Una via di pace. Un viaggio tra Israele e Palestina

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Il libro nasce nell’ambito di un programma di cooperazione decentrata fra partner italiani e città israeliane e palestinesi, per promuovere il dialogo attraverso la creazione di una “Strada del patrimonio culturale della Terra Santa del nord”.

Questa pubblicazione è stata realizzata con il sostegno finanziario dell’Unione Europea e della Regione Toscana. Il suo contenuto è di responsabilità esclusiva degli autori e non potrà, in nessun caso, essere considerato come il punto di vista dei finanziatori. This publication has been produced with the assistance of the European Union. The contents of this publication is the sole responsibility of the authors and can in no way be taken to reflect the views of the European Union.

Andrea Semplici è giornalista professionista e collabora con diverse testate nazionali. Con Terre di mezzo Editore ha pubblicato anche Viaggiatori viaggianti, Diario d’Africa, La ruta del caffè, e In viaggio con Kapus´cin´ski. Mario Boccia è un fotogiornalista specializzato in reportage sulle questioni sociali e internazionali. Collabora con molti giornali italiani ed europei. In particolare ha lavorato come corrispondente per Il manifesto a Sarajevo, Belgrado, Pristina, e Skopje. Le sue fotografie sono state usate per promuovere campagne di solidarietà da molte Ong e organizzazioni no-profit.

libri.terre.it 16,00 euro

Una via di pace

Akko, Haifa, Taybe, Tulkarem, Nablus, Gerico: tre città israeliane e tre palestinesi unite da un itinerario di pace che, tappa dopo tappa, ci porta a scoprire i paesaggi, i cibi, i profumi, la storia antica e recente, i volti e le abitudini di una terra difficile ma bellissima. Come scrive l’autore, “incontrare la gente nei caffè, perdere tempo nelle piazze, guardare, nelle ore del mattino, il passeggio delle donne, aiuta a ricomporre qualche frammento del complesso mosaico di quanto è accaduto negli ultimi sessanta anni”. Un reportage che è anche una guida, con suggerimenti utili per chi voglia percorrere la stessa strada, sapendo che ogni viaggiatore è un filo che contribuisce a ordire un tessuto di pace.

Una via di pace In viaggio tra Israele e Palestina

Andrea Semplici Mario Boccia


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Akko Haifa

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Tulkarem

MA

Indice

Taybe

AKKO

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Entra nel Giardino Incantato il giovane derviscio…

Nablus

15 La città è magnifica

Questa è la sua storia

23 La Città Vecchia

Tel Aviv

I O R D A N I A

32 L’ultimo custode

G

Gerico Gerusalemme

Introduzione

dell’hammam al-Pasha 34 I campanili di Akko 40 I caravanserragli, geografia dell’ospitalità 43 I minareti di Akko 46 Città di mare 50 Il santuario di Bahá’u’llah 54 La sinagoga di Or Torah

HAIFA

57 Haifa è un patchwork 68 La German Colony 73 La città laica delle mille religioni 89 Beit Hagefen, la casa della Foglia di Vite 90 Caccia al tesoro ad Haifa. I palazzi e le architetture 95 La città gaudente dai mille musei 104 Le vigne del Carmelo


TAYBE

182 Le fabbriche del sapone

107 Quelle antiche nozze a Taybe

185 Le porte salvate dai bambini

119 La moschea del giuggiolo

187 Il teatro romano

120 Gli “italiani” di Taybe

189 I cristiani di Nablus

123 L’uomo dei bricchi giganti

190 Il pozzo di Giacobbe

125 L’uomo dell’hummus

193 L’artigiano delle mattonelle

127 I contadini testardi

194 La Borsa di Palestina

del Piccolo Triangolo

196 L’università al-Najah

129 La tomba di sheikh Musharraf

198 Tell Balata (l’antica Shechem)

132 Le altre nozze di Taybe

203 Il monte Gerizim

TULKAREM

208 Sabastiya (l’antica Samaria)

GERICO

137 Tulkarem, la montagna generosa

145 I colori del ricamo

216 Il caffè di Gerico

146 La collezione di Badran

221 Tell al-Sultan

148 Gli olivi di Tulkarem

226 Il Monte delle Tentazioni

150 Musakhkhan, il sapore

227 La sinagoga di Tell al-Sultan

del sumaq 153 L’importanza della terra 155 Khirbet Irtah

228 Qasr Hisham 231 Tulul abu al-Alayiq (il palazzo di Erode)

157 Il villaggio di Kur

233 Khirbet Na’ran/Ain Duyuk

159 Shoufeh, il castello dei Barqawi

235 Il sicomoro di Zaccheo

160 Le cave romane di Beit Leed

236 La casa di Zaccheo

NABLUS

237 L’arte del mosaico 239 I cristiani di Gerico

163 La città delle donne forti

240 I datteri di Gerico

168 Tuqan e Abdul-Hadi. I palazzi di

243 Il monastero di San Giorgio

Nablus e il potere delle famiglie

di Choziba

171 Geografia di moschee

245 Il santuario di Nabi Musa

173 Gli hammam

247 Il monastero di San Gerasimus

177 Khan al-Wikala

249 Beduini

178 Il volo della kanafa 180 Il mercante di spezie

253 Progetto



AKKO Una città con due anime

Akko

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l’arrivo del giovane derviscio al matrimonio più elegante della città le finestre di akko

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Akko


Entra nel Giardino Incantato il giovane derviscio… Il giovane derviscio entra nel Giardino Incantato facendo ruotare l’ampia tunica colorata. I suoi passi circolari sono come un soffio di vento notturno. Il rullo dei tamburi lo circonda, gli uomini accolgono il corteo battendo le mani, le donne, vestite da grande festa, fanno scintillare i loro abiti muovendo le braccia con rapida grazia. Lo sposo, vestito di bianco, è sulle spalle di un suo compagno e, a sua volta, batte le mani con un sorriso di felicità. Centinaia sono gli invitati al matrimonio. Arriva la sposa, superba nel suo abito bianco: sorregge due grandi candele, le sue mani sfiorano finalmente quelle dello sposo. I fuochi di artificio illuminano il cielo sopra l’antica fortezza crociata. Notte senza sonno nella Città Vecchia, grandiose sono le nozze del figlio del panettiere con una delle donne più belle della città. La musica araba è un pulsare costante e veloce, le donne, con velo e senza velo, si confondono in una danza collettiva che è vibrare sensuale di braccia e di colori. Per due giorni, fra i vicoli dell’antica Akko, si è festeggiato. Le famiglie dei due sposi hanno offerto cibo, due grandi tavolate sono state apparecchiate lungo la strada davanti alla moschea Majadele, cortei rumorosi e gioiosi hanno attraversato le strade della Città Vecchia mentre le donne più anziane gridavano i loro zaghareed eccitati. Un uomo ha agitato una grande spada di fronte al corteo nuziale, lo sposo, in groppa a un quieto cavallo addobbato con nastri rossi, ha percorso orgoglioso il labirinto delle antiche strade. È bella Akko quando si affolla della sua gente. È bella Akko nella pace serena della moschea al-Jazzar o nel silenzio dei suoi vicoli notturni. È bella Akko quando il suo mercato, lungo la strada quasi coperta che allaccia la piazza Haim Farhi allo slargo che un tempo ospitava i merAkko

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canti di Amalfi, è un ingorgo di persone alla ricerca del miglior pane appena cotto o del pesce più fresco della città. Akko è magnifica al tramonto quando, finalmente, ti siedi sugli spalti del porto Pisano, ti concedi il narghilé e il tempo è una sospensione: i pescatori gettano i loro ami dalle rovine delle antiche mura ottomane, i ragazzi più spavaldi si tuffano dalle feritoie per mostrare il loro imprudente coraggio, gli innamorati passeggiano fra la piazzola del faro e le banchine della piccola darsena. Akko è la sola città di Israele che, nel cuore del suo vecchio centro, un promontorio che si protende verso il mare aperto, abbia conservato intatto il suo carattere arabo. Akko è una città unica perché ha un suo doppio. È strano essere grati a due sultani che sono passati alla storia come sovrani spietati e sanguinari. Ahmed Pasha sarebbe stato fiero di essere passato alla storia come al-Jazzar, il “macellaio”. Eppure si deve a lui e al suo predecessore, Daher al-Omar (che lui uccise per costruirsi quel regno personale sull’alta Galiela), se Akko ha conservato intatti i suoi misteri più antichi. Sono stati loro a ricostruire, nella seconda metà del ‘700, la città dentro la quale oggi noi ci perdiamo; sono stati loro, con inconsapevole saggezza, a non distruggere, mentre alzavano i minareti delle loro moschee, le rovine dell’altra città, quella che, cinque secoli prima, avevano eretto gli architetti megalomani dei crociati. Daher al-Omar e Ahmed Pasha al-Jazzar hanno, semplicemente, costruito la nuova Akko sopra quanto avevano edificato, nel XIII secolo, i crociati. E così se una strada della Città Vecchia si ingobbisce in un lieve dosso, state certi che state camminando sopra il soffitto a volte di un palazzo crociato; se una fognatura cede, è sicuro che, al di sotto, si troverà un tunnel che un tempo era un passaggio coperto percorso dai cavalieri che avevano combattuto con Riccardo Cuor di Leone. Ad Akko c’è una città araba, una Old Akko splendente e viva (e nessuno sa dire con certezza quanti siano i suoi abitanti: forse settemila, forse più. La nuova Akko,

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Akko


cresciuta fuori le mura, ha cinquantamila abitanti), e una città sotterranea, immensa, nascosta e tornata incredibilmente alla luce dopo essere stata sepolta per otto secoli. Città a due piani, Akko. Qui la storia è stata generosa con gli archeologi e con chi oggi può passeggiare balzando fra le pietre scolpite dai crociati e un’architettura arabo-islamica che ha saputo difendere la sua antica e profonda bellezza. Deve esserci qualcosa ad Akko se i grandi personaggi della storia mediterranea sono passati di qua. È un affollamento di celebrità che non ha uguali per una città così piccola. Alessandro Magno, Giulio Cesare, san Paolo, san Francesco d’Assisi, Riccardo Cuor di Leone, Marco Polo, Napoleone hanno almeno guardato questa terra. Si sono soffermati per le sue strade. Alcuni di loro hanno combattuto per conquistarla: non Alessandro Magno che trovò aperte le porte della città, ma Riccardo Cuor di Leone dovette assediarla per salvare l’onore dei crociati. Anche Napoleone, quasi sei secoli più tardi, voleva impossessarsi di questo porto strategico del Mediterraneo, ma non riuscì a demolire le mura che lo difendevano. Storie così diverse, storie guerriere, eppure è come se Akko fosse stata sempre più forte rispetto a chi ne voleva avere il dominio. Gli ottomani negli ultimi anni del loro impero e gli inglesi al tempo del Mandato trasformarono Akko in una colonia penale: l’antica cittadella di al-Jazzar divenne un carcere duro, ma è come se la pelle della città (e la sua anima) sia stata capace di resistere anche a questi decenni cupi. La Città Vecchia, nonostante esodi e controesodi della sua popolazione, protegge la sua identità, i suoi figli si sposano con l’allegria caotica di un matrimonio arabo (ne vedrete se capitate qui in primavera o in estate: seguite lo scoppio dei fuochi di artificio per trovare la festa), gli artigiani provano a tenere aperte le proprie botteghe (andate a vedere quella di Jabbar, nella strada del porto Pisano: batte il rame con perizia e mostra volentieri i suoi grandi lavori), il mercante di spezie farà lo sbruffone con i segreti delle sue droghe nel negozio lungo la strada del mercato, gli uoAkko

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mini passano lunghe ore nei caffè a giocare a backgammon (piacevoli i tavolini del caffè Tazini, a un passo dalla piazza Amalfi) e le donne mettono le sedie davanti alle porte e aspettano le vicine per poter scambiare chiacchiere quotidiane. Qui per riparare i pantaloni strappati o farsi una giacca si va ancora dall’ultimo sarto della Città Vecchia: la sua bottega è a un passo dal khan dei Pilastri. Venditori di succhi di frutta popolano gli angoli più frequentati. Nelle ore del pranzo una fila di persone si accalca davanti alle porte di una bettola del mercato: la fama dell’hummus di Abu Said ha già varcato le mura della città (ha perfino un sito internet: www.humus.said.com) e tocca a un anziano cameriere cercare di disciplinare il traffico dei gourmet popolari che, ogni giorno, vogliono assaggiarlo. Abu Said è un luogo caotico e, a suo modo, sacro, capace di sfornare in poche ore centinaia e centinaia di piatti di squisita crema di ceci. Akko è bella perché sa di una vita normale. Di questa città è facile innamorarsi. In un angolo del Giardino Incantato, là dove si svolgeva il matrimonio (è il piccolo parco che oggi è l’ingresso principale alla città crociata, qui ha sede l’efficiente centro visitatori), a volte si incontrano Smadar, Moni e Khalid. Sono due uomini e una donna. Due ebrei e un arabo. È gente di teatro: nel 1984 hanno creato l’Akko Theatre, il loro spazio scenico è ritagliato in antiche sale dei crociati. Hanno scelto di vivere e lavorare qui perché ad Akko arabi ed ebrei non si ignorano, si vedono ogni giorno, vivono gomito a gomito, si scrutano. “Qui possiamo imparare uno dall’altro. Ad Akko arabi ed ebrei riescono a parlarsi”, dice Moni. “Ci conosciamo, ci frequentiamo nei caffè, passeggiamo e mangiamo assieme. E se arabi ed ebrei imparano a conoscersi, saranno capaci anche di imparare a convivere senza ossessioni e senza ostilità”, spiega Smadar. E, lei, donna ebrea, comincia a suonare la sua musica lenta e suadente. Nei loro spettacoli entra sempre la realtà di questa terra. Ad Akko, città dalle molte anime, accadono anche piccoli miracoli. la moschea del mare, vicino al porto

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Akko


Akko

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la città vecchia l’attrice smadar yaaron nell’akko theatre

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La città è magnifica. Questa è la sua storia Nella tradizione ebraica il nome Akko ha origini divine: indicava il confine fra il mare e la terra. “Fino a qui”, ad koh, in ebraico, ordinò Dio mentre stava creando il mondo. Il nome Akko appare già in testi egizi antichi di duemila anni prima di Cristo ed è scritto, in caratteri cuneiformi, anche nelle tavolette di Tell al-Anarmah, l’archivio reale, risalente al 1260 avanti Cristo, ritrovato fra le rovine della città egizia di Akhetaton. Akko era destinata, nella sua antichità, a cambiare più volte nome: per i greci fu Aka, gli egiziani di Tolomeo, nel III secolo avanti Cristo, la ribattezzarono Tolemaide (e fino alla conquista araba, 636 dopo Cristo, la città fu conosciuta con questa denominazione). Ma per i romani questa era la colonia Claudia Felix. I crociati, infine, la chiamarono, durante il secolo del loro dominio, San Giovanni d’Acri. Furono gli arabi a ritrovare l’antico nome biblico e a chiamarla nuovamente Akko. La prima città venne fondata nell’entroterra. I suoi primi abitanti si insediarono sulla cima di una bassa collina a poca distanza dal mare. Tell Akko, oggi, è alla periferia della città moderna: qui, gli archeologi hanno trovato le tracce di un villaggio fondato almeno quattro millenni prima di Cristo. Quegli uomini dell’antichità avevano fatto una scelta saggia: la piana marina della Galilea era terra fertile e qui scorrevano le acque del fiume Na’aman. Solo attorno al mille avanti Cristo quel piccolo popolo di contadini decise di trasferirsi nella radura di quel promontorio che si protendeva verso il mare aperto. Cominciò così, con lentezza, la storia marina di quello che, per secoli, è stato il porto più importante del Mediterraneo orientale. Era una terra di confine, Akko. Qui si sfioravano le frontiere delle influenAkko

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ze fenicie e di quelle cananite ed ebraiche. Fu re Salomone a donare il promontorio ai fenici di Tiro. Poi Akko venne conquistata dagli assiri (sette secoli prima di Cristo) e, infine, divenne base militare dei persiani (400 avanti Cristo), avamposto della loro guerra perenne contro l’antico Egitto. Nel 333 avanti Cristo, Akko spalancò le sue porte al giovane Alessandro Magno nella sua corsa frenetica alla conquista del mondo. Riuscì a diventare una ricca colonia greca, ma non sopravvisse a lungo alla scomparsa del condottiero greco: il re di Egitto, Tolomeo II, nel III secolo avanti Cristo, riunì sotto il suo dominio tutto il Mediterraneo orientale e fece di Akko uno dei suoi capisaldi. Cambiò nome alla città: Akko divenne Tolemaide e la sua popolazione crebbe a dismisura. Aveva 60mila abitanti ed era la città più importante della Palestina ellenistica. Ma rimaneva sempre una città di frontiera, troppo ricca e strategica per non attirare le avidità dei signori della guerra anche in quell’antico Medioriente. I siriani riconquistarono Tolemaide nel 218 avanti Cristo. I romani la usarono come approdo e base sicura durante le varie campagne militari di Palestina. Fu nel 48 avanti Cristo che da qui passò anche Giulio Cesare. Le rivolte ebraiche di quei secoli vennero represse con particolare ferocia ad Akko. L’ondata della conquista araba e musulmana (636 d. C.) travolse la Palestina. Sarà il califfo di Damasco, Mu’awiyah ibn Sufian, a ordinare, nel 639, la prima fortificazione di quel porto che ricominciò a essere chiamato Akko. Furono secoli senza sfarzo, il piccolo promontorio fu abitato da pescatori e carpentieri abili nel costruire barche. Gli anni irruenti della crociate cambiarono il destino di Akko. Baldovino I, fratello di Goffredo di Buglione e primo re cristiano di Gerusalemme, si impadronì della città nel 1104 con l’aiuto della flotta genovese. I crociati volevano avere porti sicuri per mantenere collegamenti con la chiesa di san giovanni

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Akko


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gli stati cristiani. Akko divenne, improvvisamente, città più che importante: fu riconquistata dagli arabi di Saladino nel 1187, ma, appena quattro anni dopo, le sue mura non resistettero all’assedio di Riccardo Cuor di Leone. Sarà il re inglese, stanco di guerra, a siglare una precaria pace in Palestina: musulmani e cristiani si spartirono la Terra Santa, i crociati avrebbero controllato le sue coste, mentre agli arabi era destinato il possesso di Gerusalemme e dell’entroterra. Akko, per un secolo esatto, divenne la capitale dello stato crociato, centro principale del regno Latino di Palestina. Furono cento anni turbinosi e spettacolari: la città divenne il porto più importante di tutto il Mediterraneo d’Oriente. Qui si stabilirono gli ordini guerrieri della cristianità, qui si acquartierarono i Templari, i Teutonici, i cavalieri di san Giovanni e quelli di san Lazzaro. Le repubbliche marinare italiane (Venezia e Genova erano già arrivate ai tempi di Tancredi, principe di Galilea. Amalfi, invece, vi approdò nel 1190 e Pisa un anno dopo) inviarono qua delegazioni e mercanti, costruirono ospitali e interi quartieri e si sfidarono lungo le rotte dei traffici fra la penisola italiana e il Medioriente. Le grandi famiglie veneziane mandarono qua i loro figli più ambiziosi per guidare la folta (almeno quattrocento persone) comunità della città lagunare e difendere il loro primato mercantile. In quegli anni, nel porto di Akko, già ingrandito nel 1123, ogni giorno, attraccavano almeno settanta navigli commerciali. Nel 1219 perfino san Francesco aveva soggiornato per mesi nel primo monastero di Terra Santa del suo nuovo ordine religioso. Censimenti ecclesiastici contarono, orgogliosi, almeno 38 chiese cristiane e una quarantina di caravanserragli. Gli ebrei vi aprirono una delle più famose yeshiva dell’epoca. Gli architetti dei crociati costruirono una città straordinaria, imponente, teutonica nella sua immensità. La cittadella appariva come una fortezza giochi di carte e backgammon ai tavoli del caffè tanani

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inespugnabile. Akko arrivò ad avere nuovamente 50mila abitanti. Cambiò la skyline del promontorio: la densità della popolazione era così fitta che le nuove abitazioni furono costrette ad arrampicarsi verso il cielo: si cominciarono a progettare e costruire edifici di quattro, cinque piani, quasi dei grattacieli per quell’antico medioevo. La ricchezza della città crociata fu anche la causa della sua rovina, le fazioni, mercantili e religiose, gli ordini guerrieri e le corporazioni dei commercianti, si sfidavano senza pietà per il controllo di Akko. La corruzione cominciò a dilagare. Nel 1291 alcuni crociati aggredirono una carovana siriana provocando la morte di 19 mercanti musulmani: fu l’episodio che fece muovere le armate del sultano mamelucco Malik al-Ashraf contro Akko, ultimo avamposto cristiano. La città fu espugnata dopo 43 giorni di assedio, 60mila persone vennero passate a fil di spada dagli uomini di Malik. Akko venne rasa al suolo, furono abbattuti i palazzi a più piani: solo lo scheletro della cattedrale di san Giovanni rimase in piedi trasformandosi in una sorta di faro per i navigli che costeggiavano il Mediterraneo. Per quasi quattro secoli Akko scomparve dalla geografia del Mediterraneo. Solo nei primi decenni del ’600, un emiro druso, Fakhr al-Din, signore del Libano, autorizzò il ritorno di comunità cristiane e di mercanti europei nell’antica città crociata. Ma furono due sultani ribelli, un secolo più tardi, a restituire grandezza ad Akko. Il druso Daher al-Omar e, soprattutto, il suo rivale, il bosniaco Ahmed Pasha, un ex schiavo, diventato ufficiale dell’esercito ottomano, più conosciuto come al-Jazzar, il “macellaio”, si contesero alla fine del ’700 il potere sulla Galilea, ne strapparono il controllo a Costantinopoli e governarono la città e i suoi territori come spietati feudatari. Furono sanguinari i due sultani (e Ahmed Pasha sconfisse e uccise al-Omar nel 1775), ma trasformarono nuovamente il volto di Akko: ricostruirono la città sulle rovine delle fortezze crociate, mentre le navi mercantili avevano ripreso ad attraccare al porto, ricominciarono i commerci di cotone, di grano e di canna da zucchero. I minareti delle nuove moschee divennero il pa-

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barche alla darsena

esaggio urbano del piccolo promontorio. E nel 1799 le mura di Akko, con l’aiuto della flotta inglese, furono capaci di resistere, all’assedio di Napoleone che vanamente cercò di conquistare la città. Gli ultimi bagliori di Akko sono ottocenteschi: la città è ancora contesa fra egiziani (che se ne impossessano nuovamente nel 1831) e turchi (che ne riprendono il controllo nove anni più tardi), il suo porto continua per qualche decennio a essere il principale attracco della Palestina, ma gli ottomani hanno deciso che l’antica cittadella fortificata di alJazzar sarebbe diventata una cupa prigione dove rinchiudere i più pericolosi ribelli del loro impero. Ad Akko verrà imprigionato Bahá’u’llah, il fondatore della religione bahá’i. Nel frattempo, all’altro capo della baia, il vecchio villaggio di pescatori di Haifa cresceva imperiosamenAkko

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te. Il suo porto poteva essere più grande, più sicuro, meno affaticato dalla storia rispetto a quello di Akko. Nel 1904, poi, una deviazione della ferrovia fra Damasco e l’Arabia raggiunse Haifa, e gli inglesi, negli anni del Mandato, ingrandirono ancora di più il suo porto e ne fecero una città industriale. Akko, anche per Londra, rimaneva solo una colonia penale in cui rinchiudere, allo stesso tempo, i sionisti (qui venne imprigionato Ze’ev Jabotinski, il futuro fondatore dell’Irgun) e i palestinesi ostili all’immigrazione sionista. Numerose furono le condanne a morte comminate dalle corti britanniche contro ebrei e palestinesi. Nel 1947, il piano di spartizione della Palestina delle Nazioni Unite assegnava Akko al futuro stato arabo. Ma la prima guerra arabo-israeliana travolse quel progetto: il 17 maggio del 1948, due giorni dopo la dichiarazione di indipendenza di Israele, le truppe dell’Haganah conquistarono l’antica città crociata. Haifa era oramai il porto di Israele, Akko venne quasi dimenticata. La Città Vecchia accolse gli immigrati della diaspora ebraica dispersa nel Nord Africa. Solo in anni recenti, un’imponente e straordinaria campagna di restauri, avviata dall’Old Akko Development Company, ha risollevato il destino della città riscoprendo la sua antica magnificenza.

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La Città Vecchia

Le mura Gli inglesi, negli anni del Mandato, fecero quello che gli eserciti che avevano più volte assediato Akko non erano riusciti a fare: aprirono varchi nelle sue mura. La modernità lo imponeva e così due grandi strade penetrarono nel cuore della Città Vecchia. Ma la cinta muraria di Akko, pur ferita, rimane impressionante. Alcuni dei più antichi frammenti sono dispersi in mare: la Torre delle Mosche è, oramai, solo uno scoglio battuto dalle onde di fronte al molo principale del porto. Altri pezzi di muraglia si sono trasformati in isolotti di pietra davanti al porto Pisano o sono stati sommersi dalle acque del Mediterraneo di fronte alle mura occidentali. I due sultani ribelli, Daher al-Omar e Ahmed Pasha al-Jazzar, fortificarono, nella seconda metà del ’700, la loro capitale alzando nuove difese sulle rovine delle mura crociate: furono capaci di resistere agli assalti e ai bombardamenti delle truppe napoleoniche. Cinque grandi torrioni erano come capisaldi nella cinta muraria di Akko: il burj al-Commander e il burj al-Kapu erano le fortezze che sorvegliavano le strade provenienti dall’entroterra. Al-Kapu, la torre del Portone, ospitava le sentinelle che vigilavano sulla grande porta Terrestre che chiudeva l’ingresso orientale di Akko. Dal burj al-Sultan si controllavano, invece, le navi che si avvicinavano da Oriente: dai suoi spalti è magnifico, soprattutto al mattino, il colpo d’occhio sulle mura marittime Orientali della città. Il burj al-Sanjak, la torre della Bandiera, si trova sulla punta occidentale della Città Vecchia: oggi gareggia con il faro come luogo da panorami verso il mare aperto. Il burj al-Karim, anche conosciuta come la torre Inglese, venne costruita là dove le Akko

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mura terrestri si saldavano, a occidente, con quelle che proteggevano Akko dal mare.

La città sotterranea Prima di rimanere sorpresi dalla grandiosità di una città che è sprofondata sotto terra, deve essere chiaro che nessuno storico e nessun archeologo ha ancora compreso quale fosse la funzione reale delle immense sale che i crociati, in un secolo di dominio, costruirono in questa città. Solo le latrine, scavate recentemente (si trovano in un piccolo ambiente in un angolo della grande corte), non lasciano dubbi sul loro utilizzo. La scoperta di una Akko sotterranea, il suo restauro, la certezza che il lavoro da talpa degli archeologi sarà ancora infinito (è stato scavato meno del 5% della città crociata), trasformano la discesa nel sottosuolo della Città Vecchia in una esplorazione appassionante e mozzafiato. La città dei crociati è, per gli archeologi, una Pompei mediorientale dell’alto Medioevo. Gli scavi, cominciati nel 1954, sono ripresi con nuovo vigore alla fine del ’900 e ogni anno riservano grandiose sorprese. Daher al-Omar e Ahmed Pasha al-Jazzar ricostruirono, nella seconda metà del ’700, una Akko splendida e lo fecero utilizzando le rovine della città crociata come fondamenta: non distrussero quanto avevano eretto gli architetti cristiani del XIII secolo, ma riempirono di detriti, terra, sabbia e pietra quegli immensi vuoti sotterranei. San Giovanni d’Acri, roccaforte crociata per un solo secolo, si è così conservata intatta. Nel suo sottosuolo, finora, sono state riportate alla luce ben 27 grandi sale. I palazzi sprofondati sotto le fortificazioni della cittadella settecentesca appartenevano all’ordine religioso e guerriero dei Cavalieri di san Giovanni, fondato nel 1095 dal beato la sala dei principi

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il grande refettorio della cittadella dei crociati l’archeologo elezier stern al lavoro

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Gerardo durante la prima Crociata. Assieme ai Templari, i Cavalieri di san Giovanni erano una casta potente, un esercito ben addestrato e ben armato che si assegnò il compito di difendere i luoghi santi della cristianità in Palestina. Dopo la riconquista araba di Gerusalemme (1187) i Cavalieri di san Giovanni, conosciuti anche come Ospitalieri, si asserragliarono ad Akko. Le sale dei crociati sono immense e quasi intimoriscono con le loro dimensioni: la Grande Sala e la Sala dei Principi si fronteggiano non appena si entra nel recinto archeologico della città sotterranea. La Grande Sala, vasta quasi mille metri quadrati, poteva accogliere fino a cinquemila guerrieri. Colonne possenti, dove sono visibili le tecniche diverse utilizzate dagli ingegneri del restauro, sorreggono un pesante soffitto. Si può solo immaginare che questo spazio immenso fosse destinato a importanti cerimonie. A fianco della Grande Sala vi sono ambienti più piccoli come la Sala Bella, così chiamata per la perfezione della sua architettura. Qui si passeggia nella semioscurità calpestando il selciato di una grande via, la Strada coperta meridionale, che, nelle ricostruzioni degli archeologi, attraversava la città crociata: si notano taverne e negozi, graffiti sui muri, piccoli spazi più angusti destinati a botteghe di artigiani. Un accenno di strada ben più grande (con una carreggiata di dodici metri di larghezza) punta verso le campagne che, otto secoli fa, circondavano Akko. Di fronte alla Grande Sala, è bellissima la Sala dei Principi: tre grandi spazi, spogli e maestosi, dalle colonne eleganti e imponenti. Più che a una sala per le riunioni dei guerrieri dell’ordine degli Ospitalieri, gli archeologi azzardano che queste sale fossero, in realtà, i magazzini del complesso fortificato dei crociati. Sfolgorante e misterioso, su un lato della grande corte è il Refettorio. Si trovava quindici metri sotto la pavimentazione, oggi scomparsa, del Akko

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piazzale destinato all’ora d’aria delle prigioni turche e inglesi. È la sala più elegante del complesso degli Ospitalieri e si apre sulla corte della fortificazione. Al suo interno tre magnifiche colonne hanno il diametro di immense querce millenarie: sorreggono geometriche e perfette volte a crociera. La sala ha ben quattro ingressi e le sue architetture appartengono a uno stile di transizione fra l’essenzialità crociata e forme più sofisticate di gotico. Su una parete è inciso un giglio, emblema della corona di Francia: gli storici sono certi che questo piccolo bassorilievo fosse una sorta di ricordo della visita, avvenuta nel 1148, del re francese Luigi VII. La visita alla città sotterranea ora sprofonda davvero nel sottosuolo di Akko: si esce dal refettorio e si scende in uno stretto tunnel che ha avuto una doppia funzione. Questo passaggio segreto (si cammina in fila indiana, non vi è spazio che per i passi di due persone affiancate) fa parte del labirinto delle fogne della Akko crociata, ma, in caso di bisogno, poteva essere utilizzato anche come via di fuga (o di sorpresa): noi oggi ne possiamo percorrere solo poco più di cento metri, ma è certo che andava a risbucare oltre le mura della città. Il tunnel, oggi, arriva fino a un’altra sala ribattezzata la Cripta. Gli archeologi hanno immaginato che potesse essere il presidio di guardia della fortezza crociata, ma era troppo grande (mille e trecento metri quadrati) per una simile funzione. Poteva essere l’ospitale dei Cavalieri, il luogo destinato ad accogliere i pellegrini in viaggio per la Palestina? O, forse, questa era davvero la grande cripta della chiesa di san Giovanni che si trova sopra questa sala sotterranea? Quello che è certo è che qui si trovano due grandi lapidi tombali (databili al 1290, un anno prima della caduta di Akko) con iscrizioni in lingua francese e che le volte più buie della sala sono il rifugio prediletto di colonie di pipistrelli. Una scala in ferro consente alla fine di uscire, attraverso un negozio di bigiotteria turistica, nel corridoio del mercato turco di Akko.

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La Cittadella È stata palazzo del sultano, presidio militare, caserma e, infine, negli anni ottomani e inglesi, una prigione. Qui furono imprigionati militanti ebrei della resistenza antibritannica negli anni del Mandato e palestinesi ostili in rivolta contro gli stessi inglesi perché convinti che Londra favorisse l’immigrazione ebraica verso la Palestina. È un luogo di brutti ricordi la Cittadella di Akko. Qui furono eseguite condanne a morte di ebrei e palestinesi. Qui fu rinchiuso, nel 1868, Bahá’u’llah, il fondatore della religione Bahá’i, e, nel 1920, Ze’ev Jabotinski, futuro fondatore dell’Irgun, gruppo estremista del movimento sionista. Fu Ahmed Pasha al-Jazzar a ordinare la costruzione, sulle rovine dei quartieri dei Cavalieri di san Giovanni, di una cittadella fortificata. Il burj al-Khazneh, la torre del Tesoro, domina tutto l’edificio: bisogna salire fino all’ultima terrazza per avere davanti agli occhi il più bel panorama sulla Città Vecchia. Sotto la Cittadella si trova gran parte del quartiere dei Cavalieri di san Giovanni. Gli scavi più recenti hanno modificato la struttura della vecchia prigione: non esiste più il cortile dove i prigionieri passeggiavano durante l’ora d’aria, ma è stata riportata alla luce l’antica corte sulla quale si affacciavano le grandi sale dei palazzi crociati. La Cittadella, oggi, appartiene al ministero della Difesa di Israele ed è stata trasformata in un museo.

Il tunnel dei Templari Saladino, nel 1187, aveva cacciato i crociati da Gerusalemme. L’ordine monastico e guerriero dei Templari aveva dovuto abbandonare i luoghi santi. I suoi soldati, come i cavalieri di ogni altro ordine, si rifugiarono ad Akko, ultimo presidio cristiano della Terra Santa. I Templari fortificarono il loro quartiere sullo sperone meridionale della città. Ma le mura, spesse otto metri, non dovevano rassicurarli del tutto se si convinsero a scavare anche questo passaggio sotterraneo, lungo Akko

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almeno 350 metri, che consentiva di attraversare sotto terra tutto il loro quartiere. Andava dal porto alle mura dei bastioni occidentali. Il tunnel fu scavato nella roccia: mura di basalto e un soffitto a forma di botte ne garantivano la solidità. La scoperta di questo passaggio segreto è stata, come spesso è accaduto ad Akko, casuale. Le fogne di una casa si erano intasate e semplici operai scoprirono subito che sotto i canali di scolo vi era un labirinto di locali sotterranei e un lungo tunnel. Il passaggio venne liberato dei detriti e aperto al pubblico nel 1999.

Il Centro internazionale della conservazione Decine e decine di turisti-scalpellini stanno aiutando archeologi e restauratori a ricostruire gli archi, privi della chiave di volta, del periodo crociato o a ripulire le architetture della Sala Bella. Dalla fine del 2005, infatti, si può venire ad Akko e partecipare a una delle più appassionanti imprese della storia della conservazione dei monumenti. Il Centro internazionale di conservazione (per informazioni: info@ akko.org.il) ospita, ogni anno, giovani disponibili a “salvare le pietre” di Akko: sono uomini e donne appassionati che trascorrono le loro vacanze collaborando al restauro dei tesori archeologici e storici della città. La Old Akko Development Company ha comprato, nel 2006, un vecchio e superbo palazzo nel quartiere del porto Pisano. Qui avrà la sua sede il Centro internazionale della conservazione. Non solo: qui lavoreranno giovani artigiani (abili nella tessitura, nel lavoro del cuoio, negli sbalzi di rame, nell’intreccio di canestri) che vogliono tenere in vita la rete delle piccole botteghe di Akko. le statue dell’hammam al-pasha

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L’ultimo custode dell’hammam al-Pasha Peccato che lo splendido hammam al-Pasha sia solo una bella “rappresentazione” della felicità che si prova a godersi un vero bagno turco. Dobbiamo accontentarci della meraviglia del restauro di questo edificio, dobbiamo solo stupirci nel visitare le sale, dai pavimenti di marmo e dalle pareti piastrellate, di questo sontuoso hammam. È a un passo dalle muraglie dell’antica cittadella crociata e venne costruito nel 1780 su ordine personale del sultano al-Jazzar. Che sarà pur stato un sovrano sanguinario, ma sapeva ben apprezzare le dolcezze della vita e non poteva certo rinunciare a un bagno turco. È probabile che l’hammam sia stato costruito sulle rovine di un antico tepidarium romano e crociato. Il restauro dell’hammam al-Pasha materializza, in un gioco di video e luci, il fantasma di Hajj Bachir Awad, l’ultimo custode del bagno turco. È lui, con la voce arrochita dai vapori, che racconta la storia di Akko e del suo hammam, è lui che svela i segreti di un buon massaggio e narra del piacere di fumare il narghilé o bere il tè nella sala di ingresso. Bachir era l’ultimo erede di una famiglia di custodi dell’Hammam, una dinastia destinata a durare tre secoli. Fu il sultano al-Jazzar a scegliere il custode dell’hammam: Omar Awad, soldato fedele del suo esercito, non poteva opporsi alla volontà del sovrano, ma provò a tirarsi indietro. In fondo aveva 36 anni e non aveva mai pensato di dover gestire un bagno turco. Andò a Costantinopoli per imparare e fu pronto quando, nel 1782, l’hammam aprì le sue porte. La sua famiglia non lascerà più le sale a cupola del bagno al-Pasha: Hajj Bachir, l’ultimo custode, spense i fuochi che scaldavano le acque nel 1952. Per molti anni, l’hammam rimase abbando-

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una sala dell’hammam

nato. Divenne anche museo della città prima che recenti restauri gli restituissero il vecchio splendore. Oggi possiamo solo giocare con la ricostruzione della vita quotidiana di questo hammam: sono solo le statue, e non affezionati clienti, a impigrirsi nella sala di ingresso del bagno. Altri, invece, aspettano di abituarsi allo sbalzo di temperature, mentre nel calidarium i corpi sono già stesi sul marmo rovente. L’hammam era il centro della vita sociale di una piccola comunità, un luogo di riposo, di pigrizia, ma anche di divertimento leggero, di festa, di intrecciarsi di affari e intese mercantili. Avvolti in caldi asciugamani, ricchi e poveri erano irriconoscibili: i vapori dell’hammam scardinavano, e scardinano ancor oggi, almeno per qualche ora, le differenze sociali. Akko

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I campanili di Akko

I cristiani di Akko raccontano che, duemila anni fa, san Paolo e san Luca, nel loro viaggio fra Tiro e Cesarea, sostarono in questo piccolo villaggio di pescatori. I francescani, poi, sono certi che san Francesco nel 1219 sia sbarcato su questo promontorio durante il suo lungo viaggio mediorientale. Per il santo di Assissi, Akko era una meta obbligata: due anni prima, era stato un suo frate, Elia da Cortona, a fondare la prima missione francescana in Medioriente. Per quasi un secolo, nei decenni degli ultimi crociati, i primi custodi di Terra Santa di questo ordine religioso sono vissuti ad Akko. I francescani, assieme a 60mila abitanti della città, non sfuggirono ai massacri della soldataglia del sultano Malik al-Ashraf che, nel 1291, spazzò via i crociati dalle terre dell’impero Ottomano. In quell’eccidio furono uccisi anche quattordici francescani e sessanta clarisse. Sarà un emiro druso, Fakhr al-Din, nei primi anni del ’600, a consentire il ritorno dei cristiani ad Akko. La città si riapriva ai mercanti europei ed era destinata a diventare uno snodo strategico nei commerci fra le repubblica marinare italiane e il Medioriente. Con i mercanti, nel 1620, tornarono anche i francescani (si installarono nel khan dei Franchi), arrivarono comunità maronite, si rafforzarono i greco-ortodossi. L’equilibrio fra cristiani e musulmani ad Akko conoscerà le tranquillità e le asperità che sempre hanno attraversato le loro storie in Medioriente. Vi saranno tensioni e violenze feroci, come anni di pacifica e tollerante convivenza. I francescani oggi gestiscono la più importante fra le scuole arabe della città. Solo poco più di trecento famiglie sono cristiane ad Akko. Mille e cinquecento persone. La comunità più numerosa (circa ottocento persone) è quella greco-ortodossa. I greco-cattolici (quattrocento fedeli di rito

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melchita) si ritrovano nella bella chiesa di sant’Andrea. I cattolici hanno due chiese nella Old Akko: sono poco meno di duecento persone.

La chiesa di Sant’Andrea La chiesa di Sant’Andrea è commovente. La sua iconostasi, la parete di legno che separa i luoghi più sacri della chiesa dalla navata, è splendente. Questa è una chiesa melchita. I suoi fedeli sono la piccola comunità greco-cattolica di Akko. Sant’Andrea è stata costruita, nella seconda metà del ‘700, sulle rovine di un antico monastero eretto alla fine del 1200 dai crociati. I suoi sottosuoli sono spettacolari: gli archeologi qui hanno trovato otto grandi sale sotterranee. Fu merito di un medico libanese, Ibrahim Sabbah, se la chiesa di Sant’Andrea risorse nella seconda metà del ’700. Ibrahim era stato chiamato ad Akko per curare Daher al-Omar, l’inquieto governatore della Galilea. Era un bravo medico ed era cattolico: conquistò la fiducia di al-Omar, ne divenne consigliere ed ottenne l’autorizzazione a costruire, a sue spese, una cappella dove poter pregare. Ma la nuova chiesa non sopravvisse alla spietata conquista di Ahmed Pasha al-Jazzar: l’edificio venne bruciato e la comunità greco-cattolica decimata. Nel 1802, il vecchio al-Jazzar, a un passo dalla morte, cambiò idea e volle che la chiesa fosse ricostruita. Una ricca famiglia se ne assunse le spese e fu merito loro se, nel 1830, i migliori artisti cristiani della regione terminarono il capolavoro della iconostasi di Sant’Andrea. Le ventiquattro icone superiori raffigurano i grandi santi del cattolicesimo. Bellissima, nella fila centrale delle icone, la Vergine con il Bambino: ha in mano un fiore di gelsomino, un dettaglio che appartiene più alla tradizione latina che non a quella bizantina. Strano destino, per questa chiesa: fino al 1928, Sant’Andrea è stata la sede dell’arcivescovato della Galilea. Ma gli inglesi, negli anni del loro Mandato, privilegiarono Haifa rispetto ad Akko e così anche il vescovo melchita decise di trasferire i suoi uffici nella nuova città all’altro capo della Akko

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baia. Nel 1974 anche l’ultimo prete greco-cattolico lasciò questa chiesa in riva al Mediterraneo e per trent’anni Sant’Andrea fu dimenticata. Ma nel 1995, torna ad Akko un giovane prete. Ha studiato a Roma, all’università gregoriana. Si chiama Shibili, il “leoncino”. È nato a un passo dalla chiesa. La sua famiglia ha una lunga storia ecclesiastica. Shibili non tollera l’idea che la chiesa della sua infanzia sia chiusa e malandata. Comincia così un lento lavoro di restauro che termina tredici anni dopo. È solo allora che, padre Andrea (il giovane prete non poteva che assumere questo nome) riapre i portoni della chiesa e oggi, nelle sere di estate, si gode con piacere il dolce vento di mare che entra dalle finestre della piccola corte.

La chiesa di San Giovanni Nella notte la chiesa di San Giovanni è bianca e illuminata e al tramonto il sole gioca con il suo intonaco. Il faro, sull’ultimo sperone di mura di Akko, riflette le onde del mare. San Giovanni va guardata dagli spalti del porto Pisano mentre il cielo si arrossa oltre il suo campanile. Questa è la chiesa prediletta dei francescani di Terra Santa. La prima chiesa venne costruita nel 1737 nel luogo in cui la tradizione cristiana vuole che, nel 1219, sia approdato san Francesco. La chiesa attuale, invece, è una ricostruzione del 1947. I francescani di Akko, in contrapposizione con i fratelli greco-cattolici, sono certi che qui sorgesse anche la grande chiesa crociata di Sant’Andrea. Quello che è sicuro è che, come ovunque ad Akko, sotto la chiesa vi è un vasto ambiente risalente agli anni del dominio crociato. Gli scavi della fine del ’900 hanno riportato alla luce quattro imponenti colonne.

La chiesa francescana di Terra Santa Al mattino gli oltre cinquecento allievi della scuola dei francescani di Terra Santa, prima di entrare nelle classi, si schierano nella vecchia cor-

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le mura ottomane vicino alla chiesa di san giovanni

te del khan dei franchi, là dove, per secoli, sono stati ospitati i mercanti, i pellegrini e i viandanti che approdavano ad Akko. Le cronache francescane assicurano che fin dalla metà del ‘600, i frati della loro missione garantivano insegnamenti di base ai figli dei mercanti occidentali che vivevano ad Akko. Nel 1696 la scuola, aperta fra i portici del caravanserraglio, era frequentata da cinque ragazzi allievi di un maestro arabo cristiano. Scuola e chiesa, nel cuore della Città Vecchia, hanno storia comune. La grande basilica francescana, rimaneggiata più volte nel secolo scorso, è incassata fra i vicoli arabi di Akko. Per decenni, nel ’900, la scuola dei francescani è stato il solo istituto secondario a cui potevano accedere gli arabi dell’Alta Galilea Akko

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La chiesa di San Giorgio Il giovane cipriota non era celebre come il grande san Giorgio, ma ne portava lo stesso nome quando, nel 1752, per la sua fede cristiana, venne ucciso dagli ottomani di Akko. La comunità cristiana greco-ortodossa, a metà dell’800, decise di dedicare al suo martire quella chiesa che era celebre nella regione per la sua bellezza. Si trova nell’antico quartiere dei genovesi, nel cuore della Old Akko. La casa del prete e la chiesa sono una a fianco dell’altra, separate da uno degli stretti vicoli della città. Fonti cristiane fanno risalire la prima chiesa alla metà del ’600 quando la congregazione di san Basilio riuscì a raggruppare attorno a sé un piccolo numero di fedeli. Furono loro a costruire una chiesa che, allora, venne dedicata a san Nicola. Brusco e sbrigativo è il prete di origini cretesi, l’archimandrita Philotheus, che oggi custodisce la chiesa di San Giorgio. È lui a raccontare come il giovane martire cipriota sia diventato un santo anche per i musulmani: ci si rivolge a lui per ottenere grazie e guarigioni. La chiesa ha le architetture della tradizione ortodossa bizantina. Tre navate dividono i suoi spazi, grandi lampadari pendono dal soffitto. Bella è l’iconastasi dove appaiono Gesù, Maria e il san Giorgio più famoso. La tomba del giovane san Giorgio, invece, si trova, senza lapidi, sotto la pavimentazione del vicolo che divide l’abitazione di Philotheus dalla chiesa. La chiesa è affollata alla domenica: numerosi cristiani di rito greco-ortodosso arrivano fin dai villaggi della Galilea per assistere alla loro messa. Sotto il pavimento, ancora chiuse al pubblico, vi sono tracce imponenti della città crociata. Gli archeologi hanno riaperto alcune sale di quella che appare essere stata una grande cattedrale della antichità cristiana di Akko. la chiesa di san giorgio

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I caravanserragli, geografia dell’ospitalità I khan, i caravanserragli del Medioevo mediorientale, erano i grandi alberghi, gli ospitali, i rifugi per i mercanti, i viaggiatori, per ogni pellegrino. In Palestina, i primi khan furono costruiti dai mamelucchi, quasi sempre sulle rovine di edifici cristiani. La loro architettura era essenziale ed elegante. Un grande cortile quadrato, un doppio porticato, numerose stanze aperte verso la corte interna. Il portico al piano terra diventava la stalla per i cavalli, i cammelli e gli asini dei viaggiatori. La geografia dell’ospitalità dell’antica Akko era impressionante. Si contavano decine e decine di caravanserragli. Ogni ordine religioso, ogni comunità guerriera o mercantile aveva costruito il suo khan. Il caravanserraglio al-Shawardeh, il khan dei Mercanti, si trova di fronte alle piccole cupole del mercato al-Abiad, il mercato Bianco. Il suo lato meridionale sfiora il mare e quasi si appoggia alla torre del Sultano. Venne costruito nel XVII secolo su quanto rimaneva di un convento di clarisse. Oggi, dopo un restauro, vi è anche un bel caffè tradizionale, il Leili al-Sultan, molto frequentato nelle serate d’estate. È un luogo perfetto per fumare il narghilé e giocare a backgammon. Accanto al caffè, in un angolo del khan, si trova il laboratorio di archeologia di Akko. Il più antico caravanserraglio di Akko è quello dei Franchi, cioè dei faranji, degli stranieri. È stato costruito nel XVII secolo dall’emiro druso Fakhr alDin: era destinato a ospitare i mercanti francesi, olandesi e inglesi. Ma negli anni della città crociata, era anche il quartiere veneziano. Qui, secondo la tradizione, venne costruito il primo monastero francescano della città dove soggiornò, per alcuni mesi, nel 1219, lo stesso san Francesco. In questo luogo i francescani aprirono la loro prima scuola destinata ai

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il khan dei pilastri

figli di mercanti. Nei secoli, poi, hanno alterato la struttura del caravanserraglio: la scuola oggi ospita oltre cinquecento allievi. Anche la grande chiesa di Terra Santa ha modificato le architetture dell’antico khan. Il khan al-Umdan, il caravanserraglio dei Pilastri, è il più bello della Città Vecchia. Sorge alle spalle della banchina del porto. Nei progetti futuri della città, potrebbe essere trasformato in albergo. Venne costruito durante il regno di al-Jazzar. Le sue colonne, in granito e in porfido, furono prelevate dalle rovine di Cesarea. Questo era il rifugio preferito dai mercanti della Galilea: a un passo da qui, nel khan Al-shuna, si svolgevano le contrattazioni sul grano e si aspettavano le grandi barche con i loro carichi di merci europee. La torre ottomana con l’orologio, al pari di decine di altre disseminate per il Medioriente e il Nordafrica, fu costruita nel 1905 per celebrare i trent’anni di regno del sultano turco Abdel Ahmed II. Akko

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I minareti di Akko

La moschea di al-Jazzar Ahmad Pasha, il sultano al-Jazzar, sapeva bene che la legittimità del suo potere, in una terra che apparteneva all’impero ottomano, aveva bisogno del consenso divino. Fu per questo che volle innalzare, nel 1781, una moschea meravigliosa, la più grande fino ad allora mai costruita in Palestina. Al-Jazzar non badò a spese e ordinò ai suoi architetti di ispirarsi alla stessa Hagia Sophia di Costantinopoli. E loro ubbidirono: la moschea delle Luci (che oggi è più conosciuta con il nome del sultano che governò l’Alta Galilea alla fine del ’700) è magnifica con la sua immensa cupola verde e l’alto minareto affusolato slanciato verso il cielo. La moschea venne costruita sulle tracce di molteplici rovine: i bizantini qui avevano eretto una loro basilica, gli arabi di Saladino vollero innalzarvi una loro moschea che i crociati, a loro volta, distrussero per edificare la chiesa dedicata a san Giovanni. La moschea di al-Jazzar divenne subito una celebre scuola coranica e attirò ad Akko centinaia e centinaia di studenti da tutto il Medioriente. Alcuni scalini consentono di entrare, attraverso un grande portone verde, nella grande corte della moschea. Un grazioso porticato regala ombra alle antiche stanze degli studenti islamici. Bella ed elegante è la fontana delle abluzioni. Sotto le pietre del chiostro vi è il vuoto di una cisterna: salvò dalla sete gli abitanti di Akko durante l’assedio di Napoleone. La moschea di al-Jazzar, soprattutto nelle lunghe sere d’estate, è un luogo di pace assoluta. Sfarzosa la sala delle preghiere: le colonne in la moschea di al-jazzar

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granito e porfido provengono dalle rovine di Cesarea e dell’antica Tiro. Altre sei colonne furono sottratte ad Askalon. Marmi con iscrizioni calligrafiche del Corano adornano le pareti della moschea. In un reliquiario, che viene aperto solo nel ventisettesimo giorno di Ramadan, sono custoditi alcuni capelli di Maometto. La tomba di al-Jazzar (morto nel 1802) e quella di suo figlio adottivo, Suleyman (morto nel 1818) sono in un piccolo e spoglio edificio a fianco della moschea.

Le altre moschee Il cielo della vecchia Akko è traforato dai minareti. In un secolo, fra il ’700 e i primissimi anni dell’800, la città conobbe un periodo d’oro. I suoi due sultani ribelli, Daher al-Omar e Ahmad Pasha al-Jazzar, autorizzarono la costruzione di molte moschee: dagli spalti più elevati della Cittadella crociata si ammira una skyline della città musulmana bellissima e popolata dalle guglie dei minareti. Se quello della moschea di al-Jazzar domina la scena con la sua forma affusolata e il suo stile anatolico, il minareto della moschea di Sinan Pasha appare lontano e meno altezzoso. Ma ha una fortuna: guarda verso la darsena di Akko ed è cresciuto a fianco di una cupola dorata. Qui, di fronte al mare, i mamelucchi, dopo aver conquistato la città nel 1291, costruirono il loro primo luogo di culto, ma la vera moschea, dedicata a Sinan Pasha, gran visir di origini albanesi dell’impero ottomano, venne eretta nel 1586. Abbandonata per decenni, la moschea venne di fatto ricostruita nel 1818 da Ibrahim Pasha. Per i pescatori di Akko, questo minareto è sempre stato una sorta di faro, un indispensabile punto di riferimento: furono loro a ribattezzarla Jama al-Bahr, la moschea del Mare. La tradizione popolare e religiosa di Akko racconta che nella corte della moschea al-Zeitoona, la moschea degli Olivi, vi fosse un piccolo oliveto. Fu

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costruita nel 1754 grazie alla generosità di un ricco pellegrino, Hajj Muhammad Sadiq. Curiose e attorcigliate sono le colonne del suo portico. La moschea sorge sul lato di una grande piazza della vecchia Akko. La sua sala di preghiera ospitò le meditazioni dello sceicco sufi Alì Nur alYashruti prima che fondasse la vicina scuola della sua confraternita. La moschea (in realtà è considerata una zawiya, un luogo di riflessione e meditazione) di Nur al-Yashruti è poco distante: è conosciuta come il Rifugio dei Dervisci, come la zawiya al-Shadhiliyya. Lo sceicco Alì Nur era un pellegrino messianico: nato in Tunisia, approdò ad Akko dopo che il profeta Giona lo aveva invitato, in sogno, a predicare un nuovo islam in Galilea. Alì Nur vi arrivò nel 1849 e, dopo aver guidato per alcuni anni la preghiera nella moschea al-Zeitoona, decise di costruire un luogo più riservato per i fedeli della propria confraternita, figlia della cultura dei dervisci. Alì Nur predicava un islam pacifista e tollerante. Oggi, nei giorni di Natale, i sufi di Akko ospitano nella loro moschea i fedeli di ogni religione. La zawiya si trova a fianco dell’antica muraglia della fortezza crociata ed è un piccolo campus religioso. Vi sono stanze destinate a ospitare i pellegrini che giungono ad Akko (per un sufi di questa confraternita, un viaggio qui equivale a un pellegrinaggio alla Mecca), sale di preghiera e la grande sala dove è sepolto il fondatore della confraternita e i suoi discendenti. Sono circa duecento i sufi di Akko: a differenza dei musulmani ortodossi pregano al giovedì sera. Sulle rovine di una chiesa crociata, venne costruita, nel 1702, la seconda moschea di Akko: se i pescatori pregavano nella moschea del Mare, al-Ramal era il luogo preferito dai contadini che vivevano più lontano dalla costa. La moschea fu costruita dallo sceicco al-Shabi e si trova alle spalle del khan dei Mercanti in un angolo della strada del mercato della Città Vecchia. Oggi la moschea al-Ramal non è più un luogo di preghiera, ma ospita un club giovanile e un bel caffè. Akko

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Città di mare

I primi seguaci di Gesù Cristo furono degli umili pescatori del lago Tiberiade. I primi fedeli dei suoi insegnamenti furono le comunità di questi uomini che vivevano di pesca. Duemila anni fa l’economia dell’Alta Galilea era legata alla coltivazione della terra e alla generosità del suo grande lago e del suo mare. Il pesce san Pietro viene ancor oggi pescato nelle acque di Tiberiade, le triglie sono uno dei piatti prelibati della cucina popolare israeliana e palestinese. Il digiuno del giorno di Yom Kippur è spesso interrotto con un gran piatto di triglie grigliate. Akko è una città di mare. Il suo promontorio è sempre stato abitato da pescatori. Anche oggi la sua piccola darsena ospita una flotta di pescherecci. Attorno al vecchio porto sono numerose le botteghe dei pescivendoli. Oltre quattrocento famiglie musulmane della Old Akko sopravvivono grazie alla pesca. Non è una vita semplice: le grandi navi pescherecce che battono il Mediterraneo, assieme all’inquinamento dei mari del Medioriente, fanno scricchiolare la fragile economia della pesca artigianale di Akko. A volte, il pesce qui non arriva dal mare, ma dai mercati all’ingrosso di Haifa e Tel Aviv. Ma gli abitanti della città vecchia amano ancora il pesce e quindi si ostinano a riparare le loro reti e, ogni notte, prendono il mare con le loro barche. Le antiche bettole del porto di Akko, oramai, sono ristoranti affermati. A fianco della porta marittima della città, Abu Christo griglia ancora i suo pesci: è considerato il più vecchio fra i ristoranti popolari della città araba. Un tempo i ragazzi che pescavano fra le acque del porto reti da pesca sulla banchina

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il mercato del pesce

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venivano qui a farsi cucinare i pesci appena presi. Altra storia, invece, sulla sponda settentrionale del promontorio della città. A due passi dal faro e di fronte alle rovine delle fondamenta della città crociata, Uri Yirmias ha aperto il suo celebre, raffinato e minimalista ristorante. Uri è un personaggio e lo sa: ha una barba profetica (oppure da Babbo Natale o da gnomo di Tolkien), non ha fatto scuole di cucina, nella sua precedente vita vendeva attrezzature per navi, ma gli piaceva il pesce e azzardava eccezionali esperimenti davanti ai fornelli. Alcuni anni fa, decise che era tempo di cambiare tutto: scelse un nome, Uri Buri (Buri è il nome ebraico del muggine) e, unico ebreo in una città vecchia interamente abitata da arabi, aprì questo ristorante altezzoso di fronte ai tramonti di Akko. Scelta di luogo perfetta, marketing istintivo, cucina sorprendente e buonissima: grande è il successo di Uri Buri.

Le triglie al pomodoro Piatto semplice, elementare, popolare. E di grande bontà. Ingredienti: un chilo di triglie, quattro etti di pomodori ben maturi, due spicchi d’aglio, prezzemolo, sedano, basilico, olio d’oliva, sale e pepe. Preparazione: in una grande teglia, si prepara un soffritto di aglio, prezzemolo e sedano tritati. Si aggiungono, poi, i pomodori tagliati a pezzetti. La salsa deve addensarsi, ma rimanere un po’ liquida. Quando il sughetto è pronto vi si adagiano sopra le triglie, si aggiunge il basilico e si lascia cuocere per almeno un quarto d’ora. Le triglie non vanno rivoltate, ma vanno, di volta in volta, ricoperte con la salsa e la teglia va agitata per facilitare un cottura uniforme dei pesci.

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Il santuario di Bahá’u’llah

Husein Alì visse, almeno negli ultimi anni, una prigionia privilegiata. Non poteva lasciare la Galilea, morì lontano dalla sua terra, ma fu libero di predicare la sua fede. Il fondatore della religione bahá’i, religione monoteistica nata in Persia nel 1844, era conosciuto dai suoi seguaci come Bahá’u’llah, lo “Splendore di Dio” ed era perseguitato dai sacerdoti dell’Islam più integralista (il bahá’i nasceva da un ramo dissidente del mondo musulmano) e dalle autorità dell’impero ottomano. Per quasi mezzo secolo, dopo le sue prime predicazioni in Persia, Bahá’u’llah fu inseguito dalle polizie del Medioriente e dell’impero ottomano: imprigionato a Tehran nel 1852, esiliato a Baghdad l’anno dopo, nuovamente incarcerato a Costantinopoli e poi ad Adrianopoli, il profeta della nuova religione, alla fine, nel 1868, venne rinchiuso nelle prigioni di Akko, allora colonia penale dell’impero. L’Alta Galilea, la costa del Mediterraneo fu, così, quasi per decisione dei suoi persecutori, il centro principale dei bahá’i, Akko e Haifa divennero il luogo dal quale diffondere la nuova fede, elaborazione messianica e sofisticata degli altri grandi monoteismi, per le strade del mondo. Nel 1870, due anni dopo il suo arrivo, a Bahá’u’llah venne concessa la libertà di muoversi al di fuori della mura della prigione e degli stessi confini di Akko. La sua predicazione divenne pubblica e aperta. Alla fine degli anni ’80 gli insegnamenti della nuova religione raggiunsero, per la prima volta, l’Europa. Il profeta dei bahá’i riuscì a trovare per sé e per la sua famiglia una grande villa rurale a un paio di chilometri della città: da qui scrisse, infaticabilmente, ai capi di stato del suo tempo e accolse i suoi seguaci. Oggi questa casa, circondata dai perfetti giardini

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il santuario Bahá’i

caratteristici del culto bahá’i, è il sacrario di Bahá’u’llah, il luogo più santo del più giovane monoteismo religioso. Il vecchio predicatore fece in tempo a indicare a suo figlio la collina del Carmelo, ad Haifa, come luogo per la sepoltura di Báb, il primo martire bahá’i, ucciso in Iran nel 1850, ma lui, Bahá’u’llah, scelse come sua ultima dimora (morì nel maggio del 1892) proprio la grande casa dagli intonaci bianchi nelle campagne di Akko. I giardinieri sono sempre al lavoro nel santuario di Bahá’u’llah: il parco della villa cambia aspetto a ogni stagione, nessun filo d’erba è fuori posto, si cammina attorno alla bella casa fino a raggiungere l’ingresso al cuore del santuario. Per i bahá’i questo è il luogo più sacro della loro fede, il centro dei loro pellegrinaggi. Akko

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La sinagoga di Or Torah

Oltre mezzo secolo per la lucida e testarda follia di Tsion Baadache. È nato nel 1927, questo ebreo tunisino, originario di Gafsa, “figlio di Jonas, figlio di Reuben, figlio di Amran”. Tsion è arrivato in Israele nel 1955. Ha lavorato alle poste di Akko per quasi quaranta anni. E, tassello dopo tassello, ha costruito i mosaici di una sorprendente sinagoga. Per mezzo secolo, Tsion e la piccola comunità ebraica emigrata dalla Tunisia hanno lavorato a erigere Or Torah, sinagoga sorella di quella conosciuta come la Ghirba, “la meravigliosa”, nell’isola di Djerba. Or Torah è appena fuori le mura della Città Vecchia di Akko. Cinque minuti a piedi da Weizman street, in Kaplan street. Tsion è stato minuzioso, pignolo, esigente: la sinagoga ha quattro piani, la sua facciata è multicolore e simbolica, i suoi mosaici lucenti riproducono i racconti biblici, le architetture della sala delle cerimonie più sacre rispetta, alla lettera, i dettami della cabala ebraica, le sue vetrate (140 finestre) narrano la storia di Israele, del suo esercito, del sionismo, dell’Olocausto.

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