L’Eremita

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Claudio Piersanti

L’Eremita Illustrazioni di

Lorenzo Mattotti



L’

Eremita abitava ormai da molto tempo in una piccola grotta e fin lassù non ci saliva mai nessuno, per paura dei lupi e delle frane. Di fronte a lui abitava una coppia di aquile. Sotto le loro terrazze di pietra che si fronteggiavano si apriva la vista vertiginosa della valle lontana. All’Eremita avevano detto che nel vasto mondo esistevano montagne più alte e impervie di quelle che lo circondavano ma nella visione che l’aveva condotto sin lì si faceva chiaramente un nome: Gola della Notte. E la Gola era molto vicina alla sua grotta.

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Quante cose gli stavano insegnando le montagne! Nelle montagne si nascondevano segreti indicibili. Per esempio la loro altezza era come perforata da voragini che precipitavano nel cuore della terra. Ciò che era alto nascondeva ciò che era profondo. L’Angelo Invisibile l’aveva detto chiaramente: Dio predilige gli abissi. Il suo Angelo era di poche parole. Lassù non c’era bisogno di parole e senza parole il tempo perdeva le sue caratteristiche e non aveva confini precisi. L’Eremita aveva imparato a percepire ogni attimo ma non le ore e gli anni. Sentiva che tutto cambiava in ogni istante e che niente restava mai uguale.

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Chiunque l’avesse guardato l’avrebbe descritto come un vecchio immerso nell’ozio e nel sempre uguale, ma in realtà l’Eremita viveva una vita tempestosa in continuo cambiamento. Certi giorni le piante si svegliavano dal riposo invernale e uno dopo l’altro sbocciavano i loro piccoli profumatissimi fiori, che poi cadevano e venivano trascinati dal vento, che già profumava di funghi e radici. Un giorno esplodeva l’odore della liquirizia, un altro quello delle mele selvatiche. Per non parlare poi della roccia che era in perpetuo assestamento su se stessa, a volte con leggere vibrazioni, più spesso con dolci dondolii che facevano rotolare le pietre fino al torrente. Anche la roccia era viva e dotata di un suo mutevole e profondo profumo. Tutto il visibile poteva essere definito vivo e appartenente al mutevole Tutto.

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Soltanto la Divinità che l’Eremita era lì ad adorare restava sempre uguale e doveva essere in un mondo vicinissimo eppure lontano, dove anche l’Angelo abitava. Neanche nel più profondo dell’anima osava dare un nome al suo Dio, poteva raggiungerlo soltanto diventando pietra tra le pietre e pianta tra le piante, erba tra le erbe, goccia tra le gocce. Il Sempre Uguale aveva dato vita al mutevole. Il Senza Tempo aveva dato origine al Tempo, insieme al Bene e al Male, ai tramonti rosati tra le cime terse delle montagne e alle profonde oscurità delle grotte e degli inferi.

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Quando l’Eremita si era stabilito tra quelle montagne credeva di essere finalmente sfuggito al male degli uomini, ma si era sbagliato. Gli uomini, per fato o per necessità, raggiungevano ogni luogo, portandoci il male che li dominava. L’Angelo, che poteva apparire anche come luce o come uccello, lo aveva condotto in una grotta immensa che si estendeva fin sotto il suo attuale rifugio. E gli aveva fatto scoprire le vite che vi si aggiravano. Vi si spingevano uomini e donne dall’aspetto simile al suo, ma dediti alla magia, e laggiù dialogavano con il Male.

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