione a Milano: nel canale Olona (a sinistra) e nel cunicolo delle Conchiglie, sotto il Castello Sforzesco. (Associazione Scam)

Bodio a Milano, uno scantinato che si estende per tutta la superficie dell’edificio e che durante i coprifuoco poteva ospitare fino a quattrocento persone. Con tanti volontari abbiamo lavorato perché i ragazzi della scuola potessero visitare il rifugio e vedere da vicino dove studenti e civili cercavano riparo durante gli allarmi bomba”. Un’esplorazione dopo l’altra, Scam sta portando alla luce un patrimonio sotterraneo di enorme valore culturale. Come del resto le altre associazioni di speleologi che fanno parte della Federazione nazionale cavità artificiali (www.archeologiadelsottosuolo.it/com). “Per noi studiare le cavità non è un passatempo fine a se stesso, ma un modo per approfondire la storia -chiarisce Maria Antonietta Breda, socia Scam e docente del Politecnico di Milano-. L’osservazione diretta dei manufatti dà la possibilità di cogliere, fra gli altri, aspetti architettonici che tanto dicono su un popolo e la sua cultura. La nostra idea è che, una volta recuperate, le cavità possano essere riconvertite per usi nuovi. E non parlo solo di musei. Senza snaturare l’identità dei luoghi è possibile trasformare sotterranei inutilizzati in spazi pubblici”. Mai pensato a un bunker che diventa un cinema? | critical fashion | a cura di | Michela Gelati

collezioni open source I

l futuro della moda indipendente si chiama EDUfashion, ed è il primo progetto di open source applicato al mondo della moda. Nato nel 2009 grazie ai fondi dell’Unione europea e alla collaborazione con Poper, studio di comunicazione sociale di Lubiana, l’azienda londinese Ethical Economy, le università Statali di Milano e Lubiana e la Business School di Copenhagen, EDUfashion si ispira alla community USA etsy.com, che permette ai piccoli produttori di allestire una “vetrina” dei propri capi online per farsi conoscere. Ma se i presupposti sono simili -“unire le forze” tra stilisti emergenti, piccoli distributori e laboratori- EDUfashion è molto di più: nel suo spazio virtuale (online da novembre su edufashion.org) produttori, creativi e studenti non solo venderanno le proprie

produzioni, ma potranno creare da zero i capi scaricando liberamente dal sito della community i cartamodelli, le “sagome base” per la realizzazione di un abito. “Il cartamodello è il software della moda, il codice che serve per disegnare un vestito”, spiega Zoe Romano, coordinatrice del progetto. “L’idea di EDUfashion è che il cartamodello possa essere considera-

to un codice aperto, come il software libero gestibile in modo collettivo”. Non basta: “Noi non vogliamo liberare solo i codici, ma la cosa più preziosa della moda: il logo”. Mentre infatti copiare i cartamodelli non è punito, il brand è davvero protetto, perché il suo valore va oltre il vestito. “Così noi di EDUfashion abbiamo creato Openwear, il pri-

mo brand collettivo nel mondo della moda, che può essere usato da tutti i membri della community sulle proprie creazioni”. Per capirci, il principio è lo stesso del Dop (la cosiddetta Denominazione d’origine protetta) nella filiera alimentare, dove diversi produttori, di grana padano ad esempio, usano lo stesso brand. Ma per poterlo fare, bisogna rispondere ad alcuni requisiti. Nel caso di Openwear, spiega Zoe, “le produzioni devono essere fatte a mano o in laboratori dove non ci sia sfruttamento del lavoro, in modo ecologicamente sostenibile e a prezzi accessibili”. Scopo finale, creare un ciclo virtuoso di collaborazione e sostegno reciproco tra i diversi attori della filiera. Per incoraggiare il fare comune e l’innovazione.

≈ Isola della moda è un laboratorio di autoproduzione,

nato a Milano nel 2004, per dare visibilità a giovani stilisti di moda critica (www.isoladellamoda.net).

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chi fa da sé, pulisce per tre | testo | Silvia cinzia Turrin

avere casa pulita, rispettare l’a mbiente, risparmiare denaro. una sfida alla portata di tutti.

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volte basta poco per avere una casa tirata a lucido. Con un po’ di aceto di mele diluito in acqua calda i pavimenti risplendono e sui rubinetti non c’è più ombra di calcare. Questo non è altro che uno dei tanti suggerimenti consultabili su biodetersivi.altervista.org, spazio virtuale concepito da un gruppo informale di 16 persone -donne, uomini, agricoltori biologici, fisioterapisti, insegnanti, ricercatori- convinti che si possa iniziare dai mestieri di casa per tutelare l’ambiente. Distanti migliaia di chilometri tra loro (c’è chi abita a Trieste e chi a Pantelleria), si conoscono grazie a un forum dedicato ai detersivi. Nel 2005 decidono di darsi il nome di “Mondo nuovo” e creano il sito per diffondere informazioni pratiche sull’uso di detersivi fai-da-te, realizzati grazie a facili ricette, basate sull’utilizzo di prodotti economici ed ecologici. Uno di questi è il bicarbonato, il cui costo non supera l’euro a confezione: diluito in acqua calda, è ottimo per igienizzare, sgrassare e togliere gli odori. O in alternativa l’acido citrico che si compra, nei negozi di agraria e biologici, in polvere e si scioglie sempre nell’acqua. La quantità indicativa è di 200 grammi (circa un euro) per litro d’acqua: da solo sostituisce

quattro prodotti per la casa come il disincrostante, l’anticalcare, il brillantante e l’ammorbidente. “Tutto è partito da un semplice scambio di idee e notizie -racconta Maria Teresa De Nardis, ex insegnante di scienza e chimica e tra i fondatori-. Poi ci siamo resi conto che le informazioni che stavamo raccogliendo potevano essere divulgate, per contribuire a sensibilizzare i cittadini sull’inquinamento ambientale provocato da molti detersivi. Abbiamo quindi pensato di costruire un sito per facilitare il passaparola”. Sulle pagine web di Mondo nuovo ciascuno pubblica quel che sa e vuole condividere con gli altri. “Giravano tante informazioni su internet, ma erano sparpagliate, disgregate le une dalle altre -sottolinea Maria Teresa-. Noi abbiamo portato avanti un’attività di ricerca, riassumendo in modo organico tutto questo sapere, dalle vecchie ricette della nonna ai risultati delle nostre sperimentazioni domestiche. Non ci riteniamo, però, integralisti né del biologico, né del fai-da-te. Cerchiamo di trovare una via di mezzo tra i prodotti ecologici e quelli convenzionali, considerando anche il criterio dell’economicità” Oggi i “detersivi bioallegri” possono sostituire tutti i prodotti presenti in commercio. “Li abbiamo chiamati così per sottolineare come le pulizie di casa possano diventare meno

pesanti e più fantasiose -spiega Pierluca Urbinati, esperto in bioedilizia e di consumo critico-, con un pizzico di ingegno e una buona dose di consapevolezza ecologica”. Non mancano poi consigli utili per chi non se la sente ancora di abbandonare i detersivi industriali. Il primo è di dimezzare le dosi consigliate dalle case produttrici. “Inoltre abbiamo appurato che utilizzando le palline dosatrici si migliora la qualità del lavaggio del bucato, riuscendo a ridurre del 20 per cento la quantità di detersivo”, prosegue Pierluca. Per chi non ha dimestichezza con internet, nessun problema: le ricette sono raccolte anche nella “Guida ai detersivi bioallegri” (Emi, 2009), i cui diritti d’autore sono devoluti al Centro pediatrico di Goderich in Sierra Leone, gestito dai medici volontari di Emergency.

PICCOLI GESTI SEMPLICI ED EFFICACI 1

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Elimina i prodotti superflui (spreco di detersivi = inquinamento = spreco economico).

Usa spruzzatori con acqua e aceto e/o con acqua e acido citrico e/o con acqua e bicarbonato

Utilizza i panni magici in microfibra; asciutti per spolverare, bagnati per pulire e sgrassare.

Utilizza acqua calda (potenzia qualunque tipo di lavaggio e detersivo).

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| alternative possibili

5 Lascia agire qualche minuto i detergenti e i disinfettanti prima di rimuoverli.

6 Usa sempre i guanti.


| buone pratiche per vivere meglio | a cura di | andrea legni

l’importante è partecipare V

entiquattro anni trascorsi di casa in casa, portando compagnia e assistenza ai malati terminali. Prima di aprire, nel 2006, una struttura con venti posti letto, dove ospitare quei malati che in casa non possono stare, perché soli o bisognosi di cure costanti. È la storia di Vidas, associazione nata dal basso che oggi, grazie a finanziamenti pubblici e privati, assiste gratuitamente 1.500 persone l’anno a Milano e provincia, con una rete di 70 dipendenti e oltre 90 volontari. Senza dimenticare alcune battaglie culturali: innanzitutto contro l’accanimento terapeutico e per il testamento biologico. “Da 28 anni abitiamo le terre di mezzo dei sofferenti, che troppo spesso non hanno voce, e con piccoli gesti quotidiani cerchiamo di incidere sulla vita di tanti”, partecipando al loro dolore. È semplice per la volontaria Teresa Mazzocchi spiegare che cosa hanno in comune Vidas e la fiera “Fa’ la cosa giusta!”. Per questo, alla prossima edizione della fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili (a Milano dal 25 al 27 marzo 2011), nell’area “pace e

partecipazione”, ci sarà anche uno stand di Vidas. Tra le altre realtà che saranno presenti (70 nella passata edizione), alcune hanno deciso di rispondere anche ai bisogni di chi vive a migliaia di chilometri. È il caso della Caritas ambrosiana, che quest’anno ha coinvolto quasi 3mila spettatori all’interno del suo stand interattivo sull’emergenza umanitaria in Afghanistan e nel 2011 cercherà di fare altrettanto per portare all’attenzione di tutti la condizione degli “slum”, le baraccopoli che riempiono le periferie delle metropoli del Sud del mondo, dove da anni la Caritas aiuta le popolazioni locali aprendo ambulatori e scuole. Ma in questa sezione trovano posto anche esperienze come la Cascina Cuccagna, la più centrale delle storiche cascine di Milano, in via di recupero grazie a uno straordinario progetto di partecipazione che ha coinvolto enti privati e cittadini. Una storia esemplare, da raccontare ai bambini. Come ha fatto Emanuela Bussolati nel nuovo libro-gioco illustrato “Il grande sogno della Cascina Cuccagna” (Terre di mezzo Editore).

3 domande a Sergio Bonriposi Consorzio Cascina Cuccagna.

Come è nata l’idea di ristrutturare Cascina Cuccagna e a che punto sono i lavori? Tutto è partito dal desiderio di socialità degli abitanti della zona, dalle 4mila firme raccolte e dall’aiuto di alcune associazioni. Perché la ristrutturazione sia ultimata mancano un paio di mesi e un milione di euro sui 3,5 totali: l’ultimo sforzo. Nel frattempo avete fondato il Comitato cascine milanesi, con quali obiettivi? Rivalutare tutte le 59 cascine di proprietà comunale in vista dell’Expo 2015, restituendole alla cittadinanza. Che ruolo gioca il rapporto con le istituzioni? L’importante è avere il coraggio di buttarsi, fare il progetto da soli senza aspettarsi troppi aiuti. Perché il Comune, al massimo, mette il timbro su un progetto già fatto.

| mondopen | a cura di | tommaso ravaglioli | openlabs

insoddisfatti e rimborsati N

ove volte su dieci, chi compra un computer trova installato Microsoft Windows come sistema operativo, con a corredo una versione prova di Microsoft Office. Noi siamo abituati a pensare questo software come un “regalo”, ma in realtà viene pagato all’azienda da chi il pc lo produce e il costo viene ricaricato al cliente sul prezzo di acquisto finale. Vi sembrerà strano, ma anni fa non era così e, su richiesta dell’acquirente, i computer venivano forniti con sistemi operativi diversi. Oggi invece il software è “imposto” dai produttori di pc, la maggioranza dei quali preferisce Microsoft. Da tempo, però, esiste la possibilità di farsi rimborsare il costo della licenza di Windows.

In Italia la paladina di questo tipo di azione è l’Aduc, associazione per i diritti degli utenti e consumatori. Sul loro sito (avvertenze.aduc.it) si può leggere la procedura completa e scaricare il modulo per la richiesta del rimborso. Il percorso è in salita (nella prima causa vinta dall’associazione, contro il produttore Hp, ci sono voluti due anni per la sentenza d’appello) ma almeno ci si può togliere la soddisfazione di ricevere indietro moneta sonante (dai 30 ai 90 euro circa). C’è anche un’altra strategia per risparmiare i soldi delle licenze: scegliere un computer con Linux. Può sembrare lapalissiano, ma questo approccio comporta dei vantaggi tanto evidenti

≈ Openlabs è un’associazione culturale fondata nel 2000. Organizza corsi, seminari e convegni per la diffusione del software libero. Info: openlabs.it.

quanto importanti. Prima di tutto non dovrete pagare per qualcosa che non desiderate; in secondo luogo, il vostro sistema operativo Linux sarà già stato configurato dalla casa produttrice e pronto all’uso al momento della prima accensione del computer, evitandovi possibili problemi di compatibilità. Ultimo, ma non meno importante, è il fatto di mandare ai produttori e ai rivenditori un chiaro messaggio su ciò che noi acquirenti vogliamo. Il mio invito, quindi, è quello di entrare nei negozi e chiedere apertamente quali sono i pc con Linux preinstallato. Avrete poca scelta, ma ce ne sono. E, se continueremo a chiederli, saranno sempre di più. | 018 | novembre 10

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scrittori nel cassetto | a cura di | scuola holden | www.scuolaholden.it

lei è già sulla tua onda | racconto | stephania giacobone | illustrazione | stefano marra

Un lp di Leonard Cohen, sottofondo ideale per un incontro inaspettato. Che travolge l’esistenza di Alberto.

M

i chiamo Alberto. Non amo gli imprevisti, tanto meno le sorprese. Non che io sia noioso o conservatore, ma pigro e individualista forse sì, una cattiva compagnia probabilmente. Per questo passo molto tempo con me stesso. E con la musica. La mia camera è ricoperta di dischi. Mi piacciono le copertine fantasiose degli album, detesto il candore delle pareti. Dalle copertine, oltre a estrarre cd in ogni momento per ascoltarli, estraggo anche ispirazione per scrivere racconti. È un lavoro sedentario, ma libero, che mi piacerebbe poter fare per tutta la vita. Sperando che la penna non chieda mai il divorzio dalla mia mano. Una domenica mattina Brassens, in camera mia, cantava la sua gioia di stare vicino a un albero. La sua melodia mi metteva una serenità difficilmente raggiungibile da un tipo inquieto come me. Ero contento, sem-

plicemente, per lui che trovava la pace vicino a una pianta che lo proteggeva. La felicità è contagiosa. Soprattutto in musica. “Georges, potrei fare un tiro dalla tua pipa?”, gli chiesi. Con i cantautori e con i personaggi delle canzoni ci parlo, è grave? Non lo so. A me sembrano solo meno sgarbati di tanta gente che c’è fuori. Vero Leonard? Nessuna risposta. Vero Leonard? Ancora niente. Leonard è sparito e con lui il suo album. Come se avessero preso il volo proprio il giorno in cui avevo una voglia incontrollata di ascoltarlo. Quel disco era proprio tutto ciò che in quell’istante chiedevo alla mia vita chiusa in quattro mura di domenica mattina. C’era solo una soluzione: portare corpo e mente da Dario. Nel suo negozio, “Disco vecchio fa buon brodo”, avrei sicuramente trovato ciò che faceva al caso mio. | 018 | novembre 10

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Stephania Giacobone È nata 23 anni fa in mezzo ai monti che le riempiono ancora gli occhi di sfumature. Porta nel cuore le parole di tanti racconti e la melodia di canzoni indomabili. Quest’anima color foglia ha imparato fra i valichi e sulle vette a essere narratrice battagliera e incorreggibile vagabonda dei pensieri.

Stefano Marra Anno 1987, fermata Eboli (Salerno). Dopo il liceo artistico e la Scuola di design, ora lavora come grafico e illustratore a “nju: comunicazione”, lo studio dove ha iniziato a muovere i primi passi. È appassionato di fotografia e di cucina, ma tutto ciò che stimola la sua curiosità finisce per attrarlo.

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Entrando vidi Dario che frugava in uno scatolone, dietro il banco. Non si era accorto subito della mia presenza. Nell’aria andava una canzone di acid jazz. Per non perdere tempo, gli urlai: “Song of Leonard Cohen, dove sta?”. Dario abbassò la musica e mi indicò una ragazza appostata tra gli espositori di Lp usati. “Questo giro ti va male. Me l’ha appena chiesto lei, è l’ultimo. Vi faccio un prezzo speciale e che vinca il migliore nella conquista di Leonard Cohen!”, mi rispose. “Lei”. E chi sarebbe lei? La guardo. È finemente bella e naturale. Tiene in mano, come se l’abbracciasse, il “mio” album. Lo guardo. È in perfette condizioni. Voglio che sia mio. “Ciao, scusa, avevo proprio bisogno di questo album. Poi qui sono di casa, il negozio è del mio amico, insomma, me lo puoi cedere? Gliene arrivano di usati la prossima settimana”. “Bisogno di quell’album? Lo devi mangiare a cena? Se non lo prendi oggi ti trasformi in un mostro strano? Caro mio, sono arrivata prima io”. Testarda la ragazza e oltre tutto brutalmente dalla parte della ragione. Bene, pensai che tutto sommato ne avevo bisogno solo quella sera per scrivere il racconto e poi avrei potuto restituirglielo. Mi venne in mente una proposta. I casi erano due: o mi prendeva per un cascamorto, con conseguente invito a | scrittori nel cassetto

sparire, o capiva che l’ascolto immediato di Cohen era per me di vitale importanza e che volevo essere gentile e condividerlo, per poi regalarglielo. Insomma, le chiesi di venire a sentirlo da me. La ragazza si chiamava Suzanne. Lascio alla vostra immaginazione ciò che successe a casa mia tra me e Suzanne mentre Leonard ci cantava sopra, coprendoci di risate e schiocchi di baci. La mattina dopo, Suzanne non c’era più. E con lei se ne era andata anche la musica di Leonard. Aveva dimenticato un quaderno di poesie datate 1954 - 55 sul quale trovai un numero di telefono. Mi rispose un’anziana signora, stupefatta dalla mia richiesta: sua sorella Suzanne non poteva parlare, era morta annegata trent’anni prima, nel 1962. Non chiedetemi perché, ma ho sempre pensato che la domenica, verso tardo pomeriggio, sia un momento perfetto per fare incontri che cambiano la vita: un assassino, un santo, un amico, la donna della tua vita. Qualcuno che ti rovina per sempre o che ti cosparge di brillanti emozioni da quel momento fino al risveglio dal sogno. * Dal testo della canzone “Suzanne” scritta da Leonard Cohen nel 1967 nell’album “Song of Leonard Cohen” e riproposta, tradotta, da Fabrizio De André nel 1974.


i ferri del mestiere

codici e norme della punteggiatura | testo | Alessandra Minervini

lei è già sulla tua onda

L’autrice ha avuto la premura di restare il più possibile fedele al tema dato. Questo è un merito che le va riconosciuto. Scrivere su commissione, con un tema ben definito, è la cosa più difficile. Per questo chi rispetta i paletti, è già bravo. Nel racconto convincono l’ambientazione e la struttura narrativa: l’inizio con presentazione del personaggio, poi l’incontro con la ragazza e la fine, una notte d’amore che forse è solo un sogno. Funziona meno il ritmo della storia. Mentre il tono è sdilinquito dalle divagazioni. Un consiglio: partire in media res, a fatti già compiuti, e da lì sciogliere la narrazione per renderla più “riflessiva” nel finale. l a parol a ai maestri

virgole di senso di Ernest Hemingway “Un posto pulito, ben illuminato” è un bistrot parigino dove gli anziani ringiovaniscono e i giovani invecchiano davanti al bancone. Il noto racconto di Ernest Hemingway è l’esempio di quello che deve essere la punteggiatura: una sintesi eloquente. Se nel racconto si sposta anche solo una virgola, la storia perde il senso. Nel caffè i due camerieri sapevano che il vecchio era un poco ubriaco; e sapevano pure che, anche se era un buon cliente, se si fosse ubriacato troppo se ne sarebbe andato senza pagare: per questo lo tenevano d’occhio. in “Ernest Hemingway”, Ed. speciale Cde, 1988 Hemingway abbozza la sfiducia dei camerieri nei confronti del vecchio cliente attraverso una perfetta simmetria interpuntiva. Il punto e virgola, non a caso, è la prima pausa: segnala un presagio che viene ripreso dall’inciso (anche se era un buon cliente) che palleggia con lo stato d’animo controverso dei camerieri. Possiamo fidarci di questo vecchio avventore? I due punti direbbero di no, riprendono gli occhi ingrugniti dei camerieri. Il punto conclusivo riapre i giochi: la storia comincia adesso. ≈ “Scrittori nel cassetto” è anche una

sezione del nostro nuovo sito, dove potete pubblicare i vostri commenti e trovare i temi dei prossimi racconti. Vi aspettiamo su terre.it!

P

er chi legge un racconto la punteggiatura ha la funzione dei segnali stradali. Indica una direzione, obbliga alla sosta, allerta della presenza di strade senza uscita. Fermare un pensiero con un punto non è la stessa cosa che lasciarlo fluire in mezzo a una circonvallazione di virgole. Dirigere le soste “demarcative” è un fatto di allenamento: bisogna leggere e rileggere il proprio racconto. Un trucco è farlo a voce alta. La punteggiatura è una questione di stabilità e di utilità narrativa: determina la chiarezza di un discorso, ma allo stesso tempo è una convenzione con regole talmente ferree che l’istinto di chi scrive è trasgredirle. Ci sono delle norme che è bene ricordare: 1. Il punto non ama interpretazioni: è un dittatore. Una volta che lo si mette non c’è virgola che tenga. 2. La virgola è la sovrana del divide et impera: si nota anche in sua assenza. 3. I due punti si trovano spesso prima di un elenco, sono una promessa fatta al lettore. 4. Il punto e virgola è una piazzola di sosta narrativa. Non bisogna eccedere nell’uso. 5. Chiudere una frase con i puntini di sospensione o con il punto esclamativo diminuisce la credibilità della storia. Il lettore riconosce l’esitazione di chi scrive e legge con meno interesse. Il movimento della punteggiatura fa parte dello stile di molti autori. Negli anni Ottanta lo scrittore emiliano Pier Vittorio Tondelli, un autore di rottura sia per le tematiche che per lo stile, scriveva anche mille battute senza mettere un punto. Perché se i punti sono il respiro di una storia, la sua storia non doveva respirare. L’utilizzo della virgola seriale così come l’uso frequente del punto hanno fatto scuola. Sono un modo per mostrare al lettore il volto delle parole. Purché non si esageri. A questo proposito può essere molto utile tenere a portata di mano il “Prontuario di punteggiatura” a cura di Bice Mortara Garavelli (Ed. Laterza 2007). Nell’introduzione, l’autrice cita una frase di Gadda che di fronte ad alcuni racconti di un concorso letterario, commentò: “Una vaga disseminazione di virgole e di punti e virgole, buttati a caso, qua e là, dove vanno vanno, come capperi nella salsa tartara”. ≈ Raccontare storie è un’arte che si può imparare. Lo dimostra la Scuola Holden di Torino, fondata da Alessandro Baricco nel 1994. Tra gli allievi anche Paolo Giordano, vincitore del Premio Strega 2008.

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forchette e bacchette Il Sintesi, lo Smilzo e la Santa Pazienza i tre gestori dell’osteria.

Trattoria Alla Grande Se volete mangiare qui, non scegliete la domenica e il lunedì: la chiusura è tassativa. Dal martedì al sabato, invece, potete pranzare con menu fisso a 9 euro, mentre la sera, dalle 19,30 alle 22,30, si mangia alla carta. Prevedete di spendere 20/25 euro a persona. Prezzi speciali per tavolate e compleanni. via delle Forze Armate 405, Milano tel. 02 – 489.111.66. | testo E foto | Davide de luca

il sapore della convivialità C

ase basse, viuzze acciottolate e poche macchine in giro. A Baggio, quartiere alla periferia Ovest di Milano, l’atmosfera di paese regna sovrana. Ci si arriva percorrendo via delle Forze Armate, soprannominata “La baggina” dagli operai che una volta partivano dalla campagna per venire a lavorare in città. Qui, al civico 405, trovate uno di quei locali che meriterebbero di essere protetti dall’Unesco più che essere recensiti in una rubrica gastronomica. Parliamo del ristorante “Alla Grande”. “Osteria prego -corregge lo Smilzo, alias Roberto Citterio, titolare del locale-. Prezzi bassi, cucina casalinga, familiarità

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nei modi: noi curiamo il rapporto tra oste e cliente, ma anche tra avventore e avventore, perché in un’osteria che sia degna di questo nome corre un legame invisibile tra un tavolo e l’altro”. Roberto, oste impeccabile con un passato nel mondo del cabaret milanese al fianco del compianto Giorgio Porcaro e di un giovane Enzo Iacchetti, gestisce questa splendida osteria insieme al Sintesi, all’anagrafe Antonio, ex droghiere oggi dietro al banco. “Cerchiamo di resistere a questa città del cavolo, che dimentica le sue origini e il clima che una volta si respirava in tutti i locali”, dice lo Smilzo, che definisce il suo locale un “ultimo baluardo gastronomico e anarchico contro i fast food, i vegetariani, il caffè d’orzo e le diete”. Prendete le sue battute fulminanti, unitele alla flemma del Sintesi che, ormai sordo, cerca di capire le comande dei clienti leggendo il labiale, e metteteli in un locale piccolo e pieno di cose vecchie e curiose, tra cui locandine cinematografiche, juke box d’epoca e la griglia di un confessionale posizionata proprio vicino alla cassa. In un clima costantemente goliardico, non vi resta che sedervi in attesa dei piatti preparati dalla mano sicura di Elena, Santa Pazienza,

moglie dello Smilzo e grande interprete sempre fedele di un vero atto d’amore nei confronti della cucina milanese e lombarda. Cosa vi aspetta? Per cominciare viene servita a tutti una gustosa bruschetta al pomodoro, che potete far seguire da un bel tagliere di affettati misti (11 euro). Tra i primi (8 euro) ci sono gnocchi di patate al gorgonzola, ravioli al brasato e il classico risotto alla milanese. I secondi (13 euro con contorno compreso) prevedono uno strepitoso stinco di maiale con patate al forno, un’ottima cotoletta milanese con purè, il brasato al barolo con polenta, il rognoncino trifolato e, solo su ordinazione e per minimo dieci persone, la cassoeula con polenta, tutto accompagnato dal vino sfuso della casa. Se alla fine avete ancora posto, ci sono le deliziose torte casalinghe (4 euro), alle mele o alle pesche e cioccolato. Al momento del conto, è ancora lo Smilzo a prendere la parola: “I nostri prezzi? Per qualità e quantità, sono davvero bassi per Milano. E questo è l’unico modo per lavorare tanto e soddisfare la gente”. Alla fine, resta solo un dubbio: “Smilzo si capisce dal fisico, ma Sintesi?”. Roberto sorride e mi liquida in un secondo: “Perché quando parla non si capisce un...”.


| food and the city | a cura di | davide de luca

| la ricetta

Rognoncino trifolato offerto da Elena di “Alla Grande” Ingredienti 1 rognoncino di 400 gr 1 cipolla, 1 spicchio d’aglio olio, burro, prezzemolo

il tartufo bianco: il cibo caro agli dei

I

Il trucco per ottenere un ottimo rognoncino non sta nella cottura, ma nella sua pulitura. Bisogna infatti prendere il rognoncino, lavarlo bene sotto l’acqua corrente, tagliarlo a fettine sottili e lavarlo una seconda volta. Il segreto di Elena però è quello di lasciarlo riposare almeno mezza giornata in acqua e aceto. La preparazione è molto semplice: sciogliete il burro in una padella larga, aggiungete un trito fine di cipolla, aglio e prezzemolo, e fate soffriggere per pochi minuti, poi unite i rognoncini (se volete potete passarli prima nella farina) e fateli insaporire fino a ultimarne la cottura.

l tartufo è un tuber, un fungo che compie il suo intero ciclo vitale sotto terra. È considerato il re della tavola, primo fra tutti quello “bianco” di Alba (Cuneo). Gli antichi pensavano che fosse il cibo degli dei e nei loro ricettari i romani consigliavano di cuocerlo sotto la cenere e di servirlo con il miele. Nel Medioevo il popolo diffidava di questa “strana creatura”, anche se era molto apprezzata da nobili e alti prelati. È solo nel Novecento però che il tartufo bianco, grazie all’opera di promozione svolta da un suo concittadino, l’albergatore e ristoratore Giacomo Morra, diventa un “prodotto di culto”. Nel 1933 arriva persino sulle pagine del londinese Times. In questi anni ad Alba si sono formate molte figure professionali legate al tartufo (cercatori, commercianti, cuochi) e nel 1996 è nato il “Centro nazionale di studi del tartufo”.

Se volete gustare questo prezioso e raro frutto della terra, ricco di calcio, potassio, magnesio e con proprietà afrodisiache dovete mettervi una mano sul cuore, una sul portafoglio e recarvi nella cittadina piemontese, dove fino al 14 novembre si svolge la “Fiera del tartufo bianco”, arrivata ormai all’80a edizione.

Un piatto di ravioli al plin con scaglie di tartufo. (Ente turismo Alba, Bra, Langhe e Roero)

≈ Hai scoperto un buon ristorante o un simpatico punto di ritrovo mangereccio? Passaparola su tempolibero@terre.it, perchè le cose buone... si condividono!

| passaparola | Oristano

Firenze

MONZA

consigliato da Dario

segnalato da Elena

consigliato da Andrea

Fra tavolini e sgabelli al banco ci sono una ventina di posti. Alle pareti, foto di Andrea che, oltre alla passione per la cucina, coltiva quella per la maratona. E a volte le due passioni si incontrano: vicino al frigo sono appesi ritagli di riviste specializzate con i consigli per la pizza giusta per gli allenamenti o per la gara.

Se la vita è fatta di coincidenze, tra un treno e l’altro, in partenza da Santa Maria Novella, abbandonatevi al piacere di un panino con la finocchiona, accompagnato da un classico rosso toscano. I fratellini non sono un ristorante, né un bar, ma un’istituzione. Con solo una vetrina.

Quasi nascosto in un vicolo del centro di Monza, questo minuscolo locale a doppia vocazione (è sia gastronomia che ristorante) sorprende per la qualità dei piatti e la simpatia dei giovani gestori, marito e moglie, Luca ed Elisabetta.

L’angolo del gusto

Chi ci porteresti: chi ama sorprendersi: la rosticceria ha arredi modesti, ma i piatti hanno sapori da ristorante raffinato. Perché: Andrea ai fornelli e Sara al bancone sono veloci, cortesi e offrono specialità tipiche della Sardegna. Da non perdere: fregole con cozze (pasta di grano duro poco più grande di una lenticchia) e filetti di sardine fritti. Quaglie al forno con olive. Ottima anche la pizza.Costo: con 10 euro si mangiano primo e secondo. Vino escluso. Dove: Oristano, via Vandalino Casu 24, tel. 0783 - 76.90.47.

I fratellini

Chi ci porteresti: è talmente buono che vi consiglio di andarci anche da soli. Nessun imbarazzo: qui non ci sono né tavoli né sedie. Il servizio è solo d’asporto. Perché: di fronte alla lavagna con i 15 panini preparati al momento, proverete un senso di gustoso smarrimento. Che fare? Iniziare con il primo: uno tira l’altro. Da non perdere: prosciutto arrosto e funghi, pecorino e pomodorini secchi. Se amate il pesce, c’è anche l’aringa. Costo: onesto, 2,50 euro per un panino, 1,60 per un bicchiere di Chianti. Dove: Firenze, via dei Cimatori 38r (vicino alla Signoria), tel. 055 – 239.60.96.

Il Pizzicagnolo

Chi ci porteresti: una comitiva di amici in vena di scorpacciate (non troppi però: i posti a sedere sono solo una trentina). Perché: l’atmosfera è accogliente e le portate sono preparate con prodotti di primissimo livello. Da non perdere: l’abbondante tagliere di salumi e formaggi (basta per 4 persone, costo 18 euro); i pici toscani con pomodorini, basilico e pecorino; la polenta con taleggio e speck di Salvis; le torte, tutte fatte in casa. Costo: circa 30 euro a testa (8-9 per i primi, 12-15 i secondi, 4 per le torte). Dove: Monza, vicolo Bellani 1, tel. 039 – 39.00.183. | 018 | novembre 10

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invenzioni a due voci

scrittori su due ruote | testo | anna jannello

epica, etica, poetica: la bici non passa mai di moda. e diventa fonte d’ispirazione.

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a bicicletta è un prodigio meccanico che fa miracoli psicologici e fisici. Guarisce l’anima, il cervello e il corpo delle persone”. Ne è sicuro Paolo Tagliacarne, classe 1955, una laurea in marketing alla Bocconi di Milano, conseguita (era il 1980) con una tesi sul risparmio di energia. Talmente sicuro che nel gennaio 2009 ha lasciato la Slalom, agenzia di comunicazione specializzata nello sport, per dedicarsi esclusivamente alla sua passione. “Ho iniziato a sognare di poter vivere di bicicletta una decina di anni fa e sono arrivato a mollare il mio lavoro, dopo 26 anni e con un forte livello d’incoscienza, per provare a comunicare attraverso la bicicletta e l’associazione sportiva Turbolento (creata nel 1995). Vivendo, insomma, di bicicletta”. Per Vittorio Anastasia, 48 anni, l’interesse per le due ruote si è tramutato, da tempo, in una professione: quella dell’editore. Un po’ per caso. Nel 1990 la cooperativa editoriale Ediciclo, che aveva fondato nel 1987 con altri amici appassionati di salite e passi montani, ha avuto bisogno di qualcuno che se ne occupasse con continuità. “Ero l’unico a non avere un lavoro fisso e così mi sono ritrovato amministratore. Il mio amore per la bici, grande metafora di libertà e di volontà di scoperta, è diventato un impegno quotidiano”. Che oggi trova espressione negli oltre 200 titoli in catalogo della casa editrice di Portogruaro, l’unica in Italia che tratta, in una dozzina di collane, diversi temi tutti collegati all’arte del pedalare. “La bicicletta è un contagio positivo perché è molto aggregante: è fonte di amicizia e ti mette in uno stato di solitudine meditativa socializzante” si entusiasma Paolo, fra le bici in vendita e

in riparazione al Velostore, il negozio dell’amico Stefano Bianchini, di fronte al liceo Parini di Milano. “Sulla bici sei solo, sei tu che la fai avanzare, ma spesso e volentieri ci vai con gli amici, chiacchieri, discuti e anche lavori. I manager non s’incontrano soltanto sui campi di golf: la Maratona delle Dolomiti è diventata un appuntamento per molti di loro. Perché la fatica fisica dell’andare in bici è rilassante, appaga lo spirito e avvicina alla saggezza”. Fra gli obiettivi di Turbolento (che si definisce uno stile di sport e di vita più che un veloclub) c’è la valorizzazione delle strade zitte -stradine, viottoli di campagna a basso tenore di traffico- dove il silenzio lascia spazio al rumore dei propri pensieri. Dal sito turbolento.net si possono scaricare 140 itinerari, come il percorso Milano – Venezia, che si snoda per 403 chilometri, in gran parte lungo l’argine del Po. “Attraverso la bicicletta vogliamo puntare alla valorizzazione del territorio, messaggio difficile da far capire perché il turismo è purtroppo appannaggio politico”. Paolo è convinto che la bicicletta stia vivendo un periodo di grande popolarità (non fra i liceali del Parini che affollano la via con i loro

motorini, ndr). All’Eurobike di Friedrichshafen, la più importante fiera di settore europea, all’inizio di settembre erano presenti 41.482 operatori di 102 paesi. “Quest’anno ho visto cinque stand di 100 metri quadrati solo di sistemi illuminanti per bici. Una decina di anni fa chi produceva fanalini occupava un angolino di pochi metri -ricorda-. A Milano è sotto gli occhi di tutti la costante crescita dei ciclisti: al ritorno dalle vacanze ci sono parecchi milanesi in più che pedalano”, prosegue Paolo, che è anche consigliere, con delega ai rapporti istituzionali, del comitato provinciale milanese della Federazione ciclistica italiana, 220 associazioni affiliate. Fra i progetti futuri di Turbolento ci sono la creazione di city link fra capoluoghi di provincia attraverso strade secondarie e tranquille, e lo sviluppo del cicloturismo, sull’esempio dell’inglese Backroads. “Abbiamo creato una collana di cicloguide, ma il turismo su due ruote fatica ad affermarsi in Italia” concorda, a distanza, Vittorio Anastasia: “Ci sarebbe bisogno di più attenzione da parte di chi gestisce le politiche sul territorio. Per esempio con la creazione d’infrastrutture, anche minime, che permettano di spostarsi in bicicletta

Vittorio Anastasia Paolo Tagliacarne Direttore di Ediciclo, ha iniziato scalando lo Stelvio e pubblicando nel 1987 “Salite del Triveneto”. In oltre vent’anni ha pubblicato 200 titoli (le ultime uscite: “La mia prima bicicletta” e “Se la scuola avesse due ruote” di Emilio Rigatti) e dato vita a Ciclomundi, festival del viaggio in bicicletta. In bici Vittorio va d’estate, con i figli Giacomo e Fabrice. 38

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Milanese, nato a Napoli, una laurea in Economia, ha scelto di “vivere di bicicletta”. Presidente dell’associazione Turbolento, di cui gestisce il sito (turbolento.net) e il blog Bar Sport, è consigliere provinciale di Federciclismo. Ha tre figli, quattro bici in cortile (“la disperazione del portiere”) e lavora al progetto Think bike, think green sulla sostenibilità.


con tranquillità perché sul percorso s’incontrano bici grill, punti sosta con informazioni e possibilità di riparare il mezzo”. L’amministratore unico di Ediciclo ha iniziato, a 14 anni, pedalando al seguito del fratello maggiore sul passo di Tanamea. Ha proseguito scalando con gli amici i colli del Tour de France: Galibier, Tourmalet, Aspin, Mont Ventoux. “Adesso mi faccio raccontare le avventure in bici dagli autori della casa editrice come Emilio Rigatti o Claude Marthaler, che ha girato il mondo in sella per sette anni”. Il futuro della bici è ampio, vasto, senza confini. Così lo vede, da Portogruaro, Vittorio. Ma aggiunge: “Per lo sviluppo della mobilità su due ruote ci sarebbe bisogno di un coordinamento nazionale, una struttura centrale che elaborasse un piano al quale le realtà locali dovrebbero adeguarsi. Per ora in Italia esiste l’anarchia delle varie amministrazioni. Un esempio: la regione Trentino ha realizzato la bella pista ciclabile del Brenta che segue il percorso del fiume. Poco prima di Bassano, al confine con il Veneto, la pista però si blocca nel nulla all’altezza del comune di Valstagna. Il turista deve inventarsi un proprio percorso se vuole arrivare a Venezia”. Vittorio e la sua piccola équipe di collaboratori (fra cui Francesco Tullio Altan per i disegni di copertina) sono fiduciosi: “Crediamo che il pubblicare libri come i nostri contribuisca a diffondere l’idea di una maggiore attenzione all’ambiente e a se stessi. Leggendo il Minima pedalia di Rigatti qualcuno si è convinto a utilizzare la bici per andare al lavoro -conclude-. Il buon ciclista non demorde, in salita sa dosare le proprie forze per arrivare in cima. Andare in bici aiuta a conoscere se stessi, a non temere le difficoltà, a saperle superare”.

| i libri di terre | parola d’autore | di stefania cecchetti

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uelli della casa editrice sono contenti. “I mostri nel mio frigorifero” sta andando bene, così prende corpo l’idea di lavorare ancora insieme. È a quel punto che penso di provarci. Voglio tentare di “piazzare” un progetto che mi sta a cuore da tempo. Forse mi rideranno in faccia. Dopo tutto, cosa possono avere a che fare una casa editrice “alternativa” e una raccolta di testimonianze di allattamenti difficili? Eppure sarebbe davvero un sogno: raccontare le storie di donne che, come me, hanno fatto tanto fatica, hanno sostenuto lo sguardo pietoso di chi pensava “tanto non hai il latte”, hanno pianto e sudato, ma alla fine ce l’hanno fatta. Con sorpresa, scopro che anche Terre di mezzo ha a cuore questi temi. Solo, mi suggerisce di abbandonare l’idea delle testimonianze per lavorare a un “manualetto”. Lo strutturiamo a piccoli paragrafi, ognuno su un luogo comune, da confermare o sfatare. Tipo: “Aspetta almeno due ore tra una poppata e l’altra e ci sarà più latte” (falso, che di più non si può!). Oppure: “Mangia cavoli e il latte sarà cattivo” (un’altra falsa credenza). Decidiamo di allargare il campo alla gravidanza, altro ambito in cui i luoghi comuni si sprecano: dalla forma della pancia che svelerebbe il sesso del nascituro, al bicarbonato per disinfettare la verdura contro la toxoplasmosi. Così è nato: “Niente sesso, sono incinta” (un’altra falsa credenza, per l’appunto). Stefania cecchetti

Niente sesso, sono incinta Terre di mezzo Editore, 2010 200 pagine ± 12,00 euro

| piccoli grandi lettori | a cura di | anselmo roveda di anDersen

Storie d’animali

≈ Andersen, il mondo dell’infanzia è un mensile che dall’82 si occupa di letteratura per i piccoli. Ogni anno assegna un premio alla migliore produzione editoriale (info: andersen.it).

Uno stupendo volume senza parole, composto solo con immagini che si inseguono in un progetto graficovisivo pulito e asciuttissimo, mette in scena il forse crudele, ma inesorabile ciclo della natura: Mangia che ti mangio (Babalibri 2010, 32 pagine, 11 euro) di Iela Mari. Un libro storico nuovamente disponibile, in cui ogni doppia pagina mostra l’inseguirsi di predatori che divengono prede, con una chiusura necessariamente circolare: anche il lupo di copertina diventerà vittima. Un altro lupo è protagonista dell’albo Dottor Lupo (Babalibri 2010, 40 pagine, 14 euro) di Olga Lecaye;

qui il medico peloso è però vittima di un pregiudizio. La famiglia dei coniglietti, dopo aver girato tutti i dottori del bosco, finirà assai poco entusiasta nella tana del lupo. Mamma coniglia dovrà ricredersi. Storie di felini invece in La tigre e il gatto (Babalibri 2010, 44 pagine, 13,50 euro) di Eitaro Oshima. Una leggenda orientale, magnificamente illustrata, racconta di come la tigre imparò l’agilità dal gatto. Il piccolo felino però, saggiamente e prudentemente, tenne un segreto per sé: meglio non fidarsi della gratitudine di un cacciatore.

| letti per voi

Quaderni ucraini Nel suo “reportage disegnato”, il fumettista Igort racconta la grande carestia degli anni ’30 in Ucraina, l’“holodomor”, quando il regime sovietico affamò i proprietari delle terre per costringerli a cedere i campi ed entrare nelle fattorie collettive. In un viaggio di due anni nell’ex Urss, l’autore ha intervistato decine di persone. E nel fumetto si vede e si sente tutto, meglio che in un film: la profonda solitudine dei poveri, la violenza del regime, il gelo della campagna ucraina stretta nella morsa dell’inverno e della fame, quando “il pane si faceva con il fieno” e il foraggio veniva usato anche per le polpette “perché era più saporito del resto”. Un lavoro splendido e commovente. (Michela Gelati) Igort

Quaderni ucraini Mondadori 180 pagine ± 17,50 euro

Sangue mio Ecco un libro che leggi e dici “Sembra scritto per diventare un film”. In questo caso il gioco viene facile: l’autore è un noto regista. Ulisse sta per uscire dal carcere di Torino dopo una lunga condanna per rapina e omicidio quando riceve una lettera da Gretel, la figlia che non ha mai conosciuto, che gli propone di accompagnarla in Basilicata. Gretel ha uno scopo ben preciso che vale la pena non rivelare, e Ulisse la segue anche per un comprensibile senso di colpa. Durante il viaggio avranno modo di conoscersi e di gettare le basi per un rapporto sincero. L’idea è bella, anche se la voce di Ulisse non è del tutto riuscita, ma Ferrario conosce bene le storie che racconta (da anni fa il volontario nel carcere torinese) e riesce a tessere una trama credibile. Da leggere, insomma. In attesa del film. (Davide Musso) Davide Ferrario

Sangue mio Feltrinelli 192 pagine ± 16,00 euro | 018 | novembre 10

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divertimenti indipendenti

l’altra metà del sapere

≈ Festival, corsi e appuntamenti: il divertimento è davvero senza confini. Manda le tue segnalazioni a tempolibero@terre.it, le pubblicheremo anche sul sito!

| testo | Giulia Ceccutti

Filosofe, Sante, avventuriere. Se conoscete una donna straordinaria, fatevi avanti e inseritela in questa enciclopedia.

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uante volte vi sarà capitato di incontrare donne dalla storia bella, o addirittura straordinaria, spesso nascosta nella quotidianità. E di dirvi: “Bisognerebbe farla conoscere”. Allora c’è un progetto che fa per voi: l’8 marzo 2010 è nata l’Enciclopedia delle donne (www.enciclopediadelledonne.it), un sito nel quale filosofe, avventuriere, pacifiste, regine, artiste, torere, operaie (e molte, molte altre) convivono felicemente. Ognuna con il suo ritratto. Donne comuni o celebri, del presente e del passato. Oggi ci sono circa 400 voci, ciascuna corredata di fonti, bibliografia, siti e voci complementari. Tutte firmate -tra gli autori fa capolino persino Umberto Eco che ha raccontato le vicende delle due prime docenti dell’Università di Bologna: Bettisia Gozzadini e Novella D’Andrea, XIII e XIV secolo– e pubblicate sotto licenza “Creative commons”: possono cioè essere divulgate liberamente solo se attribuite ai rispettivi autori e al progetto, e senza essere utilizzate a scopo commerciale. Per collaborare ci sono tanti modi: leggere, fare passaparola, iscriversi alla newsletter,

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partecipare al blog. Ma soprattutto scrivere e far scrivere. Perché –tengono a sottolineare le curatrici, Margherita Marcheselli e Rossana Di Fazio, con alle spalle anni di esperienza editoriale– questa enciclopedia è “una festa a inviti: chi scrive porta una persona, come se portasse qualcuno che vale la pena conoscere”. Si può quindi proporre una figura dopo aver dato un’occhiata alla pagina dei “Lavori in corso” e aver contattato la redazione (redazione@enciclopediadelledonne.it) per veri-

ficare che cosa bolle in pentola tra le voci già in preparazione. Oppure si può semplicemente chiedere “perché non aggiungete…? Conosco la persona giusta per scrivere di quella donna!”. Insegnanti e studenti hanno una proposta tutta per loro: “Insieme possono coordinare un nucleo operativo, un gruppo di studio che non solo scriva le voci ma si occupi anche di trascrivere i testi e fare ricerca, magari consultando l’archivio del proprio paese o i circoli culturali del quartiere”. Una bella occasione per raccogliere storie, scoprire qualcosa in più della donna a cui è intitolata la propria scuola, esercitarsi a scrivere per il web. E per chi nel progetto crede proprio tanto, e ha voglia di sostenerlo, è nata un’associazione culturale “che in futuro potrà anche attivare borse di studio”, spiegano le curatrici. Intanto, il 20 novembre la “Libreria delle donne” di Milano ospiterà tra i suoi scaffali una presentazione dell’enciclopedia. Uno dei tanti appuntamenti previsti per prossimi mesi, con un traguardo: arrivare all’8 marzo 2011 con mille voci pubblicate. Per continuare la festa.

info »

L’enciclopedia delle donne enciclopediadelledonne.it


| agenda italia

| smArt

i maestri venuti dal nord

Cibo e cinema in festa La produzione alimentare è una delle attività umane a maggior impatto ambientale, economico e sociale. Per imparare a guardare in modo diverso quello che mangiamo, l’associazione Mandacarù organizza a Trento, dal 10 novembre al 10 dicembre, Tutti nello stesso piatto, festival internazionale di cinema cibo & videodiversità, con un ricco programma di mostre, laboratori per i più piccoli, e tanti film da tutto il mondo. E per le scuole Schermi & lavagne, le matinée dedicate ai ragazzi. info tel »

| testo | Osvaldo Spadaro

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rima di Anita Ekberg e del mito delle svedesi belle e disponibili. Prima ancora dell’arrivo sui nostri campi di calcio di Dan Corneliusson, Glenn Peter Stromberg e Zlatan Ibrahimovic. Prima delle tonnellate varie di giallisti svedesi, norvegesi e finlandesi. Addirittura prima anche dell’Ikea, la Scandinavia era un terra che produceva tanti artisti e opere d’arte. Per rendersene conto, non serve prendere un aereo, basta andare alla Villa Manin di Codroipo, in provincia di Udine. In mostra, fino a inizio marzo, c’è “Munch e lo spirito del Nord” (biglietto: 10 euro). Per la prima volta in Italia (e questa volta è vero) si potranno scoprire le opere di una dozzina di pittori scandinavi del secondo Ottocento. Un’occasione per provare a identificare lo spirito del Nord usando come chiave di lettura quattro diverse scuole nazionali (Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia) e 120 quadri. Il soggetto? Per lo più

Tutti nello stesso piatto! 0461 - 232.791 mandacaru.it

Mantova, la città dei bambini È la farfalla, con i suoi colori e la sua delicatezza, il simbolo della quinta edizione di Segni d’infanzia, grande evento artistico in calendario a Mantova dal 7 al 14 novembre. Attesi artisti da tutto il mondo che si esibiscono in diversi luoghi della città in performance di teatro, danza e musica (nella foto, lo spettacolo “Ras!”). In programma anche convegni e laboratori per i più piccoli. info tel »

tel »

Settimana musica sacra Monreale 091 - 70.78.100 regione.sicilia.it/turismo

Dove fino al »

Munch e lo spirito del Nord Passariano di Codroipo (Ud) 6 marzo 2011 www.lineadombra.it

La magia del flamenco

A Monreale la musica è sacra

info

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| ticket d’oltralpe

Segni d’infanzia 0376 - 221.705 segnidinfanzia.org

Prendete i capolavori della musica sacra, liturgica e spirituale e fateli eseguire da artisti di livello internazionale nella cornice di una delle chiese più belle del mondo, il Duomo di Monreale. È un evento davvero unico la Settimana di musica sacra della cittadina palermitana, a cui quest’anno prenderà parte anche Franco Battiato. Appuntamento dal 12 al 21 novembre.

il paesaggio, in tutte le sue forme e sfumature: dal tragico all’apocalittico, dalla luce perpetua d’estate allo profondità del buio invernale. Ospite d’onore del vernissage, ovviamente, Edvard Munch, malinconico e colorato, in mostra con 35 opere tra tele e disegni (nella foto, Malinconia, 1894-96). Da urlo?

Rape o abat-jour? A Richterswil, 11mila anime sul lago di Zurigo, va in scena ogni anno un festival dedicato alle rape (il più grande d’Europa, si dice). Il clou è il secondo sabato di novembre (quest’anno il 13), in cui il paese si illumina alla luce di migliaia di candele inserite, manco a dirlo, nelle rape.

Chitarra, voce e magia. Dall’8 al 27 novembre le note calde e sensuali del flamenco avvolgeranno i patio e le viuzze di Cordoba per il 19.mo Concurso nacional de arte flamenco. Dal 1956, con cadenza triennale, la città andalusa diventa il teatro di un festival che ha lanciato grandi interpreti come la ballerina Matilde Coral e il chitarrista Paco de Lucía. Dopo la prima fase eliminatoria (dall’8 al 13 novembre) si passa al concorso a premi (dal 20 al 23), in attesa del Gala finale del 27 novembre che decreta il vincitore. info

info tel »

Räbechilbi Richterswil 0041 - 84.88.11.500 räbechilbi.ch

tel »

Concurso de arte flamenco 0034 - 95.74.80.237 flamencocordoba.com | 018 | novembre 10

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in prima fila

≈ esterni nasce nel 1995. Sviluppa progetti per lo spazio pubblico a Milano e in altre città in Italia e nel mondo. Organizza il Milano film festival. Il loro sito: esterni.org

| premiere | a cura di | esterni

Tracce in video

L’antenata del cinema

Documentari a Firenze

Ombre, riflessi, visioni dal mondo della videoarte e del cinema sperimentale. Tutto questo è “Tracce/Tracks”, a cui è dedicata la XX edizione di “Invideo. La mostra internazionale di video e cinema oltre” (Milano, Spazio Oberdan, dall’11 al 14 novembre). Tra gli ospiti: Chantal Akerman, Jean-Cristophe Averti, Corso Salani e Daniele Segre. Per informazioni, mostrainvideo.com.

Alla Reggia di Venaria, alle porte di Torino, la mostra “Le macchine della meraviglia” presenta le più belle collezioni al mondo di vetri per lanterna magica, accanto a opere di artisti e registi contemporanei che rendono omaggio alla progenitrice del cinema. Fino al 9 gennaio 2011. Per arrivare preparati, vi consigliamo di visitare il sito lemacchinedellameraviglia.it.

Il Festival dei popoli, la principale rassegna internazionale del documentario organizzata in Italia, spegne la 51a candelina (le informazioni su festivaldeipopoli. org). Ideato nel 1959, dal 2008 ha un’edizione annuale anche a New York. Sei le sezioni, tra cui una dedicata ai filmmaker, oltre a eventi speciali e workshop. Appuntamento a Firenze, dal 13 al 20 novembre.

migranti per procura

Anna Maria Angelini, una delle giovani emigrate negli anni ’60.

| testo | Giulia Genovesi

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on una ragazza canadese ci passi il tempo. Ma la moglie deve essere italiana. Così Mario decide di chiedere ai genitori, rimasti in Molise, di cercargli una ragazza, e gli arriva la foto di Antonietta. Il 13 aprile 1957, Mario, da Montreal, le scrive: “Carissima fidanzata, ho ricevuto la tua immagine fotografica, e mi affido con tanto affetto al nostro matrimonio”. Antonietta ha solo 18 anni, ma ha le idee chiare: “Prima vado a vedere, e se non mi piace torno indietro”. Oggi hanno festeggiato le nozze d’oro. Sono stati centinaia gli emigrati italiani a Montreal che in quegli anni si sono sposati (o fidanzati) per procura. Un breve scambio epistolare con foto, due firme, e il matrimonio è fatto. Con esiti a volte drammatici. Nel documentario “Ho fatto il mio coraggio” il regista barese Gianni Princigalli racconta questo ed altri aspetti dell’emigrazione italiana a Montreal, attraverso i ricordi degli ormai anziani protagonisti: la separazione da mamma e papà, a volte mai più rivisti, il lungo viaggio in

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nave, il passaggio traumatico dalla campagna alla fabbrica, i primi sindacati, i primi scioperi. Ne sa qualcosa Carlo Rosati, pecoraio in Molise, bracciante in Emilia, e tappezziere a Montreal, dove ha fondato, negli anni ’60, la prima sede del Pci della città. Ma come filmare i ricordi? “Solo alcuni di loro avevano lettere o foto dell’epoca -racconta il regista-. Ho deciso allora di cercare immagini d’archivio”. Contadini e migranti degli anni ’50 e ’60, fotografati o filmati all’epoca, prestano involontariamente i loro volti al film. “È come se interpretassero i padri, le madri, le sorelle dei protagonisti, o gli stessi protagonisti quand’erano giovani -spiega-. Così una storia individuale diventa collettiva, il ricordo di un individuo memoria di una generazione”. Una generazione che si avvia a scomparire: alla fine del film, i protagonisti riflettono sulla morte, e quando qualcuno confessa di credere nella reincarnazione, scoppia il dibattito: “Ma ci reincarneremo qui o in Italia?”.

Ho fatto il mio coraggio Per organizzare una proiezione del film di Gianni Princigalli, potete contattare il regista all’indirizzo herosfragiles@gmail.com.


commedia all’italiana | testo | Rosy battaglia

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’è chi, in tempi di tagli allo spettacolo e censure, invece di mettere in cartellone musical dal sicuro incasso, non rinuncia a parlare delle paure e degli egoismi di quelli che, una volta, erano “gli italiani brava gente”. Uno di questi è Cesare Lievi, regista e drammaturgo che da oltre vent’anni trasforma i palcoscenici italiani in luoghi di confronto “prima di tutto con il presente -spiega-, come del resto già avviene in altri Paesi d’Europa, dove al teatro si chiede di raccontare le nostre contraddizioni”. A cominciare dal complesso rapporto che gli uomini d’oggi hanno con l’età della pensione: il tema del suo ultimo testo, “Il vecchio e il cielo”, che debutta il 17 novembre, ma che è già stato (almeno in parte) presentato al pubblico in due prove aperte, andate esaurite al “Giovanni da Udine”, nella città friulana. In scena Gigi Angelillo, Ludovica Modugno, Paolo Fagiolo e Giuseppina Turra, tratteggiano il primo giorno di pensione di un vecchio preside, in bilico tra la fine dell’impegno quotidiano e quella nuova, paradossale, sensazione di libertà. “Il protagonista è l’emblema di una collettività che non vuole invecchiare, da osservare con attenzione e tanta ironia”. Uno sguardo che attraversa anche la questione della multiculturalità, a cui Lievi ha dedicato la “Trilogia dello straniero”, una sequenza di tre pièces. La prima, “Fotografia di una stanza”, risale al 2004. “È la storia di un giovane tappezziere romeno vittima dei pregiudizi -raccontache sperimenta dentro di sé la tensione di un conflitto, quello che nasce dall’impossibilità di vedersi diverso”. Mentre nel secondo episodio, “Il mio amico Baggio” (2006), il regista porta alla ribalta le difficoltà di due amici brasiliani che sbarcano nel “bel paese” in cerca di casa e lavoro. “Torneranno indietro, non senza un senso di fallimento, lo stesso provato dal famoso calciatore per il suo rigore mancato nella finale mondiale del ’94”. Ma è con “La badante”, premio Ubu nel 2008, che Lievi ha messo a fuoco il dilemma della famiglia italiana, incapace di assistere i suoi anziani. Un lavoro che parla di “noi” ma dedicato a “loro”, “dame di compagnia” e infermiere dei nostri nonni. Oggi, dopo 14 anni, Carlo Lievi ha lasciato la direzione del Teatrale stabile di Brescia, per traslocare a Udine. “Voglio mantenere una direzione morale -confessa- per poter raccontare ancora i cambiamenti della società”.

Cesare Lievi Per informazioni sulle produzioni, Css Teatro stabile d’innovazione del Friuli Venezia Giulia, telefonare allo 0432 - 504.765 o visitare il sito cssudine.it. | si alzi il sipario

Zona franca

Sakapa teatro

Un mondo all’incontrario, come nelle favole. Non potrebbe essere altrimenti per “Zona franca” il festival dedicato all’infanzia curato dall’associazione Micro-Macro e dal Teatro delle Briciole di Parma. Dove la Compagnia dei bambini dice la propria sulla scuola e il grande artista Antonio Catalano costruisce giostre fatte di pane. Tra marionette e installazioni, anche un’opera pop-rock sulle lacrime dei più piccini: “Baby don’t cry” di Babilonia teatri. Fino al 28 novembre.

Attenti ai mutamenti sociali e a quelli dell’anima, i ragazzi di Sakapa teatro, collettivo nato in un Laboratorio dell’hinterland milanese, portano in scena “il lato b” della realtà. Nella trilogia “Dis-Sesto” denunciano le speculazioni nelle ex-aree industriali; in “Critical-gas” si interrogano su stili di vita sostenibili e condomini solidali. E questo mese, debuttano con “Questioni di cuore”: istantanea sulla vita delle donne, tra precarietà lavorativa e affetti.

INFO tel »

Teatro delle briciole, Parma 0521 – 992.044 solaresdellearti.it

DOVE tel Mail

Sakapa, Sesto San Giovanni 333 – 130.89.94 sakapateatro@yahoo.com | 018 | novembre 10

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tu vuoi fare l’italiano? ≈ Rockit nasce nel 1997. È il database di gruppi italiani più ricco al mondo. Organizza anche eventi, tra cui il Mi ami a Milano.

| segnali sonori

Cut

In due, basso e Batteria, passano dal pop al metal più cattivo. senza scomporsi. | a cura di | sandro giorello | rockit

rumori molesti Q

uante cose si possono fare in casa. Una volta, a uno che conosco, degli amici hanno persino montato una batteria in camera mentre lui dormiva e l’hanno svegliato picchiando il più forte possibile. L’avessero fatto gli Zeus! probabilmente ora sarebbe morto. Gli Zeus! sono un duo strumentale basso-batteria, e non suonano mai sul palco ma sempre in mezzo al pubblico. Fanno una musica nervosa e potentissima, che prende tanto dal metal, dal noise, e dalle strutture intricate del jazz. Ma loro preferiscono evitare ognuna di queste etichette. Hanno ragione. Li ho visti parecchie volte dal vivo e nel cerchio di persone che gli si crea attorno vedi di tutto: ragazzine alla moda, uomini tatuati, teenager curiosi e vecchi punk. E come riescano a essere così trasversali proprio non lo capisco. Forse è questione di elasticità mentale e allenamento: entrambi suonano in altri gruppi.

Luca e Paolo, in arte gli Zeus!.

Luca è il bassista dei Calibro 35 (vi ricordate quelli dei “polizziotteschi” anni Settanta?), Paolo è il batterista de Il Genio (sì, quelli di “Pop Porno”). Generi molto diversi, e può darsi che, anche quando vogliono ottenere la peggiore delle cattiverie rumoriste, non riescano a fare a meno di lasciare qualche sfumatura pop. Sono ipotesi, perché credo che nessuno risolverà mai il caso Zeus!. Il loro primo album (omonimo) è uscito per un nutrito manipolo di etichette. “Come diceva il vecchio George W. (Bush, naturalmente) -mi spiega Paolo-: è incredibile quante cose si possano fare in casa. Ed eccoci a spedire centinaia di migliaia di mail, come tanti messaggi in bottiglia indirizzati là, al cuore della gente... Di un certo tipo”. È servito? “Ora ci troviamo con sei tra le più rispettabili etichette di tutto lo stivale”. Già, quante cose si possono fare in casa.

Annihilation road Convincenti, dinamitardi. Hanno una genitrice rock multisfaccettata, incroci ritmici creativi e un’innata capacità di imbastire racconti multisonici. Un cortocircuito temporale, in cui protagonista è la varietà di stili: dal punk d’annata alle ventate wave, passando per il garage, editati però in maniera del tutto personale. (Ester Apa)

Massimo Volume Cattive abitudini Un atteso ritorno, fatto di nuove parole e cattive abitudini. Una risacca di capitoli sonori che restituiscono con precisione la sensazione del tempo che passa, i luoghi vissuti, i volti consumati, le donne incontrate e poi perse. L’importanza della narrazione, su spartiti di musica ipnotica, dal tono solenne e l’attitudine psichedelica. (E. A.)

| prove d’orchestra | a cura di | Andrea legni

Ocarina da esportazione FIATo

ForI / noTe

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Sembra un’oca senza testa, ma suona che è un piacere. Tanto che da un paesino vicino Bologna è riuscita a conquistare il mondo. L’ocarina la inventò un diciassettenne di Budrio, Giuseppe Donati. Era il 1853, quando creò dei flauti in terracotta di forma globulare e di varie grandezze, così da suonare in timbri e registri differenti. Il successo fu immediato. Insieme a sei concittadini fondò il Gruppo ocarinistico budriese, e le loro tournée arrivarono sino ai teatri di Berlino e New York. Il repertorio passò dalle varie d’opera alla musica leggera, tanto da entrare nelle

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Non voglio che Clara

melodie di Fabrizio De André (che la impiegò in “Un giudice”) e nelle “hit” dei Duran Duran. Il Gruppo esiste ancora e suona in tutto il mondo. Specie in Asia dove, come spiega uno degli elementi, Fabio Menaglio, “è più conosciuto che in Italia”.

Dei cani Il più bel disco del 2010. Di quelli che ti stringono dentro un cappotto spesso, ti allargano un sorriso e lo allargano anche a chi ti sta davanti. Gli occhi diventano fessure, e quando vedi nero ogni singola nota è un fuoco d’artificio. Undici canzoni da cantautore vero, roba che se la cantasse Baglioni spazzerebbe via una generazione. Per fortuna accade ancora qualcosa di bello in questo Paese. (Sandro Giorello)


bandi e concorsi | a cura di | ilaria sesana

ricordi contro il razzismo V

alorizzare “le voci nuove” della letteratura italiana e ribadire che “la multietnicità è un valore importante”. Sono diverse le finalità che si concentrano nel concorso letterario “Seconda generazione” promosso da Fazi editore. Un’iniziativa nata nel 2009, quando nella Capitale si registrarono diversi episodi di violenza ai danni dei cittadini romeni. “Si respirava un clima di intolleranza –ricorda Laura Senserini, caporedattrice–, così abbiamo pensato di organizzare un concorso letterario per ribadire il nostro no al razzismo e all’esclusione”. Alla prima edizione hanno partecipato 50 aspiranti autori, “sono arrivate sia opere di ragazzi nati in Italia, sia opere scritte da persone più mature che hanno vissuto l’esperienza della migrazione –dice Senserini-. Un quadro di autori abbastanza variegato”. Il concorso è rivolto a quanti vivono nel nostro Paese da tanti anni. Non ci sono limiti d’età, è sufficiente avere una storia da raccontare sotto forma di romanzo, mémoires o raccolte di racconti inediti. I partecipanti devono inviare il proprio manoscritto, corredato da una breve lettera d’accompagnamento, entro il 28 febbraio 2011. L’opera migliore selezionata dalla giuria verrà pubblicata da Fazi editore e l’autore riceverà un anticipo di 3mila euro sul contratto di edizione.

≈ Un uomo in un click Seduti in poltrona davanti alla tivù con una birra ghiacciata. Se siete stanchi dei soliti stereotipi sui maschi, provate a demolirli a colpi di “click”. Il concorso fotografico “I nuovi mariti”, promosso dall’Associazione dei mariti italiani, vi offre la possibilità di raccontare la quotidianità, il lavoro e gli affetti dell’altra metà del cielo. Possono partecipare fotografi professionisti e amatori (max tre immagini). Le 20 foto finaliste verranno esposte a Milano nel mese di dicembre. scade info »

≈ Pubblicità progresso

Seconda generazione Scade info tel »

28.02.2011 Fazi editore 06 – 960.314.00 fazieditore.it

| le opportunità del mese

Il “Social world film festival” cerca giovani talenti (18-30 anni), attenti al sociale, per realizzare lo spot della prossima edizione. Potrete usare il telefonino o la videocamera, fare un fumetto o creare delle animazioni stop motion. Tema principale, una spiga di grano (simbolo della manifestazione). I cinque spot migliori verranno pubblicati sul sito e il più cliccato sarà lo spot ufficiale. scade

≈ Romanzo collettivo

≈ Patrimonio da salvare

≈ Studiosi di Corano

Chi è Bosco? Un poeta, un filosofo? Oppure un viaggiatore, un ladro o un poliziotto. Questo concorso ha una sola regola: la fantasia. “Chi ha conosciuto Bosco Nedelcovic?” è un concentrato di creatività, una sfida ambiziosa (articolata in diverse fasi) per realizzare un romanzo collettivo. Ogni scrittore potrà inviare i propri elaborati, che verranno pubblicati e discussi su un apposito forum. E alla fine confluiranno in un unico racconto. Gli autori premiati riceveranno un attestato e un contratto di edizione collettivo.

Pechino è ormai un ricordo, Londra è ancora lontana. Nel frattempo, perché non prepararsi alle “Olimpiadi del patrimonio 2011”? Il concorso, organizzato dall’Associazione nazionale insegnanti di storia dell’arte (con il Fai e il Miur), è riservato agli studenti delle superiori che dovranno dimostrare di conoscere i segreti dei siti italiani dell’Unesco: dalla laguna di Venezia ai trulli di Alberobello. La finale si svolgerà a Roma il 3 maggio 2011. In palio, strumenti tecnologici e buoni acquisto per libri o viaggi.

I premi sono in denaro, ma la ricompensa maggiore “verrà dall’Altissimo (inchallah)”. Questo lo spirito del concorso di Corano organizzato dai Giovani musulmani italiani che si svolgerà durante il convegno nazionale del 30 dicembre 2010. Articolato in tre livelli, ciascuno con diverse sure da studiare. La giuria valuterà i concorrenti per la conoscenza memonica dei capitoli, il rispetto delle regole del tajwid (recitazione) e l’impegno. Per i vincitori, premi in denaro e la possibilità di partecipare gratuitamente al convegno.

scade

30.11.2010 Bosco Nedelcovic » samideano@alice.it bosconedelcovic.forumgratis.org

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info

info MAil »

30.11.2010 Ass. mariti italiani mariti-italiani.org

20.01.2011 Ass. insegnanti storia dell’arte info@anisa.it anisa.it

info »

≈ Danza e ritmo In coppia, in gruppo o come singoli. Scatenatevi con il jazz, l’hip hop o lasciatevi trascinare dalla passione del tango. Sbizzarritevi nel comporre le coreografie. L’appuntamento è a Firenze, con “Expression”, concorso internazionale di danza. Tre giorni all’insegna della musica al termine dei quali, ai ballerini più bravi, saranno assegnate borse di studio per frequentare le più prestigiose scuole di danza del mondo. scade

scade info »

15.12.2010 Giovani musulmani italiani giovanimusulmani.it

10.02.2011 Social world film festival socialfestival.com

info tel »

25 - 27.02.2011 International dance association 0544 - 34.124 idadance.com | 018 | novembre 10

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| previsioni del tempo sociale | a cura di | dario paladini

Studenti

Bambini iperattivi

Sordi e digitale terrestre

Senza dimora

torna il sereno

nuvole nere

nebbia

temperature sotto zero

Primo soccorso, arrampicata, tiro con l’arco e con pistola ad aria compressa, nuoto e percorsi ginnicomilitari: su queste materie avrebbero dovuto cimentarsi gli adolescenti iscritti ai corsi facoltativi di “Allenati alla vita”, organizzati per le scuole medie superiori della Lombardia dai ministeri della Difesa e dell’Istruzione. Ma, al grido di “Make school, not war”, le proteste dei collettivi studenteschi e del centro sociale Cantiere di Milano contro gli ufficiali in congedo dell’Unuci, responsabili del progetto, hanno ottenuto la sospensione dei corsi.

Ci sono bambini così iperattivi da non riuscire nemmeno a concentrarsi. Nei casi più gravi è prevista la somministrazione di psicofarmaci. Come è facile immaginare, vanno impiegati con molta cautela e, in Italia, sono prescritti solo in alcuni centri specializzati. “Giù le mani dai bambini”, comitato di farmacovigilanza pediatrica, ha denunciato alcuni episodi in cui sono stati somministrati psicofarmaci senza il consenso informato dei genitori, minimizzando gli effetti collaterali. No comment.

La tivù digitale è muta per i sordi. I sottotitoli non ci sono. Fand e Fish, le due principali federazioni di associazioni di disabili, hanno protestato. E la Rai ammette: “È vero, ci sono dei problemi. Stiamo lavorando a una soluzione. Tempi certi non possiamo però indicarne”. Per ora sono accessibili solo le tre reti Rai “classiche”. Da quanti anni la televisione pubblica annuncia l’avvento del digitale terrestre? Quale strapagato dirigente si dimetterà per questo “piccolo” errore? È proprio brutto tempo per i sordi, se neanche mamma Rai si è ricordata di loro.

Se i senza dimora si trasformassero in lumache risolverebbero i loro problemi. È il senso della proposta dell’assessore alle Politiche culturali di Roma, Umberto Croppi, che a un convegno sull’architettura d’emergenza ha dichiarato: “Perché non immaginare una casa, magari fatta di materiali leggeri, che un homeless può portarsi dietro?” Si rimane storditi di fronte alla profondità di certi suggerimenti. Comunque, sui “materiali leggeri” i clochard ne sanno molto di più dell’assessore...

corrispondenze

ritorno a casa Saluto un amico, e con lui saluto tutti quelli con cui in questi anni non è stato possibile diventare amici, e quelli con cui, forse, lo diventeremo. Gente lontana, nera; uomini -tanti- e donne; senegalesi. Duemila battute per scrivere addio. A Dio, letteralmente. Moustapha, Tapha per gli amici, quasi dodici anni in Italia, torna a casa. Molti tra i senegalesi lo conoscono, e gli vogliono bene. Molti, anche tra gli italiani. Con lui abbiamo imparato a fidarci, assistendo al miracolo che dal male subìto, dall’ingiustizia può anche nascere il bene. Anche dal bene può nascere il male, la vita insegna. Ma ora l’impressione è che la prima nascita sia più profonda, possa sfidare il tempo, la lontananza, i silenzi. L’altra dura, se dura, lo spazio della memoria umana. Dopo dodici anni non si sa più qual è il partire e qual è il ritornare. Dove è casa. Storie di migrazioni, sicuramente di sacrifici, di sradicamenti e di approdi. Sta nascendo un’umanità nuova, non ce 46

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ne accorgiamo, e ne siamo parte. L’ultimo giorno, era venerdì, ha voluto andare, per l’ultima volta, a pregare in moschea, uno di quei luoghi che a noi spaventano un po’ perché non ci entriamo mai. Ma anche Tapha in tanti anni non è mai entrato nel Duomo. “Parto in pace -dice-, ho perdonato tutti quelli che mi hanno fatto del male”. E fin qui è normale. Forse. “E ho chiesto a Dio che, se dovesse capire anche a me di far male o torto a qualcuno, anch’io possa ricevere il perdono”. Nessuno può dirsi buono, sempre. Se è possibile partire, chiedendo e offrendo perdono, forse questa storia non è stata vana. Lo sappiano tutti quelli che in questa vita si sentono chiamati in causa. Ora si ricomincia, lontani un mare e qualche deserto, stupiti per quel che è stato. Abbiamo attraversato frontiere. Ora sappiamo quel che significa essere liberi. E fratelli, in Dio. Miriam Giovanzana

≈ Uno spazio di incontro tra Terre e i lettori. Scriveteci a redazione@terre.it.

≈ Addio Niang Quando se n’è andato dal Senegal, Niang Cheick aveva 43 anni, 2 mogli e 5 figli. Era il 1995 e appena un anno dopo si stabiliva a Roma, dove vendeva Terre di mezzo in via Nazionale. “Negli ultimi tempi è più difficile, perché la gente ha pochi soldi e compra meno”, ci diceva in un’intervista due anni fa. La settimana scorsa un malore improvviso se l’è portato via. Il suo corpo è tornato a riposare in terra africana. Un grazie di cuore a Niang Cheick e alla sua instancabile pazienza. Un abbraccio alla sua famiglia.


posta del cuore letteraria di linda fava (2piccioni@gmail.com) Cara Fava, hai presente quando dicono che il primo amore non si scorda mai? Ecco, non ho niente in contrario, però io, che come tutti sono stata il primo amore di qualcuno, sono giunta alla conclusione che vorrei essere dimenticata. Come in quel film di Gondrì (Se mi lasci ti cancello, ndfava) dove ci si può fare la lavanda cerebrale e cancellare le cose bellissime che sono state. Qualche coordinata per capire: la mia prima ragazza, Anna. Ci conosciamo all’università, ci scopriamo simili e belle e nel giro di due settimane siamo inseparabili. È la prima volta che ci innamoriamo. Passano tre anni, io parto per l’Erasmus, perdo la testa per una giocoliera spagnola, la lascio, ci ripenso, la lascio di nuovo. È finita. Resterà per sempre, ma non è lo stesso.

Lei, invece. Sparisce per un po’ poi ricompare con una ragazza che è la mia copia sputata. Stesso taglio di capelli, stessa montatura degli occhiali. Da allora è uscita con diverse ragazze: tutte col mio stesso nome, Giulia. C’è stata una Giu…seppina, ma è durata pochissimo. Scopro da un’amica comune che si rifiuta di uscire con chiunque superi il metro e 58 e non abbia una smodata passione per il cinema muto (io, l’avrai capito, sono una bassa fan di Chaplin). Vorrei farle capire che quel che è stato è stato ma il futuro non deve per forza essere identico… Giulia Cara Giulia, vai in libreria, compra una copia di L’amore giovane di Ethan Hawke (minimum fax, 2010)

e spediscigliela. Questo libro imperfetto e carino, ma non certo sensazionale, ha una qualità esplosiva: è il primo lavoro di un ventunenne che racconta, in presa diretta, com’è l’amore a 21 anni. Violento da spaccarsi le nocche contro il muro, febbrile da giurarsi devozione eterna. E lo fa senza nostalgia perché è narrato lì per lì, senza la mediazione del tempo e della memoria. Con le loro dissolvenze e le loro romantiche sfocature in super 8. Una storia che è impossibile non divorare d’un fiato se si è passati almeno una volta per quell’hottest state che è il titolo originale del libro e del film che l’autore ne ha tratto. Un regalo che potrebbe aprire gli occhi alla tua ex su quel maledetto confine che separa l’idillio dei ricordi dalla realtà.

Compra e vendi il nostro magazine Gestisci un’edicola, una libreria o un altro esercizio commerciale e vuoi vendere Terre di mezzo nella tua città? Telefona allo 02 - 89.41.58.39 oppure scrivi una mail a segreteria@terre.it.

A Milano ci trovate qui:

Roma, mercato dell’Esquilino.

| insieme nelle terre di mezzo onlus | Associazione.Terre.it

la roma di borgata T

orna “Roma passo passo”, ciclo di visite guidate nella Capitale “nascosta”. L’iniziativa è a cura di Insieme nelle Terre di mezzo onlus e Tam (TuttounAltroMondo). La prima data da segnare in calendario è il 6 novembre, e il tour prevede la visita di San Lorenzo, rione popolare nel dopoguerra e oggi abitato da artisti, artigiani, scrittori, attori e registi. Ma gli appuntamenti continuano: il 20 novembre con “Abitare a Garbatella”, per conoscere il quartiere di edilizia popolare degli anni Venti, ricco di testimonianze della storia partigiana. Il 4 dicembre si

scopre “La Roma di Pasolini”: si parte dal Mandrione, descritto nel libro “Vie Nuove” come zona “di zingari e prostitute”. Con il comitato di quartiere proviamo a capire che cosa sia cambiato e poi ci spostiamo a Tor Bella Monaca, dove un coordinamento di associazioni si batte contro il disagio sociale. Il ciclo di visite si conclude il 18 dicembre con “Vicino al Colosseo… c’è Monti”, uno dei rioni più antichi di Roma. Per informazioni e prenotazioni, potete mandare un’e-mail a volontariroma@terre.it oppure telefonare al 347 - 123.25.45.

CartaCanta, l’edicola solidale, viale Monza 106, metrò Turro (edicolacartacanta. com); Altraedicola, in piazza Cordusio; Edicola di piazza XXIV Maggio 7, accanto a Porta Ticinese. Edicole di viale Caterina da Forlì 40 (Bande Nere), via Molino delle armi (Colonne di San Lorenzo) e via Lorenteggio 3.

Rocco 37/39 (Università Roma Tre), tel. 06 - 573.000.82. Libreria Vescovio, via Stimigliano 24/a, tel. 06 - 862.118.40. Giufà, via degli Aurunci 38, tel. 06 - 443.614.06. Cooperativa Fuori Posto via Oreste Mattirolo 16 (Centocelle) tel. 06 - 218.084.66.

a Corsico (Mi)

Punto Einaudi, p.zza San Giovanni 1, tel. 0342 - 615.517.

L’associazione Buon Mercato via Roma 15/a, tel. 02 - 440.84.92 (buonmercato.info).

a Bologna Modo infoshop, via Mascarella 24/b, tel. 051 - 58.71.012.

a Genova Libreria Finisterre, p.zza Truogoli di Santa Brigida 25, tel. 010 - 275.85.88.

a Roma Libreria Le storie, via Giulio

a Morbegno (So)

in Piemonte Negozio Leggero Torino, Novara e Saluzzo (Cn). Indirizzi su negozioleggero.it. Cooperativa “Il sogno diverso” di Arona (No), via Bottelli 18. novità a Palermo Bottega di Libera, p.zza Castelnuovo 13, tel. 091 - 322.023 Bar Libreria Garibaldi, p.zza Cattolica 1. | 018 | novembre 10

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avvista(menti) Potrà sembrare strano, ma anche sindaci e assessori si lasciano abbagliare dai luoghi comuni. E su questi costruiscono il loro programma: “L’edilizia è il volano dell’economia”, “I prati non servono, tanto vale costruirci”. Anni e anni di cemento, però, hanno esaurito lo spazio a disposizione e ora gli amministratori pubblici non sanno come risolvere i buchi di bilancio senza gli oneri di urbanizzazione. “Si sono comportati come lo scalatore che programma la salita sulla cima, ma non prevede come scenderne”, spiega Paolo Pileri, docente di Ingegneria del territorio al Politecnico di Milano. Insieme ad altri quattro colleghi -Andrea Arcidiacono, Luca Gaeta, Elena Granata e Gabriele Rabaiotti- Pileri proverà a smontare le certezze dei politici che parteciperanno il 26 e il 27 novembre alla Scuola di Alt(r)a amministrazione, organizzata nel capoluogo lombardo da Terre di mezzo e dall’Associazione dei comuni virtuosi. “Una gestione più attenta del territorio permette risparmi consistenti. Se ci sono in circolazione più bici che auto, i costi di manutenzione delle strade sono decisamente più bassi. Si tratta di investire su una mobilità diversa, sul lungo periodo rende molto”. Il corso è riservato solo ai politici: “Siamo convinti che l’università, tanto bistrattata con la riforma Gelmini, abbia qualcosa da insegnare anche a loro”.

la scuola dei politici virtuosi | testo | dario paladini | foto | francesco pistilli

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Mi leggi una storia?

fiabe moderne per crescere e sognare

Gabriella Kuruvilla, Gabriella Giandelli

quESTA NoN È uNA BABY-SITTEr

Agnès de Lestrade, Valeria Docampo

la grande fabbrica delle parole C’è un paese dove le persone parlano poco. In questo strano luogo, per poter pronunciare le parole bisogna comprarle e inghiottirle. Le parole più importanti, però, costano molto e non tutti possono permettersele. Il piccolo Philéas è innamorato della dolce Cybelle e vorrebbe dirle “Ti amo”, ma non ha abbastanza soldi nel salvadanaio. Al contrario Oscar, che è ricchissimo e spavaldo, ha deciso di far sapere alla bambina che un giorno la sposerà. Chi riuscirà a conquistare il cuore di Cybelle? Copertina rigida, 40 pagine - 15 euro

Mattia ha un papà italiano e una mamma, Ashima, che è nata in India e vive in Italia. È la classica mamma: a volte è adorabile, a volte è insopportabile. Ma questo è meglio non dirglielo. Oggi per Mattia è il primo giorno di scuola. Quando Ashima va a prenderlo all’uscita, però, lui la presenta ai nuovi amici come la sua babysitter... Un libro coloratissimo e divertente che racconta come, a volte, le cose sono diverse da quello che sembrano. Copertina rigida, 36 pagine - 12 euro

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a natale non regalargli

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