SAWARI • ISSUE 01

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Sawari RIVISTA ON-LINE DEGLI STUDENTI DELL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VERONA

issue.01 ottobre - novembre 2013



La rivista è visionabile e scaricabile dal sito dell'Accademia di Belle Arti Cignaroli di Verona http://www.accademiabelleartiverona.it/

sawari è la nozione utilizzata dai monaci zen per sintetizzare il loro ideale di bellezza acustica. Il termine significa “tocco” ma l’uso comune ne evidenzia spesso anche il significato di “ostacolo” e di “ciclo mestruale”, intendendo così come l’ostacolo sia anche sempre un’occasione potenzialmente creativa. In questi impedimenti alla tecnica esecutiva, un esperto zen ritrova un aspetto tipico della sua disciplina spirituale, che consiste nell’avvicinare il processo musicale al travaglio con cui la natura produce le sue creature imperfette. La naturale bellezza di un suono non è data dalla sua purezza (un’idealizzazione) ma dal suo esibire lo stesso equilibrio tra ordine e disordine ritenuto esistere nell’universo.

SAWARI Rivista on-line degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Verona Coordinamento Francesco Ronzon Redazione Alessandra Trestini Silvia Sommadossi Sandra Nardon Manuel Berto Hanno collaborato a questo numero Claudia Comunian Lucrezia Dorigoni Sandra Nardon Manuel Berto Benedetta Taddei Alessandro Antonello Alessandro Romagnoli Omar Pizzoli Michela Meneguzzi Cristina Murari Alessia Dorigoni Alex von Pentz Luca Bressan Monica Ballardin Laura Turro Besard Kadria Luca Zanolli Luca Pojer Grafica e impaginazione Silvia Sommadossi Copertina Valentina Torboli Rapetti E-mail sawari@accademiacignaroli.it Accademia di Belle Arti di Verona Via Carlo Montanari, 5 - 37122 Verona Tel. 045 8000082 - Fax 045 8005425 http://www.accademiabelleartiverona.it/

© 2012 Sawari Magazine. Tutti i diritti sono riservati. Qualora troviate contenuti che infrangono la Legge n.633/22.3.1941 siete invitati a segnalarlo all’indirizzo sawari@accademiacignaroli.it


Sommario

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EDITORIALE Nani sulle spalle di Giganti

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ARTISTI Milo Manara

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PROSPETTIVE Pazzia, Concetti e Sound Art Genius Loci Mi sveglio

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IO LA PENSO COSĂŹ Mi piace Studenti

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IN TRINCEA a "fare arte" in accademia Verona Risuona

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JANUS intervista doppia: Delacroix/Ingres


Sawari issue.01 ottobre - novembre 2013

L’ANGOLO del DOCENTE Io e Eta Beta

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Voci dal Mondo Erasmus a Istanbul

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Icss GotebĂśrg ieri ho visto Blatta - Alberto Ponticelli

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Pixar - 25 anni di animazione

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Muse - The 2nd Law

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Body Worlds - Gunther von Hagens

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Ignorance and Surprise - Matthias Gross Libri Tattili, libri per tutti GALLERIA Besard Kadria Pittura Luca Zanolli Scenografia Luca Pojer Scultura Design_LAB Design

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Editoriale · Nani e giganti · di Francesco Ronzon

Editoriale Nani e giganti di Francesco Ronzon

Ebbene Si ! Sawari è arrivato al secondo numero. Non si tratta di un traguardo ovvio e scontato. Una rivista che si basa esclusivamente sul lavoro e i contribuiti di studenti non è un gioco semplice. Lo studente in quanto tale è una creatura strana e complicata. Ricorda lo Stregatto di Alice. A volte c’è, a volte non c’é. Spesso lavora. In molti casi è “fuori sede”. Altre volte fugge in Erasmus. E, ovviamente, è sempre impegnato a seguire lezioni e preparare esami (oltre che a riprendersi dai party della sera precedente). Inoltre, una cosa è lavorare con l’entusiasmo della prima volta. Un’altra cosa, invece, è impegnarsi in un’attività di cui già si conoscono le regole. Infine, gli studenti passano. Se tutto va bene, dopo tre anni escono di scena e questo crea un

netto problema di ricambio generazionale. In particolare, se chi si laurea è un membro della redazione. Si potrebbe dire che essere riusciti a chiudere un altro numero della rivista, dunque, è un’importante vittoria contro l’entropia che insidia da vicino le attività umane. I segni che si inscrivono e si depositano sulle pagine (virtuali) della rivista rappresentano infatti l’unica traccia di attività, pensieri ed esperienze artistiche che altrimenti sarebbero andati dispersi nel tempo. Come i ricordi del replicante di Blade Runner. È interessante notare, peraltro, come siano proprio questi tipi di “nicchie” temporali che danno vita anche alle cosiddette scuole e tradizioni artistiche: quell’insieme di modelli estetici trasmessi in modo più o meno formale sui quali ci si basa per organizzare il

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Editoriale · Nani e giganti · di Francesco Ronzon

Ilustrazione di Alessandro Romagnoli

proprio agire pittorico, scultoreo, ecc. ecc. E’ per questo che mi ha sempre irritato Come ben illustrato dal rapido turn over l’usuale esegesi del motto classico: degli studenti, il fatto che si tratti di isole “siamo nani sulle spalle di giganti”. La sua solo parzialmente sottratte allo interpretazione storica infatti scorrere del tempo potrebbe ha sempre avvalorato l’idea Non ci si può che tutto sia gia stato detto e facilmente ammantare questa bagnare due che non si possa far altro che riflessione in un’atmosfera di perdita e tristezza. Non ripetere con umiltà la lezione che volte nello credo però che questa lettura qualche autorità o tradizione stesso fiume una malinconica rappresenti l’unica avrebbe già approntato per (Eraclito) interpretazione della situazione. noi nel passato. In realtà, se si Dietro alla perdita di memoria, legge il motto con po’di ironia di identità e di tradizione non ci sta il nulla, e umorismo la sua interpretazione può ma la nascita di altre memorie, altre identità anche essere rigirata come un guanto: “Si, e altre tradizioni. Può anche darsi che ci si forse siamo nani sulle spalle di giganti. Ma è trovi a re-inventare la ruota, ma re-inventare proprio per questo che vediamo meglio e più qualcosa comporta l’inevitabile introduzione lontano”. Per farla breve, anche questa volta di modifiche e variazioni. ce l’abbiamo fatta !

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Artisti · Milo Manara · di Sandra Nardon

Artisti Milo Manara un'icona del fumetto Italiano

Sandra Nardon

Il 14 maggio in un'intervista a porte aperte abbiamo incontarto Milo Manara un'icona del fumetto italiano, per rispondere alle domande e alle curiosità sul suo lavoro e sulla sua vita. Lo ringraziamo infinitamente per questa opportunità.

Iniziamo dai tempi contemporanei. Lei adesso sta lavorando a qualcosa di particolare? Qualcosa di cui vorrebbe parlarci? Si, adesso sto lavorando a due cose,che però non c’entrano l'una con l'altra. La prima,quella che mi interessa di più, è ”Vita di Caravaggio”. Una vita romanzata naturalmente, diciamo poco scientifica, ma molto corretta sul piano della precisione storica. E’ la vita di un uomo molto interessante,molto affascinante; immagino un pò come poteva essere un sessantottino dei miei tempi, o comunque uno che non

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Artisti · Milo Manara · di Sandra Nardon

accettava volentieri l'autorità precostituita. Era un soggetto con un carattere già di per sè molto fumantino, non si tirava indietro davanti a nulla, ma soprattutto provava proprio questa insofferenza verso l'autorità, opposizione manifestata tanto nella sua vita quanto nella sua arte. L'aspetto della sua vita che mi sembra molto attuale, molto interessante, oltre al fatto che da Milano si è poi spostato a Malta, in Sicilia, a Napoli, a Roma, è quello del non essersi mai posto limiti. Pensiamo che viaggiare nella fine del 1500 primi 1600 non era poi cosi agevole, dietro ogni curva poteva esserci quello con la daga in mano che ti portava via anche l'anima; per non parlare poi dei viaggi in nave, in cui si rischiava il naufragio. Eppure questi pittori erano armati di un coraggio sorprendente. Un altro esempio è il suo amico Orazio Gentileschi;egli è andato a finire fino a Londra per dipingere per il re Carlo I. L'altro lavoro, invece, sono le copertine per la “Marvel”, una casa editrice americana di fumetti popolari di supereroi, forse la più grossa casa editrice che ci sia assieme con la DC Comix (produttrice si Superman e Batman). a proposito di supereroi, ti devo fare una domanda imprevista. Il tuo supereroe preferito? Il mio supereroe preferito? Non ho supereroi preferiti, devo dire la verità (dice ridendo). Anzi, all'inizio, quando mi hanno chiesto di disegnare una storiella che trattasse la vita di un uomo dotato di super poteri, ho gentilmente rifiutato. Ciò che mi lasciava perplesso è la questione di come si faccia a credere in questi. La realtà è invece che in molti ne sono convinti; potremmo quasi affermare che è una specie di Olimpo moderno. Per esempio, i greci come facevano ad avere fede in Zeus e compagnia? Ci credevano! Era un credo di cui non vi erano prove razionali e logiche, ma che comunque aveva preso posto nel substrato dell' inconscio. Non è che adesso Superman rientri nel dogma, ma fa parte di un immaginario penetrato abbastanza in profondità ecco.

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Quindi per me era una specie di sfida. Per un europeo è abbastanza difficile credere nei supereroi, ma si può far finta di essere convinti della loro esistenza. C’ è da dire che i film recenti tratti dai fumetti della Marvel vantano ormai effetti speciali talmente perfetti, da risultare molto convincenti, e si ha quasi l'impressione che effettivamente alcune cose succedano. Il rapporto tra il cinema e il fumetto, come lo vede lei? É un rapporto strettissimo,sembrano gemelli,nel senso che sono nati più o meno negli stessi anni. Guardate per esempio Wilson McCoy, uno dei grandi disegnatori di fumetti; egli ha creato un personaggio che si chiama “Little Nemo”, ma ha iniziato producendo sperimentazioni di animazioni e ha contribuito ai primi esperimenti, sia cinematografici che di animazione. L'anello di congiunzione, ovviamente, tra il fumetto e il cinema è il cartone animato; è un fumetto che si muove, è praticamente un film disegnato. Si tratta di discipline narrative in tutti e due i casi, è una narrazione per immagine se vogliamo. Certo vi sono delle differenze: il film ha delle colonne sonore appositamente composte e vi è movimento, a differenza del fumetto, che è statico e privo di suoni. Consideriamo poi che la pellicola si struttura in 24fotogrammi al secondo, tanto che se isoliamo fotogramma per fotogramma, otteniamo proprio una specie di fumetto. Il lato visivo e la scelta estetica della narrazione sono studiati in funzione della narrazione medesima. Un fotogramma di un film o una vignetta di un fumetto acquistano completamente il proprio valore e il proprio senso solo se messi in relazione con la vignetta che li precede e con quella che li succede. Solo a quel punto vi è un senso autentico nel disegno. se uno si fermasse a guardare una vignetta, pesandola, considerandola nel lato estetico, avrebbe sbagliato, come quello che ha fatto Roy Lichtenstein praticamente, isolando una vignetta, ma perchè il fumetto faceva parte appunto di quella miniera di immaginario popolare che i POP ART hanno


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usato (hanno usato anche i cartelli stradali ) cioè prendevano proprio la materia dalla vita quotidiana; cosa c'è di più vita quotidiana del fumetto insomma, ma la parentela quindi che il fumetto ha con il cinema è molto stretta, Anche sul piano della creazione il processo è più o meno uguale a quello del cinema: si parte con un soggetto,poi dal soggetto si elabora una sceneggiatura(tutte parole che si hanno in comune con il cinema) per poi passare alla realizzazione, proprio come procede un regista. Criticando in modo volutamente provocatorio il mondo del cinema e il fumetto attuale, crede che ci sia qualcosa che debbano imparare l'uno dall'altro? Perché molti appassionati di fumetti ritengono che questo sia superiore per aspetti narrativi e maturità. C'è stato un periodo in cui senza dubbio il fumetto è stato superiore; parlo per esempio degli anni 70, quando è comparso sulla scena mondiale il gruppo degli “Umanoidi Associati” che lavorava ad una delle più grandi riviste di fumetti, la “Métal Hurlant” , seguito in Italia qualche anno dopo da “Frigidaire” o “Canibale”, altre riviste veramente esplosive che aprirono la strada dell’ insegnamento al cinema. E’ da questo momento infatti che l’ industria cinematografica ha cominciato veramente a imparare dal fumetto a reinventarsi; per non parlare poi di tutta la grande saga WESTERN di cui il fumetto è stato indubbiamente il capostipite. Adesso non saprei esattamente cosa potrebbero imparare l'uno dall'altro, ma di sicuro non si finisce mai di apprendere, ne dal fumetto ne dal cinema, come testimonia il caso “Pinocchio”, lavoro di animazione di Enzo D’ Alò e disegnato da Lorenzo Mattotti. Mattotti è uno dei massimi esponenti del fumetto estetico, alla costante ricerca nel fumetto di un'estetica che non sia semplicemente legata ad una funzione narrativa, ma che abbia anche un valore espressivo delle immagini. Valenza estetica però che nel cinema è vittima di un compromesso a causa del quale perde parte della sua qualità visiva per permettere il riadattamento cinematografico. Di sicuro tutto il cinema di fantascienza ha

un enorme debito nei confronti del gruppo degli “Umanoidi Associati”, in particolare di un gigante del disegno, Archie Goodwin, membro di tale gruppo e collaboratore in “Blade Runner Alien”. Fino a poco tempo prima, i film di fantascienza erano molto infantili, caratterizzati da un mondo patinato, da navicelle spaziali simili a dei suppostoni giganti come barche. Poi si è iniziato a vedere anche la sporcizia del futuro, strade sporche la pioggia acida, con un grande genio che è stato Kubrick, che ha cominciato proprio a far vedere queste navicelle molto articolate, facendo vedere che non c'è bisogno di essere aereo dinamici nello spazio “2001 ODISSEA NELLO SPAZIO”, io parlo di cose che per voi saranno quasi sconosciute. Lei quando lavora invece con sceneggiatori o scrittori è succube di ciò che le viene commissionato oppure ha libertà? Questo dipende da sceneggiatore a sceneggiatore. Io ho avuto nella vita la fortuna di lavorare con almeno tre grandi sceneggiatori, direi anche quattro

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che voleva lui. E' stata una scuola molto severa, ma anche molto istruttiva, molto importante, alla cui non rinuncerei per nulla al mondo, anzi magari si potesse tornare in dietro. L’ etichetta del fumettista erotico, come è nata?

: FEDERICO FELLINI, UGO PRATT, ALEJANDRO IORGLORSCHI, l'ultimo con cui io ho lavorato, e VINCENZO CERANI tutti sceneggiatori di cinema, escluso Pratt. Con Ugo Pratt e Iorglorschi ho avuto la massima libertà; addirittura con Pratt mi sono permesso il lusso di aggiungere delle pagine, una sequenza muta in cui non vi è dialogo ma solo azione. Nel caso di Fellini, invece, era esattamente il contrario. Lui realizzava degli storyboards sintetici prima, cosa che gli altri non usavano fare, ed in base a questi io realizzavo una prima versione in brutta copia che poi lui correggeva da eventuali errori o modificava semplicemente perché aveva cambiato idea. Procedevo quindi con la seconda versione corretta di essi e concludevo con la terza definitiva successione di storyboards pronti per la stampa. In questo caso svolgevo lo stesso ruolo del direttore della luce, del costumista,dello scenografo; davo un' immagine, un corpo al suo pensiero, ma sotto il suo più stretto controllo. Ho dovuto rifare molte volte dei lavori perchè Fellini era un perfezionista, non si accontentava di niente che non fosse quello

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Beh è nata, perché facevo fumetti erotici. Ciò che mi ha convinto a iniziare tale professione era stato appunto un fumetto erotico, “BARBARELLA”, il primo fumetto per adulti. Fu una specie di folgorazione, sapevo che era la mia strada. Ho iniziato tardi a disegnare, e l'argomento che mi interessava era l'erotismo; non interessava solo a me, ma a tutti quelli che conoscevo; c'è una frase splendida di un romanzo di Jhon le Carrè “beh io sono un maniaco sessuale come tutti”. Io disegnavo non solo le donnine, ma anche il contesto della storia, l'ambiente e anche i maschietti; cercavo di inserire un qualcosa che il lettore avrebbe ricordato ed evitare cosi la paura di dare loro una delusione. Comunque con il passare degli anni la mia stessa dimensione erotica è cambiata, è più contemplativa e meno fisica(Manara ce lo dice ridendo) Parlando di cinema, lei ha collaborato ad un progetto con Celentano, potrebbe dirci qualcosa in merito? Verissimo. Celentano ha in programma una serie di film di 30 minuti ciascuno in cui si affrontano i temi a lui più cari (come quello ecologico); il protagonista si chiama Adria, un ragazzo simile a quelli della via Gluck, ovvero ciò che sarebbe diventato Celentano se non fosse divenuto famoso. Il mio compito è disegnare e creare lo storyboard, l'impianto estetico. Un ulteriore lavoro che lei sta portando avanti è con con Valentino Rossi; di cosa trattava? Un giorno mi è arrivata una sua mail, ma io non l'ho presa in considerazione pensando che fosse un bontempone; trascorre un po’ di tempo e noto che lui insiste, così inizio a rispondere e mi dimostro interessato. Inizio a


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seguirlo, a partecipare alle sue corse, come quella a Valencia, a raccogliere un po’ di idee insieme a lui e a concretizzarle. L’ opera si intitola “46”, il protagonista chiaramente è Valentino Rossi, a cui si contrappone un antagonista, come da me suggerito, ovvero i mass media, i giornalisti, la tv, le riviste… insomma, tutto quell’ apparato di soggetti e professioni che ha il grande potere di creare e distruggere un mito. Nel particolare, è rappresentato da una catena televisiva che persegue lo scopo di creare il campione per eccellenza in seguito al prelievo del suo DNA. . incontrare i suoi grandi idoli, come Steve McQueen, gli ho detto anche che oltre a un protagonista aveva bisogno di un antagonista,ma non i suoi compagni, sarebbe stato brutto, se poi ci sono anche rivalità; allora gli ho suggerito la televisione, i media, i paparazzi, coloro, quell'apparato che può creare un mito come può distruggerlo. Poi ho proposto che una catena televisiva, voleva creare il campione per eccellenza, insomma prendevano il dna dei migliori, in questo caso nella moto il migliore è valentino, in questo caso anche la moto di Valentino può parlare e aiutarlo, poi ci sono molti altri personaggi. Si intitola “46” . Qual'è il genere di fumetto che adesso va di più tra quelli che ci sono in circolazione? Attualmente ve ne sono di diversi: l'horror lo splat, Dylan Dog, Martin Mistero, l'occulto

sono gli argomenti che vanno per la maggiore. Ha mai pensato di tornare sui suoi passi? Solo una volta, quando vi fu il cambiamento dal primo al secondo editore. Comunque è sempre stato quello che avrei voluto fare; ecco, se c’ è un consiglio che mi sento di dare a chi vuole intraprendere tale carriera è che deve essere una scelta sentita, non viverla come un hobby ma come una vera e propria professione. Essa infatti richiede molta esercitazione, impegno e costanza; io per esempio mi sento arrugginito se non disegno ogni 3-4 giorni. Le donne dei suoi fumetti sono persone che lei ha realmente incontrato o frutto della sua fantasia? Un pò tutti e due; chiaramente, mancando il fumetto di movimento e suoni, cerco sempre di caricare sull’impatto visivo, conferendo a queste figure femminili caratteristiche enfatizzate, vedi ad esempio i capelli voluminosi o le labbra carnose. Come vede lei la figura della donna? Sono stato criticato da dei gruppi femministi, tuttavia ricordo che l'erotismo non è solo per i maschi ma anche per le signore. È un ottica principalmente maschile, questo si, ma non posso fare altrimenti, essendo uomo anche io; non posso vedere dal punto di vista femminile, ma ciò non vuol dire che io non porti rispetto. La ringrazio infinitamente per la sua disponibilità alla rivista Sawari, il suo lavoro è di grande ispirazioni per molti giovani che non solo sono amanti dei fumetti,

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ma che vogliono anche iniziare una carriera in questo campo, grazie . Vi ringrazio. Chiudo dicendo che questo è un lavoro che richiede un gran sacrificio; non si può pretendere di essere già bravi; il disegno non deve essere l'ostacolo tra ciò che si vuole realizzare e la realtà, ma piuttosto la forza che ci spinge a dare il meglio. Grazie alla rivista Sawari e in bocca al lupo.

link

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www.milomanara.it/


Prospettive · Pazzia, Concetti e Sound Art · di Alessandra Trestini

Prospettive Pazzia, Concetti e Sound Art di ALessandra Trestini

Sarò sincera. Scopro che esiste una cosa chiamata sound art solo dopo 3 mesi dall’inizio del corso di Design all’Accademia di Belle Arti. Di fatto, a parole, la sound art è facile da spiegare. Basta cimentarsi appena un poco con l’inglese, tradurre, e il risultato è “arte del suono”. Ma attenzione, non fatevi ingannare. Ad un primo impatto si pensa alla musica come un insieme di note, spartiti, regole, brani, strumenti musicali. Sbagliato! Il termine sound art si riferisce invece all'oggetto usato per fare arte: il suono e non lo strumento musicale suonato dalle esperte mani di musicista. Il suono stesso produce e rappresenta arte, prende parte all’ambiente come quadro o statua o installazione, entra a fare

parte dell’arredamento. Esso da vita ad una performance artistica organizzata non da un musicista, bensì da un’ artista. E qui sta la mia grande rivelazione personale. “Art is everything!”. A questa frase, il mondo ha iniziato a girare. Da Vinci e il mio vicino di casa sono praticamente posti sullo stesso piano artistico. Ma cosa individua allora “qualsiasi cosa” come opera d’ arte? La risposta è: il concetto che si cela dietro, il messaggio che si vuole lanciare, il significato di cui è rivestita la “qualsiasi cosa”. Questo scardina completamente la definizione che noi tutti abbiamo

di artista: un soggetto dotato di capacità e doti straordinarie, dalla rara bravura. Una definizione che investe pochi eletti, molto selettiva. L’abilità manuale in questo modo risulta uno dei fattori discriminanti che la società richiede affinché possa esistere l’opera d’arte in senso classico e tradizionale. L’idea artistica di tipo concettuale che mi sembra di intravedere attraverso la mia esperienza del mondo della sound art è invece più solidale, democratica ed espressiva. Bando ai nuovi iper-tecnici, agli artisti cioè che per essere riconosciuti devono

Qualsiasi cosa che non rientri negli standard, nella normale omologazione, ci spaventa.

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Studio di Francis Bacon

vantare le abilità di Caravaggio o Tintoretto! Ogni suono/evento/ oggetto legato ad una nozione, ad un concetto, investito di un significato comunicativo è arte a livello potenziale. Un analogo ragionamento si può fare rispetto ai cosiddetti luoghi dell’arte. Di norma, la sede in cui sarà esposta l’opera é la galleria. Qualsiasi oggetto, attività, azione presentata al di fuori da queste quattro mura consacrate all’arte non è arte. La regola sociale impone che l’oggetto d’arte possa essere considerato tale solo se posto in galleria. Lì dentro tutto è arte. Là fuori è solo estro o pazzia. Per farvi un esempio: la stessa registrazione dell’urlo di una donna, se mandata in galleria, è apprezzata e accolta con tanto di salamelecchi; se questo viene invece fatto ascoltare in una piazza affollata di Verona, provoca caos e scompiglio a tal punto da fare arrivare incredule le forze dell’ordine. Per cui mi chiedo: abbiamo veramente legittimato l’arte? Affermiamo che siamo un popolo dall’elevata cultura, ricca di preziose testimonianze storiche, che vanta fra gli artisti più illuminati di tutti i tempi. Tuttavia ci perdiamo nel definire in rigidi confini sociale il concetto di arte, ancora troppo limitato e selettivo. Cos’è che non riconosciamo? L’arte o la pazzia? Io credo, a giusto dire, quest’ultima. Qualsiasi cosa che non rientri negli standard, nella normale omologazione, ci spaventa. Tanto che pretendiamo di inquadrare in severe regole anche la creatività, che poi altro non si nutre che di pazzia. Ci impegniamo per non ammettere l’esistenza di un binomio funzionale, le cui parti richiedono la reciproca presenza per poter esistere. Si pone allora il dubbio dell’uovo e della gallina.


Prospettive · Genius Loci · di Francesco Ronzon

Genius Loci Il senso dei luoghi in prospettiva antropologica di Francesco Ronzon

In uno dei suoi noti interventi artistici, Andy Goldsworthy, un esponente di punta della land-art, intreccia leggermente tra loro i rami e le foglie di alcune piante presenti nelle brughiere dell’Inghilterra del Nord creando un elegante gioco formale di linee, circoli e ondulazioni. L’obiettivo è quello di introdurre delle anomalie nel paesaggio naturale in modo tale da indirizzare l’attenzione delle persone verso il loro “intorno”, facendogli così prender coscienza di ciò che le circonda. In antropologia culturale, con l’espressione senso del luogo

si intende il legame esistente tra l’esperienza degli individui e gli ambienti all’interno dei quali si radicano le loro attività quotidiane. In un certo qual modo, l’aspetto spaziale dei fenomeni socioculturali è tema di interesse per gli antropologi sin dagli albori della disciplina. Studi di insediamenti tribali e società di villaggio hanno spesso incluso ampie descrizioni di paesaggi, architetture e ambienti

pubblici. Negli ultimi vent’anni anni, il parametro “spazio” è stato però reputato sempre più spesso un aspetto centrale per definire i modi attraverso i quali avviene la produzione e riproduzione delle forme culturali e delle strutture sociali. Anche i luoghi, in quest’ottica, sono stati teorizzati quindi non più come meri dati geografici ma come insiemi di elementi impiegati, mobilitati e “arruolati” dagli

L’intima e protratta relazione che emerge tra cose, persone e ambienti nel corso della vita quotidiana.

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Prospettive · Genius Loci · di Francesco Ronzon

Andy Goldsworthy, Sticks Framing a Lake

attori sociali come parte delle loro interazioni ed esperienze quotidiane. A partire da questa prospettiva, le ricerche antropologiche sul senso dei luoghi si sono articolate dunque toccando temi, aree e aspetti estremamente differenti tra loro. Ad esempio, John Gray ha studiato come le pratiche lavorative dei pastori scozzesi strutturano la loro esperienza delle colline e radicano in modo tacito e informale la loro identità locale. Keith Basso ha indagato presso gli indiani Apache le lezioni morali implicite nel sistema di metafore e narrazioni utilizzato

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per parlare dei luoghi culturali tradizionali. Stephen Feld ha analizzato il paesaggio sonoro dei Kaluli in Nuova Guinea rilevando l’elaborato e stratificato insieme di mitologie legato al mondo sonoro della locale foresta pluviale. Pierre Bourdieu ha messo a fuoco l’organizzazione delle case kabile (Marocco) rilevando come l’uso degli spazi interni segua e rinforzi le locali divisioni di genere. Barbara Bender ha esplorato le politiche e le strategie sviluppatesi nel corso degli anni attorno al complesso neolitico di Stonehenge sottolineando il ruolo svolto dal

potere nella strutturazione delle identità paesaggistiche. Abitare Una delle idee chiave per mettere a fuoco ciò che si intende per senso del luogo in antropologia culturale è la nozione di abitare. L’interesse delle scienze sociali per questo tema si lega di norma alle riflessioni del filosofo Martin Heidegger su come gli esseri umani siano imbricati nel mondo. Abitare in questo senso rimanda all’intima e protratta relazione che emerge tra cose, persone e ambienti nel corso della vita quotidiana. Harvey

prospettive


Prospettive · Genius Loci · di Francesco Ronzon

sintetizza il contributo della cioè che il cosiddetto paesaggio riflessione heideggeriana nei non entri mai a far parte della termini della sua enfasi sul come vita delle persone in modo ripetuti incontri e neutro e distaccato associazioni con ma attraverso che «Other maps certi ambienti l’esperienza che ne are such servano a costruire fanno le persone shapes, with una specifica agendo in un certo memoria e modo specifico al their islands attaccamento ad suo interno (inclusa and capes!» essi rendendoli la contemplazione (L. Carroll, familiari. In questa stessa come The Hunting accezione la tipo specifico di nozione risulta pratica storica of the Snark) quindi limitrofa ad e culturale). In altre idee come casa, natura, secondo luogo, la nozione di locale, tradizionale. Non a caso, abitare ha evidenziato il ruolo il passaggio di Heidegger più svolto dall’intorno materiale e citato per illustrare la nozione è la non-umano delle persone: cose, sua nota descrizione di una casa alberi, edifici, radure, colline, contadina posta armonicamente altri animali e così via. Come nella Foresta Nera. Solo qui sintetizzano i vari esponenti un abitare “autentico” sarebbe della cosiddetta A.N.T. (actionpossibile grazie allo stretto network theory), gli elementi nonrapporto tra natura, materialità umani rappresentano dei fattori della casa e azione lavorativa nei endogeni e non dei meri contorni campi. all’articolazione della vita sociale Come è noto, nella sua in quanto elementi che limitano, formulazione originale, la nozione agevolano, incanalano o rendono risulta piuttosto oscura e non possibile certi tipi di pratiche. priva di forti tinte reazionarie e In altre parole, senza cadere conservatrici. Nel suo impiego in un “animismo” ambientale, antropologico la nozione ha ciò che la nozione di abitare perso però le sue implicazioni vuole sottolineare è come normative ed è stata utilizzata l’analisi e l’interpretazione delle in senso ampio e neutro azioni quotidiane non possa esclusivamente per considerare in alcun modo prescindere dal l’insieme delle interazioni che considerare anche il ruolo, la legano tra loro gli esseri umani presenza e la funzione degli ed i loro ambienti di vita. Nello ambienti in relazione ai quali specifico, una volta emendata dai queste si esplicano e sviluppano. suoi intenti prescrittivi, la nozione ha introdotto in antropologia Dallo spazio ai luoghi culturale due importanti parametri Quanto illustrato nel paragrafo per l’analisi della vita sociale precedente rappresenta la tout court. In primo luogo ha base teorica per introdurre la posto l’attenzione sulla varietà, distinzione antropologicamente complessità ed eterogeneità centrale tra spazi e luoghi. La delle pratiche sociali in base nozione di spazio considera alle quali gli aspetti di un certo l’ambiente in senso neutro ed territorio sono inclusi e coinvolti astratto come un contenitore nell’esperienza umana. L’idea è all’interno del quale le attività

umane avevano luogo. L’implicazione di questa prospettiva è che gli eventi, le azioni e gli ambienti debbano essere trattati in modo separato. Uno spazio è qualcosa che può essere oggettivamente misurato in termini di geometria di scala come una superficie. Si tratta, quindi, di una dimensione universale, sempre e ovunque la stessa, dotata di un impatto analogo nonostante il mutare della storia e delle società. Gli individui si muoverebbero al suo interno e i loro movimenti potrebbero al più incontrare ostacoli limitanti le loro potenzialità umane. Ma anche in questo caso, gli effetti delle distanze e i vantaggi offerti da certi siti possono essere specificate in modo chiari lungo una unica scala di misura. In breve, sarebbero la matematica e, eventualmente, le simulazioni informatiche i linguaggi utili a svelare il lato spaziale degli affari umani. Una volta separato dalla società lo spazio risulta infatti una dimensione unitaria ideale per un’analisi sistematica e quantitativa in quanto resta sempre uguale a se stesso. Lo spazio neolitico è il medesimo di quello vittoriano, quello di Parigi è il medesimo di Calcutta. L’attrazione di questa prospettiva è, senza dubbio, la sua semplicità e la sua potenzialità nel promuovere studi comparativi sull’organizzazione dei siti, degli artefatti, delle popolazioni e dei flussi di informazioni attraverso aree e regioni. Tutti questi dati possono essere inscritti facilmente in una mappa e le loro distanze misurate e espresse secondo la stessa rigorosa scala quantitativa. La nozione di luogo vuole

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Prospettive · Genius Loci · di Francesco Ronzon

introdurre nel dibattito un punto di vista alternativo. L’interesse per questo tema fa il suo ingresso in antropologia culturale negli anni ‘90 sull’onda di vari stimoli offerti a partire dagli anni’70 dall’archeologia e dalla geografia umana. In breve potremmo definire un luogo come uno spazio abitato. In questa prospettiva l’ambiente è considerato cioè come un mezzo e un risultato di azioni e non come un mero contenitore di azioni, qualcosa che ne è intimamente coinvolto e che non può essere separato da esse. Non vi è dunque un luogo che possa esistere separato dagli eventi e dalle attività sociali che in relazione ad esso si svolgono. Ciò implica virare l’idea unitaria e universalista di spazio in senso storico, plurale e relativista. I luoghi sono cioè oggetti socioculturalmente prodotti e differenti gruppi sociali in epoche differenti possono dar vita a luoghi differenti. Un luogo specifico è tale in virtù dei modi con i quali i suoi aspetti materiali si intrecciano all’esperienza delle persone: il corpo, le azioni, le emozioni, i significati, i movimenti. I luoghi, in quanto prodotti dall’agire delle persone che li abitano sono anche sempre passibili di mutamento poiché la loro costruzione è parte delle attività pratiche quotidiane dei vari gruppi sociali. In altre parole, un luogo è un fenomeno relazionale. Ben lungi dall’avere una sua essenza sostanziale, quest’ultimo emerge dal legame con le varie e differenti esperienze culturali in esso implicate e ad esso agganciate. Ciò che un luogo è dipende da chi ne sta facendo esperienza in un certo istante e questa esperienza non è

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mai neutra ma risulta sempre articolata in base agli usi, alle infrastrutture, alle relazioni di potere, alle differenze sociali (età, classe, genere, biografia) di cui il soggetto e il suo gruppo sociale sono portatori. Inoltre, poiché i luoghi possono essere esperiti in modi differenti, questi possono anche dar vita a strategie, conflitti e negoziazioni per o tramite loro. Infine, le specificità di un certo senso del luogo risultano

Palacio de Cristal, Andy Goldsworthy

inestricabilmente legate anche al fattore tempo: un certo senso del luogo emerge, viene riprodotto e si trasforma costantemente. Il mondo esterno non è un unico luogo ma un intreccio di luoghi mutevoli e sovrapposti. Ogni individuo si intreccia e si relaziona all’ambiente esterno a partire dalle norme, i valori, le pratiche e le ideologie che formano il tessuto della sua esperienza socio-culturale.


Prospettive · Illusioni interattive · di Nicolò Tedeschi

Mi sveglio tra mancanza e pienezza

di Benedetta Dakota Taddei

Foto di Benedetta Dakota Taddei, Ragazza con tv e pc

"Mi sveglio. Chissà perché. c'è come una sensazione di mancanza e pienezza allo stesso tempo che mi pervade. mi sento carica e spenta insieme. C'è qualcosa che da dentro di me spinge e mi trascina fuori dal letto. penso e ripenso a cosa può essere. il mio migliore amico digitale dallo schermo luminoso mi aiuterà. accendo, cerco, guardo e seleziono alcuni scatti di alcuni giorni fa. Ci sono diversi soggetti ed alcuni di essi sembrano quasi parlare. Si muovono, interagiscono e animano quel piccolo angolo di mondo nei quali li ho voluti catturare. C'è chi vive sereno, chi

è pensieroso, chi cammina 10 metri sopra la terra, chi profuma, chi vive d'Artista o un'amore, chi protesta, chi si annoia, chi ha e avrà sempre cinque anni, chi suona o canta e anche chi è incazzato nero… E così capisco! capisco il motivo, per il quale nasce la fotografia o detto in modo più romantico il motivo per il quale nascono nuovi artisti in grado di dipingere con la luce!- INFORMARE l'osservatore di che diavolo di pensiero stava passando per la testa, in quel momento, sia a chi scattava la foto e sia al soggetto che animava quel sentimento. DENUNCIARE

uno stato d'animo! immortalare quel preciso pezzo d'anima ribelle che, già un giorno, un'ora o un istante dopo, non esiste più!. TRASMETTERE un concetto ben chiaro, sia che esso sia infinito o una semplice frase! descrivere sentimenti gioiosi, ma anche disagi psico-sociali… INFORMARE. Ed è così che io respiro, osservo e catturo il mondo con la mia fotocamera, cercando d'INFORMARE gli altri su cosa batte dentro dei cuori profondi, DENUNCIANDO ciò che crea e mi crea disagio e TRASMETTENDO tutto questo in modo più efficace possibile."

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Io, la penso così! · Mi piace · di Alessandro Antonello

Io, la penso così! Mi piace da Cantici di paure mai dette di Alessandro Antonello Nudo, da Cantici di paure mai dette di Alessandro Antonello devastato dall’attenzione. spronato e obbligato a dimostrare qualcosa per valere, per forza qualcosa. Punto dall’occhio che addita, convivente con l’occhio del giudizio. Nudo, ormai senza più nessuna cerniera, ne carriera striscio in nessuno spazio da colmare; da far andare, nessun ingranaggio osservo solo le alte sfere, tra la nebbia, sembran quasi DEI. Già da un pezzo, solo oggetto. creato solo per giudizio senza una funzione.. un orgasmo, un coito puramente materico un aborto. precaria la vista precario il ruolo fallo vedere per forza, il nulla, condividi il vuoto, e postami un voto. spronati ad esser visti, per non sentirsi soli in una apparente chiesa di solidarietà mi piace, gefällt mir, i like it. anche se il vuoto è dentro ...anche se troppo colmo è fuori.

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Illustrazione di Omar Pizzoli


Io, la penso cos矛 路 Studenti 路 di Michela Meneguzzi

Studenti di Michela Meneguzzi

In una personale parodia Michela, stuentessa di pittura, interpreta ironicamente lo stereotipo dello studente in relazione ai diversi corsi.

PITTURA

DESIGN

DECORAZIONE

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Io, la penso cos矛 路 Studenti 路 di Michela Meneguzzi

RESTAURO

SCENOGRAFIA

SCULTURA

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io, la penso cos矛


In trincea · a "fare arte" in accademia · di Francesca Demetz

in

Trincea Maestra, maestra, ci porti

a “fare arte” in accademia? Maestra, maestra, ci porti a “fare arte” in accademia? Se da piccola le mie maestre (anzi la mia maestra, perché ai miei tempi, negli anni ’80 del secolo scorso, la maestra era unica) mi avessero portata in un’accademia di belle arti per partecipare ad un atelier creativo tenuto da “maestre” che quell’accademia l’avevano frequentata davvero e in cui avrei condiviso spazi, tecniche artistiche e attrezzature con gli altri studenti “veri” per “fare arte” insieme a loro, beh, penso che avrei scelto con determinazione ancora maggiore di quella che già mi alimentava la strada che mi prefiguravo per me, piccola Heidi nata e cresciuta sui monti del Tirolo (Selva di Val Gardena, in provincia di Bolzano): scuola d’arte, accademia di belle arti e poi… camionista!

di Francesca Demetz

Già, i miei progetti di vita prevedevano questa scalata. Poi le cose sono andate un po’ diversamente, infatti camionista non lo sono mica diventata… per ora! Però agli atelier ho partecipato veramente, solo stando dall’altra parte della “cattedra”. La mia esperienza come studentessa con gli atelier proposti dall’Accademia di Belle Arti di Verona è iniziata nel 2009, seguendo il corso di “Pedagogia e didattica dell’arte”. Avevo sentito parlare anche in precedenza di questi laboratori da chi aveva seguito questo corso negli anni prima del mio ma devo ammettere che non mi erano mai interessati più di tanto, forse perché ero troppo presa a stare al passo con tutti gli altri corsi. Quando però, già alla prima lezione, la professoressa Elena Tonin ci ha illustrato una lunga serie di

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In trincea · a "fare arte" in accademia · di Francesca Demetz

slide contenenti fotografie scattate ai bambini che negli ultimi anni avevano preso parte a questi incontri (il cui totale ammonta oggi a 1150), ho trovato subito questa iniziativa un’ottima occasione per fare qualcosa che uscisse un po’ dai soliti parametri a cui si è normalmente abituati in un’accademia. Era infatti una buona possibilità non solo per mettere le conoscenze artistiche fino ad allora apprese a disposizione dei bambini ma anche per sondare direttamente sul campo quello che sarebbe potuto diventare in futuro un possibile lavoro: “operatrice didattica”, che non è quella col camice bianco, la mascherina e gli zoccoletti verdi! Questa figura professionale si occupa di progettare e condurre laboratori didattici con bambini di diverse fasce d’età. Non è che io mi vedessi già in questa veste, però mi è piaciuta subito già solo l’idea di lavorare temporaneamente insieme a dei bambini all’interno dell’accademia. Mano a mano che il corso proseguiva la docente ci metteva al corrente delle vicende che avevano portato l’accademia ad ospitare i bambini delle scuole di Verona e provincia all’interno delle proprie aule e per i quali lei non era l’unica referente: a fianco del corso di “Pedagogia e didattica dell’arte” figurano infatti i corsi di “Anatomia artistica” e di “Tecniche dell’incisione” (con i relativi professori Franco Spaliviero e Francesco Avesani). Il tutto è iniziato nel 2003, quando l’accademia ha iniziato a progettare e a condurre, fino al 2007, i laboratori didattici tenuti nell’ambito della mostra internazionale di illustrazione per l’infanzia "Le immagini della fantasia". Tornando alla mia personale esperienza, da quell’anno il corso non prevedeva soltanto la

il colore è emozione, sentimento e proiezione del proprio modo di essere!

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partecipazione alle ore teoriche ma anche a quelle pratiche per progettare, organizzare e svolgere gli atelier (che erano principalmente inseriti nelle due ore assegnate al corso). Ovviamente (e per fortuna) non era tutto nelle mani di noi studenti imberbi. A capo delle operazioni e a fianco dei docenti Tonin, Spaliviero e Avesani c’erano e ci sono ancora due ragazze diplomate in accademia qualche anno fa: Marta Ciresa e Saba Ferrari. Sono vere e proprie professioniste del settore, che hanno al loro attivo una lunga e articolata esperienza in questo campo. Grazie alla loro professionalità e alla sapiente orchestrazione dei docenti referenti, l’impresa di affrontare il fitto calendario di appuntamenti con le scuole in programma si prefigurava meno ardua. Nessuno di noi studenti aveva infatti alcuna esperienza in questo campo. Al primo incontro il nostro ruolo doveva essere solo quello di osservare e di prendere appunti sul modus operandi di Marta e di Saba, incentrato sullo stimolare un ‘fare’ sostenuto


In trincea · a "fare arte" in accademia · di Francesca Demetz

dalle idee (spunti narrativi, culturali e artistici) ma anche dalle tecniche e dai materiali specificatamente scelti. Negli incontri successivi la nostra iniziale inesperienza è diminuita a favore di una crescente dimestichezza coi bambini: l’esempio di Marta e Saba è stato determinante per noi. Gli atelier proposti in quell’anno accademico, l’a.a. 2009/2010, erano tre: L’Officina dei Colori, Le carte di Munari e Impressioni artiche: l’immaginario Inuit in forma di libro. Nei due anni successivi ho continuato a parteciparvi: pur avendo già superato l’esame di “Pedagogia e didattica dell’arte” mi interessava comunque proseguire per maturare quell’esperienza che mi ha poi permesso di avere un curriculum che è stato selezionato da un’associazione onlus internazionale per la quale lavoro attualmente

come, appunto, operatrice didattica. L’offerta didattica è da allora aumentata e oggi gli atelier proposti alle scuole sono sei (oltre a quelli citati prima ci sono I racconti degli alberi, Il libro recuperato: un atelier creativo sul libro d’artista e Nella giungla di Emilio S.). Durante gli incontri i bambini possono sperimentare diverse tecniche artistiche ed acquisire regole di composizione che applicheranno nella realizzazione di elaborati caratterizzati dall’intenzionalità per promuovere, come obiettivo educativo, lo sviluppo della loro creatività. Dopo una lezione dialogata, necessaria per trasmettere ai bambini i contenuti degli atelier, c’è la parte laboratoriale, durante la quale essi possono sperimentare tecniche pittoriche (produzione e uso di acquerelli, tempere, tempera all’uovo, acrilici, gessetti), stampa di monotipi col torchio calcografico, produzione di fogli di carta fatta a mano e collage. Queste sono solo alcune delle possibilità che l’accademia offre ai bambini. Gli studenti che vi partecipano oggi non possono fare riferimento al corso di “Pedagogia e didattica dell’arte”, visto che questo non è purtroppo per ora presente nell’offerta formativa dell’accademia. Seguendo però le indicazioni del professor Spaliviero, di Marta e di Saba riescono comunque ad adempiere brillantemente al loro ruolo, che è fondamentalmente quello di collaborare nelle

il colore è emozione, sentimento e proiezione del proprio modo essere!Rument, qui ius eos qui ius eos

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In trincea · a "fare arte" in accademia · di Francesca Demetz

diverse fasi che caratterizzano la realizzazione di un atelier didattico: si contribuisce alla preparazione dei materiali necessari, all’allestimento degli spazi e alla gestione dei bambini durante gli incontri, affiancandosi a loro senza però mai essere troppo invasivi ma lasciando invece che possano sperimentare liberamente quanto proposto in base alle loro intuizioni personali. Per gli studenti più motivati c’è anche la possibilità di condurre in prima persona l’incontro: si tratta in pratica di raccontare ai bambini, nella prima fase del laboratorio, i contenuti relativi ad ogni atelier e di spiegare loro cosa dovranno fare in seguito. Detta così sembra una cosa semplice ma vi assicuro che riuscire a catturare l’attenzione dei bambini di oggi, normalmente iperstimolati dai media, non è un’impresa facile. Una volta incanalato però il loro interesse in ciò che si sta proponendo loro, le soddisfazioni che ne conseguono sono molteplici e, sostenendoli da vicino nella scoperta di cose a molti di loro sconosciute fino al momento di mettere piede in accademia, si potrà godere del loro entusiasmo contagioso e trovare profonda gratificazione negli ampi e sinceri sorrisi di riconoscenza che ci rivolgono (per non parlare di quando, soprattutto le bambine, vi si lanciano addosso a orde per riempirvi di baci!). L’accademia suscita nei bambini grande curiosità e stupore (soprattutto quando, entrando nell’aula di anatomia, vedono lo scheletro, che Marta e Saba hanno scherzosamente battezzato col nome Ugo) e lavorare in un ambiente tanto diverso dalla loro scuola o dalla loro casa li affascina molto. Le nozioni artistiche e tecniche acquisite dagli studenti negli altri corsi proposti dall’accademia permettono loro di aiutare i bambini ad apprendere concetti nuovi tramite modalità mirate e coerenti col risultato che si voleva ottenere: promuovere cioè un virtuoso legame tra “sapere”, “saper fare” e “saper insegnare a fare”. Gli atelier didattici per le scuole proposti dall’accademia sono una grande opportunità che gli studenti hanno per utilizzare (divertendosi!) parte delle nozioni apprese dai docenti riportandole a dei bambini in un contesto che potrebbe rappresentare l’anticamera di un lavoro futuro.

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Ulteriori informazioni sulle altre e numerose iniziative portate a termine.

link www.accademiabelleartiverona.it/atelier-creativi-per-le-scuole/


In trincea · Verona Risuona · di Claudia Comunian e Cristina Murari

Verona Risuona

riconversione sonora di spazi urbani

Claudia Comunian & Cristina Murari

Sabato 26 maggio 2012, per le vie e le piazze di Verona si è svolto l'evento promosso dal Conservatorio di musica dall’Abaco di Verona e dall'Accademia di Musica e teatro di Goteborg (Svezia), In collaborazione con l'Accademia di Belle Arti di Verona. "Verona Risuona" é un percorso sonoro tra i luoghi più suggestivi del centro storico, durante il quale si può assistere e partecipare a concerti di insoliti strumenti, azioni coreografiche estemporanee ed installazioni sonore interattive. Gli obiettivi del progetto sono avvicinare la musica d'avanguardia al pubblico cittadino, fare in modo che persone provenienti da diverse realtà collaborino come artisti con la possibilità di uscire dalle sale da concerto, teatri, atelier, ecc. per entrare nel tessuto urbano. L'evento fu proposto per la prima volta cinque anni fa nella città di Verona, riscuotendo un notevole successo. L'ultimo

L'utilizzo musicale di tutti gli oggetti possibili, per realizzare performances in luoghi quotidiani, che consistono in azioni collettive e condivise.

appuntamento ha coinvolto non solo gli studenti accademici, ma ha dato la possibilità a tutti di provare una nuova esperienza e di conoscere il mondo della Sound Art. Staffan Mossenmark docente di Sound Art all'Università di Göteborg, studia l'utilizzo musicale di tutti gli oggetti possibili, per realizzare performances in luoghi quotidiani e che consistono in azioni collettive e condivise. Il compositore e sound-artist svedese Ë noto per l'ideazione di eventi e situazioni che indagano il comportamento delle persone messe a contatto con il mondo sonoro del quotidiano; le sue composizioni, già eseguite con grande successo di media in alcune grandi città europee, ma anche negli Stati Uniti, in Canada, Giappone, Australia e Cina, sono vere e proprie performances artisticosonore: ricordiamo lavori come Ozon II ( musica diffusa dagli altoparlanti di 24 furgoncini dei gelati), FÂn (coro per sonerie di telefoni cellulari), Iron (con culturisti che trascinano al suolo rumorosi tondini di ferro), Wroom (partitura eseguita da 100 motociclette HarleyDavidson). "Fare musica" e "far fare musica". è svincolarsi dallo

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In trincea · Verona Risuona · di Claudia Comunian e Cristina Murari

spartito muovendosi verso il gestuale e l'improvvisazione controllata, esplorando così le infinite possibilià del linguaggio musicale. Legato all'eredità del movimento Fluxus, il lavoro utilizza suoni e installazioni come risorse concettuali per far riflettere su temi e questioni della vita sociale contemporanea. Il tema dell'edizione del 2012, era quello della mobilità, con lo scopo di dare un nuovo sound a Verona. Nei vari punti della città, turisti e passanti hanno incontrato i gruppi che proponevano le loro performance attraverso la musica, la danza, la poesia ed il colore. Le esibizioni proposte sono state:

LABORATORIO LOW-FI FAI-DA-TE (Christian Skj¯dt, Aalborg); con un mix di cavi, altoparlanti, pile, ecc. ogni studente si è costruito il proprio strumento elettroacustico allíinterno di una scatola da sigari prendendo ispirazione dal lavoro del sound artist Christian Skj¯dt; LABORATORIO IMPROVVISAZIONE ñ METODO SPAHLINGER (Robin Hoffmann, Francoforte); il laboratorio, basato su concetti elaborati dal compositore Mathias Spahlinger, presenta due filoni principali: le pulsazioni ritmiche e secche ed i suoni prolungati; POESIE IN MOVIMENTO (Gruppo Poetria); un gruppo veronese di appassionati di poesia si sono impegnati nella lettura di versi accompagnati da musica dal vivo; SKATEBOARD SONORI (La Ghigliottina); gli skateboard come fenomeno sonoro, come solisti, come accompagnatori di poesie e musiche facevano da sottofondo ad un gruppo musicale; ENSEMBLE VOCALI, STRUMENTALI E PITTORICI; come di consueto Verona Risuona ospiterà una serie di gruppi con competenze fra le più variegate. Erano presenti: il coro dei commercialisti (dellíAccademia di Alta Formazione), il duo indiano, il gruppo di pittura istantanea ed un flashmob (Accademia di Belle Arti di

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in trincea


In trincea · Verona Risuona · di Claudia Comunian e Cristina Murari

Verona) Gli studenti del corso di pittura hanno realizzato in zona Portoni Borsari uno spazio per dipingere. Posando a terra un lungo telo bianco, pennelli e colori a disposizione di chiunque volesse liberare la sua fantasia, è stato realizzato un originale disegno collettivo. Un gruppo di studentesse del corso di Design dell'Accademia hanno organizzato un flashmob in stile americano con l'aggiunta di un pizzico di colore. Questa performance è stata divisa in due parti, realizzata in due spazi nella via principale dello shopping veronese (via Mazzini); nella prima parte le ragazze dell'accademia hanno usanto i tre colori primari per dipingersi a vicenda a ritmo di musica, creando poi una coreografia musicale proposta e seguita da tutti i partecipanti. L'evento è stato riproposto anche quest'anno nelle vie di Verona con l'invito rivolto a tutti, cittadini e studenti che intendono partecipare all'evento possono proporre i progetti sul blog www.veronarisuona.it a seguito di un'analisi delle proposte sarà stilato un programma che verrà realizzato in diversi spazi del centro cittadino veronese.

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Janus Intervista doppia:

di Alessia Dorigoni

Ferdinand Victor Eugène Delacroix & Jean-Auguste-Dominique Ingres Eugène Delacroix

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Dominique Ingres


Janus · Intervista doppia a Delacroix & Ingres · di Alessia Dorigoni

PERCHE’ FAI ARTE?

Delacroix Chi dice arte dice poesia. Non c'è arte senza intenzione poetica. Il piacere provocato da un quadro è completamente diverso dal piacere di un'opera letteraria. C'è un tipo di emozione che appartiene solo alla pittura; nient'altro può darne l'idea. C'è un'impressione che nasce dall'armonia di colori luci, ombre... La potremmo chiamare la musica del quadro. Prima ancora di sapere cosa il quadro rappresenti, entrate in una cattedrale e siete ancora troppo distanti dal quadro per vedere cosa rappresenti, e spesso siete conquistati da quel magico accordo. È qui la vera superiorità della pittura sulle altre arti, perché questa emozione si rivolge alla parte più intima dell'anima. Muove sentimenti che le parole esprimono solo in un modo vago e che ognuno, seguendo la propria personalità, intende in modo diverso, mentre la pittura vi afferra direttamente. Come una maga potente essa vi fa salire sulle sue ali e vi trasporta in volo.

Ingress Credo di aver dimostrato con i miei quadri che la mia unica ambizione è di essere come gli antichi e di riprendere l'arte dal punto in cui loro l'hanno lasciata. Ormai da tempo le mie opere riconoscono solo la disciplina degli antichi, dei grandi maestri del secolo di gloriosa memoria in cui Raffaello fissò i confini eterni e indiscutibili del sublime in arte. Sono dunque un conservatore delle buone teorie, non un innovatore. Ma non sono nemmeno, come sostengono i miei detrattori, un pedissequo imitatore delle scuole del Trecento e del Quattrocento, anche se so farne tesoro più di quanto essi non capiscano. Non bisogna pensare che l'amore esclusivo che ho per Raffaello mi induca a scimmiottarlo: cosa del resto difficile, per non dire impossibile. Credo di essere originale imitando. E poi, chi dei grandi non ha imitato? Dal nulla non si crea nulla, mentre approfondendo le scoperte degli altri se ne fanno di buone. Gli uomini che coltivano le lettere e le arti sono tutti figli di Omero.

QUANTO E’ IMPORTANTE LA LUCE ?

Delacroix La luce è pittura. Ho potuto elaborare una legge che opera sempre in natura. Come un piano è formato da piccoli piani, e un'onda di piccole onde, anche la luce si modifica e si scompone sugli oggetti nello stesso modo. La legge scompositiva più evidente è quella che mi ha colpito per prima, essendo la più generale, sulla lucentezza degli oggetti. In questi oggetti ho maggiormente notato la presenza di tre colori riuniti: una corazza, un diamante, ecc. Ho scoperto un giorno, con un esempio evidente, che l'ombra è viola e il riflesso verde. Le ombre portate evidentemente viola e i riflessi sempre verdi, con la stessa evidenza. Si trovano poi alcuni oggetti, come stoffe o biancheria, certi elementi del paesaggio, soprattutto il mare, in cui questo effetto è molto marcato. Non ho tardato molto a constatare che sulla pelle questa presenza è impressionante. Insomma, sono arrivato a persuadermi che non esiste niente in cui non siano presenti questi tre colori. In effetti quando scopro che

Ingress In un quadro la luce deve cadere in un punto, su cui va attirata l'attenzione dello spettatore. Lo stesso accade in una figura dove l'effetto deve irraggiare da un punto centrale: questo stabilisce le gradazioni. Per la forma occorre anche che un grande frammento catturi subito lo sguardo dominando il resto: questo è uno dei principali elementi del carattere nel disegno. I pittori sbagliano molto, quando nei quadri impiegano sconsideratamente troppo bianco, che poi devono smorzare e diluire. Il bianco va riservato per quelle occasioni di luce,

I pittori sbagliano molto, quando nei quadri impiegano troppo bianco, va riservato per quelle occasioni di luce, per quei bagliori...

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Janus · Intervista doppia a Delacroix & Ingres · di Alessia Dorigoni

la biancheria ha l'ombra viola e il riflesso verde, dovrei concludere che presenta solo due colori? Non c'è necessariamente anche l'arancione, dato che nel verde si trova il giallo e nel viola si trova il rosso? Ho dipinto per tutta la vita della biancheria dal colore abbastanza vero. Ecco delle scoperte di cui uno studioso potrebbe essere fiero; io lo sono maggiormente per aver fatto dei quadri con un buon colore prima di essermi reso conto di queste leggi.

per quei bagliori che determinano l'effetto del quadro. Diceva Tiziano che c'era da augurarsi che il bianco costasse caro come l'oltremare, e Zeusi, che era il Tiziano antico, rimproverava chi non sapeva quanto è nocivo l'eccesso in questo caso. Niente è bianco nei corpi animati niente è totalmente bianco; tutto e relativo. Provate a mettere un foglio di carta vicino a queste donne splendenti di bianchezza.

IL COLORE NELLA PITTURA

Delacroix Abbiamo ragione di pensare che i grandi artisti di tutti i tempi non si siano mai arrestati di fronte alla distinzione tra colore e disegno. Il colore e il disegno erano gli elementi di cui dovevano servirsi e quindi non hanno mai cercato di far prevalere l'uno o l'altro. Questa stessa tendenza li ha condotti inconsapevolmente a valorizzare certe doti particolari. È logico supporre di poter trovare in pittura un capolavoro che non sia in parte una sintesi delle qualità essenziali di quest’arte? De Piles spiega gravemente nel suo famoso “Bilancio dei pittori”, le diverse dosi di colore e di disegno presenti nell'ingegno di ogni artista celebre. In nessuno trova la perfezione, ma poiché considera 20 il grado massimo, assegna a Raffaello, per esempio, solo 18 in disegno, mentre accorda un 19 a Michelangelo. Al contrario i Tiziano e i Rubens, a cui riconosce generosamente il colore, presentano una notevole lacuna dal punto di vista del disegno: si stabilisce in qualche modo l'attivo e il passivo degli ingegni. Che piacevole chimica, questa che analizza cosi i grandi uomini! Che piacevole scoperta quella che permetterebbe anche di ricrearli come piace alla critica, per esempio togliendo a Michelangelo una parte del disegno sovrabbondante che lo soffoca, per donarlo al povero Rubens che nuota nel troppo colore! Che peccato che il filosofo veda i contorni del Correggio perdersi nel chiaroscuro in cui si avvolge ed è maestro, mentre Poussin che muore di scienza compositiva e avrebbe da venderne a dieci pittori, teme la povertà del suo chiaroscuro! Il bravo Piles sembra

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Ingress Tiziano è il colore vero, la natura senza eccessi, senza bagliori forzati! Il colore giusto. Rubens e Van Dyck possono piacere allo sguardo, ma lo ingannano; appartengono a una cattiva scuola di coloristi, la scuola della menzogna. Niente colori troppo infuocati: sono antistorici. Andate sul grigio, piuttosto che sull'infuocato, se non potete fare giusto, se non potete trovare il tono vero. Il tono storico lascia lo spirito tranquillo. Non puntate su questa cosa più che su altre. L'essenziale del colore non è l'insieme delle masse chiare o scure del quadro, ma la distinzione precisa del tono di ogni oggetto. In un'ombra di contorno non bisogna mettere la tinta accanto al tratto, bisogna metterla sul tratto. I sottili riflessi nell'ombra, i riflessi che seguono i contorni non sono degni della maestà dell’ arte. La qualità di «staccare» gli oggetti in pittura (che per molti è tanto importante) non era tra quelle su cui Tiziano, peraltro il colorista più grande di tutti, aveva fissato maggiormente l'attenzione. Solo certi minori l'hanno considerata il pregio essenziale della pittura; e così pensa quel branco di amatori che invariabilmente appaiono soddisfatti e incantati quando vedono in un quadro una figura e dicono: «Sembra di poterle girare intorno».


Janus · Intervista doppia a Delacroix & Ingres · di Alessia Dorigoni

convinto che con la buona volontà e qualche sforzo tutti questi uomini importanti avrebbero ristabilito l'equilibrio tra le qualità che egli stima, avvicinandosi molto di più secondo lui, alla vera bellezza. Ogni grande pittore si è servito del colore o del disegno che più gli piaceva, e che soprattutto dava all'opera quella qualità suprema di cui le scuole non parlano, e che non possono Insegnare: la poesia della forma e del colore.

«Il disegno: i tre quarti e mezzo di ciò che costituisce la pittura.» Ingres

CHE RUOLO HA IL DISEGNO PER IL LAVORO DEL PITTORE ?

Delacroix In ogni oggetto la prima cosa da capire e da disegnare è il contrasto delle linee principali; prima di posare la matita sulla carta, deve averci colpito con forza. In Girodet, per esempio, questo contrasto si trova solo in parte nelle sue opere, perché a forza di protendersi sul modello, ha colto di straforo qualcosa della sua grazia, ma come per caso. Non riconosceva il principio, pur applicandolo. mi sembra il solo che l'abbia compreso e realizzato; il segreto del suo disegno è tutto qui; la cosa più difficile è applicarlo come lui all'intero corpo. Ingres è riuscito a farlo nei particolari delle mani, e senza artifici per aiutare l'occhio; sarebbe impossibile arrivarci per mezzo di accorgimenti, come prolungare una linea e disegnare spesso in trasparenza. In pittura, come in ogni altra cosa, i pedanti, quelli che affettano certe qualità, sono scambiati per quelli che le hanno. C'è una massa di pittori che con i loro contorni leziosi, il disegno sicuro all'eccesso, passano per disegnatori. Rembrandt, Murillo, divino Rubens, voi per il popolo non siete disegnatori!

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«Non è al momento dell'esecuzione che bisogna irrigidirsi nello studio di misure, equilibri, ecc. Bisogna essere già in possesso di quella precisione»

Ingress Il disegno è l’espressione, la forma interna, il piano, il modellato. Se dovessi mettere un cartello sulla mia porta, scriverei: Scuola di disegno. Sono sicuro che formerei dei pittori. Studiando la natura, inizialmente dovete guardare solo l'insieme. Interrogatelo, interrogate solo lui. I particolari sono piccoli presuntuosi che devono stare al loro posto. La forma deve essere ampia, sempre ampia! La forma è il fondamento e la condizione di tutto: anche il fumo va espresso col tratto. Guardate i rapporti di proporzione nel modello: lì sta tutto il carattere. Vi devono colpire vividamente, e vividamente dovete rappresentare queste grandezze relative. Se invece di seguire questo metodo, andate a tentoni, se cercate sulla carta, non farete niente di buono. Dovete avere tutta intera, negli occhi e nella mente, la figura che volete rappresentare; l'esecuzione dev'essere la realizzazione di questa immagine posseduta e preconcetta. Quando le grandi linee non comprendono già il carattere, riusciamo a produrre solo vaghe rassomiglianze. Nella costruzione di una figura non procedete a frammenti. Eseguite tutto nello stesso tempo e, come si dice ottimamente, disegnate «l'insieme». Noi non procediamo materialmente come gli scultori, ma dobbiamo fare della pittura scultorea. Disegnate molto, prima di pensare a dipingere. Quando si costruisce su solide fondamenta, si dorme tranquilli. L'espressione in pittura esige una conoscenza molto approfondita del disegno, perché non può essere buona se non è formulata con assoluta precisione. Individuarla solo in parte significa sbagliarla: è come rappresentare persone false che cercano di simulare dei sentimenti che non provano. A questa estrema precisione si giunge solo con una profonda intelligenza del disegno. Per questo i pittori di espressione moderni sono stati i più grandi disegnatori. Guardate Raffaello!


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QUALE SPAZIO VA DATO ALLO STUDIO DELL’ANATOMIA ?

Delacroix Le leggi della ragione e del buon gusto sono eterne, e i geni non hanno bisogno che gliele si insegnino. Ma niente è loro più fatale delle pretese regole, maniere, convenzioni che trovano fissate a scuola, o perfino del fascino che possono provare per metodi esecutivi non conformi al loro modo di sentire e rappresentare la natura. Non è al momento dell'esecuzione che bisogna irrigidirsi nello studio di misure, equilibri, ecc. Bisogna essere già in possesso di quella precisione che, di fronte alla natura, aiuterà spontaneamente il bisogno impetuoso di rappresentarla - anche Wilkie sa questo segreto – nella posizione indispensabile. Quando, per esempio, si sono fatte delle composizioni con tanta perizia da riconoscere, per così dire, le linee a memoria, si potrebbe in qualche modo riprodurle geometricamente sul quadro. Soprattutto nei ritratti femminili, è necessario cominciare dalla grazia dell'insieme. Se cominciate dai particolari sarete sempre grevi. Tutti gli altri pittori, non eccettuati Michelangelo e Raffaello, hanno disegnato d'istinto, con foga, e hanno trovato la grazia a forza di essere colpiti dalle proporzioni e dalle misure del corpo per poi saperle abbandonare e studiare il singolo caso.

Ingres Voglio che conosciate bene lo scheletro, perché le ossa formano l'impalcatura del corpo di cui determinano le misure, e sono dei continui punti di riferimento per il disegno. La conoscenza anatomica dei muscoli mi interessa meno. In questo caso troppa scienza nuoce alla sincerità del disegno e può distogliere dall’espressione caratteristica, suggerendo un’ immagine banale della forma. Bisogna però rendersi conto dell'ordine e della disposizione relativa dei muscoli, per evitare anche qui errori di costruzione. Sono tutti miei amici questi muscoli, ma non ne conosco nessuno per nome.

L'arte vive di pensieri elevati e di nobili passioni: carattere, calore! Non si muore di caldo, si muore di freddo. Studiare il bello solo in ginocchio.

QUAL E’ SECONDO TE LA SITUAZIONE IDEALE DI LAVORO?

Delacroix Si vuole godere di tutto, e non si sa godere di se stessi. Medita queste parole. Quando non sai godere di te stesso è come se tu fossi estraneo a te stesso. Forse solo in solitudine si può veramente godere di sé, il che significa essere colpiti dagli oggetti esterni, in un completo rapporto tra loro e la nostra natura. Ti dico di meditare su queste cose non per darti la possibilità di scrivere sciocchezze in proposito, ma per la reale utilità che puoi ricavarne nella vita. Una situazione ideale interna a noi.

Ingress Se non soffrissi terribilmente per la mancanza dei miei migliori amici, sarei felicissimo di una vita solitaria e studiosa, trascorsa da solo, con qualche libro, un pennello che grazie a Dio so tenere in mano ancora abbastanza bene, e della buona musica classica.

QUALI CRITICHE TI VENGONO FATTE?

Delacroix

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Nelle opere dei grandi maestri, le poetiche e la critica vogliono sempre attribuire alla perfezione di qualche qualità secondaria

Ingres Hanno un bel dirmi: «Finisci, fa' in fretta, non ricominciare ». Se le mie opere valevano e valgono qualcosa, è proprio perché le ho


Janus · Intervista doppia a Delacroix & Ingres · di Alessia Dorigoni

quello che è l'effetto di quell'unica facoltà. Elogiamo il disegno di Raffaello, il colorito di Rubens, il chiaroscuro di Rembrandt. No, mille volte no, non è questa la verità! Come mai molti compositori, enfatici nella disposizione e nell'invenzione delle figure, sono accademici nella freddezza degli aspetti secondari? La grandezza dei maestri dell'arte non consiste nella mancanza di errori, i loro errori, o meglio le loro dimenticanze, non sono, quelle degli artisti comuni. Uno di costoro può anche concepire un carattere straordinario, ma nel suo sviluppo ci sarà qualcosa di artificiale che lo uccide. L'esecuzione più accurata nei particolari non ha l'unità che nasce da una sconosciuta potenza creatrice di origine indefinibile. Che risultati felici si sono persi tra le mani di artisti la cui maldestra natura dominava solo un lato della propria invenzione!

La grandezza dei maestri dell'arte non consiste nella mancanza di errori, le loro dimenticanze, non sono, quelle degli artisti comuni.

rimesse venti volte sul cavalletto, affaticandole con una ricerca e una sincerità estreme. Così sono sempre stato, così sarò probabilmente tutta la vita. Devo pentirmi? Giudichino gli altri. lo non posso fare diversamente. Mi hanno fatto notare, forse giustamente che troppo spesso riprendo le mie composizioni, invece di crearne di nuove. Ecco perché: la maggior parte di queste opere mi piacciono per il soggetto, e mi sembrava che valesse la pena di migliorarle rifacendole e ritoccandole, come ho fatto spesso con le prime, ad esempio con la Cappella Sistina… Il mio esempio è il grande Poussin, che ripeteva spesso gli stessi soggetti; ma non bisogna mai esagerare. Ci sono anche opere che non possono essere dipinte un'altra volta e, lo dico senza orgoglio, sarebbe assurdo rifare il San Sinforiano. Mi rimproverano di essere unilaterale, mi accusano di essere ingiusto con tutto quello che non è l'antico o Raffaello. Eppure so apprezzare anche i piccoli maestri olandesi e fiamminghi, perché a modo loro hanno espresso la verità e sono riusciti a rappresentare in maniera a volte meravigliosa la natura che avevano davanti agli occhi. No, non sono unilaterale, o meglio lo sono solo contro il falso.

CHE COSA TEMI DI PIU’?

Delacroix Il bambino nasce tra le lacrime, sa solo piangere; sua madre geme sulla sua culla, schiudendogli una vita di dolore. Se l'uomo si anima con l'azione e con la compagnia di altri uomini, lasciato alla solitudine e alla contemplazione della propria miseria e fragilità, cade in preda alla tristezza, e più ha una natura elevata e uno spirito delicato, più si rattrista. Il piacere delle cene, la conversazione, il gioco, lo scambio di idee gli animano lo sguardo e la mente: i suoi lineamenti esprimono allora entusiasmo e allegria. Ma quando il suo corpo è piegato dalla fatica e il sonno lo coglie, i suoi lineamenti perdono animazione, il volto assume un'espressione di tristezza, a volte di costernazione profonda Guardate lo sguardo del cavallo, suo compagno di gloria sul campo di battaglia, schiavo per tutta la vita dei minimi capricci o destinato alle peggiori fatiche: se si

Ingress Nella vita ci sono giorni buoni e giorni cattivi, ma questi ultimi sono molto più numerosi. Quello che ho sofferto ora, in questo momento per me così vicino al nulla, mi avvilisce e mi ripugna, perché ci sono due uomini in me. Uno, ancora vivo, con una sensibilità intelligente e giovane che si acuisce anziché affievolirsi, si infuria, diventa insopportabile e dice a questo povero corpo disfatto, infermo e sofferente: «Muoviti, imbecille! Perché sei diventato vecchio? ». E quindi ho continuato anche in vecchiaia con il vero bene della mia vita, il lavoro: una Madonna abbastanza grande, che posso terminare senza stancarmi troppo, divertendomi a passare dolcemente il tempo, e approfittando del fatto che ho ancora tutta l'energia dei trent'anni per aumentare, se Dio lo permette e mi fa

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Janus · Intervista doppia a Delacroix & Ingres · di Alessia Dorigoni

escludono i brevi momenti in cui un suono di tromba risveglia in lui una sorta di entusiasmo umano, quello sguardo ha un'espressione di tristezza. Anche il cane ha uno sguardo spaurito e supplichevole. Tutta la natura porta un fardello e sembra attendere di essere consolata. Tutti sembrano attendere qualche forma di felicità, certamente; ma l'Essere degli esseri alle sue tristi creature mostra quasi sempre l'aspetto adirato del volto. Ovunque sono in agguato insidie, minacce. Ecco cosa tempo: nemmeno il sonno dà all'uomo un riposo completo, e non lo libera dalle sue miserie, anzi spesso le accresce, e l'eccesso di paura, che assume la forma di apparizioni o di pericoli terribili e sconosciuti, spesso lo fa ridestare gelato di terrore, sottraendolo a quei terrori immaginari solo per ripresentargli la tragica e vera immagine della sua condizione mortale.

questa grazia, il piccolo bagaglio delle mie opere prima della grande partenza. Dio voglia in avvenire renderle degne di qualche merito.

una Madonna abbastanza grande, che posso terminare senza stancarmi troppo, divertendomi a passare dolcemente il tempo.

HAI CONSIGLI PER UN PITTORE ?

Delacroix Più che un consiglio sulla pittura mi sento di darvi un consiglio da cittadino a cittadino. Ricordate che non sarà necessario amarsi l'un l'altro prodigandosi nell'aiuto reciproco: basteranno buoni progetti di legge, buone tavole dei diritti e dei doveri, incise nel marmo se non proprio nei cuori. La parola coscienza non avrà più senso. Sarà sostituita dalla parola equilibrio. Ogni insegnamento consisterà nel perfezionare la nozione di equilibrio morale, cioè nel cogliere gli errori di logica, per far valere i propri diritti e non dipendere dall'arbitrio altrui. Ho cenato come il mio amico? Questo sarà il fondamento della morale. Il primo dovere del cittadino non sarà più quello di sacrificarsi. Se ognuno tende alla propria soddisfazione, la massa di felicità individuali non formerà forse la felicità generale, cioè la prosperità della patria, che deve essere il primo desiderio di ogni cittadino?

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dobbiamo abbandonarci a un vile scoraggiamento perché il secolo è corrotto?

Ingress Per un pittore bravo, la maggior difficoltà sta nel pensare tutto il quadro, per poterlo dipingere con passione tutto in una volta. Ecco la caratteristica del grande maestro, il fine che si raggiunge a forza di pensare giorno e notte alla propria arte, se si è nati per questo. Siccome faccio pittura per farla bene, sono lento, e quindi guadagno poco ... Sfidare tutto con coraggio: lavorare all'inizio solo per piacere alla propria coscienza, poi a poche persone: questo è il dovere di un artista. Nonostante questa specie di apoteosi vivente che mi rende veramente felice, la mia vita d'artista si riassume in questo meraviglioso assioma: «Conosci te stesso». È quello che faccio, accettando di tante lodi solo quello che può davvero riguardarmi e prendendo il resto come motivo di nobile emulazione... In arte si giunge a un risultato dignitoso solo piangendo. Chi non soffre non crede. Dovete avere il culto della vostra arte. Non illudetevi di produrre qualcosa di buono, o di accettabile, senza un animo elevato. Per capire il bello, imparate il sublime. Non guardate né a destra né a sinistra, né tanto meno in basso. Alzate la testa verso i cieli, invece di curvarla a terra come i maiali che cercano nel fango. Quello che si sa, bisogna saperlo a spada tratta. Solo combattendo si conquista qualcosa, e in arte il combattimento è la fatica affrontata.


l'angolo dei docenti · Io e Eta Beta · di Daniele Nalin

l’angolo del docente Io e Eta Beta Una volta raccontai a Eta Beta cosa scrisse nel 1983 Edward Munch riguardo al suo celebre “L’Urlo”, ma mentre parlavo lo vedevo pensieroso. Man mano che proseguivo con la mia spiegazione da indottrinato di storia dell’arte la sua espressione si faceva sempre più dubbiosa, finché approfittandone di una pausa mi disse: Tu sei convinto di quello che dici, ma che diritto ha una persona a gettarti addosso i problemi del suo inconscio e far star male la gente? Perfino Duchamp, quando Breton lo invitò ad entrare nel gruppo surrealista, rispose di non avere un inconscio e se anche l’avesse avuto, probabilmente era muto. No, io ho un’altra spiegazione. È solo un’ipotesi ma credo più sostenibile della tua. Io sono venuto sulla terra nel 1947, molto più tardi del dipinto e già si faceva un gran parlare dell’arte post-bellica. La chiamavano informale, senza forma. Infatti gli artisti facevano quadri senza capo né coda, che assomigliavano alle città che abitavano, bombardate, con i resti abbattuti delle case distrutte e i loro dipinti erano proprio come le macerie. Niente di più logico! Ecco, io penso che anche nel caso di Munch la questione non fosse personale, ma cosmica. Lui dice che stava camminando con due amici vicino

di Daniele Nalin

ma che diritto ha una persona a gettarti addosso i problemi del suo inconscio e far star male la gente?

al ponte quando ha udito questo grido disumano. E se invece fosse stato il rombo di un oggetto a motore che gli era passato inaspettatamente davanti, spaventandolo a morte, sarebbe molto più credibile. Lui si ritrae sul ponte con la testa tra le mani, urlante, ma dei suoi amici non c’è traccia, segno che se la sono data a gambe dalla paura. Sai perché ti dico questo Daniele? Perché quando io venni appunto nel ’47 - che fatalità! - stato anche l’anno della tua nascita. Era passato da poco il periodo in cui gli aerei da guerra solcavano i cieli di tutto il mondo bombardando a terra sulle città, e gli U.F.O. (Unidentified Flying Ojects, Oggetti Volanti Non Identificati) ne approfittarono per infilarsi nella caotica situazione e prendere posizione in zone strategiche. Ecco cosa credo io abbia visto il nostro amico norvegese sul ponte quella sera, ha visto atterrare un disco volante, forse uno dei primi apparsi sulla terra. Voi studiosi trovate sempre giustificazioni stravaganti per creare un interesse che giri attorno alla vostra persona e dia lustro al vostro lavoro, invece di leggere la

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l'angolo dei docenti · Io e Eta Beta · di Daniele Nalin

realtà in modo più semplice. Ormai lanciato Eta Beta mi raccontò anche che ad una biennale di Venezia di qualche anni fa, aveva visto un’installazione di una giovane artista italiana di nome Piva che gli era piaciuto molto: Il suo lavoro mi entusiasmò. Era un caccia F. G. 91. Era appoggiato sulla carlinga e su un’ala, capovolto alle corderie dell’arsenale, in perfetto stato, ma quello che mi stupì, fu come era stato dipinto in modo mimetico con colori pastello, in una serie di gradazioni dal rosa all’azzurro, come una confezione che non appartenesse ad un oggetto aggressivo e violento, quanto un elegante regalo privato della sua funzione. Perché mi chiesi, quando con la mia astronave me ne tornavo nello spazio dopo la gita a Venezia? I giovani forse vedono la realtà in modo sereno, sciolti dalla drammaticità che hanno vissuto le persone della tua età, caro amico. Io lo stavo ad ascoltare. Incredulo ma interessato. Sull’onda del racconto, il mio strano amico aveva iniziato infatti a parlare anche dei suoi numerosi contatti ravvicinati avuti con gli artisti del secolo passato e, ultimamente, con gli Americani degli anni ’80: Perché con artisti americani? Perché essendo un popolo giovane rispetto a voi europei, hanno un modo di vedere più vicino ai giovani e usano un’altra prospettiva. In particolare, i miei compagni alieni decisero di mandarmi da un ventenne che abitava a New York e faceva molto parlare di se. Ebbi modo di visitare queste stupenda città e lui mi diede appuntamento in un locale che si chiamava Fanelli’s Cafè tra Mercer e Prince Street a Soho. Ci presentammo. Mi disse che si chiamava Keith Haring. A questo punto non potei fare a meno di chiedergli perché lo avessero mandato proprio da Haring, con tanto che era cambiata l’arte nell’arco di un secolo. La risposta non si fece attendere: Tu hai interpretato i suoi disegni in base alla vostra solita e cieca consuetudine, senza considerare altre ipotesi. Lui è passato attraverso voi e questo lo si vede chiaramente dai suoi graffiti, continuamente e voi non ve ne siete quasi accorti perché la vostra analisi è sempre stata superficiale e convenzionale. Come ti dicevo all’inizio:

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siete indottrinati. Vi hanno messo i paraocchi come ai cavalli, in modo che non siate distratti dalla strada che loro vi hanno indicato. Quando mi incontrai con Haring, avemmo un’interessante discussione e lui mi disse che avrebbe testimoniato volentieri la nostra presenza sulla terra e che lo stava già facendo ma a modo suo, attraverso le sue visioni. Come dite voi, certa gente è 20 anni avanti e anche più. Come Munch. Sorridendo di fronte al mio sguardo stupito, Eta Beta continuò lanciando in aria due palline di naftalina che finirono discretamente nella sua bocca: Gente come lui ha imparato ad essere libera, la gente normale invece ha paura della libertà…Non te lo sei mai chiesto questo? Ti faccio un esempio piccolo ma non banale. Prendi i turisti che si accalcano al Louvre davanti alla Gioconda di Leonardo. Nella stessa stanza ci sono anche altri importanti capolavori di artisti italiani del Rinascimento. Ma la gente non li guarda perchè non è libera. E’ una strana prigionia. Senza sbarre né chiavi, ma da cui è difficile evadere. Quando Eta Beta finì il suo racconto, io non dissi niente. Poi da europeo pensai: ... e se Munch avesse visto veramente molto lontano, oltre le due guerre mondiali, nel futuro della sua tranquilla Norvegia sconvolta dal massacro dell’isola di Utoya? Particolare di 27 E-Fran, di Daniele Nalin


Voci dal Mondo

Erasmus a Istanbul Racconti di Alex von Pentz e Luca Bressan

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Voci dal mondo · Erasmus a Istanbul

COSTANTINOPOLI Un anno di Erasmus a Istanbul è un’esperienza ricchissima non solo per il potenziale apprendimento di una nuova cultura e di un nuovo sistema sociopolitico, ma anche per la maturazione di nuove forme di espressioni artistiche, di nuovi sbocchi professionali e di uno spirito di iniziativa prezioso in ogni futura attività collaborativa. Per molti fare l'Erasmus significa passare un anno o sei mesi in un'istituzione universitaria all'estero, ricevendo fondi necessari ad avere una vita comoda e confortevole, divertendosi il più possibile con altri studenti nella medesima situazione, magari facendo il minimo di esami necessari a dimostrare di aver concluso almeno il sufficiente. Per quanto mi riguarda non è stato però esclusivamente un anno di svago. A causa dei tagli di fondi Erasmus subiti dalle Accademie Italiane, ho avuto infatti una forte riduzione della borsa di studio e per coprire le spese ho lavorato come insegnante di lingua Italiana in una modesta istituzione e nelle abitazioni di privati la sera, dopo i corsi universitari. Ho anche lavorato come barista in un ristorante in centro città dove è stato possibile capire la condizione lavorativa di un dipendente turco medio in questo tipo di contesto. Nonostante tutto ciò sono riuscito a seguire e concludere un totale di 10 corsi universitari e ora è possibile notare i benefici di queste fatiche. In un certo senso, non ricevere la borsa ogni mese è stato un bene visto che per questo motivo ho conosciuto realtà che non avrei mai dovuto affrontare in caso contrario. L'offerta formative della Marmara University-Faculty of Fine Arts propone nuove possibilità di forme d'espressione visiva, dando modo di apprendere

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racconto di Alex Von Pentz non solo nuove tecniche, anche nuovi concetti e obbiettivi diversi da quelli che si posso trovare nelle Accademie Italiane. Ad esempio, nell'Atelier dedicato al corso di diploma del dipartimento di Pittura, tra 13 studenti nessuno utilizzava il medium della pittura come mezzo espressivo, dato che l'insegnamento quasi impone la sperimentazione con nuovi materiali e consecutivamente di nuovi concetti artistici. Il senso del dovere, le motivazioni e la locale offerta artistica mi hanno spinto verso una iper-attività quasi schizofrenica che mi ha permesso di capire molte situazioni relative al mondo dell'arte, del lavoro e della collaborazione per lo sviluppo di progetti indipendenti. Un freddo e intenso primo semestre è stato dedicato al design e ai nuovi media condivisi insieme a Luca Bressan, un altro studente dell’Accademia di Verona con il quale è stato possibile condividere una collettiva alla prima Biennale di Design di Istanbul nel precedente Ottobre. La primavera ha permesso invece la nascita, la crescita e la realizzazione di varie idee per progetti legati all'ambiente universitario ma non principalmente svolti per scopi accademici. Per il 15 e 16 Maggio sono riuscito a organizzare 2 concerti assieme a Nicolò Zanolla e Giacomo Ceschi, studenti dei Conservatori di Verona e Vicenza, che grazie alla creazione del complesso Glassy Shivers durante il Verona Risuona 2011 è stato sviluppato materiale sufficiente a ottenere l'interesse necessario da parte della Preside della Marmara University e del Manager dell' Arkaoda, rinomato locale nella parte orientale di Istanbul. Entrambi gli eventi sono andati relativamente bene dato che un'accurato lavoro grafico pubblicitario offerto da Basak


Voci dal mondo · Erasmus a Istanbul

Unal, esperta grafica turca, ha richiamato ottime attenzioni. Un pubblico interessato ha dimostrato riconoscimento e dopo entrambe le occasioni sono state riscontrate molte curiosità riguardo il progetto e le relazioni con le sperimentazioni sonore legate alla Sound Art. Nell'aula Conferenze della Facoltà di Belle Arti della Marmara, insieme all'assistenza di Sara Faccin, studentessa dell’Accademia di Verona diplomatasi al biennio lo scorso Giugno, ho annesso al concerto una performance pittorica rappresentante il secondo progetto sviluppato a Maggio con altri studenti d'arte Erasmus italiani e tedeschi. In questo caso si trattava di una tela 150 x 150 coperta da strisce di nastro cartaceo ritagliato secondo il contrasto di un'immagine proiettata in relazione al quale si sviluppavano tre manifestazioni di stile pittorico. Durante la progressione dei fraseggi musicali coordinati ai ritmi di percussione tradizionale turca suonata da Veysel Cevik, studente del Textile Department, è stato rappresentato con l'utilizzo di solo pittura acrilica nera un elaborazione visuale in due fasi. inizialmente un messaggio lessicale in turco descrivente la situazione socioculturale del quartiere di Tarlabasi, sezione del quartiere centrale occidentale di Beyoglu, dove da 30 anni è in atto un'opera di “gentrificazione”. In seguito, dopo aver coperto completamente la superficie della tela, togliendo il nastro compariva l'immagine stilizzata del palazzo nel quale è stato esposto il progetto espositivo chiamato in seguito "Division Unfolded". Quest’ultima idea nasce dalla creatività di Francesco Lupo, studente di scultura, dell'Accademia di Urbino, che al tempo viveva nel quartiere di Tarlabasi, fetta di città dimenticata dai suoi abitanti, un tempo popolata da comunità armene, greche e curde, ora riorganizzata quasi completamente per dare spazio a nuove architetture moderne per stranieri e impresari. Il risultato di tale operazione è una distesa di isolati i quali, dopo essere stati lentamente sgomberati dalle forze dell'ordine, sono stati lasciati in uno stato di totale degrado e abbandono. Gli ultimi abitanti del quartiere sono poche famiglie di immigrati o eredi di proprietà che nonostante tutto mantengono vivissimo lo spirito del quartiere, rendendolo il più caratteristico della città. L'idea di base fu di rivisitare uno dei palazzi abbandonati, dando vita a un evento artistico: trasformare una

rovina in spazio espositivo senza alcun fine proficuo. In parole povere: pulire un palazzo, ridipingerlo e suddividere lo spazio tra gli artisti e allestire una mostra. Un pomeriggio di marzo con Katrin Solbach, studentessa della Fach Hochschule di Dusseldorf, andammo in perlustrazione del quartiere per scegliere il palazzo. Dopo vari tentativi entrammo in quello con una facciata rosso porpora e l'architettura e decori tipici armeni, e notammo che le pareti dei tre piani più elevati erano relativamente le più pulite e con meno rifiuti al suo interno. Dopo una sigaretta infinita di fronte al miglior tramonto mai visto sulla città, decidemmo di dar vita al progetto. Durante i successivi incontri con gli altri artisti e studenti interessati a realizzare la mostra abbiamo stabilito che l'apertura doveva essere domenica 3 Giugno, dalla mattina al tramonto, data la mancanza di elettricità. Il lavoro principale per dare vita al progetto è consistito in una vera e propria bonificazione del palazzo. Oltre al duro lavoro manuale, le difficoltà si sono riscontrate anche nei rapporti con i giovani adolescenti tossicodipendenti, i quali si divertivano a minacciarci e a vandalizzare le opere. Un concetto di lavoro che può ricordare la famosa attività dello squatting, ossia l'occupazione tipica dei centri sociali europei, ma in questo caso l'attività svolta all'interno dello spazio non dimostra dichiarazioni di appropriazione o di possesso della struttura. Essendo privo di porte e finestre, durante tutto il periodo del lavoro di restauro ed entrambi gli eventi, l'accesso era possibile a chiunque manifestasse interesse per il movimento notato all'interno. Il primo evento ha richiamato l'attenzione di circa 200 persone, riempiendo completamente il palazzo di curiosi e interessati e permettendo a alcuni giornalisti di fare interviste per i loro articoli. Grazie all'interesse dei media è stato possibile fare alcune dichiarazioni anche in una trasmissione serale dal vivo su una modesta rete televisiva locale. Giunta l'Estate, grazie ai buoni rapporti maturati con il professore Kemal Tufan durante il corso di scultura legno, finito l'anno accademico mi è stato proposto di lavorare come assistente ufficiale all'undicesimo simposio di scultura al diciassettesimo festival di Arte e Cultura di Byukcekmece, dopo l'inibita periferia di Istanbul. Nell'arco di due settimane è stato possibile

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Voci dal mondo · Erasmus a Istanbul

apprendere le tecniche scultoree del Marmo e dell'Acciaio grazie agli insegnamenti di scultori professionisti turchi, australiani, olandesi, coreani e tailandesi. A partire da Marzo invece è nata e si è sviluppata l'idea del progetto Euroadtrip2012 insieme a Jorin Eichhorn, studente di sociologia e psicologia dell'Università di Freiburg, dove grazie ai vari incontri lavorativi e la fusione tra la mia conoscenza di attività istruttive e creative e la sua efficienza informatica, abbiamo sviluppato il progetto di un viaggio in autostop da Istanbul a Berlino dove in determinate destinazioni lungo tutto il tragitto, tramite la Street Art, I workshop con i bambini e le performance musicali sono stati supportati due progetti sociali in Albania e in Bosnia.

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Con questo ultimo progetto sono rientrato a Verona dopo un'annata ricchissima di miglioramenti, ottime esperienze e importantissime lezioni di vita. Ho conosciuto Istanbul come una città in costante cambiamento urbanistico e in pieno sviluppo culturale grazie ad un frenetico boom economico. la quale permette a molti stranieri di trovare ottime opportunità di lavoro. Un paese sempre più potente grazie alle sue vaste dimensioni e allo stacanovismo adagiato ma costante della sua popolazione. Una destinazione che può solamente promettere a giovani studenti di trovare i vari campi più possibilità rispetto che all'affannata Italia, un'opportunità per ogni artista o designer di apprendere e condividere preziose conoscenze fondamentali per una valida futura carriera.


“VERSO LA CITTÀ” Il nome İstanbul sembra derivare dal greco “εἰς τήν Πόλιν” (pronunciato “istim’bolin”), che significa “verso la Città” o “nella Città”. In questo modo i Greci si riferivano alla “Città delle Città”, come Costantinopoli era conosciuta durante l’era bizantina e successivamente. Secondo un aneddoto, il nome attuale deriverebbe da una circostanza curiosa: quando i turchi alla conquista dell’Anatolia chiedevano ai greci dove fosse “la città” ricevevano come risposta, senza capirne il significato Isten polis, cioè “quella è la città”. Chiamatela come volete ma una volta arrivati “alla città”, si viene subito pervasi e invasi da una moltitudine infinita di profumi, colori, persone, musica e religiosità tali che è impossibile non sentirsi immediatamente rapiti da questo nuovo mondo. Lo spazio urbano è enorme ma altrettanto ampia risulta essere l’ospitalità e la gentilezza delle persone, caratteristica a cui mi sono imbattuto fin da subito. Quando cercavo l’ostello, che avevo prenotato per soggiornare nel primo periodo, non ho dovuto nemmeno chiedere informazioni poiché sono stato subito avvicinato da un ragazzo del posto che, dopo aver capito ciò che cercavo, mi ha accompagnato personalmente senza voler nulla in cambio e offrendomi pure il mio primo “çay” il classico té turco. “E adesso che faccio?”, questa è stata la prima domanda che mi è passata per la testa una volta messi giù i bagagli... beh l’unica risposta possibile è perdersi. Inutile tentare di capire fin da subito come funziona la città. Bisogna lasciarsi trasportare dal flusso. Ogni angolo propone qualcosa di nuovo. Attraversare il mare per spostarsi da una parte all’altra del continente è stupendo, la babele creata dal miscuglio di lingue è incredibile ma, soprattutto, ci si accorge fin da subito che anche se sei catapultato in questa bolgia di stimoli il ritmo della vita è perfetto. Non c’è mai la necessità di correre da qualche parte. Prima o poi arrivi e ogni abitante ti trasmetterà questa sensazione: “ok il caos esiste ma una volta letto nella maniera giusta non lo si nota più”. Cercar casa non è poi così difficile. Esistono siti con offerte specifiche per gli studenti e si può scegliere qualsiasi tipologia di appartamento, in qualunque zona e per qualsiasi tasca. Si può

racconto di Luca Bressan scegliere di vivere con persone della nazionalità più disparata anche se, personalmente, vi consiglio di farvi scegliere come coinquilini dalla gente del posto: non c’è modo migliore per far parte fin da subito e nel modo più vero di Istanbul. L’accademia è situata nell’Anatolia ovvero la parte asiatica della città. L’ambiente è super: insegnanti gentilissimi vi coccoleranno non poco, attrezzature di qualsiasi tipo e studenti sempre pronti a scambiare due chiacchere nella “kantin” ovvero la caffetteria dell’accademia. Annoiarsi è impossibile e la città offre una moltitudine di eventi di qualsiasi genere tutti i giorni (mostre, esposizioni, mercati, concerti, ecc.) e se per caso un giorno ci si sente affaticati si può sempre godersi il mare, spendere alcune ore in un “hammam” (bagno turco) o fare qualche giretto a poco prezzo per la Turchia scegliendo una meta qualsiasi: dalla più turistica alla più esotica. Non aggiungo altro, sono già troppe informazioni che potrebbero rovinare il gusto della sorpresa quindi che dire se non godetevi il viaggio senza indugi non ve ne pentirete mai.

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Voci dal mondo · Icss Gotebörg · di Alessandra Trestini

Icss Gotebörg un'esperienza che va vissuta! di Alessandra Trestini Dopo un’intera estate passata in terre lontane oltreoceano, mi ritrovo, un po’ titubante, a descrivere in forma cartacea quella che è stata una delle tante esperienze travolgenti vissute l’anno appena trascorso: la mia partecipazione al progetto europeo Interdisciplinary Involvment and community Spaces, un progetto Erasmus intensivo. Esso mira ad aiutare gli studenti provenienti da differenti discipline a raggruppare le loro doti, espandere le loro abilità, collaborare con esse e fra essi in modi innovativi ma soprattutto in una dimensione sociale. Gli studenti impareranno a trovare soluzioni ai problemi e ai bisogni delle comunità locali nelle città Europee, ad interagire con il paesaggio urbano, a sviluppare le loro idee creative e a portarle a complimento. Trenta studenti selezionati da dieci città Europee (e 12 scuole partners) sono divisi in 6 gruppi gruppi di lavoro transnazionali, ognuno dei quali è composto di cinque studenti da diversi campi disciplinari. Le aree di lavoro degli studenti selezionati abbracciano tutte le branchie delle arti visive, dai media alla tecnologia, dalla comunicazione alle scienze sociali. Le attività avranno luogo in due fasi: un periodo di preparazione nel quale ogni studente, diviso in gruppi di lavoro, svolge delle ricerche sulle comunità selezionati per le performances e discutono possibili soluzioni. Successivamente, un periodo intensivo di dieci giorni in una città europea, divisi ulteriormente secondo canoni di conoscenze e competenze, per lavoro creativo e promozione. Sofferma temi troppo a lungo

ognuno di noi, ve lo posso assicurare era dotato di un dono artistico e creativo che lo ha reso speciale e non uno nei trenta 45

forse sui dettagli tecnici, desidero affrontare l’impatto emozionale al quale mira il progetto. Personalmente mi sono lanciata un po’ allo sbaraglio: partecipa alla conferenza di Mossenmark, ascolta l’interminabile discorso di Ronzon con il quale propone il progetto, decidi di presentare domanda scaduto il termine ultimo e… parti per Gottenborg, paesino più meridionale sulla costa svedese. Arriva quindi il giorno della partenza. In aeroporto conosco, o meglio, approfondisco la conoscenza delle altre mie due compagne di viaggio con le quali ci ritroviamo catapultate in un conservatorio svedese circondate da altri 27 ragazzi europei provenienti da dieci diversi stati: Italia- Austria, Portogallo, Germania, Svezia, Bratislava, Turchia, Repubblica Ceca, Irlanda, Inghilterra. Un gruppo composito, nel quale ognuno di noi, ve lo posso assicurare era/è dotato di un dono

voci dal mondo


Voci dal mondo · Icss Gotebörg · di Alessandra Trestini

artistico e creativo che lo ha reso speciale e non uno nei trenta. Col senno di poi, mi ritrovo a metabolizzare e giungere alla conclusione che in ognuno di noi vi era una luce sempre accesa che illuminava la lampadina, per antonomasia quella delle idee, ognuna di un colore differente. Per cui, dopo le presentazioni e lo smistamento in cinque gruppi, ci hanno presentato il nostro obiettivo. Esso consisteva nella realizzazione di una performance artistica la quale doveva essere il frutto di una collaborazione con cinque comunità locali: una piscina comunale (la cui difficoltà è stata l’ impossibilità di instaurare un rapporto continuativo con gli iscritti, perché troppo numerosi e non presenti quotidianamente); un asilo montessoriano (soddisfacente perché i bimbi erano già abituati a percorsi creativi); una piccola palestra di box; una biblioteca (in cui è stato riscontrato lo stesso ostacolo della piscina) e infine la mia comunità, il centro M43. Il centro è una sorta di casa della comunità frequentato da un circolo da un circolo di signore dai 50 ai 70 anni, le quali sfruttano il

non senza azzardare ipotesi assurde

caloroso locale come sede dei loro incontri. I gruppi trascorrevano almeno mezza giornata in contatto con le rispettive comunità, cercando prima di tutto di instaurare un rapporto con il luogo e con le persone che frequentano. A pensarci bene, almeno nel mio caso, le ore trascorse in compagnia di queste affettuosissime signore, che sanno gustare i piaceri della vita, sono stati momenti vissuti non tanto con l’intento di perseguire un obiettivo legato al progetto, quanto piuttosto il desiderio di condividere la nostra esperienza con le iscritte al gruppo M43, ed includerle nel ricordo. Dopo diversi giorni spesi discutendo su quale poteva essere la nostra performance, non senza azzardare ipotesi assurde (come allestire un concerto con loro), abbiamo battuto il naso contro la semplicità della realtà. L’affetto e l’ accoglienza che ci hanno dimostrato Hanna, Lenja, Katy...doveva essere il fulcro del nostro obiettivo artistico. Nell’ala maggiore della casa della comunità, abbiamo voluto rendere omaggio al contro M43, ricreando il salotto accogliente, caldo e avvolgente, per tutti i nostri ospiti, dai compagni di viaggio agli utenti del centro. Ogni ragazzo del mio gruppo ha messo a frutto le proprie capacità nella realizzazione di un piccolo presente come simbolo di ringraziamento, con la volontà di lasciare un segno permanente nel ricordo del posto. Per cui la sottoscritta ha colorato di giallo un panno di cotone con il quale ho creato dei piccoli gioielli; Roisin, da Dublino, ha dimostrato la sua bravura pragmatica in scultura realizzando uno scaffale nel quale riporre tutti i nostri pensieri; Joao, compositore portoghese, ha composto la colonna sonora del video montato da Vitas, giovane regista di Bratislava, e da Ivana, futura direttrice di documentari. Ecco insomma, troppe parole per narrare una esperienza che va vissuta, della quale terrò sempre bene in mente un pensiero che queste donne mi hanno trasmesso: non e’ mai troppo tardi per vivere la propria vita.

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"il passato ci insegna, il presente ci sfida, il futuro ci (a)spetta!"

IL NUOVO SLOGAN DELL'ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VERONA IDEATO DA ALESSANDRO ROMAGNOLI, ALESSANDRO ANTONELLO, SILVIA BELLANI E SILVIA SOMMADOSSI.

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ieri ho visto: Pixar 25 anni di animazione

Alberto Ponticelli Blatta Leopoldo Bloom

di Manuel Berto Un futuro distopico di matrice italiana. Scritto dal fumettista Alberto Ponticelli, ed edito da Leopoldo Bloom, casa editrice nota per il suo interesse a distribuire fumetti piuttosto particolari, questa storia ci propone immagini dal futuro. Un futuro dove il nostro protagonista dal volto coperto da un casco non ha nome, e vive per un solo scopo: alzarsi al mattino, svolgere una non ben precisata mansione per un non ben precisato numero di ore e all'accensione della luce di avviso, recarsi a dormire. Il tutto in un modulo ermeticamente chiuso di una decina di metri quadrati, completamente isolato da qualsiasi evenienza esterna. Gli umani del futuro non hanno nessun contatto reciproco e a causa delle tute da palombaro, hanno perduto persino la sensazione del tatto verso i propri corpi. Una realtà immortale, una tranquillità della ripetizione che hanno accettato di buon grado dopo aver realizzato che le generazioni precedenti non sono mai state in grado di gestire la libertà. Un giorno però, avviene un imprevisto, un'infiltrazione dall'esterno che scombussola la routine e genera una reazione a catena che porta il

nostro protagonista fuori dalla propria zona di comfort, fuori dal proprio loculo, fuori da tutto ciò che credeva di conoscere. Una blatta, insetto che sopravvive ovunque, cattivo volatore, all'occorrenza onnivoro è nella stanza. Con lui. Con noi. E qui si innesca la catena di eventi che ci porta tra i sensi di colpa del protagonista, le macerie di un mondo che racconta allusivamente la propria storia e l'incontro di un altro individuo nella medesima situazione, con la comunicazione verbale resa impossibile dai caschi. Una storia di responsabilità, curiosità, paura, libertà e prigionia, pregna di dialoghi interiori e negazioni di responsabilità in cui persino il lettore viene risucchiato e lasciato da solo, senza confronti. La scelta di non mostrare mai il volto del protagonista raddoppia il coinvolgimento in questa direzione, facendo in modo che ciascuno di noi possa immedesimarsi in lui e vedere ciò che vede lui. Le tavole, curatissime e molto descrittive, lasciano da parte i caratteristici dialoghi e confronti tra i personaggi per offrire un taglio che rimanda di più al cinema, con ampi punti di vista che esaltano l'ambientazione e sporadici momenti in prima persona, in cui vediamo il mondo attraverso l'impenetrabile casco del protagonista. La negazione delle emozioni e del calore umano in quanto potenziali catalizzatori di disastri si rifà a classiche icone della fantascienza quali L'uomo che fuggì dal futuro di George Lucas, o il più recente Equilibrium di Kurt Wimmer. Infatti, dalla prospettiva del protagonista, il mondo dipinto in Blatta non è certo una distopia, quanto piuttosto una soluzione a un problema globale con uno stato sovrano che, in qualche modo, vuole garantire una certa felicità ai suoi abitanti. Viviamo quindi chiavi di lettura diverse a seconda di quanto a fondo vogliamo immergerci. Un viaggio in un mondo distopico dalla grande potenza emotiva, dal gusto tutto italiano.

di Monica Ballardin Dopo il trionfo del debutto al MoMA di New York, dopo l'enorme successo a Milano, ora la mostra è arrivata a Mantova. Nel suggestivo contesto di Palazzo Te a Mantova è approdata la mostra “Pixar - 25 anni di animazione”. Pixar, la più importante casa di produzione cinematografica specializzata nella creazione di immagini computerizzate con sede in California,U.S.A., ha creato per il suo venticinquesimo anniversario una mostra che illustra attraverso creatività e cultura della storia del digitale, un viaggio fantastico dagli esordi delle prime animazioni digitali al cinema delle grandi sale; passando dai primi lungometraggi ai più acclamati capolavori come “Monster & Co” (2001),”Toy Story” (1 ,2 e 3 rispettivamente del 1995, 1999 e 2010), “Alla ricerca di Nemo” (2003), “Up” (2009) e con un'anticipazione di “Brave”, a breve in uscita nelle sale. All'entrata si era accolti da due star dell'animazione Pixar, Sully e Mike

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Muse · The 2nd Law

Muse, The 2nd Law 2012 riprodotti a grandezza naturale pronti a fare una foto con voi! l percorso della mostra raccoglieva circa 500 opere, che mostrano quanto lavoro ci sia dietro la realizzazione di un film animato, un percorso quasi sempre nascosto che trova in questa mostra sfogo con bozzetti,disegni a matita,penna,tele ad olio,acrilico,schizzi a carboncino, sculture in plastilina che mai avresti immaginato servissero a realizzare un'opera del genere. Ed ecco prendere vita i personaggi di “Toy Story”, “Alla ricerca di Nemo”, “A bug's life”, “Wall-E” e molti altri. La mostra inoltre aveva due speciali installazioni: l'Artscape e lo Zoetrope. L'Artscape è una raccolta animata di disegni,bozzetti,dipinti creati dai disegnatori, scelti e montati a regola d'arte grazie all'utilizzo del digitale 3d con musiche capaci di farti vedere ciò che gli artisti della Pixar realizzano in anni di lavoro. Lo Zoetrope è una forma di intrattenimento nata nel 19° secolo; in particolare, quello presente in mostra è stato creato appositamente per l'occasione e il suo funzionamento si fonda sul principio secondo il quale dei soggetti statici prendono vita e si animano grazie ad una rapida successione degli stessi. È lo stesso per il quale riusciamo a vedere un film senza accorgerci dei fotogrammi che vengono visualizzati in successione, con l'illusione della continuità. La parte finale della mostra è dedicata ai cortometraggi della Pixar, tra i quali ricordiamo “ Luxo Jr. ” il quale diede origine al logo della casa cinematografica, ed i più recenti come “ Il gioco di Geri ”, “One Man Band “, “Quando il giorno incontra la notte" e altri.

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di Laura Turro The 2nd Law è l’ultima fatica discografica pubblicata il 1° ottobre 2012 dalla band britannica Muse, definita il gruppo musicale simbolo della “crisis generation”. Dopo aver completato tutte le tappe del The Resistance Tour, i Muse si concessero una breve tregua, e affermarono di voler tornare in studio di registrazione per lavorare sul loro nuovo album di inediti durante il settembre e l’ottobre 2011. Nel dicembre 2011 il bassista Chris Wolstenholme dichiara in un intervista che il prossimo album dei Muse sarebbe stato “qualcosa radicalmente differente” rispetto agli album precedenti, è stata inoltre interrotta la totale egemonia di Bellamy nella scrittura delle composizioni; “Il nuovo progetto sarà molto più “personale” e avrà sonorità un po’ più “morbide” rispetto ai precedenti” rivela il leader Matthew Bellamy. Il 6 giugno 2012 i Muse pubblicano sul loro canale YouTube il trailer relativo al nuovo album, intitolato The 2nd Law, in cui è possibile ascoltare una preview del brano Unsustainable, caratterizzato da un sound che

unisce sonorità sinfoniche con altre elettroniche tendenti alla dubstep. Survival è la prima canzone portata al debutto in occasione del concerto di chiusura dei Giochi Olimpici di Londra. Siamo sicuramente davanti a qualcosa di nuovo. Il video che preannuncia il fatidico arrivo dell’album, trasmette immagini di Wall Street in preda al panico, disastri ambientali, ragazzi in fuga dentro metropoli che crollano, inseguiti da un’entità invisibile. “Si è rotto il giocattolo globale” spiega il leader del gruppo, Matt Bellamy. “Un sistema economico basato su una crescita esasperata senza fine non poteva che collassare”. Si intuisce insomma che di fronte al un nuovo disco dei Muse non si può rimanere indifferenti. L’album è un viaggio altalenante: omogeneo nella sua disomogeneità. Con questo inciso, il sesto della loro carriera, i Muse ci hanno dimostrato ancora una volta che la saggezza sta nell’equilibrio, nel saper dosare la tecnologia con i sentimenti, Un puzzle sonoro tra rock, elettronica e slanci orchestrali. Si deve riconoscere ai Muse anche il fatto che più che far musica, facciano ricerca, proponendo materiale sempre nuovo. Non per contrariare i puristi, ma al di là dei gusti personali sui vari generi si può affermare che i Muse suonino per la Musica. All’uscita del loro ulimo lavoro la critica musicale si è scatenata con reazioni diametralmente opposte sia sull’album che sulla band, cio ha creato una gran confusione tra tutti gli appassionati del gruppo musicale. Facendo una rapida analisi degli articoli che si possono leggere sul web appare una netta divisione tra chi ha apprezzato il disco, chi no e chi invece non c’ha capito niente! Per fare un’ulteriore scrematura


"Body Worlds" · Gunther von Hagens

"Body Worlds" Gunther von Hagens Fabbrica del Vapore (MI) si possono individuare due tipo di critici della band: ci sono i fan storici che rinnegano questo album e in parte anche l’album precedente, The Resistance, perchè troppo vicini ai canoni di commercializzazione e popolarità della musica tradendo lo stile musicale presente negli album precedenti; e ci sono fan che invece sostengono la band sia in continua evoluzione, partita da un rock in pieno stile anni ‘90 che pian piano nel tempo si sta trasformando con un netto cambio di sonorità, ottenendo un sound innovativo; senza contare le centinaia di nuovi fan, insorti grazie alla cresciente popolarità. Si sono fatti abbondantemente conoscere dal grande pubblico, un pubblico composto da singoli, ognuno di essi con uno stile musicale preferito. Le sonorità dei Muse variano dall’Alternative rock, allo Space rock, passando per il Grunge e la musica classica. E’ quindi chiaro che chi li preferiva in Orygin of Simmetry (2001) oppure chi li apprezza perchè “suonano dubstep” sono legittimati. Tanti generi, tanto successo, tanti haters,tanto onore. Complimenti dunque ai Muse per averci fatto credere per mesi che questo “The 2nd Law” sarebbe stato un disco dubstep! Invece a sorpresa l’ elettronica praticamente l’abbiamo sentita tutta nelle anteprime che ci sono state concesse nelle settimane precedenti al debutto, in “The 2nd Law Unsustainble” parlando di dubstep, la traccia è stata scritta da Bellamy pensando a Skrillex (così come l’ultima “The 2nd Law Isolated System”). Questa canzone è da apprezzare perchè suonata interamente con strumenti musicali veri. Un pezzo incisivo e pieno di significato per l’album; ed in

“Madness” frutto di divisioni tra i fan per il solo fatto di avere usato l’elettronica come elemento portante della melodia, salvo ignorare sordamente che il crescendo della struttura armonica è tipicamente “musiano”, quindi più che tradimento si potrebbe pensare alla provocazione! Curiosità Per il titolo dell’album, i Muse si sono ispirati alla fisica e al secondo principio della termodinamica, secondo cui l’energia contenuta in un sistema chiuso è destinata a disperdersi nell’ambiente circostante; adattabile a questo periodo di crisi e di consumo smodato delle risorse naturali. L’immagine scelta per la copertina è tratta dall’Human Connectome Project, una rappresentazione grafica dei percorsi del cervello umano, i circuiti monitorati sono stati elaborati con colori brillanti al neon. Da un gruppo che ha vinto premi anche per le cover art dei propri dischi (HAARP e The Resistance) non ci si poteva aspettare niente di meno. Follow me, il terzo estratto dell’album, predispone verso una traccia che si può definire come profondamente dolce grazie al battito cardiaco del figlio di Matt all’interno della melodia synth pop. Concludendo mi sono interessata alla recensione dell’album perchè apprezzo molto la band e perchè trovo tale album possa risultare molto influente in ambito artistico, in quanto tratta la decadenza umana e ambientale; il gruppo rock si è sempre distinto per tematiche fondamentali della vita dell’uomo nell’universo, in tal caso The 2nd Law potrebbe smuovere più di una coscienza.

di Manuel Berto Ossa, muscoli, cuori, comparazioni di parti anatomiche sane con altre meno sane, e tanto silenzio. Silenzio, mormorii riflessivi, qualcuno ipotizza di smettere di fumare in giornata. Ma in generale, non il tipo di quiete che si percepisce in altri generi di esposizioni artistiche. In effetti, la complessità del nostro organismo suscita da sempre curiosità, ma anche una sorta di timore reverenziale, tant'è che, spesso le occasioni in cui impariamo di più su di esso sono le conversazioni con il medico quando gli esponiamo un problema. La mostra di cui parliamo propone un nuovo approccio all'analisi, o più semplicemente all'osservazione del corpo umano convogliando semplicità, scienza e arte in un percorso tanto formativo quanto intuitivo. Gunther von Hagens, il controverso

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Ignorance and Surprise · Matthias Gross

Ignorance and Surprise. Matthias Gross MIT Press, 2010 anatomopatologo tedesco, è l'artefice della tecnica della plastinazione, un procedimento che tramite la sostituzione dei liquidi corporei con polimeri di silicone, poliestere e altre sostanze plastificanti, permette la conservazione del corpo umano irrigidendolo, rendendolo inodore e mantenendone inalterata la forma e i colori. La perfetta occasione per mettere a nudo il corpo umano e analizzarne le singole parti da una prospettiva più ravvicinata che mai. Va da sé che non esiste mostra migliore per lo studente di medicina o in generale, per chiunque abbia a che fare con l'anatomia, ma questa esposizione va oltre. Non c'è alcun bisogno di essere già "preparati accademicamente" per coglierne ogni sfumatura, perché diciamolo, noi il nostro corpo già lo conosciamo. O a causa di attività sportive varie, o perché da fumatori, abbiamo avuto la curiosità di cercare qualche immagine comparativa di polmoni da atleta, piuttosto che quelli da tabagista, fondamentalmente lo conosciamo. La peculiarità di questa esposizione è quella di non avere filtri; se stiamo parlando del corpo umano, tutto ciò che ci serve per comprenderlo è a disposizione. Ed eccoci dunque in questo percorso, che in perfetto stile da testo didattico, ci propone discorsi generali e approfondimenti specifici. Inizia con corpi disposti in pose dinamiche, quali il Giocatore di basket e la Tiratrice con l'arco, culminando poi in vere e proprie composizioni tra l'ironico, come i Giocatori di poker e il soverchiante, rappresentato dall'imponente Cavallo impennato con cavaliere, pure lui privato della pelle e visto da una nuova

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prospettiva. Tra la varietà di corpi disposti in pose fantasiose abbiamo poi momenti meno diretti, costituiti dalla serie di fotografie di famiglie di vari paesi e la loro spesa in cibo di una settimana, seguiti da studi di alcune specificità. Video esplicativi sui meccanismi di un'arteria e relativa ostruzione, la complessità di un cervello, la bellezza di un cuore, vero e proprio punto centrale della macchina umana, e molto altro. E se non ci si sente molto a proprio agio, a metà percorso è disponibile uno strumento per misurare la pressione, con conseguente didascalia per apprenderne i valori ideali. Ma è inappropriato fare una lista dell'esposizione. Si rischia di cadere nell'orrido o nel didascalico, quando invece il fulcro di questo viaggio è la presa di coscienza. La similitudine tra un muscolo animale e quello umano, la vulnerabilità e al tempo stesso le possibili performance di un corpo sano, i vantaggi di un'alimentazione ragionata, sono tutte cose che già sappiamo, ma che vengono inibite dal tessuto sociale e dalla difficoltà di parlare di certe problematiche. Body Worlds ci propone un po' di tempo senza questa limitazione, rendendo sempre più trasparente il confine tra arte e scienza e sempre più immediata la comunicazione con il visitatore. Sia che porti alla rinuncia di qualche vizio o a una giornata diversa dal solito, questa forma di arte coinvolge. Curiosità Il trio di Giocatori di Poker fa un'apparizione nel film Casinò Royale, uno dei più apprezzati capitoli della saga di 007.

di Francesco Ronzon Il libro di Matthias Gross si focalizza sulle politiche e sulle strategie deliberative chiamate in causa dall’innovazione scientifica e tecnologica contemporanea. Nel suo insieme il libro si inserisce esplicitamente all’interno dell’attuale dibattito sulla modernità riflessiva (Beck, Giddens, Lasch). In particolare, l’analisi si focalizza sulla gestione dell’inaspettato inerente ai processi di innovazione, cambiamento e invenzione tecno-scientifica. L’idea di base è che “ignoranza e sorpresa si appartengono reciprocamente”. Per loro natura, i metodi scientifici dovrebbero permettere ai ricercatori di sorprendere se stessi e i loro pari. Ciò ha però l’effetto di produrre una inevitabile interruzione del continuum tra conoscenze accettate e aspettative future. In questo senso, come recita lo slogan “aspettati l’inaspettato”, ogni novità include quindi elementi di incertezza e non conoscenza che si collocano al di fuori della sfera della prevedibilità. L’attuale esplosione dei


Ignorance and Surprise · Matthias Gross

saperi e delle tecnologie peculiari della cosiddetta società della conoscenza contemporanea ha così questo corollario: nuova conoscenza implica anche maggior ignoranza. E’ in questa prospettiva, dunque, che imparare a maneggiare la sorpresa e l’ignoranza diventa uno dei tratti distintivi delle attività pubbliche di decision making. Il secondo assunto chiave del libro è desunto dal sociologo Howard Becker e viene sintetizzato con l’espressione: “non abbiano un linguaggio concettuale per discutere queste cose che tutti conosciamo”. A questo riguardo l’autore apre con un doppio spunto critico-polemico. Nonostante le incertezze presenti in numerose aree scientifiche, Gross rimarca come l’ideale di verità e certezza offerta dalla scienza “classica” appare ancora ben vivo nelle retoriche ufficiali. Per rassicurare la gente comune, verrebbe cioè posta l’enfasi sulle ulteriori ricerche o sulle incertezze conosciute per creare una rassicurazione che i rischi in gioco siano controllabili. Questa idea genererebbe secondo l’autore una “cascata di incertezza” (cascade of uncertainty). Ad esempio, le incertezze nelle scienze sismiche sono le basi per ulteriori incertezze relative alle emissioni. Ciò fa si che anticipare l’impatto di interventi ecosensibili risulti sempre più difficile, e ciò a sua volta genere incertezze relativamente a come i vari gruppi sociali risponderanno e così via. Il secondo spunto polemico è diretto invece verso quegli autori che sostengono la tesi del “principio di precauzione” in tutti questi casi nei quali i rischi sono poco compresi (ad esempio, Myers, Raffensperger). In pratica, sostiene Gross, il principio di precauzione è stato spesso invocato esclusivamente per prevenire l’azione governativa in contesti di incertezza scientifica. E’ stato cioè interpretato come una chiamata a dilazionare l’azione. La precauzione suggerisce però Gross evidenzia solo ciò che non

va fatto, non ciò che va fatto. Nel tentativo di offrire un approccio più aperto e flessibile alla questione, la prima parte del libro si sofferma su differenti tipi di vuoti conoscitivi nell’ambito della scienza e della vita quotidiana. Desumendo da George Simmel la nozione di nichtwissen (non conoscenza), l’autore riflette su come occorrenze inaspettate possono essere incorporate in un modello scientifico capace di includere la gestione sperimentale delle sorprese. Nel resto del volume, per sviluppare la sua analisi della complessa rete di interazioni sociali alla base della gestione pubblica della sorpresa in ambito tecno-scientifico, Matthias Gross usa i settori del landscape design e dell’ecological restoration come contesti empirici di indagine. Analizzare il design ecologico al di fuori del laboratorio come un esperimento sociale mina infatti gli usuali assunti di certezza e prevedibilità della scienza. In questi settori, infatti, molto spesso la sfida deliberativa risiede nel fatto che nuovi saperi e progetti di intervento creano nuove opzioni senza offrire nuovi criteri per maneggiarle. In particolar modo il libro si volge ad analizzare a livello empirico i modi di gestire l’inaspettato in un caso di intervento ecologico in un contesto urbano e in un caso di trasformazione del paesaggio su larga scala in un area post-industriale. Nel primo caso, Gross analizza la storia dei progetti e degli interventi di trasformazione della costa di Chicago sul lago Michigan dal diciannovesimo secolo ad oggi evidenziando l’appropriazione delle sorprese come mezzo per la produzione di strategie di design ambientale più robuste e affidabili. Il secondo caso verte invece sugli interventi di rivitalizzazione di un area abbandonata nei pressi di Leipzig precedentemente utilizzata per l’estrazione di carbone durante il periodo socialista della Germania

dell’Est. In questo caso i primi cenni di successo hanno portato ad una crescente fragilità dell’intervento a causa della minore attenzione data alle sorprese emergenti dallo sviluppo dell’intervento nel corso del tempo. Il paragone tra il caso di Chicago e di Leipzig sostiene Gross è interessante per varie ragioni. Entrambe le regioni sono state oggetto di interventi pubblici di riqualificazione ecologica basati su fondi statali. In entrambi i casi i paesaggi sono stati restaurati senza un obiettivo di riferimento storico. In entrambi i casi gli interventi hanno prodotto un “lavoro di confine” (boundary work): un processo di definizione a più voci dei confini sociali che distinguono scienza e non-scienza come parte di una pratica retorica volta all’acquisizione di autorità epistemica sopra alle mozioni rivali. Il quadro d’insieme sembra evidenziare quindi come gli interventi tecnoscientifici non si possano caratterizzare né in forma di interventi lineari guidati e pianificati dall’alto, né come processi di prova ed errore includenti variazioni e selezioni successive ma come processi coordinati di gestione di svolte inaspettate attraverso pratiche sperimentali capaci di dar conto di cambiamenti più o meno rapidi. Per l’autore la morale politica di quanto indagato riguarda dunque la produzione della conoscenza in quella che Beck e altri hanno denominato seconda modernità. Nel mondo contemporaneo, le società umane avrebbero iniziato cioè a realizzare che non tutti i rischi dell’agire sociale possono essere controllati e risulterebbe quindi necessario sviluppare delle strategie che accettino, incorporino e facciano i conti in modo riflessivo con l’inevitabile presenza di questi ultimi nelle loro politiche di sviluppo e pianificazione. In breve, secondo Gross la vita quotidiana al tempo della epoca della tecnoscienza ha l’aspetto di un inevitabile e continuo azzardo cosciente.

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Libri tattili · Libri per tutti

Libri tattili · libri per tutti Mostra evento Biblioteca civica (VR)

Libri TATTILI libri per tutti

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Cercali, guardali, toccali... nelle Biblioteche di Verona

di Silvia Sommadossi La Biblioteca Civica di Verona ha chiuso il 2012 dedicando un intero mese alla scoperta di una nuova categoria di libri, siamo a dicembre, è il mese dei libri tattili, sono i libri per tutti. Parlare di questo evento serve per spostare l’attenzione su temi poco affrontati ma che possono essere particolarmente interessanti per il mondo delle arti e della creatività. Il libro tattile è uno strumento didattico ed educativo che riesce a coinvolgere e stimolare il bambino attraverso un approccio piacevole ad una suggestiva lettura sensoriale che accresce il piacere e l’emozione della scoperta. Sono libri da guardare, leggere, e soprattutto toccare, ed è qui che entra in gioco la caratteristica che rende davvero prezioso questo strumento, perché per un bambino con deficit visivo toccare è conoscere,

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e nel momento in cui il classico testo stampato in nero è affiancato al testo in Braille, il bambino cieco ha l’opportunità di conoscere e condividere le stesse esperienze del suo più fortunato compagno di banco. Strutturati nella maniera più opportuna permettono di riconoscere e simbolizzare la realtà. Sviluppano la fantasia e nutrono l’immaginazione, in quanto spingono a decodificare e vivere le immagini senza subirle passivamente. Oltre all’esposizione dei numerosi libri tattili illustrati editi per la maggior parte dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi, la biblioteca ha organizzato diversi laboratori dedicati ai bambini dai 4 ai 9 anni che oltre a conoscere questo divertente tipo di libro si sono dilettati nella costruzione di un proprio libriccino tattile guidati da Marta Ciresa e Saba Ferrarie che più volte hanno collaborato con l’Accademia di Belle Arti. Per meglio contestualizzare e conoscere la potenza di questo strumento è stato organizzato un copioso convegno al quale sono intervenuti, due educatrici, un neuropsichiatra infantile e un membro della Pro Ciechi. Il convegno è stato aperto da quest’ultimo Pietro Vecchiarelli tecnico di produzione all’interno della Federazione che ha accuratamente affontato le difficoltà tecniche della produzione di quest’oggetto che in molti casi subisce un non indifferente mutamento quando dal prototipo si passa alla produzione in serie, anche in questa seconda fase il libro viene comunuqe prodotto con un sostanzioso intervento manuale, che porta purtroppo a costi elevati. Particolarmente interessante la

seconda parte del convegno in cui le diverse figure professionali hanno mostrato varie esperienze sul campo e le numerose possibilità applicative del libro tattile, che diventa un potentissimo strumento anche per bambini con disabilità complesse che possono quindi avere difficoltà di apprendimento o di comunicazione e socializzazione. Il libro tattile è in questo contesto un mezzo fondamentale per interagire con l’esterno e sviluppare un proprio processo cognitivo. La forte interazione genera un imput positivo che sollecità le attività celebrali. Seguire l’evento nelle svariate occasioni offerte ha permesso di scoprire e conoscere nel dettaglio quest’innovativo oggetto. Oltre a poter sfogliare e toccare un’infinita quantità di libri tattili, è stato possibile osservare come i bambini vi si rapportano in un contesto di condivisione e scoprire i numerosi contesti in cui viene applicato coprendo diversi scopi didattico/ educativi. Concludendo partecipare all’evento mi ha portata a riflettere su quanto ampio sia il territorio in cui arte e design possono operare e collaborare.


Galleria Besard Kadria Osservando i miei quadri ad un primo impatto si ha la sesazione che io comunichi con un linguaggio codificato, ma questa prima impressione viene immediatamente modificata, perché per la realizzazione dei miei dipinti c'è sempre di fondo la ricerca di un soggetto che viene dalla quotidianità. La tecnica utilizzata è un miscuglio tra programmi digitali e un ritocco di colore fresco, acrilico o ad olio. Il mio intento è che i soggetti dei miei dipinti non trasmettano necessariamente quello che io vorrei esprimere, bensì che da essi si crei un dialogo tra la mia arte e lo spettatore. Tutte le mie opere sono intenzionalmente senza titolo, perché in questo modo la visione non è indirizzata e condizionata.

sopra SENZA TITOLO, cm 100x60, stampa digitale su tela, 2012 · nella pagina a fianco SENZA TITOLO, cm 150x120, stampa digitale su tela, 2012

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Besard Kadria nasce a Mamurras in Albania, 1986. Nel 2005 si diploma presso il liceo artistico Jan Kukuzeli si Durrazzo. Durante gli anni del liceo ha participato a svariati concorsi ed eventi legati all'ambiente artistico albanese. Nel 2006 vince una borsa di studio presso l'Ambasciata italiana di Tirana per proseguire i suoi studi universitari presso L'Accademia delle Belle di Verona, dove si laurea nel 2010, per poi continuare frequentando il biennio per la specializzazione in Arti Visive.


Luca Zanolli Don giovanni è la seconda delle tre opere italiane che il compositore salisburghese scrisse su libretto di Lorenzo Da Ponte, il quale attinse a numerose fonti letterarie dell'epoca. Essa precede Così fan tutte e segue Le nozze di Figaro e venne composta tra il marzo e l'ottobre del 1787, quando Mozart aveva 31 anni. Il Don Giovanni è un dramma giocoso diviso in due atti. In realtà, questa dicitura che compare nel sottotitolo originale dell'opera dice abbastanza poco sul carattere di essa: "dramma giocoso" era infatti anche il nome con cui all'epoca venivano definite farse del tutto assurde. Dal punto di vista formale essa è un'opera buffa (così come la chiama Mozart nel suo catalogo), con la presenza di elementi tratti dall'opera seria, come i pezzi scritti per Donna Anna e Don Ottavio. Volendo riassumere molto brevemente, la scena proposta per questo allestimento areniano è stata pensata e costruita

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attorno alla figura del protagonista, rendendolo il centro di un microcosmo che ha la forma stessa della “sfera di influenza” che egli esercita su tutti gli altri personaggi. Il mondo è altro, lontano da lui, ed infatti l'azione narrante si svolge totalmente all'interno di questo mondo-sfera che a seconda del momento è chiuso ad imprigionare chi vi è all'interno, o crolla aprendosi, quando la solidità che esercita la figura dongiovannesca viene meno, mentre al di fuori le figure si muovono come fantasmi, quasi senza esistere. A sottolineare ulteriormente ques'aspetto è la mancanza di un fondale che determini uno spazio, e la nudità dei gradoni dell'Arena viene investita solo da proiezioni in mapping che danno vita a sogni e pensieri di chi è all'interno della sfera. Per concludere, la sua struttra dell'allestimento è tale da permetterne la riproposta anche in spazi diversi dall'arena come festival all'aperto, stadi o palazzetti.

"DON GIOVANNI" di w.a. mozart, scenografia per l'arena di verona 2010


Luca Pojer La maschera veniva utilizzata come un'efficace mezzo di comunicazione tra gli uomini e le divinità , al fine di proiettarsi all'interno di un mondo "altro", divino, rituale e mistico. La ricerca si svolge attraverso il supporto preliminare della memoria storica ed epocale nell’ambito del percorso proposto l’esemplificazione storica si riferisce ad intervalli temporali ampli e non regolari, in cui risaltano le qualità particolarmente espressive delle pose raccapriccianti e mostruose che si assimilano per analogia o per contrasto di forme, di colori, di atteggiamenti e di complementi, dei volti anatomici e deformati, selezionando le configurazioni: del mondo arcaico e classico.

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nella pagina a fianco maschera di Krampus, legno di tiglio, corna di caprone, occhi di vetrp, pelliccia di capra e coda di cavallo 2012 路 sotto maschera di Kramus in legno di cirmolo, corna di caprone, occhi in ceramica smaltata e pelliccia di capra, 2013.

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Flos.lab

Artek.lab

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L'idea nasce dalla voglia di collabore con le imprese, e di coinvolgerle attraverso una nuova figura di "designer" che non si presenta all'impresa con un suo progetto in mano da proporre ma un designer che diventa l'impresa stessa. CosÏ gli studenti del secondo e del terzo anno sono stati divisi in gruppi e spinti a indagare 5 grandi nomi italiani: Flos, Artek, Cappellini, Venini e Vitra. I ragazzi hanno colto subito il significato e hanno lavorato con passione e energia realizzando cose fantatiche, questo attira l'attenzione dell'impressa, il prossimo passo è collaborare con le imprese scelte. Sotirius Papadopoulus Docente del Corso di Design "Grazie a tutto lo studio e alle ricerche siamo riusciti a comprendere la filosofia di Flos. Continua inovazione assieme all'attenzione verso la tradizione e il passato che permette all'azienda di creare oggetti long seller e icone del design sempre in linea tra loro. Abbiamo cercato di lavorare su una gamma di prodotti che mostrasse tutto il percorso di un'azienda storica come Flos" Elisa Trentin "Questa esperienza è stata molto istruttiva per comprendere come lavora un azienda, non solo in ambito progettuale ma anche dal punto di vista commerciale e di marketing." Alessandro Antonello

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Cappellini.lab

Vitra.lab

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Venini.lab

"Abbiamo fatto una full immersion nell'azienda Venini di Murano dedita alla lavorazione del vetro. Giulia Chimento ci ha accolto e guidati negli spazi di lavoro dell'Azienda stessa, opportunità in quanto ci ha permesso di immegerci nell'azienda, viverla essere parte di essa. Per quanto riguarda l'allestimento dello spazio espositivo ci siamo avvalsi delle cose più semplici possibili per ricreare il contesto marinaro, colorato e carnevalesco di Venezia" Filippo Ferrarini "è stata un'esperienza interessante perchè abbiamo indagato aziende importanti nel campo del design e perché dopo essere entrati nella filosofia di Vitra e aver capito come questa realtà progetta, tutte le scelte successive sono derivate da questo studio" Giovanni Ciaglia

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Sawari RIVISTA ON-LINE DEGLI STUDENTI DELL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VERONA

issue.01 ottobre - novembre 2013

SAWARI · Rivista on-line degli studenti dell’accademia di Belle Arti di Verona http://www.accademiabelleartiverona.it/ · E-mail sawari@accademiacignaroli.it Accademia di Belle Arti di Verona · Via Carlo Montanari, 5 - 37122 Verona · Tel. 045 8000082 - Fax 045 8005425


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