Se incontri una strega a mezzanotte

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Pascal Ruter

Se incontri una strega a mezzanotte

Traduzione di Gioia Sartori

il nostro caro Abab. In memoriam
Per

Lo svantaggio di

schiacciare un pisolino in biblioteca

Caro lettore, che potrebbe benissimo essere una lettrice, non so tu, ma io vado pazzo per le biblioteche. Le preferisco alle spiagge, alle piste da sci, alle piscine, ai luna park, senz’altro a qualsiasi ristorante o negozio di caramelle, di certo a qualsiasi stadio e persino, PERSINO, al mio letto adorato. Insomma, le biblioteche sono il mio posto preferito al mondo. Dico davvero: non posso immaginare niente di meglio. In un pomeriggio trascorso a sfogliare gli ultimi libri del catalogo di Madame Blanchard viaggio dai tropici al Polo Nord, dal Mar Cinese al canale della Manica, attraverso l’oceano Atlantico, il golfo del Bengala e il deserto della Giudea; mi imbatto in orsi e lupi, nuoto con i delfini, fuggo da leoni, anaconda, meduse e da qualsiasi creatura in grado di pungere, mordere, divorare, paralizzare. Il tutto seduto al cal-

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duccio tra i soffici cuscini della biblioteca, senza correre il rischio di essere punto, morso, divorato o di restare paralizzato.

Che cosa si può volere di più dalla vita che viverne mille altre nello spazio di un pomeriggio?

E poi in mezzo ai libri si conoscono migliaia di persone famose. Un giorno, tra le pagine di un fumetto, ho persino incontrato Dio. Era giovane ed era una via di mezzo tra Victor Hugo e Stromae.

So di essere un’eccezione e che per quasi tutti i ragazzini della mia età – vorrei precisare che ho dieci anni e due terzi – un pomeriggio in biblioteca è un lungo, lunghissimo, interminabile supplizio. Peggio di una visita dal dentista.

Perché loro hanno paura. Ma di cosa? Del silenzio, è ovvio! Perché in biblioteca non si parla. Si sta con la bocca chiusa. È l’unico obbligo: stai zitto o ti buttano fuori. Insomma, silenzio!

E io, per l’appunto, il silenzio lo adoro. Dopotutto nella vita si parla troppo. E parlare impedisce di pensare. Del resto è risaputo: non si possono fare due cose allo stesso tempo.

A me fanno più paura le urla, per esempio quelle che si sentono allo stadio. Non capisco perché alla gente piaccia tanto gridare. Io la trovo un’attività triste e penosa. Detto ciò, so che in alcuni casi strillare può rivelarsi utile o addirittura indispensabile, come potrai constatare tu stesso in questa storia.

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Per il resto in una biblioteca si può fare tutto o quasi. Ed è questa la cosa favolosa. Non sei nemmeno costretto a leggere, puoi anche fantasticare sfogliando un libro, basta che ogni tanto ti ricordi di girare le pagine, tra un sogno a occhi aperti e l’altro. Puoi cominciare una storia, abbandonarla, lasciarla a metà, o al contrario, rileggerla venti volte, se ti viene lo schiribizzo. Puoi concederti il lusso di toglierti le scarpe, se ti senti più a tuo agio. A volte aleggerà un profumino di formaggio, ma non importa; se devo dirti la verità, caro lettore, non mi dispiace l’odore dei piedi.

E se hai voglia di schiacciare un pisolino, nessuno te lo impedirà.

Ma a volte il sonno può giocare brutti scherzi. Come quel famoso pomeriggio in cui mi sono addormentato nella mia biblioteca, il pomeriggio in cui tutto ha avuto inizio.

Quel giorno, quando aprii gli occhi, trovai la sala di lettura immersa nell’oscurità; le stelle brillavano intorno alla luna piena che faceva capolino fra due nuvole e da quel dettaglio capii di aver dormito per ore. Le lancette dell’orologio erano ferme sulla mezzanotte, ed era una cosa molto strana, perché Madame Antoinette Blanchard era una donna meticolosa e attenta a ogni dettaglio: non tollerava la minima negligenza nella sua biblioteca e non ammetteva sedie traballanti, lampadine fulminate e libri che non

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fossero disposti sugli scaffali in ordine rigorosamente alfabetico. Grazie alla cura che riservava alla biblioteca, ai volumi che conteneva e ai lettori che la frequentavano, aveva vinto il premio di Miglior Bibliotecaria di Francia. Andava molto fiera di quel titolo, infatti il trofeo era esposto in bella mostra sulla sua scrivania.

Devo ammettere che per qualche istante mi chiesi se non fosse solo un sogno o se, tramite un portale magico, non fossi finito in una specie di mondo parallelo. Ne avevo già sentito parlare in diversi libri e, in fondo, come potevo escludere quella possibilità? Con i libri non si sa mai.

L’unica conclusione possibile era che Madame Blanchard se ne fosse andata senza accorgersi della mia presenza, nonostante la sua accurata ispezione serale. Soltanto un’urgenza poteva giustificare una simile svista.

La sua scrivania era in perfetto ordine, ogni cosa sistemata con una scrupolosità tale da fare quasi paura. Le penne rosse da una parte, quelle verdi dall’altra, i pastelli insieme ai pastelli (e basta, mi fermo qui, ormai hai capito).

Ero solo, chiuso dentro. Non avevo motivo di lamentarmi, dirai tu, caro lettore: ero imprigionato nel mio posto preferito. Sì, ma ero preoccupato per la reazione dei miei genitori, che dovevano essere in pensiero. Già non erano molto contenti che facessi

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parte del Club dei lettori contagiosi (CLC) diretto da Madame Blanchard. E ora temevo la peggiore punizione in assoluto: niente più biblioteca.

Avvolta dalle tenebre, la sala di lettura aveva perso il suo aspetto famigliare, accogliente e caloroso. Sentivo scricchiolii sinistri, il vento sbatteva contro le finestre e avevo l’impressione che intorno a me fluttuassero ombre misteriose, che tra gli scaffali si aggirasse una strana presenza invisibile. All’improvviso, mi sembrò di sentire dei respiri lontani, lenti e rauchi, e delle voci gravi che pronunciavano parole confuse in una lingua sconosciuta.

Dovevo calmarmi, tornare in me, ma nella mia testa si affollavano tutte le storie che avevo divorato nel corso degli ultimi anni, piene di vampiri, fantasmi, mutanti, zombie, alieni e chi più ne ha più ne metta. Mi sentivo osservato, spiato; man mano che i minuti passavano, ero sempre più convinto che da un momento all’altro avrei visto sbucare uno di quegli esseri spaventosi che popolano le pagine dei romanzi, pronti a fare della mia pelle un pregiato pareo, o dei miei denti una graziosa collanina.

Forse i miei genitori avevano ragione? Le letture di cui mi nutrivo mi avevano ridotto in pappa il cervello?

Fedele lettore, che cosa avresti fatto al mio posto?

Probabilmente avresti provato a schiacciare tutti gli interruttori che avessi trovato nell’oscurità. Proprio come ho fatto io. Eppure non si è accesa nessuna luce.

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Solo il chiaro di luna mi permetteva di orientarmi.

Non mi restava che cercare l’uscita a tentoni. Più facile a dirsi che a farsi! Dopo aver dato qualche dolorosa spallata alla porta d’ingresso, chiusa a tre mandate, ho capito che non ero abbastanza forte per buttarla giù e, maledizione, dovevo cambiare strategia. Restavano le finestre. Saltare dal primo piano era rischioso, ma se mi fossi aggrappato alla grondaia, avrei avuto buone probabilità di atterrare tutto intero, o quasi.

Purtroppo anche le finestre erano sbarrate. Ero in trappola, come un sorcio. Allora mi è venuta voglia di lanciare un grido lacerante, un ruggito spaventoso, ma dalla mia gola è uscito solo un ridicolo guaito. Strillare richiede un certo allenamento. E comunque, chi avrebbe potuto sentirmi?

Non ebbi il tempo di lamentarmi della mia triste sorte, perché lo spettacolo che mi trovai davanti agli occhi mi fece andare le parole di traverso.

Nella stanza cominciarono a fluttuare delle ombre a forma di spirale. Piano piano si condensarono in quattro sagome dai contorni indefiniti che aleggiavano sopra i tavoli di lettura. E cominciarono a crepitare leggermente, come lampadine indecise se restare accese o spegnersi.

Più cercavo di capire che cosa stesse accadendo, più ero disorientato. C’era una sola ipotesi: ero vittima della mia immaginazione malata. O forse ero ad-

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dirittura morto? Riuscivo a fare solo una cosa: avere paura, e quest’attività consumava tutte le mie energie. Come se non bastasse, all’improvviso mi accorsi di un nuovo dettaglio che prima mi era sfuggito. Guardando fuori dalla finestra notai che era apparsa una seconda luna piena, leggermente più piccola e opaca dell’altra. Ero terrorizzato!

Per fortuna conoscevo la biblioteca come le mie tasche, così entrai di soppiatto in un armadio vuoto (due giorni prima avevo aiutato Madame Blanchard a svuotarlo) e lasciai l’anta socchiusa. In quel nascondiglio feci il possibile per ritrovare la calma e concentrarmi abbastanza da non perdere una briciola dello spettacolo che avevo davanti agli occhi.

Presto le cose cambiarono: le sagome sfocate si trasformarono in figure umane. Si rivolsero in direzione della finestra e alzarono il viso verso la luce lattiginosa della seconda luna. Sulla pelle livida di quei volti apparvero delle labbra rosse, degli zigomi e un mento. Ma non riuscii a vedere gli occhi delle creature, perché erano coperti da giganteschi occhiali scuri. Forse servivano a guardare la seconda luna? Una cosa era certa: l’orrenda scena della loro metamorfosi mi fece tremare dalla testa ai piedi e cominciai a sentire un dolore lancinante alle budella, contorte dal terrore.

Se quelle creature non erano umane, almeno lo sembravano. Dovevano essere donne a giudicare dal

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rossetto rosso acceso che portavano e dalle mani affusolate con unghie altrettanto rosse… rosse come… il sangue!

Ma c’era un piccolo orripilante dettaglio che inizialmente non avevo notato: il mignolo. Era sempre rigido, come privo di articolazioni; a quanto pareva non riuscivano a piegarlo, mentre le altre dita si muovevano in modo del tutto normale. E, ciliegina sulla torta, l’unghia di quel ditino sempre dritto non era laccata di rosso acceso come le altre, ma di verde.

Per fortuna le quattro creature, che si credevano sole, confabulavano tra loro e non sentivano i gorgoglii della mia pancia dolorante. Parlavano tutte insieme in una lingua strana che non somigliava a nessuna di quelle che avevo sentito fino a quel momento, e la cosa più assurda era che i movimenti delle loro labbra rosse non erano sincronizzati con i suoni che ne uscivano.

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Il vantaggio di avere sempre le

scarpe slacciate

In quel momento, con le unghie verdi dei mignoli puntate verso la luna, come per attirarne l’energia, e agitando le braccia in modo scomposto, colei che sembrava dirigere la danza di quelle furie cominciò a urlare, con la bocca deformata in un ghigno sdegnoso.

“Lectorum vomitorum! Biblis disgustosorum!

Massacrum historiae! Bibliotheca omnia! Pagliacciatum finitum! Superiora apocalyptica cultura!”

Le sue complici guardavano nella stessa direzione disegnando strani arzigogoli nell’aria con il mignolo dall’unghia verde. A un certo punto si inchinarono docili al suo cospetto.

“Strega superiora! Strega grandiosa! Maximum velenum!” ripetevano come una cantilena.

La Superiora! La Grandiosa! Era lei a condurre il rito.

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Tutti questi dettagli mi portarono a pensare di trovarmi di fronte a una gang di streghe. Sì, caro lettore, hai letto bene: una gang di streghe! Sia chiaro, normalmente non credo all’esistenza di simili creature, come suppongo non ci creda nemmeno tu, e ancor meno mi aspetterei di trovarle in una biblioteca, ma lo spettacolo a cui assistevo non lasciava spazio ad altre conclusioni.

All’improvviso sentii suonare le campane della chiesa poco lontano. Dodici rintocchi. Mezzanotte. Tutt’a un tratto le creature si fermarono, si riunirono e abbassarono per qualche secondo la testa calva, poi sistemarono sul naso i grossi occhiali neri e ritornarono a cantare in coro (o meglio, a starnazzare, perché le loro voci erano tutt’altro che melodiose).

Questa volta si esprimevano nella mia lingua, quindi capivo tutto.

Morte ai libri e ai topi di biblioteca

Che hanno dichiarato guerra

A ogni divina strega!

Care sorelle, come siamo?

Sempre brutte! Puzzolenti!

Nient’affatto sorridenti!

In inverno come in estate,

Siamo sempre malandate!

Naso adunco e bitorzoluto,

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Una scopa in nostro aiuto, Suscitiamo quasi pena, Ma attenzione alla luna piena!

La festa è finita, patetici lettori Sono arrivate le streghe, e ora son dolori

I romanzi e le favole vi fanno gioire?

Di romanzi e favole dovrete perire.

E voi, scrittori dalla piuma fluente Sciò, spazzati via, ridotti a niente!

Pagherete per ogni insulto e ogni bugia

Maghi, fate e burattini, Romanzieri, eroi e bambini Avrete tutti la stessa punizione!

E qual è? La sparizione!

Le loro voci erano così stridenti che, se non mi fosse interessato raccogliere ogni possibile indizio, mi sarei tappato le orecchie. La cosa più terribile era il loro alito pestilenziale, peggio del tanfo di una pattumiera, così forte da arrivare alle mie narici. Quel fetore era senz’altro il riflesso di un’anima in putrefazione.

Davanti alla seconda luna passò una nuvola che mise fine a quella tortura per i miei timpani. Dopo un attimo di raccoglimento le streghe controllarono che gli occhiali neri fossero ben saldi sui loro nasi,

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poi volarono tutte insieme verso gli scaffali e vi si pararono davanti come un battaglione pronto all’assalto. Allungarono le braccia per afferrare alcuni libri scelti con cura tra tutti gli altri e aprirli. Non volevano leggerli, ma leccarli con la loro lingua immensa, rosa e spessa come una bistecca di fegato di vitello, bavosa come una lumaca, molle come gelatina. L’operazione durava pochi secondi. Quando rimettevano a posto il libro gocciolante di bava, tutte ringalluzzite, si divertivano a mostrarsi a vicenda la lingua annerita. Erano vampire! Vampire succhiainchiostro!

Mi chiedevo a cosa servissero gli occhiali opachi che portavano. Continuavano a controllare che fossero al loro posto: dovevano essere molto preziosi.

Tra una seduta e l’altra, sussurravano una specie di preghiera, forse un incantesimo. E tendendo l’orecchio riuscivo a distinguerne le parole.

Che dalla nostra bava schifosa

Inizi una guerra doverosa

Morte a chi queste pagine leggerà

Per ogni maleficio un sacrificio gli toccherà

Che spenga la sua sete di conoscenza

Che svaniscano i suoi sogni di onnipotenza

Che si ritrovi a mangiare fieno

E diventi idiota in un battibaleno

E che una bestia tanto odiata…

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Mi sarebbe piaciuto ascoltare il seguito, ma lo scaffale dell’armadio su cui ero seduto cedette all’improvviso, e io rischiai di cadere in avanti. Stupite, le streghe si girarono verso di me e tutte insieme si tolsero gli occhiali. Non avevo mai visto nulla di tanto orribile come lo sguardo di quattro streghe interrotte nel bel mezzo di un sabba letterario. Nei loro occhi navigavano pupille simili a braci fiammeggianti d’odio che giravano su stesse all’infinito, come trottole. Il mio cuore invece picchiava sulle costole come un uccellino terrorizzato che svolazza dappertutto sbattendo contro la gabbia. La mia paura era così densa e palpabile che avrei potuto modellarla come plastilina.

“Io… ehm… non fate caso a me… sono solo di passaggio.”

In tutta risposta le streghe mi puntarono contro i loro mignoli dalle unghie verdi.

“Intrepido lettore! Infame divoratore di libri! Incorreggibile adoratore di frasi e parole! Vieni qui!”

tuonò l’ultima della fila, quella che impartiva gli ordini e dirigeva danze e canti.

In un lampo considerai le possibili vie di fuga. Non ci volle molto: non ce n’erano. Potevo solo rassegnarmi al mio triste destino. Le streghe si consultarono per qualche istante, senza mai staccarmi di dosso il loro occhio rosso fuoco.

“Ecco la sentenza!” gridò la Superiora. “Di libri hai vissuto, e di libri morirai!”

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Impiegai diversi secondi a capire che cosa significasse davvero quella frase, e qualcuno in più a rendermi conto che quella massa che sentivo nel petto, simile a una chiocciola spiaccicata, era il mio cuore.

I pochi peli che avevo sulla pelle si rizzarono all’istante e sentii un brivido percorrermi tutto il corpo, dalle orecchie alla punta dei piedi.

L’istinto di sopravvivenza mi spinse a chiedermi quali altre frecce avessi al mio arco. Il senso dell’umorismo? A quanto pareva, quelle creature non sapevano neanche cosa fosse, quindi era meglio mettere da parte la mia arma preferita. La forza fisica? Ridicolo! In pratica non avevo nessun potere.

Non mi restava che scappare. Forse ce l’avrei fatta. Dovevo solo tentare di prendere tempo e sperare in un miracolo.

“Care amiche”, ho detto, “ho un’idea migliore: facciamo così… Io esco, piano piano, senza voltarmi, e voi potrete proseguire la vostra meravigliosa riunione. Non complichiamoci la vita: salutiamoci senza fare tante storie, mettiamoci una pietra sopra e...”.

“Miserabile mangiainchiostro!” starnazzò di nuovo la capobanda in tutta risposta. “Ingordo di storie! Distruttore di foreste! Masticatore di carta! Inghiottitore di pagine! Sgranocchiatore di alberi! Se le storie hai amato, dalle storie sarai eliminato!”

Poi, sulle sue labbra si dipinse una specie di sorriso, quasi si fosse calmata. “Ti piace leggere, picco-

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letto?” chiese in tono più dolce. “Ecco, dato che sono una personcina per bene, ti farò un regalo: un bellissimo libro.”

Devo ammettere che ero un po’ spiazzato. Era tutta una messinscena architettata da Madame Blanchard?

“Quale?” chiesi.

“Aspetta un attimo…”

Si sistemò le lenti scure davanti agli occhi, poi si avvicinò adagio agli scaffali con le braccia tese, come se camminasse a tastoni.

La seguii a mia volta. Riconobbi i libri che poco prima le streghe avevano leccato con le loro lingue bavose. Non erano più gocciolanti: sembravano nuovi, nuovissimi, belli a tal punto da essere quasi irresistibili! Era molto difficile non farsi incantare dal fascino di quei volumi luccicanti.

La Superiora camminò avanti e indietro come un generale davanti al suo reggimento, poi tese il braccio verso un punto preciso. Quando le sue dita toccarono il libro che poi mi porse, sul suo viso si dipinse una smorfia disgustata, come se le venisse da vomitare.

“Il piccolo principe?” domandai.

“Mi sono informata, è il più letto. Abbiamo fatto le nostre ricerche, cosa credi. Il piccolo principe con la sua stupida pecora e il suo aereo da quattro soldi! Ma in fondo poco importa, sono tutte scemenze, una vale l’altra.”

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“L’ho già letto una decina di volte.”

“Pazienza. Lo leggerai per l’undicesima e ultima volta.”

In quel momento, dopo un’infinità di tempo, la vita finalmente tornò a sorridermi. Il telefono cominciò a squillare. Ero sicuro che fossero i miei genitori. Forse si erano accorti della mia assenza e, dopo avermi cercato ovunque, avevano chiamato in biblioteca, sapendo che era il mio posto preferito. Dovevo a tutti i costi fiondarmi sulla cornetta e avvertirli in due parole della minaccia incombente. Con la velocità di un cobra reale, mi gettai sul telefono, ma ahimè, mille volte ahimè, una delle streghe fu ancora più veloce di un cobra reale (cosa che, secondo tutte le leggi della natura, è assolutamente impossibile), e afferrò la cornetta al posto mio. Con mia grande sorpresa, dalla sua bocca uscì una voce armoniosa.

“Pronto? Cerca Ernest Beluga… No, non c’è. Sono la bibliotecaria, ero qui a riordinare un po’. Arrivederci!”

Imitava alla perfezione la voce di Madame Blanchard, e mi resi conto che non avevo scampo di fronte a quelle creature mostruose. Ero perduto, fritto, spacciato. Ernest Beluga (non ridere caro lettore, lo so che è un nome buffo) viveva i suoi ultimi istanti su questa Terra che presto avrebbe continuato a girare senza di lui.

Mi restava abbastanza lucidità per capire che la situazione aveva una certa logica. Ernest Beluga era

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nato in una biblioteca (ebbene sì, mi ero dimenticato di raccontartelo, ma è andata proprio così) e in una biblioteca sarebbe morto. Il cerchio era chiuso, game over, come dicevano quei nerd dei miei genitori.

Ma almeno la telefonata aveva avuto il merito di distrarre le streghe, che ora sembravano impazienti di farla finita. Esasperata, la Superiora afferrò di nuovo la copia del Piccolo principe, la prese con la punta delle dita, come si fa con una buccia ammuffita o con una crosta di formaggio puzzolente.

“E adesso finiamola!” esclamò. “Vomitorium scriptura! Leggere è una sciagura. Avanti, leggi. Basterà una pagina di questa schifezza. Una qualsiasi, sono tutte uguali: stupide e ripugnanti.”

“Basterà per cosa?”

“Lettore infame, hai sempre una domanda di riserva. Basterà, punto. Non cercare di capire, stai zitto e leggi.”

Solo a pronunciare quel verbo, la sua bocca si contorceva in una smorfia di disgusto. Il mio istinto di sopravvivenza mi suggeriva che alla prima riga una terribile disgrazia si sarebbe abbattuta su di me. Allora, d’istinto, scaraventai il Piccolo principe in faccia alla Superiora, che indietreggiò strillando come se le avessi lanciato contro un missile nucleare.

Mentre la mia torturatrice pestava i piedi dalla rabbia, mi diressi versi il corridoio. Troppo impegnate ad aiutare la loro amica che si dimenava a terra come un lombrico, le streghe persero qualche prezio-

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so secondo che mi permise di seminarle di una buona decina di metri.

Stavo per imboccare le scale quando sentii la voce della Superiora.

“Quel moccioso cerca di abbindolarci!” tuonò questa. “Se la dà a gambe quel vigliacco! Quel furfante! Acchiappate quell’incorreggibile lettore!”

Quello che le uscì fu un grido terribile e pieno d’odio e al tempo stesso un lamento disperato.

Caro lettore, mentirei se ti dicessi che avevo un piano ben preciso e sapevo dove rifugiarmi. Mi limitai a correre diritto su per le scale, sempre più in alto, nella speranza di trovarmi davanti prima o poi una via d’uscita, per esempio una porta che dava sul tetto, da dove avrei potuto chiamare i soccorsi.

Fu solo una volta arrivato in cima alla prima rampa di scale, quando ormai quelle orrende creature erano alle mie calcagna, che mi vennero in mente i gabinetti in fondo al corridoio del secondo piano. Mi ci infilai in un battibaleno. E credimi, caro lettore, non ero mai stato così felice di trovarmi di fronte una tazza del water.

Tesi l’orecchio, e poiché dietro la porta regnava il silenzio più assoluto, mi dissi che il mio stratagemma aveva funzionato e che le streghe urlanti dovevano essere salite al piano superiore.

Mi sentivo come Zeus in cima all’Olimpo: orgoglioso e padrone del mondo. E quando mi accorsi che

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in alto, in fondo alla parete, c’era una finestrella che dava sull’esterno, il mio sollievo si trasformò in una gioia incontenibile. L’aria fresca che mi accarezzava il viso era un invito alla libertà e le stelle d’argento erano una promessa di vita. Che sollievo, dopo il terrore! Che trionfo ingannare quelle orribili creature!

Il mio piano era elementare. Salendo sulla tazza del water e aggrappandomi al davanzale, sarebbe stato facile uscire. Preferivo non pensare a come atterrare senza fracassarmi le ossa, era un problema che avrei risolto più avanti. Qualcosa mi diceva che, anche a pezzi, sarei stato meglio che in pasto alle streghe.

Non mi restava che sollevarmi a forza di braccia verso l’agognata via d’uscita, quando nel corridoio risuonò un fischio stridente. Le furie erano tornate, più rabbiose che mai e decise a vendicarsi dell’affronto subito.

“Il moccioso si è chiuso in bagno!” esclamò la Superiora. “Quella peste tremenda, quello spregevole mostriciattolo, quel disgustoso marmocchio!”

“Forse doveva solo fare la cacca?” azzardò un’altra. “A quanto pare gli umani non possono resistere a queste necessità.”

“La cacca? Ma non dire idiozie! Vuole darsela a gambe, e ci sfuggirà da sotto il naso! Basta con le chiacchiere, ragazze, buttate giù la porta e non parliamone più.”

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Il fiume di adrenalina che cominciò a scorrermi nelle vene mi rese dieci volte più forte di quello che ero, e così riuscii a issarmi fino alla finestrella; nel giro di pochi secondi sarei stato all’aria aperta, sano e salvo. Ma la porta cominciava a scricchiolare sotto le spallate delle streghe finché i cardini si staccarono. E nel momento in cui finalmente riuscii ad appoggiarmi al davanzale, sentii le loro orride mani afferrarmi per i piedi e le loro viscide dita salirmi lungo i polpacci: il contatto con la loro pelle glaciale e appiccicosa era davvero ripugnante. Sentii che mi tiravano verso il basso.

Strinsi i denti senza lasciare il davanzale e cominciai a tirare calci di qua e di là, con l’energia della disperazione.

“Ahi! Uhi!” gemevano le streghe.

Fu allora che le mie scarpe ebbero l’ottima idea di sfilarsi e mi ritrovai a benedire il vizio di non allacciarle mai. Le creature che le avevano afferrate caddero all’indietro e altre, con la bava alla bocca, accorsero ad aiutarle, precedute dal terribile olezzo del loro respiro. Io invece, improvvisamente libero da quella morsa, mi ritrovai scaraventato fuori come un sasso in una fionda.

L’ultima cosa che udii furono le lugubri grida delle streghe.

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