Terre di mezzo street magazine settembre

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settembre 2010 â‚Ź 3,00

Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, LO/MI Roserio.

ai lavori forzati caporali nomadi tra le campagne del meridione e operai edili vittima di tratta: sono loro il volto inedito del lavoro nero.

la repubblica degli schiavisti

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tantii auguri WHAT’S GOING ON

IL PROGRAMMA dieci giorni di lungometraggi e cortometraggi da tutto il mondo / una retrospettiva completa su Jim Jarmusch / la maratona di corti d’animazione / i documentari di Colpe di Stato / l’omaggio a Peter Watkins / il festivalino per i bambini / l’Immigration Day / concerti, dj set e feste al Parco Sempione / anteprime e ospiti internazionali… guarda il programma completo su www.milanofilmfestival.it

SPECIAL

il Milano Film Festival compie 15 anni: la festa è dal 10 al 19 settembre, al Teatro Strehler, Teatro Studio, Parco Sempione, Teatro Dal Verme, Acquario Civico.

ABBONATI con l’abbonamento ingresso a tutte le proiezioni, posto assicurato e niente coda prezzo speciale per i lettori di Terre di Mezzo: 25€ (presentatevi all’infopoint con questa copia del giornale)

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domande e risposte L

| notizie in circolo

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l’intervista A scuola di stile di Sandra Cangemi A tu per tu con Lucia Castellano, direttrice del carcere di Bollate.

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| editoriale | elena parasiliti

a risposta più educata è un fermo “no, grazie”. Conversazione liquidata, non c’è spazio per altro. E anche se ci fosse, lo sguardo sarebbe già corso via: alla birra ghiacciata, in attesa che il cameriere torni con il resto dei 10 euro. Milano, colonne di San Lorenzo, la movida estiva stordisce e travolge. Bianca si fa largo tra i tavoli con i suoi sette anni e una vocina esile. Se la storia finisse qui, non potrei biasimarmi. Anche io, come voi, mi sarei immaginata una mano tesa seguita dalla richiesta di soldi. Per un panino, il latte del fratellino, un elenco di miserie intollerabili anche per l’orecchio più sordo. Ma i soldi non sono tutto. Servono per vivere (e su questo non si discute), ma non sono l’unica risposta ai nostri bisogni. L’abbiamo scoperto da adolescenti, quando di fronte ai genitori che ci ripetevano “hai tutto” sbattevamo la porta della nostra camera, cercando altro. Quello che da adulti dobbiamo ancora imparare è che i soldi non sono l’unica domanda. Bianca quella sera chiedeva un gelato, non delle monetine. Un cono vero: due gusti, possibilmente. E che altro si può desiderare a sette anni con il termometro che segna i 32 gradi alle nove di sera? Un gelato, e quando insieme abbiamo aperto il frigo del bar, ho visto solo due occhi spalancarsi. Stupiti, riconoscenti. Saper ascoltare i bisogni dell’altro: un amico, un collega, un quartiere, un Paese. Solo così, con l’orecchio teso, può arrivare una risposta. E sarà quella giusta.

Hanno dita palmate che servono a planare dopo aver spiccato un balzo. Si appoggiano lievemente sulle questioni, nelle connessioni tra persone, luoghi e cose: sono i 13 soggetti che si occupano di coesione sociale nell’area tra il Naviglio Martesana e via Padova a Milano, attraverso il progetto triennale “Rane volanti”, sostenuto da Fondazione Cariplo. Ci siamo anche noi di Terre, con due attività che vi sveleremo nei mesi a venire: il “giornalista di quartiere” e il “Laboratorio di scrittura creativa per bambini”. La partenza per tutti sarà il 18 e 19 settembre con una festa all’Anfiteatro della Martesana, sede del progetto. Tenete d’occhio il sito: ranevolanti.org.

n. 016 settembre 2010 In copertina Nel foggiano, braccianti con le taniche per l’acqua donate da Msf. (Livio Senigalliesi)

www.terre.it

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LE STORIE DI TERRE Scimmie metropolitane di Barbara Ciolli Saltano ostacoli urbani per affrontare la vita: i patiti del parkour.

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fotoreportage urbano Selvatico a chi?! di Laura Radaelli Orfani o vittime dei cacciatori: anche gli animali hanno la loro clinica.

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LE STORIE DI TERRE Calici di sole di Antonella Lombardi In Sicilia, la cantina antimafia che vendemmia a energia solare.  | ALTERNATIVE POSSIBILI

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viaggiatori viaggianti Il giro del mondo in ventuno fermate di Michela Gelati Visitare 150 nazioni senza cambiare metrò? Succede solo a New York.

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LE STORIE DI TERRE Spazi pubblici recuperati di E. De Bernardi A Torino, ex bagni municipali diventano la Casa del quartiere.  | RISERVE mentali

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scrittori nel cassetto Una pura formalità di Miriam Mastrovito Quando l’occasione della vita è l’inizio della fine.

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Direttore editoriale Miriam Giovanzana miriamgiovanzana@terre.it

Redazione Andrea Rottini Dario Paladini redazione@terre.it

Ringraziamo per questo numero Carola Fumagalli, Davide De Luca, Ginevra Marino, Andrea Legni, Lorenzo Bagnoli, la redazione di Terre di mezzo editore, il magazzino e lo staff di Fa’ la cosa giusta! Progetto grafico Elyron.it

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l’inchiesta La repubblica degli schiavi di M. Perna e I. Sesana Caporali itineranti al soldo delle aziende agricole e operai edili segregati come prostitute: viaggio nel girone dantesco del lavoro nero.

Direttore responsabile Elena Parasiliti direttore@terre.it

Art director Antonella Carnicelli grafico@terre.it

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avvista(menti) La casa verde di Giulia Genovesi e Daniele Coppa L’unico condominio che resiste all’abbraccio del nuovo Pirellone.

Segreteria segreteria@terre.it Magazzino magazzino@terre.it Pubblicità segreteria@terre.it

Direzione e redazione Cart’armata Edizioni srl via Calatafimi 10, 20122 Milano tel. 02 - 87.36.56.01 fax 02 - 87.36.56.03 Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 566 del 22 ottobre 1994. Terre di mezzo è tra i promotori di International Network of Street Papers www.street-papers.org

Stampa Arti Grafiche Stefano Pinelli srl via Farneti 8, 20129 Milano Poste Italiane spa Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, DCB Milano Roserio.

1,50 euro del prezzo di questo giornale restano al venditore | 016 | settembre 10

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opinioni | giro d’italia | a cura di | ULDERICO PESCE

attacchi preventivi I

l primo giugno 2002, durante un discorso ai cadetti dell’accademia militare di West Point, il presidente Usa George W. Bush dichiarava al mondo: “Da ora in avanti la politica strategica degli Stati Uniti prevederà iniziative preventive. Le nostre forze armate devono essere pronte a colpire preventivamente in ogni angolo del mondo. L’unico modello di progresso umano è quello statunitense”. A queste parole seguì, nel marzo 2003, l’attacco militare all’Iraq di Saddam Hussein. I servizi segreti americani fecero credere al mondo che Saddam stava preparando un attacco biologico e chimico, ma le cosiddette “armi di distruzione di massa” non sono mai state trovat. Allora, qual era la verità? Nel 2000 l’Iraq decise, nello stupore generale, di adottare l’euro come moneta con cui regolare le sue forniture petrolifere. Il rischio di un “effetto domino” che avrebbe portato intere aree economiche sotto l’orbita dell’euro facendo perdere centralità al dollaro americano era da evitare con ogni mezzo. I fatti successivi parlano da soli: bambini e donne uccise, territori saccheggiati dai predatori americani. Ma andiamo all’Iran.

Gli Stati Uniti ancora una volta minacciano guerre preventive contro la “repubblica islamica” che si starebbe dotando di centrali atomiche. Ma la verità è un’altra, ancora una volta. Nel corso del 2005 il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, annunciò l’intenzione di creare una Borsa iraniana con sede sull’isola di Kish, nel Golfo Persico, che avrebbe trattato prodotti petrolchimici in euro e non più in dollari. Un progetto preoccupante per Washington, perché il fatto che oggi il petrolio venga venduto in dollari in sole due Borse, l’Ipe di Londra e il Nymex di New York, garantisce agli Stati Uniti la possibilità di finanziare gran parte del proprio ingente passivo. Sono passati cinque anni e la Borsa iraniana in euro è rimasta sulla carta: se venisse realizzata ne uscirebbe ridimensionato lo strapotere del dollaro e potrebbe trascinare il sistema economico statunitense in una crisi epocale. Cosa dobbiamo aspettarci? Un’altra guerra preventiva?

I giacimenti petroliferi di Rumala, a 420 km da Bagdad, Iraq. Il gas in eccesso viene bruciato. (Atef Hassan/Reuters)

≈ Ulderico Pesce, autore di teatro civile, dirige il Centro mediterraneo delle arti. Il suo sito: uldericopesce.it.

| il rovescio del diritto | a cura di | AVVOCATI PER NIENTE

clandestinità: la legge inutile I

sostenitori del reato di clandestinità erano convinti che avrebbe risolto il problema dell’immigrazione irregolare. L’articolo 10bis, del Testo unico sull’immigrazione, prevede una multa da 5mila e 10mila euro per chi viene fermato senza documenti, che il giudice di pace può sostituire con l’ordine di espulsione. “Avvocati per niente” ha consultato i giudici di pace di Milano per capire come stia funzionando l’applicazione della nuova norma. Abbiamo scoperto che nel capoluogo lombardo, dal 19 settembre 2009 a fine aprile 2010, sono stati avviati 115 procedimenti penali. Di questi 63 sono

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stati definiti con sentenza e solo in due casi la condanna pecuniaria è stata sostituita con l’espulsione. E gli altri? Assolti per le più svariate ragioni: c’era chi aveva una domanda di regolarizzazione pendente, in altri casi il Prefetto ne aveva già ordinato l’espulsione, oppure il reato è stato ritenuto di lieve entità. Il reato di clandestinità, dunque, causerà in un anno, a Milano e provincia, più o meno quattro espulsioni. Agli inventori della norma è infine sfuggito che la sostituzione della condanna con l’espulsione

può avvenire solo se lo Stato ha a disposizione i mezzi per eseguirla (un aereo, una nave) e se si è certi dell’identità del soggetto. Ma se vi fossero questi due requisiti, l’espulsione amministrativa disposta dal Prefetto sarebbe già sufficiente; il problema vero è che non ci sono abbastanza risorse economiche per portare a termine gli espatri. Dunque è confermato: il reato di clandestinità ha permesso a qualcuno di ottenere consenso popolare, ma è inutile e intasa gli uffici giudiziari. (Alberto Guariso) ≈ Avvocati per niente, associazione di legali impegnati nella difesa dei soggetti deboli. È promossa tra gli altri da Acli e Caritas. Per informazioni, avvocatiperniente.it.


| cassandra che ride | a cura di | PAT CARRA

| micro&macro | a cura di | LORETTA NAPOLEONI

la fiat, un’impresa parastatale A

Un manifestante della Fiom-Cgil, l’unico sindacato ad aver rifiutato la proposta del Lingotto. (Fotogramma)

≈ Loretta Napoleoni, economista

esperta di terrorismo, collabora con Bbc, Cnn, El Pais, Le Monde e The Guardian. Il suo sito: lorettanapoleoni.com.

giugno, una nuova puntata della telenovela “Globalizzazione” vede scatenarsi in Occidente una guerra tra poveri: Polonia e Italia si contendono la produzione della nuova “Panda”. Un casus belli che nasconde tensioni industriali e nazionali all’interno dell’Europa unita, che potrebbero esplodere un po’ dovunque. Conviene allora rivedere questa vicenda da una visuale diversa Sebbene la produzione della Panda sia stata progettata ed in parte anche già avviata in Polonia, Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, ad un tratto cambia idea e decide di spostarla nello stabilimento di Pomigliano d’Arco, in Campania. Ma il cambio d’indirizzo è tutt’altro che facile. La Fiat impone ai 5mila dipendenti e ai 7mila operai dell’indotto di firmare un contratto che de facto abroga parzialmente lo statuto dei lavoratori e che va ad infrangere l’articolo 41 della nostra Costituzione. E mentre in Italia si scatena un braccio di ferro tra azienda e Fiom, unico sindacato che si rifiuta di firmare gli accordi, gli operai polacchi della Fiat vengono a conoscenza del problema dalla stampa internazionale. Non solo il loro Governo di Varsavia ha taciuto, ma il loro ministro dell’Economia ha persino negato che la Fiat abbia mai comunicato l’intenzione di spostare la produzione in Polonia. Un

bel pasticcio, anche perché la Fiat ha ottenuto grosse agevolazioni e ingenti finanziamenti dall’Unione Europa per avviare la produzione in quel Paese. I polacchi rimangano letteralmente sbigottiti di fronte a questo comportamento: secondo loro, il repentino cambiamento non sarebbe dovuto a una convenienza economica. Si tratterebbe semmai di un’operazione “politica”. Che senso ha trasferirsi dallo stabilimento di Tychy, che funziona bene, a quello di Pomigliano che presenta tanti problemi? Senza contare il costo dell’operazione, quei 700 milioni di euro, che superano (e di molto) l’investimento in Polonia. Forse i polacchi hanno ragione. Le condizioni imposte ai lavoratori di Pomigliano e avvallate dal Governo italiano mettono a nudo la debolezza dell’impresa e di chi ci governa. Negli ultimi vent’anni, in cui il costo del capitale e quello del lavoro hanno conosciuto un’unica direzione, verso il basso, si sono dimostrati incapaci di avviare una vera riconversione industriale: la Fiat ha infatti rimpinguato i profitti delocalizzando il lavoro o attingendo ai forzieri dello Stato. Oggi cerca competitività riscrivendo la Costituzione e confermando ciò che molti pensano da decenni: la Fiat non è un gigante del capitalismo, ma un’impresa parastatale. | 016 | settembre 10

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made in Italy

i nuovi italiani si raccontano

| a cura di | Andrea Rottini

La città vista dai G2 La letteratura sfida l’intolleranza. A Prato gli immigrati sono spesso bersaglio di discriminazioni. Per questo, la Provincia dedica ai figli di immigrati un concorso letterario: “La città vista e vissuta”. Saggio, poesia o racconto poco importa. Conta la biografia dell’autore: nato in Italia da genitori stranieri, deve avere meno di 30 anni e aver frequentato le scuole toscane. Le informazioni sono reperibili sul sito provincia.prato.it. Le iscrizioni sono aperte fino al 31 ottobre. In palio, mille euro e la possibilità di essere pubblicati sui giornali locali. E far sentire, finalmente, la propria voce.

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“Racconti di intercultura”, la mostra realizzata dagli studenti stranieri del liceo artistico Boccioni di Milano. A sinistra, “La casa di Amira” di Dora Luna Mazzei. Gli altri scatti sono di Sagar Khaleghpoor: “Untitled#3” (Libertà d’espressione) e “Occhi”, dove compare una frase cara alla religione zoroastriana, propria dell’antica Persia: “Gli occhi degli invidiosi e delle persone cattive vadano all’inferno!”.

come diventare giovani italiani È

stato bello con i miei amici e voglio che loro vengano anche l’anno prossimo”. Sembrano i saluti dell’ultimo giorno di vacanza, scritti sul diario la sera prima di tornare a scuola. Invece sono le parole di un ragazzino egiziano che la scuola non vede l’ora di cominciarla. Ahmed, nome di fantasia, è uno degli undici bambini tra gli 11 e i 14 anni, tutti appena arrivati in Italia, che hanno seguito il laboratorio estivo di italiano, propedeutico all’ingresso nella scuola media, organizzato dall’istituto Bva - Beata Vergine addolorata di Milano, da 200 anni impegnato nel sostegno del disagio minorile e familiare (ibva.it). “È un’esperienza che facciamo da tre anni -spiega Marco Musso, uno dei due insegnanti responsabili del laboratorio-. Abbiamo due classi: una per i neoarrivati dove viene insegnato un italiano di base, la seconda è invece dedicata a chi ha già frequentato una scuola di italiano e ha bisogno di un rinforzo delle competenze linguistiche”. Dieci incontri di due ore ciascuno a cui quest’anno hanno partecipato una ventina di ragazzi, undici dei quali sono nel nostro Paese da poche settimane, come Ahmed. “Sono arrivati tra aprile e maggio e non hanno potuto

essere inseriti nell’anno scolastico in corso”, dice Musso. Così, in attesa di accoglierli a settembre, le scuole mandano i ragazzi a seguire corsi come quello del Bva, presenti su tutto il territorio provinciale anche durante l’anno scolastico grazie al progetto “Non uno di meno” avviato nel 2009 con un finanziamento della Provincia di Milano. Un’iniziativa gestita dal centro “Come” e rilanciata anche per il prossimo anno, ma questa volta con un accento sull’educazione alla cittadinanza e alla Costituzione, a cui i giovani stranieri si potranno avvicinare con il libro “Passaporto per l’Italia” di Bettinelli e Russomando (Vannini editrice). Un tema importante anche per la cordata di esponenti della società civile, associazioni e comunità straniere della città che, sempre a Milano, hanno organizzato “Costituzione per i nuovi cittadini italiani”. Al primo ciclo di sei incontri, tra gennaio e marzo, hanno partecipato 250 persone di diverse nazionalità, tra cui anche qualche italiano. “Al termine del corso -dicono gli organizzatori-, grazie al contributo della Provincia abbiamo regalato la Costituzione, tradotta a fronte in 14 lingue”. A inizio 2011 si replica, con la collaborazione di alcuni consolati (costituzionepernuovicittadini@gmail.com).


in breve | Infanzia felice

una buona stella contro il terremoto

C Giugno 2010: delegazione del Forum antiusura in visita alla Regione Veneto.

In Italia, banche usuraie I veri usurai? Sono le banche, almeno in 15 regioni su 20. A sostenerlo, l’associazione Sos utenti che difende i consumatori e gli oltre 700 imprenditori iscritti al Forum nazionale antiusura bancaria. Secondo le loro stime (rielaborate sui dati di Bankitalia), le banche italiane esigono dalle piccole imprese familiari un tasso medio dell’8,08 per cento sui prestiti, contro il 7,91 (massimo) previsto per legge. La maglia nera spetta alla Campania (9,23 per cento), mentre il titolo di più virtuosa va al Trentino (5,59). “Nel 2010 l’usura bancaria ha già causato 20 suicidi -ricorda Gennaro Baccile, presidente della onlus-: persone che la giustizia non ha tutelato”. (A.L.)

ome il peggiore degli incubi, arriva a disturbare i loro giochi di bambini. Questa volta non si tratta dell’uomo nero o dell’orco cattivo, a far paura ai piccoli abruzzesi è sempre e soltanto il terremoto. Uno su cinque soffre infatti di “sindrome postraumatica da stress”: stati d’ansia, difficoltà ad addormentarsi, ipervigilanza. E c’è chi continua a rivivere la notte del 6 aprile e il dramma del crollo una o più volte al giorno. A dirlo, un’indagine promossa dai Ministri degli Infermi (i religiosi Camilliani, ndr), in collaborazione con la Caritas e i pediatri della regione che hanno somministrato i questionari alle famiglie dei loro 7mila pazienti, dai 3

ai 14 anni. Come è facile intuire, i più colpiti sono i bambini dell’Aquila, epicentro del sisma. “In particolare quelli dai 6 anni in su -commenta Stefano Vicari, responsabile del reparto di Neuropsichiatria infantile del Bambin Gesù di Roma che ha coordinato la ricerca-. In provincia la percentuale dei casi scende al 10 per cento”. In aiuto di bambini, famiglie e pediatri è arrivata però una buona stella. È stata inaugurata a La Torretta, vicino l’Aquila, “La casa stella polare”: un centro di diagnosi e cura gestito dai Padri Camilliani, ma anche di formazione per i medici e di aggregazione per tutti. Dove superare la paura, e continuare a cresce sereni. (Andrea Legni)

| c’è chi dice no | attivisti antimafia

night per teenager periferia di milano: un locale per adulti in mano alla mafia diventa un centro giovanile.

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areti rosa confetto, telecamere per sorvegliare i clienti e un nome malizioso: il “Pink rabbit” doveva essere un minuscolo night club della periferia di Milano. Doveva, perché il proprietario, un trafficante di armi e droga, è finito in manette prima di poter inaugurare i 70 metri quadrati al quartiere Turro, subito chiusi dalla Polizia. Oggi, questo piccolo spazio è gestito dai giovani volontari della cooperativa Arché. “Nel 2008 abbiamo partecipato al bando comunale per l’assegnazione di alcuni beni confiscati alla criminalità organizzata -racconta Jacopo Dalai, psicologo e responsabile della sede milanese di Arché-. Ci hanno consegnato le chiavi nel luglio 2009 e ci siamo subito rimboccati le maniche”. Un anno di lavori e un investimento di 30mila euro hanno radicalmente trasformato l’ambiente: l’arredamento trash ha ceduto il passo a pareti colorate, mobilia semplice e a uno spesso strato di materiale isolante

“per permettere ai ragazzi di sfogarsi con la batteria”, spiega Elena Morabito, educatrice volontaria. Il “coniglietto rosa” è diventato così “Frequenze a impulsi”, una “factory creativa” dove i ragazzi dagli 11 ai 16 anni col pallino della musica possono coltivare le proprie passioni. “Abbiamo trasferito qui le attività che svolgevamo in una scuola del quartiere Maggiolina (Nord Milano)”, racconta il responsabile. Dal 2000, infatti, Arché promuove progetti che hanno al centro i giovani e la creatività. “Siamo l’equivalente delle polisportive dell’oratorio -dice Jacopo-: a metà strada tra il professionismo e le partitelle ai giardinetti”. Un’opportunità che a Milano non c’era. E con la ripresa delle scuole, anche le attività della “factory” entrano nel vivo: per gestire lo spazio e animare i pomeriggi dei più piccoli è già al lavoro un gruppo di giovani volontari (tutti intorno ai vent’anni). “Sono

i ragazzi che abbiamo conosciuto in questi anni grazie al progetto -spiega ancora Jacopo Dalai-: continuano a seguirci e credo siano contenti ora di poterci dare una mano. Per questo, abbiamo organizzato per loro un piccolo corso di formazione”. (Ilaria Sesana) | 016 | settembre 10

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Sorridente e decisa (nell’applicare la legge), Lucia Castellano ha trasformato milano-Bollate in un carcere Innovativo.

a scuola di stile

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| testo | Sandra Cangemi | foto | alice leandro

| L’intervista

uesto lavoro non è un ripiego. Ho sempre desiderato farlo”. Sorprende Lucia Castellano. Perché il lavoro di cui parla è dirigere un carcere: Milano-Bollate, 1.050 detenuti (solo 50 le donne, “spesso abbandonate dalle famiglie”), noto per lo stile innovativo. “Mi limito ad applicare la legge”, precisa. A cominciare dall’articolo 27 della Costituzione: “Le pene non possono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Un buon punto di partenza. Come lo sono la Riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975, la legge Gozzini dell’86 e il regolamento degli Istituti di pena del 2000: al centro c’è il detenuto e il suo reinserimento nella società attraverso il lavoro, lo studio e le misure alternative. Norme che spesso non vengono applicate.


Perché? Occorre fare i conti con la mancanza di personale, il sovraffollamento e il turnover dei detenuti in attesa di giudizio. Il mio compito è facile: ho carcerati condannati in via definitiva.

Diminuirebbe così il numero dei detenuti? Chi lavora o sconta la pena all’esterno torna a commettere reato solo nel 19 per cento dei casi, contro il 68 di chi resta in cella fino all’ultimo giorno.

Anche se dopo l’indulto del 2006 il numero dei ristretti è tornato a livelli preoccupanti: a fine giugno sono oltre 68mila, a fronte di una capienza complessiva di 44.592. Ci sono leggi che riempiono le nostre galere: il pacchetto sicurezza, la Fini-Giovanardi sulla droga e soprattutto la ex Cirielli che accresce di un terzo le pene ai clandestini. Il sovraffollamento è frutto di politiche criminali basate sulle emozioni suscitate ad arte nella gente. Bisognerebbe legiferare su fatti reali, tenere il carcere come estrema ratio e usare le misure alternative.

A Bollate i carcerati sono liberi di muoversi, eppure al suo servizio ha solo 390 agenti di polizia penitenziaria. Com’è possibile? Chiediamo ai detenuti di responsabilizzarsi: la prigione dev’essere un luogo che produce e garantisce tutta la libertà consentita dal muro di cinta. Non significa un regime indulgente, al contrario. In un certo senso, sovvertite un codice non scritto dove forza e potere vincono su tutto. Se vogliamo educare al rispetto delle regole, non possiamo proporre un modello basato sulla violazione dei diritti, l’asservimento, i ricatti e i favoritismi. Dobbiamo tutelare la dignità dei detenuti e offrire loro opportunità di crescita. Per questo abbiamo scuole di ogni grado, corsi della Regione e un polo universitario coordinato dalla Bicocca con dieci studenti. Ma a fare la differenza è il lavoro. Non è né un privilegio né un premio, ma un diritto e un dovere. Una conquista graduale. Qual è l’iter? Si inizia col lavoro interno: lo spesino, il porta-vitto, l’imbianchino, il cuoco, l’addetto alle pulizie. In questo modo siamo in grado di valutare la capacità di ognuno di affrontare gli impegni. Si prosegue poi con il lavoro “dentro”, ma alle dipendenze di ditte esterne: oggi gli impiegati sono 250 tra call center, vetreria e trattamento dati. Il vostro fiore all’occhiello sono comunque le cooperative sociali. Cinque realtà nate in carcere: falegnameria, catering, serra, legatoria e grafica, sartoria. Tra i soci lavoratori ci sono persone libere e una trentina di detenuti: una volta scontata la pena si può continuare a lavorare. E i clienti? Il più grande è ancora l’amministrazione carceraria. Appaltano loro alcuni servizi prima affidati all’esterno, come la mensa. I risultati si vedono: si mangia meglio, nessuno fa più la “cresta” e gli accordi sono rispettati alla lettera. Ultima tappa: il lavoro esterno. Il passo più complesso: abbiamo un gran bisogno di aziende che assumano detenuti. Per ora, trenta lavorano a turno in un’azienda municipalizzata, otto sono al canile e altri presso privati. Un peccato che siano così pochi. I vantaggi per le imprese non mancano: la paga è sindacale, ma gli oneri sono defiscalizzati.

Lucia Castellano Napoletana, 46 anni, avvocato: la sua carriera inizia nel 1991, come vicedirettore del Marassi di Genova. Ha poi lavorato a Eboli dove ha sperimentato una forma di carcere-comunità. Ha tenuto corsi alla polizia penitenziaria e seguito i tossicodipendenti di Secondigliano (Na). Da 8 anni dirige la casa di reclusione di Milano-Bollate. Con la giornalista Donatella Stasio ha scritto “Diritti e castighi” (Il saggiatore).

Qualche problema in più l’avrete con i detenuti senza permesso di soggiorno... Molti troverebbero datori di lavoro disposti ad assumerli, ma la legge glielo impedisce. Un problema che stiamo affrontando con l’aiuto di una commissione di detenuti immigrati: vorremmo garantire loro un rientro “onorevole” nel Paese d’origine. Con un po’ di soldi in tasca. I detenuti quindi partecipano alle decisioni? Sì, abbiamo 224 delegati eletti dai carcerati. Gestiscono le strutture dei reparti, le graduatorie per le celle singole e per il lavoro interno. Ci sono persino una commissione cultura e uno sportello giuridico con detenuti “esperti” coadiuvati da giuristi. Che cosa ha imparato a Bollate? A non giudicare mai e a “separare” la persona da quello che ha fatto. Un esercizio difficile, che siamo chiamati a fare tutti. Specie con i sex offender, condannati per reati sessuali. Qui, a Bollate, vivono accanto ai detenuti “normali”. Altrove non sarebbe possibile. Qualcuno torna a trovarvi? C’è chi ci scrive e chi viene a presentarci la moglie o a portarci le bomboniere. E lei, come concilia la vita privata con un lavoro così totalizzante? Sono divorziata e senza figli, ma queste sono scelte personali che non c’entrano con il lavoro. Certo, ho maggior libertà: sto in ufficio dalle 9 alle 18, sono reperibile sempre (anche in vacanza), e cerco di far conoscere il più possibile il “modello Bollate”. Non mi pesa: c’è dentro tanta passione. È vero che dà del lei a tutti i detenuti e li chiama “signora” e “signore”? Certamente. Ma a Bollate lo facciamo tutti. | 016 | settembre 10

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caporali migranti | testo | massimiliano perna | foto | Francesca Leonardi

fanno la spola tra puglia, sicilia e calabria. Al soldo degli imprenditori agricoli in cerca di braccianti.

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è un caporale del Mali che si sposta tra Calabria e Puglia. Lo conosciamo bene, più volte abbiamo lavorato per lui”. Pacato e gentile, in t-shirt e pantaloni lunghi, Coulibaly parla con una voce impostata che tradisce la sua passione per i libri: quando può legge testi in francese con la traduzione a fronte in italiano. Ma l’aria da intellettuale non deve ingannare, questo maliano di 37 anni, in Italia dal 2008, è uno dei braccianti fuggiti da Rosarno (Rc) dopo la rivolta del 7 gennaio scorso. Oggi, insieme a Idrissa e Adam, due connazionali, si trova a Siracusa per rinnovare il permesso provvisorio di soggiorno. Nel frattempo, lavora in nero nei cantieri o come giardiniere. “È difficile denunciare -ammette Coulibaly-: abbiamo troppa paura della polizia e di non lavorare più. E non possiamo permettercelo”. Alcuni dei “colleghi” che erano a Rosarno con lui sono stati più coraggiosi e hanno fornito alla magistratura i recapiti telefonici dei caporali che li reclutavano nelle campagne calabresi. Ha preso così il via l’inchiesta “Migrantes”, condotta dalla Procura di Palmi, che il 26 aprile ha portato all’emissione di 31 ordini di custodia cautelare e al sequestro di 20 aziende e 200 terreni, per un valore complessivo di circa 10 milioni di euro. Nella rete della giustizia sono finiti 22 imprenditori agricoli e nove caporali: quattro marocchini, due egiziani, due algerini e un sudanese. Tre di loro, però, non sono stati arrestati a Rosarno, ma in altre località del meridione, dove si erano spostati per continuare a fare il loro “mestiere”. È questa la novità che emerge dalle indagini, confermata anche dai tre maliani di Siracusa: i caporali “migrano” seguendo il flusso dei braccianti stagionali e costruendo 8

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| L’inchiesta

rapporti fiduciari con gli imprenditori. “Nomadi” dello schiavismo che, secondo i magistrati, operano tra Rosarno, Villa Literno (Caserta), Palagonia (Catania), Cassibile (Siracusa). E, a quanto pare, anche nel foggiano, dove Coulibaly e i suoi amici hanno testimoniato di aver incontrato lo stesso caporale conosciuto nella cittadina calabrese. Di solito gli schiavisti sfruttano i propri connazionali, che molto spesso conoscono e incrociano nelle diverse campagne del Sud. “Primule rosse” che hanno dato filo da torcere agli inquirenti: “Senza le intercettazioni sarebbe stato impossibile -afferma Giuseppe Creazzo, procuratore di Palmi-: difficilmente i migranti avrebbero potuto identificare con nome e cognome caporali e proprietari terrieri. Invece, grazie ai numeri di telefono che ci hanno fornito, abbiamo potuto controllare i sospettati e inchiodarli”.

All’ombra della mafia. In cambio di 8 euro

Nonostante gli arresti siano avvenuti in zone ad alta densità mafiosa, per ora non sembra ci sia una vera regia della criminalità organizzata dietro gli spostamenti dei caporali, che appaiono solo come immigrati più scaltri e con meno scrupoli degli altri, in grado di conquistare la fiducia degli imprenditori agricoli italiani.

I giacigli degli invisibili Le immagini di queste pagine sono tratte dal progetto “Bed dreams” di Francesca Leonardi. La fotografa ha ritratto i luoghi in cui dormono i rifugiati che arrivano nel nostro Paese (37mila persone nel solo 2008): sgabuzzini di vecchie scuole, ospedali in disuso, fattorie abbandonate come quella di Rignano Scalo (qui accanto). Per vedere il lavoro completo: francescaleonardi.net.


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L’improvvisata “stanzetta” di un raccoglitore di angurie in una fattoria a Rignano Scalo (Foggia).

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Se i meccanismi del loro reclutamento da parte di ’ndrangheta e camorra sono ancora tutti da chiarire, sul campo il loro metodo di “lavoro” è sempre lo stesso: “Al mattino presto ti scelgono, ti infilano in un’auto o in un furgone (anche in 15, con quattro persone stipate nel bagagliaio, ndr) e ti portano nei campi. Devi pure pagare 5 euro per il passaggio e si lavora fino alle 18” racconta ancora Coulibaly. Nel foggiano, ad esempio, per la raccolta dei pomodori i caporali ricevono dall’imprenditore 8 euro a cassone, di questi 3 euro vanno al bracciante. Ma non sempre la giornata è fruttuosa: “Se il pomodoro è buono e tu sei rapido e fortunato, riesci a riempire fino a dieci cassoni e guadagnare 30 euro -spiega-. Se il raccolto è guasto, metti da parte non più di 9 euro”. La busta paga arriva a fine mese, ma

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capita anche che il tuo datore di lavoro sparisca: “E così hai lavorato gratis”.

Cassibile, la nuova Rosarno

Uno degli schiavisti itineranti, un sudanese di 39 anni, è stato arrestato a Cassibile, piccola frazione agricola di 4mila abitanti, 14 km a Sud di Siracusa. Qui, tra fine febbraio e fine giugno arrivano gli stagionali per la raccolta di patate, fragole e lattuga: dalle 350 alle 450 persone. Ogni mattina alle 5 la via principale si popola dei furgoncini dei caporali, per la maggior parte marocchini, pronti a scegliere le braccia da lavoro. Come a Rosarno, anche a Cassibile i rapporti fra braccianti e popolazione locale sono molto tesi. In maggio un rifugiato eritreo è stato malmenato da un balordo italiano


davanti a decine di persone per un presunto sguardo di troppo rivolto a una ragazza. Il clima di tensione, alimentato anche dai rappresentanti politici locali, ha favorito la violenza di chi si sente legittimato a far capire che a Cassibile i niuri, come vengono chiamati i migranti da queste parti, non ce li vogliono. Episodi di intolleranza e violenza non denunciati alle autorità sono all’ordine del giorno, in tutta Siracusa: insulti, schiaffi, minacce, pietre lanciate da motorini in corsa. La gente del posto vuole che i braccianti siano invisibili, e non è una novità: nel giugno 2006 anonimi appiccarono un incendio ai ripari di fortuna costruiti dai lavoratori con cellophane e tende sotto i rami degli alberi.

Un posto letto all’hotel Sudan

Forse il problema più grave è proprio questo: per gli stranieri a Cassibile non c’è posto. Il 22 gennaio scorso Prefettura, Comune, Provincia e le associazioni dei datori di lavoro (Coldiretti, Federcoltivatori, Unione provinciale agricoltori e Confederazione italiana agricoltori) hanno siglato un protocollo: gli imprenditori si sono impegnati a fornire un alloggio e un contratto regolare allo stagionale assunto, le istituzioni ad allestire una tendopoli di “transito” per gli immigrati appena giunti a Cassibile, in attesa che trovino un’occupazione. “Le aziende agricole hanno disatteso completamente gli accordi”, denuncia Paolo Zappulla, segretario generale della Cgil di Siracusa. Ad accogliere i lavoratori è rimasta solo la tendopoli della Croce Rossa: 120 posti letto, riservati a chi ha i documenti in regola. Gli altri si devono arrangiare, costretti a dormire a terra in uno dei tanti casolari diroccati o nei campi, sempre sotto la minaccia di ritorsioni e denunce per occupazione abusiva. “Cassibile è un paese da sorvegliare”: queste le parole usate dal ministro dell’Interno Roberto Maroni in un’intervista rilasciata dopo i fatti di Rosarno, alla quale è seguita la richiesta di maggiori controlli delle forze dell’ordine da parte del Prefetto di Siracusa. “Ogni giorno i carabinieri vengono a dirci di andar via da qui e di chiedere assistenza al campo della Croce Rossa -racconta Said, uno dei rifugiati che dorme all’hotel Sudan, un casolare occupato-. Io ci sono andato, ma mi hanno detto che non c’era posto. Qui almeno ho un tetto”. Gli sfruttatori, intanto, girano indisturbati per le vie centrali del paese.

non incolpare solo gli agricoltori -precisa Massimo Franco, presidente della Confagricoltura di Siracusa-, fermo restando che i comportamenti illegali vanno severamente puniti”. Intanto a farne le spese sono i braccianti, pagati poco se non sfruttati. Mentre i controlli latitano. Eppure, un modo per assumere gli immigrati in regola ci sarebbe: ogni anno il Governo stabilisce con un decreto quanti stagionali stranieri possono essere chiamati per le raccolte. La quota assegnata alla provincia di Siracusa per quest’anno è di 1.200 persone. Peccato che i datori di lavoro possano presentare domanda solo dal 21 aprile al 31 dicembre 2010. A Cassibile però la stagione nei campi inizia a febbraio e finisce a luglio. Una trappola burocratica che rende inutilizzabile il sistema dei flussi, senza contare che fra la presentazione della domanda e il nulla osta della Questura passano dei mesi. Così, non resta che reclutare la manodopera in piazza: da febbraio a giugno a Cassibile o nella Piana del Sele, in provincia di Salerno; da giugno ad agosto a Pachino, Foggia e Latina; da agosto a ottobre ad Alcamo (Trapani) e nella Valle del Belice; da novembre a febbraio nella piana di Gioia Tauro. Un esercito di braccia in continuo movimento, seguito dal passo avido dei caporali.

Lo sgabuzzino di una vecchia scuola, occupato da rifugiati somali in centro a Firenze.

Il gioco perverso dei flussi stagionali

I cittadini di Cassibile sostengono che a loro gli immigrati non servono perché c’è già troppa disoccupazione tra gli italiani. E invece degli stranieri c’è bisogno: nella provincia di Siracusa ci sono importanti colture stagionali ed è difficile trovare nostri connazionali disposti a piegare la schiena sotto il sole. Le aziende agricole di piccole e medie dimensioni sono quelle che ricorrono di più al caporalato, strozzate dalla concorrenza dei produttori stranieri e dai gruppi economici che controllano i mercati ortofrutticoli e impongono i prezzi. “Bisogna verificare l’insieme delle responsabilità e | 016 | settembre 10

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le “prostitute” del mattone | testo | ilaria sesana | foto | Francesca Leonardi

Per pagare il debito del viaggio in italia, lavorano nei cantieri sotto la minaccia di ritorsioni e denunce.

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lcuni fanno capolino sulle impalcature dei palazzi, altri sfiorano le scrivanie degli impiegati mentre puliscono i loro uffici. Invisibili e silenziosi, i nuovi schiavi vivono accanto a noi, spesso privati dei diritti fondamentali. Qualcuno viene addirittura “incatenato” al suo padrone, dal quale subisce vessazioni e angherie sinora riservate al mondo della prostituzione. Come Kamil, che per arrivare a Milano ha dovuto sborsare 8mila euro a un “amico” in cambio di un visto turistico. “Metà subito, in Egitto, il resto in Italia”, gli avevano detto. Ad accoglierlo, al suo arrivo, un “imprenditore” che lo ha arruolato prima come manovale nei cantieri, poi come addetto alla pulizie. Ovviamente tutto in nero. “Mi dava quello che voleva lui: poche centinaia di euro al mese, il resto lo teneva per ripagare il viaggio”, dice il giovane egiziano, che come molti altri migranti ha pagato di tasca propria questa trasferta maledetta: dai 2 ai 10 mila euro. “Soldi che non finiscono mai di restituire -spiega Alessandro De Lisi, consulente della Commissione parlamentare antimafia-: il tasso d’interesse viene deciso giorno per giorno”. Non solo: scaduto il visto turistico, Kamil si è visto sottrarre persino il passaporto e soltanto un anno dopo, approfittando del decreto flussi 2007, è riuscito a farsi regolarizzare dal suo “padrone”. Ma il taglieggiamento è continuato come se nulla fosse: ogni mese un terzo del suo stipendio, versato in contanti, ritornava nelle tasche del suo sfruttatore anche se la busta paga era formalmente corretta, con contributi regolarmente versati. “Quando ha capito di aver lasciato troppi soldi a questo signore, Kamil ha

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iniziato a protestare e si è rivolto al sindacato -racconta Geber Shawki, egiziano, da nove anni funzionario Fillea-Cgil alla Camera del lavoro di Milano-. Secondo i nostri calcoli, il datore di lavoro gli ha estorto circa 35mila euro”. Una vicenda simile a quella di Kamil è capitata a Paula: arrivata in Italia dal Brasile ancora minorenne, avrebbe dovuto studiare, inserirsi nel nostro Paese e, in cambio, dare una mano nei lavori domestici a un’amica della madre sposata con un italiano. Invece, “per tre anni è stata utilizzata come colf da questa famiglia che la teneva segregata in casa: è stata minacciata e le sono stati sequestrati i documenti”, dicono i responsabili del progetto “Oltre la strada”, promosso dalla Regione Emilia Romagna per l’assistenza, la protezione e l’integrazione sociale delle vittime di sfruttamento lavorativo.

Il ritorno dei lavori forzati

Secondo il rapporto 2007 del Comitato tratta (istituito presso il dipartimento Pari opportunità), storie come quelle di Kamil e Paula hanno tutti gli elementi per entrare a pennello nella definizione che l’Organizzazione internazionale del lavoro dà del concetto di “lavoro forzato”. Vicende in sordina che faticano a venire alla luce, anche se il trend delle denunce è in crescita. Da gennaio a maggio 2010, il numero verde nazionale antitratta (800.290.290) ha ricevuto 180 chiamate. “Nel 2009 sono state 550, oltre 400 per sfruttamento sessuale, ben 80 per sfruttamento lavorativo -sintetizza un operatore-, ma siamo solo all’inizio”. Eppure le denunce all’autorità giudiziaria sono poche. “Anche quando andiamo a fare le ispezioni nei cantieri non riusciamo a incon| L’inchiesta

trarli -spiega Franco De Alessandri, segretario generale della Fillea-Cgil in Lombardia-. Chi li manovra fa leva sulla loro paura e ci dipinge come un potenziale pericolo”. Qualche caso, anche clamoroso, comunque è stato scoperto. Nel 2008 tre moldavi hanno denunciato la Italedil di Reggio Emilia. “Erano stati assunti regolarmente ma le spese per il viaggio e i documenti venivano scalate dagli stipendi e alla scadenza del permesso di soggior-


Roma: l’ormai famosa “fossa” presso la stazione Ostiense dove i profughi afghani hanno ricavato una serie di baracche.

no, hanno chiesto loro altri soldi per il rinnovo -spiega Giovanna Bondavalli del progetto Oltre la strada-. Lavoravano per 200 euro al mese e la regolarizzazione veniva sempre rinviata”. Analoghe le vessazioni subite da una novantina di lavoratori egiziani e algerini reclutati dal caporale che procacciava manodopera per la Italedil. I tre titolari dell’impresa e il caporale sono stati arrestati per associazione a delinquere finalizzata all’introduzione e alla permanen-

za di clandestini, estorsione e utilizzo di manodopera irregolare.

Un reato che costa poco

Ma le analogie con il mondo della prostituzione non finiscono qui. “Questi lavoratori non si ribellano anche perché sanno che i loro familiari, rimasti nei Paesi d’origine, rischierebbero di essere sottoposti ad abusi e violenze”, ammette Battista Villa, segretario della Filca-Cisl Lom-

bardia. Immigrati irregolari, arrivati dal Niger e dalla Repubblica Centrafricana, dal Marocco e dall’Egitto, dai Paesi dell’Est Europa. A gestire il viaggio sono la mafia nigeriana e quelle libicomarocchine, sempre in stretta collaborazione con la ’ndrangheta. È soprattutto nei cantieri che si concentra il fenomeno: sono infatti edili il 59 per cento dei 173 utenti in carico al progetto Oltre la strada. “Fantasmi” che fanno comodo soprattutto a chi fa affari sporchi. “Chi andrebbe a fare uno scavo per seppellire lastre di eternit, se non un nigeriano disperato?”, chiede provocatoriamente Villa. Le denunce, però, sono poche, gli uffici degli ispettorati del lavoro non hanno forze sufficienti per i controlli e gli schiavisti si confondono facilmente tra i “semplici” caporali che reclutano i lavoratori, organizzano gli spostamenti e pagano gli stipendi. Tre euro all’ora o poco più, contro i 22 euro per un’ora di lavoro in un cantiere in regola. La differenza finisce in parte nelle tasche del caporale, in parte sparisce sotto forma di contributi non versati e risparmio per le aziende appaltatrici e sub-appaltatrici. Per spezzare il filo rosso che lega le grandi organizzazioni criminali ai caporali, i sindacati chiedono di equiparare il reato di caporalato a quello di tratta degli esseri umani. Attualmente i caporali sono puniti con una multa di 50 euro (come prevede il decreto legislativo 251/2004) e non ci sono sanzioni per i datori di lavoro. “Il caporalato deve diventare un reato penale perché è un delitto di tipo associativo –conclude il segretario della Filca– e per gli imprenditori deve esserci il reato di concorso esterno”. | 016 | settembre 10

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scimmie metropolitane Crescono anche in italia gli appassionati di parkour. Saltano tra i palazzi per affrontare meglio la vita. | testo | barbara ciolli | foto | alessia gatta

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obborgo parigino di Lisses, fine anni Ottanta, settemila anime di periferia dove si conoscono tutti. Per gioco nove ragazzi iniziano la loro personale “corsa a ostacoli”, in francese parcour: con costanza imparano a superare mura e cancelli, scivolando via sul cemento come Tarzan nella giungla. Si fanno chiamare Yamakasi, in bantu “forti di corpo e di spirito”, e arrivano a balzare come felini sui cornicioni, sospesi nel vuoto tra un palazzo e l’altro. Persino il regista Luc Besson se ne innamora, corteggiandoli per i suoi film. Oggi i leggendari ragazzi di banlieue sono cresciuti, mietendo migliaia di adepti. I video di parkour (con la “k” a effetto, ndr) imperversano su Youtube e non c’è settimana che i traceurs, “tracciatori di percorsi”, non si ritrovino in giro per l’Europa, in vista del rituale pellegrinaggio a Lisses, la loro Mecca. Anche in Italia i raduni si susseguono: Genova, Roma, Milano. Ma più che a spettacolari esibizioni si assiste a duri allenamenti in piazze e giardini pubblici, dove giovani dai 16 ai 40 anni scolpiscono i loro fisici già atletici con salti, flessioni e capriole.

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A maggio si sono dati appuntamento a Novara e dintorni, dove l’associazione Parkour Italia (www.apki.it), grazie a un finanziamento della Provincia e al sostegno dell’associazione Samsara, ha organizzato degli stage gratuiti nei fine settimana. Decine gli iscritti, nessun fanatico. Tra loro anche Stefania Vaudo, 35 anni, guida del parco nazionale Valgrande di Verbania: una specie “rara”. “Certo, le donne sono poche, ma non sono l’unica -precisa-. Amo questo sport perché al posto di pareti rocciose e fiumi trovi barriere urbane. Ma come nel bosco sei solo e devi adattarti”. Vicino a lei, Giorgio Ferré, 28 anni, istruisce le matricole a saltare sui tavoli di legno, ammonendo i più precipitosi: “L’obiettivo è percorrere ogni distanza con la massima efficienza. Si comincia dai gradini -spiega-. Bisogna conoscere i propri limiti, per superarli”. Prima dei salti più spericolati ci si addestra un paio di anni con scale, tavoli e muretti. Per un cornicione ce ne vogliono almeno sei. A Novara ha fatto capolino anche Laurent Piemontesi, “vecchio” Yamakasi e attuale leader della formazione, che in Francia insegna

Patie molor augue con ex euis digna faci euguer alis delesequate dolore tis adionsectem aliquam quissequatio dit illaort isciliquat lortie ex enim veleniatet, consendip el exeratue doluptat iriustisl eu facinim dolortio delisi tio dio od mod dolore dignim dolestio er sumsan

questa disciplina persino ai carcerati. Inglesi e francesi sono i più forti. Ma anche gli italiani non scherzano: secondo l’Apki sarebbero 400 i nostri connazionali che sfidano con un balzo muri e cancelli. Come i Milan monkeys, le famose “scimmie” di Milano. O il gruppo pioniere, quello di Prato, allevato dagli stessi ragazzi di Lisses, che nel 2005 ha dato vita all’Apki, creando la prima associazione al mondo di parkour: “È uno sport non competitivo. Quando gli ostacoli sono un’opportunità, la vita scorre fluida come l’acqua sulle pietre”, commenta il 31enne Matteo Milani. Il loro orgoglio nazionale è Federico Mazzoleni, alias “Gato”: un “gatto” bergamasco di 26 anni, che si allunga verticale in impeccabili candele a strapiombo sui baratri. “Pericoloso? Non necessariamente. Il segreto è saper valutare fino a quanto spingersi”, chiosa Federico, biologo evoluzionista, fresco della qualifica internazionale di insegnante di parkour. Il titolo, conseguito a Londra, è riconosciuto dagli Yamakasi e persino dalle associazioni “più pure” che, come l’Apki, si ispirano alla linea dell’ex vigile del fuoco David Belle. Perché come spesso accade tra vecchi amici dalla forte personalità, le strade dei nove ragazzacci di Lisses si sono divise. E se


A Novara, nel maggio scorso, si sono svolti stage di parkour finanziati dalla Provincia. In basso, la mazza del bike polo, immortalata in piazza san Fedele a Milano.

il polo su due ruote Per campo una piazza, per destriero una bici. DA Catania a Milano domina il bike polo.

qualcuno milita ancora negli storici Yamakasi, c’è chi come lui ha affinato le sue performance prendendo spunto dalla tecnica militare di George Hébert, appresa dal padre e dal nonno, entrambi pompieri. Tornato nell’ombra dopo il ruolo da protagonista in “Banlieue 13” prodotto da Luc Besson nel 2004, Belle rimane fedele al metodo naturale dell’ufficiale di marina che, affascinato dall’agilità degli indigeni d’Africa, nel primo Novecento iniziò ad allenare le truppe imitando il “buon selvaggio”. Mentre Sébastien Foucan, anche lui vigile del fuoco ma con il brio dell’uomo di spettacolo, ha aggiunto alla disciplina originaria le acrobazie della ginnastica artistica, fondando il freerunning: in slang londinese “correre liberamente”. L’estetica prevale sull’efficienza ed esplode il fenomeno commerciale: Foucan recita in “007 Casino Royale” (2006), va in tour con Madonna e centinaia di seguaci sperimentano salti mortali sull’asfalto. Con l’uscita del suo libro, “Freerunning, trova la tua strada” (edizioni Socrates), anche in Italia cresce la schiera di artisti metropolitani in bilico tra freerunning e parkour. Alla ricerca, come gli Street arts romani (www.streetarts.org), di “movimenti sempre più belli”.

“Tre, due, uno... polo!”. All’ombra della statua del Manzoni sei biciclette cominciano a sfrecciare nella milanese piazza san Fedele, illuminata a vista dai lampioni. Tre contro tre, i bikers rincorrono una pallina di plastica con vecchie racchette da sci, tentando di spingerla nella porta avversaria. Un paio di signore in tacchi a spillo attraversano il “campo”, voltando curiose lo sguardo senza capire. Avranno altre occasioni: ogni martedì, dalle 22.30 in poi, il cuore di Milano è occupato dal bike polo, un appuntamento alla portata di tutti. Tanto esclusivo e costoso è il classico sport inglese a cavallo, quanto informale e a buon mercato è la sua variante di strada: una moda urbana che arriva ora in Italia. Per una partita bastano una bici a scatto fisso (si frena cercando di bloccare la pedalata; chi posa i piedi a terra esce per punizione, ndr), un caschetto e un pezzo di tubo da aggiungere alla punta della mazza per renderla più performante. Persino l’arbitro è di troppo: “Tra noi c’è molto fair play. Abbiamo iniziato per scherzo due anni fa, ce ne parlò una biker finlandese” racconta in una pausa il coordinatore, Roberto Peia, giornalista 50enne con la passione per le due ruote tanto da aver portato in Italia gli “Urban bike messangers”, i pony express a pedali. “Da qualche mese gareggiamo tra città -prosegue Roberto-: siamo reduci dal campionato nazionale di Roma, vinto dai marchigiani. L’inverno scorso eravamo in Germania, quest’anno a Ginevra per il torneo internazionale. Ma restiamo un gruppo spontaneo: la filosofia di fondo è libera”. Anche chi arriva in ritardo entra in campo. Ortu, un ragazzo basco che lavora a Milano, si presenta con un amico in tempo per metà

partita: in genere si gioca per 40 minuti, suddivisi in quattro tempi da dieci. Solo i martedì di pioggia e di consiglio comunale (il retro di Palazzo Marino, che dà sulla piazza, è sede del Comune), con i vigili in azione, riescono a fermarli. “Ci vorrebbe un campetto ad hoc. I tedeschi già ce l’hanno” ironizza Lorenzo, professione fotografo, che fa mistero del suo cognome. Pensare che molti gruppi italiani, da Roma a Fano, da Catania a Vicenza, giocano nei parcheggi dei centri commerciali o in zone poco illuminate. Loro invece sono nel “salotto buono”, a due passi dal Duomo e dalla Scala, dietro la galleria Vittorio Emanuele: una location davvero scenografica, anche per gli spettatori.

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fotoreportage urbano | a cura di | polifemo | www.polifemo.org

selvatico a chi?!

Il Centro di recupero per animali selvatici di Vanzago è costituito da un ambulatorio veterinario, alcune stanze dedicate alla degenza, box e voliere sistemate nel bosco. Per un animale selvatico, subire la vicinanza e la manipolazione da parte degli umani è un fattore di stress. Le prime ore successive al ricovero sono le più traumatiche.

≈ Polifemo è un’associazione di fotografi professionisti con base a Milano, che si propone di diffondere la cultura dell’immagine e della comunicazione visiva. 16

| fotografie e testo | laura radaelli

Orfani o vittime dei cacciatori: anche Gli animali dei boschi hanno la loro clinica.

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li animali selvatici sono patrimonio indisponibile dello Stato italiano. Non si possono addomesticare né comprare, solo curare in caso la mamma li abbia abbandonati o un cacciatore impallinati. Ma a una condizione: una volta assistiti, devono essere rimessi in libertà. A questo scopo sono nati i Cras, i centri di recupero per animali selvatici. Veri e propri “ospedali” attrezzati e autorizzati ad accudire cuccioli o adulti in difficoltà. Ci possono entrare veterinari e volontari ma non i turisti, perché questi sono tutt’altro che zoo. Per questo ho deciso di raccontare la vita di un Cras, quello di Vanzago (Mi) che si trova all’interno dell’oasi del Wwf e dal 1995

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raccoglie gli animali segnalati e ritrovati tra le province di Milano, Monza e Brianza, Como e Varese. Dall’apertura ad oggi sono passate di qui 106 specie, tra cui pipistrelli, gheppi, gufi reali, caprioli, civette, ricci, falchi pellegrini, volpi, minilepri, faine, rondoni, allocchi. Il centro vive grazie al lavoro di un veterinario, di un coordinatore e di circa 60 volontari. Le cure sono gratuite, i finanziamenti arrivano dalle Province e dai donatori. La sua attività è intensa ed eterogenea: quando l’animale arriva passa prima dall’accoglienza, dove viene visitato. Dopo il controllo, si procede con la diagnosi e la compilazione della cartella clinica con la relativa terapia e si continua con la cura e il mantenimento. Obiettivo finale, la liberazione dell’animale. Chi opera all’interno del Cras non deve mai dimenticare che ha a che fare con esemplari selvatici: non vanno coccolati o resi dipendenti, altrimenti rischiano di non farcela


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Gli orfani, ancora da svezzare, si trovano nella “nursery”, attrezzata con le lampade riscaldanti. È il luogo che richiede il maggior numero di volontari: le cure devono essere costanti. Il momento più intenso? La liberazione. Gli sforzi di giorni si concludono in un paio di minuti: quando si lascia libero l’animale di tornare alla natura, e lo si vede sparire nel cielo o tra la vegetazione.

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una volta “fuori”. In questi 15 anni, il 54 per cento degli animali ricoverati è riuscito a recuperare ed è stato rimesso in libertà. In alcuni casi la morte è stata naturale (27 per cento), in altri indotta (7 per cento). Per chi non è più in grado di sopravvivere in condizioni selvatiche è previsto l’affido nei parchi naturali. Dall’inizio del 2010 a fine giugno sono già 1.349 gli animali ritrovati e consegnati al Cras dai cittadini o dalla Polizia provinciale: 150 in più dello scorso anno. A settembre riapre la stagione della caccia e al Cras sono già in allerta.

| fotoreportage urbano


Laura Radaelli Nata a Milano nel 1974, si avvicina al mondo della fotografia nel 2001 quando decide di frequentare il corso “tutto al femminile” di Giuliana Traverso, “Donna Fotografa”. Il servizio pubblicato in queste pagine nasce come lavoro finale del corso di fotogiornalismo di Polifemo e Terre di mezzo. Un’occasione per unire due delle sue grandi passioni: gli animali e la fotografia.

Per donazioni, informazioni e visite guidate, vi invitiamo a visitare il sito dell’oasi di Vanzago: boscowwfdivanzago.it oppure wwf.it.

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calici di sole | testo | antonella Lombardi

A Palermo Inizia la vendemmia della cantina centopassi, alimentata a energia solare.

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n pasto senza vino è come un giorno senza sole”, amava ripetere nell’Ottocento Anthelme Brillat-Savarin, noto politico e gastronomo francese. Chissà che cosa avrebbe detto Savarin di fronte alla prima vendemmia “solare”, sperimentata nell’Alto Belice corleonese. Qui, sui terreni confiscati alla mafia, il progetto “Libero sole su Libera Terra” ha previsto la realizzazione di impianti fotovoltaici nelle strutture affidate alle cooperative. Quattro pensiline di circa 5 metri per 6, utilizzate per proteggere il raccolto dalla pioggia, saranno rivestite di pannelli fotovoltaici da dieci ragazzi selezionati dopo aver seguito un corso di formazione sulla realizzazione di impianti fotovoltaici tenuto dall’istituto “Pedro Arrupe” di Palermo. A dare il via al progetto è stata proprio l’idea di poter fornire nuove professionalità sulle terre liberate dalla mafia, contribuendo ad alimentare un circolo virtuoso di economia “pulita” che possa servire anche a ridurre l’impatto ambientale della cantina Centopassi. Così, quando si è trattato di fare i primi sopralluoghi per il collaudo di fine luglio, la scelta è ricaduta sulle pensiline, già esistenti. “Perché non renderle ‘verdi’ rivestendole di pannelli solari?”, si sono chiesti i soci della cooperativa Placido Rizzotto. I pannelli, infatti, sostituiscono il materiale di copertura tradizionale e garantiscono comunque l’impermeabilità e la massima integrazione architettonica. In questo modo il primo “calice a energia solare” permetterà un risparmio notevole alla cantina che ogni anno sui suoi 60 ettari di terra produce 350mila bottiglie, e sarà un investimento consistente anche per l’ambiente. Oltre a tagliare i costi della bolletta, il fotovoltaico consentirà di evitare l’emissione di 15,2 tonnellate l’anno di anidride carbonica. Le ricadute economiche saranno visibili sin dalla prima bolletta, non solo per l’abbattimento dei consumi dell’80 per cento, 20

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ma anche per l’incentivo previsto dall’attuale “conto energia” che prevede un compenso per ogni kilowatt prodotto da energia fotovoltaica. Ne è convinto Giorgio Schultze, presidente della società di consulenza “Esco del sole” che ha progettato l’impianto per Centopassi, dopo essersi già cimentato in altre strutture simili in Sicilia. “Il nostro scopo è aiutare le imprese legate ad attività sociali e le aziende impegnate sul fronte della legalità a risparmiare utilizzando energia pulita -racconta Schultze-. Per questo abbiamo lavorato con imprenditori che hanno scelto di dire no al racket e che hanno aderito al comitato Addiopizzo”. Un incontro naturale dunque, quello avvenuto tra Libera e la società Esco, riconosciuta in Italia dall’autorità per l’energia elettrica, e una missione tutta personale per il suo presidente, impegnato sin dagli anni Settanta sul fronte delle energie rinnovabili. “Anni fa non avremmo pensato che nel 2010 si sarebbe tornati a proporre il nucleare come modello di produzione energetica -dice-. Oggi investire nell’energia pulita non è più un’utopia: lo abbiamo dimostrato più volte nei diversi impianti”. È il caso della ditta Iregel di Cinisi (Pa) che in un anno è in grado di produrre energia per 31.336 chilowattora, evitando la produzione di 16,3 tonnellate di anidride carbonica. O, ancora, del Centro 3P di Licata, provincia di Agrigento, dove a parità di potenza si ha una produzione di energia più elevata, dal momento che maggiore è l’irraggiamento su una città esposta più a Sud. “L’impianto realizzato per la cantina Centopassi avrà una potenza di 20 chilowatt e arriverà a fornire ogni anno 30mila chilowattora” spiega il presidente. Una volta a regime, i benefici dell’impianto non si limiteranno a questo. L’abbattimento di emissioni di Co2 consentirà alla cooperativa di partecipare a un progetto pilota sulla certificazione energetica per un vino di qualità a basso impatto ambientale. E chissà che questo traguardo non arrivi presto, rispettando l’adagio di monsieur Savarin: mai più pasti senza vino e mai più giorni senza sole. Almeno a tavola.

I vigneti della Cantina Centopassi e i pannelli solari installati da “Esco del sole” a Bucina (Pa).


un pannello sul balcone Costruire un impianto fotovoltaico in ogni casa: la missione dei Magnifici 5. | testo | Sandra Cangemi Vi piacerebbe passare alle “rinnovabili”, ma vivete in città e pensate che al massimo potete permettervi una fornitura di energia certificata “ecologica”? Preparatevi a cambiare idea. Questa storia comincia cinque anni fa, quando un elettrotecnico, un perito agrario, un informatico, un’impiegata e un artigiano conosciutisi online fondano il sito wutel.net (acronimo dei loro nickname) per accompagnare chi vuol cambiare i propri consumi. A cominciare dall’energia. Sì perché il motto di Wutel sul risparmio energetico è quasi lapidario: deve essere concreto,

diffuso, dal basso e da subito. Accanto al sito, iniziano gli incontri a piccoli gruppi. Per gli “allievi” il compito è fare passaparola. “Così abbiamo già risparmiato 10mila watt”, calcola Riccardo, uno dei fondatori. In che modo? Ficcando il naso nelle case altrui con un apparecchio che smaschera gli sprechi, dagli stand by sempre accesi ai faretti alogeni troppo potenti: “In genere si può tagliare fino al 20 per cento”, commenta. Diagnosi e terapia vengono messi a punto in qualche ora, in cambio di una cena; perché quelli di Wutel sono tutti volontari. Gratuita è anche la

consulenza per realizzare mini impianti fotovoltaici: in base alle esigenze, i cinque consigliano dove acquistare i componenti col miglior rapporto qualità-prezzo e aiutano ad assemblarli. E voilà: ecco un impianto che consente di ricaricare il cellulare, alimentare il pc e magari l’illuminazione di casa. Per un impianto a bassa tensione (12 volt), tra pannello, regolatore di carica multifunzione, batteria, presa elettrica e contenitore, si spendono circa 140 euro. Con l’inverter, il tutto si potenzia fino 220 volt. Solo per i cellulari in Italia consumiamo 40 milioni di watt ogni quattro giorni. “Se tutti producessimo un po’ di energia, non servirebbero nuove centrali elettriche -dice Riccardo-. Purtroppo pensiamo sia troppo difficile”. E il buon vicinato? “C’è chi crede che i pannelli emettano radiazioni, ma basta poco per superare l’ignoranza. E poi i balconi sono pieni di padelloni satellitari: nessuno dice nulla”. | 016 | settembre 10

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Bernard Ollivier

una strada per ricominciare

Bernard Ollivier è autore molto noto in Francia. In Italia Feltrinelli ha pubblicato i libri: Il vento delle steppe, Verso Samarcanda e La lunga marcia.

Da Santiago de Compostela alla Via della seta Una nuova esistenza al di là del lavoro, oltre la famiglia, oltre le passioni che prima o poi finiscono. Un giornalista si mette in cammino e, da allora, non si ferma più: prima a Santiago, poi sulla Via della seta, passando per la Turchia, fino in Cina. Una rinascita che passa in primo luogo attraverso il corpo ridonandogli energie e volontà. Ma anche memoria e desideri. 176 pagine - 7,50 euro

Luca Cosentino

da tripoli al messak

Racconti di viaggio e di scoperta Un viaggio pieno di sorprese nella Libia minore, tra deserti, villaggi scomparsi ed eroi. Dalla sconfitta di Sciara Sciat nell’oasi di Tripoli (la battaglia che cambiò le relazioni tra Italia e Libia), ai “ventimila di Balbo”, ai pirati del Seicento, alle incisioni rupestri del Messak. Un lungo racconto che accende sensi che forse abbiamo dimenticato di avere. 208 pagine - 7,50 euro

sconfinamenti

una nuova collana di storie tra letteratura e reportage, raccontate con la passione di un romanzo, ma vere fino all’ultima parola.

i libri di terre di mezzo: in libreria, in strada e su libri.terre.it

prossima sessione ottobre 2010

organizzato da Polifemo, associazione culturale indipendente che opera a La Fabbrica del Vapore di Milano. Durata 60 ore, da ottobre 2010 a febbraio 2011, una lezione settimanale, ogni martedì dalle 19 alle 23. É prevista una mostra di fine corso.

quarantotto.it

Docente Leonardo Brogioni e redazione Terre di Mezzo; Chiusura iscrizioni 8 ottobre 2010; max 10 allievi; prima lezione 19 ottobre 2010

Il corso si articola in 4 sezioni che forniranno agli studenti gli strumenti teorici e pratici per organizzare, realizzare e diffondere un fotoreportage: storia del fotogiornalismo e linguaggio fotografico; preparazione e organizzazione del servizio; realizzazione delle immagini; editing e commercializzazione del reportage. Esercitazioni assegnate e analizzate dai docenti insieme alla redazione di Terre di Mezzo, grazie al coinvolgimento della quale gli allievi verranno messi a diretto contatto con le esigenze editoriali.

Per informazioni - www.polifemo.org/corsi - corsi@polifemo.org Polifemo - Via Procaccini 4 - 20154 Milano - Tel. 02 3652 1349

ph. Alessia Gatta - corso 2008/09

Corso di fotogiornalismo

ph. Giacomo Boschi - corso 2008/09

in collaborazione con

ph. Raffaella Vanosi - corso 2008/09

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voci dentro: l’italia, vista dai suoi detenuti | a cura di | Ristretti Orizzonti

miracolo dietro le sbarre

≈ Una finestra d’informazione che nasce in collaborazione con le redazioni di tre carceri: Sosta Forzata (Piacenza), Il nuovo Carte Bollate (Bollate-Milano) e Ristretti Orizzonti (Padova-Venezia).

Per leggere le riviste: www.carcerebollate.it/ cartebollate.htm, www.ristretti.it.

Rino Nasti, assessore all’Ambiente di Napoli nella serra di Secondigliano.

L’affida mento in comunità di un detenuto immigrato e tossicodipendente Apre alla PROSPETTIVA Di una vita diversa.

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lì è tunisino, tossicodipendente e ha sulle spalle una condanna a nove anni e cinque mesi per detenzione e spaccio di droga. Finora ne ha scontati tre. Vale la pena dare questi numeri, per capire il piccolo “miracolo” che è appena accaduto: Alì ha ottenuto dal magistrato l’affidamento in comunità. Un miracolo doppio, perché è un immigrato (e la legge, in molti casi, non è uguale per tutti) e perché un giudice finalmente ha deciso di applicare quel che c’è di buono nella legge Fini-Giovanardi: l’opportunità di concedere misure alternative, come l’affidamento, a persone che hanno problemi di dipendenza. “Mi sono drogato per ben 12 anni -racconta Alì- e la droga ha solo causato disastri nella mia vita, a cominciare dalla mia famiglia. Mi moglie, per colpa mia, è stata condannata a sei anni di carcere e ora, dopo una lunga riflessione, mi ha chiesto il divorzio. Non posso biasimarla, anche se dentro di me non volevo questa separazione”. Troppe le bugie dette in passato e troppo difficile adesso raccontare la fatica e la verità di un cambiamento. “Non ho più nemmeno il coraggio di dirle che ho chiuso con la droga e che mi sento una persona forte e consapevole dei miei errori”, spiega. Per Alì il percorso è stato graduale: dopo i primi momenti di chiusura e di ripiegamento su di sé, all’inizio della detenzione ha provato ad analizzare i suoi comportamenti e le loro conseguenze. “Ovunque mi girassi a guardare, intorno a me vedevo terra bruciata, cenere e nessun appiglio a cui aggrapparmi”. Anche incontrare la figlia era diventato un peso. “L’avevo lasciata che era nella culla e non volevo abbracciarla in un luogo squallido come il carcere. Per questo non ho mai chiesto agli assistenti sociali di organizzare un colloquio con lei -ammette Alì-. Non volevo che le restassero in mente questi spazi soffocanti, le mura, i cancelli, gli agenti. Sì, perché se sono traumatizzanti per me, figuriamoci per una bambina di appena tre anni”. È bello pensare che ora Alì potrà incontrare sua figlia in un luogo un po’ più umano. In comunità e non dietro le sbarre. Mentre il suo cammino potrà continuare, accanto a persone capaci di sostenerlo e di accompagnarlo “fuori” da questo tunnel. “La mia storia mi ha portato a capire quanto sia misterioso l’essere umano e quanta forza abbia in sé -conclude Alì-. Lo sforzo per me in questo momento è quello di riconoscerla e usarla correttamente: per questo non smetto di ripetermi che forse si può recuperare e arrivare a vivere in modo sereno. Sotto le ceneri possono nascere anche dei germogli di fiori rari”.

| Usciti per voi

Da Secondigliano, i fiori della speranza Piccole evasioni dai petali colorati. Sono le petunie, le begonie, i garofani e le altre piante coltivate nelle serre del carcere di Secondigliano che, da metà giugno, abbelliscono i più bei giardini di Napoli, dalla centralissima Villa comunale al Parco Virgiliano. A prendersene cura, una decina di detenuti che, grazie al progetto “Fiori della speranza” (finanziato dal Comune partenopeo) hanno imparato un nuovo lavoro. | parole oltre il muro | a cura di | sosta forzata L’inizio: una parola scritta alla lavagna. Poi 15 minuti. Il tempo per raccogliere i pensieri e provare a raccontarli.

sintesi (sìn – te – si), s.f. Parola dai molteplici significati: compendio, riassunto, processo di unificazione delle parti o, in ambito scientifico, preparazione di un composto chimico. 1 In carcere è sinonimo di “osservazione scientifica della personalità”. Stefano, 43 anni, Italia 2 È il metro di valutazione su cui poggia il futuro extra-murario di ogni detenuto. Senza la sintesi è impossibile accedere ai benefici. Troppo “sintetizzato”, purtroppo, è anche il metro di valutazione di chi osserva il nostro comportamento intra-murario. Alex, 29 anni, Italia 3 Questa parola fa venire l’orticaria a tutti quei detenuti che aspettano la chiusura della sintesi per poter beneficiare di misure alternative. Nella maggior parte dei casi, infatti, non arriva in tempo. Ugo, 49 anni, Italia | 016 | settembre 10

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viaggiatori viaggianti: new york

il giro del mondo | testo | MICHELA GELATI

farvi visitare 150 nazioni senza cambiare metropolitana? solo la grande mela può riuscirci.

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foto di Kris Arnold

n Paese diverso a ogni fermata. Sali a Times Square sulla linea 7 della Subway, la metropolitana di New York aperta sette giorni su sette, 24 ore su 24, e dimentichi i grattacieli, ti lasci alle spalle le gallerie d’arte di Soho, l’atmosfera del Greenwich Village, la città delle luci. Sali sulla metro e il mondo intero aspetta al di là dell’East River, lungo i binari della linea ribattezzata “International Express Train” che attraversa il Queens, il distretto più grande della metropoli, dove vivono 150 etnie diverse: stranieri arrivati negli Stati Uniti da decenni ma che in questi quartieri di case basse hanno trovato la loro rivincita, il loro quotidiano ritorno in patria. A lingue che non hanno mai dimenticato, alle spezie dei mercati di paese e alle famiglie lontane in qualche cittadina nel cuore dell’Irlanda o nella vecchia Delhi. Ed è in questa meravigliosa follia di negozi messicani, cinema indiani, insegne in ideogrammi coreani, birra irlandese, ristoranti greci e profumi di cannella, curry e zenzero, la grandez-

za vera dell’America, il sogno che è stato dei nostri nonni e bisnonni. Il percorso della linea 7, costruita da lavoratori stranieri nei primi anni del Novecento, era stato studiato proprio per redistribuire la popolazione, allora concentrata soprattutto a Manhattan, in zone meno affollate della città. All’epoca il Queens era un’area rurale ricoperta di prati e paludi con poche fattorie sparse, mentre gli stranieri erano costretti ad ammassarsi nei vecchi caseggiati del Lower East Side, la parte Sud dell’isola. La metropolitana portò così molti immigrati a trasferirsi nel Queens, da dove potevano raggiungere il centro in modo veloce ed economico. E proprio lungo i binari sopraelevati del treno sono nati i quartieri etnici, vere e proprie piccole città. A partire da Astoria, che dopo un passato di zona industriale, dagli anni Cinquanta ospita la più grande comunità ellenica al di fuori della Grecia. Prima di loro, tra fine Ottocento e inizio Novecento, qui c’erano gli italiani: pizza e pasta hanno lasciato il posto a ouzo, foglie di vite ripiene, tzatziki. Da “Uncle George”, uno dei ristoranti greci più famosi di New York, l’atmosfera è quella di un pomeriggio di sole in riva al Mediterraneo: tovaglie a quadri, vino, yogurt e miele, mentre fuori magari nevica e Atene è distante migliaia di chilometri. Basta allontanarsi di poche strade e in Steinway Street, tra la 28esima e Astoria Boulevard, si arriva sulla sponda opposta del Mediterraneo tra caffé libanesi, empori siriani, sapori tunisini e marocchini. Dagli anni ’90 Astoria ha visto crescere anche la sua popolazione dell’Est Europa, con massicci arrivi


in ventuno fermate da Bulgaria, Bosnia, Albania. Mentre alle spalle dei quartieri arabi, lungo la 36esima Avenue, è il regno dei brasiliani. Se invece avete voglia di Irlanda, scendete a Woodside Avenue: nei pub la Guinness è ottima e il calcio regna sovrano prendendosi una piccola rivincita nella terra del baseball. Qui, fin dal primo Novecento, si incontrano tradizione irlandese e americana, anche grazie a organizzazioni come il “Woodside’s Emerald Isle Immigration Center”, fondato per aiutare gli immigrati irlandesi a trovare casa e lavoro nella Grande Mela. Se i pub non sono abbastanza esotici, scendete alla fermata di Jackson Heights, Asia: è la Little India, cuore della comunità indiana, pakistana e bengalese. Vetrine di dolci al pistacchio, supermercati affollati di sikh con turbante e donne con il sari. La musica regna incontrastata, perenne sottofondo al rumore del traffico e al muoversi indaffarato dei passanti: nei cinema la programmazione è dedicata a film di Bollywood, mentre per comprare cd di musica electro-pop indiana il posto giusto è il Raaga Super Store sulla 74esima strada. E dopo un giro al Butala Emporium si può fingere impunemente di essere stati in India invece che a New York, comprando statue del dio elefante Ganesh, incensi e

Dal cuore di Manhattan alla periferia del Queens, la 7 è una delle 23 linee della metropolitana di NY.

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Little India strumenti musicali. Poi dalla 74esima girate a destra sulla 37esima avenue: dagli anni Cinquanta ai Settanta erano strade dei colombiani, ora ci sono argentini e spagnoli. Il capolinea dell’International Express Train è Flushing: ora è Koreatown, ma qui nel 1600 i quaccheri si incontravano clandestinamente per sfuggire alle persecuzioni del governatore olandese, e si rifugiavano molti schiavi in fuga dagli Stati del Sud. Il collegamento con il treno arrivò nel 1854 e la metro nel 1928, ma il quartiere era in decadenza, al punto che lo scrittore Francis Scott Fitzgerald, nel suo capolavoro “Il grande Gatsby” lo paragonò a una “valle di ceneri”. L’Esposizione universale del 1939 lo fece rinascere trasformandolo nella zona prediletta da grandi musicisti jazz come Louis Armstrong. Ma un italiano non può che finire il suo viaggio sulla 7 nel quartiere Corona, dove c’è ancora una comunità italoamericana molto unita: nei bar si guardano le partite, a Natale ci sono i panettoni in vetrina e i nonni giocano a bocce nel parco rinominato “Spaghetti Park”. È questo il bello del Queens e il lato splendido di New York: che siate italiani, indiani, greci o coreani, prima o poi girando un angolo, entrando in un negozio, scendendo dalla metro in una notte qualunque, vi sentirete a casa. | 016 | settembre 10

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Arte a Long Island

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ittori, scultori e designer si stanno trasferendo al Queens per approfittare degli affitti, più bassi rispetto a Manhattan, e dei tanti spazi grandi e ancora vuoti, perfetti per studi e loft. Il “quartiere degli artisti” è Long Island City, una zona di magazzini industriali e fabbriche abbandonate con vista su Manhattan, in un’atmosfera da vecchia America. Sulla facciata di certi edifici si trovano alcuni dei più bei graffiti di New York: per vederli bisogna camminare lungo i binari della linea 7 fino a Davis Street, a Sud di Jackson Boulevard. Qui c’è anche il PS1 (22-25 Jackson Avenue), museo di arte contemporanea costruito in una scuola del XIX secolo, e il Naguchi Museum (32-37 Vernon Boulevard) dedicato allo scultore giapponese, un’oasi di pace con giardino Zen, allestito in una vecchia fattoria. Poco lontano, il Socrates Sculpture Park (Vernon Boulevard) espone opere di artisti locali in un magnifico spazio con vista sull’East River.

alla scoperta del Queens dormire

mangiare

Trovare un hotel economico a New York è un’impresa. Nel cuore bohemiénne dell’East Village, c’è il St. Marks Hotel (da 120 dollari a notte per la camera doppia, stmarkshotel.net). La Abingdon Guest House nel Greenwich Village è più costosa (da 200 dollari a notte la doppia, abingdonguesthouse. com) ma perfetta per un viaggio romantico: sembra una vecchia locanda inglese, con camere “a tema” e un piccolo giardino.

Nel Queens ce n’è davvero per tutti i gusti, basta lasciarsi guidare dall’istinto. Se volete andare sul sicuro puntate su Jackson Diner (Jackson Heights, 3747 74th street), che propone specialità dell’India meridionale e curry di pollo e agnello, oppure su Kum Gang San (Flushing, 28 Northern Boulevard), una specie di vecchia sala da the coreana con zuppe e barbecue di pesce a buffet a ottimi prezzi. Per un’esperienza diversa, cenate alla Queens Farm, fattoria del ’700 con prodotti da agricoltura biologica (queensfarm.org).

compagni di viaggio

Il film

Il libro Will Eisner è stato il vero poeta di New York, oltre che uno dei più grandi autori di graphic novels di tutti i tempi. Le sue vignette in bianco e nero sbirciano dietro le finestre, svelano la penombra di un vicolo lucido di pioggia, accarezzano la profonda solitudine della metropoli, oltre le luci e lo splendore. In questo libro, vista attraverso storie minime di gente comune, c’è tutta la frenesia, la grandezza, la malinconia di New York. 26

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varie Molti grandi nomi del jazz hanno abitato al Queens, da Louis Armstrong a Dizzy Gillespie, da Ella Fitzgerald a John Coltrane. La Flushing Town Hall organizza percorsi a piedi o in pulmino attraverso i luoghi simbolo del jazz (info su flushingtownhall.org). Se volete ascoltare ottima musica, vale la pena andare ad Harlem: non perdete il St. Nick’s Pub, un vero gioiello dove suonano i grandi nomi del Blue Note a prezzi accessibili (stnicksjazzpub.net).

WILL EISNER

New York Einaudi 425 pagine 24,00 euro

| viaggiatori viaggianti

Queens, 1986. Un gruppo di giovani passa le giornate in un quartiere ancora ghetto, perduti tra droga, noia e microcriminalità. Il protagonista (alter ego del regista Dito Montiel, la storia è tratta dal suo romanzo autobiografico) decide di sfuggire a un destino segnato, partendo per la California. Tornerà 15 anni dopo, per chiudere i conti con il passato. Guida per riconoscere i tuoi santi (2006) è una splendida storia americana con attori indimenticabili, fra tutti Robert Downey Jr.


viaggiare leggeri | calendario di partenze solidali Viaggiare nel rispetto dell’ambiente e delle persone: è la filosofia dei viaggi di turismo responsabile. Queste le mete che abbiamo scelto per voi.

± liguria

ogni weekend (su prenotazione) Due itinerari per conoscere la Liguria con chi ci vive. Il primo, tra Camogli, Portofino e perle come il borgo San Nicolò. Il secondo a Genova e dintorni, con tappa nel quartiere Sant’Ilario di Fabrizio de Andrè. Costo: da 200 euro. info Ram Viaggi tel 338 - 160.69.10 » ramviaggi.it

± madrid

Una stazione. (Cagliostro)

| a cura di | marco menichetti | legambiente

1 - 3 OTTOBRE Puerta del Sol e il museo del Prado, la cattedrale di Nostra Signora di Almudena e i bar contesi tra movida e desayuno. Sono alcune delle tappe di questo “trekking urbano” nella capitale spagnola. Costo: 220 euro (volo escluso). info Four seasons tel 06 - 278.00.984 » fsnc.it

± CRETA a piedi

15 - 24 OTTOBRE La macchia mediterranea, le gole vertiginose e i resti della civiltà minoica fanno di Creta un’isola ideale per chi ama camminare, oltre che la vita di spiaggia. Costo: 530 euro (volo escluso). info La Boscaglia tel 051 - 626.41.69 » boscaglia.it

± stretto di messina

16 - 23 ottobre Una vacanza “slow” per ammirare il regno di Scilla e Cariddi prima che venga realizzato il discusso ponte sullo Stretto, con panorami mozzafiato dall’Aspromonte e dai Peloritani messinesi. Costo: 600 euro (minimo 8 persone). info Naturaliter tel 347 - 304.67.99 » naturaliterweb.it Trekking sull’isola di Creta. (La boscaglia)

il bike sharing europeo sfila in passerella

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ondividere piace, su due ruote di più. In attesa della settimana della moda, a settembre Milano porta in passerella le esperienze più avanzate di bike sharing a livello europeo. Come quella di Barcellona, la città con il servizio più sviluppato e circa 200mila utenti; Londra, che in vista delle Olimpiadi del 2012 sta organizzando un sistema di bike sharing da 12 milioni di euro l’anno e Berlino, dove le ferrovie stanno sperimentando postazioni wireless per il prelievo e la restituzione delle bici. L’appuntamento, in calendario il 17 settembre, è una tappa del progetto europeo “Obis” (Optimizing bike sharing in european cities) finanziato dall’Ue e realizzato da un gruppo di esperti che lavorano in enti pubblici a carattere locale o regionale, università, aziende di trasporto pubblico, società private e associazioni. Per l’Italia collabora anche Legambiente, oltre ai partner di progetto: Ecoistituto Alto Adige e Car Sharing Italia. In occasione del workshop, che cade nella Settimana europea della mobilità sostenibile (dal 16 al 22 settembre) e in concomitanza con “Lombardiainbici”, iniziativa di Fiab per la promozione della mobilità ciclistica (fiabonlus.it), l’esperienza milanese si confronta con altri 51 servizi di bike sharing esistenti in Europa: l’obiettivo è produrre un vademecum con le linee guida per il futuro sviluppo del bike sharing nel Vecchio continente (obisproject.com). E proprio nel capoluogo lombardo, il servizio pubblico di condivisione di biciclette “BikeMi” sta riscuotendo un buon successo: nato il 3 dicembre 2008, oggi conta 12mila abbonati con una media giornaliera che supera i 4.500 prelievi e 1.400 biciclette color giallo-crema a disposizione in 100 stazioni sparse per la città, destinate a raddoppiare. Su scala nazionale, sono circa 90 le città in cui il bike sharing è già approdato: oltre a Milano, le esperienze analizzate in dettaglio dal progetto Obis sono quelle di Roma, Brescia, Bolzano, Bari, Cuneo, Modena, Parma, Rimini, Senigallia (An) e Terlizzi (Ba). | 016 | settembre 10

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alternative possibili

La festa dei vicini nel cortile della Casa del quartiere.

spazi comuni recuperati | testo | eleonora de bernardi

a torino, ex bagni per senza dimora diventano un luogo di aggregazione. per tutti.

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ino al 2002 bagni municipali, oggi Casa del quartiere. Cambia utilizzo l’edificio liberty su due piani di via Morgari 14 a San Salvario a Torino, senza perdere la sua funzione sociale. Il 24 settembre, dopo otto anni di degrado, i 600 metri quadrati che ospitavano i servizi igienici per i senza dimora della città diventano uno spazio dedicato alle iniziative culturali e sociali, con sportelli informativi, attività e corsi rivolti a tutti: dai giovani agli anziani, dagli stranieri alle famiglie. Spazio e idee non mancano: a piano terra c’è un ristorantecaffetteria solidale, un ampio salone centrale per gli eventi pubblici, più altri locali per le associazioni di quartiere, al primo piano un ufficio riservato al co-working, una palestra per danza e teatro e una terrazza che ospita l’orto. Senza contare i 500 metri quadrati di cortile che accoglieranno pista da ballo, cinema e concerti. Il nome è tutto un programma: “ConverGente - La casa del quartiere di San Salvario”. Non è solo un sogno realizzato ma una “bella notizia per gli abitanti”, come spiega Roberto Arnaudo, direttore dell’Agenzia per lo Sviluppo locale di San Salvario, associazione

formata da una ventina di soggetti non profit, dalla parrocchia a Legambiente, che ha reso possibile l’iniziativa. La strada per approdare a questo risultato è stata lunga. È dal 2000 che l’Agenzia chiede uno spazio al Comune di Torino, senza ricevere risposta. La svolta è arrivata nel 2005 quando l’associazione ha vinto un bando della Vodafone di 439mila euro. “Siamo tornati a bussare alla porta dell’amministrazione e, con studio di fattibilità e soldi alla mano, qualcosa si è mosso” racconta il direttore. Incassato il sostegno dell’amministrazione comunale, dopo due anni di restauro si può dire che è ora ai nastri di partenza un’avventura che ha qualcosa di straordinario, un progetto più unico che raro: un edificio pubblico gestito totalmente da enti non profit e aperto alla cittadinanza. Un luogo speciale per un quartiere speciale. A San Salvario fin dagli anni Cinquanta convivono realtà diverse: torinesi doc, immigrati meridionali e stranieri, la famiglia Agnelli e gli operai della Fiat. Qui scorre via Nizza, una delle arterie più multietniche della città, spesso sotto i riflettori per spaccio e atti di piccola criminalità, ma anche il monumentale Corso D’Azeglio e il parco del Valentino, con il suo castello per secoli residenza estiva dei Savoia. “Gli abitanti originari non sono andati via con l’arrivo


≈ Stefano Caggiano Laureato in Design del

prodotto e Filosofia, da otto anni si occupa di didattica e ricerca. Scrive per la rivista Interni.

| critical living | l’arredo che fa bene

le persone e i loro oggetti | testo | stefano caggiano

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dei nuovi –spiega Roberto Arnaudo-, e hanno dato vita a un vero mix talvolta problematico, ma ricco e pieno di scambi. Una Casa del quartiere qui -continua- rafforza e dà visibilità alle oltre 40 organizzazioni non profit, che dal basso e spesso in maniera un po’ anarchica, hanno lavorato sul territorio, offrendo un aiuto concreto ai cittadini”. E in prima linea c’è anche il ristorante: “Trentasei mesi per 36 progetti, così abbiamo immaginato la nostra presenza all’interno di ConverGente” precisa Valentina Peagno, cofondatrice insieme ad altri quattro volontari di Manitese della cooperativa Tavola di Babele che ha vinto il bando per la gestione triennale del punto ristoro “solidale e a km zero” e si è allargata ad altri cinque soci. La cucina apre a pranzo e per gli aperitivi, mentre il locale offre merende e pasti veloci a tutte le ore, da lunedì e giovedì fino alle 24, venerdì e sabato fino alle 2. Sabato e domenica il protagonista è il brunch. “Come già facciamo nel nostro ristorante in via Cumiana 41/b dal 2007, non proporremo solo cucina casalinga, prodotti di stagione e a prezzi onesti -continua Valentina-, ma anche una vetrina alle idee che parlano di sostenibilità e di qualità della vita”. Tra le iniziative in programma un mese dedicato all’acqua del rubinetto, un altro ai gruppi di acquisto solidale, un altro ancora al riciclo e al baratto con i negozi “Senza moneta”.

el nostro mondo iper-accelerato viene presentato un progetto nuovo ogni tre minuti e mezzo. E se è vero che, come dichiarano i membri dell’atelier Resign di Faenza (Ra), “la tecnologia e la conoscenza mediamente possedute da designer e architetti porta quasi necessariamente alla creazione di prodotti di un certo valore merceologico”, molto più difficile (e necessario) appare oggi conferire a questi oggetti un “valore simbolico diverso dall’esclusività”. Questa la sfida di Giovanni Delvecchio, Andrea Magnani ed Elisabetta Amatori, nocciolo duro attorno a cui ruota un gruppo fluido di proto e post-designer che da due anni anima le tante attività dell’atelier (www.resign. it). A cominciare dalla Resign Academy: workshop itineranti della durata di due settimane in cui, vivendo in una sorta di comune creativa da cui passano i più importanti designer

italiani della nuova generazione, i corsisti sono accompagnati nella realizzazione di pezzi originali a partire da oggetti di scarto. Dal 10 al 19 settembre Resign è presente a Onirica, il festival di “Musica, arte e intrattenimento per risvegliare una coscienza ecosostenibile” organizzato a Verona, presso il Palazzo della Gran Guardia. Per l’occasione, Resign propone una serie di incontri “ibridi” in cui formazione, performance e installazione si fondono per creare “altro”. Come una sorta di macchina magica in cui entra immondizia ed esce poesia allo stato solido, i resigner praticano, e invitano a praticare, una forma di progettazione aperta e condivisa basata sul recupero di prodotti di seconda (ma anche di terza, quarta...) mano, allo scopo di cogliere la vita custodita negli oggetti che abbiamo in casa e che giorno dopo giorno hanno raccolto la nostra storia, che è sempre personale e individuale.

“Binomio”, di Enrico Salis, è uno dei progetti nati dall’ultima edizione della Resign Academy.

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il riciclo: un gioco da ragazzi | testo | LAURA BELLOMI

nelle marche Non si butta via niente. E gli scarti delle industrie diventano giocattoli.

Ludo Riù, la ludoteca del riuso di Fermo.

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appi e molle fanno una macchina, scatole e barattoli un coccodrillo. E con un pizzico di creatività da bottiglie di plastica verdi e bianche può nascere un albero di Natale con tanto di addobbi. Alla Ludoteca del riuso Ludo Riù tutto ciò che sembra destinato alla discarica comincia una vita nuova. Ludo Riù (www.ludotecariu.it) è un progetto della Regione Marche rivolto alle scuole (ma non solo) che stimola a immaginare una seconda vita per scampoli di stoffa, liste d’acciaio e blocchetti di legno. I bambini portano il materiale di scarto, gli educatori insegnano loro i trucchi per costruire giochi e decorazioni. Il tutto in un territorio ricco di calzaturifici e pelletterie che producono grandi quantità di scarti di lavorazione: “Abbiamo posizionato dei cassonetti in cui le aziende, una quarantina, possono depositare i materiali che non utilizzano più -spiega Fiorella Traini, referente del progetto-: noi poi passiamo a raccoglierli con un pulmino e li depositiamo nel Magazzino della fantasia assieme a quanto hanno portato da casa i ragazzi”.

| alternative possibili

Il Magazzino della fantasia altro non è che il deposito degli scarti, ma al posto di essere una discarica, per i bambini è il forziere da cui attingere mollette e cartoncini con cui esercitare la fantasia. E fare “arte” senza impiegare un euro nell’acquisto dei materiali. Le scuole non hanno soldi per comprare il compensato? Poco male, nel Magazzino della fantasia di assi di legno divise per colore e spessore ce ne sono a volontà (seghe e pennelli li pagano Regione e Comuni). La prima ludoteca del riuso nasce nel 1999 a Pesaro, poi è la volta di Tolentino, Fermo e Santa Maria Nuova. Con gli anni il laboratorio è entrato a far parte del programma didattico di molte scuole marchigiane, e la prossima ludoteca, la quinta, nascerà ad Ascoli Piceno. C’è anche un progetto che supera l’Adriatico: un corso di formazione a Tirana, in Albania, per spiegare agli insegnanti come proporre agli alunni attività di riciclo. “Giocare è un modo per imparare divertendosi -dice ancora la referente–: si possono così spiegare ai più piccoli le proprietà di plastica e carta, ma anche le conseguenze della produzione smisurata di rifiuti e i problemi dello smaltimento”. Di mattina le ludoteche sono riservate alle scuole (in quella di Fermo sono passati 3.500 bambini in un anno), di pomeriggio le porte si aprono a tutti. C’è il pasticcere che porta gli avanzi della produzione e insegna l’arte di fare dolci di “recupero” e c’è l’anziano che, ricordando i giochi di un tempo, mostra come funziona l’intramontabile tiro al barattolo. “Ci sono ricadute immediate anche sulle famiglie –conclude Fiorella Traini–: una mamma ci raccontava che da quando la figlia ha partecipato al laboratorio non ammette più di vedere carta e umido buttati nello stesso cestino. Facendo giocare i bambini di oggi educhiamo i cittadini di domani”.


| buone pratiche per vivere meglio | a cura di | andrea rottini

bella, critica e di tendenza S

e non è critico, non lo indossiamo. Potrebbe essere il mantra del pubblico di “So critical, so fashion”, il primo evento italiano interamente dedicato alla moda critica organizzato da Terre di mezzo eventi e da Isola della moda. La settimana in calendario dal 27 settembre al 2 ottobre all’ArtGate 22 di via Alserio 22 a Milano (quartiere Isola) vuole promuovere imprese di qualità e attente all’ambiente, giovani marchi indipendenti e progetti stilistici socialmente responsabili, raccogliendo e sviluppando l’esperienza pilota di Critical fashion, sezione speciale della fiera “Fa’ la cosa giusta!”, che nell’edizione 2010 è stata visitata da 65mila persone. “Finora si è parlato di moda critica soltanto per i materiali -dice Chiara Righi, responsabile del progetto Critical fashion di Fa’ la cosa giusta!-. Noi invece vogliamo declinare in modo critico tutta la filiera della moda: è questa la novità”. A dare il via alle giornate milanesi della moda critica sarà “Dressed up”, sfilata delle collezioni primaveraestate di 15 stilisti indipendenti curata da Isola della moda (www.dres-

sed-up.it). Nei giorni a seguire “So critical, so fashion” sarà show-room e spazio di vendita, ma soprattutto una “piazza” dove fare acquisti, intrecciare relazioni, rilassarsi e divertirsi, con una ricca agenda di iniziative collaterali. Il programma prevede anche laboratori di creatività e manualità per imparare pratiche di riuso e di creazione sartoriale e una serata di shooting durante la quale il pubblico potrà diventare protagonista di un fotoreportage di moda. Ci sarà poi un’asta di 20 capi realizzati da stilisti con ong e realtà del commercio equo e solidale, per finanziare progetti di cooperazione internazionale. “Sono felice che anche a Milano ci sia un evento così, come accade ormai da anni a Londra, Parigi, Berlino -dice la stilista Marina Spadafora, direttore creativo di Cangiari, giovane maison creata dal consorzio sociale Goel che dà lavoro a piccoli laboratori artigianali in Calabria e Sicilia, impiegando personale svantaggiato e lottando contro la mafia-. È un’iniziativa dovuta, perché la moda critica è un movimento culturale di enorme importanza in questo momento storico”.

3 domande a Antonio Franceschini Segretario nazionale Cna Federmoda.

Quali sono le caratteristiche della moda critica? Il rispetto delle regole, in primo luogo dei diritti dei lavoratori e delle norme ambientali. Qual è oggi il peso della moda “responsabile” in Italia? È difficile darne una stima, ma la percezione è che purtroppo i cittadini ancora non abbiano fatto propri certi valori: pochi si domandano cosa ci sia dietro un capo di abbigliamento, un paio di scarpe o una borsa. In che modo la moda critica può aiutare il made in Italy? In maniera straordinaria. Gran parte del tessuto economico del sistema moda italiano è costituito da piccole imprese artigiane che hanno nella loro natura i valori di attenzione e rispetto verso le maestranze e l’ambiente. Dobbiamo recuperare il valore delle nostre tradizioni.

| mondopen | a cura di | tommaso ravaglioli | openlabs

arduino, il re degli hardware liberi

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n tante occasioni, quando mi capita di parlare in pubblico di software libero, qualcuno si fa avanti con una battuta chiedendo se, oltre al software, ci sia anche l’hardware libero. E la mia risposta, di solito, è che “il software è libero, l’hardware si paga”. Perché, è bene sottolinearlo, una cosa è la libertà, altra cosa è la gratuità: così come può accadere che scarichiamo gratuitamente software proprietario (i cosiddetti freeware, come l’OpenOffice della Planamesa Software), allo stesso modo possiamo pagare per acquistare software o hardware libero. Ma quel programma o quel componente che abbiamo acquistato, anche se appartengono a noi saranno sempre “liberi”,

perché la loro architettura di base è accessibile a tutti e può essere modificata a piacere, purché venga redistribuita e messa di nuovo a disposizione del pubblico. Tra tutti i progetti hardware open source ce n’è uno, all’apparenza di basso profilo tecnologico, ma in realtà rivoluzionario, che merita di essere conosciuto. Si chiama “Arduino” (arduino.cc) ed è un microcontroller, cioè un computer ridotto ai minimi termini in grado di controllare dispositivi come motori, luci o altoparlanti. Non proprio una novità, ma il fatto che sia l’hardware che il firmware (ovvero il software residente a bordo della scheda) fossero accessibili alla comunità ha creato un fe-

≈ Openlabs è un’associazione culturale fondata nel 2000. Organizza corsi, seminari e convegni per la diffusione del software libero. Info: openlabs.it.

nomeno internazionale con decine di produttori che hanno sfornato varianti e accessori, abbattendone i costi di produzione e i prezzi d’acquisto. Con Arduino, poi, anche le persone meno portate per la tecnologia possono realizzare facilmente i prodotti più svariati: piccoli automi e meccanismi per scenografie teatrali, annaffiatoi automatici e installazioni artistiche. Se aggiungiamo che tutti gli strumenti per programmare la scheda sono open e pensati ad hoc per artisti e creativi, si capisce la ragione di un successo travolgente tutto made in Italy, anzi in Ivrea, patria di quell’Arduino che fu re d’Italia dal 1002 al 1014. Il costo della scheda? Un paio di decine di euro. | 016 | settembre 10

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scrittori nel cassetto

una pura | a cura di | scuola holden | www.scuolaholden.it

La ruota della fortuna sembra ricominciare a girare. Ma per Enzo l’occasione della vita si tramuta in un incubo.


formalità | racconto | miriam mastrovito | illustrazione | El moro

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uella mattina Enzo si era svegliato quasi di buon umore. Il vecchio ritornello di una canzone dei CCCP aveva preso a ronzargli nella testa. Lo aveva accompagnato sotto la doccia e seguitava a tenergli compagnia mentre camminava per recarsi al suo appuntamento. “È una questione di qualità o una formalità. Non ricordo più bene. Una formalità. Come decidere di andare a tagliarsi i capelli, di eliminare il caffè o le sigarette, di farla finita con qualcuno o qualcosa…”. Si passò distrattamente una mano sulla testa. Non era stata proprio sua la decisione di dare un taglio alla zazzera che lo connotava da anni. Di sua spontanea iniziativa, non lo avrebbe fatto.

Avrebbe strozzato volentieri Rino, il barbiere, nell’attimo preciso in cui gli aveva chiesto: “Corti?” e, senza attendere ulteriore conferma, aveva preso a sforbiciare come un forsennato. D’altra parte, un simile sacrificio valeva l’opportunità di un posto di lavoro ben retribuito. Enzo era disoccupato da tempo immemore. Le sue risorse economiche ridotte al lumicino.


Miriam Mastrovito

El Moro

Approdata in questo mondo nel ’73, vive circondata da folletti che le suggeriscono le storie da raccontare. Se vi capitasse di entrare nel suo negozio non avreste difficoltà a riconoscerla: è lo gnomo dai capelli rossi. “Il mendicante di sogni”, il suo romanzo edito da La penna blu.

Andrea Moresco si fa chiamare El Moro, vive a Bologna dove cerca di finire l’Accademia di Belle Arti. Abbandonata la matita per mouse e computer, si è dedicato al disegno “digitale” nel bene e nel male. Un modo efficace per risparmiare soldi nei negozi d’arte.

“Una pura formalità. Sa, il direttore presta particolare attenzione all’immagine dei suoi dipendenti”. Era così che il signor Vitali aveva giustificato la strana richiesta. Subito dopo aveva sventolato una banconota da 100 euro e, con fare quasi elegante, l’aveva lasciata scivolare nel palmo del suo interlocutore: “Nel caso avesse problemi di liquidità”. Enzo si era illuminato. Ce n’era abbastanza per farsi la pelata e gli sarebbe avanzato anche il resto. D’improvviso gli era parso che la ruota della fortuna avesse ricominciato a girare. Il signor Vitali lo aveva avvicinato in un bar, un paio di sere prima. Lo aveva chiamato per nome, quasi lo conoscesse da tempo, e gli aveva offerto da bere. Si era presentato come socio di una grossa impresa alla ricerca di personale e, dopo una breve chiacchierata, gli aveva ventilato la possibilità di un colloquio. La prima reazione di Enzo era stata di estrema diffidenza. L’impeccabile completo gessato, le scarpe tirate a lucido, gli occhiali dalla montatura dorata, erano tutti dettagli che lo mettevano a disagio. Ma, sopra ogni cosa, era stata la reticenza dell’uomo a destare i suoi sospetti. Si era rifiutato categoricamente di fornire informazioni sull’impresa e sul tipo di lavoro offerto. “A tempo debito”, aveva promesso. Poi aveva parlato di guadagni, snocciolando cifre a parecchi zeri, e lì le resistenze di Enzo erano crollate. Un colloquio, un taglio di capelli e un cospicuo acconto sulla fiducia. Non vi era ragione per tirarsi indietro. Se l’offerta non fosse stata di suo gradimento, in fondo, avrebbe sempre potuto rifiutare. “I documenti”. Il signor Vitali lo accolse sulla soglia di un anonimo appartamento della periferia cittadina. Non una targa che potesse distinguerlo da una qualsiasi abitazione privata. “Come?”. “Carta d’identità, patente -specificò l’uomo-: deve consegnare tutto a me. “Per quale ragione?”. Enzo appariva turbato. “Non si preoccupi -lo blandì Vitali-, è una pura formalità. Devo registrare i suoi dati”. L’altro ubbidì e lo seguì nell’ufficio del direttore. Un uomo robusto, capelli bianchi, stesso completo gessato dell’altro, gli tese una mano viscida dal retro della sua scrivania e lo invitò ad accomodarsi. Lo scrutò a lungo in silenzio, poi rivolse un’occhiata d’intesa a Vitali e dichiarò: “Mi sembra l’uomo giusto. Con qualche ritocco potrebbe essere perfetto: provi a tirargli i capelli indietro”. Il socio sfoderò un pettine dal taschino. “Ma cosa?!”. Enzo balzò in piedi, sulla difensiva. 34

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| scrittori nel cassetto

“Solo una formalità”, lo rabbonì Vitali esercitando una pressione decisa sulle sue spalle perché si risedesse. “Molto meglio”, commentò il direttore rimirando la nuova acconciatura: “Ha preparato gli abiti?”. Vitali si assentò per pochi attimi. Quando rientrò nella stanza, brandiva un elegante vestito nero. “Lo indossi”, ordinò a Enzo. “Ma che razza di gioco è questo! -protestò lui-. Sono qui per un colloquio o cosa?”. “Solo una formalità” insistette Vitali sfoggiando un sorriso che aveva ben poco di rassicurante. L’uomo si cambiò d’abito sotto gli occhi indiscreti dei presenti. A ogni minuto che passava, avvertiva un senso di allarme montargli dentro. Il sospetto che in tutta quella faccenda ci fosse qualcosa di sbagliato, si tramutò in certezza quando lo sguardo del direttore tornò a posarsi su di lui. “Molto bene -affermò compiaciuto-. Adesso è quasi la copia perfetta del nostro Presidente. Se non fosse per il naso”. A quelle parole Vitali scattò e gli sferrò un pugno in pieno viso. Gocce scarlatte piovvero sul doppiopetto nero. “Che cosa diavolo volete da me?”, farfugliò Enzo scosso da un tremito. “Vogliamo solo offrirle l’opportunità di rendersi utile -spiegò il direttore-. Una vita insulsa, come la sua, per quella di un uomo d’onore”. “Perché io?”. “Semplicemente per la somiglianza -rispose con aria di sufficienza-. Qualche piccolo accorgimento e nessuno dubiterà che il suo cadavere sia quello del Presidente”. Vitali gli si accostò. Gli carezzò la nuca con finto fare paterno. Gli porse un fazzoletto perché si asciugasse il naso. “Non desiderava forse, una carica di tutto rispetto? Siamo qui per accontentarla. Ha vissuto da perfetta nullità, uscirà di scena da PRESIDENTE”. Scandì l’ultima parola con particolare enfasi poi, molto lentamente, infilò una mano sotto la giacca e ne estrasse una rivoltella. Il viso di Enzo si mutò in un maschera di orrore, cominciò a vibrare più forte, mentre una macchia scura gli si allargava sui calzoni. “Si calmi -sibilò il direttore-. Affronti la situazione con dignità. Una sigaretta?”. Enzo volse gli occhi al cartello che campeggiava alle sue spalle: “Vietato fumare”. Nessun bisogno di chiedere. Allungò le dita tremanti. Una pura formalità.


i ferri del mestiere

il lato buono della menzogna | testo | Marco Purita

una pura formalità

Il ritornello di una canzone diventa il leitmotiv di questo racconto che porta il lettore, riga dopo riga, a scoprire un elemento essenziale nella narrazione: la presenza dello scrittore. Seduto accanto a Rino in attesa di tagliare la “zazzera” di Enzo, appostato sotto il tavolo di un bar mentre due uomini discutono, con le spalle al muro mentre il protagonista subisce la sua metamorfosi. Quando lo scrittore c’è, la storia diventa credibile e coinvolgente. E sono proprio gli autori che riescono a entrare nella gabbia dei leoni con frusta e sgabello che possono spingere il lettore a fare altrettanto. Un’arte che l’autrice conosce bene. l a parol a ai maestri

nulla più che un dettaglio di José Saramago Il poeta e scrittore portoghese José Saramago, scomparso lo scorso giugno, comincia il suo “Saggio sulla cecità” con un evento. Qualcosa accade, e lui lo descrive senza dare altre spiegazioni. Il disco giallo s’illuminò. Due delle automobili in testa accelerarono prima che apparisse il rosso. Nel segnale pedonale comparve la sagoma dell’omino verde. La gente in attesa cominciò ad attraversare la strada camminando sulle strisce bianche dipinte sul nero dell’asfalto, non c’è niente che assomigli meno a una zebra, eppure le chiamano così. Feltrinelli, 1995 L’automobilista al semaforo si accorge di tutto punto di essere diventato cieco. La storia ha inizio e la cecità si diffonde, per contagio, infettando il medico, sua moglie, il ladro di automobili, il bambino strabico, etc. Saramago racconta eventi impossibili come se fossero fatti storici e per identificare i personaggi non usa che dettagli. Questa sua capacità di analizzare l’essere umano, come fosse materia organica, gli ha fatto vincere il Nobel nel 1998. ≈ “Scrittori nel cassetto” è anche una sezione del nostro sito, dove potete pubblicare i vostri commenti e trovare i temi dei prossimi racconti. Vi aspettiamo su terre.it!

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“ ’ arte è una menzogna che ci insegna a compren-

dere la verità”, sosteneva Pablo Picasso. Per questo occorre curare la nostra scrittura fin nei minimi dettagli: raccontare “bugie” per descrivere la realtà, fino a renderla più vera del vero. Ma la precisione non basta: occorrono leggerezza, rapidità, visibilità, molteplicità, come suggeriva nelle sue “Lezioni americane” Italo Calvino. Così “un giardino splendente” deve diventare nelle pagine che scriviamo “un luogo in ci sono piante di fico e cespugli di rose in fiore”. Picasso e Calvino, ma anche Caravaggio, Melville e Dickens sono “bugiardi” di professione, artisti capaci di creare opere intricate, ricche di simbolismi e metafore, e allo stesso punto pungenti, quasi violente per la lucidità dei loro dettagli. Pensiamo all’urlo del cavallo squartato da una bomba che domina la tela in bianco e nero di “Guernica” (esposta al Museo Reina Sofia di Madrid): Picasso si serve di questo dettaglio per raccontare una guerra civile. Con una prosa altrettanto appassionante Hemingway dà inizio al suo romanzo, “Fiesta” (1926): “Robert Cohn era stato un tempo campione di pugilato di Princeton, categoria pesi medi. Non crediate che questo, come titolo pugilistico, a me faccia una grande impressione, ma per Cohn significava molto. Non gli importava niente della boxe, anzi la detestava, ma l’aveva imparata, con fatica e sino in fondo, per reagire a quel senso di inferiorità e di insicurezza che gli derivava a Princeton dall’essere trattato come un ebreo”. Dettagli: imparate a osservarli e a descriverli. Perché vostra madre tiene le braccia incrociate quando al mattino vi sveglia? In un pomeriggio di pioggia, che relazione c’è tra il colore dell’ombrello e lo stato d’animo del proprietario? Per quale ragione il bambino che vi passa accanto sgrana gli occhi? Sono particolari, quasi impercettibili, ma che rappresentano una “meta-comunicazione”, un sotto-testo che accompagna il discorso e la nostra immaginazione. A questo proposito, vi consiglio di leggere “Ogni cosa è illuminata” (2002) di J.S. Foer. Se riuscirete anche voi a intravedere il modo particolare in cui una persona nasconde le emozioni, e inventerete un’espressione originale per raccontarla, sarete degli scrittori.

≈ Raccontare storie è un’arte che si può imparare. Lo dimostra la Scuola Holden di Torino, fondata da Alessandro Baricco nel 1994. Tra gli allievi anche Paolo Giordano, vincitore del Premio Strega 2008.

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forchette e bacchette Rifugio di Alpenzu Il rifugio di Alpenzu grande (1.779 mt) è raggiungibile con 45 minuti di camminata percorrendo il sentiero n°6 che parte da Chemonal, frazione di Gressoney. È aperto nei weekend da maggio a ottobre mentre, da metà giugno a metà settembre, anche in settimana. Per il pranzo prevedete 18 euro (bevande escluse) per un menu guidato. C’è anche la possibilità di pernottare in camerate da otto o in camera doppia a mezza pensione (40 - 48 euro). frazione di Chemonal, comune di Gressoney St. Jean (Ao). Per informazioni e prenotazioni, tel. 338 - 25.62.229 o rifugioalpenzu.it.

la riscoperta delle alpi | testo e Foto | davide de luca

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Il rifugio Alpenzu grande, a 1.779 metri, è un edificio di origine Walser.

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ul versante occidentale della valle di Gressoney (Ao) c’è un piccolo mondo fatto di legno e pietra. È il villaggio di Alpenzu, uno dei più antichi insediamenti Walser, la popolazione di origine germanica che arrivò nell’VIII secolo nell’Alto Vallese (oggi terra Svizzera) e si stabilì poi in varie località dell’arco alpino, tra cui l’Italia. Documenti d’epoca testimoniano l’esistenza del villaggio già dal 1200, mentre le abitazioni più antiche attualmente presenti (13 in tutto) risalgono al 1668. Ad Alpenzu non vive più nessuno da trent’anni, ma dal mese di maggio a fine ottobre Danila e Roberto, marito e moglie titolari del rifugio, salgono in quota (1.779 metri sul livello del mare) e offrono ai loro clienti la possibilità di gustare la cucina tradizionale della Valle d’Aosta. “Tutto ha inizio nel 1992 -spiega Danila-: mio padre è di origini Walser e in casa da sempre parliamo il tisch, la lingua del nostro popolo, così un giorno abbiamo deciso di ristrutturare lo stadel, l’abitazione di famiglia”. Altri hanno seguito il loro esempio, ridando vita al paese. Quando Alpenzu è diventato meta di passeggiate ed escursioni, Danila e Roberto, triestino e grande appassionato di cucina, hanno trasformato il loro stadel in rifugio. “Sono un cuoco autodidatta -dice con orgoglio Roberto-: amo queste montagne e i prodotti che se ne ricavano”. Il rifugio, premiato per ben due volte con la targa di “Buona cucina” dal Touring club italiano, è tra gli

esercizi commerciali che fanno parte del Saveurs du Val d’Aoste, un marchio che identifica i luoghi in cui si possono provare i prodotti locali e le ricette della tradizione regionale in un contesto architettonico immerso nella storia. Dopo un’ora di semplice sentiero, ad attendere il camminatore ci sono lardo di Arnad e Motzetta con castagne di Lillianes caramellate al miele, affettati e salumi valdostani, un’ottima polenta concia con fontina e toma di Gressoney, i knefflene (gnocchetti) con speck, la carbonade (spezzatino) di manzo e salsiccetta e, per concludere, una torta con mousse di cioccolato o la classica torta di mele. Vi preoccupa la digestione? Nessun problema: i mirtilli sotto grappa e un’ampia scelta di liquori casalinghi vi permetteranno di riprendere il cammino verso le vette del Monte Rosa o di “rotolare” a valle.


≈ Hai scoperto un buon ristorante o un punto di ritrovo mangereccio? Passaparola su tempolibero@terre.it, perchè le cose buone... si condividono!

| passaparola MILANO

Cesena (Fc)

Capri (Na)

consigliato da Francesca e Luca

consigliato da Andrea

consigliato da Massimo

Alla faccia della nouvelle cuisine: qui la parola d’ordine è “abbondante”. Ma questa trattoria è il posto giusto per chi cerca non solo la quantità ma anche la qualità.

Come scegliere, nella patria della piadina, il posto migliore? A Cesena ci sono un’infinità di chioschi (o piadinaie), ma tra queste merita una menzione speciale quello di Stefano e Mascia.

Lontano dal caos e dalla mondanità della mitica Piazzetta, l’arrivo al ristorante, immerso nel verde, tra gli orti e i giardini della profumata Capri, è una sudata conquista. Una scelta per pochi eletti.

Chi ci porteresti: chiunque, a cominciare dagli amici milanesi che si ostinano a chiamare piadina quell’impasto farcito con cui fanno la pausa pranzo in inverno. Perché: per gustare quella che Giovanni Pascoli chiamava il “pane dei romagnoli”. Da non perdere: la piadina con squacquerone e rucola, i crescioni con erbe e salsiccia o con fricò di verdure. In compagnia di un bicchiere di Sangiovese. Costo: piadina vuota 80 centesimi, farcita da 2 euro a 3,50. I crescioni da 1,80 a 3. Dove: Cesena, via Gaspare Finali 5, tel. 335 - 573.08.47.

Chi ci porteresti: chi ama cenare in un ambiente tranquillo e rustico, ma non snob. Perché: specialità mediterranee, in un trionfo di sapori dei mari del Sud. Da non perdere: gli scialatielli alla zucca. Inutili i tentativi di corrompere lo chef: gli ingredienti si riconoscono, ovviamente, ma l’amalgama e l’anima del piatto rimangono un segreto. La pasta è davvero cotta al dente, “ostica” forse anche per i palati napoletani. Costo: 35 euro a persona, bevande incluse. Dove: Capri, via Dentecala 12, tel. 081 – 83.76.718.

Pupirichiello

Stefano e Mascia

Chi ci porteresti: l’amico snob che di­ce che la vera pizza si mangia solo a Napoli e la fidanzata, purché non sia a dieta. Potete andarci anche da soli: in pochi minuti vi sentirete a casa. Perché: gli scialatielli al profumo di mare riconciliano con il mondo anche quando sembra che tutto giri storto. Da non perdere: le minigonne della nonna, con polpettine, sugo e pecorino; ma anche la frittura di mare: divina. Costo: si esce (con la pancia piena) spendendo dai 15 ai 30 euro a persona. Dove: Milano, pz.le G. dalle Bande Nere 9, tel. 02 - 40.75.770. | la ricetta

Da Tonino

| food and the city | a cura di | davide de luca

street food alla fiorentina

Knefflene con speck, zafferano e panna offerta da Danilo, rifugio Alpenzu

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Per i knefflene: sbattere le uova e mischiarle con la farina e il latte, fino a ottenere un composto piuttosto morbido. L’impasto dovrà poi essere “passato” nella spatzlehobel (una pentola particolare, usata anche in trentino, che si può trovare in tutti i negozi di casalinghi) e fatto cadere direttamente nell’acqua bollente. Una volta cotti, gli gnocchetti andranno poi uniti allo speck a cubetti, fatto precedentemente rosolare nel burro, e infine conditi con lo zafferano e la panna.

foto di Paola Sersante - Aniceecannella.blogspot.com

Ingrdienti per 4 persone: 350 gr di farina 00 200 gr di speck 3 uova 2 bustine di zafferano mezzo bicchiere di panna da cucina latte q.b.

l lampredotto è uno dei quattro stomaci del bovino, una frattaglia. A Firenze, il panino con il lampredotto è un’istituzione, antico come Palazzo Vecchio e amato quanto le rime di Dante. Questa passione per le interiora è testimoniata anche dai documenti storici che ci narrano di banchetti e botteghe dove, sin dal Quattrocento, si bollivano e vendevano le viscere del vitello. Cibo popolare e di strada, in passato era apprezzato per la sua economicità e per essere molto proteico. Con il tempo i trippai hanno reso più appetibile e gustose le diverse ricette del panino: si può gustare in abbinamento con le bietole, “all’uccelletto” (con salsiccia, fagioli e pomodoro) o, a seconda della stagione, con cipolle, patate, carciofi e porri. I veri cultori amano il classico panino appena bagnato di brodo bollente, farcito con la carne, condito con sale e pepe (abbondante). Per assaggiarlo, approfittate di una gita nella bella Firenze: lo troverete, rigorosamente per strada, nei “banchini dei trippai” in piazza del Mercato nuovo, nei vicoli del centro storico o nei pressi della stazione di Santa Maria Novella. | 016 | settembre 10

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invenzioni a due voci

voci d’oriente | testo | davide musso

Partita a cricket in un casa popolare di Bombay. (David Gray/Reuters)

Incontro con “Metropoli d’asia”, editore che porta in italia i nuovi scrittori.

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Asia è il futuro”. Andrea Berrini lo conoscevo da anni come autore di testi “impegnati” (tipo “Storie africane. Viaggio in Tanzania” oppure il più recente “Quattrini. Il romanzo del microcredito”, ma anche “Noi siamo la classe operaia: i duemila di Monfalcone”) e poi come volto di Cresud, società milanese che si occupa di microfinanza nel Sud del mondo (www.cresud.it). Non mi sarei aspettato di ritrovarlo sugli scaffali delle librerie in qualità di editore: il suo nuovo

progetto si chiama “Metropoli d’Asia” (MdA), marchio editoriale che non lascia dubbi sulla mission, ed è partito verso la fine del 2009 con una manciata di volumi dalle copertine colorate e accattivanti. “È proprio lavorando sul microcredito che mi sono trovato a Bombay -conferma Berrini-, scoprendo autori che gli agenti internazionali non conoscevano”. A fare due più due ci ha messo poco: “Ho capito che c’era la possibilità di intercettare voci nuove e più autentiche dall’Asia sudorientale. Sono Paesi che stanno cambiando molto in fretta, dove soprattutto gli autori più giovani cominciano

Kiran Nagarkar Classe 1942, è nato a Bombay (oggi Mumbai) ed è considerato uno degli autori più importanti dell’India contemporanea. Ha scritto quattro romanzi, oltre a testi teatrali e sceneggiature cinematografiche. Rizzoli ha pubblicato da poco il suo ultimo libro “Piccolo soldato di Dio”. Ha anche un sito: kirannagarkar.com. 38

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a proporre narrazioni lontane dagli stereotipi cui siamo abituati: e quindi storie che affondano nella contemporaneità, nella modernità delle grandi città così come nelle contraddizioni sociali. Altro che vestiti colorati e sorrisi esotici!”. L’idea e le scelte editoriali sono di Berrini, mentre le questioni “logistiche” (redazione, tipografia, ufficio stampa, etc.) fanno capo a Giunti, uno dei principali gruppi editoriali italiani e partner al 50 per cento del progetto: “È sicuramente una scommessa, ma l’Asia è il futuro, e siamo convinti che chi prima parte meglio arriva”. Un ottimo biglietto da visita di MdA è “Ravan & Eddie”, non a caso uno dei primi titoli ad aver visto la luce sotto la nuova sigla. L’autore, Kiran Nagarkar, 68 anni, è considerato uno dei più importanti scrittori dell’India post-coloniale, ma fino a pochi mesi fa era sconosciuto in Italia. Il suo romanzo sprizza vitalità da ogni riga, fa ridere e piangere, e fa parte di quei rari libri che non vorresti abbandonare mai. Ravan e Eddie sono personaggi indimenticabili che vivono la loro personale formazione in un chawl, uno degli enormi casermoni popolari costruiti dagli inglesi durante il colonialismo: bambini, poi ragazzini e infine adulti, i due si spartiscono spazi attigui ma sono destinati a non incontrarsi mai veramente -divisi dalle rispettive religioni: uno indù, l’altro cattolico- anche se, col tempo, arriveranno quasi a scambiarsi i ruoli: “Quando scrivevo questo romanzo -racconta Nagarkar- non sapevo che cosa stavo facendo, ma sapevo che c’era una possibilità che i due bambini entrassero l’uno nel mondo dell’altro, come infatti accade”. Nel libro Ravan si appassiona al taekwondo, arte marziale coreana, e per frequentare le lezioni deve imparare l’inglese, la lingua parlata dal suo maestro così come dai cattolici indiani. Non è un dettaglio: “Se in India conosci l’inglese appartieni a quelli che hanno qualcosa, se non lo conosci sei tra quelli che non hanno nulla”. In qualche modo, quindi, Ravan salta un confine normalmente invalicabile per quelli come lui. Così Eddie, che inizia

Andrea Berrini è scrittore e presidente di Cresud, società specializzata in microcredito nel Sud del mondo. Nel 2009 ha fondato la casa editrice Metropoli d’Asia (MdA) in partnership con Giunti, per portare anche in Italia le opere di autori asiatici. Per vedere le loro pubblicazioni, andate sul sito metropolidasia.it.


a leggere storie della tradizione indù, finendo nei guai quando la madre lo scopre e lo trascina dal parroco. “In questo modo -sottolinea l’autore-, anche se non se ne rendono conto i due ragazzini stanno costruendo dei ponti”. Un elemento ricorrente nel libro è la dominazione straniera, a dimostrazione che è difficile scrollarsi di dosso un retaggio così pesante. La cosa a Berrini è fin troppo chiara: “Quindici anni fa decisi di occuparmi di microcredito perché pensavo che noi, da Nord, dovevamo cominciare a metterci in relazione con i nostri ‘sudditi’ nel Sud del mondo e attuare meccanismi di restituzione e di riequilibrio in cerca dell’equità economica e sociale. Oggi ho l’impressione che, perlomeno per quanto riguarda l’Asia e i Paesi più grandi dell’America Latina, gli ex sudditi si stiano trasformando in partner che detengono un potere pari al nostro: non siamo più i più forti e potenti. Era ora”. In realtà secondo Nagarkar il colonialismo ha solo cambiato volto: nel suo romanzo, scritto nei primi anni Novanta, l’autore punta il dito contro multinazionali e televisione. E oggi? “È molto peggio -si infervora Kiran-. Ai giovani interessano solo i soldi e non sanno nulla di chi ha lottato anche per la loro libertà rischiando la propria vita, come Gandhi e Nehru. Dicono che diventeremo la nuova potenza economica insieme alla Cina. È vero: le cose stanno migliorando anche in India, ma io non posso sopportare l’idea che il mio Paese arrivi ad assomigliare alla Cina, dove non c’è democrazia. E poi, se vogliamo fare le cose bene non dobbiamo pensare solo ai ricchi: anche le condizioni dei poveri devono cambiare, e oggi non è così”.

| i libri di terre | parola d’autore | di diego marani

C

inque settimane di cammino (e sei di ferie!), oltre mille chilometri a piedi. Ero già stato sul cammino “francese” di Santiago, purtroppo ormai iperaffollato e vittima della propria bellezza, e ho camminato su altri percorsi in Europa, ma nessuno per me è stato così reale come la Via della Plata: un dono indelebile. Sono sempre più consapevole che non è stata un’emozione passeggera ma un sentimento che continua a crescere. Una concatenazione sempre più lenta -e quindi sempre più intensa- di sapori: dalle olive andaluse al polipo galiziano passando per la carne extremeña, il tutto accompagnato dal vino della verità. Le sensazioni del vento, del cielo e del suolo che si diffondono dal corpo all’anima, passo dopo passo. E una goduria prolungata per chi come me è appassionato sia di storia sia di Spagna. Ero partito già con l’idea di scrivere un diario, giorno per giorno, tappa per tappa, e ogni sera riempivo qualche pagina con paesaggio e incontri, fino a quando non è capitato quello che poi ha cambiato tutto. Ma questa è un’altra storia: ogni pellegrino ha un suo segreto. diego marani

Seguendo i propri passi Terre di mezzo Editore, 2010 128 pagine ± 10,00 euro

≈ Andersen, il mondo dell’infanzia è un mensile che dall’82 si occupa di letteratura per i piccoli. Ogni anno assegna un premio alla migliore produzione editoriale (www.andersen.it).

| piccoli grandi lettori | a cura di | anselmo roveda di anDersen

Il lavoro nobilita (quando non rende schiavi) A Rosarno, in Calabria, la Befana, col suo carico di dolci e carbone, è passata da non molto quando il 7 gennaio 2010 la cittadina balza alle cronache. Tre giorni di scontri tra gente del posto, lavoratori migranti impegnati nella raccolta stagionale e forze dell’ordine; tre giorni sufficienti a ricordarci un fenomeno diffuso: il lavoro nero svolto da manodopera straniera sottopagata e costretta a vivere in condizioni inumane. Un libro coraggioso prova a raccontare questa situazione: Il sapore amaro delle arance (Coccole e caccole 2010, 32 pagine, 13 euro), testo essenziale e pertinente di Sandro Natalini a disporsi sulle leggere, intensamente civili, illustrazioni di Tommaso Nava. I diritti negati a Rosarno quest’anno dovrebbero festeggiare 40 anni; era il 1970, infatti, quando è stato promulgato lo “Statuto dei lavoratori e delle lavoratrici”. Flaminia Fioramonti, con i disegni di Rachele Lo Piano, lo racconta ai bambini in Diego e i diritti dei lavoratori (Sinnos 2010, 60 pagine, 13 euro). Ma non c’è solo il lavoro dei “grandi” c’è anche il lavoro dei “piccoli”. Bandito in Italia, ma storicamente presente come testimoniano opere della letteratura (Spazzacamino, 1912, di Invernizio) e del cinema (Sciuscià, 1946, di De Sica), il lavoro minorile continua a impegnare 215 milioni di bambini nel mondo (dati International Labour Organization). Qualche anno fa questa realtà è stata raccontata in Non c’è tempo per giocare (Zoolibri 2007, 120 pagine, 16 euro), un volume illustrato da Mariana Chiesa e scritto da Sandra Arenal: cinquanta storie di infanzia spese in fabbrica o sulla strada, a vendere e a vendersi.

| letti per voi

Il bambino della spiaggia Emiliano Sbaraglia, giovane insegnante, dopo il taglio delle cattedre deciso dalla riforma Gelmini molla tutto e se ne va in Senegal, “stanco di sperare nella buca della posta, in attesa di una convocazione che non arriverà prima di ottobre”. Lì insegna francese in un villaggio, dove l’alfabetizzazione è ancora una scommessa e portare a scuola un alunno una sfida contro la povertà e la tradizione, che vorrebbe i ragazzi pescatori come i padri. Tra partite di calcio e lezioni improvvisate fuori dalle aule, Emiliano riscopre l’amore per l’insegnamento e l’impazienza di imparare che prova solo chi non ha mai potuto farlo. Una bella storia autobiografica, altamente consigliata per insegnanti stanchi e studenti svogliati. Per iniziare bene il nuovo anno. (Michela Gelati) Emiliano Sbaraglia

Il bambino della spiaggia Fanucci Editore 164 pagine ± 13,00 euro

È nata una star? A volte guardo le mie bimbe e cerco di immaginarmi che lavoro faranno quando saranno adulte. È importante che seguano la loro strada, mi dico. Non mi intrometterò nelle loro scelte. Promesso. Poi però leggo l’ultimo libro di Hornby e qualche dubbio mi viene: un racconto pubblicato come volumetto “one shot” (uscito in origine per una casa editrice irlandese in una collana di invito alla lettura) sui tormenti di Lynn, una madre che scopre “per caso” che suo figlio Mark, il suo timido e impacciato bambino ormai cresciuto, è diventato un attore porno. Da qui, Lynn partirà per un salutare viaggio dentro di sé. Narrato con l’ironia tipica di Hornby, questo librino vi lascerà con il sorriso sulle labbra e qualcosa su cui riflettere. (Davide Musso) Nick Hornby

È nata una star? Guanda 80 pagine ± 10,00 euro | 016 | settembre 10

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divertimenti indipendenti ≈ Festival e appuntamenti: manda le tue segnalazioni a tempolibero@terre.it, le pubblicheremo anche sul sito!

Le prove dello spettacolo. (Sophie Ann Herin)

musica di donne guerriere | testo | giulia bondi

A Modena, undici attrici di Sette paesi portano in scena Lo spettacolo “Akus”.

U

na donna guerriera, una Giovanna d’Arco anticolonialista a cavallo tra storia e leggenda. Si chiama Akus (nome che, in ghanese, evoca Akosua, “nato di domenica”) e il suo canto africano di guerra e fertilità esplode per la prima volta nell’ottobre di un anno fa a Modena, in una piccola palestra a due passi da chiesa gospel e moschea. In meno di 12 mesi, quel grido primordiale diventa uno spettacolo, “Akus: opera musicale per donne guerriere”, che il 23 settembre debutta sul palco dello Storchi, il principale teatro della città, dove rimane in cartellone fino al 26 settembre. In scena 11 donne di sette Paesi, molte delle quali a teatro non ci sono mai state nemmeno come spettatrici. Hanno tra i 30 e i 45 anni e sono operaie, disoccupate, casalinghe, più alcune italiane attrici di professione. Dal 2008 fanno parte del coro delle donne migranti “Chemin des femmes”, che 40

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si esibisce in feste e manifestazioni interculturali mischiando le tradizioni africane col Sudamerica, l’Est Europa, i canti anarchici e femministi. “Akus sono io”, afferma ridendo Doris, 43 anni, ghanese, che con un bastone in mano e una fascia colorata sulla testa ha dato vita alla protagonista di quest’opera musicale. “Durante una prova chiesi a Doris di fare un’improvvisazione, e lei, come la cosa più naturale del mondo, si è trasformata in una donna guerriera, potente, spaventosa e tenera”, ricorda Meike Clarelli, 33 anni, direttrice del coro e curatrice della parte musicale dello spettacolo. Il metodo di Meike si chiama “canto sensibile” ed è una sorta di maieutica vocale, “che ti fa aprire la bocca per fare uscire cose di te che non pensavi di avere”, commenta Viktoria, attrice ucraina. È dall’incontro tra Meike Clarelli e la regista Alice Padovani, co-fondatrice dell’associazione “Amigdala” che produce lo spettacolo con il sostegno della Fondazione Cassa di risparmio di Modena, che dal repertorio

popolare del coro si passa a una vera e propria “opera musicale”, poi selezionata da Emilia Romagna Teatro per un contributo alla produzione e per la rassegna di compagnie emergenti “Prime visioni”. Durante le prove, improvvisando, è nata la partitura delle scene, “un tessuto onirico che alterna caduta e resurrezione –racconta Alice-, l’incontro tra donne e l’attesa che precede una decisione importante, come la scelta tra migrare e restare”. Ciascuna delle protagoniste vive l’attesa del debutto a modo proprio: c’è chi spera che lo spettacolo possa trasformarsi in un’opportunità di lavoro ed è disponibile ad andare in tournée, chi è comunque orgogliosa e chi ancora non ci crede. “È una grande impresa e andrà benissimo, con l’aiuto di Dio”, assicura Doris-Akus, mentre ride a voce alta.

info tel »

associazione Amigdala 059 - 315.547 amigdala.mo.it


| agenda italia

Street art nelle Murge L’organizzatore lo definisce un “incontro di artisti internazionali in un piccolo centro italiano”. È il Fame Festival, in calendario il 25 settembre nel quartiere delle ceramiche di Grottaglie (Taranto): una ventina di artisti da tutto il mondo cambieranno volto al borghetto sulle colline delle Murge realizzando stampe serigrafate, murales, ceramiche e graffiti, insieme agli artigiani locali. Un grande evento di street art, completamente autofinanziato. info tel »

Piazze, vicoli, palazzi e osterie: non ci sono padiglioni, ma tutti gli spazi della città vengono coinvolti in Pordenone legge, il festival “per vivere i libri in modo gioioso” che nel 2009 ha richiamato 100mila persone. Quattro giorni (dal 15 al 19 settembre) con autori prestigiosi dall’Italia e dal mondo, da vivere in 160 eventi tra presentazioni, lezioni e reading. Tra gli altri, le “nostre” Giusy Marchetta e Laura Fantozzi.

tel »

| scelti per voi

il posto delle statue

Fame Festival 331 - 64.56.259 famefestival.it

Invasione di libri a Pordenone

info

“Per ogni lavoratore morto”, di Giorgio Andreotta Calò. (Valerio E. Brambilla)

Pordenone legge 0434 - 38.16.00 pordenonelegge.it

| testo | osvaldo spadaro

C’

era un tempo in cui non eri nessuno, se non ti dedicavano una statua. Regnanti illuminati, despoti corrotti, nobili arricchiti e dittatori di ogni risma non trovavano modo migliore di celebrare il loro potere se non facendosi scolpire una statua da sistemare in bellavista. Ora l’epoca monumentale sembra tramontata e a farsi ritrarre in imponenti sculture pare siano rimasti giusto il coreano Kim-Jong-il e qualche presidente dell’Asia centrale. Dunque siamo nell’era del post-monumento: come si rapporta la scultura con tutto ciò? Da questa riflessione parte la XIV edizione della Biennale di scultura di Carrara, città che alle statue e ai monumenti

è da sempre legata, visto che il marmo con cui erano fatti il più delle volte veniva da qui. Trentatrè artisti contemporanei hanno interpretato questo tema in altrettante opere che sono esposte in un percorso di visita che intreccia scultura e storia della città. Palcoscenico dell’evento sono vecchi magazzini abbandonati, chiese diroccate ma anche moli del porto e scantinati di scuole, quasi a voler sovvertire la logica monumentale che voleva le statue al centro delle piazze. info fino al »

XIV Biennale di scultura di Carrara 31 ottobre 2010 labiennaledicarrara.it

| ticket d’oltralpe

Formaggi a cinque cerchi

San Vito: cous cous on the beach Il cous cous è un piatto cucinato in molti Paesi, ma a San Vito Lo Capo (Tp) è diventato simbolo dell’integrazione culturale. Anche quest’anno gli chef di Costa d’Avorio, Francia, Israele, Italia, Marocco, Palestina, Senegal e Tunisia si sfideranno ai fornelli del Cous cous fest, in calendario dal 21 al 26 settembre. In programma anche lezioni di cucina ed esposizione di prodotti artigianali. info tel »

Cous cous fest 0923 - 974.300 couscousfest.it

Se amate i formaggi e le montagne, questo è l’evento che fa per voi. I 90 migliori produttori caseari delle Alpi si incontrano il 25 settembre a Galtür, nel tirolo austriaco, per la 16a edizione delle Olimpiadi dei formaggi di montagna. Mentre la giuria sarà impegnata a giudicare forme e formaggelle, i visitatori potranno sbizzarrirsi nell’assaggio e nell’acquisto delle prelibatezze delle malghe. I formaggi più buoni verranno premiati con la Sennerharfe, trofeo a forma di arpa in oro, argento o bronzo. info tel »

Almkäseolympiade 0043 - 66.45.444.684 kaeseolympiade.at

I funamboli del vento Appuntamento dal 9 al 12 settembre nella baia di Poole, porto naturale di 36 km quadrati nel sud dell’Inghilterra, per la 12a edizione di Animal windfest, grande happening sportivo per amanti di surf, kite e windsurf, ma anche di bici trial, pallavolo e delle velocissime barchette “thundercats”. info tel »

Animal windfest 0044 - 12.02.707.757 animalwindfest.co.uk | 016 | settembre 10

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in prima fila speciale grande schermo Dieci giorni e dieci notti di cinema, ospiti e scoperte vi attendono a Milano, dal 10 al 19 settembre. Un appuntamento speciale quello del 2010: il festival compie 15 anni. Era il 1995 e si chiamava solo “Cortometraggio”... (www.milanofilmfestival.it).

petrolchimico a processo | testo | Giulia Genovesi

H

omo homini lupus. Senza il controllo di un organismo superiore che regoli i rapporti fra gli uomini, prevalgono la sopraffazione e gli interessi di alcuni gruppi. Dalle riflessioni del filosofo Hobbes sulla natura umana prende il titolo il documentario dei registi catanesi Bruno e Fabrizio Urso, “La baia dei lupi”, che racconta la storia del polo industriale a Nord di Siracusa. Tutto ha inizio negli anni ’50, quando le multinazionali del petrolio cominciano a costruire raffinerie, depositi di carburante, centrali elettriche, impianti per la sintesi chimica. Nel giro di pochi anni l’economia locale subisce una trasformazione radicale. Per i pescatori, i contadini, i salinari, è la possibilità di cambiare vita. “Mangiavi in mensa, avevi la tuta, potevi fare il mutuo: era il sogno dei nostri nonni e dei nostri genitori”, racconta Alessio Di Modica, del centro culturale Casa Comune di Augusta (Sr). Ma presto il sogno si trasforma in incubo: dalle morie di pesci, negli anni Settanta, all’aumento dei tumori al polmone, che negli anni Ottanta determina un decesso su tre fra la popolazione maschile. Uno dei dati forse più terribili è la percentuale delle malformazioni congenite nei neonati, che nel 2000 arriva al 5,6 per cento: più del doppio della media nazionale. Nonostante l’evidenza delle responsabilità, né dallo Stato né dalle industrie è arrivato un risarcimento. Gli stessi lavoratori non hanno mai protestato, all’inizio per mancanza di consapevolezza, poi per assenza di alternative: “Meglio morire di cancro che di fame” è la dichiarazione di una diciottenne, riportata dal parroco di Brucoli, che commenta: “L’inquinamento non è solo nell’ambiente. Ha raggiunto la capacità di pensare”. “Volevamo capire questa situazione -dice Bruno Urso-: in Sicilia girano tanti soldi, ma non rimane niente, solo territori devastati”. Attraverso materiali d’archivio e interviste a medici, sindaci, parroci, cittadini, i gemelli Urso ricostruiscono “una storia che già a 40 km da qui è sconosciuta. Anche se questo è il polo petrolchimico più grande d’Europa, e in ogni famiglia c’è almeno un morto”.

La baia dei lupi Sarà presentato nella rassegna “Colpe di stato”. Le informazioni per organizzare una proiezione sono reperibili su studionois.it. 42

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| gli altri appuntamenti del Festival | a cura di | esterni ≈ esterni nasce nel 1995. Sviluppa progetti per lo spazio pubblico a Milano e in altre città in Italia e nel mondo. Organizza il Milano film festival (esterni.org).

Dentro la kermesse Un documentario dal vivo, sul caso Abu Omar: questa la perla dell’edizione 2010. Gli spettatori sono invitati a salire su un bus che li accompagna nei luoghi che hanno fatto da sfondo alla vicenda dell’imam di viale Jenner sequestrato a Milano nel 2003 e trasferito in Egitto dalla Cia con il beneplacito dei nostri servizi segreti. Un lavoro di Bruno Oliviero, per la regia di Francesco Frongia. Icona del cinema indipendente e protagonista della retrospettiva è Jim Jarmusch, regista di “Broken

Flowers”, vincitore del Premio della Giuria a Cannes nel 2005, che ha scelto la platea milanese per presentare “The limits of control”. Rifiutato dalla kermesse francese, temuto dalla distribuzione e mai arrivato in Italia, è uno dei film (ingiustamente) meno visti della stagione: protagonista un criminale che prima di ritirarsi dalla scena pensa all’ultimo colpo. C’è attesa anche per i giurati, tra cui Nick Park, fondatore dello studio di animazione Aardman, famoso per “Galline in fuga” e “Giù per il tubo”.


speciale kuminda

il cibo va in scena

il teatro è servito | a cura di | Sara Ragusa

L

a vita è un morso”. Lo scrivono e cantano autori napoletani come Erri De Luca e Pino Daniele. Lo spettacolo del Teatro in polvere impersona il detto con una variante: “La vita è un banchetto”. Nel “Teatro-Cucina®” non ci sono palcoscenico e platea, ma un tavolo a ferro di cavallo, perfettamente imbandito, che abbraccia uno spazio vuoto e un telone di lino, da cui si intravede un bancone e una danza di pasta di pane. I trentadue commensali si accomodano mentre il sipario si alza e la farina riempie l’aria insieme alla musica. Tre attori, Valentino Infuso, Laura Gamucci e Valentina Fogliani, e un musico, Roberto Zanisi, accompagnano il pubblico su un’altalena di emozioni che si fanno concrete nelle pietanze preparate davanti ai loro occhi. “I piatti sono stati creati insieme alla drammaturgia -spiega Valentino-: in scena improvvisavamo con ingredienti e ricette fino a trovare il cuore di ogni pietanza, in modo che potesse dialogare con il testo”. Non aspettatevi una commediola facile perché la cena non è di contorno, né lo spettacolo è solo un intrattenimento. Cibo e racconto si intrecciano in un binomio inscindibile che dura due ore

abbondanti. Ogni portata ha una storia che si porta con sé: dall’infanzia che ritorna col profumo del fagottino della nonna, alla spensieratezza chiassosa e ridanciana del matrimonio, dalla tenera allegoria del concepimento, alla dolce serenità della vecchiaia. Gli attori sono bravissimi a coinvolgere gli spettatori con garbo e ironia. La cena li coccola e permette loro di stabilire un legame immediato. “La preoccupazione latente è che tutto fili liscio -dice l’attore-, ma esiste l’imprevisto: una volta mi è esplosa in mano una bottiglia di Pinot nero, sono sgattaiolato fuori ballando per prendere quella di riserva”. Il Teatro-Cucina® è nato una decina di anni fa, da un’idea di Valentino raccolta da Elisabetta Faleni, con cui ha fondato la compagnia. Lo spettacolo è talmente innovativo che ha dato persino il nome a un genere.

Teatro-cucina® Sarà a Milano dal 12 al 14 ottobre, all’interno di Kuminda, evento sul diritto al cibo organizzato da Terre di mezzo. Per le altre date: teatroinpolvere.it.

| si alzi il sipario | a cura di | Rosy Battaglia

Es.Terni 5 Niente è scontato a Es.Terni 5, il festival della creazione contemporanea che per il quinto anno consecutivo, dal 23 settembre al 3 ottobre, anima con arte, danza e teatro la cittadina umbra. Sullo sfondo del centro culturale “Caos”, trovano spazio le installazioni dei GaTr (Giovani architetti Terni) e gli “esercizi di lingua violenta” di Fibre parallele, originale compagnia barese. Da non perdere la presentazione di “Frontiere del teatro civile”, ultimo libro di Letizia Bernazza. DOVE tel »

Terni, 23 settembre - 3 ottobre 0744 - 285.946 exsiriterni.it

Tramedautore Un viaggio nel cuore del teatro africano all’ombra della “Madunina”? È possibile con Tramedautore, festival di drammaturgia internazionale, curato da Outis. A Milano, dal 21 al 26 settembre e dal 15 al 17 ottobre. In apertura “Silhouette de l’ombre”, pièce del Teatro regionale algerino. Dal Cairo, poi, “The temple independent theater company“ racconta “L’importanza di essere un arabo”. Da non trascurare gli intermezzi: sono le performance dei giovani artisti di Libia, Mauritania e Marocco. DOVE tel »

Milano, 21 - 26 settembre 02 - 39.257.055 outis.it | 016 | settembre 10

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tu vuoi fare l’italiano? ≈ Rockit nasce nel 1997. È il database di gruppi italiani più ricco al mondo. Organizza anche eventi, tra cui il Mi ami a Milano

I torinesi Verlaine hanno appena pubblicato il primo album.

| segnali sonori

Baby Blue

Pazienza e dedizione sono quello che ci vuole per fare i musicisti. A dirlo, i VerlainE. | a cura di | sandro giorello | rockit

gente di mare G

uardare i pescatori è affascinante. Se ne stanno muti, immobili, appollaiati su uno scoglio a fissare un galleggiante. E ti immagini che nella loro testa passi di tutto, che il pesce sia quasi l’ultimo dei pensieri, un semplice filo che li tiene ancorati alla realtà. I tre che ho davanti fanno quasi ridere: rossi, bruciati dal sole, ma ormai coperti di sciarpe e più strati di giacche, perché si è fatto buio e la temperatura qui scende subito. Mi torna in mente una frase che Daniele Rangone, cantante dei torinesi Verlaine, mi ha detto quando ci siamo incontrati: “Trovarsi a suonare ore e ore al freddo con la sveglia alle 6.30 il giorno successivo è eroico, poetico, difficile e nel suo piccolo rivoluzionario -sosteneva-. Ma abbiamo la presunzione che queste storie e queste canzoni meritino attenzione e quindi lo facciamo con dedizione”. Eravamo partiti da una domanda: che senso ha scrivere scrivere canzoni sorpassata

la soglia dei trenta? La loro risposta era stata disarmante: della poesia non si può fare a meno. E non posso che dargli ragione. I Verlaine esistono da parecchio, il loro primo demotape è del 2002, ma il primo album ufficiale, “Rivoluzioni a pochissimi passi dal centro”, arriva solo ora. È stato prodotto da Gigi Giancursi dei Perturbazione, e con quest’ultimi hanno molto in comune: uno stile elegante, l’obiettivo di raccontare storie romantiche, vissute, ricche di dettagli, il gusto di vestire il pop di un’anima cantautorale. “Quando ho cominciato a scrivere mi uscivano cose tristi, un po’ da Cobain dei poveri -dice Daniele Rangone-: ho dovuto lavorarci sopra parecchio. Anche ora ci metto diversi mesi per terminare il testo di una canzone”. Insomma tanta pazienza. Come i tre che ho qui davanti e sono ore che non prendono niente. Forse perché mi è scappato un “Buona pesca” (dicono che porti sfortuna).

| prove d’orchestra | a cura di | marta gatti

Lo scatolophon Con una scatola di polistirolo da catering scolastico e un elastico da ufficio si può creare lo “scatolophon” il padre di tutti gli strumenti a corda. “È il mio preferito -spiega Maurizio Capone, cantautore napoletanoperché è una chitarra, un basso e un violino insieme”. Si suona con due bacchette, battendo sulla corda o sfregandola. “Nel 2000 ho fondato la mia ecoband, ma avevo 44

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già cominciato a creare strumenti con materiali riciclati, partendo da ricordi d’infanzia, come lo xilofono di chiavi inglesi e lo scacciapensieri con l’elastico”. Il simbolo della Capone & BungtBangt è la scopa elettrica, una scopa normale con un elastico. “Il mio scopo è rendere i suoni indistinguibili da quelli tradizionali per accompagnare i testi delle mie canzoni”, conclude Maurizio. Da ascoltare su caponebungtbangt.it.

We don’t know Hanno tutte le carte in regola per farsi ricordare: psyco-folies a due voci, un’attitudine da blues stropicciato, con un fiuto per le cadenze ipnotiche e i camuffamenti stilistici. Imprevedibilità e cantato fanno il resto, traghettando l’intero lavoro lungo un collage di new wave sghemba, micro poemi pop a base di chitarre indierock. (Ester Apa)

The tigers of Mompracem Ep Ecco tre arruffati tigrotti di stanza a Milano pronti al salto mortale: gli artigli graffiano, c’è il singolone che vi farà impazzire (“Mono resolution”) e un’attitudine live senza respiro (“I will die soon”), ma soprattutto l’impressione che il trio possa maturare ancora ed evolvere un suono che per ora trascina a dovere. Da non perdere. (Mario Panzeri)

Thousand Millions Rock days Questo disco è una bomba. Se “Here and back again”, il disco precedente, sapeva di college rock e doveva molto agli Weezer, “Rock days” si conferma un lavoro di grande personalità. Evidenti doti di scrittura ed eccellenti melodie per una serie di potenziali hit che se venissero sfornati da un gruppo anglosassone, ne siamo sicuri, sarebbero in men che non si dica su tutti i palchi d’Europa e non solo. (Nicola Bonardi)


bandi e concorsi ≈ Design per tutti

| a cura di | MARTA GaTTI

una pace tutta da disegnare U

n bambino con un lapis al posto di una gamba, e una scritta: “pace”. Così il primo classificato dell’edizione 2009 ha deciso di rappresentare il tema “Matite per la pace”, concorso per giovani autori di fumetti e illustrazioni, oggi alla sesta edizione. A promuoverlo, il Comune di Firenze, la Scuola internazionale di Comics, il portale intoscana.it ed Emergency. L’associazione fondata da Gino Strada nel 1994 è da sempre impegnata sul fronte della convivenza: “In particolare tra i giovani -spiega Francesca, una volontaria fiorentina-. E che cosa c’è di più immediato del fumetto come mezzo espressivo?”. Un invito dunque rivolto ai giovani dai 14 ai 35 anni che possono partecipare a questo concorso con fumetti e illustrazioni (per un massimo di tre tavole). “Nel 2009 la partecipazione è stata quasi sorprendente -ammette Sara Sasi, vicedirettore della scuola di Comics-: abbiamo ricevuto oltre un centinaio di lavori”. E come premio per i vincitori, c’è una borsa di studio di 2mila euro per un corso di disegno o di fumetto in una delle otto sedi italiane della Scuola. Mentre Emergency sceglierà tra tutti i disegni pervenuti quello da utilizzare nelle sue campagne di sensiblizzazione.

scade info tel

Matite per la pace info tel »

»

Concorso di fumetti 055 - 218.950 matiteperlapace.intoscana.it

“Piccoli film per grandi idee”: è questo il motto di “Raccorti toscani”, il concorso per filmmaker italiani e stranieri arrivato alla seconda edizione. Il tema scelto anche per quest’anno è la solidarietà in Toscana: valori, pratiche e protagonisti. Il corto (max 5 minuti) deve avere una colonna sonora originale. Ai vincitori, 2.500 euro. scade

≈ Scatta lo scatto

≈ Assurdo, eppure è arte

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A chi pensa che gli immigrati in Europa siano solo di passaggio, può suonare strano. Eppure, fra gli stranieri, non ci sono solo giovani braccia, ma anche anziani. Per gli enti locali europei che si vorranno occupare di loro, il Comitato delle regioni e l’associazione tedesca per la promozione dell’integrazione sociale “Aktion Courage” mettono in palio 3mila euro. Il concorso “Buone pratiche per iniziative a favore di immigrati anziani” premia i migliori progetti che riguardano casa, tempo libero e integrazione. scade info tel »

31.10.2010 Aktion courage 0049 - 228.213.061 aktioncourage.de

Quante volte avreste voluto immortalare la vittoria della vostra squadra di pallavolo o la tensione prima dello start nei 100 metri? La Provincia di Varese organizza il concorso fotografico “Scatti d’atleta”, aperto ai giovani (fino ai 26 anni) residenti in provincia. Una sezione speciale è dedicata allo sport al femminile. Potete partecipare con un massimo di 5 scatti e il vincitore si aggiudicherà 600 euro. Le vostre foto potranno essere esposte o pubblicate su internet. scade info tel »

19.10.2010 Scatti d’atleta 0332 - 252.647 provincia.va.it

“Andiamo”. “Non si può”. “Perché?” “Stiamo aspettando Godot”. L’assurdo Beckett ce lo ha mostrato, ora tocca a voi. L’associazione culturale Mercurdo organizza il concorso internazionale dell’assurdo, aperto a tutti i cittadini italiani e stranieri che abbiano fantasia da vendere. Si può partecipare come singoli, gruppi o scuole, con video, pittura, disegno e teatro: ogni espressione artistica è lecita. I selezionati parteciperanno alla “Biennale dell’assurdo”, ai vincitori borse di studio da 500 euro. scade info tel »

10.10.2010 Premio Techne 2010 0521 - 921.956 techne.splinder.com

≈ Volontari in corto

scade 02.10.2010

| le opportunità del mese

≈ Immigrati anziani

Tecnologia... Roba da cervelloni! Non nel Comune di Parma che, insieme all’Archivio giovani artisti, organizza il “Premio Techne” per chi sogna di riprogettare la propria città o di vedere la sua opera di design in mostra. I giovani artisti, tra i 18 e i 35 anni, residenti in Italia o all’estero possono presentarsi come singoli o gruppi. Due le sezioni: installazione e tecnologia o progettazione e urbanistica. Le dieci opere migliori verranno esposte all’interno della mostra “Techne 2010”, in programma dal 6 al 26 novembre a Parma.

15.11.2010 Concorso dell’assurdo 333 - 17.47.430 mercurdo.it

18.10.2010 Raccorti toscani 339 - 76.23.692 raccortitoscani.it

≈ Favole e fiabe “C’era una volta...”. Ogni fiaba comincia così, che siano nonni, papà o mamme a raccontarla. Per partecipare al concorso nazionale di letteratura per ragazzi organizzato da comune di Monterchi (Ar) occorre solo scrivere una favola o una novella con protagonisti gli animali. Le opere si devono rivolgere a bambini dai 9 ai 14 anni. Per le iscrizioni: 15 euro, 7 per le scuole. In palio, 500 euro. scade info tel »

31.12.2010 Letteratura per ragazzi 0575 - 907.077 comunemonterchi.it | 016 | settembre 10

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| previsioni del tempo sociale | a cura di | dario paladini

Immigrati

Famiglie senza casa

Aiuti allo sviluppo

Rom

nuvoloso

pioggia

siccità

nuvole nere

All’aeroporto di Malpensa ci sono meno voli, si sa. E quindi anche i tentativi degli immigrati di arrivare clandestinamente in Italia dal cielo sono diminuiti. Nel 2006 i respingimenti sono stati 3.986, nel 2009 appena 784. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni, presentando i dati nell’ex hub lumbard, lancia l’allarme: “È Malpensa la nuova frontiera dell’immigrazione”. Che dire? Due immigrati irregolari al giorno che arrivano in un grande aeroporto sono un problema di sicurezza nazionale?

A Palermo sette famiglie senza casa hanno piantato le tende in piazza Pretoria. Per solidarietà, c’è chi ha portato loro mobili, vasi di fiori, quadri, perché si possano sentire “a casa”. È questo, forse, uno dei veri grandi problemi degli italiani, dopo il lavoro: affitti alti e prezzi di acquisto inaccessibili. Ma le battaglie politiche sono su altri fronti.

Siamo proprio tirchi. Anche Grecia, Portogallo, Malta e Cipro sono più generosi di noi. Nel 2009 l’Italia ha stanziato per i Paesi in via di sviluppo circa 3,3 miliardi di dollari, pari allo 0,16 per cento del nostro Pil. La media europea è dello 0,44 per cento. Al G8 dell’Aquila avevamo anche promesso che avremmo saldato la nostra quota prevista per il Fondo globale per la lotta a hiv/ aids, tubercolosi e malaria: circa 130 milioni di euro. Secondo la ong Actionaid, spenti i riflettori sul vertice, ci siamo dimenticati della promessa. Avari, chiusi al mondo e pure bugiardi.

Nel pomeriggio del 25 giugno arriva nelle redazioni dei giornali un comunicato stampa del vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato: il campo rom di via Forlanini è stato sgomberato. Ma i rom, e i volontari che li aiutano, erano ancora nelle loro baracche. Il comunicato era già pronto, lo sgombero era saltato perché quel giorno c’era lo sciopero generale. La propaganda non aspetta e non verifica.

corrispondenze

piccole vittime di guerra Gentile Redazione, il 10 giugno scorso alcuni giornali hanno pubblicato una notizia agghiacciante: “In Afghanistan i talebani hanno impiccato un bambino di 7 anni”, reo di non so quale azione di spionaggio. A distanza di giorni da questa atrocità (non so quale altro aggettivo usare, qualsiasi vocabolo mi sembra riduttivo), non riesco a non pensare a questa crudeltà compiuta su un bambino. Com’è possibile che accada questo? Impiccare pubblicamente un bambino nel 2010. Nel 2001 il regista francese Jean-Jacques Annaud ha girato un film, “Il nemico alle porte”, sulla battaglia di Stalingrado, con numerose scene di sangue e violenza. Una delle più difficili da vedere è quella che ha per protagonista Sacha, un bambino usato dai grandi per la loro guerra (come probabilmente questo bambino afgano), che penzola impiccato a una pompa d’acqua per locomotive. Credo che il regista, generoso di sangue e atrocità per 46

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tutto il film, abbia avuto un po’ di pudore o disagio a mostrare il corpicino che penzola dalla forca, così lo ha fatto per pochi secondi, in lontananza, ma la scena è ugualmente impossibile da guardare. Sappiamo che ogni giorno muoiono bambini per fame, malattie o mancanza di farmaci, guerre, violenze degli adulti, sempre e comunque per qualche crudeltà dei grandi. Delle grandi potenze, dei grandi interessi, delle grandi regole del mercato, dei grandi giochi della politica, dei grandi... egoismi. Questo martirio, di uno sconosciuto, piccolo, afgano, sembra riassumere la tragedia dell’infanzia nell’inizio del terzo millennio. Mi sorprende che la notizia abbia avuto così poca risonanza, non grida, non appelli, non dibattiti, non blog o discussioni, non l’orrore che invece

≈ Uno spazio di incontro tra Terre e i lettori. Scriveteci a redazione@terre.it.

meriterebbe. Non so perché, forse non ci siamo fermati a riflettere, forse non avevamo di fronte nostro figlio o nostro nipote, o un qualsiasi bambino di quell’età. A noi pediatri è richiesta, e sicuramente l’abbiamo, una sensibilità speciale per i bambini e credo che non possiamo dimenticare questa atrocità. Non so che cosa fare di concreto, chi coinvolgere e come farlo. Ma occorre fare qualcosa, insieme. Un gesto semplice, come mettere una fascetta nera, a lutto, sulle nostre riviste, spiegandone il motivo e raccogliendo suggerimenti e idee per continuare a ricordare questo piccolo innocente sconosciuto martire. Rossano M. Rezzonico, medico pediatra

La notizia è apparsa in internet e sui giornali. Ma informare a volte non basta: occorre “commuovere”, ovvero far sì che le persone si mobilitino in difesa dei diritti, anche di chi è lontano, di chi è piccolo e senza voce.

Refusi estivi Sarà stato il caldo o la voglia di vacanza, comunque errore fu. Nell’intervista del numero estivo, “Progetto mondo Mlal” è diventato il Movimento liberazione America Latina, anziché Movimento laici (mlal.org). Ci scusiamo con gli amici di Bahia!


posta del cuore letteraria di linda fava (2piccioni@gmail.com) Cara Fava, sono innamorata di un ragazzo delle isole Fiji. Io abito ad Acireale, in provincia di Catania. Faccio l’hostess di terra all’aeroporto, lui lavora nel riciclaggio delle foglie di banano e fornisce materia prima a molte cartiere europee. Ci siamo conosciuti sul volo Suva-Palermo mentre io sostituivo una collega. Siamo stati per aria più di 24 ore, e lui ha avuto tutto il tempo di raccontarmi la sua infanzia tra le piantagioni, spiegarmi il suo personalissimo concetto di “banana split”, e infine baciarmi con le sue labbra di banana finché l’aereo non ha toccato il suolo. Non è stata un’avventura esotica ad alta quota, da allora ci scriviamo tutti i giorni e sono tre mesi che friggo dalla voglia di rivederlo. Ma alle Fiji è stagione di raccolto e all’aeroporto di Catania è

stagione di precariato. L’altro giorno, dopo aver scoperto che abitiamo quasi alle opposte latitudini della terra, abbiamo fatto un earth sandwich**, per sentirci più vicini. Ma non è stato esattamente come fare l’amore. Non ce la faccio più, qualche consiglio? Concetta **Earth sandwich (panino di Terra): quando due persone mettono due fette di pane agli estremi del pianeta, nello stesso momento, un po’ come se la Terra fosse una fetta di prosciutto, n.d.fava Cara Concetta, la distanza non fa mica sempre male: gli amori veri crescono semmai di intensità. Ho letto di recente un librino epistolare, Danlenuàr (Navarra editore), di un giovane regista,

| insieme nelle terre di mezzo onlus | Associazione.Terre.it

Roma, La Notte 2009: durante lo stand-up in piazza due partecipanti stringono un nodo per ricordare ai governi gli impegni presi contro la povertà. (foto: Antonio Amendola/S4C)

in attesa della notte Tante le iniziative in arrivo per “La Notte dei senza dimora”, evento di sensibilizzazione e informazione che Insieme nelle Terre di mezzo organizza per la giornata Onu di lotta alla povertà, ogni 17 ottobre. A Milano, per l’undicesimo anno, srotoleremo i sacchi a pelo in piazza per una notte di solidarietà e condivisione che sarà preceduta da un momento di confronto e spettacolo in cui parlare di senza dimora in maniera positiva e propositiva, col sostegno e la collaborazione delle associazioni che si occupano di grave emarginazione e povertà. Senza dimenticare il pasto caldo offerto a

tutti, in collegamento ideale con la giornata mondiale dell’alimentazione, che si celebra il 16 ottobre. Già da settembre però sono in calendario altre occasioni per conoscere da vicino i temi della marginalità (i programmi aggiornati città per città sono pubblicati sul sito associazione.terre.it). A Roma è stato promosso anche un concorso letterario: “La vita di un senza dimora”, a cui si può partecipare con poesie e racconti (entro il 12 settembre). I vincitori, scelti da una giuria di autori e lettori, verranno proclamati il 17 ottobre. Per saperne di più, lanottedeisenzadimora.it.

Giacomo Guarnirei, che prima ha portato questa storia a teatro e poi ne ha ricavato un romanzo. Lui è Antonio, un buon diavolo siciliano che va a fare il minatore in Belgio negli anni ’50. Lei è Genoveffa, la novella sposina rimasta a casa per occuparsi della madre. Il “noir” del titolo è quello della miniera di carbone di Marcinelle, che nel ’56 crollò per un incendio intrappolando gli operai. Le lettere –appassionate e buffe– tra Antonio e la moglie, ripercorrono i su e giù di un amore a distanza, gli stupori per una terra nuova e gli sconforti per un lavoro alienante, i gesti di tenerezza quotidiani (gli earth sandwiches di allora), fino all’incidente. Di certo loro due, pur vivendo a migliaia di chilometri, non si sarebbero lasciati mai, non fosse stato per quel maledetto buio.

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Libreria Le storie, via Giulio Rocco 37/39 (Università Roma Tre), tel. 06 - 573.000.82. Libreria Vescovio, via Stimigliano 24/a, tel. 06 - 862.118.40. Giufà, via degli Aurunci 38, tel. 06 - 443.614.06. Cooperativa “Fuori posto” Via Oreste Mattirolo 16 (Centocelle), tel. 06 - 218.084.66.

a Corsico (Mi) Associazione “Buon mercato” via Roma 15/a, tel. 02 - 440.84.92.

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a Bologna

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avvista(menti)

la casa verde | testo | giulia genovesi | foto | daniele coppa “Dalla finestra vedevo le montagne. E adesso cosa vedo?”. Un angolo acuto di vetrate alte nove piani, il punto d’incontro fra due dei quattro edifici sinusoidali che costituiscono, insieme alla torre di 160 metri, la nuova sede della Regione Lombardia. Ironia della 48

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sorte: secondo gli architetti, la forma del palazzo dovrebbe rievocare proprio i fiumi e i monti lombardi, quelli che la signora Grazia Fanuli non riesce più a vedere dal suo appartamento di via Bellani a Milano, dove vive da 22 anni. L’intenzione espressa più volte nel progetto e nel discorso inaugurale di Roberto Formigoni era quella di rispettare il contesto urbano esistente. E in un certo senso così è stato: i bracci della nuova sede si sviluppano proprio intorno alla

casa, si adattano al suo perimetro, la circondano. Così le hanno creato una sorta di prigione architettonica, che gli abitanti ben raccontano nel documentario “La casa verde”, di Gianluca Brezza. Nonostante il disagio e le offerte di acquisto (a prezzo di mercato), i condomini sono decisi a restare. “Molti di noi sono anziani -osserva Grazia Fanuli-: traslocare è una faticaccia. E poi siamo quasi tutti amici. Dove lo trovo un altro posto così?”.


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