Agenzia di viaggi Stranimondi. Ai confini dell’oceano

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L.D. Lapinski

Traduzione di Luigi Cojazzi

La gente li chiamava “pirati”. E i marinai che abitavano il mondo della Frattura erano orgogliosi di questo appellativo, perché quando vivi su una nave e la tua esistenza è un susseguirsi di furfanterie e intrallazzi, come altro vorresti chiamarti se non “pirata”?

Ognuno di loro era perfettamente calato nella parte, e i membri dell’equipaggio della capitana Nyfe Shaban non facevano eccezione in quanto a stile. Dedicavano al loro aspetto tutta la cura e l’attenzione richieste dalle circostanze. Le gambe di legno erano adornate da delicate incisioni di onde marine e uno stemma della nave in morbida pelle era cucito sulle bende da pirata. La benda della capitana Nyfe, adagiata nell’orbita che un tempo aveva ospitato il suo occhio sinistro, era decorata con il ricamo di una foglia violacea, un omaggio alla sua nave ammiraglia, l’Aconito, che prendeva il nome dal fiore velenoso.

Quella sera Nyfe stava studiando con attenzione una mappa dispiegata davanti a sé. Era passato un bel po’ dall’ultima volta che aveva guardato l’orologio della sua cabina.

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Prologo

Gli orologi svolgevano un ruolo fondamentale nella Frattura, perché le albe e i tramonti non erano per nulla affidabili. Nyfe aveva trascorso buona parte della giornata a esaminare una collezione di mappe e carte. Il suo pranzo, consumato solo a metà, era finito sepolto sotto una pergamena srotolata diverse ore prima.

Nyfe passò una mano sulla mappa. Era circolare, colorata con inchiostri vivaci e suggellata con ceralacca. La superficie luccicava e crepitava a ogni tocco. Era la mappa di tutto il suo mondo. Il mondo della Frattura.

Qualcuno bussò alla porta.

“Sì?” disse lei, senza alzare gli occhi dalle carte.

“Capitana.” Jereme, il secondo ufficiale, si affacciò all’uscio. “Si sta facendo buio e della Nasturzio ancora nessuna traccia.” Esitò un attimo, soppesando la portata di quello che stava per comunicarle. “La nave è sparita, capitana.”

Nyfe alzò lo sguardo dalla mappa. Per un breve istante uno scintillio di preoccupazione baluginò dietro il suo unico occhio. Poi svanì per lasciare il posto alla consueta espressione imperscrutabile.

“Di’ all’equipaggio di interrompere le ricerche e mangiare qualcosa. Se non sono riusciti a trovare la nave quando c’era luce, dubito che il buio possa migliorare le cose.”

Jereme annuì e si congedò.

Nyfe si appoggiò allo schienale e sistemò uno dei segnaposto sulla mappa. Al centro di quel mondo per lo più azzurro si stagliava un’isola di colore marrone, simile a un tozzo di pane sbocconcellato: la Frattura. L’isola più grande e quella da cui l’universo di Nyfe prendeva il nome.

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Una spruzzata di altre isole disegnava una spirale nel blu dell’oceano, ma nessuna di esse poteva rivaleggiare con la massa terrestre della Frattura. A un marinaio non sarebbe bastato un giorno intero per attraversarla a piedi da un capo all’altro.

Quando Nyfe era più giovane, la mappa che stava guardando in quel momento era grande il doppio. Nel corso degli anni era stato necessario ritagliarla, ridurla man mano che il mare diventava più piccolo. Quella situazione andava avanti da così tanto tempo che Nyfe non riusciva a ricordare un mese in cui la mappa avesse mantenuto le sue dimensioni invariate.

La capitana afferrò uno dei pugnali che portava alla cintura. Lo conficcò nel bordo della mappa e poi fece scorrere la lama intorno, recidendo una sezione non più larga dell’unghia di un pollice. Afferrò quel cerchio, lo appallottolò e lo gettò nel cestino.

“Il mondo si sta restringendo”, disse ad alta voce. Quindi tirò fuori uno spesso foglio di carta riciclata e l’occorrente per scrivere.

Doveva spedire una lettera. Anzi, non una semplice lettera.

Una convocazione.

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Capitolo 1

Flick si stava rigirando la lente d’ingrandimento tra le dita. L’impugnatura in ottone era rigata. C’era una profonda scalfittura vicino alla lente, dei graffietti lungo il manico sottile come una penna e una macchia scura che risultava impossibile da rimuovere, nonostante Flick ci avesse provato varie volte.

La ragazza guardò il piccolo strumento, pregustando il momento in cui se lo sarebbe avvicinata all’occhio. Osservare la realtà attraverso la lente d’ingrandimento era un piacere che si godeva ogni volta.

Roteò velocemente il manico tra le dita, con un movimento esperto che aveva trascorso varie notti a perfezionare. Era sdraiata sul letto. La stanza era illuminata dal bagliore rosa prodotto da un frammento di agata posato sulla vecchia lampada sistemata sul suo comodino. A Flick ricordava la delicata luminescenza di una foresta di cristallo e la magia di un mondo completamente diverso da quello in cui si trovava in quel momento. Un mondo che lei aveva conosciuto.

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Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo per cercare di rilassarsi. Quindi si portò la lente davanti all’occhio destro, strizzando il sinistro. La prima volta che aveva provato a farlo in quella posizione, sdraiata sul letto, lo strumento le era caduto sul naso.

Perché quella non era una lente d’ingrandimento qualunque, così come Felicity Hudson non era una persona qualunque. La lente che aveva in mano era stata fabbricata da qualcuno che dominava la natura degli incantesimi, con un vetro proveniente da un altro mondo.

Contemplare la realtà attraverso quella lente ti permetteva di scorgere la magia nascosta, ma solo se avevi il dono della visione. Flick si avvicinò finalmente il vetro al volto e sorrise.

L’aria intorno a lei vibrava di magia. Un pulviscolo di scintille bianche e dorate fluttuava luccicante nell’aria silenziosa, invisibile a tutti tranne che a lei. Continuò a osservare quelle pagliuzze che volteggiavano e danzavano per la sua camera da letto, e il sorriso le si fece ancora più grande. Uno sciame di irrefrenabili particelle magiche che turbinavano come brillantini nell’acqua.

Flick alzò una mano e quella nube scintillante si diresse verso di lei, avvolgendosi attorno alle sue dita come un guanto. Strinse alcune pagliuzze magiche nel pugno, ma non erano percepibili al tatto.

La ragazzina abbassò la lente e se la premette sulle labbra. Era fredda e aveva un sapore simile a quello della moneta da due centesimi che una volta aveva leccato, giusto per curiosità.

La lente era stata fabbricata più di cento anni prima ed era appartenuta a un membro della famiglia del suo

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amico Jonathan Mercator (sul bordo di ottone erano incise le iniziali N.M.). A voler essere precisi, non era uno strumento magico di per sé: permetteva semplicemente di vedere la magia. Che, come Flick aveva imparato, era dappertutto.

Ma la ragazzina poteva vedere anche dell’altro.

Si alzò dal letto, spense la lampada del comodino e sbirciò attraverso le tende. Con la luce spenta, poteva scorgere oltre il proprio riflesso il giardino e il complesso residenziale al di là di esso.

Le file di edifici sembravano buie e tetre nella notte nuvolosa. Era stata una giornata calda e afosa, l’aria era carica di umidità che si rifiutava di condensare in pioggia. La luna restava nascosta e il viola intenso del cielo annunciava un temporale.

Flick appoggiò i palmi delle mani sul vetro della finestra e si chiese se quella particolare sensazione che si percepisce nell’aria prima di un acquazzone fosse davvero solo una questione di elettricità statica o non avesse invece qualche origine soprannaturale. A quel pensiero, un brivido le scese lungo la schiena. Forse i temporali facevano vibrare la magia presente nell’aria. Ormai sapeva che tutto era possibile.

Rimase a fissare il buio per qualche minuto, osservando le luci che si accendevano e si spegnevano in case sconosciute. Aspettò fino a quando non riuscì più a resistere e poi si accostò di nuovo la piccola lente d’ingrandimento d’ottone all’occhio destro.

Questa volta l’effetto fu elettrizzante.

Uno squarcio di luce incandescente illuminava l’area giochi al centro del complesso residenziale. Aveva una

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forma a zig-zag, come un fulmine disegnato da una mano tremolante. Quella linea frastagliata emanava una luminescenza giallognola, da cui entravano e uscivano sciami di particelle magiche. Sembrava scolpita nell’aria, sospesa sopra lo scivolo a circa due metri di altezza, come in attesa.

Uno scisma.

Uno strappo nel tessuto della realtà.

Una porta verso un altro mondo.

Flick fu scossa da un brivido. Aveva individuato quello squarcio l’altro ieri. Sebbene non rappresentasse nessun pericolo per la gente, quella fenditura ricordava a Flick una possibilità sempre aperta. E le ricordava anche ciò di cui si era dimostrata capace solo poche settimane prima, in un altro mondo.

Flick continuò a guardare finché l’occhio non iniziò a lacrimarle, quindi abbassò la lente e appoggiò la fronte sulla finestra. Il vetro freddo le trasmise una sensazione piacevole sulla pelle calda. Rimase ad ascoltare gli scricchiolii notturni di casa sua, mentre la paura cedeva gradualmente il passo a una calma avvolgente. Qui era al sicuro, protetta dall’amore di quella famiglia che aveva rischiato di perdere. Il ricordo di essersi trovata a un passo da quell’eventualità era ormai associato in modo indelebile agli scismi. Le bastava guardarne uno attraverso la lente per innervosirsi.

Flick aveva scoperto l’esistenza degli scismi solo di recente, quando si era unita alla Società segreta dell’Agenzia di viaggi Stranimondi.

Luogo di partenze, ritorni e oggetti magici, nonché casa dell’unico amico che Flick si era fatta da quando si era trasferita con la sua famiglia a Little Wyverns.

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L’agenzia era anche la ragione per cui in quel momento si trovava in punizione. Un giorno era uscita di casa ed era tornata il mattino successivo, e i suoi genitori non l’avevano presa bene, manco avesse rapinato una banca.

Flick fece una smorfia. Avrebbe preferito non capire perché fossero così arrabbiati. Ma invece lo capiva benissimo. Non si era però immaginata di essere messa in castigo per tutte le vacanze estive. Mancava solo una settimana e mezza, poi sarebbe iniziata la scuola e fino alle vacanze di Natale non avrebbe avuto altre possibilità di tornare all’agenzia di viaggi.

In lontananza risuonò una sirena accompagnata da un bagliore di luci blu. Flick ebbe un sussulto, sufficiente a provocare la caduta dal davanzale di un salvadanaio praticamente vuoto, che si schiantò a terra con fragore.

La ragazzina rimase immobile, in ascolto.

Sentì un colpo di tosse e lo scricchiolio della rete del letto provenire dalla camera dei genitori. Avrebbe fatto meglio a rimettersi a dormire.

Lasciò il salvadanaio dov’era, richiuse le tende e si infilò sotto le coperte, con la lente d’ingrandimento ancora stretta in mano.

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