Genealogie Figurate

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Genealogie figurate Il restauro e la salvaguardia. Iconografia sabauda a Stupinigi a cura di Elisabetta Ballaira e Angela Griseri


I Soci: Alleanza Toro Assicurazioni, Armando Testa, Buffetti, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, C.L.N., Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Exor, Fenera Holding, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Intesa SanPaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Martini & Rossi, M. Marsiaj & C., Pirelli, Reale Mutua Assicurazioni, Reply, Rockwood Italia, Skf, Telecom Italia, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni Fondazione Ordine Mauriziano Giovanni Zanetti, Commissario Cristiana Maccagno, Vice-commissario vicario Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte Mario Turetta, Direttore Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Province di Torino, Asti, Biella, Cuneo e Vercelli Luisa Papotti, Soprintendente Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte Edith Gabrielli, Soprintendente Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino Lodovico Passerin d’Entrèves, Presidente Angela Griseri, Mario Verdun di Cantogno Direzione scientifica del restauro Franco Gualano, Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte Restauro Nicola Restauri srl Restauro Opere d’Arte Anna Rosa Nicola Direttore tecnico Progetto dell’allestimento Maurizio e Chiara Momo Allestimento Berrone Livio & C. snc Referenze fotografiche Biblioteca Reale di Torino Nicola Restauri srl Restauro Opere d’Arte Ernani Orcorte Si ringrazia: Enrico Colle, Maria Luisa Doglio, Gianfranco Gritella, Vittorio Natale, Tomaso Ricardi di Netro, Mercedes Viale Ferrero, Clara Vitulo Un grazie particolare ad Andreina Griseri, da sempre preziosa guida dei nostri studi. Grafica e stampa: L’Artistica Savigliano


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odici festosi ritratti della prima Genealogia sabauda accolgono, con il Cervo sceso dalla cupola, i primi passi dei visitatori nel percorso interno della Palazzina, riaperto finalmente da lunga clausura. Un altro prezioso contributo della Consulta, dopo il reimpianto dei 1700 pioppi cipressini lungo le rotte di caccia e il contorno esterno, alla rinascita di Stupinigi: nuovi Tesori che si aggiungono alle molte meraviglie, restituite oggi agli occhi di tutti grazie alle appassionate opere di restauro impiantistico, architettonico e artistico sin qui consentite dai sostegni economici degli Enti sovventori, pubblici e privati: proprio quando la Fondazione Ordine Mauriziano, istituita nel novembre del 2004 per raccogliere il testimone dell’Ordine nel difficile passaggio della attività sanitaria alla gestione regionale, si è trovata grandemente impegnata nelle complesse attività di liquidazione commissariale lasciate sulle sue spalle da quel passaggio. In questo quadro, spicca il rilievo anche simbolico dapprima della ricostituzione, completata nel 2009 con l’utilizzo di risorse tecniche e di personale della Fondazione proprietaria, del geniale disegno juvarriano del territorio colpito dalla furia degli elementi; e, oggi, del ritorno dei magnifici decori lignei, sottratti alle ingiurie del tempo da un provvido ritrovamento. E’ dunque con grande piacere che la Fondazione Ordine Mauriziano ha occasione di affidare a queste righe non solo l’apprezzamento per i sapienti interventi; ma soprattutto la gratitudine per l’impulso dato, con le benefiche iniziative della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, alla restituzione al mondo dei capolavori mauriziani. Fondazione dell’Ordine Mauriziano Il Commissario Giovanni Zanetti

Il vice-Commissario vicario Cristiana Maccagno


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a Soprintendenza che dirigo ha sempre attribuito un ruolo centrale e imprescindibile alla Palazzina di Caccia di Stupinigi e per questo le ha sempre riservato attenzione e cura costanti. Basti qui ricordare a puro titolo di esempio il lavoro indefesso di Noemi Gabrielli, uno dei soprintendenti più rappresentativi della lunga storia del nostro istituto. In alcuni casi la Soprintendenza ha utilizzato fondi ministeriali per eseguire restauri di singole opere o intere porzioni dell’edificio. È quanto avvenuto ad esempio nel caso dell’Appartamento di Levante, forse l’aggiunta più cospicua della fase postjuvarriana, che proprio adesso restituiamo alla proprietà – la Fondazione Ordine Mauriziano – dopo un intervento di carattere integrale, dal forte valore paradigmatico. Tutto questo però non basta a descrivere il lavoro della Soprintendenza su Stupinigi. La Soprintendenza effettua qui – come del resto sull’intero Piemonte – un monitoraggio continuo della situazione conservativa e fornisce una guida metodologica che si esplica sia nell’alta sorveglianza sia nella direzione scientifica di tutti i tipi di intervento, dalla manutenzione al grande restauro. Proprio in quest’ottica, non altra, s’inquadra il lavoro sui medaglioni che qui si presentano. La Soprintendenza ne ha diretto il restauro nella persona di Franco Gualano, uno dei funzionari che da anni si occupano di Stupinigi, realizzando una volta ancora una perfetta unità d’intenti e di risultati con la Consulta per la Valorizzazione Beni Artistici e Culturali di Torino, sostenitore tanto generoso quanto avvertito e sensibile alle esigenze della tutela. Il recupero di questa serie, insieme a quello dello stesso Appartamento di Levante, costituisce un tassello importante verso la riapertura definitiva di Stupinigi che ho auspicato fin dal mio insediamento e che confido la Fondazione Ordine Mauriziano sarà presto in grado di garantire a Torino e a tutta la comunità internazionale. Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte Edith Gabrielli


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el 1987 è nata la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino con lo scopo di migliorare e valorizzare il patrimonio storico artistico cittadino: ad oggi raggruppa 32 soci ed ha investito oltre venticinque milioni di euro in più di trenta interventi. Consulta è un unicum che Torino ha rispetto ad altre città italiane. Le Aziende e gli Enti torinesi affiancano ogni anno ai loro programmi di comunicazione e sponsorizzazione un impegno comune a favore del restauro, della conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico della propria Città. La Palazzina di Caccia di Stupinigi, fulcro di un disegno territoriale legato alla caccia, rappresenta un patrimonio d’eccezione, architettonico, artistico e paesistico. Nel 2007, quando ancora non c’era la certezza della riapertura, i Soci della Consulta decisero di finanziare il reimpianto delle Alberate storiche, ben 1.700 pioppi cipressini ricollocati ai lati della strada circolare e lungo le tre principali rotte di caccia. L’intervento è stato realizzato sulla base dei documenti storici, quali i dipinti di Vittorio Amedeo Cignaroli e di Ignazio Sclopis di Borgostura. Nel 2009 Consulta approva, mentre la Palazzina di Stupinigi era ancora chiusa, il restauro dei dodici medaglioni lignei raffiguranti i primi conti della Genealogia sabauda, dal mitico Beroldo a Pietro, ritrovati nei sotterranei della Palazzina. Le pessime condizioni conservative rischiavano di compromettere la salvaguardia dei rilievi. L’intervento, attentamente seguito dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte, progettato con l’ausilio di metodologie sperimentali, ha permesso il recupero dell’intera serie, grazie anche all’alta professionalità del gruppo di restauratori coordinati da Anna Rosa Nicola. L’impegno dei Soci della Consulta ha restituito alla pubblica fruibilità un’altra preziosa testimonianza della nostra tradizione storico culturale e ringrazio la Fondazione Ordine Mauriziano per il grande sforzo che ha permesso la pubblica fruibilità di un gioiello che è nel cuore di tutti i torinesi. Presidente Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino Lodovico Passerin d’Entrèves



Sommario

Genealogie figurate . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 11 Elisabetta Ballaira e Angela Griseri

Ritratti dinastici per una Casa millenaria. La tutela . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »

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La serie del Medaglioni . . . . . . . . . . . . . . . »

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L’intervento di restauro . . . . . . . . . . . . . . »

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Franco Gualano

Anna Rosa Nicola



Genealogie figurate Elisabetta Ballaira e Angela Griseri

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’esigenza di ricostruire la propria genealogia secondo un criterio storicamente fondato, risalendo ad antenati gloriosi, si era posta per i Savoia a partire dal Quattrocento, momento cruciale per la trasformazione dello Stato sabaudo. La ricostruzione genealogica assume nella seconda metà del XVI secolo una veste ufficiale definitiva grazie all’opera dello storiografo ducale Filiberto Pingone: nella Inclytorum Saxoniae Sabaudiaeque principum arbor gentilizia, Torino 1581, si adopera per dare maggiore credibilità alla tesi della discendenza sassone, proposta già nella Chronique de Savoye (1384-1416)1. Le ricerche storiche del Pingone, erudito antiquario, erano volte a dimostrare le antiche e nobili origini della casata da collocare al pari delle altre europee, partendo dal mitico antenato Beroldo fino a Carlo II, padre di Emanuele Filiberto, presentati con le rispettive consorti e inseriti nella narrazione storica delle gesta più significative. Questa genealogia fu ancora indicata da Carlo Emanuele I come modello per l’apparato decorativo dei ritratti sabaudi della Grande Galleria di collegamento tra il Palazzo ducale, poi Palazzo Reale, e l’antico Castello, oggi Palazzo Madama; il Borgonio la illustrerà nella tavola del Theatrum Sabaudiae 2. Altro repertorio, su questa linea, è la grande serie di tavole in rame componibili del padre Luigi Giuglaris, incisa in pochi esemplari nel 1655, raccolta in Regiae Celsitudini Caroli Emanuelis Secundi Sabaudiae ducis et incliti genere notitia, con ripetute iscrizioni, emblemi e imprese. Venne probabilmente utilizzata per le trattative del matrimonio di Adelaide Enrichetta, figlia di Vittorio Amedeo I, con Ferdinando Maria di Wittelsbach, figlio di Massimiliano I di Baviera. L’attenzione alle immagini per le genealogie avevano, oltre allo scopo di diffusione presso le corti europee, l’impegno di essere strumento didattico per la formazione dei principi e mezzo efficace per i rapporti diplomatici fra le corti. La scelta sassone è sostenuta anche negli anni di Cristina di Francia che incarica Samuel Guichenon, storiografo attento alle fonti e ai modelli, assiduo ricercatore tra gli archivi di corte e gli archivi religiosi, per l’Histoire généalogique de la Royale Maison de Savoye, 1660. Nel 1664, all’intellettuale piemontese di fama europea Emanuele Tesauro, si deve sul piano delle ricerca erudita e antiquaria la stesura Del Regno d’Italia sotto i barbari, pubblicato a Torino: vi ricorrono i modelli 1 2

Guillaume Paradin, Cronique de Savoye, Lyon, 1552. Theatrum Statuum Regiae Celsitudinis Sabaudiae Ducis, Amsterdam, 1682

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Emanuele Tesauro, ritratto inciso in Del Regno d’Italia sotto i barbari, Torino, 1664

consolidati delle effigi coronate e con cimiero, a mezzo busto, in cornici ovali ornati di serti fogliacei e nastri recanti le intitolazioni: erano assorbite le metafore poetiche del Tesauro, entro l’ossatura che visualizzava il potere mediatico della meraviglia 3. Alla Madama Reale Giovanna Battista di Savoia Nemours, negli anni della conclusione della sua Reggenza, si deve la committenza a Giovanni Tommaso Borgonio della Généalogie de la Royale Maison de Savoye, 1680, in 24 lastre; vennero incise da Antoine De Pienne e Jean Fayneau, con la consulenza storica di Pietro Gioffredo: l’impresa è rappresentata dallo stesso autore come “le plus bel éloge que l’on puisse faire de la Royale Maison de Savoye”4. A testimonianza della diffusione della celebrazione della casata sabauda è il gruppo di otto dipinti a figura intera provenienti dal Castello di Racconigi e ora esposti nel percorso di visita della Reggia di Venaria Reale. Altre riprese dai prototipi a cavallo emergono tra i disegni di Pingone e le incisioni di Giovenale Boetto, collegate con le effigi incise nel secondo libro del Guichenon5. Anche alla 3 Maria Luisa Doglio, Letteratura e retorica da Tesauro a Gioffredo, in Storia di Torino a cura di Giuseppe Ricuperati, vol. IV, Giulio Einaudi Editore, 2002 4 Andreina Griseri, Nuovi programmi per le tecniche e la diffusione delle immagini, in Storia di Torino a cura di Giuseppe Ricuperati, vol. III, Giulio Einaudi editore, 1998 5 Nino Carboneri, Andreina Griseri, Carlo Morra, Giovenale Boetto, Fossano 1966

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Bartolomeo Kilian, La Galleria del Castello di Rivoli, dalla “Ramira”, 1682, Torino, Biblioteca Reale

Reggia di Venaria Reale il percorso del cerimoniale aveva previsto sale celebrative dei conti e dei duchi sabaudi, come testimoniano superstiti iscrizioni e stucchi della Sala di parata che precede la Galleria Grande. Nel 1703 Francesco Maria Ferrero di Lavriano raccoglie e consolida l’immagine della serie nel volume Augustae Regiaeque Sabaudiae Domus Arbor Gentilitia, con le incisioni di Georges Tasniére, di Pierre Giffart, che fissano le modalità di rappresentazione dei personaggi tramandate dalla serie lignea tardo settecentesca dei Medaglioni emersi dai depositi di Stupinigi6. Individuati all’inizio degli anni Ottanta negli spazi sotterranei delle antiche cantine della Palazzina, adibite a depositi, i dodici Medaglioni recano le effigi dei primi conti della Genealogia sabauda, da Beroldo (980-1027) a Pietro (1203-1268). Già nel 1980 versavano in pessime condizioni conservative tali da compromettere l’identità del manufatto artistico; nel 1994 trasportati nel Laboratorio Nicola Restauri ad Aramengo (Asti) sono stati posti in sicurezza. Nel 2009 la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino li ha scelti come capitolo importante per la cultura storica e ne ha promosso l’intervento di restauro, attentamente seguito da Franco Gualano della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte (cfr. l’intervento nel presente catalogo), che si è valso di metodologie 6 Francesco Maria Ferrero di Lavriano, Augustae Regiaeque Sabaudiae Domus Arbor Gentilitia, Zappata 1702, Torino, Biblioteca Reale, coll. R 48 (12). Francesco Josserme detto L’Ange è il Lange, artista savoiardo di Annecy è l’autore dei 33 ritratti di sovrani di Savoia voluti dall’abate di Lavriano.

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Bartolomeo Kilian, Salone del Castello di Rivoli, dalla “Ramira”, 1682, Torino, Biblioteca Reale

sperimentali tali da permettere il pieno recupero dell’intera serie, grazie all’elevata professionalità del gruppo di restauratori coordinato da Anna Rosa Nicola (cfr. l’intervento nel presente catalogo). Si tratta di grandi ovali lignei – altezza 2.00 metri per 1.65 di larghezza – raffiguranti personaggi in rilievo, a mezzo busto e in diverse posizioni frontale, di tre quarti e di profilo, sostenuti da decoro di rami di quercia intrecciati e annodati al centro da nastro, e inseriti in una cornice perlinata. Al centro, in alto, il Medaglione reca il cartiglio, anch’esso lavorato a nastro, recante il nome del personaggio ritratto; in alcuni, il cartiglio a rilievo perduto, è sostituito da una semplice scritta dipinta sulla tavola. Quattro borchie metalliche poste lungo il perimetro precisano la funzione di apparato decorativo destinato ad essere appeso a ganci. Opera di maestranze piemontesi, databili stilisticamente tra il 1770 e il 1780, si tratta di apparati per feste e cerimonie che la corte commissionava e utilizzava con forte intento dinastico celebrativo. Il carattere effimero di questi Medaglioni è evidente nello stesso modellato, incisivo e robusto, in alcuni casi più raffinato e dettagliato, in altri più abbozzato; l’insieme è accomunato da un intaglio pittoresco, pensato appositamente per essere osservato da lontano. Queste modalità sono riscontrabili nel Seicento e per tutto il Settecento, così nei disegni degli interni decorati delle residenze reali: 14


Mario Ludovico Quarini, Veduta dello Stradone di Stupiniggi dalla parte di Porta Nuova, con illuminazione, 1773, Torino, Biblioteca Reale

i confronti più stringenti per i modelli delle scenografie di corte si ritrovano nei ‘pensieri’ di Filippo Juvarra per il Salone di Stupinigi, risalenti al 1729, conservati negli Album del Museo Civico di Torino7. Proprio questa residenza venne spesso utilizzata per cerimonie e feste in occasione di matrimoni e celebrazioni dinastiche, così per le nozze delle figlie del principe Vittorio Amedeo, la principessa Giuseppina di Savoia con il conte di Provenza nel 1771, e per la principessa Maria Teresa di Savoia con Carlo di Borbone conte di Artois nel 1773. Per questo evento l’architetto Mario Ludovico Quarini venne incaricato della progettazione degli apparati nuziali che prevedevano l’illuminazione dell’asse viario che da Porta Nuova conduceva a Stupinigi, fissato nel disegno conservato alla Biblioteca Reale, Torino8. Non è difficile a Stupinigi, nella luce giusta progettata da Juvarra per la grande scuderia di levante, ambientare gli ovali, qui ora esposti, modellati negli ultimi anni del Settecento come una sorta di albero genealogico visualizzato, attento a centrare le fisionomie dei conti sabaudi, i primi, i più antichi, cominciando da Beroldo. Il cantiere aveva certo avuto alla mano stampe e incisioni, repertorio che nutriva i cantieri con fogli privilegiati, un vero e proprio vocabolario, contorno Gianfranco Gritella, Stupinigi. Dal progetto di Juvarra alle premesse neoclassiche, Modena, Panini, 1987 Mario Ludovico Quarini, Veduta dello Stradone di Stuppinigi dalla parte di Porta nuova, con illuminazione, 1773, Torino, Biblioteca Reale coll. Storia Patria, 1960. 7 8

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Filippo Juvarra, Appartamenti di Ilaria dei “Giunio Bruto”, 1711, Torino, Biblioteca Nazionale

aperto a tante curiosità intorno all’antica storia sabauda. Si sapeva molto delle gesta, lotte e vittorie, molto meno dei loro ritratti. Dai fogli incisi, preziose fonti iconografiche, si riusciva ad evocare un insieme di gesta e di vittorie, premiate nella raffigurazione da un sistema riconoscibile di nastri, piume e foglie, tra tutte la quercia. L’impegno primo era fissare il profilo protagonista, quello del nobile guerriero, abbigliato per un ritratto celebrativo. A corte e nei cantieri del Palazzo Reale e delle residenze sabaude, era viva la tradizione del ritratto: punti fermi, in primo piano, ad esempio quello del Clouet per Margherita di Valois, sposa del duca Emanuele Filiberto (1559), e poi quelli del Carraca per Carlo Emanuele I e Caterina d’Asburgo. Il repertorio delle incisioni celebrative era sostenuto a corte con fermezza e da commissioni ben indirizzate, dal Sei al Settecento. Se il Seicento si appoggiava al letterato Tesauro, maestro di una retorica agiografica insuperata, il Settecento ela16


borava ogni modello alla luce di nuove ricerche storiche, recupero di documenti e di fonti, orchestrate per fissare una memoria strategica, specchio della storia di una casata e di una città capitale, la Torino di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III. Nel loro ritmo scenografico, gli ovali rispondono a molti di questi indirizzi: i grandi conti, emblema di un divenire, un crescere sicuro, dalle radici segnate dal mitico Beroldo. Lo troviamo in apertura nel ritmo che segna gli esemplari, un fissare il senso di un tempo robusto, percezione scenica, tipica di manufatti lavorati per un apparire festoso, mediatico, una dilatazione che si riconosceva da tempo in eventi protagonisti, nei grandi allestimenti per nozze, per ricevimenti, tornei e giostre, per fissare percorsi nei parchi e nei giardini. Era una tradizione che affondava le sue radici nel Seicento, dalla gran mente di Carlo Emanuele I, che aveva pensato ogni particolare celebrativo per la sua Grande Galleria, dove proponeva di inserire soggetti scelti, con riferimenti ad Amedeo V, il Conte Verde, Amedeo il Conte Rosso, Amedeo VII poi Papa Felice, Bonifacio I, detto l’Arrischiato, Umberto il Rinforzato, Amedeo II, Umberto III il Religioso, Amedeo IV il Grande. Il mito politico era sottolineato dalle discussioni genealogiche, con punti a favore per le origini sassoni della casata, ricollegate a Beroldo, così appunto nell’opera del Guichenon. E’ il capitolo che nel 1757 aveva suggerito a Carlo Emanuele III di procedere in parallelo alle iniziative da tempo promosse a Parigi, ma anche in Inghilterra e in Svezia, alla promozione del progetto di una Storia metallica; presentando le medaglie dedicate ai personaggi della casata avrebbe concretato la celebrazione della casa regnante. Per la commissione aveva scelto l’incisore di monete Lorenzo Lavy, apprezzato per i suoi lavori a corte, e l’insieme dei coni era stato approntato dal 1757 al 1773, in attesa di passare alla coniazione ultima, che non toccò l’approdo desiderato. Conosciamo le medaglie elaborate da Lorenzo Lavy e dai figli Amedeo e Carlo dalle incisioni di Pietro Giacomo Palmieri (1737-1804), condotte a bulino e acquaforte, per l’edizione della Storia Metallica della Real Casa di Savoia, Torino, Dalla Stamperia Reale MDCCCXXVIII, volume di Gianfranco Galeani Napione, curato dal Palmieri figlio, Pietro Palmieri junior (1780-1852). Di qui più d’uno i confronti con i tondi ora presentati, con buone probabilità vicini ai modelli coniati dal Lavy9. L’arredo scenico era d’uso a corte per più occasioni; nel pieno Seicento si era distinto Giovenale Boetto, nel Settecento altro stupore scenografico con i progetti di Juvarra, lavorati nei suoi disegni a Roma, i ‘pensieri’ per il teatrino del cardinal Ottoboni, 1710-1714, che sarebbero rientrati nei cantieri torinesi, in molte occasioni. L’insieme degli ovali agiografici, nella loro aura scenografica, poteva 9 Anna Serena Fava, Medaglie, in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del Re di Sardegna 17731861, catalogo a cura di Enrico Castelnuovo e Marco Rosci, vol. 3, Torino, Stamperia Artistica Nazionale, 1980.

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Filippo Juvarra, Fantasia architettonica, 1726, Torino, Museo Civico d’Arte Antica.

entrare in progetti mediatici preparati per indirizzare il ritmo di festa all’aperto, un insieme di messaggi politici visualizzati, offerti con modellazione intensa, omaggio divertito all’erudizione capillare delle monete preparate per la corte, appuntata sul carattere festoso di un revival che attingeva a memorie storiche per progredire lungo un immaginario strategico meditato. è il carattere che emerge fin dal primo rilievo dedicato a Beroldo (980-1027), radice primaria, capostipite mitico. Il confronto con la moneta coniata da Lavy, ripresa nel bulino dal Palmieri, torna bene nella scelta che fissa il profilo potente, modellato centrando il ritratto di chi ‘guarda oltre’, particolari di significato carismatico la corona classica, e specifico il simbolo sassone dell’aquila inciso sul pettorale; come cornice celebrativa rami di quercia e in alto il cartiglio a nastro con il nome. Altra rappresentazione, altro primo piano per Umberto I, il Biancamano (9981048), siglato come un giovane principe, segno di un primo anello che procederà con la catena di una casata vincente: esperto di armi, è rivestito con corsetto arricchito da elementi fogliacei; cornice finale le foglie di quercia; in alto la scritta, senza cartiglio, caduto da tempo. Per la modellazione morbida del giovane volto, erano certo serviti i modelli delle sculture riunite a corte dai duchi, esemplari di grande livello, e sono stati riscoperti e commentati di recente. Era una cultura aperta, oltre la regione sabauda, così con gli arrivi dei busti di Pompeo Leoni per 18


Tavola comparativa relativa all’iconografia di Beroldo

Emanuele Filiberto e per Carlo Emanuele I, esempi splendidi di messaggi politici di largo respiro10. Proseguendo con la traiettoria figurata, altro profilo importante il ritratto scolpito di Oddone, figlio di Umberto I, con l’elmo piumato, una ricchezza che unisce la cascata morbida del mantello al filo robusto dei rami di quercia, cornice finale. Carattere intenso per il profilo severo di Amedeo I (1016-1049), modellazione rigida per l’elmo con ampia visiera e il riscontro con la moneta ripresa da Palmieri è molto chiaro. Un primo piano dallo sguardo fisso per Amedeo II (m. 1095), con l’armatura coperta dal mantello. E la serie unisce Umberto II il Rinforzato (1048-1103), profilo incisivo, elmo con sottocollo, come nella moneta citata, molte piume e rami di quercia. Ritratto arricchito per Amedeo III (1080-1149), una celebrazione affidata alla sicurezza di un profilo ben individuato, risultato di qualità per la ricchezza abbondante riservata all’abbigliamento: elmo con piume, molte, e a cascata, e ancora decori conclusi da mascheroni figurati, con criniere di capelli annodati, inseriti sull’elmo e nei bracciali. Altra modellazione, molto vicina a quella che caratterizza il volto florido di Umberto I, si ritrova per l’esemplare riservato a Umberto III (1136-1188): semplice copricapo, abbigliamento con fine blusa, veste e mantello con fascia ricamata a rilievo, uniti da fermaglio a doppio nodo di Savoia. Profilo tipico del conte in armi per Tommaso I (1177-1223), caratterizzato da ricca modellazione per la corazza che riveste il collo con maglia metallica: pettorale con maschera grottesca, elmo piumato e foglie di quercia. Anche più severa l’immagine di Amedeo IV (1197-1253) con profilo caratterizzato da un naso particolarmente accentuato: 10 Anna Maria Bava, Antichi e moderni: la collezione di sculture, in Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia, a cura di Giovanni Romano, Torino, 1995

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Pietro Palmieri, Medaglia Raffigurante Beroldo, 1828, Torino, Archivio di Stato.

bordi graffiti per ornare la corazza, poche piume. Primo piano frontale di ritmo più accostante e morbido per il volto di Bonifacio (1244-1263), è presentato con copricapo arricchito da una folta aureola di piume che ricadono ai lati, la corazza ornata di un’impresa araldica simbolica, volatili rapaci e al centro un unicorno: Bonifacio, giovane conte, era intervenuto in aiuto di Margherita contessa di Fiandra. In conclusione, l’insieme variegato si caratterizza per modi univoci di modellazione, alternando profili più intensi e incisivi ad altri di carattere più sfumato: un’officina, un cantiere in cui c’era posto per aiuti, addetti ad alternare l’inserimento delle corone fogliacee, accanto a chi era attento soprattutto all’individuazione dei volti, ritratti e perfezionati guardando incisioni e stampe, alberi genealogici illustrati, modelli alti, preziosi per lavorare. Dal livello delle immagini a stampa e dalle medaglie, i Medaglioni dovevano scostarsi e piuttosto approdare ad un livello scenografico festoso, un’esibizione non troppo erudita ma neppure lontana dai modelli storicamente assestati, un programma che attivava le discussioni sulle origini della casata, sulle competizioni tra le corti, sancite da tanti exempla. Ed era in atto anche una ricerca per il prestigio che accomunava intorno alla corte le famiglie nobiliari, con ricerche genealogiche. Su questa linea il cerimoniale, per la festa come linguaggio politico, si nutriva di molte alternative, affidate alle arti della comunicazione scelte per visualizzare i riti del Potere e sollevare ogni profilo effimero quale messaggio curioso, ricco e meditato.

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Ritratti dinastici per una Casa millenaria. Il restauro. Franco Gualano

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l restauro dei dodici medaglioni lignei con le effigie dei Savoia della Palazzina di Caccia di Stupinigi ha senza dubbio costituito un avvenimento rilevante per il capoluogo torinese: dopo la trionfale riapertura della Reggia di Venaria, la sensibilità verso questi temi si era fatta più viva, e da ultimo le attese celebrazioni del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia avevano posto all’attenzione generale la storia e l’azione della dinastia sabauda, e dunque i nostri ritratti non potevano continuare a giacere in disarmo nell’attesa; tuttavia l’occasione tardava a venire, e le mille necessità della Palazzina non consentivano di programmare un intervento che non fosse rivolto agli arredi esposti. Pertanto è un ringraziamento davvero sentito quello che si rivolge alla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, che ha avuto la sensibilità di mettere in calendario un intervento così oneroso, e proprio nell’anno giusto! Si tratta d’un insieme davvero raro, che presenta ritratti immaginari d’una serie di conti sabaudi di età medievale, singolarmente numerosa, e peraltro con elementi d’invenzione, come forse ogni genealogia che si rispetti deve contenere. La presenza del mitico Beroldo rimanda infatti alla teoria dell’origine tedesca, sassone, attraverso Vitichindo, ch’era uno dei cardini della politica d’immagine sabauda fin dal Cinquecento. Attraverso l’opera degli storiografi, sin dall’epoca del Pingone, aveva preso corpo un notevole apparato iconografico che, attraverso le realizzazioni contenute nelle genealogie del Guichenon, De Pienne, ma soprattutto Tasnière, come si argomenta negli interventi degli studiosi che le hanno esaminate con attenzione, documentano in modo puntuale e piuttosto stabile atteggiamenti e caratteri dei personaggi; anche i sei ritratti a cura di pittori attivi alla corte nella prima metà del Seicento, conservati nel Castello di Racconigi ed esposti a Venaria, non celano coi nostri medaglioni somiglianze rivelatrici. Ritratti molto espressivi, d’effetto incombente e suggestivo, con tutta probabilità facenti parte di quegli apparati effimeri destinati a caratterizzare grandi feste (le vediamo nelle tele del Tempesta, o del Bolckmann), matrimoni, funerali, ostensioni sindoniche, balletti che contrappuntavano l’“inimitabile” esistenza dei reggitori dello Stato sabaudo, ritratti certo da esibire su strutture di sostegno, baldacchini, fors’anche da ammirare all’aperto, ciò che giustificherebbe i 21


particolari così calcati. E che per tali occasioni realmente si utilizzassero anche manufatti solidi e ben fatti v’è la riprova in tanti documenti, come quelli che ebbi a consultare occupandomi dello scultore di corte Francesco Borello, relativi all’apparato pel funerale di Carlo Emanuele II (1675), dove padre Vasco precisava che in nessuna parte degli apparati vi era “finzione di tela ò di pastume: ma fu tutto opera soda, e intaglio d’ottima mano” (I rami incisi dell’Archivio di corte: sovrani, battaglie, architetture, topografia, a cura dell’Archivio di Stato di Torino, 1981, p. 243). I dodici medaglioni si distinguono tra loro in quanto alcuni presentano un ritratto strettamente di profilo, altri invece di tre quarti o quasi frontale, com’era del resto nelle fonti antiche; inoltre alcuni di essi (otto, per la precisione) presentano il nome del personaggio annotato su di un cartiglio svolazzante, altri invece vergato direttamente sull’ovale in più semplice carattere: si può supporre che siano stati realizzati in due occasioni diverse, in due date successive, o anche soltanto che alcuni cartigli siano andati danneggiati o perduti e non più sostituiti: tuttavia l’insieme dei caratteri, che presentano qualche variante, anche nella raffinatezza d’intaglio e nel colore della finitura, indurrebbe a non escludere si trattasse di serie diverse di ritratti variamente riutilizzati, anche con qualche rimaneggiamento posteriore (ad esempio, la cornice a perlinature), per non dire l’aggiunta di qualche altro personaggio. Sebbene non siano stati ritrovati documenti ad essi riferibili, le caratteristiche stilistiche e tipologiche, pur nel loro ricorrere iterato, lascerebbero pensare alla seconda metà del Settecento. Personalmente, ci solletica un poco l’idea di poterli riferire a qualche occasione del genere della salita al trono di Vittorio Amedeo III, o del matrimonio di Carlo Emanuele IV con Maria Clotilde Borbone di Francia, festeggiati rispettivamente nel 1773 e 1775. Furono ritrovati alcuni decenni orsono nei sotterranei di Stupinigi (ove furono forse accantonati e dimenticati, se non provenienti invece da Moncalieri, il cui Guardamobili fu per molto tempo nodo imprescindibile per la conservazione di arredi dismessi) in condizioni che anche definire assai precarie può sonare come prudente eufemismo, e potevan sembrare perduti. Invece la meritoria iniziativa della Consulta, e l’utilizzo di tecniche di restauro avanzate e anche coraggiose da parte del laboratorio Nicola Restauri, sotto la direzione dello scrivente, li ha restituiti in condizioni di apprezzabile godibilità. Il lungo soggiorno nei locali del laboratorio, coi numerosi frammenti staccati raccolti e ordinati in cassette, aveva potuto perlomeno arrestare il degrado, e nel 2009 partiva finalmente l’intervento di restauro. I supporti lignei erano in gravissime condizioni per le gallerie scavate dagli insetti xilofagi, che li avevano resi fragilissimi o del tutto inconsistenti; numerosissimi i dissesti, le fratture, le parti mancanti. Di alcune assi rimanevano, prive di appoggio, soltanto la preparazione gessosa e la pellicola cromatica, non gradita agli insetti in quanto preparata a biacca e dipinta a simulare il bronzo con un bruno arancio contenente rame oppure rame con zinco. L’interven22


to è dunque stato particolarmente impegnativo, con molti test per mettere a punto i materiali e le metodologie di pulitura e consolidamento più opportuni. I supporti di tre medaglioni, e in particolare quello di Bonifacio, si presentavano in condizioni disperate, tanto da rendere inevitabile la sostituzione, necessaria tuttavia a salvaguardare il resto dell’opera. I rilievi del Bonifacio erano poi ridotti in polvere finissima, sotto la preparazione: essi sono stati pertanto svuotati e immersi nel consolidante, e poi riempiti con una resina epossidica bicomponente. Ci si è ovviamente domandati se tali procedimenti potessero costituire un’inaccettabile violazione dell’opera originaria, ma due riflessioni hanno orientato a procedere in tal senso: prima di tutto, l’assenza di concrete alternative di conservazione, e inoltre la considerazione che in manufatti di questo genere il valore storico e documentario faceva indubbiamente aggio sul pur notevole valore artistico, e pertanto la sopravvivenza materiale del tutto presentava certo un interesse rilevante; anche i lineamenti dei personaggi sono stati talvolta completati in sottotono con una resina epossidica modellabile, per ridare ai volti il loro giusto carattere, e dato che il rischio dell’invenzione gratuita non si poneva, grazie alla sicura guida delle incisioni: ma s’è ristretto questo procedimento ai casi irrinunciabili. Infine le differenze cromatiche tra i vari medaglioni, esito della loro diversa storia (e fors’anche origine) sono state mitigate con velature semitrasparenti. Così i nostri dodici manufatti ci sono stati restituiti in condizioni d’ insperata godibilità. Testimoni d’un passato ben degno d’esser valutato e interpretato, essi hanno però recuperato anche un’esistenza concreta e un futuro su cui si potrà ancora far conto: prima del generoso contributo della Consulta, e in questi anni di bilanci avari, non era mai parso possibile. La prossima sfida sarà la ricerca d’una giusta collocazione nella Palazzina che, dopo la riapertura del Levante colle sale restaurate con fondi ministeriali, ci si augura possa venire, per lotti successivi, tutta quanta riscattata.

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La serie dei Medaglioni

Maestranze piemontesi, Medaglioni, 1770-1780, legno di pioppo scolpito, intagliato, dipinto, altezza m. 2.00 x larghezza m. 1.65, serie di dodici. 1. Beroldo, figlio di Ugone di Sassonia (980-1027) 2. Umberto I, figlio di Beroldo (998-1048) 3. Amedeo I, figlio di Umberto I (1016-1049) 4. Oddone, figlio di Umberto I (s.d.) 5. Amedeo II (m. 1095)

6. Umberto II (1048-1103) 7. Amedeo III, figlio di Umberto II (1080-1149) 8. Umberto III, figlio di Amedeo III (1136-1188) 9. Tommaso I, figlio di Umberto III (1177-1223) 1 0. Amedeo IV, figlio di Tommaso I (1197-1253) 11. Bonifacio, figlio di Amedeo III (1244-1263) 12. Pietro, figlio di Tommaso (1203-1268) Nelle pagine seguenti vengono riprodotti gli ovali prima e dopo il restauro, preceduti dalle incisioni di Georges TasniĂŠre e Pierre Giffart tratte dal volume di Francesco Maria Ferrero di Lavriano, Augustae Regiaeque Sabaudiae Domus Arbor Gentilitia, Zappata, 1702, Torino, Biblioteca Reale, coll.48 (12).

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L’intervento di restauro Anna Rosa Nicola

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razie al generoso intervento della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, è stato finalmente possibile recuperare, attraverso un restauro molto complesso e difficile, questi preziosi ed insoliti manufatti che erano rimasti in attesa dal 1994, depositati presso il nostro laboratorio.

Erano stati ritirati con urgenza dai locali sotterranei della Palazzina di Caccia dove accidentalmente erano venuti a contatto con forte umiditĂ , e subito sottoposti a un pronto intervento e ricoverati in piano su apposite rastrelliere. I numerosi frammenti staccati erano stati raccolti e ordinati in cassette, in attesa di studiarne la ricomposizione.

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Le condizioni conservative dei supporti lignei erano gravissime: gli insetti xilofagi avevano scavato internamente il legno rendendolo fragilissimo e inconsistente. Numerosissimi i dissesti, le fratture, le porzioni mancanti. Alcune assi di supporto alle parti scolpite erano letteralmente ridotte a polvere, restava, priva di appoggio solo la preparazione gessosa e la pellicola cromatica, non gradita agli insetti in quanto preparata a biacca e dipinta a simulare il bronzo con un colore bruno arancio all’interno del quale gli esami condotti con il videomicroscopio a fibre ottiche, le analisi chimico stratigrafiche e quelle con XRF hanno evidenziato la presenza di polvere e pagliuzze metalliche a base di rame e in alcuni casi rame con zinco. Sulla superficie erano presenti scialbature a calce e a tempera che avevano assunto un’intonazione verde a causa dell’ossidazione del pigmento metallico. I danni più gravi interessavano soprattutto l’assito di supporto alle parti scolpite, costituito da più tavole in pioppo assemblate in verticale a maschio e femmina e trattenute sul retro da traverse in ferro. In alcuni casi tuttavia erano in pessime condizioni anche le parti figurate e le cornici esterne a perlinature, forse applicate in una fase successiva per uniformare tra loro i medaglioni, appartenenti forse a tre serie diverse, a giudicare dal tipo di intaglio, più raffinato e ricco in alcuni casi, più sintetico e rigido in altri ed anche dal tono cromatico, da arancio acceso a quasi bruno o verde. L’erosione del tarlo aveva purtroppo causato la perdita di numerose parti di modellato fine, in alcuni casi anche dei lineamenti dei personaggi raffigurati. Uno dei medaglioni era già stato in precedenza oggetto di un altro intervento che però aveva rimosso completamente tutti gli strati pittorici e la gessatura 52


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portando la superficie a legno e cerandola. Il descialbo aveva provocato però vistosi segni a causa del cedimento della superficie in seguito alla pressione dello strumento utilizzato. L’intervento di restauro si è rivelato particolarmente impegnativo richiedendo parecchie migliaia di ore di lavoro e vedendo coinvolti molti restauratori. Sono stati eseguiti numerosi test sia per il consolidamento che per la pulitura, per mettere a punto i materiali e le metodologie piĂš opportune da adottare a seconda delle necessitĂ . Tutti i medaglioni sono stati sottoposti ad un pre-consolidamento eseguito per imbibizione mediante applicazione a pennello fino a rifiuto di metilmetacrilato a bassa concentrazione in solvente (Dowanol) pri54


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ma di poter realizzare alcuni saggi di pulitura che hanno riportato in luce al di sotto delle scialbature la coloritura originaria. Si sono resi necessari interventi di ebanisteria, articolati e talvolta anche estesi, su tutti i supporti, ma in modo particolare tre erano in condizioni disperate, tanto da rendere inevitabile la sostituzione di alcune tavole dell’assito ligneo ormai irrecuperabili. Uno dei casi più gravi era rappresentato dal medaglione raffigurante Bonifacio, figlio di Amedeo III. Dopo un’accurata spolveratura sotto aspirazione, le parti scolpite, rotte in vari frammenti, sono state delicatamente smontate dal supporto, numerate e catalogate e quindi provvisoriamente ricomposte su lastre in polistirolo. Il legno di supporto delle cornici a perlinature, a seguito dell’erosione del tarlo e dell’umidità, era divenuto assolutamente inconsistente, ridotto ad una polvere finissima che neppure riusciva più ad assorbire il consolidante. I rilievi sono stati quindi delicatamente svuotati e immersi nel consolidante. 56


L’eccesso di resina è stato poi rimosso dalla superficie e ad asciugatura avvenuta i rilievi sono stati riempiti con una resina epossidica bicomponente addizionata di inerti leggeri. La superficie dipinta delle tavole di supporto è stata protetta con una velinatura di carta giapponese robusta per poter procedere successivamente allo smontaggio del supporto mediante schiodatura delle traverse in ferro apposte sul retro e riapertura degli assemblaggi. Il supporto degradato è stato gradualmente e progressivamente assottigliato fino ad uno spessore di circa 3 millimetri. Si è quindi preparato un nuovo supporto in legno stagionato, della stessa misura della tavola originale e dotato degli stessi sistemi di assemblaggio. Su questo è stato fatto aderire uno strato di tela sottile, al fine di consentire un eventuale futuro distacco qualora necessario, rendendo reversibile l’intervento. Il sottile strato di legno, preparazione e cromia originale, liberato dalla 57


velinatura è stato poi incollato sulla tela con un adesivo sintetico anch’esso reversibile (in acetone) e il tutto è stato chiuso a sandwich e ammorsato fino ad asciugatura avvenuta. Il supporto è stato quindi riassemblato secondo il sistema originario. Sul retro le tavole sono state adeguate cromaticamente al legno originale. Utilizzando come guida le incisioni antiche è stato possibile ricostruire iconograficamente i volti dei personaggi. Per le ricostruzioni plastiche è stata utilizzata una resina epossidica modellabile. Sono state integrate tutte le porzioni di cornice mancanti, sia su questo medaglione che su tutti gli altri così come tutti gli elementi che non richiedevano interpretazione. La piuma sull’elmo di Bonifacio non è stata invece ricostruita, come richiesto dalla Direzione Lavori. Le parti reintegrate sono state lasciate leggermente più chiare rispetto all’originale e sono quindi distinguibili ad un attento esame ravvicinato. Come richiesto, si è inoltre cercato di mitigare appena le vistose e talvolta fastidiose dissonanze cromatiche tra i vari medaglioni, con velature semitrasparenti ad acquerello e a vernice. Anche sul medaglione raffigurante Amedeo IV che era stato privato della 58


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coloritura originaria dal precedente restauro, si è deciso di riproporre una cromia intonata con quella degli altri medaglioni sovrapponendo varie velature più calde e più fredde fino ad arrivare ad un effetto di trasparenza e consunzione abbastanza vicino all’originale. Sono state ricostruite in resina poliestere, mediante calco anche tutte le borchie mancanti, colorate anch’esse ad imitazione dell’originale; risultano riconoscibili al tatto, in quanto meno fredde rispetto al ferro.

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Finito di stampare per i tipi de

L’Artistica Savigliano nel mese di novembre 2011




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