Una sirena sempre con me

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Florence Medina

Illustrazioni di Kim Consigny

UNA SIRENA SEMPRE CON ME

Traduzione di Maria Bastanzetti

VENERE

Non fatevi ingannare dalle dimensioni!

MILO

Per quanto cerchi di nasconderlo, ha un cuore d’oro e una spiccata sensibilità.

ALICE

Intraprendente e determinata, è disposta a tutto pur di aiutare i suoi amici!

Dall’alto dei suoi quattro centimetri, non si fa pestare i piedi (o meglio, la coda!) da nessuno.

CAPITOLO 1

Dev’essere davvero un grosso dispiacere il suo, se Milo piange. Intanto, perché lui è un maschio. E i maschi non piangono, si sa. Così come si sa che le principesse non fanno la cacca, i papà e le mamme sono infrangibili, le scarpe rosse corrono più veloce, i pagliacci non muoiono mai… Ecco. Be’, per la verità a Milo è già capitato un paio di volte di farsi scappare una lacrima, ma una soltanto. E microscopica, per giunta. L’ultima volta è stata quando è caduto dalla bici. È caduto così male che gli si sono strappati i pantaloni e si è sbucciato le ginocchia. Quando sua madre ha disinfettato le ferite, lui ha stretto i denti,

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ma una lacrima gli è scivolata giù dall’occhio lo stesso perché bruciava tantissimo. Ha pianto un pochino anche quando Samuel, il suo migliore amico fin dal nido, alla fine della prima elementare è andato a vivere in un’altra città. Una città troppo lontana perché potessero vedersi tutti i week-end, troppo lontana per continuare a costruire capanne e fortini in soggiorno sotto lo stendibiancheria, troppo lontana per potersi scambiare le carte di Toy Story e la merenda, troppo lontana per restare migliori amici, forse. Milo ha pianto un po’ anche quando…

Sì, va bene, non serve fare l’elenco completo. Diciamo che Milo non piange mai, a parte… qualche volta. Ecco.

E questa è una di quelle volte. Milo piange. Non solo un po’. E nemmeno senza motivo. Giovanna d’Arco è morta. Di vecchiaia. C’era da aspettarselo: sei anni, per un porcellino d’India, sono davvero parecchi, ma questo non cambia le cose. Giovanna d’Arco non era un porcellino d’India qualsiasi. Tanto per

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cominciare, era una cavia peruviana albina. Aveva il pelo super lungo e bianco come la neve, occhi rossi come raggi laser, ma uno sguardo dolce. Era il più bel porcellino d’India della città, della provincia, addirittura del mondo intero. In sei anni, quante carote si sono spartiti sgranocchiandole dalle due estremità, quante coccole, quante ore di lettura rannicchiati l’uno contro l’altra…

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Anche se era vietato, ogni tanto, di notte, Milo andava a prendere Giovanna d’Arco dalla gabbietta e se la portava a letto. Allora lei si faceva un piccolo nido fra i suoi capelli e si addormentavano insieme, rassicurati dalla presenza reciproca.

Stasera, invece, Giovanna è sul balcone, in una scatola da scarpe piena di batuffoli di cotone e fiori di carta. La mamma di Milo ha messo accanto alla piccola bara tutte le candele che ha trovato in casa: lumini, candele profumate per il bagno, candeline ri-

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maste da vecchi compleanni e ormai inservibili, ma che lei conserva sempre perché non si sa mai… Tutte quelle piccole fiamme che brillano nella notte regalano a Giovanna una veglia funebre da principessa. E domani tutta la famiglia andrà a seppellirla nel giardino dei nonni.

Al solo pensiero, Milo piange a calde lacrime. L’unica cosa che potrebbe consolarlo sarebbe andare a prendere Giovanna nella gabbietta, ma lei non c’è

più. E così Milo bagna tutto il cuscino. Poi, stremato dal dispiacere, finisce per addormentarsi tra un singhiozzo e l’altro.

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CAPITOLO 2

All’improvviso, una voce acuta urla nell’orecchio di Milo. Lui si sveglia di soprassalto e si sistema seduto nel letto, con tutti i sensi in allerta. E aspetta così per qualche secondo.

Niente. Era un sogno. Non ricorda più nulla, tranne quella voce stridula che urlava. Cosa diceva? Ah, be’, facile, sta già ricominciando.

“Ehi! Ehi, tu! Dammi un po’ d’acqua!”

Sta sognando di nuovo? Milo si dà un pizzicotto.

“Ahi!”

No, a quanto pare, non sta sognando.

“Ehi! Oh! Datti una mossa!”

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Ma che cos’è? Da dove viene questa voce? Che sia la tv dei vicini? Una macchina che passa per strada, con i finestrini aperti e l’autoradio a tutto volume? No, sembra venire da molto più vicino.

“Si può sapere cosa stai aspettando?”

Viene dal suo letto. Da sotto il letto? Orrore! C’è qualcosa che grida sotto il materasso, il che gli fa un po’ paura.

“Oh, capperi! Non hai l’aria troppo sveglia, tu, non sarà tanto facile”, continua la voce.

Milo prende il coraggio e la torcia elettrica a due mani. Sdraiato a pancia in giù, sporge la testa oltre il bordo del letto e guarda sotto.

Che poi, “guarda” è una parola grossa. Ha talmente paura di cosa potrebbe trovare (un ladro? Un mostro? Un fantasma?) che all’inizio tiene gli occhi chiusi. E quando li riapre… sorpresa! In mezzo a parecchi gatti di polvere, tre paia di calze sporche e carabattole varie, scopre gli auricolari di Lili. Sono settimane che lei li cerca e lui nega di averli toccati.

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In effetti, li aveva presi in prestito, e poi li aveva persi. Bisognerà che li metta in un punto strategico, in modo che sua sorella li trovi quasi per magia, come se lui non c’entrasse nulla. Certo, sarebbe più onesto riportarglieli, ma sarebbe anche un ottimo modo per farsi massacrare. Quindi…

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“Ok, adesso basta! Piantala di perdere tempo e vammi a prendere un po’ d’acqua! Non ho voglia di finire tutta disidratata, rinsecchita come una vecchia sardina in scatola.”

Se la voce non viene da sotto il letto, deve venire per forza da sopra. Ma sopra non c’è niente. O, almeno, lui non vede niente.

“Sai una cosa? Adesso giochiamo ad acqua, fuochino, fuoco, va bene?”

“Va bene.”

Milo non sa a cosa o chi stia rispondendo, ma quella voce è talmente autoritaria che si sente costretto a ubbidire.

La vocetta riprende subito a parlare: “Acqua!”.

Milo si sposta verso i piedi del letto.

“Tantissima acqua!”

Si risposta verso il centro.

“Fuochino.”

Risale un po’ di più.

“Fuocherello.”

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Ormai è quasi a livello del cuscino.

“Fuoco, super fuoco, un incendio. Apri un po’ gli occhi, sono sotto il tuo naso.”

In effetti, puntando la torcia elettrica sul cuscino, Milo riesce finalmente a vedere qualcosa che si contorce sulla federa.

“Cos’è questo affare?” borbotta.

“Non sono un ‘affare’, sono una sirena. Una sirena delle lacrime. Una sirena delle lacrime disidratata. Se non mi porti un po’ d’acqua al più presto, morirò fra atroci sofferenze. Pietà! Acqua!”

Milo la guarda a bocca aperta.

“Subito, non fra tre ore!”

Milo afferra il bicchiere d’acqua che c’è sul comodino (è un ragazzino molto organizzato) e lo rovescia tutto su quella cosa che si agita e sbraita.

“Alleluia! Era ora. Avrei preferito dell’acqua salata, ma per stavolta diciamo che va bene così.”

Milo accende tutte le luci della camera e prende dal primo cassetto della scrivania la lente d’ingrandimento

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che gli è stata regalata per guardare gli insetti. Funziona benissimo. A parte il fatto che quello non è un insetto, poco ma sicuro. Milo conosce alla perfezione le caratteristiche degli insetti: torace tripartito, tre paia di zampe, due paia d’ali, antenne. E in questo caso, be’, non c’è niente di tutto ciò. Milo vede un unico paio di zampe e una coda di pesce.

Bisogna vedere per credere, si dice, eppure lui sta vedendo, ma gli restano comunque dei dubbi. Prova a metterti nei suoi panni. Una sirena delle lacrime? Ma esiste?

E come ha fatto a uscire dal suo occhio una cosa del genere? Non è grossissima, sui quattro centimetri, ma comunque…

“Io mi chiamo Venere, e tu chi sei?” si informa la sirena, sistemandosi i capelli.

“Venere come il pianeta?”

“No, Venere come la dea dell’amore. È la mia specialità: ritorno della persona amata, rotture indolori, colpi di fulmine a richiesta, attrazione reciproca,

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idillio express, innamoramenti sdolcinati, passioni piccanti… so fare tutto. Sono un’amorologa di grande esperienza. La migliore.”

“Ah, sì?”

A scuola, Milo ha studiato un po’ di mitologia. La maestra ha mostrato alla classe un quadro: La nascita di Venere, di Botticelli. Mostrava una signora tutta nuda in piedi sopra una conchiglia. Be’, una signora tutta nuda che nascondeva le parti intime con le mani e i capelli lunghi tre metri, altrimenti la maestra non l’avrebbe mai fatto vedere. Era bellissima, la Venere del quadro. E Milo si sarebbe subito innamorato di lei, se non avesse avuto il cuore in sciopero, dopo che Maia gli aveva inflitto il suo primo e ultimo mal d’amore. Era successo in seconda elementare, il giorno di San Valentino. Maia aveva buttato nel water la poesia che lui le aveva scritto. E poi aveva tirato lo sciacquone. Milo ci aveva pianto (ah, sì, forse era quella l’ultima volta che aveva pianto prima che morisse Giovanna) e Maia e le sue amiche l’avevano pre-

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so in giro senza pietà. Da quel giorno, lui aveva deciso di chiudere sia con l’amore che con le lacrime. Certo, con la Venere di pittura e di tela, una vecchia di seicento anni, non avrebbe rischiato poi molto. Ma, per sicurezza, aveva preferito evitare.

La sirena minuscola e fradicia che sta sul suo cuscino non ha niente a che vedere con la signora del quadro. È piccola, ha i capelli rossi e ricci, è cicciottella, ha il nasino all’insù e il faccino costellato di lentiggini. Per farla breve, è super carina, ma non del tipo reginetta di bellezza o fotomodella.

“E tu chi sei?”

“Ehm, mi chiamo Milo, sono un ragazzo e…”

“E?”

E cosa, in effetti? Lui si rende conto che non sa bene come definirsi, al di là del nome e del genere.

Cos’altro potrebbe dirle? Che va in quarta elementare, ha una sorella maggiore e a volte ne farebbe volentieri a meno, fa karate, preferisce Detective Conan alla geografia, detesta le banane, i pomodori e i cavo-

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letti di Bruxelles, adora gli anacardi, i bignè e il pesce fritto (no, la sirena potrebbe prendersela), gli piace tanto quando nevica, ha paura dei ragni, è in lutto per la morte della più meravigliosa porcellina d’India che sia mai esistita sulla faccia della Terra, e ha amato una ragazza che non lo ricambiava neanche un po’?

La minisirena potrebbe sicuramente aiutarlo in quello, se dice la verità a proposito delle proprie competenze, ma lui non ha nessuna intenzione di confidare i suoi dispiaceri alla prima tizia mitologica che passa sul suo cuscino.

“E?”

Milo sta facendo una selezione mentale di ciò che vuole dire di se stesso, quando entra in camera sua madre.

“Tesoro, cosa ci fai ancora alzato e con tutte le luci accese? Sono le tre di notte, è ora di dormire.”

“Sì, ecco… avevo perso un…”

“Dormi! È tardi, ne parliamo domani, d’accordo?”

“E va bene…”

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La mamma spegne tutte le luci, rimbocca le coperte al figlio e gli dà un bacio sulla fronte.

“Buonanotte, tesoro.”

“Buonanotte, mamma.”

La porta si chiude.

“Ahi! Così mi schiacci!”

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“Oh, scusa!” esclama Milo, raddrizzandosi di scatto.

“Comunque, non posso stare qui perché tra poco sarò di nuovo tutta secca. Mi serve un ambiente liquido.”

“Guarda, mia madre è gentile, ma dice sempre che non bisogna tirare troppo la corda, e se…”

“Come?”

“Sì, insomma, vuol dire che non devo esagerare. In questa situazione, per farti un esempio, se mi alzo di nuovo per andare a riempire il bicchiere in bagno, mia madre fa un macello.”

“Nel bicchiere non è rimasto nemmeno un goccino d’acqua?”

Milo scruta il fondo del bicchiere e sì, in effetti un goccino c’è.

“Cosa dici, basterà?”

“Ehi, guarda che non sono una balena! Certo che basterà, almeno per stanotte. A partire da domani, però, bisognerà trovare una soluzione migliore, sotto tutti i punti di vista. Sono una ragazza d’acqua salata, io.”

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“Ok, domani ci penso. Promesso.”

Milo tende il dito alla sirena, come ha fatto tante volte d’estate con le coccinelle. Lei si issa sul polpastrello e il ragazzino la deposita con delicatezza in fondo al bicchiere.

“Be’, allora buonanotte, Venere.”

“Buonanotte, Milo.”

Lui rimette il bicchiere sul comodino e la testa sul cuscino. E si addormenta all’istante come un sasso.

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