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Verso il mitico ingresso

Verso il mitico ingresso che non poteva essere lontano

Sandro Sedran Gruppo Speleologi CAI Malo

Il Buso della Rana si trova in Veneto, nel settore orientale del Monti Lessini, all’interno del piccolo Altopiano del Feado-Casaròn che domina l’alta pianura vicentina con gli abitati di Schio a Nord, Malo ad Est e Valdagno sul lato Ovest. Questo altopiano è costituito da una base di roccia vulcanica sormontata dalle Calcareniti di Castegomberto dello spessore medio di circa 300 metri. Lo strato leggermente inclinato di basalto ha impedito all’acqua di continuare ad approfondire i suoi percorsi ipogei. Si sono create lunghe gallerie semi-orizzontali, poste a vari livelli, sormontate da numerosi sistemi di camini, alcuni di essi risaliti fino a poche decine di metri dalla superficie. Si possono percorrere chilometri senza avere bisogno dell’attrezzatura di progressione verticale. Il Buso della Rana si pone tra le principali cavità italiane con oltre 28 km di sviluppo. Per lungo tempo ha detenuto anche il primato di “cavità ad un solo ingresso più lunga d’Italia”, superata qualche hanno fa dalla Grotta della Bigonda, in Trentino, con oltre 30km di gallerie rilevate. A dire il vero, nessuno degli speleologi vicentini tiene a questo primato, dato che da decenni stanno facendo di tutto per trovare un secondo ingresso che consenta un accesso veloce alle zone più remote e funga da uscita di sicurezza nel caso di piene; sforzi rimasti tuttora senza esito. Il Ramo Nero è tra quelli che s’insinuano maggiormente dentro l’altopiano. Il ramo riveste una notevole importanza perché ospita un corso d’acqua totalmente estraneo alla circolazione idrica nel resto della grotta. Se si aggiunge la lunghezza (circa 4 km dall’ingresso), le difficoltà fisiche nel percorrerlo e l’affascinante bellezza delle sue morfologie, si capisce come esso stia al vertice delle considerazioni per gli speleologi vicentini.La sua esplorazione è stata lunga, travagliata e lontana dall’essere conclusa. Il 3 Ottobre 1971 Paolo Boscato e Pierangelo Spiller trovano la via giusta che li fa uscire dalle labirintiche gallerie fossili situate oltre Sala Ghellini. Sotto gli ampi spazi di quella che diventerà Sala Snoopy scorre un nuovo torrente che apre grandi prospettive esplorative ed un passo in avanti nelle conoscenze idrogeologiche dell’altopiano del Faedo-Casa

1972 - Paolo Boscato e Pierangelo Spiller (foto Giangi Boscato) 1973 – Enrico Gleria

ròn, grazie agli studi che faranno negli anni successivi gli speleo-geologi Gleria e Zampieri. “Le esplorazioni del Ramo Nero riprendono nel gennaio 1973. Risulta quasi incredibile pensare a quante nuove gallerie si trovava davanti il Gruppo Grotte Trevisiol di Vicenza, ma non aveva gente a sufficienza per esplorarle a causa di un periodo di cambio generazionale all’interno del gruppo. Il nuovo torrente viene lasciato lì ad aspettare per oltre un anno, ma in Rana la suddivisione delle aree di esplorazione, concordata tra i gruppi vicentini, era sacra.”

Ingresso al Ramo Nero (foto S. Sedran – Photo Team)

Il primo tratto del Ramo Nero è completamente ricoperto da una patina nera di manganese che ha condizionato la scelta del nome. Per circa ottanta metri si risale un laminatoio basso e largo, con il fondo in roccia vulcanica, a cui segue la Sala Nera con degli enormi blocchi di crollo inclinati sul fondo. Oltre la “strettoia dei tre massi”, allargata in più riprese, il ramo attivo continua con dimensioni notevoli, determinate dall’intersezione di faglie trasversali, fino ad un fronte di frana, da risalire sul lato sinistro, che, dopo essere stato forzato per la prima volta il 1 aprile 1973, immette nell’ampia Sala dei Cani. Ritrovata l’acqua, un laminatoio si alza gradualmente lasciando intravedere parecchie concrezioni ed alternandosi con altri ambienti di crollo, più ampi, fino ad una cascata alta cinque metri che si getta in un laghetto. La galleria cambia decisamente direzione ed uno spettacolare specchio di faglia immette nella Sala Macchu-Picchu a cui segue il labirintico sali-scendi del Pettine (dalla forma in pianta che le gallerie assu

Sala dei Tufi (foto S. Sedran – Photo Team)

mono in questo tratto) dove l’attivo scorre ad un livello più basso, spesso impraticabile. La Sala dei Tufi, preceduta dal rumore di una cascata, è raggiunta per la prima volta il 31 maggio 1973. In fondo alla sala, dove ora giace uno spartano bivacco (telo di nylon) troviamo un’interessante strato di rocce piroclastiche (tufo), dello spessore di circa un metro e mezzo, che si sviluppa lungo la parete per oltre dieci metri. Durante la spedizione “Natale 2003” il Gruppo di Malo ha provveduto all’installazione di due scale fisse in alluminio che hanno consentito di ridurre di almeno mezz’ora i tempi di percorrenza di questo tratto di grotta e, cosa più importante, di poter percorrere tutto il Ramo Nero senza attrezzatura al seguito. La prima scaletta consente di accedere alla superiore Seconda Sala dei Tufi traversando sopra lo spettacolare

Lago d’Ops (foto S. Sedran – Photo Team)

Lago d’Ops. Ci troviamo in un alto camino circolare del diametro di circa 8 metri il cui fondo è costituito da una enorme marmitta profonda forse quattro metri, con l’acqua immobile e verdissima. Nell’immaginario di tutti, il Buso della Rana è associato a questo posto, grazie soprattutto alla favolosa immagine fatta nel 1979 dalla squadra fotografica del gruppo di Malo capitanata da Fabio Sartori. Una nuova sala, nel mese di settembre del 1974. Dopo la seconda scala in alluminio, si abbandona l’attivo per risalire una fessura sulla destra in condotta fossile che, dopo la forzatura dell’onnipresente frana, immette in Sala “Settembre1974”. Di fronte a noi uno spettacolare specchio di faglia, circondato da un anfiteatro detritico; si erge sopra un laghetto alimentato dal torrente che fuoriesce a cascata da un’apertura a sinistra della faglia stessa. Risalito l’attivo in strette e nere condotte a scallops, si passa una strettoia (forzata per la prima volta nel 1974 da Claudio Barbato e Maurizio da Meda con ben sette ore di duro lavoro) e dopo circa duecento metri s’intercetta a destra un affluente secondario. Questa condotta meandriforme e concrezionata conduce fino alla famosa Sala della Foglia. Il 12 settembre 1977, una squadra mista Malo-Trevisiol trova per terra una foglia di castagno intatta; la gioia e l’entusiasmo sono alle stelle: è il segno inequivocabile di essere vicini alla superficie e che il mitico secondo ingresso della Rana non può essere lontano. I tentativi di risalita si fermarono sotto frane incombenti o fessure impraticabili. Dalla deviazione per Sala della

La squadra fotografica (foto S. Sedran) Sala della Foglia bivacco (foto S. Sedran – Photo Team)

Foglia, il ramo continua per poco più di cento metri, in condotte semi-allagate, fino ad arrestarsi sul sifone che bloccherà l’avanzamento delle esplorazioni per molto tempo a venire. Infatti, dopo ben 15 anni, il 26 dicembre 1992 Ennio Lanzarotto di Valstagna, aiutato da speleologi di vari gruppi vicentini, s’immerge nel sifone e verifica che dall’altra parte la grotta continua. A metà settembre 1993 Federico Lanaro e Maurizio da Meda decidono che è ora di ricalzare i panni degli “esploratori” e dare l’attacco al nuovo ramo oltre il sifone: rilevano 250 metri di gallerie modellate dall’erosione idrica e completamente ricoperte dalla patina nerastra; si fermano in una saletta, battezzata “Ultima Spiaggia”, dove l’acqua fuoriesce da sotto una frana. Nel 1994 cade la barriera del sifone, che viene aggirato liberando un passaggio semi-allagato in una condotta laterale, ma questo non impedisce un nuovo disinteresse per questa zona di frontiera. Infatti le esplorazioni negli anni successivi saranno tutte improntate nello cercare un passaggio fossile che aggiri la zona del sifone. Vengono risaliti tutti i camini presenti da Sala Settembre in poi senza trovare nulla d’interessante. Dopo ben nove anni qualcun altro torna all’attacco della frana finale. Fine dicembre 2003, il Gruppo di Malo organizza la fortunata spedizione “Natale 2003” con un campo interno di tre giorni e riesce ad avanzare per circa 15 metri senza sfondare. Il loro lavoro viene chiaramente udito da una squadra di Schio che stava lavorando alla frana finale nel sovrastante Buso della Pisatela, che nel frattempo aveva raggiunto il ragguardevole sviluppo di oltre 6 km. Qualche settimana dopo viene organizzata un’uscita congiunta fra i due gruppi, a squadre miste, che si odono chiaramente. La frana dal lato Pisatela viene penetrata dieci metri per ben due volte. Eh sì, “due” volte; una piena aveva ben pensato di ritappare tutto, tanto da costringere a stabilizzarla con tubi innocenti e guard-rail dismessi dall’ANAS. Una nuova uscita contemporanea di due squadre di Malo, dotate di ARVA, dice che mancano 14 metri, ma non è sufficiente per stimolare l’avanzamento dei lavori che incontrano sempre maggiori difficoltà. Ancora una volta la Signora Rana riesce a far desistere gli speleologi e l’entusiasmo si smorza bloccando definitivamente tutto. L’eventuale unione tra le due grotte, oltre a realizzare il sogno del secondo ingresso alla Rana, costituirebbe una bellissima traversata dell’altopiano. Ironia della sorte, nell’ultimo anno (2009) è stata la Pisatela ad avere il secondo ingresso; chissà che la determinazione e la buona sorte del Gruppo di Schio non li porti a trovare anche la via per la Rana consentendo a generazioni di speleologi di ritrovarsi per una festa memorabile. N