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Vi sia lieve la terra

Erwin Pichl 1949-2010

Giovanni Adiodati 1938-2011

Era quello che si dice un vero speleologo e naturalista, Erwin Pichl. Socio da più di quarant’anni della Sezione Geo-speleologica della Società Adriatica di Scienze, e quindi della Società Adriatica di Speleologia, ha lasciato un segno profondo non solo nell’attività del suo gruppo, ma anche in quella triestina in generale. Erwin è mancato più di tre mesi fa, ma solo oggi ho sentito di potermi mettere alla tastiera e scriverne un ricordo; è stato tanto difficile perché, veramente, con lui se ne è andato via un pezzo della nostra vita, dedicata alle grotte. Ho iniziato ad andare sottoterra che ero un ragazzino quattordicenne, e il permesso per fare tardi la domenica mi veniva concesso solamente se c’era la presenza (e la vigilanza…) del “signor Erwin”. Proprio in quei primi anni ho imparato ad apprezzare quel singolare personaggio, che riusciva a passare naturalmente dalle situazioni più allegre a quelle più serie ed impegnate di studioso e ricercatore. Di quel periodo rammento le tante uscite nell’area attorno al paese di Basovizza, dove si studiavano in modo comparato le varie grotte esistenti. Poi i ricordi non possono che spaziare alle tante idee ed ai tanti progetti che sono scaturiti con semplicità dalla mente di Erwin: il riadattamento della grotta delle Torri di Slivia, la nascita della Stazione Sperimentale Ipogea nell’Abisso di Trebiciano, fino ad arrivare alla realizzazione dello Speleovivarium, sua “creatura” e fiore all’occhiello, solo per citarne le attività principali. Non parlerò in questa sede dei tanti studi prodotti da Erwin, perché non è la più opportuna, mentre ricorderò, invece, il mio primo lavoro in campo speleologico, pubblicato nel lontano 1981, in occasione del quale ho chiesto, timoroso, proprio a lui alcuni consigli; ha saputo tranquillizzarmi e aiutarmi senza alcuna difficoltà. Appena saputo della morte di Erwin ho subito detto a Isabella, sua moglie e mia cara amica, che con lui se ne era andato quello che io consideravo un maestro, il mio maestro, di speleologia e non solo. Oggi, passato un po’ di tempo e riflettendo, non posso che ribadire questo concetto: se devo immaginare un riferimento decisivo nella mia vita di speleologo, non posso che pensare ad Erwin, alla sua contagiosa spensieratezza, sempre accompagnata da genialità, ingegnosità e costanza eccezionali. Oggi parlare di speleologia, per noi, sarà un po’ diverso, perche un grande non c’è più ed anche se negli ultimi anni la malattia lo aveva allontanato dalla partecipazione attiva, sentiremo inevitabilmente la sua mancanza. Ciao Erwin, arrivederci, fino a quando non ci incontreremo nuovamente, magari inseguendo le labili tracce del proteo in qualche splendida grotta della terra di oltre. Paolo Guglia

In un freddo sabato di gennaio ci siamo ritrovati in tanti per salutare un esploratore fuori dal comune, uno di quei pochi che davvero hanno lasciato un segno. Tra i più giovani forse non saranno in tanti a conoscere il nome di Giovanni Adiodati, d’altra parte sono passati ormai molti anni da quando era attivo ed inoltre non è mai stato troppo prodigo nello scrivere. Eppure Dordone, questo era il suo soprannome al G.S. Fiorentino, come pochi altri ha inconsapevolmente contribuito a rivoluzionare il pensare e l’agire degli esploratori italiani. Il suo nome è indissolubilmente legato all’esplorazione dei Rami dei Fiorentini all’Antro del Corchia, ma anche, non me ne vogliano i suoi compagni di grotta (soprattutto Riccardo Ciurli e Paolo Mugelli), al dualismo con Giovanni Badino con il quale si trovò in gara nella corsa alla giunzione tra Abisso Fighierà e Antro del Corchia, che toccò poi al ben più famoso Giovanni nazionale. Dordone non la prese affatto bene, non credo si sia mai accontentato di aver trascinato un’esplorazione unica in quel tempo per difficoltà e velocità di realizzazione. Eh sì, perché la particolarità dei Rami dei Fiorentini è quella di essere stati esplorati in risalita... allora ancora senza trapani! Non c’è altro modo per descrivere la grandiosità di quell’impresa se non citando i numeri: oltre 12 km di sviluppo spaziale e più di 800 m di dislivello positivo in meno di quattro anni. Giovanni era un fuoriclasse nell’azione in grotta, si muoveva con naturalezza ed eleganza, tanto da farlo sembrare a passeggio in ogni circostanza, ma quello che mi ha sempre stupito più di ogni altra cosa era la sua determinazione. Lo conobbi nell’84 quando arrivai al corso di primo livello del GSF. Sei anni dopo, ultra cinquantenne, era con le nuove leve del gruppo al fondo dell’Abisso Olivifer, in quel momento la grotta più profonda in Italia (-1215 m), e con l’entusiasmo di un ragazzino si cacciava in ogni diramazione. E dopo cinque giorni di grotta, risalendo dal campo di -1200 m, quando ormai eravamo prossimi alle gallerie di quota –900, propose a me e a Filippo di rimanere a guardare quelle zone ancora da finire di esplorare per un altro paio di giorni, visto che alla moglie aveva detto che sarebbe stato via una settimana. Di aneddoti come questo ne potrei narrare a decine, ma preferisco finire ringraziandoti per la contagiosa energia che hai sempre trasmesso a chi avevi accanto. Ciao Dordone.

Gianni Guidotti