Io e Lady B. Un viaggio senza età attraverso l'Europa

Page 1

Monica Nanetti

Io e Lady B

Un viaggio senza età attraverso l’Europa

I hate writing, I love having written. Dorothy Parker

La partenza

Da Milano a Ginevra

Milano, 9 maggio 2022. I capelli mi piovono sulla fronte, lo zainetto è scivolato fino a coprirmi la testa, gli occhiali penzolano pericolosamente sulla punta del naso. Sono ricurva a testa in giù su un marciapiede della Stazione Centrale, alle prese con le operazioni di chiusura della mia bici prima di imbarcarmi sul vagone del MilanoGinevra, mentre una massa di passeggeri mi scorre accanto e mi schiva frettolosa.

Richiudere una Brompton (la bicicletta pieghevole inglese che è un po’ l’archetipo di questa particolare categoria) è un’operazione che, vista nei tutorial su internet o praticata da utilizzatori abituali, richiede pochi secondi e sforzo minimo. E dire che avevo pure studiato, imparando a memoria le cinque mosse in successione: piega la ruota posteriore, raddrizza il pedale, sgancia il telaio, lascia cadere il manubrio e abbassa la sella. Facilissimo.

Forse però bisogna farci un po’ la mano; e di certo l’emozione non aiuta, nonostante le prove casalinghe che

7

hanno preceduto la mia partenza. Perché una cosa è trovarsi sul pianerottolo, o davanti al bar a pochi chilometri da casa con la prospettiva di percorrere strade conosciute e rientrare tra le mura domestiche nel giro di un’oretta o due; tutt’altro discorso è ritrovarsi alla soglia di un vagabondaggio di sessanta giorni attraverso l’Europa in totale autonomia.

Sta di fatto che questa volta la bici si è letteralmente imbizzarrita, e le eleganti mosse che dovrebbero consentirmi di ridurla alle dimensioni di un trolley si trasformano prima in una sorta di rodeo, poi in un corpo a corpo; ruote che scattano all’esterno, borse che cadono, cerniere che si bloccano, mentre io inizio a sudare e ad assumere un poco onorevole colorito paonazzo.

“Iniziamo bene”, mi dico, mentre la mia amica Annita, che ha voluto essere presente a questo momento storico, cerca di dissimulare la sua perplessità. Ma insomma, dopo aver rifiutato ogni aiuto – “devo imparare a cavarmela da sola” –, in qualche modo ho la meglio sui meccanismi ribelli: già sconvolta e scarmigliata come se avessi pedalato per un’intera giornata, mi isso sul vagone con tutte le mie carabattole, le sistemo nella bagagliera e sprofondo nella poltrona, non prima di aver abbracciato e salutato Annita come se partissi per la guerra.

Per quanto mi riguarda c’è un modo per distinguere i semplici spostamenti e le tranquille gite da un viaggio vero e proprio, quello in cui ti cimenti in qualche cosa di nuovo e non sai bene cosa troverai e cosa aspettarti. Nel primo caso sono subito pronta a mettermi in movimento, allegra e giuliva; nel secondo, invece, c’è sempre un istante sospeso, un intervallo in cui il fiato diventa leggermente più corto e l’equilibrio sembra mancare. La stessa sensazione di quando ti tuffi dal trampolino, i

8

piedi si sollevano dall’appoggio e ti trovi catapultata per aria, contesa tra piacere e paura, domandandoti se quello che stai per fare non sia un’idea stupida e realizzando al tempo stesso che è troppo tardi per ripensarci e tornare indietro. Per un attimo l’entusiasmo, i dubbi, l’emozione e la paura sono più forti che mai e tirano ognuno dalla sua parte, in qualche luogo intorno allo stomaco. Per dirla in modo più prosaico, è il momento in cui la domanda che invade il cervello, scavalca l’eccitazione e sovrasta tutte le altre considerazioni è: “ma chi cavolo me lo ha fatto fare?”. E questo è decisamente uno di quei casi: per un lungo, inquietante attimo mi chiedo se il mio progetto non sia, a conti fatti, una gran fesseria.

L’idea di questo strano viaggio, di fatto, risale a parecchi mesi prima. Per l’esattezza a quando, nell’autunno precedente, avevo all’improvviso realizzato che la fine dell’anno si stava avvicinando a grandi passi, e con essa il mio sessantesimo compleanno.

È stata dura, devo ammetterlo; non ho mai avuto problemi con l’età, non mi è mai interessato apparire giovane, non ho mai fatto caso ai piccoli segnali indicatori dello scorrere del tempo e, soprattutto, non mi sono mai sentita vecchia, superando con baldanzosa disinvoltura le boe dei trenta, dei quaranta e dei cinquant’anni. Almeno fin qui.

Perché i sessanta mi hanno preso a tradimento: una cifra tonda e pesante in cui non puoi più nasconderti dietro al fatto che sei attiva, energica, entusiasta e in buona salute. Non solo perché, a guardar bene, energie ed entusiasmi non sono comunque più gli stessi dei decenni precedenti; ma anche perché questa nuova decade ti posiziona automaticamente in un’altra categoria, senza possibilità di appello. Over sessanta significa pensione, lenti

9

bifocali, doloretti sparsi, improvvise amnesie sui nomi di colleghi e conoscenti; e non importa se alcune di queste cose – come ad esempio la pensione – ancora non ti riguardano personalmente, o se altre – come l’impossibilità di ricordare il nome di chicchessia – sono una tua caratteristica fin dall’adolescenza. Parliamoci chiaro: compiere sessant’anni è un colpo basso. Un minuto prima puoi ancora barare con te stessa e considerarti una giovanile donna nel fiore della maturità. Un minuto dopo la promotrice al supermercato ti regala un pupazzetto “per i suoi nipotini”. No, entrare nei fantastici anni sessanta non è affatto fantastico. E improvvisamente il pensiero della morte, che fino ad allora non ti aveva mai sfiorato se non come eventualità remota, assume una concretezza mai sperimentata: prendi coscienza – con il cervello, certo, ma anche con il cuore e con la pancia – che i giorni che ti restano sono contati (e che lo sono ancor di più le estati future, i Natali che ti aspettano, le occasioni per fare le cose che ami); realizzi con inedita lucidità che la definitiva uscita di scena non riguarda solo gli altri, ma anche te in prima persona.

Ero insomma entrata in quello stato d’animo autolesionista in cui si tirano bilanci, si elencano rimpianti, si allontanano prospettive. Per farla breve, ero piuttosto depressa. Per fortuna, però, sono una persona che si annoia facilmente: dopo un mese trascorso a rimuginare ingrugnita sull’inevitabile degrado del fisico e sulla caducità dell’esistenza, ho deciso che era forse il caso di non sprecare anche il tempo disponibile e di cercare di reagire, trovando i lati positivi della situazione.

Non è stato facile: il bello di compiere sessant’anni ha rischiato a lungo di rimanere una pagina bianca; finché, partita alla ricerca di concetti elevati e approcci di tipo esistenziale, non mi sono decisa a ridimensionare i miei

10

obiettivi e a concentrarmi sui piccoli vantaggi puramente pratici derivanti dall’età. Ed è a quel punto che, per una serie di coincidenze provvidenziali, ho scoperto che proprio a partire dai sessant’anni il pass Interrail è disponibile a prezzo scontato.

È probabile che chi è nato tra gli anni Cinquanta e i Settanta del secolo scorso sappia già di cosa sto parlando, perché per quelle generazioni l’Interrail è stata una vera icona, un’esperienza mitica; al pari della vacanza in Grecia dopo la maturità o del viaggio con la tendina canadese e la R4 stracarica, partire in treno zaino in spalla alla scoperta dell’Europa era un autentico rito di iniziazione, possibile unicamente fino all’età di ventisei anni. Il pass Interrail consisteva infatti, all’epoca, in una tessera riservata ai giovani che, a un prezzo più che ragionevole, dava accesso a qualunque treno nei principali Paesi europei. È un po’ difficile spiegare adesso la portata di questo concetto senza impolverarsi di un velo nostalgico e di quell’insopportabile atteggiamento “ai miei tempi…”, ma è vero: in quel periodo (l’Interrail è nato nel 1972)

l’Europa era molto diversa da oggi e ogni Paese era davvero un mondo a parte non solo per la lingua, ma anche per abitudini, usanze, prodotti, abbigliamento, alimentazione, valuta. Spostarsi all’estero era molto più costoso e laborioso, l’idea di un’Unione Europea non era neppure minimamente all’orizzonte, erano in pochi ad avventurarsi fuori dai confini nazionali e anche solo una settimana a Londra era un’avventura esotica di cui vantarsi molto a lungo con amici e parenti; tanto più che i voli low-cost non erano ancora stati inventati e un qualunque biglietto aereo corrispondeva a mesi e mesi di risparmi. In pratica, quella tessera ferroviaria era il passaporto per accedere allo straordinario e affascinante mondo

11

dei primi backpackers: liberi e avventurosi giramondo le cui estati erano un susseguirsi di incontri, avventure, scoperte.

Una splendida occasione che io mi ero lasciata sfuggire, affaccendata tra esami universitari e fidanzati stanziali, scoraggiata dall’assenza di compagni di viaggio, inconsapevole del trascorrere del tempo e del fatto che non avrei avuto vent’anni in eterno; accorgendomi così troppo tardi e con sommo disappunto, al mio ventisettesimo compleanno, che ero ormai definitivamente fuori dai limiti di età per godere di quell’offerta. Credo che sia stata quella la prima volta in cui ho avuto la sensazione di invecchiare in modo irrevocabile, e ne ricordo ancora lo stupore e la delusione.

Invece, a trentaquattro anni di distanza, ecco la mia seconda opportunità: perché non solo, negli anni successivi, Interrail ha deciso di rimuovere il limite di età creando una tessera aperta a tutti (seppure a un prezzo più alto rispetto a quello super-conveniente riservato agli under ventisei), ma ha anche aggiunto una seconda tariffa scontata, dedicata questa volta agli over sessanta. Un segno del destino che non potevo farmi sfuggire: per il mio compleanno, mi sarei regalata quel viaggio di libertà che mi ero scioccamente negata in gioventù.

Le cose, però, non sono mai semplici come sembrano a prima vista. Così, quando ho iniziato a riflettere sui dettagli del viaggio mi sono resa conto di un paio di elementi critici. In primo luogo il fatto che una volta arrivata in treno nel centro di qualche città, poi non avrei avuto altra alternativa se non quella di rimanere vincolata ai trasporti pubblici e ai relativi orari e itinerari; perfetto per visitare le capitali e i centri principali, un po’ meno per attraversare luoghi secondari e remoti trasci-

12

nandomi appresso il bagaglio. A questo si aggiungeva un secondo elemento, dato dalla mia passione per i viaggi in bicicletta – anch’essa sviluppata in età decisamente matura – che mi sarebbe dispiaciuto accantonare del tutto. Due problemi che, a ben guardare, potevano elidersi a vicenda abbinando le due modalità di viaggio: treno e bici, alternando tratti a pedali e tratti ferroviari a seconda del tracciato, dell’umore, del meteo, della fantasia.

C’era ancora solo un piccolo dettaglio, che rischiava però di rivelarsi determinante: avevo già avuto varie esperienze di viaggi in treno bici al seguito, con risultati che spaziavano dal faticoso – nella migliore delle ipotesi – fino al catastrofico. Perché non solo in Italia, ma anche in molti altri Paesi ci sono un gran numero di vincoli e limitazioni: il numero e tipo di treni che è possibile utilizzare, la necessità di prenotare con molto anticipo, la possibilità di trasportare la bici solo se in parte smontata e inserita in una sacca, l’esistenza o meno di ascensori o quantomeno di scivoli per spostarsi da un binario all’altro all’interno delle stazioni…

Ed ecco – modestamente – il colpo di genio, la formula perfetta: avrei lasciato a casa la mia solita bicicletta e ne avrei utilizzata una pieghevole, subito battezzata, nel goffo tentativo di mantenere un minimo di classe, con l’improbabile nome di Lady B. La bici perfetta per le mie esigenze: leggera, robusta e soprattutto accettata su qualunque convoglio, inclusi i treni ad alta velocità; magari un po’ meno veloce e performante di una canonica bici da viaggio, ma che importa? In un viaggio come quello che stavo progettando – e in realtà anche in ogni altra occasione – la velocità e la performance erano gli ultimi aspetti che intendevo prendere in considerazione; l’importante era solo ottenere il massimo grado di flessibilità, di leggerezza, di adattabilità: in altri termini, il massimo grado di libertà.

13

Il viaggio “60×60” è nato così: sessanta giorni di viaggio per festeggiare i miei primi sessant’anni, alternando tratti in treno con alcune delle ciclovie dei miei sogni. Senza prenotazioni o programmazioni rigide, semplicemente seguendo il canovaccio di un itinerario, pronta a modificare i piani in funzione delle circostanze e dell’ispirazione del momento. Da sola, perché questo era il mio viaggio; ma lasciando la possibilità ad amici – incontrati sul posto o venuti apposta a raggiungermi da casa – di percorrere con me un tratto di strada, comunque all’insegna della massima flessibilità.

E con un bonus aggiuntivo, quello della totale sostenibilità: un viaggio davvero green a scarsissimo impatto ambientale. Come si è visto dalla genesi dell’idea, mentirei se dicessi che tra le mie preoccupazioni iniziali c’era effettivamente quella di realizzare un viaggio eco-friendly; l’obiettivo era soltanto quello di concedermi un viaggio bello, interessante, inconsueto, faticoso ma non troppo, privo di vincoli e di eccessive programmazioni. E mi sembrava già tanto così. Solo a posteriori mi sono resa conto che la soluzione più efficace era, di fatto, anche quella più ecologica; e questa scoperta mi ha dato da riflettere. Perché, sotto sotto, ho l’impressione che molti di noi – io per prima – abbiano una visione un po’ particolare delle scelte legate al rispetto dell’ambiente. Necessarie e doverose, questo è certo, ma anche onerose sotto molti aspetti: utilizzo di beni e strumenti più costosi perché prodotti in modo etico, rinunce a esperienze piacevoli per non consumare inutilmente risorse, limitazioni negli acquisti e nei consumi per alleggerire la propria impronta sul pianeta. Insomma, una serie di sacrifici; a fin di bene e per il futuro nostro e di chi verrà dopo di noi, ma pur sempre sacrifici. E invece, a sorpresa, quando ho finito di disegnare il viaggio nella mia mente mi sono accorta

14

che la soluzione più piacevole e quella più sostenibile si sovrapponevano alla perfezione; che viaggiare green era la scelta più logica e appagante, oltre che la più rispettosa per l’ambiente; che, insomma, in questo caso – ma anche in molti altri, sospetto – per contribuire a tutelare l’ambiente basterebbe compiere le scelte più naturali, più lineari, più sensate, più svincolate da abitudini e automatismi mentali ereditati da altre epoche e messi in atto per semplice inerzia.

Adesso però che il giorno della partenza è arrivato e che il progetto è diventato concreto, dopo mesi di preparazione e di attesa, paradossalmente mi sembra tutto un po’ irreale: ho davanti a me due mesi di viaggio, varie migliaia di chilometri, nessuna idea precisa di quello che mi aspetta e la fastidiosa sensazione di essermi dimenticata qualcosa di essenziale. Come ogni volta che mi dedico a qualcosa per il puro gusto di farlo, riconosco i segnali del risveglio di un generale e indiscriminato senso di colpa, da sempre mio fedele compagno di vita: il dubbio pungente che quello a cui mi sto dedicando sia un lusso troppo grande da potermi concedere, che prima o poi dovrò pagare in qualche modo. Per sua fortuna Chiara, l’amica che mi accompagna per alcuni giorni lungo il primo tratto, ha deciso di aggregarsi solo all’ultimo momento e ha trovato posto su un vagone diverso dal mio, evitandosi così di subire il mio stato semi catatonico. Tanto la nostra tappa è di tutto riposo: quattro ore di treno fino a Ginevra e pochi minuti di bici attraverso la città per arrivare a casa di Greta, la ragazza italiana che ci ha offerto ospitalità per la notte.

15
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.