Appunti Matematici 52 - 53 - 54

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Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

ELEMENTI INTRODUTTIVI numeri 52 / 53 / 54 - aprile / maggio / giugno 2019



INTRODUZIONE

L’elaborato è articolato in due parti. La prima parte e’ dedicata all’algebra vettoriale, mentre la seconda è riservata al calcolo tensoriale. La parte prima contiene anche una prima sezione nella quale sono sintetizzate le nozioni basiche, sicuramente utili per la comprensione degli argomenti trattati. Tale sezione introduttiva conterrà, ad esempio, una sintesi dell’algebra delle matrici e delle nozioni di geometria strettamente necessarie, quali quella di spazio vettoriale, indispensabili per la comprensione degli spazi di Hilbert e di Banach. Ho cercato, per quanto possibile, di privilegiare la linearità della trattazione, sfoltendo i punti meno essenziali, anche in considerazione della particolarità della sintesi, che ha un significato, ne’ potrebbe essere altrimenti, elementare e meramente introduttivo e più che altro propedeutico alla elaborazione dei due successivi fascicoli, dedicati, rispettivamente, alla teoria della relatività ristretta e generale. Alcune parti poi dovrebbero comunque risultare utili per la successiva elaborazione di un fascicolo più approfondito di uno già elaborato nel passato ed avente ad oggetto la meccanica quantistica. Patrizio Gravano patrizio.gravano@libero.it

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Spazi vettoriali Gli spazi vettoriali sono particolari strutture algebriche. E’ dato un insieme non vuoto V, i cui elementi sono detti vettori. Sono definite due distinte operazioni interne. Una operazione e’ interna se il risultato di essa e’ esso pure un elemento dell’insieme V non vuoto assegnato. Tali operazioni sono ordinariamente chiamate somma e prodotto di un elemento di V per uno scalare. Lo scalare generalmente appartiene all’insieme R dei numeri reali oppure all’insieme C dei numeri complessi. La somma di due elementi di V, detti vettori, e denotati come đ?’—đ?&#x;? e đ?’—đ?&#x;? e’ indicata come đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;? . Si ammette che đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;? sia elemento di V. Piu’ formalmente si scrive che ∀(đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? ) |đ?’—đ?&#x;? ∈ V, đ?’—đ?&#x;? ∈ đ?‘‰ si ha đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;? ∈ V. La seconda operazione interna e’ la moltiplicazione di un elemento di V per uno scalare reale o complesso k . Si ammette che kđ?’—đ?&#x;? sia un elemento di V, quando đ?’—đ?&#x;? e’ un elemento di V. In altri termini ∀(đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? ) |đ?’—đ?&#x;? ∈ V, đ?’—đ?&#x;? ∈ đ?‘‰ si ha hđ?’—đ?&#x;? + kđ?’—đ?&#x;? ∈ V ∀ℎ, đ?‘˜ | â„Ž ∈ đ??ž, đ?‘˜ ∈ đ??ž, dove K puo’ essere o l’insieme dei numeri reali oppure l’insieme dei numeri complessi. Si ammette che il vettore nullo sia elemento di V, risulti vero che 0 ∈ V . Gli elementi di uno spazio vettoriale sono ordinariamente detti vettori. Le due operazioni appena definite godono di alcune proprieta’. Le proprieta’ della somma sono le seguenti

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đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;? = đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;? ∀đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? ∈ đ?‘‰ (đ?’— + đ?’—đ?&#x;? ) + đ?’—đ?&#x;‘ = đ?’—đ?&#x;? + (đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;‘ ) ∀đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;‘ ∈ đ?‘‰ { đ?&#x;? đ?’—đ?’Š + đ?&#x;Ž = đ?&#x;Ž + đ?’—đ?’Š ∀đ?’—đ?’Š ∈ đ?‘‰ đ?’—đ?’Š + (−đ?’—đ?’Š ) = đ?&#x;Ž ∀đ?’—đ?’Š ∈ đ?‘‰ Pertanto, la somma vettoriale e’ commutativa ed associativa. Esiste un elemento neutro rispetto alla moltiplicazione indicato come vettore nullo e scritto come đ?&#x;Ž da non confondere con lo zero reale 0. Per ogni elemento đ?’—đ?’Š ∈ đ?‘‰ esiste ed e’ unico l’elemento opposto −đ?’—đ?’Š tale che đ?’—đ?’Š + (−đ?’—đ?’Š ) = đ?&#x;Ž . Anche la moltiplicazione di un vettore con uno scalare (reale o complesso) gode delle seguenti semplici proprieta’ formali valide ∀đ?’—đ?’Š |đ?’—đ?’Š ∈ đ??ž đ?‘’ ∀đ?’—đ?’‹ |đ?’—đ?’‹ ∈ đ??ž | i= đ?‘— đ?‘œđ?‘?đ?‘?đ?‘˘đ?‘&#x;đ?‘’ đ?‘– ≠đ?‘—. (đ?‘Žđ?‘?đ?’—đ?’Š ) = đ?‘Ž(đ?‘?đ?’—đ?’Š ) đ?‘Ž(đ?’—đ?’Š + đ?’—đ?’‹ ) = đ?‘Žđ?’—đ?’Š + đ?‘Žđ?’—đ?’‹ (đ?‘Ž + đ?‘?)đ?’—đ?’Š = ađ?’—đ?’Š + bđ?’—đ?’Š { 1đ?’—đ?’Š = đ?’—đ?’Š Da queste prima righe traspare l’importanza di alcune semplici proprieta’ quali le seguenti •

il vettore nullo e’ unico

•

l’opposto di un vettore e’ unico

•

ađ?’—đ?’Š = đ?&#x;Ž ⇔ đ?‘Ž = 0, đ?’—đ?’Š = đ?&#x;Ž, oppure contemporaneamente {

đ?‘Ž =0 . đ?’—đ?’Š = đ?&#x;Ž

E’ possibile fare qualche esempio di struttura algebrica definibile come spazio vettoriale. Un esempio banale di spazio vettoriale e’ costituito da � � , cioe’ a n dimensioni. Ad ogni punto di tale spazio e’ associabile univocamente una n-pla ordinata di numeri reali

indicata

come

(�1 , �2 , ‌ . . , �� , ‌ . , �� )

(�1 , �2 , ‌ . . , �� , ‌ . , �� ) corrisponde un unico punto.

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e

viceversa

ad

ogni

n-pla


L’elemento neutro additivo 0 e’ indicato come una n-pla di n zeri in sequenza cioe’ come 0 ≥(0, 0, ‌.., 0, ‌.., 0). Date due distinte n-ple (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘– , ‌ . , đ?‘Ľđ?‘› ) e (đ?‘Ś1 , đ?‘Ś2 , ‌ . . , đ?‘Śđ?‘– , ‌ . , đ?‘Śđ?‘› ) puo’ essere agevolmente essere definita la somma (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘– , ‌ . , đ?‘Ľđ?‘› ) + (đ?‘Ś1 , đ?‘Ś2 , ‌ . . , đ?‘Śđ?‘– , ‌ . , đ?‘Śđ?‘› ) come segue (đ?‘ 1 , đ?‘ 2 , ‌ . . , đ?‘ đ?‘– , ‌ . , đ?‘ đ?‘› ) =(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘– , ‌ . , đ?‘Ľđ?‘› ) + (đ?‘Ś1 , đ?‘Ś2 , ‌ . . , đ?‘Śđ?‘– , ‌ . , đ?‘Śđ?‘› ) = (đ?‘Ľ1 + đ?‘Ś1 , đ?‘Ľ2 + đ?‘Ś2 , ‌ ‌ . , đ?‘Ľđ?‘– + đ?‘Śđ?‘– , ‌ . đ?‘Ľđ?‘› + đ?‘Śđ?‘› ) . In altri termini la somma vettoriale si realizza sommando ordinatamente i termini corrispondenti dei vari vettori addendi, in astratto anche piu’ di due. In modo analogo la moltiplicazione di un vettore (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘– , ‌ . , đ?‘Ľđ?‘› ) per uno scalare k, reale o complesso e’ k(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘– , ‌ . , đ?‘Ľđ?‘› ) = (đ?‘˜đ?‘Ľ1 , đ?‘˜đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘˜ đ?‘Ľđ?‘– , ‌ . , đ?‘˜ đ?‘Ľđ?‘› ). Per k = 0 si ottiene il vettore nullo 0 ≥(0, 0, ‌.., 0, ‌.., 0). Nel caso n = 3 si ha uno spazio vettoriale a tre dimensioni, l’ordinario spazio euclideo. Esiste anche uno spazio vettoriale degenere detto spazio nullo, dato dall’insieme {0} per 0+0 =0 il quale risulta immediatamente che { đ?‘Ž0 = 0 ∀đ?‘Ž ∈ đ??ž

In generale con riferimento quindi ad uno spazio vettoriale V si ammette sia valida la proprieta’ di cancellazione per la quale � + � = � + � ⇒ � = � .

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I sottospazi vettoriali Dato uno spazio vettoriale V sul campo R dei numeri reali . Un insieme U ⊂ đ?‘‰ non vuoto e’ detto sottospazio vettoriale di V se ∀ u e ∀đ?’— appartenenti a U allora sono verificate đ?’–+đ?’— ∈đ?‘ˆ entrambe le condizioni { o concisamente se đ?›źđ?’– + đ?›˝đ?’— ∈ đ?‘ˆ ∀(đ?›ź, đ?›˝) ∈ đ?›źđ?’– ∈ đ?‘ˆ ∀đ?›ź ∈ đ??ž đ??žĂ—đ??ž. Gia’ si e’ detto dello spazio nullo che e’ indicato con {0} .

Vettori linearmente indipendenti e vettori linearmente dipendenti. Assegnati n vettori appartenenti allo spazio vettoriale V il vettore v = đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż . . +đ?‘Žđ?‘› đ?’—đ?’? , pure appartemente a V, e’ detto combinazione lineare dei vettori đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? . I valori đ?‘Ž1 , đ?‘Ž2 , ‌ . , đ?‘Žđ?‘› sono elementi di R o di C, a seconda dei casi trattati. Una combinazione lineare di vettori puo’ essere formalizzata sinteticamente con la seguente sommatoria v = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Žđ?‘– đ?’—đ?’Š di immediata interpretazione. Dalla nozione di combinazione lineare si perviene a quella di vettori linearmente dipendenti qualora esitano k ≤ đ?‘› valori đ?‘Žđ?‘› non tutti nulli tali che đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż . . +đ?‘Žđ?‘› đ?’—đ?’? = đ?&#x;Ž . Per contro, se đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż . . +đ?‘Žđ?‘› đ?’—đ?’? = đ?&#x;Ž quando đ?‘Ž1 = đ?‘Ž2 = â‹Ż . = đ?‘Žđ?‘› = 0 allora i dati vettori sono linearmente indipendenti. Partendo da uno spazio vettoriale V e considerando n vettori di esso l’insieme U i cui elementi sono tutte e sole le combinazioni lineari di essi e’ uno spazio vettoriale. Gli n vettori di V sono detti generatori di U. Lo spazio dei generatori e’ indicato con -6-


L(đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ). Qualora si consideri un solo vettore generatore, per esempio đ?’—đ?&#x;? il relativo spazio vettoriale L(đ?’—đ?&#x;? ) e’ detto retta vettoriale. Dati due vettori linearmente indipendenti đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? si ottiene il sottospazio L(đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? ) detto piano vettoriale. Tale sottospazio vettoriale ha come elementi i vettori đ?’— = đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? . Tra gli elementi di tale sottospazio vi e’ anche 0 ottenuto considerando (đ?‘Ž1 , đ?‘Ž2 ) = (0, 0). Gli spazi vettoriali i cui elementi (tutti gli elementi di esso) sono generati da un numero intero e finito di generatori sono detti spazi vettoriali finitamente generati. Un esempio canonico di spazio vettoriale finitamente generato e’ costituito dall’insieme dei vettori liberi di đ?‘… 3 .

Basi e dimensioni di uno spazio vettoriale Dato uno spazio vettoriale V finemente generato i vettori (đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) ad esso appartenenti costituiscono una base se essi sono linearmente indipendenti. Si osservi che la n-pla dei vettori linearmente indipendenti deve intendersi ordinata. Condizione necessaria e sufficiente affinche’ i vettori (đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) di V costituiscono una base e’ che ogni vettore v di V possa essere espresso in unico modo come combinazione lineare dei vettori (đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) . Pertanto si puo’ scrivere che v = a1 đ?’—đ?&#x;? + a2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż ‌ + an đ?’—đ?’? . I numeri (đ?‘Ž1 , đ?‘Ž2 , ‌ . , đ?‘Žđ?‘› ) sono detti coordinate o componenti del vettore v rispetto alla base (đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) . Cio’ giustifica quanto si afferma solitamente e cioe’ che ad ogni vettore v di V corrisponde una ed una sola n-pla di numeri reali e viceversa.

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Lo spazio vettoriale đ?‘… đ?‘› ammette una base, detta canonica, di vettori unitari (versori) a due a due ortogonali, comunemente detta base ortonormale. Tali vettori costituenti la base considerata sono rappresentabili con le seguenti n-ple đ?’†đ?&#x;? = (1, 0, 0, ‌ . . 0) đ?’† = (0, 1, 0, ‌ . 0) { đ?&#x;? ‌‌‌‌‌. đ?’†đ?’? = (0, 0 ,0, ‌ . .1) Nelle applicazioni elementari si utilizza una particolare notazione per i tre versori ortonormali che costituiscono la base (recte, una delle basi‌) nello spazio vettoriale đ?‘… 3 . đ?’Š = (1, 0,0) đ?’‹ Per tale base si utilizza la seguente notazione { = (0, 1, 0) . In altri termini ogni đ?’Œ = (0, 0, 1) elemento (vettore) di đ?‘… 3 e’ esprimibile in unico modo come una combinazione lineare dei vettori i, j, k. Quindi il vettore (il punto) v ≥(a, b, c) puo’ essere scritto in unico modo come v = đ?‘Žđ?’Š + đ?‘?đ?’‹ + đ?‘?đ?’Œ . Si osservi che dato V la base non e’ unica. La base canonica viene utilizzata essenzialmente per ragioni di praticita’. In ogni caso tutte le basi contengono lo stesso numero di vettori linearmente indipendenti. Viene, per definizione, definita dimensione di uno spazio vettoriale finemente generato V il numero di vettori contenuto nella base (in una delle infinite possibili basi). Se il numero di detti vettori e’ n si scrive che dimV= đ?‘›. Per quanto piu’ direttamente in questa sede rileva lo spazio vettoriale đ?‘… đ?‘› ha dimensione n.

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Prodotto scalare tra vettori di đ?‘šđ?’? . Spazio euclideo di dimensione n. Dati due vettori v= (đ?‘Ž1 , đ?‘Ž2 , ‌ . , đ?‘Žđ?‘› ) đ?‘’ đ?’– = (đ?‘?1 , đ?‘?2 , ‌ . , đ?‘?đ?‘› ) dello spazio vettoriale đ?‘… đ?‘› viene definito prodotto scalare (o prodotto interno) uv = đ?‘Ž1 đ?‘?1 + đ?‘Ž2 đ?‘?2 + â‹Ż . +đ?‘Žđ?‘› đ?‘?đ?‘› . nel caso che i due vettori siano perpendicolari allora risulta uv = 0 . Il prodotto scalare di vettori dello spazio vettoriale đ?‘… đ?‘› gode delle seguenti fondamentali proprieta’ (đ?’– + đ?’—)đ??Ž = đ?’–đ??Ž + đ?’—đ??Ž (đ?‘˜đ?’–)đ?’— = đ?‘˜(đ?’–đ?’—) đ?’–đ?’— = đ?’—đ?’– đ?’–đ?’– ≼ 0 In questo ultimo caso risulta đ?’–đ?’– = 0 quando (e solo quando) u= đ?&#x;Ž ≥(0, 0, ‌., 0) . Assegnato un vettore v = (a1 , a2 , ‌ . , an ) di đ?‘… đ?‘› puo’ essere definita la norma di tale vettore nel modo seguente ‖đ?’—‖ = √đ?’—đ?’— = √a1 2 + a2 2 + â‹Ż + an 2 . Un vettore tale che ‖đ?’—‖ = 1 e’ detto versore, o vettore unitario. Dato un vettore đ?’— tale che ‖đ?’—‖ > 1 la normalizzazione di esso (cioe’ il considerare un versore avente la stessa direzione (e lo stesso verso) di đ?’— ma avente norma unitaria, đ?’—

̂ e’ dato da � ̂ = ‖�‖ . indicato con � Sono di fondamentale importanza le due seguenti relazioni vettoriali, dette, rispettivamente, di Cauchy-Schwarz e di Minkowsky valide per ogni coppia (u ,v) di vettori di � �

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{

||��|| ≤ ‖�‖‖�‖ ‖� + �‖ ≤ ‖�‖ + ‖�‖

Viene quindi definita la distanza tra due vettori u e v indicata con d(đ?’–, đ?’—) = đ?‘‘(đ?’—, đ?’–) = ‖đ?’– − đ?’—‖=‖đ?’— − đ?’–‖ . Tale distanza e’ detta euclidea. Risulta d(đ?’–, đ?’—) = √(đ?‘Ž1 − đ?‘?1 )2 + (đ?‘Ž2 − đ?‘?2 )2 + â‹Ż . . +(đ?‘Žđ?‘› − đ?‘?đ?‘› )2 . Dalla seconda formula del prodotto scalare di due vettori si ottiene l’angolo tra due vettori di đ?‘… đ?‘› , anche se per le applicazioni elementari ci si riferisce essenzialmente al caso di đ?‘… 3 . Infatti, il prodotto scalare tra due vettori non nulli puo’ essere espresso con la seguente relazione đ?’–đ?’— = ‖đ?’–‖‖đ?’—‖đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?œ—

đ?’–đ?’—

da cui si ricava đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?œ— = ‖đ?’–‖‖đ?’—‖ e in definitiva đ?œ— =

đ?’–đ?’—

arccos(‖đ?’–‖‖đ?’—‖) . đ?œ‹

Se i vettori considerati sono ortogonali (đ?’– ⊼ đ?’—) si ha đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?œ— = cos( 2 ) = 0 (in rad.). Pertanto in questo caso il prodotto scalare e’ nullo. Puo’ essere utile considerare la proiezione vettoriale di un vettore u su un vettore v. Essa puo’ essere scritta nel modo seguente đ?’–đ?’—

Pr(u, v)= ‖đ?’—‖đ?&#x;?v E’ forse utile considerare la proiezione del vettore v sul vettore u nello spazio tridimensionale đ?‘… 3 .

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I due vettori u e v, essendo linearmente indipendenti, definiscono un piano. I due vettori devono considerarsi noti, quindi e’ utilizzabile la prima relazione del prodotto scalare e dalla seconda si ricava immediatamente il coseno dell’angolo fra essi e quindi anche l’angolo tra essi. Il vettore proiezione di u e’ indicato solitamente con la notazione đ?’–∗ . Al triangolo OAH e’ applicabile il teorema dei seni avendo che

‖đ?’–‖ đ?œ‹ đ?‘ đ?‘–đ?‘› 2

=

‖đ?’–∗ ‖ đ?œ‹ sin( −đ?œ—) 2

. In altri termini si ha

‖đ?’–∗ ‖ đ?œ‹ 2

sin( −đ?œ—)

=

đ?œ‹

‖đ?’–‖ e quindi ‖đ?’–∗ ‖ = ‖đ?’–‖sin( − đ?œ—) = ‖đ?’–‖cos(đ?œ—). 2 I vettori dello spazio đ?‘… 3 andrebbero indicati con il formalismo đ?‘˝đ?&#x;‘ . Anche osservando la figura precedente si puo’ constatare che un vettore applicato in un punto O, per esempio OA e’ un segmento orientato avente il punto O come primo estremo e il punto A come secondo estremo. L’insieme dei vettori aventi tutto il medesimo primo estremo O e’ indicato con il formalismo đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž . Vale la legge del parallelogramma di Newton che per comodita’ viene considerata nel piano euclideo, quindi con riferimento a đ?‘˝đ?&#x;?đ?&#x;Ž .

Il punto X e’ il quarto vertice del parallelogramma ricavabile dai punti A , O, e B. Si puo’ scrivere la seguente relazione vettoriale �� + �� = �� + �� = �� .

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Valgono tutte le proprieta’ gia’ enunciate per gli spazi vettoriali “astrattiâ€?. Sia dato uno scalare reale đ?›ź. Sia đ?‘śđ?‘¨ un elemento di đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž . Moltiplicando tale scalare reale per il dato vettore si ottiene il vettore đ?‘śđ?‘ż = Îąđ?‘śđ?‘¨ che per đ?›ź = 0 conduce đ?‘śđ?‘ż = đ?‘śđ?‘ś, cioe’ al vettore nullo. Se esiste uno scalare reale đ?›ź | đ?‘śđ?‘Š = đ?›źđ?‘śđ?‘¨ si dice che i due vettori sono proporzionali, o, anche, che sono linearmente dipendenti. Al variare di đ?›ź nei reali si ottengono i vettori della retta vettoriale. I vettori đ?‘śđ?‘¨, đ?‘śđ?‘Š đ?‘’ đ?‘śđ?‘Ş sono detti complanari se i tre punti A, B e C sono non allineati. Infatti, tre punti non allineati definiscono un piano. Due vettori đ?‘śđ?‘¨ e đ?‘śđ?‘Š di đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž tali che i punti A e B non siano allineati con il punto O definiscono un piano che viene solitamente indicato come l’insieme Span(đ?‘śđ?‘¨, đ?‘śđ?‘Š) = {đ?›źđ?‘‚đ??´ + đ?›˝đ?‘‚đ??ľ ∀đ?›ź, đ?›˝ ∈ đ?‘…}. Valgono anche per gli elementi di đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž le stesse proprieta’ formali enunciate in generale per gli spazi vettoriali. E’ poi evidente che ogni vettore di đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž e’ esprimibile in unico modo come combinazione lineare di tre vettori a due a due ortogonali. In altri termini dato il vettore đ?‘śđ?‘ˇ si ha đ?‘śđ?‘ˇ = ađ?’Š + bđ?’‹ + cđ?’Œ . In altri termini al punto P corrisponde la terna (a, b, c) e a distinti punti corrispondono distinte terne. La terna ordinata (i, j, k) di vettori unitari (versori) a due a due ortogonali e’ detta base ortonormale o canonica. Esiste una applicazione biunivoca che fa corrispondere ad un elemento di đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž uno ed un solo elemento di đ?‘… 3 . La biunivocita’ si ha quando sia data la base, quindi con riferimento ad una delle infinite basi.

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In modo analogo si procede quando si considera l’insieme đ?‘˝đ?&#x;‘ dei vettori liberi. In questo caso viene naturalmente definita la nozione di vettori liberi equivalenti. Due vettori đ?‘śđ?‘¨ đ?‘’ đ?‘śâ€˛đ?‘¨â€˛ sono detti equivalenti (scrivendo đ?‘śđ?‘¨ ~ đ?‘śâ€˛đ?‘¨â€˛ ) se e’ verificata la seguente equazione vettoriale đ?‘śđ?‘¨ = đ?‘śđ?‘śâ€˛ + đ?‘śâ€˛đ?‘¨â€˛ .

Per comodita’ si e’ disegnata una figura riferita a vettori nello spazio a due dimensioni. Ma la stessa relazione vettoriale puo’ essere riferita ad uno spazio a tre dimensioni, cioe’ all’ordinario spazio euclideo.

E’ sicuramente utile evidenziare la relazione tra spazi vettoriali e sottospazi vettoriali con riferimento al caso concreto dello spazio euclideo e del piano euclideo, e, quindi, con riferimento a đ?‘… 3 đ?‘’ đ?‘Ž đ?‘… 2 . Ad esempio, considerando gli spazi vettoriali đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž e đ?‘˝đ?&#x;?đ?&#x;Ž si puo’ evidenziare che ad ogni elemento di đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž e’ univocamente associabile uno ed uno solo elemento di đ?‘‰02 . Non e’ vero il contrario. Ad un vettore, elemento dello spazio vettoriale đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž e’ associabile il vettore proiezione di esso sul piano xy, come facilmente si comprende dalla figura sottostante

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.

Il vettore di đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž indicato in blu puo’ essere associato al vettore di đ?‘˝đ?&#x;?đ?&#x;Ž , che ne costituisce la proiezione. Non e’ vero il contrario perche’ come e’ facile intuire esistono infiniti vettori che hanno tale vettore di đ?‘˝đ?&#x;?đ?&#x;Ž quale proiezione. Se si considera il vettore (a, b) di đ?‘˝đ?&#x;?đ?&#x;Ž allora i vettori di đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž che hanno il vettore (a, b) di đ?‘˝đ?&#x;?đ?&#x;Ž quale proiezione sono tutti e soli i vettori (a, b, x) di đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž ∀x ≠0. đ?‘˝đ?&#x;?đ?&#x;Ž e’ un sottospazio vettoriale di đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž .

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Vettori liberi, generatori e basi Vettori liberi Dato uno spazio vettoriale V i vettori elementi di esso possono essere indicati con đ?’—đ?’Š essendo i un numero intero assoluto, risultando quindi i ∈ đ??ź . Se si considerano n vettori di V, indicati con đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . . , đ?’—đ?’? ed ognuna delle possibili successioni di n vettori e’ costituita da vettori linearmente indipendenti (cioe’ tali che ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?œ†đ?‘– đ?’—đ?’Š = đ?‘śđ?‘˝ ⇒ đ?œ†đ?‘– = 0 ∀đ?‘– ≤ đ?‘›) si dice che un insieme di vettori {đ?‘Łđ?‘– } e’ libero.

Generatori Data la finalita’ eminentemente pratica e priva di velleita’ “accademicheâ€? di queste note e’ comunque utile precisare la distinzione tra la nozione di generatori e di basi, procedendo in modo schematico e rinviando all’ottima manualistica citata per i necessari approfondimenti. Sia dato uno spazio vettoriale V. Dati i vettori đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . . , đ?’—đ?’? la scrittura L{đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . . , đ?’—đ?’? } denota l’insieme i cui elementi sono tutte le possibili combinazioni lineari degli assegnati n vettori. In altri termini L{đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . . , đ?’—đ?’? }= {đ?œ†1 đ?’—đ?&#x;? + đ?œ†2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż . . +đ?œ†đ?‘› đ?’—đ?’? } dove deve intendersi che che đ?œ†đ?‘–≤đ?‘› puo’ assumere tutti i possibili valori in (−∞, +∞) . Se L{đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . . , đ?’—đ?’? }= đ?‘˝ si dice che gli elementi di L (combinazioni lineari dei dati vettori ) sono un sistema di generatori per lo spazio V. Uno spazio vettoriale V e’ detto finito se l’insieme L{đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . . , đ?’—đ?’? }= đ?‘˝ ammette un numero finito di elementi.

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Basi Come si e’ ben compreso dall’impostazione dell’elaborato dal punto di vista pratico e operativo, specie a livello elementare, e’ sicuramente piu’ utilizzata la nozione di base di uno spazio vettoriale, affinamento della nozione di generatori. I vettori di {�� } sono una base se: •

i vettori đ?’—đ?’Š sono un sistema di generatori;

•

i vettori đ?’—đ?’Š sono linearmente indipendenti.

Se i vettori di una base sono tali che đ?’—đ?’Š ⊼ đ?’—đ?’‹ ∀đ?‘–, đ?‘— | đ?‘– ≠đ?‘— si dice che tale base e’ ortogonale. Qualora alla condizione đ?’—đ?’Š ⊼ đ?’—đ?’‹ ∀đ?‘–, đ?‘— | đ?‘– ≠đ?‘— si aggiunga la condizione ‖đ?’—đ?’Š ‖ = ‖đ?’—đ?’‹ ‖ = 1 si dice che tale base e’ ortonormale.

E’ frequente nella manualistica (Lipschutz, Lipton, p.e.) l’utilizzo della nozione di sistema span. Si dice che n vettori di V , indicato con �� con i ≤ � , formano un sistema span se ogni altro vettore di V e’ una combinazione lineare di tali �� con i ≤ � vettori.

Sottospazi vettoriali intersezione e somma Sia dato uno spazio vettoriale V. Siano dati due sottospazi vettoriali X ed Y dello spazio vettoriale V. Per sottospazio intersezione si intende l’insieme, indicato come X ∊Y avente per elementi tutti e soli gli elementi comuni ai due insiemi X ed Y.

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L’essenza della dimostrazione, invero assai semplice, e’ costituita dalla necessita’ di dover evidenziare che tale insieme X ∊Y e’ chiuso rispetto alla somma vettoriale e al prodotto di un vettore per uno scalare. In sintesi si puo’ scrivere che {

đ?’™âˆˆX ∊Y đ?’™ ∈ X, đ?’™ ∈ Y ⇒{ ma poiche’ X ed Y sono đ?’šâˆˆX ∊Y đ?’š ∈ X, đ??˛ ∈ Y

đ?’™+đ?’šâˆˆX kđ?’™ ∈ X sottospazi vettoriali allora si ha che { ed anche { . đ?’™+đ?’šâˆˆY kđ?’™ ∈ Y Per la definizione di X ∊ Y (che deve contenere tutti e soli gli elementi comuni a X ed Y) si puo’ affermare che {

đ?’™âˆˆ X ∊Y đ?’™+đ?’š ∈ X ∊Y . Quindi dalla affermazione che { si e’ đ?’šâˆˆX ∊Y kđ?’™ ∈ X ∊ Y

đ?’™+đ?’šâˆˆX ∊Y giunti a { comprovando la natura di spazio vettoriale di X ∊ Y quando lo kđ?’™ ∈ X ∊ Y siano X ed Y sottospazi vettoriali di V. Le cose non sono cosi’ semplici quando si debba considerare l’unione di due sottospazi vettoriali X ed Y di un dato spazio vettoriale V. Tale unione e’ detta anche somma. La manualistica (Vaccaro, Carfagna, Piccolella) riporta tra gli esempi di somma di spazi vettoriali, sottospazi di un dato spazio vettoriale, che non ha struttura di spazio vettoriale l’unione dei sottospazi vettoriali quali sono quelli che definiscono due distinte rette vettoriali non parallele. In termini semplificati se {kđ?’™} e {hđ?’š} definiscono due rette vettoriali non parallele allora l’insieme somma contiene tutti gli elementi appartenenti ai due insiemi. Sotto la condizione posta si puo’ scrivere che {kđ?’™} ∊ {hđ?’š} = đ?&#x;Ž . Per la somma vettoriale l’insieme e’ forse impropriamente rappresentabile come {kđ?’™ , hđ?’š ∀h, k ∈ R } .

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Il vettore kđ?’™ + hđ?’š in generale non e’ elemento di XâˆŞY per come sono assunti i vettori elementi di {kđ?’™} đ?‘’ {hđ?’š} salvo il caso sia (k, h) = (0, 0). Esistono casi per i quali due spazi vettoriali X ed Y sottospazi dello spazio vettoriale V possono definire un ulteriore spazio vettoriale, detto somma di X ed Y, ed indicato con la scrittura X + Y (sottospazio somma di X e di Y). Di tale sottospazio vettoriale e’ fornita una semplice definizione insiemistica per la quale si scrive X + Y ={ đ?’— ∈ đ?‘‰| đ?’— = đ?’– + đ??Ž ∀đ?’– ∈ đ?‘‹, ∀đ??Ž ∈ đ?‘Œ} Occorre partire dalla modalita’ costitutiva di X+ Y . Tale insieme e’ costituito dai vettori di V che sono la somma dei vettori đ?’– ∈ đ?‘‹ đ?‘’ đ??Ž ∈ đ?‘Œ . Poiche’ X ed Y sono per definizione sottospazi vettoriali allora allora il vettore nullo appartiene sia a X che a Y, oltreche’ a V quindi đ?’— = đ?’– + đ??Ž e’ riscrivibile come đ?&#x;Ž = đ?&#x;Ž + đ?&#x;Ž . In altri termini đ?&#x;Ž ∈ X+ Y . đ?’–∈đ?‘‹ Poiche’ X ed Y sono sottospazi vettoriali allora da { risulta assumibile pure che đ??Žâˆˆđ?‘Œ hđ?’– ∈ đ?‘‹ . Ma poiche’ X ed Y sono, per ipotesi, sottospazi vettoriali di V allora di puo’ kđ??Ž ∈ đ?‘Œ affermare che

hđ?’– ∈ đ?‘‰ . kđ??Ž ∈ đ?‘‰

Ma, per definizione, essendo V uno spazio vettoriale questa ultima affermazione consente di affermare che pure il vettore hđ?’– + kđ??Ž appartiene a V. Quando si consideri (h, k) = đ?’–∈đ?‘‹ (1,1) si evince che il vettore đ?’– + đ??Ž e’ elemento di V. Con cio’ e’ dimostrato che da { đ??Žâˆˆđ?‘Œ si e’ ottenuto che đ?’– + đ??Ž e’ elemento di V. Piu’ in generale, come detto, i vettori hđ?’– + kđ??Ž appartengono a X+ Y essendo pure elementi di V.

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Tra le dimensioni degli spazi vettoriali X e Y , sottospazi vettoriali di V, esiste una relazione detta di Grassmann per la quale dimX +đ?‘‘đ?‘–đ?‘šđ?‘Œ = dim(đ?‘‹ + đ?‘Œ) + dim(đ?‘‹ ∊ đ?‘Œ) . Nel caso particolare dello spazio vettoriale đ?‘‹ + đ?‘Œ qualora risulti đ?‘‹ ∊ đ?‘Œ = {đ?&#x;Ž} si ha una particolare notazione đ?‘‹ + đ?‘Œ |đ?‘‹âˆŠđ?‘Œ={đ?&#x;Ž} = đ?‘‹ ⊕ đ?‘Œ . In questo caso risulta dimX +đ?‘‘đ?‘–đ?‘šđ?‘Œ = dim(đ?‘‹ + đ?‘Œ). Qualora risulti đ?‘‹ ⊕ đ?‘Œ = đ?‘‰ si dice che X e’ il sottospazio supplementare di Y in V. Condizione necessaria e sufficiente affinche’ sia

đ?‘‡ = đ?‘‹ + đ?‘Œ |đ?‘‹âˆŠđ?‘Œ={đ?&#x;Ž} = đ?‘‹ ⊕ đ?‘Œ e’ che

ogni đ?’• ∈ T si esprima in unico modo come đ?’• = đ?’– + đ??Ž . Trattandosi di una condizione necessaria e sufficiente e’ necessario dimostrare che

{

đ?‘‡ = đ?‘‹ + đ?‘Œ |đ?‘‹âˆŠđ?‘Œ={đ?&#x;Ž} = đ?‘‹ ⊕ đ?‘Œ ⇒ ∀đ?’™ ∈ đ?‘‹, ∀đ?’š ∈ đ?‘Œ ∃! đ?’• ∈ đ?‘‡ | đ?’• = đ?’™ + đ?’š ∀đ?’™ ∈ đ?‘‹, ∀đ?’š ∈ đ?‘Œ ∃! đ?’• ∈ đ?‘‡ | đ?’• = đ?’™ + đ?’š ⇒ đ?‘‡ = đ?‘‹ + đ?‘Œ |đ?‘‹âˆŠđ?‘Œ={đ?&#x;Ž} = đ?‘‹ ⊕ đ?‘Œ

La prima implicazione presuppone dall’ipotesi đ?‘‡ = đ?‘‹ + đ?‘Œ |đ?‘‹âˆŠđ?‘Œ={đ?&#x;Ž} = đ?‘‹ ⊕ đ?‘Œ si ottenga la tesi che ∀đ?’™ ∈ đ?‘‹, ∀đ?’š ∈ đ?‘Œ ∃! đ?’• ∈ đ?‘‡ | đ?’• = đ?’™ + đ?’š . Tale implicazione viene dimostrata con la reductio ad absurdum quindi negando la tesi, ammettendo quindi che ogni elemento di T possa essere espresso in almeno due modi distinti come somma di due vettori e quindi ammettendo che esistano due vettori đ?’™â€˛ ≠đ?’™ đ?‘’ đ?’šâ€˛ ≠đ?’š | đ?’™â€˛ ∈ đ?‘‹ đ?‘’ đ?’šâ€˛ ∈ đ?‘Œ tali che sia đ?’• = đ?’™ + đ?’š = đ?’™â€˛ + đ?’šâ€˛ . Tale relazione vettoriale e’ manipolabile algebricamente avendo che đ?’™ − đ?’™â€˛ = đ?’šâ€˛ − đ?’š. Sarebbe (đ?’™ − đ?’™â€˛ ) ∈ đ?‘‹ e (đ?’šâ€˛ − đ?’š) ∈ đ?‘Œ. Dal che (Vaccaro, Carfagna, Piccolella) discende una contraddizione con l’ipotesi đ?‘‹ ∊ đ?‘Œ = {đ?&#x;Ž}.

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Allo stesso risultato contraddittorio si perviene per altra via con una modalita’ abbastanza đ?’•=đ?’™+đ?’š immediata. Se e’ ammesso che sia { quando si ponga đ?’™â€˛ ≠đ?’™ đ?‘’ đ?’šâ€˛ ≠đ?’š | đ?’™â€˛ ∈ đ?’• = đ?’™â€˛ + đ?’šâ€˛ đ?‘‹ đ?‘’ đ?’šâ€˛ ∈ đ?‘Œ . In altri termini si puo’ scrivere che {

đ?’™â€˛ = đ?’™ + đ?’” ove đ?’” đ?‘’ đ?’Œ sono due vettori non nulli tali đ?’šâ€˛ = đ?’š + đ?’Œ

che s ∈ đ?‘‹ đ?‘’ đ?’Œ ∈ đ?‘Œ sotto la condizione đ?‘‹ ∊ đ?‘Œ = {đ?&#x;Ž}. Da { {

�=�+� tenuto conto che � = �′ + �′

đ?’•=đ?’™+đ?’š đ?’™â€˛ = đ?’™ + đ?’” Sostituendo nella seconda relazione si ha { ed ′ đ?’š =đ?’š+đ?’Œ đ?’• = đ?’™â€˛ + đ?’šâ€˛ = đ?’™ + đ?’” + đ?’š + đ?’Œ

anche đ?’• = đ?’™â€˛ + đ?’šâ€˛ = đ?’™ + đ?’” + đ?’š + đ?’Œ = (đ?’™ + đ?’š) + (đ?’” + đ?’Œ) = đ?’• + (đ?’” + đ?’Œ). In altri termini si perviene alla seguente relazione vettoriale đ?’• = đ?’• + (đ?’” + đ?’Œ). Tale relazione sarebbe vera per đ?’” + đ?’Œ = đ?&#x;Ž o equivalentemente per đ?’” = −đ?’Œ. Ma tale conclusione e’ impossibile in quanto i due vettori appartengono a distinti sottospazi vettoriali la cui intersezione ammette come univo vettore elemento il vettore nullo đ?&#x;Ž . Il fatto si sia posto đ?’” = −đ?’Œ ≠đ?&#x;Ž comprova l’unicita’ . In altri termini non sarebbe X ∊ đ?‘Œ = {đ?&#x;Ž} . Occorre ora dimostrare la seconda implicazione per la quale deve essere ∀đ?’™ ∈ đ?‘‹, ∀đ?’š ∈ đ?‘Œ ∃! đ?’• ∈ đ?‘‡ | đ?’• = đ?’™ + đ?’š ⇒ đ?‘‡ = đ?‘‹ + đ?‘Œ |đ?‘‹âˆŠđ?‘Œ={đ?&#x;Ž} = đ?‘‹ ⊕ đ?‘Œ Se đ?’• = đ?’™ + đ?’š puo’ essere espresso in unico modo allora đ?‘‡ = đ?‘‹ + đ?‘Œ |đ?‘‹âˆŠđ?‘Œ={đ?&#x;Ž} Ammettiamo esista un đ?’Œ tale che đ?’Œ ∈ (đ?‘‹ ∊ đ?‘Œ) allora đ?’Œ ∈ đ?‘‹ e đ?’Œ ∈ Y . Sotto queste ipotesi đ?’™âˆˆđ?‘‹ đ?’™+đ?’Œâˆˆđ?‘‹ đ?’šâˆˆđ?‘Œ si puo’ dire che { ⇒{ ma essendo X un sottospazio vettoriale e’ vero đ?’š +đ?’Œ ∈đ?‘Œ đ?’Œâˆˆđ?‘‹ đ?’ŒâˆˆY che {

đ?’™+đ?’Œâˆˆđ?‘‹ đ?’šâˆ’đ?’Œ ∈đ?‘Œ - 20 -


Pertanto, il vettore (đ?’™ + đ?’Œ) + (đ?’š − đ?’Œ) ∈ T. Tale vettore puo’ essere riscritto come đ?’™â€˛ + đ?’šâ€˛ =(đ?’™ + đ?’Œ) + (đ?’š − đ?’Œ) = đ?’™ + đ?’Œ + đ?’š − đ?’Œ = đ?’•. đ?’Œâˆˆđ?‘‹ L’aver ammesso l’esistenza di un qualunque tale che { e quindi tale che si possa đ?’Œ ∈đ?‘Œ affermare che đ?’Œ ∈ đ?‘‹ ∊ đ?‘Œ ha consentito di scrivere đ?’• secondo le due modalita’ { nelle quali si puo’ affermare che {

� = �+� �′ = �′ + �′

đ?’™ ≠đ?’™â€˛ đ?’Œâˆˆđ?‘‹ ∀đ?’Œ ≠0| { . đ?’š ≠đ?’šâ€˛ đ?’Œ ∈đ?‘Œ

Da tale enunciato deriva una fondamentale conseguenza immediatamente dimostrabile per la quale se X ed Y sono due sottospazi vettoriali di V dei quali sono assegnate le basi risulta che condizione necessaria e sufficiente affiche’ sia đ?‘‡ = đ?‘‹ + đ?‘Œ |đ?‘‹âˆŠđ?‘Œ={0} = đ?‘‹ ⊕ đ?‘Œ e’ che T abbia come basi l’unione delle basi di X ed Y. Se {đ?’™đ?&#x;? , đ?’™đ?&#x;? , ‌ . . , đ?’™đ?’Š , ‌ , đ?’™đ?’’ } e’ una base di X, đ?‘’ {đ?’šđ?&#x;? , đ?’šđ?&#x;? , ‌ . . , đ?’šđ?’Œ , ‌ , đ?’™đ?’“ } e’ una base di Y allora c.n.e.s affiche’ sia đ?‘‡ = đ?‘‹ + đ?‘Œ |đ?‘‹âˆŠđ?‘Œ={0} = đ?‘‹ ⊕ đ?‘Œ e’ che, assegnate le basi di X e di Y, risulti che la base di T e’ {đ?’™đ?&#x;? , đ?’™đ?&#x;? , ‌ . . , đ?’™đ?’Š , ‌ , đ?’™đ?’’ , đ?’šđ?&#x;? , đ?’šđ?&#x;? , ‌ . . , đ?’šđ?’Œ , ‌ , đ?’™đ?’“ }. Si osservi che se dimX = đ?‘ž e dimY= đ?‘&#x; allora dim(đ?‘‹ ⊕ đ?‘Œ) = đ?‘ž + đ?‘&#x; . La dimostrazione e’ immediata in quanto ∀đ?’• ∈ đ?‘‹ ⊕ đ?‘Œ si ha che đ?’• = đ?’™ + đ?’š essendo đ?’™ ∈ X e đ?’š ∈ Y. Dato che {đ?’™đ?&#x;? , đ?’™đ?&#x;? , ‌ . . , đ?’™đ?’Š , ‌ , đ?’™đ?’’ } costituisce una base di X allora ogni đ?’™ puo’ essere scritto in unico modo come una combinazione di vettori dell’assegnata base, avendo che đ?’™ = ∑đ?‘žđ?‘–=1 đ?‘Žđ?‘– đ?’™đ?’Š . Analogamente dato che {đ?’šđ?&#x;? , đ?’šđ?&#x;? , ‌ . . , đ?’šđ?’Œ , ‌ , đ?’™đ?’“ } e’ una base di Y e’ possibile scrivere ogni vettore di Y in unico modo come una combinazione lineare di vettori della base assegnata, avendo quindi che đ?’™ = ∑đ?‘&#x;đ?‘˜=1 đ?‘?đ?‘˜ đ?’šđ?’Œ . - 21 -


đ?‘ž

Il vettore đ?’• puo’ essere scritto come đ?’• = đ?’™ + đ?’š = ∑đ?‘–=1 đ?‘Žđ?‘– đ?’™đ?’Š + ∑đ?‘&#x;đ?‘˜=1 đ?‘?đ?‘˜ đ?’šđ?’Œ . Ma

il

vettore

� puo’

essere

scritto

in

modo

unico

se

e

solo

se

{đ?’™đ?&#x;? , đ?’™đ?&#x;? , ‌ . . , đ?’™đ?’Š , ‌ , đ?’™đ?’’ , đ?’šđ?&#x;? , đ?’šđ?&#x;? , ‌ . . , đ?’šđ?’Œ , ‌ , đ?’™đ?’“ } e’ una base di T.

Applicazioni lineari – prima parte E’ dato un campo K. Sono quindi dati due spazi vettoriali V e W. Una applicazione lineare tra i due spazi vettoriali e’ una funzione (o mappa) F : V → đ?‘Š tale che ad un elemento đ?’— ∈ đ?‘‰ un elemento F(đ?’—) dovendo essere verificate due condizioni, dette, rispettivamente, proprieta’ additiva (o additivita’) e proprieta’ di omogeneita’. Quindi, ∀ đ?’–, đ?’— ∈ đ?‘‰ risulta, per definizione, che T(đ?’– + đ?’—) = đ?‘‡(đ?’–) + đ?‘‡(đ?’—) T(đ?‘˜đ?’–) = đ?‘˜đ?‘‡(đ?’–) ∀đ?‘˜ ∈ đ??ž . Nei casi piu’ elementari K coincide con R, insieme dei numeri reali. Nel caso sia V = đ?‘Š l’applicazione lineare e’ detta endomorfismo. La proprieta’ T(đ?‘˜đ?’–) = đ?‘˜đ?‘‡(đ?’–) e’ vera ∀đ?‘˜ ∈ đ??ž ed anche per k = 0. In questo caso al vettore đ?‘ś đ?‘‘đ?‘– đ?‘‰ denotato come đ?‘śđ?‘˝ , corrisponde il vettore đ?‘ś đ?‘‘đ?‘– đ?‘Š, denotato come đ?‘śđ?‘ž . E’ sicuramente utile (Abate, de Fabritiis) ricordare una particolare applicazione lineare denotata con đ??šđ??ľ : V → đ?‘… đ?‘› che, assegnata una base B, quindi n vettori linearmente indipendenti, associa ad un elemento đ?’— di V una n-pla di numeri reali. Essa e’ ovviamente biiettiva. Siano dati due distinti spazi vettoriali V e W aventi la medesima dimensione n.

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Siano {đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? } e {đ??Žđ?&#x;? , đ??Žđ?&#x;? , ‌ . , đ??Žđ?’? } due basi di V e W rispettivamente. Esiste una unica applicazione lineare tale che đ??Žđ?’Š = T(đ?’—đ?’Š ) definita come segue T(đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + a2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż . +đ?‘Žđ?‘› đ?’—đ?’? ) = đ?‘Ž1 đ??Žđ?&#x;? + a2 đ??Žđ?&#x;? + â‹Ż . +đ?‘Žđ?‘› đ??Žđ?’? ove gli đ?‘Žđ?‘– sono elementi di K. Le applicazioni lineari sono anche dette omomorfismi. Occorre, a questo punto, definire immagine e nucleo di una applicazione lineare f tra due spazi vettoriali V e W. f(V) e’ un sottospazio vettoriale di W. Tale sottospazio vettoriale non e’ vuoto in quanto contiene sicuramente đ?&#x;Žđ?‘ž . Assegnati due vettori di V esistono due vettori di W tali che f

{

đ?’—đ?&#x;? → đ??Žđ?&#x;? đ?‘“

đ?’—đ?&#x;? → đ??Žđ?&#x;? Ma per la definizione di spazio vettoriale pure il vettore đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;? e’ elemento di V. Ma đ?‘“

đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;? → đ??Žđ?&#x;? + đ??Žđ?&#x;? . Analogamente se đ?’—đ?&#x;? e’ elemento di V anche đ?‘Žđ?’—1 e’ elemento di V e đ?‘“

đ?‘“

pertanto da đ?’—đ?&#x;? → đ??Žđ?&#x;? e da đ?‘Žđ?’—đ?&#x;? → đ?‘Žđ??Žđ?&#x;? . La circostanza che f(V) sia un sottospazio vettoriale e’ implicita nella nozione di applicazione lineare. Se (đ?‘˘1 , đ?‘˘2 , ‌ . . , đ?‘˘đ?‘› ) e’ una base di V (di dimensione n) allora la base di f(V) (immagine di V tramite f) e’ la seguente n-pla di vettori (đ?‘“(đ?‘˘1 ), đ?‘“(đ?‘˘2 ), ‌ . . , đ?‘“(đ?‘˘đ?‘› )) . Viene sovente (Vaccaro, Carfagna, Piccolella) ricordato il seguente teorema Se U e’ un sottospazio vettoriale di V allora f(U) e’ un sottospazio vettoriale di f(V). Una ulteriore fondamentale nozione di immediata utilizzazione nell’ambito delle trasformazioni lineari e’ costituita dal nucleo di una applicazione lineare f, sovente indicato ocn il formalismo Ker đ?‘“ , da kernel che in tedesco significa nucleo. - 23 -


Assegnata una applicazione lineare đ?‘“: đ?‘‰ → đ?‘Š il nucleo dell’applicazione lineare e’ costituito da tutti e soli i đ?’— ∈ đ?‘‰ tali che đ?‘“(đ?’—) = đ?‘śđ?‘ž . Infatti, se e’ vero che ∀đ?‘“ (essendo đ?‘“ đ?‘“

una applicazione lineare) e’ vero che �� → �� non e’ altrettanto vero che affiche’ sia vero �

che đ?’— → đ?‘śđ?‘ž debba essere đ?’— = đ?‘śđ?‘ž . In termini formali si scrive che Kđ?‘’đ?‘&#x; đ?‘“ = {đ?’— ∈ V|đ?‘“(đ?’—) = đ?&#x;Žđ?‘ž } con cio’ intendendo sottolineare che fanno parte del nucleo di una applicazione lineare assegnata i vettori di V che, tramite đ?‘“, sono “mandatiâ€? nello zero dello spazio W, indicato con đ?&#x;Žđ?‘ž . E’ immediato dimostrare che Kđ?‘’đ?‘&#x; đ?‘“ ha struttura di spazio vettoriale. Kđ?‘’đ?‘&#x; đ?‘“ e’ un sottospazio vettoriale di V. Esso e’ non vuoto in quanto sicuramente đ?‘“(đ?‘śđ?‘˝ ) = đ?&#x;Žđ?‘ž . In altri termini đ?‘śđ?‘˝ ∈ Kđ?‘’đ?‘&#x; đ?‘“ . Si ammetta esista una coppia almeno di vettori di V, detti đ?’—đ?&#x;? đ?‘’ đ?’—2 per i quali risulti vero đ?‘“

che {

�1 → �� �

. Per la definizione di spazio vettoriale (essendolo V) e per la definizione di

đ?‘Ł2 → đ?‘‚đ?‘Š applicazione lineare deve risultare che đ?‘“(đ?›źđ?’—đ?&#x;? + đ?›˝đ?’—đ?&#x;? ) = đ?›źđ?‘śđ?‘ž + đ?›˝đ?‘śđ?‘ž = đ?‘śđ?‘ž + đ?‘śđ?‘ž = đ??Žđ??– . Quindi Kerđ?‘“ e’ un sottospazio vettoriale di V. Nel novero delle applicazioni lineari sono ricomprese le applicazioni iniettive (o iniezioni). Una applicazione lineare đ?‘“: V →W e’ detta iniettiva se đ?’—đ?&#x;? ≠đ?’—đ?&#x;? ⇒ đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? ) ≠đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? ). Viene solitamente enunciato il seguente importante teorema: Kerđ?‘“ = { đ?‘śđ?‘˝ } ⇔ đ?‘“(đ?’—đ?’Š ) ≠đ?‘“(đ?’—đ?’‹ ) ∀đ?’—đ?’Š , đ?’—đ?’‹ |đ?’—đ?’Š , đ?’—đ?’‹ ∈ đ?‘‰ .

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Occorre dimostrare che {

Kerđ?‘“ = { đ?‘śđ?‘˝ } ⇒ đ?‘“(đ?’—đ?’Š ) ≠đ?‘“(đ?’—đ?’‹ ) ∀đ?’—đ?’Š , đ?’—đ?’‹ |đ?’—đ?’Š , đ?’—đ?’‹ ∈ đ?‘‰ đ?‘“(đ?’—đ?’Š ) ≠đ?‘“(đ?’—đ?’‹ ) ∀đ?’—đ?’Š , đ?’—đ?’‹ |đ?’—đ?’Š , đ?’—đ?’‹ ∈ đ?‘‰ ⇒ Kerđ?‘“ = { đ?‘śđ?‘˝ }

Si puo’ partire da Kerđ?‘“ = { đ?‘śđ?‘˝ } ⇒ đ?‘“(đ?’—đ?’Š ) ≠đ?‘“(đ?’—đ?’‹ ) ∀đ?’—đ?’Š , đ?’—đ?’‹ |đ?’—đ?’Š , đ?’—đ?’‹ ∈ đ?‘‰ cioe’ dalla prima delle due implicazioni. Ammettiamo che esistano due vettori di V, diversi dal vettore zero di V, tali che sia {

đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? ) = đ??Ž negando con cio’ la tesi che sia đ?‘“(đ?’—đ?’Š ) ≠đ?‘“(đ?’—đ?’‹ ) ∀đ?’—đ?’Š , đ?’—đ?’‹ |đ?’—đ?’Š , đ?’—đ?’‹ ∈ đ?‘‰ . đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? ) = đ??Ž

đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? ) = đ??Ž Da { si ottiene, sottraendo membro a membro, che đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? ) − đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? ) = đ??Ž − đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? ) = đ??Ž đ??Ž = đ?‘śđ?‘ž . Ma si puo’ ulteriormente scrivere che đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? ) − đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? ) = đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? − đ?’—đ?&#x;? ) = đ?‘śđ?‘ž . Pertanto si dovrebbe ammettere che (đ?’—đ?&#x;? − đ?’—đ?&#x;? )∈ đ??žđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘“ contro l’ipotesi che sia Kerđ?‘“ = { đ?‘śđ?‘˝ }, dovendo rilevarsi che (đ?’—đ?&#x;? − đ?’—đ?&#x;? ) ≠đ?‘śđ?‘˝ quando đ?’—đ?&#x;? ≠đ?’—đ?&#x;? . Occorre ora considerare la seconda implicazione, scambiando l’ipotesi con la tesi. Si abbia quindi da dimostrare che đ?‘“(đ?’—đ?’Š ) ≠đ?‘“(đ?’—đ?’‹ ) ∀đ?’—đ?’Š , đ?’—đ?’‹ |đ?’—đ?’Š , đ?’—đ?’‹ ∈ đ?‘‰ ⇒ Kerđ?‘“ = { đ?‘śđ?‘˝ } . In altri termini occorre dimostrare che se per ogni coppia di vettori distinti đ?’—đ?&#x;? đ?‘’ đ?’—2 l’ipotesi đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? ) ≠đ?‘“(đ?’—2 ) implica necessariamente che kerđ?‘“ = {đ?‘śđ?‘‰ } . Ammettiamo che esista un đ?’—đ?’™ ∈ V| đ?’—đ?’™ ≠đ?&#x;Žđ?‘˝ per il quale sia đ?’‡(đ?’—đ?’™ ) = đ?‘śđ?‘ž . Sotto questa condizione sarebbe kerđ?‘“ = {đ?‘śđ?‘‰ , đ?’—đ?’™ } e con cio’ sarebbe stata negata la tesi. Ma negando la tesi viene contraddetta l’ipotesi. Infatti, cosi’ facendo in quanto esisterebbero almeno due vettori di V, cioe’ i vettori đ?‘śđ?‘‰ đ?‘’ đ?’—đ?’™ tali che đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? = đ?‘śđ?’— ) = đ?‘“(đ?’—2 = đ?’—đ?’™ ) = đ?‘śđ?‘ž contro l’ipotesi che debba essere đ?‘“(đ?‘śđ?’— ) ≠đ?’‡(đ?’—đ?’™ ), quando đ?’—đ?’™ ≠đ?&#x;Žđ?‘˝ . La contraddizione sorge dall’aver ammesso che esiste un vettore đ?’—đ?’™ ∈ V| đ?’—đ?’™ ≠đ?&#x;Žđ?‘˝ , đ?’—đ?’™ ∈ đ??žđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘“. - 25 -


Trasformazioni lineari – seconda parte Sono utili alcuni approfondimenti sulle trasformazioni lineari . Un primo caso e’ costituito dalla somma di due applicazioni lineari e dal prodotto di una applicazione lineare per uno scalare đ?‘˜. Si considerano due spazi vettoriali V e W e due applicazioni lineari S e T tali che siano definite le applicazioni S +đ?‘‡ e đ?‘˜đ?‘‡ per le quali đ?‘† + đ?‘‡: đ?‘‰ → đ?‘Š | (đ?‘† + đ?‘‡)(đ?’—) = đ?‘†(đ?’—) + đ?‘‡(đ?’—) risulti { ∀đ?’— ∈ đ?‘‰. đ?‘˜đ?‘‡: đ?‘‰ → đ?‘Š | (đ?‘˜đ?‘‡)(đ?’—) = đ?‘˜đ?‘†(đ?’—) Queste sono da intendere come definizioni, vere di per se’. Le applicazioni considerate sono applicazioni lineari. Tra le trasformazioni lineari ne esiste una detta identica indicata con đ?‘–đ?‘‘đ?‘‰ tale che al vettore đ?’— ∈ đ?‘‰ e’ associato il vettore đ?’— ∈ đ?‘‰. Ulteriormente, e sempre per definizione si definisce la composizione di due applicazioni lineari. đ?‘†

Date {

�: � → � | � → �(�) �

∀đ?’— ∈ đ?‘‰ viene definita la applicazione lineare composta

�: � → � | � → �(�) �

�

T∘S(đ?’—) = đ?‘‡(đ?‘†(đ?’—))∀đ?’— ∈ đ?‘‰ . In altri termini si applica lo schema đ?‘Ł → đ?‘†(đ?’—) → đ?‘‡(đ?‘†(đ?’—)). La composizione di applicazioni lineari e’ lineare. Infatti, preso un qualunque đ?’— ∈ đ?‘‰ si ha che ad esso corrisponde đ?‘†(đ?’—) e ad esso il vettore đ?‘‡(đ?‘†(đ?’—)). Presi due vettori qualunque đ?’– đ?‘’ đ?’— di V allora anche il vettore đ?‘Žđ?’– + đ?‘?đ?’— e’ elemento di V e il vettore a đ?‘‡(đ?‘†(đ?’–)) + đ?‘?đ?‘‡(đ?‘†(đ?’—)) e’ elemento di W. Vanno ora considerate le applicazioni lineari invertibili.

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Una applicazione lineare đ?‘†: đ?‘‰ → đ?‘Š e’ invertibile qualora sia data una applicazione lineare đ?‘‡: đ?‘Š → đ?‘‰ tali che S∘ đ?‘‡(đ?’—) = đ?‘–đ?‘‘đ?‘Š . In buona sostanza deve risultare che đ?‘†

�

đ?’— ∈ đ?‘‰ → đ?‘†(đ?’—) ∈ đ?‘Š → đ?‘‡(đ?‘†(đ?’—))∈ đ?‘‰ Dalla composizione delle funzioni S e T si e’ ottenuto che al vettore đ?’— ∈ đ?‘‰ e’ ottenuto, identicamente, il vettore đ?’— ∈ đ?‘‰. Con cio’ e’ come aver affermato che đ?‘‡(đ?‘†(đ?’—)) = đ?’— ∀đ?’— ∈ đ?‘‰. In altri termini col precedente formalismo risulta che đ?‘‡(đ?‘†(đ?’—)) = đ?‘–đ?‘‘đ?‘‰ , esprimibile anche con T∘S(đ?’—) = (đ?‘‡ ∘ đ?‘†)(đ?’—) = đ?‘–đ?‘‘đ?‘‰ . đ?‘†

�

Da đ?’— ∈ đ?‘‰ → đ?‘†(đ?’—) ∈ đ?‘Š → đ?‘‡(đ?‘†(đ?’—))∈ đ?‘‰ si evince che đ?‘‡ = đ?‘† −1 . T e’ detta applicazione lineare inversa di S. Non e’ detto che ogni applicazione lineare ammetta l’applicazione lineare inversa. E’ possibile introdurre una condizione necessaria e sufficiente affinche’ una applicazione lineare sia invertibile, cioe’ esista una applicazione lineare inversa di essa. Si puo’ affermare che đ?‘†: đ?‘‰ → đ?‘Š e’ invertibile se e solo se S e’ iniettiva e se e’ suriettiva. đ?’—đ?’Š ≠đ?’—đ?’‹ ⇒ đ?‘†(đ?’—đ?‘– ) ≠đ?‘†(đ?’—đ?‘— ) In altri termini devono essere verificate le seguenti condizioni { {đ?‘†(đ?’—đ?‘˜ )} ≥ đ?‘Š Dati due spazi vettoriali V e U si dice che essi sono isomorfi se esiste un isomorfismo tra essi cioe’ se esiste una applicazione lineare invertibile tra essi. Due insiemi isomorfi sono indicati con V ≅ đ?‘ˆ .

Algebra delle matrici Una matrice e’ una tabella di numeri disposti ordinatamente, quale, ad esempio, la seguente (

1 5

7 ) . Tale matrice e’ costituita da due righe e da due colonne. 0 - 27 -


Poiche’ il numero delle righe e’ eguale a quello delle colonne essa e’ una matrice quadrata. Nel particolare caso considerato si tratta di una matrice quadrata 2 × 2, o, come si dice solitamente, di ordine 2. Se e’ vero che la prima utilizzazione matematica delle matrici e’ dovuta a Sylvester (1850) e’ dovuto al matematico Cayley che, a partire dal 1958, pervenne, partendo dalle operazioni di somma e di moltiplicazione, giunse ad elaborare compiutamente il calcolo matriciale, come specifico ambito matematico. Atteso che con riferimento alle matrici si ha a che fare con numeri disposti ordinatamente 1 5

e’ evidente che (

7 7 )≠( 0 5

1 ). 0

Non necessariamente in una matrice il numero delle righe e’ eguale a quello delle colonne. Nel qual caso la matrice e’ detta rettangolare. E’ altrettanto evidente che per identificare un elemento di una matrice sono necessari due indici, uno che designa la riga ed un altro indice che indica la colonna. Per esempio, con 1 7 ) il numero 7 e’ denotabile come �12 = 7. 5 0

riferimento alla matrice (

Solitamente le matrici vengono indicate con lettere maiuscole, A, B, etc., mentre gli elementi delle matrici vengono ordinariamente indicati con lettere minuscole munite di due indici a deponente, del tipo đ?‘Žđ?‘–đ?‘— . Una matrice A avente m righe ed n colonne – detta anche matrice mĂ— đ?‘› − viene indicata come segue A = (đ?‘Žđ?‘–đ?‘— )đ?‘–=1,2,3,‌..,đ?‘š . Qualora sia đ?‘š = đ?‘› la matrice e’ detta quadrata di ordine n, đ?‘—=1,2,3,‌..,đ?‘›

altrimenti la matrice e’ detta rettangolare.

- 28 -


Esistono modalita’ sintetiche ulteriori per definire le matrici, quali risultano essere le seguenti ⌋đ?‘Žđ?‘–đ?‘— âŚŒ o anche (đ?‘Žđ?‘–đ?‘— ) oppure ancora ||đ?‘Žđ?‘–đ?‘— || essendo i e j interi tali che 1 ≤ đ?‘– ≤ đ?‘š e 1 ≤ đ?‘— ≤ đ?‘›. Se đ?‘š = 1 ed n > 1 si ha una matrice particolare detta vettore riga formalizzato come (đ?‘Ž11 , đ?‘Ž12 , ‌ . , đ?‘Ž1đ?‘› ) . Se n = 1 ed m > 1 si ha una matrice particolare detta vettore colonna formalizzato come đ?‘Ž11 đ?‘Ž21 (đ?‘Ž 31 ). ‌‌. đ?‘Žđ?‘š1 L’insieme delle matrici mĂ— đ?‘› i cui coefficienti sono reali e’ formalizzato come đ?‘€mĂ—đ?‘› (đ?‘…) . I valori m ed n variano al variare del contesto operativo nel quale si opera. Due matrici A e B entrambe appartenenti a đ?‘€mĂ—đ?‘› (đ?‘…) sono eguali se đ?‘Žđ?‘–đ?‘— = đ?‘?đ?‘–đ?‘— per ogni coppia ordinata (i, j) ove, evidentemente đ?‘Žđ?‘–đ?‘— đ?‘’ đ?‘?đ?‘–đ?‘— sono elementi delle matrici A e B. La relazione di eguaglianza tra matrici e’ una relazione di equivalenza. Pertanto risultano verificate la proprieta’ riflessiva, simmetrica e transitiva dell’eguaglianza, risultando cioe’ che đ??´=đ??´ {đ??´ = đ??ľ ⇒ đ??ľ = đ??´ (đ??´=đ??ľ )⇒đ??´ =đ??ś đ??ľ=đ??ś Dato đ?‘€mĂ—đ?‘› (đ?‘…) e’ definita l’operazione di somma tra matrici nel modo seguente ∀đ??´, đ??ľ | đ??´ ∈ đ?‘€mĂ—đ?‘› (đ?‘…), đ??ľ đ?‘€mĂ—đ?‘› (đ?‘…) ∃! C | C= đ??´ + đ??ľ | đ?‘?đ?‘–đ?‘— = đ?‘Žđ?‘–đ?‘— + đ?‘?đ?‘–đ?‘— 1 Ad esempio se A = [ 2

1+3 1 3 1 ] eB=[ ] allora C = đ??´ + đ??ľ = [ 2+1 4 1 1 - 29 -

1+1 4 2 ]=[ ] 4+1 3 5


E’ ammessa la possibilita’ di moltiplicare una matrice đ??´ ∈ đ?‘€mĂ—đ?‘› per uno scalare k scrivendo D = đ?‘˜đ??´ ed avendo che đ?‘˜ [

1 2 đ?‘˜ ]=[ 6 0 6đ?‘˜

2đ?‘˜ ]. 0

Gli elementi della matrice quadrata tali che i = đ?‘— sono detti costituire la diagonale principale. Essi sono quindi gli elementi đ?‘Žđ?‘–đ?‘– . 1 Se, ad esempio si considera una matrice di ordine 2 quale la seguente ( 2

0 ) gli √2

elementi della diagonale principale sono 1 e √2 , mentre i numeri 2 e 0 costituiscono la diagonale secondaria. Data una matrice quadrata A di ordine n gli elementi della diagonale principale sono evidentemente n e sono i seguenti elementi đ?‘Ž11 , đ?‘Ž22 , ‌ . , đ?‘Žđ?‘–đ?‘– ,‌.., đ?‘Žđ?‘›đ?‘› . La somma đ?‘Ž11 + đ?‘Ž22 + â‹Ż . + đ?‘Žđ?‘–đ?‘– +‌..+ đ?‘Žđ?‘›đ?‘› e’ detta traccia e la si indica con tr(A). Data una matrice A gli elementi đ?‘Žđ?‘–đ?‘— e đ?‘Žđ?‘—đ?‘– sono detti coniugati. Tali elementi sono simmetrici rispetto alla diagonale principale. Qualora risulti che đ?‘Žđ?‘–đ?‘— = đ?‘Žđ?‘—đ?‘– ∀ (đ?‘– , đ?‘—) si dice che la matrice e’ simmetrica. Qualora invece risulti đ?‘Žđ?‘–đ?‘— = - đ?‘Žđ?‘—đ?‘– ∀ (đ?‘– , đ?‘—) si dice che la matrice e’ emisimmetrica. Una conseguenza della emisimmetricita’ e’ che đ?‘Žđ?‘–đ?‘– = 0 ∀đ?‘–| 1≤ đ?‘– ≤ đ?‘š = đ?‘› . Una matrice quadrata di ordine n (costituita quindi da n righe e da n colonne) tale che sia {

đ?‘Žđ?‘–đ?‘— = 1 đ?‘žđ?‘˘đ?‘Žđ?‘›đ?‘‘đ?‘œ đ?‘– = đ?‘— đ?‘Žđ?‘–đ?‘˜ = 0 đ?‘žđ?‘˘đ?‘Žđ?‘›đ?‘‘đ?‘œ đ?‘– ≠đ?‘—

e’ detta matrice identica o anche matrice unita’. Si puo’

1 0 considerare il seguente esempio (0 1 0 0

0 0) che e’ una matrice identica di ordine 3. 1

Tale matrice viene solitamente formalizzata con il simbolo đ?›żđ?‘–đ?‘˜ di Kronecker come segue I = [ đ?›żđ?‘–đ?‘˜ ] essendo đ?›żđ?‘–đ?‘˜ = 1 quando đ?‘– = đ?‘˜, mentre risulta đ?›żđ?‘–đ?‘˜ = 0 quando đ?‘– ≠đ?‘—.

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Un tipo particolare di matrice quadrata di ordine n e’ la cosiddetta matrice diagonale. Tale matrice ha tutti gli elementi eguali a 0 quando đ?‘– ≠đ?‘— mentre risulta đ?‘Žđ?‘–đ?‘˜ ≠0 quando i = k. Tale matrice ha come caso particolare la matrice I = [ đ?›żđ?‘–đ?‘˜ ] . Esiste poi un caso particolare di matrice diagonale, detto matrice scalare nella quale risulta đ?‘Žđ?‘–đ?‘˜ ≠0 ≠1, per la quale đ?‘Žđ?‘–đ?‘˜ = đ?‘&#x; ∀(đ?‘–, đ?‘˜)| đ?‘– = đ?‘˜. 1 Un esempio di matrice diagonale potrebbe essere il seguente (0 0

0 0 5 0). Un esempio di 0 7

4 0 0 matrice scalare potrebbe essere il seguente (0 4 0) . 0 0 4 1 7 11 Se ad esempio si ha la matrice del terzo ordine ( 7 3 5 ) la diagonale principale e’ 0 1 6 costituita dai numeri 1, 3, 6 cioe’ dai numeri collocati nelle posizioni tali che siano del tipo đ?‘Ž11 = 1 đ?‘Žđ?‘–đ?‘– . Nel caso concreto si ha {đ?‘Ž22 = 3 . đ?‘Ž33 = 6 Prima di procedere ulteriormente occorre dare la nozione di matrice trasposta di una data matrice A. Data una matrice A la matrice trasposta di A, indicata come đ??´đ?‘‡ , oppure come đ??´đ?‘‡ , e’ la matrice ottenuta da A sostituendo ordinatamente le righe con le colonne. 1 1 Ad esempio, data la matrice A= (14 21 0 3 1 14 đ??´đ?‘‡ = (1 21 1 3

1 60) la matrice trasposta ottenuta da essa e’ 1

0 3). 1

A= đ??´đ?‘‡ ⇔ A e’ simmetrica.

- 31 -


Una matrice đ??´ ∈ đ?‘€mĂ—đ?‘› tale che đ?‘Žđ?‘–đ?‘— = 0 ∀(đ?‘–, đ?‘—)| đ?‘– = 1, 2, ‌ , đ?‘š đ?‘— = 1, 2, ‌ . . , đ?‘› e’ detta matrice nulla. Essa e’ costituita da tutti e soli elementi eguali a 0. Ad esempio nel novero delle matrici 0 quadrate di ordine 2 la matrice nulla e’ rappresentata come [ 0

0 ]. 0

La matrice nulla, i cui elementi sono tutti 0, e’ l-elemento neutro rispetto alla somma di matrici. Si e’ soliti affermare che l’insieme delle matrici đ?‘€mĂ—đ?‘› e’ uno spazio vettoriale. ∀(đ?‘š, đ?‘›)| đ?‘š ≼ 1, đ?‘› ≼ 1 ∀đ??´| đ??´ ∈ đ?‘€mĂ—đ?‘› si ha đ??´ = đ?‘Ž11 đ??¸11 + đ?‘Ž12 đ??¸12 + â‹Ż . . +đ?‘Žđ?‘šđ?‘› đ??¸đ?‘šđ?‘› . Le matrici đ??¸đ?‘–đ?‘— sono tali che đ?‘’â„Žđ?‘˜ = 1 quando (h, k) = (đ?‘–, đ?‘—) e đ?‘’â„Žđ?‘˜ = 0 quando (h, k) ≠(đ?‘–, đ?‘—) . Un esempio con le matrici di ordine 2 puo’ chiarire il significato di quanto detto. Data la matrice [

1 0 0 1 0 0 0 0 1 2 1 2 ] si ha [ ] = 1[ ] + 2[ ] + 2[ ] + 1[ ]. 0 0 0 0 1 0 0 1 2 1 2 1

La somma matriciale e’ una operazione interna nel senso che la somma di due matrici mĂ— đ?‘› e’ sempre una matrice mĂ— đ?‘›. Ulteriormente, e’ possibile affermare che la somma tra matrici gode della proprieta’ commutativa, risultando che đ??´ + đ??ľ = đ??ľ + đ??´, e della proprieta’ associativa per la quale risulta (đ??´ + đ??ľ) + đ??ś = đ??´ + (đ??ľ + đ??ś). La matrice đ?‘‚đ?‘šâˆ™đ?‘› , costituita da mĂ— đ?‘› zeri e’ l’elemento neutro rispetto alla somma matriciale, risultando quindi che đ??´ + đ?‘‚đ?‘šâˆ™đ?‘› = đ?‘‚đ?‘šâˆ™đ?‘› + đ??´ ∀đ??´|đ??´ ∈ đ?‘€mĂ—đ?‘› . Ogni matrice A ha la matrice opposta (unica) indicata come −đ??´ tale che gli elementi della matrice opposta sono gli opposti della matrice A. Se A = [đ?‘Žđ?‘–đ?‘˜ ] allora la matrice opposta di A e’ la matrice A’ = [−đ?‘Žđ?‘–đ?‘˜ ].

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Viene anche definita la differenza tra matrici scrivendo che A −đ??ľ = đ??´ + (−đ??ľ). Vale nell’algebra delle matrici l’importante proprieta’ di cancellazione per la quale đ??´ + đ??ś = đ??ľ + đ??ś ⇒ đ??´ = đ??ľ. E’ definita l’operazione di moltiplicazione di una matrice A per uno scalare reale (o complesso) k tendo conto che kA = đ??´đ?‘˜ = đ?‘˜[đ?‘Žđ?‘–đ?‘˜ ] = [đ?‘˜đ?‘Žđ?‘–đ?‘˜ ] Viene poi definita una moltiplicazione tra un vettore riga ed un vettore colonna, definita se il numero delle colonne del primo e’ eguale al numero delle righe del secondo. đ?‘?11 đ?‘?21 Dato il vettore riga (đ?‘Ž11 , đ?‘Ž12 , ‌ . , đ?‘Ž1đ?‘› ) e il vettore colonna đ?‘? con m = đ?‘› il prodotto 31 ‌‌. ( đ?‘?đ?‘š1 ) tra detti vettori e’ lo scalare ∑ đ?‘Žđ?‘–đ?‘— đ?‘?đ?‘–đ?‘— . 1 9 Ad esempio dati i vettori (2 , 1, 0 , 11) e ( ) allora il prodotto risulta essere eguale a 2∙ 3 1 1 + 1 ∙ 9 + 0 ∙ 3 + 11 ∙ 1 = 2 + 9 + 0 + 11 = 22 . Viene definita anche una operazione detta moltiplicazione matriciale. In generale la moltiplicazione tra matrici non e’ sempre possibile. Esistono particolari matrici dette conformabili per la moltiplicazione. Alla base della moltiplicazione tra matrici sta la citata definizione di moltiplicazione righe per colonne appena enunciata per i vettori. E’ data una condizione necessaria e sufficiente che garantisce la moltiplicazione tra matrici. Deve essere verificata la condizione per la quale il numero delle righe della prima deve essere eguale al numero delle colonne della seconda.

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In altri termini alla scrittura C = đ??´đ??ľ corrisponde una matrice C i cui elementi đ?‘?đ?‘–đ?‘— sono gli scalari ottenuti moltiplicando ordinatamente la riga i-esima della matrice A con la colonna j-esima della matrice B. L’operazione di moltiplicazione tra matrici e’ possibile se la prima matrice e’ del tipo pĂ— đ?‘š mentre la seconda e’ del tipo nĂ— đ?‘? . In generale l’operazione di moltiplicazione tra matrici non e’ commutativa, quindi in generale si ha AB ≠đ??ľđ??´ . E’ facile dimostrare che la moltiplicazione tra matrici (quando le matrici sono conformabili per la moltiplicazione) gode delle tre seguenti fondamentali proprieta’ (AB)C=A(BC) A(B+đ??ś) = đ??´đ??ľ + đ??ľđ??ś (B+đ??ś)đ??´ = đ??ľđ??´ + đ??śđ??´ dette, rispettivamente, proprieta’ associativa, distributiva a sinistra rispetto alla somma e distributiva a destra rispetto alla somma di matrici. Va ricordato anche un importante teorema per il quale (đ??´đ??ľ)đ?‘‡ = đ??ľ đ?‘‡ đ??´đ?‘‡ . E’ utile rammentare che la matrice I e’ l’elemento neutro rispetto alla moltiplicazione e pertanto risulta IA = đ??´đ??ź = đ??´ . Si e’ poi evidenziato che non necessariamente e’ vero che AB= đ??ľđ??´. Qualora pero’ dovesse risultare AB= đ??ľđ??´ allora tali matrici sono dette commutabili. E’ poi utile avere a mente che nell’algebra delle matrici e’ possibile che risulti AB = 0, ove lo 0 deve essere inteso come matrice nulla (non quindi come scalare reale nullo) anche quando A e B non sono matrici almeno una delle quali sia la matrice nulla. - 34 -


E’ ben evidente che se A e B sono matrici nulle conformabili per la moltiplicazione allora il loro prodotto e’ la corrispondente matrice nulla ottenuta dalla cennata moltiplicazione riga per colonna, tipica della moltiplicazione tra matrici. Ma e’ possibile ottenere la matrice avente tutti e solo zeri anche se le due matrici “fattoriâ€? non sono entrambe nulle . E’ evidente che se A o se B e’ la matrice nulla allora C e’ nulla. Queste considerazioni sono condensate dalla affermazione che nell’algebra delle matrici non vale la legge di annullamento del prodotto. Parimenti immediatamente si puo’ constatare che in generale non vale la legge di cancellazione per la moltiplicazione delle matrici. In altri termini AC= đ??´đ??ľ non implica C= đ??ľ . Si osservi pero’ che possono esistere casi particolari per i quali dall’essere vero che AC= đ??´đ??ľ si osserva vero che C= đ??ľ .

I determinanti delle matrici quadrate Si considerino ora le matrici quadrate di ordine n. Si tratta, come gia’ detto, di matrici costituite da n righe e da n colonne, quindi da đ?‘›2 elementi. Per tali matrici e’ introducibile la nozione di determinante, introdotta dai matematici Gauβ, Cauchy, Jacobi, e Cayley. Ad una matrice quadrata viene associato un numero reale detto determinante della matrice data. Data la matrice A il determinante di detta matrice si indica in forma compatta con il formalismo det(A) oppure con |A|. Gli scalari reali vengono anche detti matrici di ordine 1. Quindi il numero reale r puo’ essere inteso come una matrice di ordine 1, scrivendo ⌋đ?‘&#x;âŚŒ e il relativo determinante coincide univocamente con r. - 35 -


đ?‘Ž11 Per le matrici di ordine 2 , quali ad esempio, A= [đ?‘Ž 21

đ?‘Ž12 đ?‘Ž22 ] il determinante det(A)=

|đ??´| = đ?‘Ž11 đ?‘Ž22 − đ?‘Ž21 đ?‘Ž12 . Il determinante e’ quindi un numero reale che puo’ essere positivo, negativo o nullo. Occorre quindi considerare i determinanti delle matrici di ordine 3, costituite da tre righe đ?‘Ž11 đ?‘Ž e da tre colonne come la seguente [ 21 đ?‘Ž31

đ?‘Ž12 đ?‘Ž22 đ?‘Ž32

đ?‘Ž13 đ?‘Ž23 ] studiati da Laplace. đ?‘Ž33

Si puo’ considerare un elemento della matrice data, cioe’ un đ?‘Žđ?‘–đ?‘˜ di essa. Scelto uno di tali elementi della matrice Si puo’ pensare di sopprimere la riga e la colonna che incrociano tale elemento. Per esempio con riferimento alla data matrice si puo’ pensare di considerare l’elemento đ?‘Ž32 . đ?‘Ž11 [đ?‘Ž21 đ?‘Ž31

đ?‘Ž12 đ?‘Ž22 đ?‘Ž32

đ?‘Ž13 đ?‘Ž23 ] . đ?‘Ž33

A questo punto si immagini di sopprimere la riga e la colonna che si incrociano in esso, come si evidenzia nella rappresentazione seguente questa soppressione si puo’ �11 immaginare di avere una matrice di ordine 2 quale la seguente [�

21

đ?‘Ž13 đ?‘Ž23 ] .

Tale determinante di ordine 2 minore complementare dell’elemento �32 e si scrive che �11 �32 = [� 21

đ?‘Ž13 đ?‘Ž23 ] .

Abbiamo considerato l’elemento �32 . Tale elemento e’ detto di classe dispari in quanto 2 + 3 = 5 e’ dispari. A questo punto e’ possibile bipartire gli elementi ��� di una matrice quadrata in

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• •

elementi di classe pari se đ?‘– + đ?‘— = đ?‘?đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘– elementi di classe dispari se đ?‘– + đ?‘— = đ?‘‘đ?‘–đ?‘ đ?‘?đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘–

Scelto đ?‘Žđ?‘–đ?‘— , sapendo quindi se đ?‘– + đ?‘— = đ?‘?đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘– oppure se đ?‘– + đ?‘— = đ?‘‘đ?‘–đ?‘ đ?‘?đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘– viene introdotta la nozione di complemento algebrico, detto anche cofattore, dell’elemento đ?‘Žđ?‘–đ?‘— la grandezza đ??´đ?‘–đ?‘— = (−1)đ?‘–+đ?‘— đ?‘€đ?‘–đ?‘— . A Laplace e’ dovuto il seguente importante teorema: •

la somma dei prodotti degli elementi di una riga, o di una colonna, qualsiasi di una matrice di ordine 3, costituita quindi da tre righe e da tre colonne, per i rispettivi complementi algebrici non dipende dalla linea considerata.

Per definizione, e’ detto determinante della matrice di ordine 3 la somma dei prodotti di una linea qualsiasi (riga o colonna, indifferentemente) della matrice per i rispettivi complementi algebrici. I determinanti delle matrici quadrate (per quelle rettangolari la nozione non e’ definita‌) godono di importanti proprieta’, di immediata dimostrazione. Tali proprieta’ sono le seguenti: •

due matrici quadrate tra loro trasposte hanno il medesimo determinante;

•

se tutti gli elementi di una riga o di una colonna sono nulli il determinante vale 0;

•

scambiando tra loro due righe o due colonne il determinante cambia di segno ;

•

se due linee parallele, righe o colonne, sono proporzionali o eguali, il determinante e’ 0 ;

•

moltiplicando per lo scalare k gli elementi di una riga o di una colonna di una matrice il determinante risulta moltiplicato per k ;

- 37 -


•

se gli elementi di una linea (riga o colonna) di una matrice sono la somma di due o piu’ addendi, il determinante di essa e’ eguale alla somma di due o piu’ determinanti, che si ottengono dal determinante dato conservando le altre linee e sostituendo a quella binomia, o polinomia, una volta i primi, un’altra volta i secondi addendi (e cosi’ via) ;

•

il determinante di una matrice non cambia quando ad una linea si aggiunge una linea parallela moltiplicata per uno scalare k ;

•

il determinante della matrice quadrata prodotto di due matrici quadrate del medesimo ordine e’ eguale al prodotto dei determinanti delle matrici date ;

•

in una matrice quadrata la somma dei prodotti degli elementi di una linea per i complementi algebrici di una linea parallela e’ eguale a 0.

Le nozioni di minore complementare e di cofattore, introdotti per le matrici quadrate di ordine 3, e’ facilmente estensibile all’insieme delle matrici quadrate di ordine n ≼ 4 . Per esse si considera un elemento đ?‘Žđ?‘–đ?‘˜ e si prende atto che la somma degli elementi di una linea della matrice per i rispettivi complementi algebrici e’ indipendente dalla linea considerata. Anche in questo caso quel particolare scalare trovato e’ detto il determinante della data matrice. E’ utile ricordare alcuni determinanti notevoli, immediate conseguenze delle osservazioni di Laplace. Determinanti di matrici diagonali

La matrice diagonale {đ?‘Ž

��� ≠0 il cui determinante risulta eguale a �11 �22 �33 ‌ . ��� �� |�≠� = 0

det I = 1

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det �I =� �

Gli sviluppi del calcolo matriciale Occorre sicuramente partire dalla nozione di matrice invertibile. Gia’ si e’ detto che il prodotto matriciale non e’ in generale commutativo. Quindi in generale risulta che AB ≠đ??ľđ??´. Esistono pero’ casi particolari per i quali risulta essere AB = đ??ľđ??´ . Nel novero di questi casi particolari vi sono casi ancora piu’ specifici per i quali risulta essere AB = đ??ľđ??´ = đ??ź . L’invertibilita’ attiene al caso che le matrici A e B siano quadrate e dello spesso ordine. Se e’ verificata la condizione AB = đ??ľđ??´ = đ??ź si dice che la matrice B e’ inversa della matrice A, o, simmetricamente, che la matrice A e’ l’inversa della matrice B. Una matrice che ammette la matrice inversa e’ detta invertibile. Data una matrice A la sua inversa, se esiste, e’ indicata come đ??´âˆ’1 . Un primo fondamentale teorema e’ quello della unicita’ della matrice inversa. In altri termini ogni matrice invertibile possiede una unica matrice inversa . Tale teorema e’ dimostrabile mediante la reductio ad absurdum per la quale si ammette esistano due distinte matrici inverse di una data matrice A, dette, rispettivamente B e B’. Ove cio’ fosse vero sarebbe {

đ??´đ??ľ = đ??ľđ??´ = đ??ź đ??´đ??ľ ′ = đ??ľ ′ đ??´ = đ??ź

da cui BA = đ??´đ??ľâ€˛ = đ??ź ma anche B = đ??ľđ??ź =

đ??ľ(đ??´đ??ľ ′ ) = (đ??ľđ??´)đ??ľâ€˛ = đ??źđ??ľâ€˛ = đ??ľâ€˛ che conducendo a B = đ??ľâ€˛ evidenzia una contraddizione poiche’ si era posto B e B’ distinte, e quindi diverse tra loro.

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In realta’ si e’ ottenuto che le due matrici devono essere eguali. In altri termini non nascono contraddizioni se B = đ??ľâ€˛ cioe’ se le due matrici sono la medesima matrice. Dal che l’unicita’ della matrice inversa di A, denotata come đ??´âˆ’1 . E’ immediato evidenziare che (đ??´âˆ’1 )−1 = đ??´ , ∀đ??´ ∈ đ?‘€đ?‘› ove đ?‘€đ?‘› denota l’insieme delle matrici quadrate di ordine n. Va premessa la seguente definizione. Sia A una matrice dell’insieme đ?‘€đ?‘› . Se det(A) ≠0 la matrice A e’ detta matrice non singolare. Se det(A) = 0 la matrice A e’ detta singolare. Senza entrare nei dettagli dimostrativi, facilmente rinvenibili nella manualistica (Zwirner, Scaglianti) e’ possibile enunciare il seguente teorema ∀đ??´ ∈ đ?‘€đ?‘› det(đ??´) ≠0 ⇔ ∃! đ??´âˆ’1 | đ??´âˆ’1 đ??´ = đ??´đ??´âˆ’1 = đ??źđ?‘› Relativamente alle matrici quadrate possono essere utili le seguenti proprieta’ •

đ??´đ??ś = đ??ľđ??ś ⇒ đ??´ = đ??ľ

•

(đ??´đ??ľ)−1 = đ??ľ −1 đ??´âˆ’1

•

∀đ?‘š , đ?‘› ∈ đ?‘? {

•

Se A e B sono l’una inversa dell’altra allora det(A)det(B) = 1

đ??´đ?‘š đ??´đ?‘› = đ??´đ?‘š+đ?‘› (đ??´đ?‘š )đ?‘› = đ??´đ?‘šđ?‘›

Puo’ essere utile ricordare la nozione di matrice aggiunta di una matrice A indicata con đ??´+ . Tale matrice ha come suoi elementi i complementi algebrici đ??´đ?‘–đ?‘˜ degli elementi đ?‘Žđ?‘–đ?‘˜ della matrice A. Se d e’ il valore del determinante della matrice A, si dimostra che đ?‘‘ đ?‘›âˆ’1 e’ il determinante della matrice aggiunta đ??´+ della matrice A.

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A questo punto e’ sicuramente utile introdurre la matrice associata ad una applicazione lineare. Nel caso piu’ generale gli spazi vettoriali V e W hanno distinte dimensioni, m ed n rispettivamente. Sia quindi data una applicazione lineare đ?‘“: đ?‘‰ → đ?‘Š e siano date due delle possibili basi dei due spazi vettoriali {đ?’–đ?&#x;? , đ?’–đ?&#x;? , ‌ . , đ?’–đ?’? } per V e {đ??Žđ?&#x;? , đ??Žđ?&#x;? , ‌ . , đ??Žđ?’Ž } per W. E’ ben evidente che ad ogni vettore đ?’–đ?’Š di V corrisponde un vettore đ?‘“(đ?’–đ?’Š) di W. Ma ogni vettore đ?‘“(đ?’–đ?’Š) e’ esprimibile come combinazione lineare della base {đ??Žđ?&#x;? , đ??Žđ?&#x;? , ‌ . , đ??Žđ?’Ž } data. Pertanto ∀đ?‘– intero tale che 0< đ?‘– ≤ đ?‘› si puo’ scrivere đ?‘“(đ?’–đ?’Š)= a1i đ??Žđ?&#x;? + a2i đ??Žđ?&#x;? + â‹Ż . +ami đ??Žđ?’Ž Data la (recte, una) base di V, indicata con {đ?’–đ?&#x;? , đ?’–đ?&#x;? , ‌ . , đ?’–đ?’? } ogni vettore đ?’— ∈ đ?‘‰ e’ esprimibile (in unico modo) come una combinazione lineare dei vettori di base. In altri termini risulta che đ?’— = đ?‘Ľ1 đ?’–đ?&#x;? + đ?‘Ľ2 đ?’–đ?&#x;? + â‹Ż . +đ?‘Ľđ?‘› đ?’–đ?’?

ed anche f(đ?’—) = đ?‘Ľ1 đ?‘“(đ?’–đ?&#x;? ) +

đ?‘Ľ2 đ?‘“(đ?’–đ?&#x;? ) + â‹Ż . +đ?‘Ľđ?‘› đ?‘“(đ?’–đ?’? ). Siano (đ?‘Ś1 , đ?‘Ś2 , ‌ . , đ?‘Śđ?‘š ) le coordinate del vettore f(đ?’—) rispetto alla base {đ??Žđ?&#x;? , đ??Žđ?&#x;? , ‌ . , đ??Žđ?’Ž } . Si ottengono le equazioni dell’applicazione lineare đ?‘“ rispetto alle basi dei due spazi vettoriali V e W. đ?‘Ś1 = đ?‘Ž11 đ?‘Ľ1 + đ?‘Ž12 đ?‘Ľ2 + â‹Ż . . +đ?‘Ž1đ?‘› đ?‘Ľđ?‘› đ?‘Ś2 = đ?‘Ž21 đ?‘Ľ1 + đ?‘Ž22 đ?‘Ľ2 + â‹Ż . . +đ?‘Ž2đ?‘› đ?‘Ľđ?‘› Esse sono le seguenti { ‌‌.. đ?‘Śđ?‘š = đ?‘Žđ?‘š1 đ?‘Ľ1 + đ?‘Žđ?‘š2 đ?‘Ľ2 + â‹Ż . . +đ?‘Žđ?‘šđ?‘› đ?‘Ľđ?‘› Queste m equazioni vengono compattate nella forma Y = đ??´đ?‘‹ nella quale risulta Y= đ?‘Ś1 đ?‘Ž11 đ?‘Ś2 (‌ .) , ( â‹Ž đ?‘Žđ?‘š1 đ?‘Śđ?‘š

â‹Ż â‹ą â‹Ż

�1 �1� �2 ⋎ ) e X= ( ) . ‌. ��� ��

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đ?‘“

Gli esempi chiariranno la questione. Sia data l’applicazione (x, y) → (� + �, � + �, �) che associa ad un vettore di � 2 un vettore di � 3 . Si chiede di scrivere la matrice associata all’applicazione

lineare

assegnata

considerando

quali

basi

quelle

canoniche

(đ?’Š, đ?’‹) đ?‘‘đ?‘– đ?‘… 2 đ?‘’ (đ?’Š, đ?’‹, đ?’Œ) di đ?‘… 3 . Risulta essere

đ?’Š = (1, 0) ed anche

Ulteriormente si puo’ affermare che da

đ?‘“

(1, 0) → (1 + 0, 1 + 0, 1) = (1,1,1) = �(�). �

đ?’Š = (0, 1)đ?‘ đ?‘– â„Žđ?‘Ž (0, 1) → (0 + 1, 0 + 1, 0) =

(1,1,0) = �(�). 1 1 Pertanto, la matrice di trasformazione e’ A = (1 1) Pertanto l’equazione di 1 0 �′ 1 1 � coordinamento tra le coordinate, assegnate le basi, e’ (�′) = (1 1) (�) 1 0 �′ �′ = � + � Risultando quindi {�′ = � + � coerentemente con la trasformazione proposta. �′ = � �

Per lo studio di kerđ?‘“ si evidenzia che (0, 0) ∈ đ??žđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘“ in quanto (0, 0) → (0 + 0, 0 + 0, 0) = (0, 0, 0). In altri termini tramite la đ?‘“ allo đ?‘śđ?‘šđ?&#x;? ≥ (0,0) viene fatto corrispondere lo zero di R3 cioe’ đ?‘śđ?‘šđ?&#x;‘ ≥ (0,0,0) . Non esistono altri vettori di R2 distinti dal vettore nullo che soddisfano la condizione per la appartenenza a kerđ?‘“ . In altri termini kerđ?‘“ = {đ?‘śđ?‘šđ?&#x;? } . Ulteriormente e’ possibile osservare che Imđ?‘“ = R3. Sono sicuramente utili le seguenti definizioni.

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Data una applicazione lineare đ?‘“ il rango e’ la dimensione del sottospazio Imđ?‘“ . Se A e’ la matrice di trasformazione dell’applicazione lineare đ?‘“ si ha dim Imđ?‘“ = đ?‘&#x;(đ??´) dove r(A) indica il rango . Viene quindi definita la nullita’ di una data applicazione lineare đ?‘“ intesa come la dimensione dello spazio Kerđ?‘“ . Con riferimento a Kerđ?‘“, atteso che per definizione esso contiene i vettori di V per i quali, tramite đ?‘“, risulta đ?‘“(đ?’—) = đ?‘śđ?‘ž allora ci si deve ricondurre alla risoluzione del sistema O= đ?‘Ž11 đ??´đ?‘‹ cioe’ AX= 0 e quindi ( â‹Ž đ?‘Žđ?‘š1

â‹Ż â‹ą â‹Ż

�1 �1 = 0 �1� �2 � ⋎ ) ( ) = ( 2 = 0) . ‌. ‌. ��� �� �� = 0

E’ facile pervenire al cosiddetto teorema della dimensione per il quale se e’ data una applicazione lineare đ?‘“: đ?‘‰ → đ?‘Š si ha dimV = đ?‘‘đ?‘–đ?‘šđ??žđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘“ + đ?‘‘đ?‘–đ?‘šđ??źđ?‘šđ?‘“ . Poiche’ concretamente si opera utilizzando matrici e’ utile riferirsi alla nozione di rango (detta anche caratteristica) di una matrice. Sia assegnata una matrice A ∈ đ?‘€đ?‘š,đ?‘› cioe’ all’insieme delle matrici aventi m righe ed n colonne. Come noto, se m = đ?‘› la matrice e’ quadrata, altrimenti e’ rettangolare. Sia p un numero intero tale che 0< đ?‘? ≤ min(đ?‘š, đ?‘›) considerando, quindi p righe e p colonne della data matrice. Dato p si ottiene una matrice quadrata di ordine p detta sottomatrice estratta da A. Il determinante della matrice estratta e’ detto minore di ordine p. Se una di tali matrici puo’ essere indicata con đ?‘€đ?‘? , l’ordine massimo possibile che puo’ essere ottenuto corrisponde a min(m, n). Il đ?‘?đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ tale che det(đ?‘€đ?‘? ) ≠0 e’ detto rango o carattertisica della matrice. Si osservi che data una matrice, quando sia stato fissato p, sotto la condizione posta, sono in generale ottenibili piu’ sottomatrici di A di ordine p. - 43 -


Una matrice quadrata ha rango n se e solo se det(A) ≠0 . A titolo esemplificativo si puo’ considerare una matrice quale la seguente. 1 4 6 đ??´ = ( 2 4 1 ) . Essendo una matrice del terzo ordine le matrici estraibili, quadrate di 1 7 21 ordine due sono, tra tutte le possibili, le seguenti . 1 4 6 4 đ??´ = ( 2 4 1 ) cui corrisponde la matrice di ordine 2 seguente ( 7 1 7 21 1 4 6 đ??´=(2 4 1) 1 7 21

1 ) 21

1 6 cui corrisponde la matrice di ordine 2 seguente ( ) 1 21

Queste osservazioni sono date a mero titolo esemplificativo. In realta’ calcolando il determinante della matrice del terzo ordine si trova che esso e’ diverso da 0, e quindi la matrice ha rango (o caratteristica) 3. Puo’ essere istruttivo calcolare il determinante con rifermento alla prima colonna.

Data

đ?&#x;? 4 6 đ??´ = ( 2 4 1 ). Poiche’ si considera l’elemento đ?‘Ž11 = 1 si considera il minore 1 7 21

4 complementare di tale elemento che nel caso concreto e’ | 7 cofattore ((−1)đ?‘–+đ?‘—=1+1=2 ) |

1 | cui corrisponde il 21

4 1 | che coincide con il minore complementare. Se si 7 21

desidera lavorare sulla prima colonna occorre considerare il secondo elemento e 1 4 6 individuare il minore complementare di tale elemento. Da đ??´ = ( 2 4 1 ) 1 7 21 il

seguente

(−1)đ?‘–+đ?‘—=2+1=2 |

minore

complementare

4 6 4 6 | = −| | . 7 21 7 21

4 6 | | 7 21

cui

corrisponde

il

si ottiene

cofattore

1 4 6 Dalla matrice đ??´ = ( 2 4 1 ) continuando a 1 7 21

lavorare sulla prima riga e con riferimento al terzo elemento đ?‘Ž31 = 1 (evidenziato in - 44 -


1 4 6 giallo) si puo’ evidenziare il successivo minore complementare đ??´ = ( 2 4 1 ) 1 7 21 4 risulta essere | 4

6 4 | cui corrisponde il cofattore (−1)đ?‘–+đ?‘—=3+1=4 | 1 4

che

6 4 6 |=| |. 1 4 1

A questo punto e’ possibile calcolare detA ricordando il teorema di Laplace per il quale, avendo lavorato sulla prima colonna, risulta det(A) = 1 |

4 1 4 6 4 6 |− 2| |+ 1| |. 7 21 7 21 4 1

E’ ora richiesto di calcolare i tre determinanti del secondo ordine e cioe’ 4 1 | | = 4 ∗ 21 − 7 ∗ 1 = 84 − 7 = 77 7 21 4 6 | | = 84 − 42 = 62 7 21 4 6 | | = 4 − 24 = −20 4 1 In definitiva det(A)=1∗ 77 − 2 ∗ 62 + 1(−20) =77−124 − 20 ≠0. In ogni caso e’ noto (Swirner, Scaglianti) che per determinare il rango di una matrice e’ possibile utilizzare un teorema dovuto a Kronecher per il quale se una matrice ha un minore non nullo di ordine k e se sono nulli tutti i minori di ordine (k+1) ottenuti orlando tale minore di ordine k con una riga e una colonna qualsiasi di A allora il rango della data matrice e’ k.

Matrice inversa di una matrice quadrata Data una matrice đ??´ ∈ đ?‘€đ?‘›,đ?‘› essa ammette la matrice inversa, indicata con đ??´âˆ’1 se risulta Ađ??´âˆ’1 = đ??´âˆ’1 đ??´ = đ??źđ?‘›,đ?‘› . La matrice A ammette l’inversa se det A ≠0 .

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Dall’algebra lineare e’ noto che se đ??´đ?‘–đ?‘˜ sono i complementi algebrici degli elementi đ?‘Žđ?‘–đ?‘˜ đ??´

đ?‘˜đ?‘– della matrice A gli elementi đ?›źđ?‘˜đ?‘– della matrice đ??´âˆ’1 sono tali che đ?›źđ?‘˜đ?‘– = đ?‘‘đ?‘’đ?‘Ąđ??´ .

L’algoritmo per la determinazione della matrice inversa e’ il seguente. Data A scrivere la matrice trasposta di A, solitamente indicata con đ??´đ?‘‡ . Da essa costruire la matrice i cui elementi sono i complementi algebrici di đ??´đ?‘‡ . Dividere la matrice dei complementi algebrici per det A ≠0 . đ?‘Ž Relativamente alle matrici di ordine 2 data la matrice [ đ?‘? essere del tipo [

� �

đ?›˝ đ?‘Ž ] tale che [ đ?›ż đ?‘?

đ?‘? đ?›ź ][ đ?‘‘ đ?›ž

� 1 ]=[ � 0

đ?‘? ] la matrice inversa di essa deve đ?‘‘

0 ] . Devono pertanto valere le seguenti 1

đ?‘Žđ?›ź + đ?‘?đ?›ž = 1 đ?‘? đ?›˝ = −đ?‘Žđ?›ż đ?‘Žđ?›˝ + đ?‘?đ?›ż = 0 đ?‘Žđ?›˝ + đ?‘?đ?›ż = 0 đ?‘Žđ?›˝ = −đ?‘?đ?›ż eguaglianze { . Da { si ha { e quindi { . A đ?‘‘ đ?‘?đ?›ź + đ?‘‘đ?›ž = 0 đ?‘?đ?›ź + đ?‘‘đ?›ž = 0 đ?‘?đ?›ź = −đ?‘‘đ?›ž đ?›ź=− đ?›ž đ?‘? đ?‘?đ?›˝ + đ?‘‘đ?›ż = 1 đ?‘‘

đ?‘?

− đ?›ž questo punto la matrice inversa sarebbe del tipo [ đ?‘? đ?›ž

−đ?‘Žđ?›ż đ?›ż

].

đ?‘?

Da đ?‘?đ?›˝ + đ?‘‘đ?›ż = 1 si ricava đ?‘?đ?›˝ = 1 − đ?‘‘đ?›ż ed anche đ?‘?(− đ?‘Ž đ?›ż) = 1 − đ?‘‘đ?›ż . Moltiplicando ambo i membri per a si ha −đ?‘?đ?‘?đ?›ż = đ?‘Ž − đ?‘Žđ?‘‘đ?›ż e quindi đ?‘Žđ?‘‘đ?›ż − đ?‘?đ?‘?đ?›ż = đ?‘Ž da cui đ?›ż(đ?‘Žđ?‘‘ − đ?‘?đ?‘?) = đ?‘Ž e quindi si ottiene đ?›ż =

đ?‘Ž đ?‘Žđ?‘‘−đ?‘?đ?‘?

. Operando in modo simile sulla relazione đ?‘Žđ?›ź + đ?‘?đ?›ž = 1 si ottiene che

đ?‘?

đ?›ž = đ?‘Žđ?‘‘−đ?‘?đ?‘?. đ?‘‘

Pertanto đ?‘‘

[

la

matrice

e’

đ?‘? đ?‘Ž

− đ?›ż đ?›ż

đ?‘?

− đ?‘Žđ?‘‘−đ?‘?đ?‘? − đ?‘Žđ?‘‘−đ?‘?đ?‘? đ?‘? đ?‘Žđ?‘‘−đ?‘?đ?‘?

inversa

− đ?›ž [ đ?‘? đ?›ž

đ?‘Ž đ?‘Žđ?‘‘−đ?‘?đ?‘?

1

] = det(đ??´) [

−đ?‘‘ đ?‘?

−đ?‘? ] đ?‘Ž

1 −đ?‘‘ Risulta che det(đ??´âˆ’1 ) = det(đ??´) det( [ đ?‘?

−đ?‘? ]) = −(det(đ??´))2 đ?‘Ž

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]=[

−

đ?‘‘ đ?‘? đ?‘? đ?‘Žđ?‘‘−đ?‘?đ?‘? đ?‘? đ?‘Žđ?‘‘−đ?‘?đ?‘?

−

đ?‘? đ?‘Ž đ?‘Ž đ?‘Žđ?‘‘−đ?‘?đ?‘? ] đ?‘Ž đ?‘Žđ?‘‘−đ?‘?đ?‘?

=


Trasformazioni lineari - terza parte Isomorfismi Una applicazione lineare �: � → � e’ iniettiva se e solo se r(A)= ����. Una applicazione lineare �: � → � e’ suriettiva se e solo se r(A)= ����. Una applicazione lineare �: � → � per la quale sia contemporaneamente vero che {

r(A) = ���� e’ detta isomorfismo. In questo caso si afferma che gli spazi vettoriali V e r(A) = ����

W sono isomorfi. Da {

r(A) = ���� si evince che in un isomorfismo si ha ���� = r(A) = ����

���� (condizione necessaria e sufficiente). Una importante conseguenza e’ che ogni spazio vettoriale di dimensione n e’ isomorfo a �� .

Endomorfismi e matrici associate ad un endomorfismo Si considera uno spazio vettoriale V di dimensione n, ove n e’ un intero assoluto dato. Una applicazione lineare đ?‘“: V → đ?‘‰ tale cioe’ che ad un dato elemento di V, detto đ?’—, corrisponda univocamente un elemento đ?‘“(đ?’—) | đ?‘“(đ?’—) ∈ đ?‘‰ e’ detta endomorfismo. Si usa il sinonimo di “operatore lineare su Vâ€? e si dice che in questo caso si considera una applicazione dello spazio vettoriale in se’. Dato lo spazio vettoriale V di dimensione n si ammette data una sua base. Per quanto si e’ posto ad un vettore đ?’— ∈ đ?‘‰ corrisponde un vettore đ?‘“(đ?’—) ∈ đ?‘‰. La forma matriciale di tale trasformazione lineare e’ Y = đ??´đ?‘‹ .

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Ovviamente, le coordinate dei vettori đ?’— ∈ đ?‘‰ e đ?‘“(đ?’—) ∈ đ?‘‰ sono riferite alla medesima base, in genere quella ortonormale. Occorre pero’ rilevare che dato un endomorfismo đ?‘“ la matrice A e’ ottenuta con riferimento ad una data base. Cambiando la base alla trasformazione đ?‘“ corrisponde una distinta matrice A’. E’ quindi necessario individuare la relazione matriciale tra dette matrici A e A’. Viene introdotta una ulteriore matrice, detta C, detta matrice di passaggio da una base all’altra. La relazione di coordinamento e’ la seguente đ??´â€˛ = đ??ś −1 đ??´đ??ś . Verificata questa relazione le matrici A e A’ si dicono matrici simili. Esse hanno il medesimo rango ed eguale determinante. La matrice A’ e’ detta matrice trasformata di A mediante C. Viene, quindi, data la definizione di automorfismo, inteso come una applicazione lineare iniettiva e suriettiva (detta anche bigettiva, o biiezione) . A questo punto, prima di sviluppare lo studio degli endomorfismi e degli automorfismi e’ sicuramente utile premettere alcune ulteriori nozioni.

Autovalori e autovettori. Polinomio caratteristico. Anche in questo caso si parte da uno spazio vettoriale V di data dimensione e rispetto al quale sia assegnata un data base. Data una matrice quadrata A di ordine n (eguale quindi alla dimensione dello spazio vettoriale che si considera). L’applicazione lineare e’ definita �

đ?‘“: đ?‘‰ → đ?‘Š | đ?’™ → đ??´đ?’™ , o espressa con đ?‘“(đ?’™) = đ??´đ?’™ .

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Un vettore (recte, ogni vettore) đ?’™ ≠đ?‘śđ?‘˝ ∈ đ?‘‰ e’ un autovettore di A , e quindi anche di đ?‘“, se esiste uno scalare, solitamente indicato con la lettera Îť , tale che risulti verificata la relazione Ađ?’™ = đ?œ†đ?’™ . Ogni scalare đ?œ† (reale o complesso) che verifica la relazione Ađ?’™ = đ?œ†đ?’™ e’ detto autovalore. E’ immediato dimostrare che se đ?’™ ≠đ?‘śđ?‘˝ ∈ đ?‘‰ verifica la relazione Ađ?’™ = đ?œ†đ?’™ allora anche ogni vettore linearmente dipendente đ?œ‘đ?’™ e’ autovettore di A. Da Ađ?’™ = đ?œ†đ?’™ vera per ipotesi si ammetta sia vera anche Ađ?œ‘đ?’™ = đ?œ†(đ?œ‘)đ?’™ . Da A(đ?œ‘đ?’™) = đ?œ†(đ?œ‘đ?’™) si ha đ?œ‘đ??´đ?’™ = đ?œ‘đ?œ†đ?’™ . Poiche’ deve essere đ?œ‘ ≠0 e’ possibile dividere ambo i membri della precedente relazione ottenendo una eguaglianza vera per ipotesi cioe’ Ađ?’™ = đ?œ†đ?’™. In altri termini Ađ?’™ = đ?œ†đ?’™ ⇒ A(đ?œ‘đ?’™) = đ?œ†(đ?œ‘đ?’™) âˆ€Ď† ∈ K. Cio’ premesso, e’ possibile introdurre le nozioni di equazione caratteristica e, quindi, di polinomio caratteristico. Molte volte la relazione Ađ?’™ = đ?œ†đ?’™ viene posta nella forma equivalente Ađ?’™ = đ?œ†đ??źđ?’™ , utilizzando, quindi, la nozione di matrice identita’, ovviamente di ordine n. Da Ađ?’™ = đ?œ†đ??źđ?’™ si ottiene Ađ?’™ − đ?œ†đ??źđ?’™ = đ?‘śđ?‘˝ ed anche, raccogliendo a fattore comune, che (A−đ?œ†đ??ź)đ?’™ = đ?‘śđ?‘˝ . La condizione per la quale sia (A−đ?œ†đ??ź)đ?’™ = đ?‘śđ?‘˝ e’ det(A−đ?œ†đ??ź) = 0 . In termini formali si tratta di una condizione necessaria e sufficiente potendo dire che Ađ?’™ = đ?œ†đ??źđ?’™ ⇔ det(A−đ?œ†đ??ź) = 0 . La grandezza det(A−đ?œ†đ??ź) e’ detto determinante caratteristico della matrice A.

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L’equazione det(A−đ?œ†đ??ź) = 0 e’ detta equazione caratteristica. Qualora Îť sia inteso come una indeterminata si ha il polinomio caratteristico p(Îť) della matrice A della trasformazione lineare đ?‘“ . La scrittura det(A−đ?œ†đ??ź) = 0 deve essere intesa nel senso che vanno trovati i đ?œ† per i quali det(A−đ?œ†đ??ź) = 0 . Essa puo’ essere scritta in forma estesa come segue đ?‘Ž11 − đ?œ† det(A−đ?œ†đ??ź) = [ â‹Ž đ?‘Žđ?‘›1

â‹Ż â‹Ż

đ?‘Ž1đ?‘› â‹Ž ] = 0. đ?‘Žđ?‘›đ?‘› − đ?œ†

E’ utile ricordare il seguente teorema detto di Cayley-Hamilton per il quale se det(A−đ?œ†đ??ź) = đ?‘?đ?‘› đ?œ†đ?‘› + đ?‘?đ?‘›âˆ’1 đ?œ†đ?‘›âˆ’1 + â‹Ż + đ?‘?2 đ?œ†2 + đ?‘?1 đ?œ† + đ?‘?0

allora

đ?‘?đ?‘› đ?‘¨đ?’? + đ?‘?đ?‘›âˆ’1 đ?‘¨đ?’?−đ?&#x;? +

â‹Ż + đ?‘?2 đ?‘¨đ?&#x;? + đ?‘?1 đ?‘¨ + đ?‘?0 đ?‘° = đ?&#x;Ž . L’endomorfismo đ?‘“: đ?‘‰ → đ?‘‰ puo’ (Vaccaro, Carfagna, Piccolella) essere rappresentato con đ?‘“(đ?’—) = đ?œ†đ?’—. Assegnato un Îť l’insieme đ??¸(đ?œ†) l’insieme dei vettori di V tali che đ?‘“(đ?’—) = đ?œ†đ?’— costituisce uno spazio vettoriale tale che đ??¸(đ?œ†) ⊂ đ?‘‰. Fissato đ?œ† ∈ đ?‘… atteso che đ?&#x;Žđ?‘˝ ∈ V, atteso che V e’ uno spazio vettoriale, allora ∀đ?œ† ∈ đ?‘…, e’ sicuramente vero che đ?‘“(đ?&#x;Žđ?‘˝ ) = đ?œ†đ?&#x;Žđ?‘˝ e conseguentemente đ?&#x;Žđ?‘˝ = đ?œ†đ?&#x;Žđ?‘˝ ∀đ?œ† ∈ đ?‘… . Ne consegue che đ?&#x;Žđ?‘˝ ∈ đ??¸(đ?œ†) . Piu’ in generale, per un dato đ?œ†, per ogni coppia di vettori đ?’– đ?‘’ đ?’— đ?‘‘đ?‘– đ?‘Łđ?‘’đ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘œđ?‘&#x;đ?‘– đ?‘‘đ?‘– đ??¸(đ?œ†) risulta che {

đ?‘“(đ?’–) = đ?œ†đ?’– ed anche đ?‘“(đ?’–) + đ?‘“(đ?’—) = đ?œ†đ?’– + đ?œ†đ?’— . đ?‘“(đ?’—) = đ?œ†đ?’—

Ma, atteso che la đ?‘“ e’ una applicazione lineare, si puo’ scrivere che đ?‘“(đ?’–) + đ?‘“(đ?’—) = đ?‘“(đ?’– + đ?’—) = đ?œ†đ?’– + đ?œ†đ?’— = đ??€ (đ?’– + đ?’—) .

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Se si ammette che đ?’— ∈ đ??¸(đ?œ†) , per un dato Îť , cioe’ sia per il dato Îť vera la relazione vettori đ?‘“(đ?’—) = đ?œ†đ?’— per la data đ?‘“ allora anche il vettore đ?›źđ?’— ∈ đ??¸(đ?œ†). Infatti, moltiplicando đ?‘“(đ?’—) = đ?œ†đ?’—, vera per ipotesi, per uno scalare đ?›ź risulta che đ?›źđ?‘“(đ?’—) = đ?›źđ?œ†đ?’— ed anche đ?‘“(đ?›źđ?’—) = đ?œ†(đ?›źđ?’—) che e’ quando volevasi comprovare. đ?&#x;Žđ?‘˝ ∈ đ??¸(đ?œ†) In estrema sintesi sono stati comprovati i seguenti punti {đ?’–, đ?’— ∈ đ??¸(đ?œ†) ⇒ đ?’– + đ?’— ∈ đ??¸(đ?œ†) đ?’— ∈ đ??¸(đ?œ†) ⇒ đ?›źđ?’— ∈ đ??¸(đ?œ†) In altri termini đ??¸(đ?œ†) e’ un sottospazio vettoriale. Si dimostra che dim đ??¸(đ?œ†) > 0 in quanto se contiene il vettore đ?&#x;Žđ?‘˝ non si riduce ad esso. E’ utile il seguente teorema. Sia đ?‘“: đ?‘‰ → đ?‘‰ . Siano đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;‘ ,‌.., đ?’—đ?’‘ p distinti autovettori relativi ad autovalori distinti denotati con đ?œ†1 , đ?œ†2 , đ?œ†3 , ‌ . . , đ?œ†đ?‘? si dimostra che i vettori đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;‘ ,‌.., đ?’—đ?’‘ sono linearmente indipendenti. La dimostrazione e’ facilmente reperibile (Vaccaro, Carfagna, Piccolella). Se sono vere le đ?‘“(đ?’—1 ) = đ?œ†1 đ?’—đ?&#x;? đ?‘“(đ?’—2 ) = đ?œ†2 đ?’—đ?&#x;? relazioni { ‌‌‌.. đ?‘“(đ?’—đ?‘? ) = đ?œ†đ?‘? đ?’—đ?’‘ Tali vettori sono tutti diversi dal vettore nullo. La dimostrazione e’ induttiva nel senso che si ammette che i (p−1) vettori siano linearmente indipendenti e si ipotizza che il vettore đ?’—đ?’‘ sia una combinazione lineare dei primi (p−1) vettori considerati, potendosi conseguentemente aversi đ?’—đ?’‘ = đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż ‌ + đ?‘Žđ?‘?−1 đ?’—đ?’‘−đ?&#x;? ma anche đ?‘“(đ?’—đ?’‘ ) = đ?‘Ž1 đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? ) + đ?‘Ž2 f(đ?’—đ?&#x;? ) + â‹Ż ‌ + đ?‘Žđ?‘?−1 đ?‘“(đ?’—đ?’‘−đ?&#x;?)= đ?‘Ž1 đ?œ†1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?œ†2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż ‌ + đ?‘Žđ?‘?−1 đ?œ†đ?‘?−1 đ?’—đ?‘?−1 = đ?œ†đ?‘? đ?’—đ?’‘ .

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Ma essendo đ?’—đ?’‘ = đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż ‌ + đ?‘Žđ?‘?−1 đ?’—đ?’‘−đ?&#x;? si ha đ?‘Ž1 đ?œ†1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?œ†2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż ‌ + đ?‘Žđ?‘?−1 đ?œ†đ?‘?−1 đ?’—đ?‘?−1 = đ?œ†đ?‘? (đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż ‌ + đ?‘Žđ?‘?−1 đ?’—đ?’‘−đ?&#x;? ) e quindi đ?‘Ž1 đ?œ†1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?œ†2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż ‌ + đ?‘Žđ?‘?−1 đ?œ†đ?‘?−1 đ?’—đ?‘?−1 − đ?œ†đ?‘? (đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż ‌ + đ?‘Žđ?‘?−1 đ?’—đ?’‘−đ?&#x;? )= đ?&#x;Žđ?‘˝ . In altri termini si puo’ scrivere đ?‘Ž1 (đ?œ†đ?‘? − đ?œ†1 )đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 (đ?œ†đ?‘? − đ?œ†2 )đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż . . đ?‘Žđ?‘?−1 (đ?œ†đ?‘?−1 − đ?œ†2 )đ?’—đ?’‘−đ?&#x;? = đ?&#x;Žđ?‘˝ . Occorre osservare che đ?œ†đ?‘? ≠đ?œ†đ?‘?−1 ≠⋯ ‌ ≠đ?œ†1 e tenere conto del fatto che i vettori đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;‘ ,‌.., đ?’—đ?’‘ sono linearmente indipendenti, dovendo quindi essere đ?‘Ž1 = đ?‘Ž2 = â‹Ż = đ?‘Žđ?‘?−1 = 0. Ma questo porta alla situazione assurda che đ?’—đ?’‘ assunto diverso dal vettore nullo risulterebbe eguale al vettore nullo di V. Quindi i vettori đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;‘ ,‌.., đ?’—đ?’‘ sono linearmente indipendenti. Nel proseguo saranno considerati gli endomorfismi diagonizzabili.

Spazi vettoriali con prodotto scalare e spazi normati Vanno sviluppate le nozioni relative al prodotto scalare al fine di applicarle al concetto di ortogonalita’ quando si consideri uno spazio vettoriale V su un campo K, che puo’ essere costituito dall’insieme dei reali R, oppure dei numeri complessi C. Si considera in primis il caso che K = đ?‘…, ove R e’ l’insieme dei numeri reali. Uno spazio vettoriale V e’ detto spazio vettoriale euclideo se K = đ?‘… e se e’ definita una funzione che associa a due elementi di V, detti đ?’™ e đ?’š , uno scalare đ?œ‘(đ?’™, đ?’š) . đ?œ‘

In altri termini si puo’ scrivere che đ?œ‘: đ?‘‰ Ă— đ?‘‰ → đ?‘… | (đ?’™, đ?’š) → đ?’™đ?’š = ∑i≤n xi yi . Il formalismo indica che ad ogni coppia di vettori di V viene fatto corrispondere il numero reale ∑i≤n xi yi ottenuto come sommatoria dei prodotti delle coordinate dei due vettori

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considerati. Senza che le cose cambino in alcuni testi il prodotto scalare di due vettori di uno spazio vettoriale viene indicato con ��� , ove �� indica la trasposizione di y. In ogni caso �� = �(�� ). Il prodotto scalare di vettori di V sul campo R bilineare simmetrica definita positiva che gode delle seguenti proprieta’ formali. �� = �� � proprieta’ commutativa (� + �)� = �� + �� � proprieta’ di linearita’ rispetto alla somma (��)� = �(��) = �(��) � proprieta’ di linearita’ rispetto al prodotto per uno scalare �� ≼ 0 con {

đ?’™đ?’™ = 0 đ?‘ đ?‘’ đ?’™ = đ?&#x;Žđ?‘˝ â†? proprieta’ di positivita’. đ?’™đ?’™ > 0 đ?‘ đ?‘’ đ?’™ ≠đ?&#x;Žđ?‘˝

A queste proprieta’ deve essere aggiunta la seguente proprieta’ di linearita’ (đ?›źđ?’™ + đ?›˝đ?’š)(đ?’›) = đ?›ź(đ?’™đ?’›) + đ?›˝(đ?’šđ?’›) â†? linearita’ rispetto a somma e prodotto In queste relazioni đ?›ź e đ?›˝ sono due scalari reali. Oltre che con la scrittura đ?’™đ?’š il prodotto scalare viene indicato con â&#x;¨x,yâ&#x;Š.

Norma euclidea. Dato uno spazio vettoriale V sia đ?’— un elemento di tale spazio vettoriale. E’ detta norma del vettore đ?’— la grandezza ‖đ?’—‖ = √đ?’—đ?’— = √đ?‘Ł 2 ≼ 0 . Se ‖đ?’—‖ = √đ?’—đ?’— = √đ?‘Ł 2 = 1 il vettore đ?’— e’ detto vettore unitario, o, comunemente, versore. đ?’—

Ě‚ = ‖đ?’—‖ e’ il versore di đ?’— . I due vettori đ?’— e đ?’— Ě‚ Dato un vettore đ?’— tale che ‖đ?’—‖ ≠1 il vettore đ?’— hanno la medesima direzione e il medesimo verso. E’ stato gia’ ricordato come viene definito il prodotto scalare in đ?‘… đ?‘› . Ora e’ utile definire la norma del vettore đ?’— indicata con ‖đ?’—‖ = √đ?‘Ž12 + đ?‘Ž22 + â‹Ż . +đ?‘Žđ?‘›2 essendo (đ?‘Ž1 , đ?‘Ž2 , , ‌ . đ?‘Žđ?‘› ) le coordinate reali rispetto ad una base ortormale.

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Distanza euclidea Siano v e u due elementi qualunque di E, spazio vettoriale euclideo. La distanza euclidea tra đ?’– đ?‘’ đ?’— indicata con đ?‘‘(đ?’–, đ?’—) = ‖đ?’– − đ?’—‖ ∀ đ?’–, đ?’— ∈ đ?‘Ź .

In termini formali puo’ essere enunciata la seguente definizione Dato un insieme X≠∅ , avente struttura di spazio vettoriale, e data una funzione d: XĂ— đ?‘‹ → đ?‘… + si afferma che (X, d) e’ uno spazio metrico se e solo se risultano verificate le seguenti quattro proprieta’ fondamentali đ?‘‘(đ?’™, đ?’š) ≼ 0 đ?‘‘(đ?’™, đ?’š) = 0 ⇔ đ?’™ = đ?’š { đ?‘‘(đ?’™, đ?’š) = đ?‘‘(đ?’š, đ?’™) đ?‘‘(đ?’™, đ?’›) ≤ đ?‘‘(đ?’™, đ?’š) + đ?‘‘(đ?’š, đ?’›) Relativamente agli spazi E di dimensione finita sono vere due fondamentali relazioni |đ?’™đ?’š| ≤ ‖đ?’™â€–‖đ?’šâ€– (diseguaglianza di Cauchy-Schwarz)

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‖đ?’™ + đ?’šâ€– ≤ ‖đ?’™â€–‖đ?’šâ€– (diseguaglianza di Minkosky o triangolare) E’ noto (Soardi) che “un insieme ammette in generale piu’ funzioni che lo metricizzanoâ€?.

Angolo tra due vettori ��

Dati due vettori đ?’– đ?‘’ đ?’— di E l’angolo đ?›ź ∈ ⌋0 , đ?œ‹âŚŒ tale che cos đ?›ź = ‖đ?’™â€–‖đ?’šâ€– e’ detto angolo tra i vettori dati. Da questa relazione si ricava la cosiddetta seconda formula del prodotto scalare di due vettori cioe’ đ?’™đ?’š = ‖đ?’™â€–‖đ?’šâ€–cos(đ?›ź) . Se đ?’™ e đ?’š sono due versori si ha đ?’™đ?’š = cos(đ?›ź) .

Matrici associate ad un prodotto scalare euclideo Dato uno spazio vettoriale euclideo E ed una base di esso {đ?’–đ?&#x;? , đ?’–đ?&#x;? , ‌ . , đ?’–đ?’? } la matrice associata al prodotto scalare rispetto alla assegnata base e’ la matrice A simmetrica i cui elementi sono đ?‘Žđ?‘–đ?‘— = đ?’–đ?’Š đ?’–đ?’‹ . Il fatto che la matrice sia simmetrica, cioe’ risulti đ?‘Žđ?‘–đ?‘— = đ?‘Žđ?‘—đ?‘– e’ una immediata conseguenza della commutativita’ del prodotto scalare (đ?’–đ?’Š đ?’–đ?’‹ = đ?’–đ?’‹ đ?’–đ?’Š ) . Si ha đ?’—đ?&#x;? đ?’—đ?&#x;? = X T AY . Se A e A’ sono le matrici associate al prodotto scalare, rispetto a due distinte basi di E si ha A’= đ??ś đ?‘‡ đ??´đ??ś risultando C la matrice di passaggio tra le due distinte basi.

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Ortogonalita’ tra vettori Due vettori đ?’—đ?&#x;? e đ?’—đ?&#x;? di E si dicono ortogonali, e si scrive đ?’—đ?&#x;? ⊼ đ?’—đ?&#x;? , se đ?’—đ?&#x;? đ?’—đ?&#x;? = 0 . Per definizione il vettore nullo đ?‘śđ?‘Ź e’ ortogonale a tutti i vettori di E. Dato E e dato un suo sottospazio U di E si dice complemento ortogonale di U, e lo si indica con đ?‘źâŠĽ , l’insieme i cui elementi sono i đ?’—đ?’Š di E tali che ∀đ?’– ∈ đ?‘ź risulti đ?’—đ?’Š đ?’– = 0 . Poiche’ U e’ uno spazio vettoriale (sottospazio vettoriale di E) allora esso contiene il vettore nullo. Si scrive đ?‘źâŠĽ = {đ?’— ∈ đ?‘Ź , đ?’–đ?’— = 0 ∀đ?’– ∈ đ?‘ź} Per quanto detto circa đ?‘śđ?‘Ź e’ ortogonale a tutti i vettori di E, quindi anche a tutti i vettori di U. Pertanto il vettore đ?‘śđ?‘Ź e’ elemento di đ?‘źâŠĽ . Assegnato un vettore đ?’– ∈ đ?‘ź se esiste un vettore đ?’—đ?&#x;? tale che đ?’—đ?&#x;? đ?’– = 0 allora ogni vettore linearmente dipendente đ?›źđ?’—đ?&#x;? e’ tale che đ?›źđ?’—đ?&#x;? đ?’– = 0 . Sommando membro a membro e ponendo đ?›źđ?’—đ?&#x;? = đ?’—đ?&#x;? si ottiene đ?’—đ?&#x;? đ?’– + đ?’—đ?&#x;? đ?’– = 0 quindi (đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;? )đ?’– = 0

Metodo di Gram- Schmidt Dati n vettori di E si dice che essi sono linearmente indipendenti se e solo se la relazione vettoriale đ?œ†1 đ?’—đ?&#x;? + đ?œ†2 đ?’—đ?&#x;? + â‹Ż . . +đ?œ†đ?‘› đ?’—đ?’? = đ?&#x;Ž e’ vera se e solo se risulta Îťi≤n = 0 ∀ đ?‘– ≤ đ?‘›. Si pensi ad esempio al caso dei vettori del piano. I vettori đ?’—đ?&#x;? e đ?’—đ?&#x;? sono linearmente dipendenti se esiste uno scalare k tale che si possa affermare che đ?’—đ?&#x;? = đ?‘˜đ?’—đ?&#x;? . Si ammetta esistano due scalari tali che sia đ?œ†1 đ?’—đ?&#x;? + đ?œ†2 đ?’—đ?&#x;? = đ?&#x;Ž . Ma allora sarebbe đ?’—đ?&#x;? − đ?‘˜đ?’—đ?&#x;? = đ?&#x;Ž e quindi đ?œ†1 đ?’—đ?&#x;? + đ?œ†2 đ?’—đ?&#x;? = đ?’—đ?&#x;? − đ?‘˜đ?’—đ?&#x;? .

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Tali scalari esistono e sono đ?œ†1 = 1 e đ?œ†2 = −1. Coerentemente con la definizione non potendo tali vettori essere linearmente indipendenti. I due vettori considerati giacciono sulla medesima retta (c.d. retta vettoriale).

Esempio di vettori linearmente dipendenti della retta orientata data. Esiste, come ben noto, una modalita’ rappresentativa dei vettori linearmente indipendenti del piano che, nella sostanza, e’ costituita dalla legge del parallelogramma di Newton. Questa figura chiarisce la questione.

La risultante vettoriale (detta anche somma vettoriale) e’ indicata in colore verde. La risultante dei due vettori (in nero e blu) e’ đ?’“ = đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;? .

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E’ ben evidente che moltiplicando ambo i membri per lo scalare đ?‘˜ = 0 si ottiene 0đ?’“ = 0(đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;? ) = 0đ?’—đ?&#x;? + 0đ?’—đ?&#x;?

ed in definitiva đ?&#x;Ž = 0đ?’—đ?&#x;? + 0đ?’—đ?&#x;? . Si osservi, ed e’ altra

questione, pero’ che e’ possibile ottenere đ?’“ = đ?&#x;Ž anche nel caso che i vettori siano linearmente dipendenti , qualora essi siano opposti. In questo caso il problema sarebbe riconducibile alle coppie (đ?œ†1 = đ?‘Ľ, đ?œ†2 = −đ?‘Ľ) ∀đ?‘Ľ ∈ đ?‘…. Dato lo spazio vettoriale euclideo una base {đ?’†đ?&#x;? , đ?’†đ?&#x;? , ‌ . , đ?’†đ?’? } e’ detta ortonormale se sono verificate le due seguenti condizioni ‖đ?’†đ?’Š ‖ = 1 ∀đ?‘– ≤ đ?‘› { đ?’†đ?’Š đ?’†đ?’‹ = 1 ∀(đ?‘–, đ?‘—)|đ?‘– ≠đ?‘— { đ?’†đ?’Š đ?’†đ?’‹ = 0 ∀(đ?‘–, đ?‘—)|đ?‘– = đ?‘—

Un esempio di base canonica e’ quella riferita al piano euclideo. La figura seguente illustra la situazione ben nota dalla fisica elementare.

Il vettore đ?’— puo’ essere rappresentato, in unico modo, come đ?’— = đ?‘Žđ?’†1 + đ?‘?đ?’†2 . Solitamente i due versori đ?’†đ?&#x;? , đ?’†đ?&#x;? sono indicati con la notazione đ?’Š, đ?’‹ .

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Nello spazio tridimensionale si utilizza sovente, se non esclusivamente, la notazione i, j, k intesi come i versori riferiti alle tre direzioni spaziali x, y e z.

k j i

Ritornando agli spazi vettoriali euclidei di dimensione n e’ utile introdurre il metodo di ortonormalizzazione di Gram-Schmidt che consente, data una base di E di ottenere una base ortonormale, costituita quindi da n vettori linearmente indipendenti ortogonali a due a due e tali che la loro norma sia unitaria. In buona sostanza si parte da una base qualunque di E . Il problema si pone in quanto astrattamente e’ possibile che un vettore sia espresso univocamente, quindi in unico modo, come la somma di tre vettori (se si considera uno spazio euclideo a tre dimensioni) componenti, non necessariamente a due a due ortogonali.

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Si pone la questione di determinare da tale base una nuova base ortonormale. Il problema viene risolto utilizzando il metodo di Gram – Schmidt . Sia data una base qualunque, quindi non ortonormale e la si indichi con {đ?’–đ?&#x;? , đ?’–đ?&#x;? , ‌ . , đ?’–đ?’? } . Il primo vettore della base ortonormale e’ immediatamente ricavabile. Esso ha la stessa đ?’–

direzione del vettore đ?’–đ?&#x;? e deve essere unitario, pertanto occorre che sia đ?’†đ?&#x;? = ‖đ?’–đ?&#x;? ‖ . đ?&#x;?

A questo punto e’ necessario trovare il secondo elemento della nuova base. Atteso che đ?’†đ?&#x;? ha la stessa direzione di đ?’–đ?&#x;? e poiche’ đ?’–đ?&#x;? non e’ ortogonale a đ?’–đ?&#x;? allora occorre trovare un vettore, detto đ?’—đ?&#x;? , che sia ortogonale a đ?’–đ?&#x;? .

La figura illustra la problematica e la soluzione al problema in termini grafici.

Si parte dai vettori đ?’–đ?&#x;? đ?‘’ đ?’–2 non ortogonali. Il versore đ?’†đ?&#x;? e’ immediatamente definito quale primo elemento della base ortonormale. Graficamente, dati đ?’†đ?&#x;? đ?‘’ đ?’–2 non ortogonali e’ - 60 -


possibile determinare graficamente il vettore đ?’—đ?&#x;? che normalizzato definira’ univocamente il secondo elemento della base ortonormale. Nella figura si e’ indicato il vettore đ?’—đ?&#x;? = đ?œ†đ?’†đ?&#x;? (in colore senape) giacente sulla medesima retta di đ?’–đ?&#x;? . A questo punto diviene evidente che vale la regola del parallelogramma potendosi scrivere đ?’—đ?&#x;? = đ?’–đ?&#x;? + đ?œ†đ?’†đ?&#x;? Tale relazione e’ moltiplicabile scalarmente per đ?’†đ?&#x;? avendo che đ?’†đ?&#x;? đ?’—đ?&#x;? = đ?’†đ?&#x;? đ?’–đ?&#x;? + đ?’†đ?&#x;? đ?œ†đ?’†đ?&#x;? da cui 0 = đ?’†đ?&#x;? đ?’–đ?&#x;? + đ?œ† e quindi đ?œ† = −đ?’†đ?&#x;? đ?’–đ?&#x;? . Con riferimento al caso specifico della figura đ?œ‹

poiche’ l’angolo tra i vettori e’ đ?›ź ∈ ( 2 , đ?œ‹âŚŒ risulta đ?’†đ?&#x;? đ?’–đ?&#x;? < 0 da cui consegue đ?œ† > 0 . Ne

consegue,

immediatamente,

per

sostituzione,

che

đ?’—đ?&#x;? = đ?’–đ?&#x;? + đ?œ†đ?’†đ?&#x;? = đ?’–đ?&#x;? +

(−(đ?’†đ?&#x;? đ?’–đ?&#x;? )đ?’†đ?&#x;? = đ?’–đ?&#x;? − (đ?’†đ?&#x;? đ?’–đ?&#x;? )đ?’†đ?&#x;? . A questo punto occorre normalizzare đ?’—đ?&#x;? avendo đ?’†đ?&#x;? = đ?’—đ?&#x;? . ‖đ?’—đ?&#x;? ‖

A questo punto sono stati trovati due vettori, detti đ?’†đ?&#x;? e đ?’†đ?&#x;? di norma 1 e ortogonali. Allo stesso modo deve determinarsi un terzo vettore đ?’—đ?&#x;‘ che risulti ortogonale ai vettori đ?’†đ?&#x;? e đ?’† đ?&#x;? . đ?’—đ?&#x;‘ = đ?’–đ?&#x;‘ + Îť1 đ?’†đ?&#x;? + Îť2 đ?’†đ?&#x;? đ?’— đ?&#x;‘ đ?’†đ?&#x;? = 0 Deve essere { đ?’— đ?&#x;‘ đ?’†đ?&#x;? = 0 Anche in questo caso si parte dalla relazione vettoriale đ?’—đ?&#x;‘ = đ?’–đ?&#x;‘ + Îť1 đ?’†đ?&#x;? + Îť2 đ?’†đ?&#x;? e la si

moltiplica scalarmente per đ?’†đ?&#x;? ottenendo il valore di Îť1 , quindi la si moltiplica scalarmente per đ?’†đ?&#x;? ottenendo il valore di Îť2 . Riunendo i risultati si ottiene đ?’—đ?&#x;‘ = đ?’–đ?&#x;‘ − (đ?’–đ?&#x;‘ đ?’†đ?&#x;? )đ?’†đ?&#x;? − đ?’—

(đ?’–đ?&#x;‘ đ?’†đ?&#x;? )đ?’†đ?&#x;? . Il terzo elemento della base ortonormale e’ đ?’†đ?&#x;‘ = ‖đ?’—đ?&#x;‘ ‖ . đ?&#x;‘

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Il procedimento e’ iterabile fino ad ottenere đ?’†đ?’? essendo n la dimensione dello spazio che si considera. Esiste ed e’ consolidato uno speciale formalismo per indicare i vettori della base ortonormale che e’ stata ottenuta che tiene conto che il prodotto scalare di due vettori, come gia’ ricordato, e’ esprimibile con l’uso delle parentesi angolate, scrivendo quindi â&#x;¨đ?’™đ?’šâ&#x;Š. Sia data una base qualunque, quindi non ortonormale e la si indichi con {đ?’–đ?&#x;? , đ?’–đ?&#x;? , ‌ . , đ?’–đ?’? } . Le relazioni che collegano i vettori di tale base con i vettori ortogonali {đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? } possono essere cosi’ sintetizzate đ?’—đ?&#x;? = đ?’–đ?&#x;? â&#x;¨đ?’– ,đ?’— â&#x;Š

đ?’—đ?&#x;? = đ?’–đ?&#x;? − ‖đ?’—đ?&#x;? ‖đ?&#x;?đ?&#x;? đ?’—đ?&#x;? đ?&#x;? ‌‌. â&#x;¨đ?’– ,đ?’— â&#x;Š â&#x;¨đ?’– ,đ?’— â&#x;Š đ?’— = đ?’–đ?’? − ‖đ?’—đ?’? ‖đ?&#x;?đ?&#x;? đ?’—đ?&#x;? − â‹Ż − ‖đ?’— đ?’? đ?’?‖đ?&#x;? đ?’—đ?’?−đ?&#x;? { đ?’? đ?&#x;? đ?’?−đ?&#x;? Per ottenere la base ortonormale occorre ed e’ sufficiente dividere i vettori đ?’—đ?’Š per la norma ‖đ?’—đ?’Š ‖ . Nella manualistica (Lipschutz, Lipton) e’ possibile rinvenire una notazione compatta quale la seguente đ?’—đ?’Œ = đ?’–đ?’Œ − đ?‘?đ?‘˜1 đ?’–đ?&#x;? − đ?‘?đ?‘˜2 đ?’–đ?&#x;? − â‹Ż . − đ?‘?đ?‘˜,đ?‘˜âˆ’1 đ?’–đ?’Œâˆ’đ?&#x;? ∀đ?‘˜ ≤ đ?‘› . Gli scalari đ?‘?đ?‘–đ?‘— sono ordinariamente detti coefficienti di Fourier. â&#x;¨đ?’–đ?’Š ,đ?’—đ?’‹ â&#x;Š

Si tenga conto di queste importanti relazioni đ?‘?đ?‘–đ?‘— = â&#x;¨đ?’— ,đ?’— â&#x;Š = đ?’‹

đ?’‹

â&#x;¨đ?’–đ?’Š ,đ?’—đ?’‹ â&#x;Š 2

‖�� ‖

. Si ricordi che â&#x;¨đ?’™, đ?’šâ&#x;Š

= đ?’™đ?’š = đ?’™đ?‘ť đ?’š . Se e’ data una base ortonormale la matrice associata al prodotto scalare e’ la matrice identita’ di ordine n, cioe’ đ??źđ?‘› .

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In questo contesto due distinti vettori di E rispetto alla base ortonormale di esso sono espressi univocamente con un formalismo quale il seguente đ?’— = đ?‘Ľ đ?’† + đ?‘Ľ đ?’† + â‹Ż . +đ?‘Ľ đ?’† {đ?’—đ?&#x;? = đ?‘Ś1 đ?’†đ?&#x;? + đ?‘Ś2 đ?’†đ?&#x;? + â‹Ż . +đ?‘Śđ?‘› đ?’†đ?’? đ?&#x;? 1 đ?&#x;? 2 đ?&#x;? đ?‘› đ?’? Si puo’ scrivere che đ?’—đ?&#x;? đ?’—đ?&#x;? = đ?‘‹ đ?‘‡ đ??źđ?‘Œ = đ?‘Ľ1 đ?‘Ś1 + đ?‘Ľ2 đ?‘Ś2 + â‹Ż . +đ?‘Ľđ?‘› đ?‘Śđ?‘› Relativamente alla norma del vettore assegnato si applica il teorema di Pitagora generalizzato per il quale ‖đ?’—đ?&#x;? ‖ = √đ?‘Ľ12 + đ?‘Ľ22 + â‹Ż . đ?‘Ľđ?‘›2 .

Matrici ortogonali e nessi con i cambiamenti di base Data una matrice quadrata A , se {

det(đ??´) ≠0 đ??´đ?‘‡ = đ??´âˆ’1

si dice che la matrice A e’ una matrice

ortogonale. Per le matrici ortogonali si ha det(A) = Âą1 . Le matrici ortogonali sono utili in relazione ai cambiamenti di base. Una matrice ortogonale i cui elementi sono scalari reali gode della fondamentale proprieta’ per la quale Ađ??´đ?‘‡ = đ??´đ?‘‡ đ??´ = đ??ź . Se i prodotto scalare e’ definito come piu’ sopra detto, cioe’ se â&#x;¨đ?’™, đ?’šâ&#x;Š = đ?’™đ?’š = đ?’™đ?‘ť đ?’š , e’ possibile enunciare il teorema per il quale si puo’ equivalentemente dire che •

A e’ una matrice ortogonale

•

le righe di A costituiscono una base ortonormale

•

le colonne di A costituiscono una base ortonormale

Una base ortonormale puo’ essere rappresentata in termini insiemistici con � = {�� } . Una seconda distinta base ortonormale puo’ essere indicata con � = {�′� } .

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Se e’ assegnata đ?”… = {đ?’†đ?’Š } e si considera una matrice ortogonale A =⌋đ?‘Žđ?‘–đ?‘— âŚŒ e’ possibile ottenere una nuova base ortonormale di vettori đ?’†â€˛đ?’Š tali che đ?’†â€˛đ?’Š = đ?‘Ž1đ?‘– đ?’†đ?&#x;? + đ?‘Ž2đ?‘– đ?’†đ?&#x;? + â‹Ż . +đ?‘Žđ?‘›đ?‘– đ?’†đ?’? . A questo punto occorre introdurre le matrici definite positive. Data una matrice simmetrica, cioe’ tale che sia đ??´đ?‘‡ = đ??´ , essa e’ definita positiva se, preso un qualunque vettore đ?’— risulta â&#x;¨đ?’—, đ?‘¨đ?’—â&#x;Š= đ?’—đ?‘ť đ??´đ?’— > 0. Relativamente alle sole matrici quadrate di ordine 2 la matrice simmetrica [

đ?‘Ž đ?‘?

đ?‘? ] e’ detta definita đ?‘‘

đ?‘Ž>0 positiva se { e se detA > 0 . đ?‘‘>0 Se A e’ definita positiva allora â&#x;¨đ?’—, đ?‘¨đ?’—â&#x;Š= đ?’—đ?‘ť đ??´đ?’— e’ un prodotto scalare su đ?‘… đ?‘› . Se e’ dato uno spazio vettoriale V e una base di esso {đ?’†đ?&#x;? , đ?’†đ?&#x;? , ‌ . , đ?’†đ?’?} , la matrice A = [đ?‘Žđ?‘–đ?‘— ] tale che sia đ?‘Žđ?‘–đ?‘— â&#x;¨đ?’–đ?’Š , đ?’–đ?’‹ â&#x;Š costituisce la rappresentazione matriciale del prodotto scalare â&#x;¨đ?’–đ?’Š , đ?’–đ?’‹ â&#x;Š .

Prodotto scalare in spazi vettoriali sul corpo dei numeri complessi Si considerano spazi vettoriali i cui elementi sono numeri complessi, cioe’ numeri che algebricamente sono scritti nella forma đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘?, dove a e b sono due numeri reali e đ?‘– = √−1 e’ l’unita’ immaginaria. I numeri complessi possono anche essere intesi come coppie ordinate di numeri reali , cioe’ come coppie (a, b). Dei numeri reali e’ solitamente data una rappresentazione nel piano complesso, detto di Gauβ, Argand, Wessel. Un esempio di rappresentazione e’ il seguente.

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asse immaginario b

a+đ?‘–đ?‘?

a

asse reale

Le operazioni di somma, differenza, prodotto e divisione tra numeri complessi obbediscono alle proprieta’ formali dell’aritmetica. Ad esempio dati i numeri complessi đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘? đ?‘’ đ?‘Žâ€˛ + đ?‘–đ?‘?′ la loro somma e’ il numero complesso (đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘?) + (đ?‘Žâ€˛ + đ?‘–đ?‘? ′ ) = (đ?‘Ž + đ?‘Žâ€˛ ) + đ?‘–(đ?‘? + đ?‘? ′ ), valendo in particolare la proprieta’ di raccoglimento a fattore comune. Analogamente per la differenza, risulta (đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘?) − (đ?‘Žâ€˛ + đ?‘–đ?‘? ′ ) = (đ?‘Ž + đ?‘Žâ€˛ ) − đ?‘–(đ?‘? + đ?‘? ′ ). Si osservi che non e’ lecita la seguente serie di passaggi đ?‘– ∗ đ?‘– = đ?‘– 2 = √−1√−1 = √(−1)(−1) = √(−1)2 = √1 = 1 . In realta’ đ?‘– 2 = (−đ?‘–)2 = 1 . Anche la moltiplicazione tra complessi soggiace alle ordinarie proprieta’ delle operazioni aritmetiche tra numeri reali. Infatti dati i numeri (đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘?)đ?‘’ (đ?‘Žâ€˛ + đ?‘–đ?‘? ′ ) il loro prodotto si ottiene come segue (đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘?)(đ?‘Žâ€˛ + đ?‘–đ?‘? ′ ) = đ?‘Žđ?‘Žâ€˛ + đ?‘–đ?‘Žđ?‘? ′ + đ?‘–đ?‘?đ?‘Žâ€˛ + đ?‘– 2 đ?‘?đ?‘?′ = đ?‘Žđ?‘Žâ€˛ + đ?‘–đ?‘Žđ?‘? ′ + đ?‘–đ?‘?đ?‘Žâ€˛ − đ?‘?đ?‘?′ = (đ?‘Žđ?‘Žâ€˛ − đ?‘?đ?‘? ′ ) + đ?‘–(đ?‘Žđ?‘? ′ + đ?‘?đ?‘Žâ€˛ ) . Anche la divisione tra numeri complessi e’ agevolmente gestibile.

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Infatti si puo’ scrivere che

đ?‘Ž+đ?‘–đ?‘? đ?‘Žâ€˛+đ?‘–đ?‘?′

đ?‘Ž+đ?‘–đ?‘? đ?‘Žâˆ’đ?‘–đ?‘?

(đ?‘Ž+đ?‘–đ?‘?)(đ?‘Žâˆ’đ?‘–đ?‘?)

= đ?‘Žâ€˛+đ?‘–đ?‘?′ đ?‘Žâ€˛ −đ?‘–đ?‘?′ = (đ?‘Žâ€˛ +đ?‘–đ?‘?′ )(đ?‘Žâ€˛ −đ?‘–đ?‘?′ ) . I passaggi successivi sono

moltiplicazioni (numeratore e denominatore). Dato un numero complesso đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘? il numero complesso đ?‘Ž − đ?‘–đ?‘? e’ detto coniugato di đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘? . Dato đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘? , il numero reale a e’ detto parte reale di đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘? e si scrive Re(đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘?) = đ?‘Ž . Dato đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘? , il numero reale b e’ detto parte immaginaria di đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘? e si scrive Im(đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘?) = đ?‘Ž . I numeri complessi sono sovente indicati con la lettera z, e, in questo contesto, il complesso coniugato di z, e’ indicato con đ?‘§Ě… . In altri termini si puo’ scrivere che đ?‘Ž − đ?‘–đ?‘? = Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘? . E’ immediato dimostrare che (đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘?)( Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘?) = đ?‘Ž2 + đ?‘? 2 . Dalla osservazione del numero đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘? nel piano complesso e’ altrettanto immediato constatare che | đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘?| = √đ?‘Ž2 + đ?‘? 2 . Tale grandezza, detta modulo del numero complesso, e’ solitamente indicata con la lettera đ?œŒ e si scrive đ?œŒ = √đ?‘Ž2 + đ?‘? 2 . La somma di numeri complessi e’ interpretabile con la regola del parallelogramma di Newton. E’ verificata la diseguaglianza triangolare per la quale |đ?‘§1 + đ?‘§2 | ≤ |đ?‘§1 | + |đ?‘§2 | ∀đ?‘§1 , đ?‘§2 ∈ đ??ś . Il vettore che definisce il numero complesso (đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘?) forma una angolo đ?œ— con l’asse reale e sono đ?œŒ = √đ?‘Ž2 + đ?‘? 2 date le coordinate polari { đ?‘Ž = đ?œŒsin(đ?œ—) . đ?‘? = đ?œŒđ?‘?đ?‘œđ?‘ (đ?œ—) đ?‘?

Un’altra relazione particolarmente utile e’ đ?‘Ąđ?‘”(đ?œ—) = đ?‘Ž . Da đ?‘Ž = đ?œŒsin(đ?œ—) e da đ?‘? = đ?œŒđ?‘?đ?‘œđ?‘ (đ?œ—)

per mera sostituzione si ottiene đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘? = đ?œŒ sin(đ?œ—) +

đ?‘–đ?œŒđ?‘?đ?‘œ đ?‘ (đ?œ—) = đ?œŒâŚ‹đ?‘ in(đ?œ—) + đ?‘–đ?‘?os(đ?œ—)âŚŒ , detta forma trigonometrica del numero complesso. Esiste anche una ulteriore rappresentazione dei numeri complessi, detta esponenziale per la quale risulta đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘? = đ?œŒâŚ‹đ?‘ in(đ?œ—) + đ?‘–đ?‘?os(đ?œ—)âŚŒ = đ?œŒđ?‘’ đ?‘–đ?œ— .

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Formule di Euler Possono risultare utili due relazioni fondamentali relative ai numeri complessi, dette di Euler. Tali formule sono le due seguenti, valide ∀đ?‘§ ∈ đ??ś đ?‘’ đ?‘–đ?‘Ľ = cos(đ?‘§) + đ?‘–đ?‘ đ?‘–đ?‘›(đ?‘§) đ?‘’ −đ?‘–đ?‘Ľ = cos(đ?‘§) − đ?‘–đ?‘ đ?‘–đ?‘›(đ?‘§) Da tali formule sono ricavabili altre relazioni che definiscono le funzioni cos(z) e sin(z). Infatti, sommando membro a membro le prime due relazioni si ottiene đ?‘’ đ?‘–đ?‘Ľ + đ?‘’ −đ?‘–đ?‘Ľ = 2cos(đ?‘§) da cui si ottiene cos(z) =

đ?‘’ đ?‘–đ?‘Ľ +đ?‘’ −đ?‘–đ?‘Ľ 2

.

Sottraendo membro a membro le due date relazioni si ottiene đ?‘’ đ?‘–đ?‘Ľ − đ?‘’ −đ?‘–đ?‘Ľ = 2đ?‘– đ?‘ đ?‘–đ?‘›(đ?‘§) da cui si ottiene sin(z) =

đ?‘’ đ?‘–đ?‘Ľ −đ?‘’ −đ?‘–đ?‘Ľ 2đ?‘–

.

Fatte queste premesse, e’ ora possibile considerare uno spazio vettoriale V sul corpo C dei numeri complessi in modo tale che ad ogni coppia di elementi di V sia associato un numero complesso â&#x;¨u,vâ&#x;Š đ?‘“: đ?‘‰ Ă— đ?‘‰ → đ??ś tale che (u ,v) → â&#x;¨u,vâ&#x;Š . Tale funzione e’ detta prodotto scalare complesso di V e deve verificare le seguenti proprieta’ < đ?‘Žđ?’– + đ?‘?đ?’—, đ?’˜ > =< đ?‘Žđ?’–, đ?’˜ > +< đ?‘?đ?’—, đ?’˜ >= đ?‘Ž < đ?’–, đ?’˜ > +đ?‘? < đ?’—, đ?’˜ > Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… { < đ?’–, đ?’— >=< đ?’—, đ?’– > < đ?’–, đ?’– >≼ 0 La prima proprieta’ e’ comunemente detta linearita’. La seconda e’ la cosiddetta proprieta’ simmetrica coniugata, mentre la terza e’ la proprieta’ definita positiva e come caso particolare di essa si ha < đ?’–, đ?’– > = 0 se e solo se đ?’– = đ?&#x;Ž . La scrittura Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… < đ?’—, đ?’– > va’ intesa nel senso che dai i vettori considerati si calcola il prodotto scalare e quindi di considera il coniugato del numero complesso. Ma atteso che deve essere < đ?’–, đ?’— >= Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… < đ?’—, đ?’– > allora tale prodotto scalare deve essere reale. - 67 -


Infatti ove il risultato fosse un numero complesso allora si avrebbe il caso assurdo che un numero complesso e il suo coniugato sarebbero eguali. Ad analoga contraddizione si cadrebbe nel caso in cui il risultato < đ?’–, đ?’— > fosse un numero immaginario cioe’ del tipo (0, b). E’ istituita una norma scrivendo ‖đ?’—‖ = √< đ?’–, đ?’— > . Il resto della teoria e’ mutuabile dalla teoria degli spazi vettoriali su R, insieme dei numeri reali.

Nozione di campo Poiche’, ripetutamente, nel testo e’ stato fatto riferimento alla struttura algebrica di campo e’ utile ricordare che un insieme, solitamente indicato con la lettera K, munito di due distinte operazioni interne, dette, rispettivamente, somma e prodotto tali che + âˆś KĂ—đ??ž → đ??ž âˆ—âˆś KĂ—đ??ž → đ??ž Come si desume dal formalismo si tratta di due operazioni interne, nel senso che il risultato dell’operazione e’ sempre un elemento di K. La prima operazione + âˆś K Ă— đ??ž → đ??ž detta somma viene esplicitata come segue +

(đ?‘˜1 , đ?‘˜2 ) → đ?‘˜1 + đ?‘˜2 ∈ đ??ž ∀ đ?‘˜1 , đ?‘˜2 ∈ đ??ž mentre la seconda operazione, detta prodotto, viene esplicitata come segue ∗

(đ?‘˜1 , đ?‘˜2 ) → đ?‘˜1 ∗ đ?‘˜2 ∈ đ??ž ∀ đ?‘˜1 , đ?‘˜2 ∈ đ??ž . Senza che cio’ generi equivoci si pone đ?‘˜1 ∗ đ?‘˜2 = đ?‘˜1 đ?‘˜2 . La terna (K, +, ∗) e’ una struttura algebrica. Affinche’ tale struttura sia un campo devono valere le seguenti proprieta’ formali della somma e del prodotto, piu’ sotto declinate, valide per ogni a, b, c elementi di K. đ?‘Ž + đ?‘? = đ?‘? + đ?‘Ž â†? proprieta’ commutativa della somma (đ?‘Ž + đ?‘?) + đ?‘? = đ?‘Ž + (đ?‘? + đ?‘?) = đ?‘Ž + đ?‘? + đ?‘? â†? proprieta’ associativa della somma 0+đ?‘Ž = đ?‘Ž + 0 = đ?‘Ž ∀đ?‘Ž ∈ đ??ž â†? esistenza ed unicita’ dell-elemento neutro additivo

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đ?‘Ž + (−đ?‘Ž) = 0 ∀đ?‘Ž ∈ đ??ž â†? esistenza ed unicita’ dell’elemento opposto Gia’ avuto riguardo a questa ultima proprieta’ si puo’ evincere che l’insieme N dei numeri naturali non e’ un campo. Possono essere ora declinate le proprieta’ formali del prodotto. Esse sono le seguenti đ?‘Žđ?‘? = đ?‘?đ?‘Ž â†? proprieta’ commutativa (đ?‘Žđ?‘?)đ?‘? = đ?‘Ž(đ?‘?đ?‘?) = đ?‘Žđ?‘?đ?‘? â†? proprieta’ associativa đ?‘Ž(đ?‘? + đ?‘?) = đ?‘Žđ?‘? + đ?‘Žđ?‘? â†? proprieta’ distributiva del prodotto rispetto alla somma đ?‘Ž1 = 1đ?‘Ž = đ?‘Ž ∀đ?‘Ž â†? esistenza dell’elemento neutro moltiplicativo (unico) Le proptieta’ commutative sono sovente dette abeliane, in onore del matematico N. Abel. E’ sempre utile ricordare la legge di annullamento del prodotto per la quale đ?‘Žđ?‘? = 0 quando a o b o entrambi sono eguali a 0. Le strutture (đ?‘…, +,∗) e (đ??ś, +,∗) sono campi. â&#x;Ąâ&#x;Ąâ&#x;Ą Relativamente all’insieme C dei numeri complessi, gia’ introdotti, e’ utile ricordare che ✓ l’elemento neutro rispetto alla somma e’ la coppia (0, 0) cioe’ il numero complesso 0 + đ?‘–0 ✓ l’elemento neutro rispetto al prodotto e’ la coppia (1, 0) cioe’ il numero complesso 1 + đ?‘–0 ✓ l’opposto del numero complesso (a, b) ≥ đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘? e’ il numero complesso −(đ?‘Ž, đ?‘?) = (−đ?‘Ž, −đ?‘?) ≥ −đ?‘Ž − đ?‘–đ?‘? = −(đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘?) . ✓ risulta (a, b) = (đ?‘Ž, 0) + (0, đ?‘?) = (đ?‘Ž, 0) + (0, 1)(đ?‘?, 0) .

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Esercizi e osservazioni sugli spazi vettoriali e sui sottospazi. Sia V un insieme i cui elementi sono coppie ordinate come (a, b) risultando definite le operazioni di somma e di prodotto come segue k(a , b) = (đ?‘˜đ?‘Ž, đ?‘˜đ?‘?) (đ?‘Ž, đ?‘?) + (đ?‘?, đ?‘‘) = (đ?‘Ž + đ?‘‘, đ?‘? + đ?‘?) non puo’ essere uno spazio vettoriale. Si evidenzia agevolmente che la somma non e’ commutativa. Infatti, si ha (đ?‘Ž, đ?‘?) + (đ?‘?, đ?‘‘) = (đ?‘Ž + đ?‘‘, đ?‘? + đ?‘?) { (đ?‘?, đ?‘‘) + (đ?‘Ž, đ?‘?) = (đ?‘? + đ?‘?, đ?‘‘ + đ?‘Ž) đ??żđ?‘’ due coppie ordinate a secondo membro hanno i termini invertiti. Pertanto si hanno coppie diverse, dal che discende la non commutativita’. Una ulteriore questione sorge in relazione alla assenza dell’elemento neutro rispetto alla addizione che dovrebbe essere la coppia (0, 0). Per come elaborata l’operazione di addizione risulta (0,0) + (đ?‘?, đ?‘‘) = (0 + đ?‘‘, 0 + đ?‘?) =( d, c). Ma le coppie ordinate (c,d) e (d, c) sono coppie distinte in generale atteso che c ≠đ?‘‘ .

Sia dato un insieme V i cui elementi sono coppie ordinate del tipo (a, b) essendo definite due operazioni come segue (đ?‘Ž, đ?‘?) + (đ?‘?, đ?‘‘) = (đ?‘Žđ?‘?, đ?‘?đ?‘‘) đ?‘˜(đ?‘Ž, đ?‘?) = (đ?‘˜đ?‘Ž, đ?‘˜đ?‘?) Data (a, b) = (0,0) si ha (0, 0) = (0đ?‘?, 0đ?‘‘) = (0,0) . Da cio’ si ricava in esito assurdo in quanto (0, 0) + (đ?‘?, đ?‘‘) = (0đ?‘?, 0đ?‘‘) da cui (đ?‘?, đ?‘‘) = (0, 0) ∀(đ?‘?, đ?‘‘) che e’ una evidente assurdita’. Quindi (V, +, ∗) non e’, per come e’ definita la somma uno spazio vettoriale.

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Ulteriormente si puo’ anche rilvare che (đ?‘Ž, đ?‘?) + (−đ?‘Ž, −đ?‘?) = (−đ?‘Ž2 , −đ?‘? 2 )

=

−(đ?‘Ž2 , đ?‘? 2 ) palesemente diversa da zero ∀(đ?‘Ž, đ?‘?) ≠(0, 0 ) .

Sia dato đ?‘… 3 i cui elementi sono (a, b,c) . Siano quindi dati i vettori (3b, b, c) . Occorre stabilire se W ={đ?‘¤ = (3đ?‘?, đ?‘?, đ?‘?)} e’ un sottospazio vettoriale di đ?‘‰ 3 isomorfo di đ?‘… 3 . Occorre preliminarmente osservare che (0, 0, 0) e’ un elemento di W. Cio’ e’ immediato in quanto (0, 0, 0) e’ un elemento di đ?‘‰ 3 isomorfo di đ?‘… 3 ed e’ ottenibile anche per (3đ?‘?, đ?‘?, đ?‘?) ponendo b= đ?‘? = 0. Pertanto si puo’ affermare che (0, 0, 0)= đ?&#x;Žđ?‘ž .

Dato đ?‘¤ = (3đ?‘?, đ?‘?, đ?‘?) anche il vettore đ?‘˜(3đ?‘?, đ?‘?, đ?‘?) e’ elemento di W ∀đ?‘˜ ∈ đ?‘…. Al variare di b anche il vettore varia ma fittiziamente si puo’ immaginare una corrispondenza che associa (b, c) un elemento 3b quale prima componente del vettore di W e cio’ vale per ogni b al variare di c. In altri termini i vettori di W hanno tutti la forma del tipo di quello assegnato e quindi la somma e’ (3đ?‘? ′ , đ?‘? ′ , đ?‘?′) + (3đ?‘?, đ?‘?, đ?‘?) = (3(đ?‘? ′ + đ?‘?), (đ?‘? ′ + đ?‘?), (đ?‘? + đ?‘?))

Cio’ e’ sufficiente ad ammettere che W e’ uno spazio vettoriale, sottospazio di � 3 .

Esempio di combinazione lineare di vettori. Dati đ?‘˘ = (0, 1, 2), đ?‘Ł = (2, 1, 0). Le combinazioni lineari di tali vettori possono essere scritte come 0 2 đ?œ†1 (1) + đ?œ†2 (1) 2 0 Tale combinazione lineare di vettori puo’ essere eguagliata a zero scrivendo 0 2 đ?œ†1 (1) + đ?œ†2 (1) = 0 che possono essere rese scalaramente come segue 2 0

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0đ?œ†1 + 2đ?œ†2 = 0 da cui 2đ?œ†2 = 0 cioe’ đ?œ†2 = 0 . đ?œ†1 + đ?œ†2 = 0 quindi đ?œ†1 = 0 . đ?‘ đ?‘œđ?‘› e’ necessario studiare la terza relazione . I due vettori sono linearmente indipendenti.

Vettore combinazione lineare di vettori assegnati (considerando vettori introdotti estemporaneamente ‌‌ !) đ?‘˘ = (1, 2, 3) Scrivere il vettore đ?œ” = (4,6, 1) đ?‘?đ?‘œđ?‘šđ?‘’ combinazione lineare dei vettori { đ?‘Ł = (2, 3, 1) 1 2 4 Si puo scrivere đ?œ†1 (2) + đ?œ†2 (3) = (6) che viene distinta nelle tre relazioni scalari 3 1 1 1đ?œ†1 + 2đ?œ†2 = 4 seguenti { 2đ?œ†1 + 3đ?œ†2 = 6 3đ?œ†1 + đ?œ†2 = 1

. Possono essere considerate due relazioni quali

1đ?œ† + 2đ?œ†2 = 4 1đ?œ† + 2đ?œ†2 = 4 Moltiplicando per 2 la seconda equazione si ha { 1 { 1 3đ?œ†1 + đ?œ†2 = 1 6đ?œ†1 + 2đ?œ†2 = 2 2

Sottraendo membro a membro si ha −5đ?œ†1 = 2 da cui đ?œ†1 = − 5 . Dalla prima equazione 2

2

si ottiene 2đ?œ†2 = 4 − đ?œ†1 = 4 − (− 5 ) = 4 + 5 =

22 5

22

quindi đ?œ†2 = 10 .

Esempio di indipendenza lineare di funzioni polinomiali. Occorre in definitiva stabilire se le tre seguenti funzioni polinomiali nella indeterminata t sono linearmente indipendenti oppure sono linearmente dipendenti. Tali funzioni sono le seguenti đ?‘˘(đ?‘Ą) = đ?‘Ą 3 − 4đ?‘Ą 2 + 3 đ?‘Ł(đ?‘Ą) = đ?‘Ą 3 + 2đ?‘Ą 2 + 4đ?‘Ą − 1 đ?‘¤(đ?‘Ą) = 2đ?‘Ą 3 − đ?‘Ą 2 − 3đ?‘Ą + 5 Occorre considerare una combinazione lineare eguagliata a zero potendo quindi scrivere che - 72 -


đ?œ†1 (đ?‘Ą 3 − 4đ?‘Ą 2 + 3) + đ?œ†2 (đ?‘Ą 3 + 2đ?‘Ą 2 + 4đ?‘Ą − 1) + đ?œ†3 (2đ?‘Ą 3 − đ?‘Ą 2 − 3đ?‘Ą + 5 )= 0 Tale relazione puo’ essere scritta come đ?‘Ą 3 ( đ?œ†1 + đ?œ†2 − 3đ?œ†3 ) + đ?‘Ą 2 (−4đ?œ†1 + 2đ?œ†2 − đ?œ†3 ) + đ?‘Ą(4đ?œ†2 − 3đ?œ†3 ) + (3đ?œ†1 − đ?œ†2 + 5đ?œ†3 )= 0 . Affinche’ il primo membro sia identicamente nullo deve essere đ?œ†1 + đ?œ†2 − 3đ?œ†3 = 0 −4đ?œ†1 + 2đ?œ†2 − đ?œ†3 = 0 ricondotto allo studio del seguente sistema di due equazioni { 4đ?œ†2 − 3đ?œ†3 = 0 3đ?œ†1 − đ?œ†2 + 5đ?œ†3 = 0 in tre incognite {

đ?œ†1 + đ?œ†2 = 3đ?œ†3 ma da tali equazioni si ricava đ?œ†1 + đ?œ†2 = 3(−4đ?œ†1 + −4đ?œ†1 + 2đ?œ†2 = đ?œ†3

2đ?œ†2 ) = đ?œ†1 + đ?œ†2 = −12 đ?œ†1 + 3đ?œ†2 Tale relazione e’ vera per đ?œ†1 = đ?œ†2 = 0 . Ma dalla relazione −4đ?œ†1 + 2đ?œ†2 = đ?œ†3 , dovendo essere đ?œ†1 = đ?œ†2 = 0 deve essere anche đ?œ†3 = 0 . Pertanto i tre polinomi sono linearmente indipendenti.

I vettori đ?’– = (đ?‘Ž, đ?‘?), đ?’— = (đ?‘? , đ?‘‘) sono linearmente dipendenti se e solo se đ?‘Žđ?‘‘ − đ?‘?đ?‘? = 0. Si tratta di una condizione necessaria e sufficiente. Occorre quindi dimostrare che se i due vettori sono linearmente dipendenti allora si ha đ?‘Žđ?‘‘ − đ?‘?đ?‘? = 0 e viceversa se đ?‘Žđ?‘‘ − đ?‘?đ?‘? = 0 allora i due vettori sono linearmente indipendenti. đ?‘Ž đ?‘? Si consideri đ?œ†1 ( ) + đ?œ†2 ( ) = 0 . Si ammetta che i vettori siano linearmente đ?‘? đ?‘‘ dipendenti . đ?‘Ž đ?‘? đ?œ† Dividendo per đ?œ†1 ≠0 si ha ( ) + đ?œ†2 ( ) = 0 con đ?‘? 1 đ?‘‘

đ?œ†2 đ?œ†1

= đ?œŽ ≠0 . Pertanto si puo’

đ?‘Ž = −đ?œŽđ?‘? đ?‘Ž + đ?œŽđ?‘? = 0 scrivere che { da cui si ricava { . đ?‘? = −đ?œŽđ?‘‘ đ?‘? + đ?œŽđ?‘‘ = 0 đ?‘Ž đ?‘?

Dividendo membro a membro si ha =

đ?‘? đ?‘‘

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da cui ad = đ?‘?đ?‘? da cui ad −bc = 0 .


L’implicazione inversa e’ dimostrabile con la seguente osservazione . Da ad −bc = 0 si puo’ anche scrivere ad = đ?‘?đ?‘? Ma da questa fondamentale relazione si puo’ scrivere che đ?‘?

đ?‘Ž=

đ?‘?đ?‘? đ?‘‘

=

đ?‘? đ?‘? đ?‘‘

eb=

đ?‘?đ?‘‘ đ?‘Ž

=

đ?‘? đ?‘‘ đ?‘Ž

( )đ?‘? đ?‘Ž đ?‘? đ?‘Ž . Poiche’ si ha ( ) = ( đ?‘‘đ?‘Ž ) . Ma e’ evidente che = đ?‘‘ đ?‘? đ?‘? ( )đ?‘‘ đ?‘?

come si puo’ facilmente evincere !

Diagonalizzazione Un endomorfismo đ?‘“ e’ detto simmetrico se comunque si prendano due elementi đ?’– đ?‘’ đ?’— di E risulta che đ?’–đ?‘“(đ?’—) = đ?’—đ?‘“(đ?’—) atteso pure che đ?‘“(đ?’—) đ?‘’ đ?‘“(đ?’–) sono elementi di E. E’ infatti utile ricordare che un endomorfismo e’ una applicazione đ?‘“: đ?‘‰ → đ?‘‰ . La forma matriciale đ??´ = đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ąđ?‘&#x;đ?‘–đ?‘?đ?‘’ đ?‘Žđ?‘ đ?‘ đ?‘œđ?‘?đ?‘–đ?‘Žđ?‘Ąđ?‘Ž đ?‘Žđ?‘™đ?‘™â€˛đ?‘’đ?‘›đ?‘‘đ?‘œđ?‘šđ?‘œđ?‘&#x;đ?‘“đ?‘–đ?‘ đ?‘šđ?‘œ corrispondente e’ Y = đ??´đ?‘‹ risultando {đ?‘‹ = đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ąđ?‘&#x;đ?‘–đ?‘?đ?‘’ đ?‘?đ?‘œđ?‘™đ?‘œđ?‘›đ?‘›đ?‘Ž đ?‘‘đ?‘’đ?‘™đ?‘™đ?‘’ đ?‘?đ?‘œđ?‘œđ?‘&#x;đ?‘‘đ?‘–đ?‘›đ?‘Žđ?‘Ąđ?‘’ đ?‘‘đ?‘– đ?’– đ?‘Œ = đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ąđ?‘&#x;đ?‘–đ?‘?đ?‘’ đ?‘?đ?‘œđ?‘™đ?‘œđ?‘›đ?‘›đ?‘Ž đ?‘‘đ?‘– đ?‘“(đ?’–) đ?’–đ?‘“(đ?’—) = đ?‘“(đ?’–)đ?’— ⇔ đ??´ = đ??´đ?‘‡ essendo A la matrice associata. Quando si deve gestire la presenza di due vettori che subiscono l’applicazione đ?‘“ e’ necessario munire X ed Y di indici e quindi la matrice colonna di đ?‘˘ sara’ X e la matrice colonna di đ?‘Ł sara’ X’. Pertanto si puo’ scrivere đ?’–đ?‘“(đ?’—) = đ?‘‹ đ?‘‡ đ??´đ?‘‹â€˛ ed anche đ?’—đ?‘“(đ?’—) = (đ??´đ?‘‹)đ?‘‡ X’ = đ?‘‹ đ?‘‡ đ??´đ?‘‡ đ?‘‹â€˛ da cui si deve avere đ??´ = đ??´đ?‘‡ Quindi se đ??´ = đ??´đ?‘‡ tale matrice A puo’ essere associata ad un endomorfismo simmetrico. Un endomorfismo đ?‘“ e’ diagonizzabile se esiste una base di V tale che la matrice associata đ?‘Žđ?‘–đ?‘— = đ?œ†đ?‘– đ?‘žđ?‘˘đ?‘Žđ?‘›đ?‘‘đ?‘œ đ?‘– = đ?‘— all’endomorfismo sia del tipo A = { . đ?‘Žđ?‘–đ?‘— = 0 đ?‘žđ?‘˘đ?‘Žđ?‘›đ?‘‘đ?‘œ đ?‘– ≠đ?‘— I coefficienti đ?œ†đ?‘– sono numeri reali. - 74 -


Si ammetta che tale matrice sia associata al dato endomorfismo quando sia nota la base {đ?’–đ?&#x;? , đ?’–đ?&#x;? , ‌ . , đ?’–đ?’? } . Da Y = đ??´đ?‘‹ si ottengono gli autovettori rispetto agli autovalori, semplicemente ponendo đ?‘“(đ?’–1 ) = đ?œ†1 đ?’–đ?&#x;? đ?‘“(đ?’–đ?&#x;? ) = đ?œ†2 đ?’–đ?&#x;? { ‌‌. đ?‘“(đ?’–đ?’? ) = đ?œ†đ?‘› đ?’–đ?’? Viene quindi definito il polinomio caratteristico det(A −đ?œ†đ??ź) = 0 . Il polinomio caratteristico non dipende dalla base prescelta. Si dimostra agevolmente che se A e A’ sono due matrici simili, cioe’ se A’= đ??ś − AC, risulta det(A −đ?œ†đ??ź) = det(A′ − đ?œ†đ??ź) . Occorre ora introdurre due definizioni. La molteplicita’ algebrica e’ la moltepolicita’ di un dato autovalore quale radice del polinomio caratteristico. Essa viene indicata con ma(Îť) . La molteplicita’ geometrica e’ la dimensione dell’autospazio relativo ad un dato autovalore. Essa viene indicata con mg(Îť) . Ulteriori considerazioni saranno date nella parte riservata agli esercizi sulla diagonalizzazione.

I vettori dello spazio đ?‘šđ?&#x;‘ I vettori dello spazio tridimensionale possono essere rappresentati formalmente e operativamente quando sia stato fissato un punto arbitrario dello spazio euclideo, detto origine e indicato usualmente con la lettera O e quando siano considerati tre assi a due a due ortogonali . Convenzionalmente, gli assi sono indicati con le lettere đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§ . Il terzo asse e’ detto asse delle quote. Il sistema di riferimento che si considera e’ orientato in modo che un osservatore che si trova in O e “in piediâ€? secondo la direzione delle z descrive la rotazione dell’asse x orientato a sovrapporsi all’asse delle y in senso antiorario. Tale sistema e’ detto levogiro o destro.

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Le frecce indicano le direzioni positive dei tre assi, cioe’ il senso delle coordinate crescenti.

O

Occorre osservare che ogni vettore đ?’— e’ rappresentabile in unico modo come la somma di tre vettori a due a due ortogonali quando sia stata fissata una base. E’ particolarmente utile utilizzare quale base quella ortonormale, costituita dai vettori unitari đ?’Š, đ?’‹, đ?’Œ aventi le direzioni degli assi x, y, e z, modulo unitario risultando quindi ‖đ?’Šâ€– = ‖đ?’‹â€– = ‖đ?’Œâ€– = 1 . Il verso di detti versori e’ quello indicato dalle frecce riferite agli assi. La base i, j, k e’ solitamente detta base ortonormale. Assegnato O cui corrisponde la terna ordinata di numeri reali (0,0,0) per quanto detto e’ possibile đ?’Š = (1,0,0) introdurre la seguente corrispondenza { đ?’‹ = (0,1,0) . đ?’Œ = (0,0,1) Cio’ premesso, e’ possibile formalizzare qualunque vettore dello spazio in unico modo scrivendo che đ?’— = đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ . Da un punto di vista formale viene definita l’eguaglianza tra due vettori đ?’– đ?‘’ đ?’— affermando che per definizione si ha đ?’– = đ?’— se đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ = đ?‘˘đ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘˘đ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘˘đ?‘§ đ?’Œ . In altri termini i vettori considerati sono eguali se sono lo stesso vettore e pertanto rispetto ad una preassegnata base đ?‘˘đ?‘Ľ = đ?‘Łđ?‘Ľ đ?‘˘ risulta đ?’– = đ?’— se { đ?‘Ś = đ?‘Łđ?‘Ś . đ?‘˘đ?‘§ = đ?‘Łđ?‘§ - 76 -


Sono ordinariamente definite la somma vettoriale e il prodotto di un vettore per un numero reale, avendo, rispettivamente đ?’— + đ?’– = ( đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ )+ ( đ?‘˘đ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘˘đ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘˘đ?‘§ đ?’Œ ) = (đ?‘Łđ?‘Ľ + đ?‘˘đ?‘Ľ )đ?’Š + (đ?‘Łđ?‘Ś + đ?‘˘đ?‘Ś )đ?’‹ + (đ?‘Łđ?‘§ + đ?‘˘đ?‘§ )đ?’‹ e rđ?’— = đ?’“ ( đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ ) = đ?‘&#x;đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘&#x;đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘&#x;đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ ove r e’ un qualunque numero reale. Per r = −1 si ha il vettore opposto di đ?’—, indicato con −đ?’— = −( đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ ) . La somma vettoriale e’ commutativa, risulta cioe’ đ?’– + đ?’— = đ?’— + đ?’– e associativa risultando đ?’– + (đ?’— + đ?’˜) = (đ?’– + đ?’—) + đ?’˜ . Sono immediatamente verificabili le seguenti proprieta’ della moltiplicazione di un vettore per uno scalare m(nđ?’—) = (đ?‘šđ?‘›)đ?’— (proprieta’ associativa della moltiplicazione di un vettore per scalari, risultando m ed n due numeri reali. (đ?‘š + đ?‘›)đ?’— = đ?‘šđ?’— + đ?‘›đ?’— (proprieta’ distributiva rispetto alla somma scalare) đ?‘š(đ?’— + đ?’–) = đ?‘šđ?’— + đ?‘šđ?’– (proprieta’ distributiva rispetto alla somma vettoriale) Nel caso particolare della moltiplicazione di un vettore đ?’— per lo scalare reale 0 si ha 0 đ?’— = 0( đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ )= 0đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + 0đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + 0đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ = đ?&#x;Ž . Si tratta del vettore nullo di đ?‘… 3 cioe’ đ?&#x;Ž = (0,0,0) . E’ immediato poter definire anche la differenza vettoriale di due dai vettori đ?’– đ?’† đ?’— indicata con đ?’– − đ?’— e definita come đ?’– − đ?’— = ( đ?‘˘đ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘˘đ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘˘đ?‘§ đ?’Œ ) −( đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ )=(đ?‘˘đ?‘Ľ − đ?‘Łđ?‘Ľ )đ?’Š + (đ?‘˘đ?‘Ś − đ?‘Łđ?‘Ś )đ?’‹ + (đ?‘˘đ?‘§ − đ?‘Łđ?‘§ )đ?’Œ . Ovviamente anche in questo contesto e’ possibile normalizzare un vettore dato, ottenendo il đ?’—

Ě‚ = ‖đ?’—‖ . versore avente la stessa direzione e lo stesso verso. Si ha đ?’— I vettori che giacciono sui tre assi possono essere formalizzati come segue đ?‘˝đ?’™ = đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + 0đ?’‹ + 0đ?’Œ = đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š ,đ?‘˝đ?’š = 0đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’‹ + 0đ?’Œ = đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ , đ?‘˝đ?’› = 0đ?’Š + 0đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ = đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ

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Al variare di đ?‘Łđ?‘Ľ , đ?‘Łđ?‘Ś , đ?‘Łđ?‘§ si ottengono tutti i vettori dello spazio tridimensionale che possono essere intesi come somma vettoriale di tali vettori, đ?‘˝đ?’™ , đ?‘˝đ?’š , đ?‘’ đ?‘˝đ?‘§ giacenti sulle tre direzioni degli assi cartesiani. In altri termini ogni đ?’— risulta essere del tipo đ?’— = đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ per ogni terna ordinata (đ?‘Łđ?‘Ľ , đ?‘Łđ?‘Ś , đ?‘Łđ?‘§ ) .

La norma del vettore đ?’— = đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ e’ ‖đ?’—‖ = √đ?‘Łđ?‘Ľ2 + đ?‘Łđ?‘Ś2 + đ?‘Łđ?‘§2 . Nel campo della fisica, specie nelle applicazioni concrete, riveste una grande importanza l’insieme dei vettori del tipo OP . Tali vettori sono detti vettori applicati in O. Tale insieme viene solitamente indicato con đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž . Il punto O detto punto iniziale e’ anche detto punto di applicazione. Il punto P e’ detto punto finale. Se (x,y,z) sono le coordinate di P allora la norma del vettore OP, indicata con ‖đ?‘śđ?‘ˇâ€–, e’ ‖đ?‘śđ?‘ˇâ€– = √đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 + đ?‘§ 2 (norma euclidea). Per P ≥ (0,0,0) si ottiene il vettore nullo OO tale che ‖đ?‘śđ?‘śâ€– = 0 . Dato il vettore OA i vettori đ?œ‡đ?‘śđ?‘¨, al variare di đ?œ‡ nei reali , giacciono tutti sulla medesima retta, hanno quindi la medesima direzione. Due vettori đ?‘śđ?‘¨ đ?’† đ?‘śđ?‘Š ∈ đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž | ∄đ?œ‡ ∈ đ?‘… | đ?‘śđ?‘¨ = đ?œ‡đ?‘śđ?‘Š generano un piano i cui vettori sono tutti e soli i vettori del tipo đ?›źđ?‘śđ?‘¨ + đ?›˝đ?‘śđ?‘Š ∀(đ?›ź, đ?›˝) di numeri reali. Si scrive Span(đ?‘śđ?‘¨, đ?‘śđ?‘Š) = {đ?›źđ?‘śđ?‘¨ + đ?›˝đ?‘śđ?‘Š, ∀ đ?›ź, đ?›˝ ∈ đ?‘…} . Non e’ infrequente nella manualistica (Abate, de Fabritiis) rinvenire la definizione di riferimento affine del piano. Analoga definizione puo’ essere data per un riferimento affine dello spazio tridimensionale. L’insieme formato dal punto O e da tre vettori non propozionali, cioe’ non giacenti sulla medesima retta, viene detto riferimento affine dello spazio e indicato con R.A. (O, i, j, k) .

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E’ sicuramente utile ricordare che i vettori applicati in O sono di interesse per la fisica in quanto consentono di definire due importanti concetti basici della cinematica, quello di vettore posizione e di traiettoria. In definitiva, il vettore đ?‘śđ?‘ˇ consente di definire la posizione di un oggetto (puntiforme) rispetto ad un osservatore posto in O. Tale vettore e’ detto vettore di posizione. Per gli aspetti cinematici diviene rilevante lo studio di tale vettore nel tempo, a definire la nozione di traiettoria espressa dal vettore đ?‘śđ?‘ˇ(đ?‘Ą) . Su questi aspetti si ritornera’ nel proseguo quando verranno studiate le funzioni vettoriali. I vettori dello spazio tridimensionale possono essere considerati come vettori liberi, evitando, quindi, di prendere in considerazione il punto di applicazione. Lo spazio vettoriale dei vettori liberi dello spazio euclideo tridimensionale viene indicato con đ?‘˝đ?&#x;‘ . Si e’ soliti affermare che due vettori sono eguali se hanno la medesima direzione, medesimo verso e eguale modulo. Con una modalita’ sintetica (Abate, de Fabritiis) si afferma che i vettori đ?‘śđ?‘¨ đ?‘’ đ?‘śâ€˛đ?‘¨â€˛ dello spazio đ?‘˝đ?&#x;‘ sono equivalenti, scrivendo đ?‘śđ?‘¨~đ?‘śâ€˛ đ?‘¨â€˛ , se risulta đ?‘śđ?‘¨â€˛ = đ?‘śđ?‘śâ€˛ + đ?‘śđ?‘¨. La seguente figura, riferita allo spazio euclideo, ben rappresenta la relazione di quipollena tra vettori.

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In definitiva l’equivalenza ha il significato geometrico del parallelismo riferito alla regola dela parallelogramma. Puo’, a questo punto, essere definito il prodotto scalare tra due vettori come quella funzione đ?‘“: đ?‘‰ Ă— đ?‘‰ → đ?‘… tale che (đ?’–, đ?’—) → đ?’–đ?’— = đ?‘˘đ?‘Ľ đ?‘Łđ?‘Ľ + đ?‘˘đ?‘Ś đ?‘Łđ?‘Ś + đ?‘˘đ?‘§ đ?‘Łđ?‘§ . E’ data una seconda formula per il prodotto scalare đ?’–đ?’— = ‖đ?’–‖‖đ?’—‖đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?œ— con đ?œ— ∈ ⌋0, đ?œ‹âŚŒ . Risulta đ?’–đ?’— = 0 quando i due vettori non nulli sono ortogonali. In particolare il prodotto scalare di due elementi della base ortonormale (i, j, k) e’ nullo quando si moltiplicano scalarmente componenti distinte (per esempio đ?’Šđ?’‹ = 0) . Valgono le due seguenti proprieta’ đ?‘š(đ?’–đ?’—) = (đ?‘šđ?’–)đ?‘Ł = đ?’–(đ?‘šđ?’—) = (đ?’–đ?’—)đ?‘š ∀đ?‘š ∈ đ?‘… đ?’–(đ?’— + đ?’˜) = đ?’–đ?’— + đ?’–đ?’˜ Puo’ essere utile, specie nelle applicazioni cinematiche, introdurre la nozione di coseni direttori di un vettore dello spazio tridimensionale. I coseni direttori del vettore đ?’— = đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ possono essere ottenuti calcolando il prodotto scalare di detto vettore con i versori della base ortonormale. Infatti da đ?’Šđ?’— = (đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ) (1đ?’Š + 0đ?’‹ + 0đ?’Œ) = (đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š) (1đ?’Š) = đ?‘Łđ?‘Ľ in quanto đ?’Šđ?’Š = 1 . Analogamente si ha đ?’‹đ?’— = (đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ) (0đ?’Š + 1đ?’‹ + 0đ?’Œ) = (đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹) (1đ?‘—) = đ?‘Łđ?‘Ś in quanto jj= 1 e đ?’Œđ?’— = (đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ) (0đ?’Š + 0đ?’‹ + 1đ?’Œ) = (đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ) (1đ?’Œ) = đ?‘Łđ?‘§ in quanto đ?’Œđ?’Œ = 1 .

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đ?’Šđ?’— = ‖đ?’Šâ€–‖đ?’—‖đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›ź Ma dalla seconda formula del prodotto scalare si ottiene { đ?’‹đ?’— = ‖đ?’Šâ€–‖đ?’—‖đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›˝ đ?’Œđ?’— = ‖đ?’Šâ€–‖đ?’—‖đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›ž Pertanto si puo’ scrivere đ?’Šđ?’— = ‖đ?’Šâ€–‖đ?’—‖đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›ź = đ?‘Łđ?‘Ľ . Conseguentemente ‖đ?’Šâ€–‖đ?’—‖đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›ź = đ?‘Łđ?‘Ľ e đ?‘Ł

đ?‘Ł

đ?‘Ľ đ?‘Ľ quindi đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›ź = ‖đ?‘–‖‖đ?‘Łâ€– = ‖đ?‘Łâ€–

. In modo analogo si trovano gli altri due coseni direttori. đ?‘Ł

đ?‘Ľ đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›ź = ‖đ?’—‖

Ricapitolando si puo’ scrivere

đ?‘Ł

đ?‘Ś đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›˝ = ‖đ?’—‖ che, appunto, sono i coseni direttori del vettore đ?’—

đ?‘Ł

{

đ?‘§ đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›ž = ‖đ?’—‖

assegnato.

A questo punto e’ possibile introdurre il prodotto vettoriale di due vettori, inteso come una funzione che ad una coppia di vettori dello spazio tridimensionale fa corrispondere un vettore ortogonale al piano dei primi due, cioe’ đ?‘“: đ?‘‰ Ă— đ?‘‰ → đ?‘‰ . Se sono dati i vettori đ?’— = đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ e đ?’– = đ?‘˘đ?‘Ľ đ?’Š + đ?‘˘đ?‘Ś đ?’‹ + đ?‘˘đ?‘§ đ?’Œ il prodotto vettoriale đ?’— Ă— đ?’– (a volte denotato con đ?’—â‹€đ?’–) e’ il vettore ortogonale al piano dei vettori đ?’— e đ?’– di modulo eguale a | đ?’— Ă— đ?’–| = ‖đ?’—‖‖đ?’–‖đ?‘ đ?‘–đ?‘›(đ?œ—) . Il verso del vettore đ?’— Ă— đ?’– e’ tale che i vettori đ?’— , đ?’– e đ?’— Ă— đ?’– formino una terna destra. E quindi un osservatore veda la rotazione del vettore đ?’— fino a sovrapporsi al vettore đ?’– come antioraria di una angolo đ?œƒ, come ben evidenzia la figura . Se i due vettori

� e � sono dati e’ immediato ricavare il coseno dell’angolo tra di essi e quindi

l’angolo e, conseguentemente, ottenere il seno. La sottostante figura ben rappresenta la situazione.

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Ě‚ , đ?’‚, đ?’ƒ costituiscono una terna destra, o levogira, a seconda della terminologia che si I vettori đ?’? intende utilizzare. In questo caso si e’ introdotto il prodotto vettoriale con due vettori del piano applicati in un dato punto O. Se due vettori sono paralleli risulta sin(0)= sin(đ?œ‹) = 0 quindi |đ?’— Ă— đ?’–| = ‖đ?’—‖‖đ?’–‖đ?‘ đ?‘–đ?‘›(đ?œ—) = 0 Ě‚ = 0đ?’? Ě‚ =đ?&#x;Ž. da cui đ?’— Ă— đ?’– = |đ?’— Ă— đ?’–|đ?’? E’ utile ricordare che |đ?’— Ă— đ?’–| misura l’area del parallelogramma di lati ‖đ?’—‖ e ‖đ?’–‖ . Il prodotto vettoriale puo’ essere definito utilizzando il determinante simbolico di Laplace. đ?’Š đ?’‹ đ?‘Ł đ?‘Ł Si ha đ?’— Ă— đ?’– = [ đ?‘Ľ đ?‘Ś đ?‘˘đ?‘Ľ đ?‘˘đ?‘Ś

đ?’Œ đ?‘Ł đ?‘Łđ?‘§ ] = |đ?‘˘đ?‘Ś đ?‘Ś đ?‘˘đ?‘§

đ?‘Łđ?‘§ đ?‘Łđ?‘Ľ đ?‘Łđ?‘§ | đ?’Š − |đ?‘˘đ?‘Ľ

�� �� � + | | �� ��

đ?‘Łđ?‘Ś đ?‘˘đ?‘Ś | đ?’Œ .

Il prodotto vettoriale di due vettori gode delle seguenti ulteriori proprieta’ formali đ?’— Ă— đ?’– = −(đ?’– Ă— đ?’—) đ?’– Ă— (đ?’— + đ?’˜) = (đ?’– Ă— đ?’—) + (đ?’– Ă— đ?’˜) (đ?’– + đ?’—) Ă— đ?’˜ = (đ?’– Ă— đ?’˜) + (đ?’— Ă— đ?’˜) đ?‘š(đ?’– Ă— đ?’—) = đ?‘šđ?’– Ă— đ?’— = đ?’– Ă— đ?‘šđ?’— ∀đ?‘š ∈ đ?‘…

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E’ possibile, a questo punto, introdurre le fondamentali nozioni di funzione vettoriale, di campo vettoriale e di campo scalare. Dato un vettore � e’ possibile considerare tale vettore come dipendente da una altra variabile, quale il tempo t, o una coordinata o anche come dipendente da un punto dello spazio. Sia quindi � = �(�) . Ma

si puo’ anche ammettere che il vettore � sia dipendente dal punto dello spazio

tridimensionale, scrivendo che đ?’— = đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§). Una funzione come quella descritta sinteticamente e’ detta funzione vettoriale. Essa definisce un campo vettoriale. Se, per contro ad ogni punto (x,y,z) di una data porzione dello spazio e’ associato un valore scalare đ?œ‘ = đ?œ‘(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) si dice che si considera un campo scalare. Un esempio tipico di campo scalare e’ il campo delle temperature. Il concetto e’ alquanto semplice. Ad un punto (x,y,z) corrisponde una data temperatura. Con riferimento alle funzioni vettoriali si puo’ scrivere che đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?‘Łđ?‘Ľ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’Œ I limiti, la continuita’ e le derivate delle funzioni vettoriali possono essere ricondotte alle nozioni dell’analisi matematica delle funzioni scalari. Una funzione vettoriale e’ continua in đ?‘Ą0 se risulta |(đ?‘Ą) − đ?‘Ł(đ?‘Ą0 )| < đ?œ€ quando |t −đ?‘Ą0 | < đ?›ż . Analogamente al caso delle funzioni scalari viene definita la derivata di đ?’— rispetto alla t come segue đ?‘‘ đ?’— đ?‘‘đ?‘Ą

=

đ?‘‘đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š đ?‘‘đ?‘Ą

+

đ?‘‘đ?‘Łđ?‘Ś đ?‘‘đ?‘Ą

đ?’‹+

đ?‘‘đ?‘Łđ?‘§ đ?’Œ đ?‘‘đ?‘Ą đ?‘‘

Δđ?’— ∆đ?‘Ąâ†’0 Δt

In termini formali si ha đ?‘‘đ?‘Ą đ?’— = lim

Viene anche definito il differenziale della funzione vettoriale, come segue đ?œ•đ?’—

đ?œ•đ?’—

đ?œ•đ?’—

đ?‘‘đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?œ•đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?œ•đ?‘Ś đ?‘‘đ?‘Ś + đ?œ•đ?‘§ đ?‘‘đ?‘§

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quando đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?‘Łđ?‘Ľ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’Š + đ?‘Łđ?‘Ś (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’‹ + đ?‘Łđ?‘§ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’Œ A questo punto e’ sicuramente utile ricordare le proprieta’ delle derivate vettoriali. Date due funzioni vettoriali đ?’–(đ?‘Ą) đ?‘’ đ?’—(đ?‘Ą) si puo’ dimostrare che đ?‘‘ (đ?’–(đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą

đ?‘‘

đ?‘‘

+ đ?’—(đ?‘Ą) ) = đ?‘‘đ?‘Ą đ?’–(đ?‘Ą) + đ?‘‘đ?‘Ą đ?’—(đ?‘Ą)

đ?‘‘ đ?œ‘đ?’–(đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą

đ?‘‘

đ?‘‘

= đ?’–(đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą đ?œ‘ +đ?œ‘ đ?‘‘đ?‘Ą đ?’–(đ?‘Ą)

đ?‘‘ (đ?’–(đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą

đ?’—(đ?‘Ą) ) = đ?‘‘đ?‘Ą đ?’–(đ?‘Ą)đ?’—(đ?‘Ą) +đ?’–(đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą đ?’—(đ?‘Ą)

đ?‘‘

đ?‘‘

đ?‘‘ (đ?’–(đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą

Ă— đ?’—(đ?‘Ą) ) = đ?‘‘đ?‘Ą đ?’–(đ?‘Ą) Ă— đ?’—(đ?‘Ą) +đ?’–(đ?‘Ą) Ă— đ?‘‘đ?‘Ą đ?’—(đ?‘Ą)

đ?‘‘

đ?‘‘

La funzione đ?’–(đ?‘ ) puo’ essere intesa come una funzione composta qualora si ponga đ?‘ = đ?‘ (đ?‘Ą) e đ?‘‘

đ?‘‘

đ?‘‘đ?‘

quindi si scrive đ?’–(đ?‘ ) = đ?’–(đ?‘ (đ?‘Ą)) quindi risulta đ?‘‘đ?‘Ą đ?’–(đ?‘ (đ?‘Ą)) = đ?‘‘đ?‘Ą đ?’–(đ?‘ ) đ?‘‘đ?‘Ą . Questa ultima relazione e’ il teorema della derivata di una funzione composta vettoriale. Se đ?’–(đ?‘Ą) varia nel tempo ma risulta ‖đ?’–(đ?‘Ą)‖ = đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą. si ha che i vettori đ?’–(đ?‘Ą) e

đ?‘‘ đ?’–(đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą

sono

ortogonali. E’ possibile fornire una interpretazione geometrica della derivata vettoriale che se considerata rispetto al tempo conduce alla nozione di velocita’ vettoriale istantanea �(�).

La seguente figura esprime i termini della questione.

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Il vettore PP’ indica il vettore spostamento, da intendere non in termini di traiettoria effettivamente percorsa ma di riferimento ad un punto iniziale P e ad un punto finale P’. Il vettore OP e’ OP = đ?‘śđ?‘ˇ(đ?‘Ą) mentre il vettore OP e’ OP’= đ?‘śđ?‘ˇâ€˛(đ?‘Ą + ∆đ?‘Ą). Quando ∆đ?‘Ą → 0 si scrive

���′ = ��

đ?’—(đ?‘Ą) .

E’ molto utile in questi contesti ragionare in termini di ascissa curvilinea. Infatti l’equazione � = �(�) vettoriale del moto � = �(�) scomponibile nelle tre componenti scalari {� = �(�) ed anche � = �(�)

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

đ?’“=

� � �� � �(�) riconducibile a � �� � { �� �

= = =

� �(�) �� � �(�) �� � �(�) ��

.

Ma oltre allo studio nel dominio del tempo e’ possibile riferirsi alla cosiddetta rappresentazione intrinseca della traiettoria , fissando un punto sulla traiettoria effettivamente descritta dal corpo puntiforme, indicato con đ?œŽ per il quale s(đ?œŽ) = 0 . Ogni altro punto della traiettoria avra’ una ascissa coincidente con la distanza di esso dal punto đ?œŽ intesa come eguale alla lunghezza della curva tra i punti considerati. La notazione vettoriale che ne consegue e’ đ?’“ = đ?’“(đ?‘ ) = đ?’“(đ?‘ (đ?‘Ą) cui corrispondono le componenti đ?‘Ľ = đ?‘Ľ(đ?‘ ) scalari {đ?‘Ś = đ?‘Ś(đ?‘ ) che esprimono l’equazione della traiettoria in termini del parametro intrinseco đ?‘§ = đ?‘§(đ?‘ ) đ?‘Ľ = đ?‘Ľ(đ?‘ ) s. Al solito {đ?‘Ś = đ?‘Ś(đ?‘ ) e’ derivabile rispetto ad s. Le derivate temporali si ottengono applicando đ?‘§ = đ?‘§(đ?‘ ) đ?‘‘đ?‘Ľ

il teorema di una funzione composta. Ad esempio, đ?‘‘đ?‘Ą =

đ?‘‘đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘ đ?‘‘đ?‘ đ?‘‘đ?‘Ą

.

Tornando alla figura piu’ sopra il vettore PP’ assume la posizione del vettore tangente la curva quando ∆s → 0 e si scrive

đ?‘‘đ?‘ˇđ?‘ˇâ€˛ = đ?‘‘đ?‘

đ?‘ť - 85 -


Atteso che đ?’—(đ?’•) =

���′ ��

=

đ?‘‘đ?‘ˇđ?‘ˇâ€˛ đ?‘‘đ?‘ đ?‘‘đ?‘ đ?‘‘đ?‘Ą

= đ?‘Ł(đ?‘Ą)đ?‘ť . đ?‘‘

đ?‘‘

đ?‘‘

Derivando �(�) rispetto al tempo si ha �� �(�)� = �(�) �� � + � �� �(�). Per gli sviluppi si rinvia ai testi di Fisica generale 1. La seguente figura e’ illustrativa dei contenuti dalla precedente relazione vettoriale ricavata.

T

Il vettore ocra diretto verso O e’ tangente al vettore T e diretto verso il centro di curvatura della traiettoria .

Derivazione e integrazione vettoriale – Una sintesi Derivazione Se e’ data una funzione a valori vettoriali o , in altri termini ad ogni punto (x,y,z) di A⊂ đ?‘… 3 corrisponde un vettore đ?’—(đ?’•) | đ?’—(đ?’•) = đ?‘“(đ?‘Ą)đ?’Š + đ?‘”(đ?‘Ą)đ?’‹ + đ?‘ž(đ?‘Ą)đ?’Œ possono essere indicate le derivate prima e seconda della data funzione come segue đ?‘‘

đ?‘‘

đ?‘‘

đ?‘‘

đ?’—(đ?‘Ą) = đ?‘‘đ?‘Ą đ?‘“(đ?‘Ą)đ?’Š + đ?‘‘đ?‘Ą đ?‘”(đ?‘Ą)đ?’‹ + đ?‘‘đ?‘Ą đ?‘ž(đ?‘Ą)đ?’Œ đ?‘‘đ?‘Ą

- 86 -


đ?‘‘2

đ?‘‘2

đ?‘‘2

đ?‘‘2

đ?’—(đ?‘Ą) = đ?‘‘đ?‘Ą 2 đ?‘“(đ?‘Ą)đ?’Š + đ?‘‘đ?‘Ą 2 đ?‘”(đ?‘Ą)đ?’‹ + đ?‘‘đ?‘Ą 2 đ?‘ž(đ?‘Ą)đ?’Œ đ?‘‘đ?‘Ą 2 Piu’ concisamente si scrive đ?’—′(đ?‘Ą) = đ?‘“′(đ?‘Ą)đ?’Š + đ?‘”′(đ?‘Ą)đ?’‹ + đ?‘žâ€˛(đ?‘Ą)đ?’Œ đ?’—′′(đ?‘Ą) = đ?‘“′′(đ?‘Ą)đ?’Š + đ?‘”′′(đ?‘Ą)đ?’‹ + đ?‘žâ€˛â€˛(đ?‘Ą)đ?’Œ

Usando la notazione vettoriale la derivata prima della funzione a valori vettoriali viene scritta, nel senso piu’ sopra declinato, con � ��

�(�) = �′(�) = lim

đ?’—(đ?‘Ą+â„Ž)−đ?’—(đ?‘Ą)

ℎ→0

â„Ž

quando tale limite esiste finito.

Nella trattazione sono gia’ stati enunciati i teoremi che recano le regole di derivazione.

Sono evidenti le applicazioni cinematiche di tali nozioni. Solitamente si utilizza il vettore đ?‘&#x;(đ?‘Ą) che definisce la traiettoria, quando studiato nel dominio del tempo. Derivandolo una prima volta si ottiene la velocita’ vettoriale e derivandolo ulteriormente si ottiene l’accelerazione vettoriale istantanea. Per esempio se đ?’“(đ?‘Ą) = sin(đ?‘Ą) đ?’Š + cos(2đ?‘Ą) đ?’‹ + đ?‘Ą 3 đ?’Œ

si ha đ?’“′(đ?‘Ą) = cos(đ?‘Ą) đ?’Š − 2 sin(2đ?‘Ą) đ?’‹ + 3đ?‘Ą 2 đ?’Œ

che

indica la velocita’ istantanea vettoriale. Per ottenere la velocita’ istantanea scalare si deve porre | đ?’“′(đ?‘Ą)| = √(cos(đ?‘Ą))2 + (−2 sin(2đ?‘Ą))2 + (3đ?‘Ą 2 )2 , calcolabile per un dato đ?‘Ą0 . Derivando ulteriormente đ?’“′(đ?‘Ą) rispetto al tempo si ottiene la accelerazione vettoriale istantanea e calcolando il modulo si ricava la formula dell’accelerazione scalare istantanea.

Integrazione Data la funzione đ?’—(đ?‘Ą) essa e’ integrabile definitamente scrivendo đ?‘?

đ?‘?

đ?‘?

đ?‘?

âˆŤđ?‘Ž đ?’—(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą = (âˆŤđ?‘Ž đ?‘“(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą) đ?’Š + (âˆŤđ?‘Ž đ?‘”(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą) đ?’‹ + (âˆŤđ?‘Ž đ?‘&#x;(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą)k . Indefinitamente sarebbe âˆŤ đ?’—(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą = đ?’Š âˆŤ đ?‘“(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą + đ?’‹ âˆŤ đ?‘”(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą + đ?’Œ âˆŤ đ?‘&#x;(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą + đ?’„đ?’?đ?’”đ?’•

- 87 -


Si puo’ porre đ?’Š âˆŤ đ?‘“(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą + đ?’‹ âˆŤ đ?‘”(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą + đ?’Œ âˆŤ đ?‘&#x;(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą = đ?‘˝(đ?‘Ą) . La costante đ?’„đ?’?đ?’”đ?’• e’ un vettore ed esprime la condizione iniziale. đ?‘?

Si puo’ anche scrivere âˆŤđ?‘Ž đ?’—(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą = đ?‘˝(đ?‘Ą)âŚŒđ?‘?đ?‘Ž = đ?‘˝(đ?‘?) − đ?‘˝(đ?‘Ž). A titolo esemplificativo si puo’ calcolare 2

âˆŤ(cos(đ?‘Ą) đ?’Š + 2đ?‘Ą 3 đ?’‹ + ln(đ?‘Ą)đ?’Œ)dt= đ?’Š âˆŤ cos(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą + đ?’‹ âˆŤ 2đ?‘Ą 3 đ?‘‘đ?‘Ą + đ?’Œ âˆŤ ln(đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą = sin(đ?‘Ą)đ?’Š + 3 đ?‘Ą 4 đ?’‹ + 1 đ?’Œ đ?‘Ą

+đ?’„đ?’?đ?’”đ?’•.

Ad esempio se cos(t)đ?’Š + 2đ?‘Ą 3 đ?’‹ + ln(đ?‘Ą)đ?’Œ e’ la velocita ‘ vettoriale istantanea il vettore sin(t)đ?’Š 2 3

1 đ?‘Ą

+ đ?‘Ą 4 đ?’‹ + đ?’Œ + đ?’„đ?’?đ?’”đ?’• indica la posizione al tempo t .

Il vettore đ?’„đ?’?đ?’”đ?’• non dipende dal tempo ed indica la cosiddetta condizione iniziale. Esso e’ quindi del tipo Îąđ?’Š + βđ?’‹ + Îłđ?’Œ con đ?›ź, đ?›˝, đ?›ž tre reali al limite anche eguali a 0. In questo caso tutte le funzioni scalari componenti sono nulle per t =0 e la terza q(t)=

1 đ?‘Ą

non

e’ definita.

La questione potrebbe essere piu’ complicata quando una o piu’ funzioni sono definite per � = 0 concorrendo a determinare la condizione iniziale.

La notazione di Grasmann Alcuni autori (Bampi, Zordan) fanno cenno alla notazione vettoriale di Grassman . E’ utile farne cenno ricordando che data una terna destra Oxyz e considerando due vettori posizione dei punti distinti A e B indicati, rispettivamente, con đ?’™đ?‘¨ đ?‘’ đ?’™đ?‘Š . I punti A e B sono punti dello spazio đ?‘Ľđ??ľ − đ?‘Ľđ??´ euclideo. E’ possibile rappresentare il vettore đ?’– = đ?’™đ?‘Š − đ?’™đ?‘¨ risultando đ?’™đ?‘Š − đ?’™đ?‘¨ = {đ?‘Śđ??ľ − đ?‘Śđ??´ đ?‘§đ??ľ − đ?‘§đ??´

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La notazione di Grassmann e’ đ?’– = đ??ľ − đ??´ . La seguente rappresentazione e i passaggi formali conseguenti illustrano le modalita’ di applicazione della notazione.

Si ha đ?‘¨đ?‘Ş + đ?‘Şđ?‘Š = đ?‘¨đ?‘Š . Utilizzando la notazione di Grassmann tale relazione vettoriale diviene (đ??ś − đ??´) + (đ??ľ − đ??ś) = đ??ľ − đ??´ , da cui đ??ś − đ??´ + đ??ľ − đ??ś = đ??ľ − đ??´ da cui −đ??´ + đ??ľ = đ??ľ − đ??´ da cui đ??ľ − đ??´ = đ??ľ − đ??´, ovviamente vera.

Vettori applicati e vettori liberi Come gia’ si e’ visto, una prima modalita’ di introduzione dei vettori e’ quella di considerarli applicabili in un punto O. Tale punto coincide con l’origine di un sistema si riferimento cartesiano ortogonale destro Oxyz. Secondo questa prima modalita’ tutti i vettori di đ?‘˝đ?&#x;‘đ?&#x;Ž (cosi’ viene solitamente indicato l’insieme di tutti i vettori applicati in O) sono del tipo đ?‘śđ?‘ˇđ?’™ dove O e’ il comune punto di applicazione. Ogni vettore applicato in O si caratterizza per una intensita’, per una direzione e per un verso. L’intensita’ del vettore đ?‘śđ?‘ˇđ?’™ , essendo đ?‘ˇđ?’™ il punto “variabileâ€? coincide con la distanza euclidea tra i punti 0≥ (0, 0, 0) e il punto đ?‘ˇđ?’™ ≥ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) potendo scrivere che | đ?‘śđ?‘ˇđ?’™ | = √đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 + đ?‘§ 2

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Ogni vettore si identifica con una coppia ordinata di punti (�, �� ) . La retta (unica) che passa per i punti (�, �� ) definisce la direzione del vettore. Per ogni possibile (infinite) direzione sono possibili due distinti versi di percorrenza che definiscono quindi i possibili versi del vettore. Il vettore nullo e’ identificato dalla coppia (0 , 0) .

E’ intuitivo comprendere che se đ?‘ˇđ?’™ e đ?‘ˇâ€˛đ?’™ sono due punti distinti allora i vettori đ?‘śđ?‘ˇđ?’™ e đ?‘śđ?‘ˇâ€˛đ?’™ sono due vettori distinti. In ogni caso e’ possibile rimuovere l’ipotesi di considerare vettori applicati tutti in un punto O, considerando, quindi, i segmenti orientati quali AB intesi come riferiti alla coppia ordinata (A, B) . Due segmenti orientati AB e A’B’ si dicono equipollenti se, utilizzando la notazione di Grassmann, risulta đ??ľ − đ??´ = đ??ľâ€˛ − đ??´â€˛ e se A, B appartengono alla retta r, mentre A’ e B’ giacciono sulla retta r’ , quando sia r parallela ad r’ (o le rette sono coincidenti, caso particolare di parallelismo). đ?‘‘(đ??´, đ??ľ) = đ?‘‘(đ??´â€˛ , đ??ľâ€˛) In termini metrici devono valere le seguenti condizioni { . đ?‘‘(đ??´, đ??´â€˛) = đ?‘‘(đ??ľ, đ??ľâ€˛ ) Due segmenti orientati equivalenti AB e A’B’ sono indicati con AB ~đ??´â€˛đ??ľâ€˛ . La relazione di equipollenza tra segmenti orientati e’ una relazione di equivalenza e come tale gode delle seguenti tre proprieta’ AB ~ đ??´đ??ľ (proprieta’ riflessiva) AB ~đ??śđ??ˇ ⇒ đ??śđ??ˇ ~đ??´đ??ľ (proprieta’ simmetrica) đ??´đ??ľ~đ??śđ??ˇ ⇒ đ??´đ??ľ ~đ?‘…đ?‘† (proprieta’ transitiva). { đ??śđ??ˇ ~đ?‘…đ?‘†

In altri termini (Odetti, Raimondo) un vettore di đ?‘˝đ?&#x;‘ (cosi’ usualmente vengono indicati i vettori dello spazio tridmensionale) e’ costituito da un segmento orientato e da tutti i segmenti orientati che sono equipollenti, nel senso piu’ sopra indicato, a tale assegnato segmento orientato.

- 90 -


Dato il segmento orientato AB con A ≠đ?‘‚ , đ??ľ ≠đ?‘‚ , đ??´ ≠đ??ľ ∃! P ≠đ?‘‚ | đ?‘‚đ?‘ƒ ~đ??´đ??ľ . Tale riflessione e’ peraltro vera in generale (Odetti, Raimondo) atteso che dato AB (segmento orientato) e dato un punto P qualunque dello spazio đ?‘… 3 tale che sia P≠đ??´ đ?‘’ đ?‘ƒ ≠đ??ľ allora esiste ed e’ unico il segmento orientato corrispondente potendo scrivere che ∃! X | đ?‘ƒđ?‘‹ ~đ??´đ??ľ. In altri termini (Odetti, Raimondo) un vettore qualunque đ?‘Ł puo’ essere applicato in qualunque punto di đ?‘… 3 .

â– â–

Un’osservazione sull’integrazione di una funzione a valori vettoriali Risulta evidente che se đ?’–(đ?‘Ą)e’ una primitiva di U(t) allora anche đ?’–(đ?‘Ą) + đ?‘˜ e’ una primitiva di U(t). In termini di integrazione indefinita, integrando indefinitamente

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

U(t)= đ?’–(đ?‘Ą) si

ottiene U(t)= âˆŤ đ?’–(đ?‘Ą) dt + đ?‘?. La c e’ detta costante di integrazione. đ?‘?

Da ultimo possiamo ricordare che âˆŤđ?‘Ž đ?’–(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą = đ?‘ź(đ?‘?) − đ?‘ź(đ?‘Ž). Di norma le funzioni scalari đ?‘˘đ?‘Ľ (đ?‘Ą), đ?‘˘đ?‘Ś (đ?‘Ą), đ?‘˘đ?‘§ (đ?‘Ą) sono derivabili due volte in ⌋đ?‘Ž, đ?‘?âŚŒ ⊂ đ?‘….

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Matrice delle rotazioni. La rotazione antioraria di un angolo đ??‘ attorno ad un asse Sono date le basi (đ?’†đ?&#x;? , đ?’†đ?&#x;? , đ?’†đ?&#x;‘ ) e (đ?’†â€˛đ?&#x;? , đ?’†â€˛đ?&#x;? , đ?’†â€˛đ?&#x;‘ ) . Un esempio di rotazione e’ illustrato dalla figura seguente.

đ?’†đ?&#x;‘ ≥ đ?’†â€˛đ?&#x;‘

�′2 �2

đ?‘’1

�′1

I vettori unitari đ?’†đ?&#x;? , đ?’†đ?&#x;? , đ?’†â€˛đ?&#x;? , đ?’†â€˛đ?&#x;? sono complanari . L’angolo tra la coppia di vettori (đ?’†đ?&#x;? , đ?’†â€˛đ?&#x;? ) misura đ?œƒ rad. ed e’ eguale all’angolo tra la coppia di vettori (đ?’†đ?&#x;? , đ?’†â€˛đ?&#x;? ). Si ammette che i vettori đ?’†đ?’Š e đ?’†â€˛đ?’Š (i= 1, 2, 3) siano vettori unitari, cioe’ versori.

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La

matrice

cos(đ?œƒ) đ?œ‹

di

rotazione

đ?œ‹

cos( 2 + đ?œƒ)

[cos( + đ?œƒ) 2 0

cos(đ?œƒ) 0

e’

R

0 cos(đ?œƒ) 0] = [−sin(đ?œƒ) 0 1

đ?’†đ?&#x;? đ?’†â€˛đ?&#x;? = [đ?’†đ?&#x;? đ?’†â€˛đ?&#x;? đ?’†đ?&#x;‘ đ?’†â€˛đ?&#x;?

đ?’†đ?&#x;? đ?’†â€˛đ?&#x;? đ?’†đ?&#x;? đ?’†â€˛đ?&#x;? đ?’†đ?&#x;‘ đ?’†â€˛đ?&#x;?

đ?’†đ?&#x;? đ?’†â€˛đ?&#x;‘ đ?’†đ?&#x;? đ?’†â€˛đ?&#x;‘ ] đ?’†đ?&#x;‘ đ?’†â€˛đ?&#x;‘

=

sin(đ?œƒ) 0 cos(đ?œƒ) 0] 0 1

Se (đ?’†đ?&#x;? , đ?’†đ?&#x;? , đ?’†đ?&#x;‘ ) e (đ?’†â€˛đ?&#x;? , đ?’†â€˛đ?&#x;? , đ?’†â€˛đ?&#x;‘ ) sono due distinte basi ortonormali con riferimento alla base ortonormale (đ?’†đ?&#x;? , đ?’†đ?&#x;? , đ?’†đ?&#x;‘ ) possono essere posti nella forma đ?’†â€˛đ?’‰ = (đ?’†đ?&#x;? đ?’†â€˛đ?’Œ )đ?’†đ?’Œ . Le quantita’ đ?’†đ?&#x;? đ?’†â€˛đ?’Œ sono gli elementi della matrice di rotazione, solitamente indicata con la lettera R.

Integrali curvilinei Siano dati due punti dello spazio A e B distinti. Si consideri un arco che congiunge i due punti. Generalmente ci si riferisce a curve semplici non chiuse o al caso di curve semplici chiuse, come quelle disegnate nel piano nella figura seguente.

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Sia data una funzione vettoriale đ?‘­ = đ?‘­(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, , đ?‘§) = đ?’Šđ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) + đ?’‹đ?‘”(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) + đ?’Œđ?‘&#x;(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§). Con riferimento alla curva aperta e’ stato disegnato anche il vettore posizione in un particolare punto di essa. B A

Il raggio vettore ad un punto della curva dello spazio di estremi A e B (al limite potrebbe essere anche il segmento AB) e’ indicato in colore ocra. Esso viene indicato con đ?’“ = đ?‘Ľđ?’Š + đ?‘Śđ?’‹ + đ?‘§đ?’Œ e in termini differenziali si puo’ scrivere che đ?‘‘đ?’“ = đ?‘‘đ?‘Ľđ?’Š + đ?‘‘đ?‘Śđ?’‹ + đ?‘‘đ?‘§đ?’Œ . Viene definito l’integrale curvilineo, lungo il cammino della data curva C, come segue đ??ľ

âˆŤđ??´ đ?‘­ đ?‘‘đ?’“ riferito, e’ bene precisarlo ad un dato cammino tra quelli infiniti possibili. La grandezza F đ?‘‘đ?’“ deve essere intesa come un prodotto scalare canonico. đ??ľ

đ??ľ

Pertanto si scrive âˆŤđ??´ đ?‘­ đ?‘‘đ?’“ = âˆŤđ??´ đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘”(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?‘‘đ?‘Ś + đ?‘&#x;(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?‘‘đ?‘§. Tale integrale e’ anche detto integrale di linea. Per ragioni di semplicita’ e di chiarezza vengono solitamente considerati integrali riferiti a cammini tutti contenuti nel piano đ?‘§ = 0 cioe’ nel piano xy.

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Il primo caso possibile e’ costituito da cammini costituiti da punti (x,y) tali che si possa ��

dire che y = đ?‘“(đ?‘Ľ). Sovviene, in tale caso, la nozione di derivata per la quale đ?‘‘đ?‘Ľ = đ?‘“′(đ?‘Ľ) da cui dy= đ?‘“ ′ (đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ . Sotto questa ipotesi son possibili i seguenti passaggi đ??ľ

đ?‘Ľđ?‘“

âˆŤ đ?‘?(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘ž(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ś = âˆŤ đ?‘?(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘ž(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘“ ′ (đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ đ??´

đ?‘Ľđ?‘–

Una forma analoga e’ ricavabile se la coppia (x,y) per ogni punto del cammino che si considera risulta che y= �(�) . Il secondo fondamentale caso e’ quello che le funzioni abbiano una forma parametrica, come spesso avviene in meccanica. In questo caso semplificando al massimo le notazioni risulta { ��

scrivere, derivando rispetto al tempo che { đ?‘‘đ?‘Ą đ?‘‘đ?‘Ś đ?‘‘đ?‘Ą

= đ?œ‘′(đ?‘Ą) = đ?œ‡â€˛(đ?‘Ą)

da cui {

đ?‘Ľ = đ?œ‘(đ?‘Ą) potendo đ?‘Ś = đ?œ‡(đ?‘Ą)

đ?‘‘đ?‘Ľ = đ?œ‘′(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą đ?‘‘đ?‘Ś = đ?œ‡â€˛(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą

Si ammette che le due funzioni parametriche sono ad un solo valore. Sotto questa ipotesi si puo’ scrivere đ??ľ

đ?‘Ą

đ?‘“ âˆŤđ??´ đ?‘?(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘ž(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ś = âˆŤđ?‘Ą đ?‘?(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?œ‘′(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą + đ?‘ž(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?œ‡â€˛(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą . đ?‘–

In tale ultima relazione gli estremi di integrazione corrispondono, rispettivamente, agli istanti nei quali il corpo puntiforme si trova in A (estremo inferiore di integrazione, �1 ) e in B (estremo superiore di integrazione, al tempo�2 ) . La curva chiusa disegnata nella figura precedente e’ detta curva semplice chiusa in ragione del fatto che essa non interseca mai se stessa.

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Integrali doppi e teorema di Green

Sia F(x,y) una funzione di due variabili nel piano xy . Si consideri la regione del piano interna alla curva chiusa disegnata nella figura sottostante. Sia (đ?›źđ?‘– , đ?›˝đ?‘– ) un punto interno di essa. Si ammetta che tale regione R sia suddivisa in rettangoli ∆đ?‘…đ?‘˜ . d

c a

b

L’integrale doppio âˆŤ âˆŤ đ??š(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ??´ e’ il limite, se esiste finito, della seguente somma di Riemann

lim ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ??š (đ?›źđ?‘– , đ?›˝đ?‘– )∆đ?‘…đ?‘–

risultando

đ?‘›â†’+∞

quindi

âˆŤ âˆŤ đ??š(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ??´ =

lim ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ??š (đ?›źđ?‘– , đ?›˝đ?‘– )∆đ?‘…đ?‘– .

đ?‘›â†’+∞

L’integrale doppio âˆŤ âˆŤ đ??š(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ??´ viene solitamente trattato come un integrale iterato scrivendo đ?‘?

đ?‘“ (đ?‘Ľ)

2 âˆŤ âˆŤ đ??š(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ??´ = âˆŤđ?‘Ž (âˆŤđ?‘“ (đ?‘Ľ) đ??š(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ś )đ?‘‘đ?‘Ľ 1

đ?‘“2 (đ?‘Ľ)

đ?‘“1 (đ?‘Ľ)

đ?‘‘

đ?‘” (đ?‘Ľ)

Analogamente si puo’ definire âˆŤ âˆŤ đ??š(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ??´ = âˆŤđ?‘? (âˆŤđ?‘” 2(đ?‘Ľ) đ??š(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ś 1

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Esempio di integrale doppio 1

đ?‘Ľ

1

đ?‘Ľ

âˆŤ0 âˆŤđ?‘Ľ 2 đ?‘Ľđ?‘Ś 2 đ?‘‘đ?‘Ś đ?‘‘đ?‘Ľ = âˆŤ0 (âˆŤđ?‘Ľ 2 đ?‘Ľđ?‘Ś 2 đ?‘‘đ?‘Ś) đ?‘‘đ?‘Ľ

Le curve đ?‘“1 (đ?‘Ľ) = đ?‘Ľ 2 (in blu) e đ?‘“2 (đ?‘Ľ) = đ?‘Ľ si intersecano nel punto (1, 1). Esse ovviamente passano entrambe per (0, 0). đ?‘Ľ

Si inizia lavorando sull’integrale piu’ interno. Si considera infatti âˆŤđ?‘Ľ 2 đ?‘Ľđ?‘Ś 2 trattando x đ?‘Ś3

đ?‘Ľ

đ?‘Ś3

come una costante . Si ha đ?‘Ľ âˆŤđ?‘Ľ 2 đ?‘Ś 2 đ?‘‘đ?‘Ś = đ?‘ĽâŚ‹ 3 âŚŒđ?‘Ľđ?‘Ľ2 = đ?‘Ľ( 3 −

đ?‘Ś6

đ?‘Ś4

)= (3 − 3 1 đ?‘Ś4

la funzione integranda in x e quindi si puo’ calcolare âˆŤ0 ( 3 − 1 đ?‘Ś4

âˆŤ0 ( 3 −

đ?‘Ś7

1 đ?‘Ś5

)dx = 3 ⌋ 5 − 3

đ?‘Ś8 1 âŚŒ 8 0

1 1

1

1 8−5

= 3 (5 − 8) = 3

40

1 3

đ?‘Ś7 3

đ?‘Ś7 3

). Si e’ ottenuta

)dx . Quindi si ha

1

= 3 40 = 40 .

In modo analogo si gestiscono gli integrali tripli.

Derivata direzionale Dato il vettore đ?’– = (đ?‘Ž, đ?‘?, đ?‘?) di đ?‘… 3 e data la funzione đ?‘“: đ?‘… 3 → đ?‘… che alla terna (x,y,z) fa corrispondere il numero reale đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) viene definita, in notazione vettoriale, la derivata direzionale di đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) nella direzione del vettore đ?’– = (đ?‘Ž, đ?‘?, đ?‘?) con đ??ˇđ?‘˘ đ?‘“(đ?’™đ?&#x;Ž ) = lim

ℎ→0

đ?‘“(đ?’™đ?&#x;Ž +â„Žđ?’–)−đ?‘“(đ?’™đ?&#x;Ž ) â„Ž

se tale limite esiste finito.

Se la �(�, �, �) e’ differenziabile si puo’ anche scrivere

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đ??ˇđ?‘˘ đ?‘“(đ?’™đ?&#x;Ž ) = đ?‘“đ?‘Ľ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?‘Ž + đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?‘? + đ?‘“đ?‘§ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?‘? , essendo a, b, e c le componenti del dato vettore đ?’– = (đ?‘Ž, đ?‘?, đ?‘?) e đ?‘“đ?‘– (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) indica la derivata prima rispetto alla variabile iesima.

Gradiente, divergenza, e rotore Gli sviluppi della trattazione impongono vengano introdotti il gradiente, la divergenza, il rotore e quindi il laplaciano. E’ sicuramente utile partire dal ∇ vettoriale definito come segue đ?œ•

đ?œ•

đ?œ•

∇ ≥ đ?’Š đ?œ•đ?‘Ľ + đ?’‹ đ?œ•đ?‘Ś + đ?’Œ đ?œ•đ?‘§ Sia assegnata una funzione scalare, quindi un campo scalare, đ?œ‘ = đ?œ‘(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) . Per definizione, il gradiente della funzione scalare đ?œ‘ = đ?œ‘(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) e’ ∇đ?œ‘(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) ≥

đ?œ•đ?œ‘(đ?‘Ľ,đ?‘Ś,đ?‘§) đ?œ•đ?‘Ľ

đ?’Š+

đ?œ•đ?œ‘(đ?‘Ľ,đ?‘Ś,đ?‘§) đ?œ•đ?‘Ś

đ?’‹+

đ?œ•đ?œ‘(đ?‘Ľ,đ?‘Ś,đ?‘§) đ?œ•đ?‘§

đ?’Œ

Se đ?œ‘(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?‘? (una superficie) allora ∇đ?œ‘(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) e’ normale a detta superficie. E’ immediato osservare che đ??ˇđ?‘˘ đ?‘“(đ?’™đ?&#x;Ž ) = ∇f(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) đ?’–

Gradiente e derivata direzionale – qualche esempio Sia data la funzione đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?‘Ľđ?‘Ś + đ?‘Śđ?‘§ 2 + đ?‘Ľđ?‘Śđ?‘§ . Occorre calcolare le tre derivate parziali prime che sono đ?œ•

đ?œ•

đ?œ•

đ?‘“đ?‘Ľ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?œ•đ?‘Ľ ( đ?‘Ľđ?‘Ś + đ?‘Śđ?‘§ 2 + đ?‘Ľđ?‘Śđ?‘§) = đ?‘Ś đ?œ•đ?‘Ľ đ?‘Ľ + 0 + đ?‘Śđ?‘§ đ?œ•đ?‘Ľ đ?‘Ľ = đ?‘Ś + đ?‘Śđ?‘§ . đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) =

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ś

( �� + �� 2 + ���) = �

đ?œ•đ?‘Ś đ?œ•đ?‘Ś

+ �2

- 98 -

đ?œ•đ?‘Ś đ?œ•đ?‘Ś

+ ��

đ?œ•đ?‘Ś đ?œ•đ?‘Ś

= � + � 2 + ��


đ?œ•

đ?‘“đ?‘§ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?œ•đ?‘§ ( đ?‘Ľđ?‘Ś + đ?‘Śđ?‘§ 2 + đ?‘Ľđ?‘Śđ?‘§) = 0 + 2đ?‘Śđ?‘§ + đ?‘Ľđ?‘Ś = đ?‘Śđ?‘§ + đ?‘Ľđ?‘Ś . Il vettore gradiente e’ ∇đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) =( đ?‘Ś + đ?‘Śđ?‘§)đ?’Š + (đ?‘Ľ + đ?‘§ 2 + đ?‘Ľđ?‘§)đ?’‹ + (2đ?‘Śđ?‘§ + đ?‘Ľđ?‘Ś)k Ove fosse richiesto di calcolare il gradiente in un punto e’ sufficiente sostituire in formula. Ad esempio per (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) =(0, 1, 2) si ha ∇đ?‘“(0,1,2) =(1+1 ∗ 2)đ?’Š + (0 + 22 + 0)đ?’‹ + (4 + 0)k= (3)đ?’Š + (4)đ?’‹ + (4)k La derivata direzionale nella direzione di un dato vettore đ?’— = (đ?‘Ž, đ?‘?, đ?‘?) si ottiene considerando il vettore unitario nella direzione del dato vettore đ?’— = (đ?‘Ž, đ?‘?, đ?‘?) . đ?’—

Tale vettore e’ đ?’– = ‖đ?’—‖ = √a2

đ?’— +b2 +c2

.

Pertanto se deve essere determinata la derivata direzionale nella direzione di đ?’— = đ?&#x;?đ?’Š+đ?’‹+đ?’Œ

đ?&#x;?đ?’Š+đ?’‹+đ?’Œ

(2,1,1) occorre determinare il versore đ?’– = ‖đ?&#x;?đ?’Š+đ?’‹+đ?’Œâ€– = √22

+12 +12

=

đ?&#x;?đ?’Š+đ?’‹+đ?’Œ √6

.

Si puo’ ottenere tale derivata direzionale utilizzando la formula gia’ ricordata, scrivendo đ?&#x;?đ?’Š+đ?’‹+đ?’Œ

che đ??ˇđ?‘˘ đ?‘“(đ?’™đ?&#x;Ž ) = ∇f(0, 1, 2) đ?’– = ⌋(3)đ?’Š + (4)đ?’‹ + (4)k âŚŒ 12 6

√6

=

6 √6

+

4 √6

+

4 √6

=

12 √6 √6 √6

=

√6 = 2√6.

E’ utile precisare che nei passaggi precedenti si e’ tenuto conto che đ?’Šđ?’Š = đ?‘– đ?&#x;? = 1, đ?’‹đ?’‹ = đ?‘— đ?&#x;? = 1, đ?’Œđ?’Œ = đ?‘˜ đ?&#x;? = 1, mentre moltiplicando scalarmente tra loro distinte componenti ortonormali della base il prodotto scalare vale zero.

Si osservi che si ha đ??ˇđ?‘˘ đ?‘“(đ?’™đ?&#x;Ž ) = ∇f(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’– = | ∇f(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)||đ?’–|đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?œ— . Per l’andamento della funzione cos(.) si ha che max đ??ˇđ?‘˘ đ?‘“(đ?’™đ?&#x;Ž ) = | ∇f(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)| per đ?œ— = đ?‘˜đ?œ‹, ∀đ?‘˜ ∈ đ?‘? . Tale esito e’ solitamente chiamato velocita’ massima di variazione.

- 99 -


Campi conservativi La funzione f(x,y,z) di classe đ??ś 2 , che, cioe’, ammette le derivate parziali prime e seconde continue e finite rappresenta un campo scalare, risultando đ?‘Ľ = đ?‘Ľ(đ?‘Ą) đ?‘Ś = đ?‘Ś(đ?‘Ą) đ?‘§ = đ?‘§(đ?‘Ą) le corrispondenti equazioni parametriche. Gia’ e’ nota la nozione di vettore gradiente che, per definizione, e’ đ?œ•đ?‘“

đ?œ•đ?‘“

đ?œ•đ?‘“

∇đ?‘“ = đ?‘”đ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘‘ đ?‘“ = đ?œ•đ?‘Ľ đ?’Š + đ?œ•đ?‘Ś đ?’‹ + đ?œ•đ?‘§ đ?’Œ Il campo vettoriale F e’ conservativo se esiste una funzione scalare tale che ∇đ?‘“ = đ?‘­ La funzione scalare đ?’‡ e’ il potenziale di đ?‘­ . Il potenziale definisce un campo scalare.

Assegnata una funzione vettoriale đ?’— = đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) puo’ essere definita una funzione scalare detta divergenza del vettore đ?’— = đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) che, nella sostanza, e’ un prodotto scalare nel đ?œ•

đ?œ•

đ?œ•

quale un termine e’ l’operatore ∇ ≥ đ?’Š đ?œ•đ?‘Ľ + đ?’‹ đ?œ•đ?‘Ś + đ?’Œ đ?œ•đ?‘§ . đ?œ•

đ?œ•

đ?œ•

In questo caso si scrive div đ?’— = ∇ đ?’— = ( đ?’Š đ?œ•đ?‘Ľ + đ?’‹ đ?œ•đ?‘Ś + đ?’Œ đ?œ•đ?‘§) (đ?‘Ł1 đ?’Š + đ?‘Ł2 đ?’‹ + đ?‘Ł3 đ?’Œ) = đ?œ•đ?‘Ł2 đ?œ•đ?‘Ś

+

đ?œ•đ?‘Ł3 đ?œ•đ?‘§

đ?œ•đ?‘Ł1 đ?œ•đ?‘Ľ

+

dove đ?‘Łđ?‘– = đ?‘Łđ?‘– (x,y,z) sono tre funzioni scalari per i = 1, 2, 3 .

In un successivo box e’ contenuto un esempio concreto. Puo’ quindi essere considerata una terza funzione, il rotore di un vettore, che e’ una funzione vettoriale, in sostanza il prodotto vettoriale formale dell’operatore ∇ con il vettore đ?’— . - 100 -


đ?’Š đ?’‹ đ?’Œ đ?œ• đ?œ• đ?œ•

Si scrive ∇ Ă— đ?’— = [

đ?œ•đ?‘Ľ đ?œ•đ?‘Ľ đ?œ•đ?‘Ľ đ?‘Ł1 đ?‘Ł2 đ?‘Ł3

]

Campi vettoriali su đ?‘šđ?&#x;‘ e rotore Data un regione A di đ?‘… 3 ad ogni punto (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) di đ?‘… 3 puo’ essere associato un vettore đ?’— = đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) . Esiste, in un caso del genere, una funzione đ?‘“: (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) → đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) . Detto vettore e’ ordinariamente scomponibile nelle direzioni mutuamente normali, avendo quindi đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?‘?(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’Š + đ?‘ž(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’‹ + đ?‘&#x;(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’Œ . Il vettore ha come componenti le tre funzioni scalari đ?‘?(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§), đ?‘ž(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§), đ?‘&#x;(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) . E’ possibile definire un ulteriore campo vettoriale detto rotore di đ?’— . Tale nuovo campo e’ definito come segue

rot đ??Ż = đ?› Ă— đ?’— = [

đ?’Š

đ?’‹

đ???

đ???

đ?’Œ đ???

đ???đ?’™

đ???đ?’š

đ???đ?’›

]

đ?’‘(đ?’™, đ?’š, đ?’›) đ?’’(đ?’™, đ?’š, đ?’›) đ?’“(đ?’™, đ?’š, đ?’›) E’ immediato dimostrare che rot(đ?› đ?’—) = đ?&#x;Ž

Divergenza di un campo vettoriale Dato il campo vettoriale đ?‘“: (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) → đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) si evince che tale vettore e’ ordinariamente scomponibile nelle direzioni mutuamente normali, avendo quindi đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?‘?(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’Š + đ?‘ž(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’‹ + đ?‘&#x;(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’Œ . Il vettore ha come componenti le tre funzioni scalari đ?‘?(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§), đ?‘ž(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§), đ?‘&#x;(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) .

- 101 -


E’ possibile introdurre una funzione đ?‘”: đ?‘Ł(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) → đ?‘˜ ∈ đ?‘… detta divergenza di đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) definita come segue đ?œ•

đ?œ•

đ?œ•

div đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?œ•đ?‘Ľ đ?‘?(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) + đ?œ•đ?‘Ś đ?‘ž(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) + đ?œ•đ?‘§ đ?‘&#x;(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?› đ?’— . In altri termini la divergenza puo’ essere vista come un prodotto scalare.

E’ possibile esemplificare considerando un caso concreto. Sia ad esempio �(�, �, �)

= 2sin(đ?‘Ľđ?‘Ś)đ?’Š +

đ?‘Ľđ?‘Śđ?‘§ 4 đ?’‹ . A questo punto occorre osservare che đ?‘&#x;(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) ≥ 0 . Conseguentemente si ha div đ?’—(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

đ?‘?(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) +

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ś

�(�, �, �) =

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

2 sin(đ?‘Ľđ?‘Ś) +

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ś

đ?‘Ľđ?‘Śđ?‘§ 4 = 2đ?‘Śđ?‘?đ?‘œđ?‘ (đ?‘Ľđ?‘Ś) + đ?‘Ľđ?‘§ 4 .

Ovviamente la divergenza puo’ essere calcolata in un punto assegnato (x,y,z) di A ⊂ �3 .

A queste funzioni si puo’ aggiugere l’operatore laplaciano di una funzione scalare u(x,y,z). đ?œ•2

đ?œ•2

đ?œ•2

Tale operatore e’ cosi’ definito ∇2 u(x,y,z) = đ?œ•đ?‘Ľ 2 u(x,y,z) + đ?œ•đ?‘Ś 2 u(x,y,z) + đ?œ•đ?‘§ 2 u(x,y,z) .

Integrali di linea nello spazio Sia data una curva dello spazio đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = 0 risultando đ?‘Ľ = đ?‘Ľ(đ?‘Ą), đ?‘Ś = đ?‘Ś(đ?‘Ą), đ?‘§ = đ?‘§(đ?‘Ą) ponibile in forma vettoriale, scrivendo đ?’“ = đ?‘Ľ(đ?‘Ą)đ?’Š + đ?‘Ś(đ?‘Ą)đ?’‹ + đ?‘§(đ?‘Ą)đ?’Œ Si ammetta che f sia un funzione di tre variabili indipendenti continue in una certa regione dello spazio. Considerando il limite della somma di Riemann si ottiene, come đ?‘?

đ?‘‘đ?‘Ľ

đ?‘‘đ?‘Ś

��

ben noto, che âˆŤđ??ś đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?‘‘đ?‘ = âˆŤđ?‘Ž đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)√( đ?‘‘đ?‘Ą )2 + ( đ?‘‘đ?‘Ą )2 + ( đ?‘‘đ?‘Ą )2 dt Tale integrale, in notazione vettoriale, puo’ essere scritto con đ?‘?

âˆŤđ?‘Ž đ?‘“(đ?’“(đ?‘Ą))đ?’“′ (đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą

- 102 -


A monte c’e’ l’approssimazione dell’arco infinitesima di curva che viene reso lineare đ?‘‘đ?‘

đ?‘‘đ?‘Ľ

đ?‘‘đ?‘Ś

imponendo che (đ?‘‘đ?‘ )2 = (đ?‘‘đ?‘Ľ)2 + (đ?‘‘đ?‘Ś)2 + (đ?‘‘đ?‘§)2 ed anche (đ?‘‘đ?‘Ą )2 = ( đ?‘‘đ?‘Ą )2 + ( đ?‘‘đ?‘Ą )2 + đ?‘‘đ?‘§

( đ?‘‘đ?‘Ą )2 . đ?‘‘đ?‘

đ?‘‘đ?‘Ľ

đ?‘‘đ?‘Ś

��

Da essa si ha đ?‘‘đ?‘Ą = √( đ?‘‘đ?‘Ą )2 + ( đ?‘‘đ?‘Ą )2 + ( đ?‘‘đ?‘Ą )2 Solitamente si pone đ?‘?

đ?‘?

âˆŤđ??ś đ?‘­ đ?‘‘đ?’“ = âˆŤđ?‘Ž đ?‘“(đ?’“(đ?‘Ą))đ?’“′ (đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą = âˆŤđ?‘Ž đ?‘­đ?‘ťđ?‘‘đ?‘ Per spiegare questi ultimi passassi e’ utile partire da due definizioni đ?‘‘đ?’“

đ?’“′ (đ?‘Ą) = đ?‘‘đ?‘Ą ⇒ đ?‘‘đ?’“ = đ?’“′(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą đ?‘‘đ?‘ đ?‘‘đ?‘Ą

đ?‘‘đ?‘

= |đ?’“′ (đ?‘Ą)| ⇒ đ?‘‘đ?‘ = |đ?’“′ (đ?‘Ą)|đ?‘‘đ?‘Ą ⇒ đ?‘‘đ?‘Ą = |đ?’“′ (đ?‘Ą)| đ?‘?

đ?‘?

đ?‘‘đ?‘

đ?‘?

Pertanto si ha âˆŤđ?‘Ž đ?‘“(đ?’“(đ?‘Ą))đ?’“′ (đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą = âˆŤđ?‘Ž đ?‘“(đ?’“(đ?‘Ą))đ?’“′ (đ?‘Ą) |đ?’“′ (đ?‘Ą)| = âˆŤđ?‘Ž đ?‘“(đ?’“(đ?‘Ą))đ?‘ťđ?‘‘đ?‘ đ?‘?

Da cui âˆŤđ??ś đ?‘­ đ?‘‘đ?’“ = âˆŤđ?‘Ž đ?‘­đ?‘ťđ?‘‘đ?‘

Circuitazione e Teorema di Green Sia C una curva chiusa semplice definita da due funzioni parametriche continue ed a un solo valore in ogni t ∈ ⌋đ?‘Ąđ?‘– , đ?‘Ąđ?‘“ âŚŒ . Nella sottostante figura e’ indicato il verso (antiorario) positivo di integrazione.

- 103 -


Per designare una regione chiusa si utilizza un particolare simbolo di integrale, (đ?‘Ž,đ?‘?)

scrivendo ∎(đ?‘Ž,đ?‘?) đ?‘ƒđ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘„đ?‘‘đ?‘Ś . E’ possibile enunciare un fondamentale teorema detto di Green, nel quale ci si riferisce ad una curva piana chiusa semplice C ed il dominio D che ha C come frontiera. Tale teorema e’ dato dalla seguente relazione đ?œ•đ?‘„

đ?œ•đ?‘ƒ

âˆŤđ??ś đ?‘ƒ đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘„ đ?‘‘đ?‘Ś = âˆŹđ??ˇ ( đ?œ•đ?‘Ľ − đ?œ•đ?‘Ś ) đ?‘‘đ??´ Se

đ?œ•đ?‘„ đ?œ•đ?‘Ľ

đ?œ•đ?‘ƒ

đ?œ•đ?‘„

đ?œ•đ?‘ƒ

= đ?œ•đ?‘Ś si ha âˆŤđ??ś đ?‘ƒ đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘„ đ?‘‘đ?‘Ś = âˆŹđ??ˇ (đ?œ•đ?‘Ľ − đ?œ•đ?‘Ś ) đ?‘‘đ??´ = 0 (questo nel caso

della curva chiusa (nesso evidente con il campo conservativo). In generale se đ?œ•đ?‘„ đ?œ•đ?‘Ľ

đ?œ•đ?‘ƒ

= đ?œ•đ?‘Ś qualora

(đ?‘Ľ2 ,đ?‘Ś2 ) 1 ,đ?‘Ś1 )

âˆŤ(đ?‘Ľ

(đ?‘Ľ ,đ?‘Ś )

si calcoli (su una curva C ) âˆŤ(đ?‘Ľ 2,đ?‘Ś 2) đ?‘ƒđ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘„đ?‘‘đ?‘Ś = 1

1

đ?‘‘đ?œ‘ = đ?œ‘(đ?‘Ľ2 , đ?‘Ś2 ) − đ?œ‘(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ś1 ) .

dovendo in questo caso essere đ?‘ƒđ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘„đ?‘‘đ?‘Ś = đ?‘‘đ?œ‘ cioe’ un differenziale esatto. Tali esiti sono estensibili allo spazio đ?‘… 3 utilizzando la notazione vettoriale, ponendo ∎ đ?‘¨đ?’…đ?’“ = 0 quando đ?› Ă— đ?‘¨ = đ?&#x;Žđ?‘šđ?&#x;‘ .

Campi conservativi - osservazioni e un esempio Sia F(x, y)= đ?‘ƒ(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?’Š + đ?‘„(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?’‹ e’ un campo conservativo in una regione A (dominio semplicemente connesso) delimitato da una curva semplice tale che đ?’“(đ?‘Ž) ≠đ?’“(đ?‘?) per ogni coppia di punti a e b di đ?‘… 2 , đ?‘žđ?‘˘đ?‘Žđ?‘›đ?‘‘đ?‘œ đ?‘Ž ≠đ?‘? . Ai punti a e b corrisponde una coppia ordinata (le coordinate cartesiane ortogonali del punto).

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Ho rinvenuto (Stewart) anche una nozione formale di curva chiusa semplice ma reputo utile definirla come segue, all’uopo utilizzando il formalismo degli integrali iterati e scrivendo quindi đ?‘“1 (đ?‘Ľ) = đ?‘“2 (đ?‘Ľ) non ha soluzioni in x ∈ (đ?‘Ž, đ?‘?) allora la curva e’ chiusa semplice. A contrariis una curva chiusa non semplice ha almeno una soluzione x ∈ (đ?‘Ž, đ?‘?) tale quindi che sia đ?‘“1 (đ?‘Ľ) = đ?‘“2 (đ?‘Ľ) . ∘∘∘ Per verificare se un campo in A ⊆ đ?‘… 2 e’ conservativo risulta sufficiente verificare la eguaglianza tra le derivate parziali prime, rispetto alla y e rispetto alla x. Deve cioe’ risultare

đ?œ•đ?‘„ đ?œ•đ?‘Ľ

đ?œ•đ?‘ƒ

= đ?œ•đ?‘Ś .

Ad esempio dire se đ??š(đ?‘Ľ, đ?‘Ś) = đ?‘Ľđ?‘’ đ?‘Ś đ?’Š + đ?‘’ đ?‘Ľ đ?’‹ e’ conservativo. A questo punto si considerano le derivate parziali prime delle funzioni P(x,y) = đ?œ•đ?‘ƒ

đ?‘Ľđ?‘’ đ?‘Ś đ?‘’ đ?‘„(đ?‘Ľ, đ?‘Ś) = đ?‘’ đ?‘Ľ . Si ha đ?œ•đ?‘Ś = đ?œ•đ?‘„

đ?œ•đ?‘Ľđ?‘’ đ?‘Ś đ?œ•đ?‘Ś

= đ?‘Ľđ?‘’ đ?‘Ś e

đ?œ•đ?‘„ đ?œ•đ?‘Ľ

=

đ?œ•đ?‘’ đ?‘Ľ đ?œ•đ?‘Ľ

= đ?‘’đ?‘Ľ .

đ?œ•đ?‘ƒ

Si osserva che đ?œ•đ?‘Ľ ≠đ?œ•đ?‘Ś e pertanto il campo considerato NON e’ conservativo. ∎∎∎ Se il campo đ?‘­(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?‘?(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’Š + đ?‘ž(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’‹ + đ?‘&#x;(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?’Œ e’ conservativo e se le derivate parziali prime di đ?‘?(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§), đ?‘ž(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§), đ?‘&#x;(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) sono continue allora risulta đ?œ•đ?‘? đ?œ•đ?‘Ś đ?œ•đ?‘? đ?œ•đ?‘§ đ?œ•đ?‘ž

đ?œ•đ?‘ž

= đ?œ•đ?‘§ đ?œ•đ?‘&#x;

= đ?œ•đ?‘Ľ đ?œ•đ?‘&#x;

{đ?œ•đ?‘§ = đ?œ•đ?‘Ś â‹°â‹ąâ‹°â‹ąâ‹°â‹ą

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Dalla sviluppo del determinante simbolico di Laplace riferito al rotF cioe’ dalla relazione rotF = đ?› Ă— đ?‘­ si evince che se F e’ conservativo rotF = đ?&#x;Ž mentre rotF ≠đ?&#x;Ž significa che il campo vettoriale considerato non e’ conservativo.

Forma vettoriale del teorema di Green Dato il campo vettoriale đ?‘­ = P(x, y)đ?’Š + đ?‘„(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?’‹ l’integrale di linea e’ ∎đ?‘Ş đ?‘­ dđ?’“ = ∎đ?‘Ş đ?‘ƒ(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘„(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ś A partire dalla nozione di rotore si ottiene il teorema di Green nella notazione vettoriale potendo scrivere ∎ đ?‘­ dđ?’“ = âˆŹ (rotđ?‘­)đ?’Œđ?‘‘đ??´ đ?‘Ş

đ?‘Ť

Di tale teorema esiste una seconda forma vettoriale ponibile come ∎đ?‘Ş đ?‘­ đ?’? đ?‘‘đ?‘ = âˆŹđ?‘Ť (divđ?‘­)đ?‘‘đ??´

Spazio degli omomorfismi Dati due spazi vettoriali V e U su un campo K, cioe’ su R oppure su C, si considera l’insieme i cui elementi sono tutte e sole le applicazioni lineari da V a U. Tale insieme viene denotato con il formalismo Hom (V, U) = {đ?‘“đ?‘– |đ?‘“đ?‘– âˆś đ?‘‰ → U} .

- 106 -


In questo caso risulta đ?‘Žđ?‘“đ?‘– + đ?‘?đ?‘“đ?‘— ∈ đ??ťđ?‘œđ?‘š(đ?‘‰, đ?‘ˆ) quando a e b sono due scalari e đ?‘“đ?‘– e đ?‘“đ?‘— sono due qualunque elementi di Hom (V, U) .

Composizione di applicazioni lineari E’ immediato definire la composizione di due applicazioni lineari. Siano V, U e W tre spazi vettoriali e siano date le applicazioni lineari đ?‘“ e đ?‘” tali che đ?‘“: đ?‘‰ → đ?‘ˆ đ?‘”: đ?‘ˆ → đ?‘Š La funzione g°đ?‘“ (detta g composto f ) e’ sintetizzabile come segue đ?‘“

đ?‘”

đ?‘”°đ?‘“

đ?’— → đ?‘“(đ?’—) → đ?‘”(đ?‘“(đ?’—)) o piu’ sinteticamente đ?’— → đ?‘”(đ?‘“(đ?’—)) . In altre parole ad un elemento đ?’— ∈ đ?‘‰ tramite la funzione đ?‘“ viene associato un elemento đ?‘“(đ?’—) ∈ đ?‘ˆ e quindi ad esso tramite g a tale elemento viene associato đ?‘”(đ?‘“(đ?’—)) ∈ đ?‘Š. Si deve precisare che in generale risulta g°đ?‘“ ≠đ?‘“°đ?‘” . Salvo casi particolari la composizione di applicazioni lineari non e’ commutativa.

Algebra di uno spazio vettoriale V Sia V uno spazio vettoriale sul corpo K . Si considerino quindi gli endomorfismi đ?‘“: đ?‘‰ → đ?‘‰, cioe’ le applicazioni lineari che associano ad un vettore đ?’— di V un vettore f(v) pure appartemente a V. Un esempio banale, come noto, e’ la applicazione identica đ?‘–đ?‘‘đ?‘‰ per la quale si ha đ?’— = đ?‘“(đ?’—) ∀đ?’— ∈ đ?‘‰.

- 107 -


Dette trasformazioni, dette anche operatori lineari, vengono indicate con Hom(V,V) o anche con il formalismo A(V). Viene data la seguente definizione di algebra . Date due funzioni đ?‘“ đ?‘’ đ?‘” tali che đ?‘“: đ?‘‰ → đ?‘‰ đ?‘”: đ?‘‰ → đ?‘‰ cioe’ đ?‘“ ∈ đ??´(đ?‘‰) đ?‘’ đ?‘” ∈ đ??´(đ?‘‰) . đ?‘”

đ?‘“

Si considera poi la funzione composta đ?‘“°đ?‘” cosi’ sintetizzata đ?’— → đ?‘”(đ?’—) → đ?‘“(đ?‘”(đ?’—)). Tale funzione puo’ sinteticamente essere indicata con đ?‘“đ?‘” avendo đ?‘“đ?‘” ∈ đ??´(đ?‘‰). Affinche’ si abbia un’algebra deve risultare che sono verificate le seguenti proprieta’ đ?‘“(đ?‘” + â„Ž) = đ?‘“đ?‘” + đ?‘“â„Ž { (đ?‘” + â„Ž)đ?‘“ = đ?‘”đ?‘“ + â„Žđ?‘“ ∀đ?‘“, đ?‘”, â„Ž ∈ đ??´(đ?‘‰), ∀đ?‘˜ ∈ đ??ž . đ?‘˜(đ?‘”đ?‘“) = (đ?‘˜đ?‘”)đ?‘“ = đ?‘”(đ?‘˜đ?‘“) A volte si ha un’algebra associativa. In questo caso si ha â„Ž(đ?‘”đ?‘“) = (â„Žđ?‘”)đ?‘“. Dovendo valere đ?‘“(đ?‘” + â„Ž) = đ?‘“đ?‘” + đ?‘“â„Ž ed anche (đ?‘” + â„Ž)đ?‘“ = đ?‘”đ?‘“ + â„Žđ?‘“ e potendo essere đ?‘”

â„Ž ≥ đ?‘–đ?‘‘đ?‘‰ si ha ∀đ?’— ∈ đ?‘‰ che {

đ?‘“

� → �(�) → �(�(�)) ℎ≥���

�→

đ?‘“

⇒ đ?‘“(đ?‘”(đ?’—)) + đ?‘“(đ?’—) ∈ đ?‘“đ?‘” + đ?‘“â„Ž . Ma si

� → �(�)

puo’ anche scrivere che ha ∀đ?’— ∈ đ?‘‰ che {

đ?‘“

đ?‘”

đ?‘“

ℎ≥���

� → �(�) → �(�(�)) � → �(�) →

⇒ đ?‘”(đ?‘“(đ?’—)) + đ?‘“(đ?’—) ∈

đ?‘“(đ?’—)

�� + ℎ� Si osservi che in generale �(�(�)) e �(�(�)) non sono lo elemento. In generale non vale la commutativita’. Si puo’ scrivere ℎ� = �ℎ quando ℎ ≥ ��� . Infatti si ha - 108 -


đ?‘“

ℎ≥���

� → �(�) → ℎ≥���

�→

đ?‘“(đ?’—)

đ?‘“

đ?’— → đ?‘“(đ?’—) per ogni đ?’— ∈ đ?‘‰

Un esercizio sulle applicazioni lineari Dire se đ?‘“: đ?‘… 3 → đ?‘… 2 definita da f(x,y,z) = (|đ?‘Ľ|, (đ?‘Ś + đ?‘§)) e’ una applicazione lineare. L’operazione moltiplicativa e’ tale che đ?‘˜đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = (đ?‘˜|đ?‘Ľ|, đ?‘˜(đ?‘Ś + đ?‘§)). A cio’ si perviene ammettendo che đ?‘˜đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§) = đ?‘“(đ?‘˜đ?‘Ľ, đ?‘˜đ?‘Ś, đ?‘˜đ?‘§). Ulteriormente viene definita la somma come segue

�(�, �, �) + �(�′, �′, �′) = (|�|, (� + �)) + (|� ′ |, (� ′ + � ′ )) = (|�| + |� ′ |, (� + �) +

(� ′ + � ′ )).

Polinomi e operatori lineari La trasformazione identica idV che possiamo indicare anche con I e’ un elemento di A(V). Tramite essa ogni elemento di V viene mandato in se stesso, risultando quindi đ?’— = đ?‘“(đ?’—) . E’ gia’ stato ricordato che IF = đ??šđ??ź ∀đ??š ∈ đ??´(đ?‘‰). Sia F una applicazione lineare del tipo F: đ?‘‰ → đ?‘‰ . Puo’ essere definita la potenza di F in modo induttivo come segue đ??š đ?‘› = đ??šÂ°đ??šÂ° ‌ ‌ °đ??š quindi intesa come la funzione composta di n applicazioni F . Partendo dai polinomi di grado n sul campo K in una data indeterminata, generalmente indicata con la lettera t, cioe’ da đ?‘?(đ?‘Ą) = đ?‘Ž0 + đ?‘Ž1 đ?‘Ą + đ?‘Ž2 đ?‘Ą 2 + â‹Ż ‌ + đ?‘Žđ?‘› đ?‘Ą đ?‘› . Si considera l’operatore đ?‘?(đ??ź) = đ?‘Ž0 đ??ź + đ?‘Ž1 đ??š + đ?‘Ž2 đ??š 2 + â‹Ż ‌ + đ?‘Žđ?‘› đ??š đ?‘› Se p(F) = 0 si dice che F e’ uno zero di p(t) . - 109 -


Operatori invertibili di A(V) Occorre precisare quando un operatore F di A(V) e’ invertibile. F : V → đ?‘‰ a condizione che esista un đ??š −1 di A(V) cioe’ del tipo đ??š −1 : V → đ?‘‰ dovendo risultare Fđ??š −1 = đ??š −1 đ??š = đ??ź. In altri termini nel caso di un operatore invertibile deve risultare per ogni đ?’— ∈ đ?‘‰ che đ??š

đ??š −1

đ?’— → đ??š(đ?’—) → đ??š −1 (đ??š(đ?’—))= đ?’— đ??š

đ??š −1

In particolare đ?&#x;Žđ?’— → đ??š(đ?&#x;Žđ?’— ) → đ??š −1 (đ??š(đ?&#x;Žđ?’— ))= đ?&#x;Žđ?’— .

Iniettivita’ e conseguenze. Se l’endomorfismo e’ iniettivo si ha đ?’– ≠đ?’— ⇒ đ?‘“(đ?’–) ≠đ?‘“(đ?’—) . Risulta anche ∀đ?’— ∈ đ?‘‰ ∃! đ?‘“(đ?’—) ∈ đ?‘‰ . Ammettiamo per assurdo che ∃ đ?‘“(đ?‘Ł) ∈ đ?‘‰ quando đ?‘Ł ∉ đ?‘‰. Si tratta di una assurdita’ in quanto đ?‘“ e’ applicato ad elementi di V. E’ invece essenziale la iniettivita’. Infatti fosse đ?‘“(đ?’–) = đ?‘“(đ?’—) per almeno una coppia di vettori di V tali che đ?’– ≠đ?’— allora sarebbe đ?‘“(đ?’–) − đ?‘“(đ?’—) = đ?‘“(đ?’– − đ?’—) = đ?&#x;Ž . Quindi, posto đ?’– ≠đ?’— risulterebbe un đ?’– − đ?’— ≠đ?&#x;Ž ∈ đ?‘˜đ?‘’đ?‘&#x; đ?‘“ . la condizione đ?‘“(đ?’–) ≠đ?‘“(đ?’—) per ogni coppia di vettori distinti di V equivale ad ammettere đ?‘˜đ?‘’đ?‘&#x; đ?‘“ = {đ?&#x;Žđ?‘˝ } . Vanno sviluppati e sintetizzati i punti che conducono al seguente teorema delle condizioni di equivalenza per un operatore lineare, cosi’ sintetizzato đ?‘˜đ?‘’đ?‘&#x; đ?‘“ = {0đ?‘‰ } ⇔ đ?‘“ đ?‘’ ′ đ?‘–đ?‘›đ?‘–đ?‘’đ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘–đ?‘Łđ?‘œ ⇔ đ?‘“ đ?‘’ ′ đ?‘ đ?‘˘đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘’đ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘–đ?‘Łđ?‘œ ⇔ đ?‘“ đ?‘’ ′ đ?‘–đ?‘›đ?‘Łđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘Ąđ?‘–đ?‘?đ?‘–đ?‘™đ?‘’

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Diagonalizzazione E’ possibile sviluppare le considerazioni sui polinomi di matrici. Dati due polinomi f e g su K sono vere le seguenti proprieta’ (đ?‘“ + đ?‘”)đ??´ = đ?‘“(đ??´) + đ?‘”(đ??´) đ?‘“đ?‘” (đ??´) = đ?‘“(đ??´)đ?‘”(đ??ľ) đ?‘˜đ?‘“(đ??´) = đ?‘“(đ?‘˜đ??´) { đ?‘“(đ??´)đ?‘”(đ??ľ) = đ?‘”(đ??ľ)đ?‘“(đ??´) L’ultima proprieta’ considerata si enuncia dicendo che i due polinomi si commutano. Dato A il polinomio caratteristico di A, indicato a volte con ∆t, quando si considera l’indeterminata t, risulta ∆đ?‘Ą = det( đ?‘Ąđ??źđ?‘› − đ??´) = (−1)đ?‘› det (đ??´ − đ?‘Ąđ??źđ?‘› ) = (đ?‘Ą − đ?‘Ž11 )(đ?‘Ą − đ?‘Ž22 ) ‌ . (đ?‘Ą − đ?‘Žđ?‘›đ?‘› ) dove đ?‘Žđ?‘–đ?‘– indica gli elementi della diagonale principale della matrice A. Si puo’ quindi considerare il polinomio caratteristico di un operatore lineare T : V→ đ?‘‰ essendo la dimensione di V finita. Solitamente e’ data una matrice A rappresentativa di T. Si dice che p(A) e’ il polinomio caratteristico di T. Cio’ vale per ogni matrice A che sia rappresentativa di T. Due distinte matrici A e B sono rappresentative di T, rispetto a distinte bassi, se esiste una matrice P, detta matrice di cambiamento di basi , risultando vera la seguente relazione tra matrici B = đ?‘ƒâˆ’1 đ??´đ?‘ƒ . Le matrici A e B sono simili e risulta p(A)= đ?‘?(đ??ľ) . Vale la seguente coimplicazione p(T)= 0 ⇔ đ?‘“(đ??´) = 0 . Integrali di superficie . Superfici orientate - 111 -


Dato il piano xy e dato un rettangolo D in esso, suddivisibile in rettangoli di lati ∆đ?‘Ľ, đ?‘’ ∆đ?‘Ś . Sia data la funzione vettoriale đ?’“ = đ?’“(đ?‘˘, đ?‘Ł) = đ?‘Ľ(đ?‘˘, đ?‘Ł)đ?’Š + đ?‘Ś(đ?‘˘, đ?‘Ł)đ?’‹ + đ?‘§(đ?‘˘, đ?‘Ł)đ?’Œ , in ∗ forma parametrica e sia ∑đ?‘›đ?‘–=1 ∑đ?‘š đ?‘—=1 đ?‘“(đ?‘ƒđ?‘–đ?‘— )∆đ?‘†đ?‘–đ?‘— .

r

Tale limite se esiste finito per m ed n tendenti all’infinito e’ detto integrale di superficie di S e si scrive �

âˆŤ âˆŤ đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?‘‘đ?‘† = đ?‘†

lim

đ?‘›,đ?‘š →+∞

đ?‘š

∑ ∑ đ?‘“(đ?‘ƒđ?‘–đ?‘—∗ )∆đ?‘†đ?‘–đ?‘— đ?‘–=1 đ?‘—=1

L’elemento di area ∆đ?‘† di S e’ approssimato da ∆đ?‘† = |đ?’“đ?’– Ă— đ?’“đ?’— |∆đ?‘˘âˆ†đ?‘Ł dovendo essere verificate le seguenti condizioni đ?œ•đ?‘Ľ đ?œ•đ?‘Ś đ?œ•đ?‘§ đ?’Š+ đ?’‹+ đ?’Šâ‰ đ?&#x;Ž đ?œ•đ?‘˘ đ?œ•đ?‘˘ đ?œ•đ?‘˘ đ?œ•đ?‘Ľ đ?œ•đ?‘Ś đ?œ•đ?‘§ đ?’“đ?’— = đ?‘–+ đ?’‹+ đ?’Šâ‰ đ?&#x;Ž đ?œ•đ?‘Ł đ?œ•đ?‘Ł đ?œ•đ?‘Ł {đ?‘– đ?‘‘đ?‘˘đ?‘’ đ?‘Łđ?‘’đ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘œđ?‘&#x;đ?‘– đ?‘ đ?‘œđ?‘›đ?‘œ đ?‘›đ?‘œđ?‘› đ?‘?đ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘™đ?‘™đ?‘’đ?‘™đ?‘– đ?‘’ â„Žđ?‘Žđ?‘›đ?‘›đ?‘œ đ?‘?đ?‘œđ?‘šđ?‘?đ?‘œđ?‘›đ?‘’đ?‘›đ?‘Ąđ?‘– đ?‘?đ?‘œđ?‘›đ?‘Ąđ?‘–đ?‘›đ?‘˘đ?‘’ đ?’“đ?’– =

Si puo’ scrivere âˆŤ âˆŤ đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś, đ?‘§)đ?‘‘đ?‘† = âˆŤ âˆŤ đ?‘“(đ?‘&#x;(đ?‘˘, đ?‘Ł)| |đ?’“đ?’– Ă— đ?’“đ?’— |∆đ?‘˘âˆ†đ?‘Ł đ?‘†

đ??ˇ

Viene osservato (Stewart) che la superficie z = �(�, �) puo’ agevolmente essere resa in forma parametrica secondo una modalita’ per certi versi scontata, cioe’ ponendo

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đ?œ• đ?‘Ľ=đ?‘Ľ đ?’“đ?’™ = đ?’Š + đ?œ•đ?‘Ľ đ?‘”(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?’Œ { đ?‘Ś=đ?‘Ś potendo quindi scrivere che { . đ?œ• đ?’“ = đ?’‹ + đ?‘”(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?’Œ đ?‘§ = đ?‘”(đ?‘Ľ, đ?‘Ś) đ?’š đ?œ•đ?‘Ś

A questo punto occorre calcolare đ?’“đ?’™ Ă— đ?’“đ?’š e quindi il relativo modulo che e’ ∂z

∂z

|đ?’“đ?’™ Ă— đ?’“đ?’š | = √(∂x)2 + (∂y)2 + 1 Sviluppando la materia si incontrano le cosiddette superfici orientate. Un esempio molto banale ma che sicuramente da l’idea di una superficie orientata e’ il seguente che indica il piano đ?‘§ = đ?‘˜ nello spazio ordinario.

I due versori (nero e blu) opposti e idealmente pensabili come applicati ad un punto del piano considerato ben fanno comprendere come una superficie orientata possa essere intesa “come una superficie a due facce� (Stewart) .

Integrali di superficie di campi vettoriali. Teorema di Stokes (enunciato). E’ data una superficie orientata S ed un versore normale n . Sia F un campo vettoriale continuo, definito in ogni punto di S. L’integrale âˆŹđ?‘† đ?‘­ đ?‘‘đ?‘ş = âˆŹđ?‘† đ?‘­đ?’? đ?‘‘đ?‘ş e’ detto integrale di superficie di F su S, detto anche flusso di F attraverso S (Stewart).

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Ho trovato molto interessanti gli sviluppi operativi e gli esiti pratici di questo concetto specie con riferimento al fatto che la regione S (una superficie) possa essere assegnata da una funzione della x ed della y scrivendo quindi đ?‘§ = đ?‘”(đ?‘Ľ, đ?‘Ś) (Stewuat). Risulta operativamente importante đ?œ•đ?‘”

đ?œ•đ?‘”

âˆŹđ?‘† đ?‘­ đ?‘‘đ?‘ş = âˆŹđ??ˇ (−đ?‘ƒ đ?œ•đ?‘Ľ − đ?‘„ đ?œ•đ?‘Ś + đ?‘…)đ?‘‘đ??´ Il teorema di Stokes puo’ essere posto nella forma âˆŤđ??ś đ?‘­ đ?‘‘đ?’“ = âˆŹđ?‘† đ?‘&#x;đ?‘œđ?‘Ąđ?‘­ đ?‘‘đ?‘ş

Teorema della divergenza di Gauđ?œˇ (enunciato) Se E e’ una regione semplice solida e se S e’ la superficie che racchiude E (la sua “frontieraâ€?) con orientazione positiva, quindi uscente . đ?‘­ e’ il campo vettoriale le cui funzioni scalari componenti hanno derivate parziali continue in una regione aperta che contiene E. Si ha âˆŹđ?‘† đ?‘­ đ?‘‘đ?‘ş = ∭đ?‘Ł đ?‘‘đ?‘–đ?‘Ł đ?‘­ đ?‘‘đ?‘‰ đ?œ•đ?‘ƒ

đ?œ•đ?‘„

đ?œ•đ?‘…

Se đ?‘‘đ?‘–đ?‘Ł đ??š = đ?œ•đ?‘Ľ + đ?œ•đ?‘Ś + đ?œ•đ?‘§ Va

precisato

che

đ?œ•đ?‘ƒ

đ?œ•đ?‘„

∭đ?‘Ł đ?‘‘đ?‘–đ?‘Ł đ?‘­ đ?‘‘đ?‘‰ = ∭đ?‘Ł đ?‘‘đ?‘–đ?‘Ł đ?œ•đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘‰ + ∭đ?‘Ł đ?‘‘đ?‘–đ?‘Ł đ?œ•đ?‘Ś đ?‘‘đ?‘‰ +

đ?œ•đ?‘…

∭đ?‘Ł đ?‘‘đ?‘–đ?‘Ł đ?œ•đ?‘§ đ?‘‘đ?‘‰ Per la dimostrazione e’ utilmente consultabile la manualistica (Stewart, per esempio).

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Funzionali lineari. Spazio duale. Dato uno spazio vettoriale V ed un campo K. Una applicazione đ?œ‘ che associa ad un elemento di V un elemento di K e’ detta funzionale lineare (o, anche, forma lineare) qualora sia đ?œ‘(đ?‘Žđ?’– + đ?‘?đ?’—) = đ?‘Žđ?œ‘(đ?’–) + đ?‘?đ?œ‘(đ?’—) ∀đ?’–, đ?’— ∈ đ?‘‰ , ∀đ?‘Ž, đ?‘? ∈ đ??ž . đ?œ‘

La lettera đ?œ‘ denota una applicazione da V a K. In simboli đ?œ‘: đ?‘‰ → đ??ž | đ?’— → đ?œ‘(đ?’—) ∈ đ??ž. Al solito K puo’ essere l’insieme R dei numeri reali oppure l’insieme C dei numeri complessi. Un ulteriore sviluppo della teoria e’ la definizione dell’insieme i cui elementi sono tutti (e soli) i funzionali lineari. Tale insieme ha struttura di spazio vettoriale. (đ?œ‘ + đ?œŽ)đ?‘Ł = đ?œ‘(đ?’—) + đ?œŽ(đ?’—) Siano đ?œ‘ e đ?œŽ due funzionali lineari. Si ammette sia { (đ?‘˜đ?œ‘)đ?’— = đ?œ‘(đ?‘˜đ?’—) Tali relazioni sono compendiate dalla seguente (đ?›źđ?œ‘ + đ?›˝đ?œŽ)đ?’— = đ?›ź(đ?œ‘(đ?’—)) + đ?›˝(đ?œŽ(đ?’—)) ) . L’insieme {đ?œ‘đ?‘– | đ?›źđ?œ‘đ?‘– (đ?‘Ł) + đ?›˝đ?œ‘đ?‘– (đ?‘˘) ∈ đ?‘‰ , đ?›ź, đ?›˝ ∈ đ??ž} e’ detto spazio duale di V e solitamente e’ indicato con đ?‘‰ ∗ .

Forme bilineari Dato uno spazio vettoriale V di dimensione finita su un campo K una applicazione đ?‘“: đ?‘‰ Ă— đ?‘‰ → đ??ž tale quindi che ad ogni coppia (u , v) di đ?‘‰ Ă— đ?‘‰ corrisponde uno ed uno solo elemento di K, che, al solito puo’ essere il campo dei numeri reali oppure quello dei numeri complessi, e’ detta forma bilineare se ∀đ?‘Ž, đ?‘? ∈ đ??ž, ∀ đ?’–đ?&#x;? , đ?’–đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? di V risultano vere le due relazioni seguenti

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đ?‘“(đ?‘Žđ?‘˘1 + đ?‘?đ?‘˘2 , đ?‘Ł) = đ?‘Žđ?‘“(đ?‘˘1 , đ?‘Ł) + đ?‘?đ?‘“(đ?‘˘2 , đ?‘Ł) (linearita’ nella prima variabile) đ?‘“( đ?‘˘ , đ?‘Žđ?‘Ł1 + đ?‘?đ?‘Ł2 ) = đ?‘Žđ?‘“(đ?‘˘, đ?‘Ł1 ) + đ?‘?đ?‘“(đ?‘˘, đ?‘Ł2 ) (linearita’ nella seconda variabile). Uno degli esempi tipici di forma bilineare e’ il prodotto scalare canonico di đ?‘… đ?‘› definito come đ?‘“(đ?‘˘, đ?‘Ł) = đ?‘˘đ?‘Ł = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘˘đ?‘– đ?‘Łđ?‘– . A questo punto e’ introducibile la nozione di spazio delle forme bilineari. L’insieme i cui elementi sono tutte le forme bilineari su V (inteso come spazio vettoriale) e’ solitamente indicato con B(V). B(V) e’ uno spazio lineare. Se {

đ?‘“ đ?‘’đ?‘”

sono

due

forme

bilineari

allora

si

ammette

che

(đ?‘“ + đ?‘”) (đ?‘˘, đ?‘Ł) = đ?‘“(đ?‘˘, đ?‘Ł) + đ?‘”(đ?‘˘, đ?‘Ł) . đ?‘˜đ?‘“(đ?‘Ł) = (đ?‘˜đ?‘“)(đ?‘˘, đ?‘Ł)

Sviluppi introduttivi e definizioni utili relative alle forme bilineari Data una forma bilineare su V del quale sia data una base {đ?‘˘1 , đ?‘˘2 , ‌ . , đ?‘˘đ?‘› } . Siano dati due vettori di V tali che đ?’– = đ?‘Ž1 đ?’–đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’–đ?&#x;? + â‹Ż . . +đ?‘Žđ?‘› đ?’–đ?’? đ?’— = đ?‘?1 đ?’–đ?&#x;? + đ?‘?2 đ?’–đ?&#x;? + â‹Ż . . +đ?‘?đ?‘› đ?’–đ?’? Per la forma bilineare đ?‘“ si scrive đ?‘“(đ?’–, đ?’—) = đ?‘“(đ?‘Ž1 đ?’–đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’–đ?&#x;? + â‹Ż . . +đ?‘Žđ?‘› đ?’–đ?’? , đ?‘?1 đ?’–đ?&#x;? + đ?‘?2 đ?’–đ?&#x;? + â‹Ż . . +đ?‘?đ?‘› đ?’–đ?’? )= ∑ đ?‘Žđ?‘– đ?‘?đ?‘— đ?‘“(đ?‘˘đ?‘– , đ?‘˘đ?‘— ) = (đ?‘˘)đ?‘‡đ?‘ A(đ?‘Ł)đ?‘† | . In tale relazione (đ?‘Ł)đ?‘† indica il vettore colonna delle coordinate nella data base.

Occorre ricordare le seguenti definizioni. Una forma bilineare e’ detta alternata se đ?‘“(đ?’—, đ?’—) = 0 ∀đ?’— ∈ đ?‘‰ .

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Una forma bilineare e’ detta antisimmetrica se ∀ đ?’–, đ?’— ∈ đ?‘‰ risulta f(u,v)= −đ?‘“(đ?’—, đ?’–). Una forma bilineare e’ simmetrica se đ?‘“(đ?’–, đ?’—) = đ?‘“(đ?’—, đ?’–) ∀ đ?’–, đ?’— ∈ đ?‘‰.

Operatori lineari su spazi con prodotto scalare A(V) e’ l’insieme i cui elementi sono gli operatori lineari T su uno spazio con prodotto scalare. Ne sono, fino a questo punto, stati introdotti alcuni ben noti quali i due prodotti scalari canonici su R e su C. Essi sono i seguenti {

< đ?’–, đ?’— >= đ?’–đ?‘ť đ?’— . Ě… < đ?’–, đ?’— >= đ?’–đ?‘ť đ?’—

Per definizione l’operatore T ammette un operatore aggiunto su V, indicato con đ?‘‡ ∗ se risulta che < đ?‘‡(đ?’–), đ?’— >=< đ?’–, đ?‘‡ ∗ (đ?’—) > ∀đ?’–, đ?’— ∈ V . Si dimostra che tale operatore, se esiste e’ unico. Valgono le seguenti proprieta’ (đ?‘‡1 + đ?‘‡2 )∗ = đ?‘‡1∗ + đ?‘‡2∗ (đ?‘˜đ?‘‡)∗ = đ?‘˜Ě…đ?‘‡ ∗ (đ?‘‡1 đ?‘‡2 )∗ = đ?‘‡2∗ đ?‘‡1∗ (đ?‘‡ ∗ )∗ = đ?‘‡ (le dimostrazioni sono contenute in Lipschutz, Lipton cit. Cap. 13).

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Verifica di forme bilineari e esercizi sul prodotto scalare canonico Verifica di una forma bilineare. Siano dati due vettori đ?’– = (đ?‘˘1 , đ?‘˘2 ) e đ?’— = (đ?‘Ł1 , đ?‘Ł2 ) di đ?‘… 2 . Ci si deve chiedere se đ?‘“(đ?‘˘, đ?‘Ł) = 2đ?‘˘1 đ?‘Ł2 + 3đ?‘˘2 đ?‘Ł1 e’ una forma bilaterale . Tale espressione e’ detta polinomio bilaterale. La questione e’ immediatamente decidibile utilizzando la forma matriciale cioe’ scrivendo đ?‘“(đ?‘˘. đ?‘Ł) = đ?‘‹ đ?‘‡ đ??´đ?‘Œ = (đ?‘˘1 , đ?‘˘2 )đ??´ (đ?‘Łđ?‘Ł1 ) = (đ?‘˘1 , đ?‘˘2 ) [ 2

Si osservi che la matrice [

0 2 đ?‘Ł1 ]( ). 3 0 đ?‘Ł2

0 2 ] non ha gli elementi della diagonale principale positivi e il 3 0

determinante vale −6. Quindi la forma considerata non e’ bilineare. Come ulteriore esempio ci si puo’ chiedere se dati đ?’– = (đ?‘˘1 , đ?‘˘2 ) e đ?’— = (đ?‘Ł1 , đ?‘Ł2 ) di đ?‘… 2 risulti che la đ?‘“(đ?’–, đ?’—) = đ?‘˘1 đ?‘Ł1 − 2đ?‘˘1 đ?‘Ł2 − 2đ?‘˘2 đ?‘Ł1 + 5đ?‘˘2 đ?‘Ł2 sia una forma bilineare. â&#x;¨đ?’–, đ?’—â&#x;Š = (đ?‘˘1 , đ?‘˘2 ) [

1 −2 ] (đ?‘Ł1 , đ?‘Ł2 )đ?‘‡ . −2 5

Gli elementi della diagonale principale della matrice sono entrambi positivi. Risulta det [

1 −2 ] = 1 ∗ 5 − (−2)(−2) = 5 − 4 > 0. La matrice A e’ definita −2 5

positiva. Ne consegue che

đ?‘“(đ?’–, đ?’—) = đ?‘˘1 đ?‘Ł1 − 2đ?‘˘1 đ?‘Ł2 − 2đ?‘˘2 đ?‘Ł1 + 5đ?‘˘2 đ?‘Ł2 e’ una forma

bilineare .

Possono ora essere considerati alcuni esempi di prodotti scalari canonici di đ?‘… đ?‘› e di đ??ś đ?‘› . Dati ad esempio i vettori đ?’‚ = (2 , 3) đ?‘’ đ?’ƒ = (1, 1) e’ richiesto di calcolare il prodotto scalare canonico in đ?‘… 2 e la norma del vettore a. In questo caso si ha â&#x;¨đ?‘Ž, đ?‘?â&#x;Š = 2 ∗ 1 + 3 ∗ 1 = 2 + 3 = 5 . - 118 -


‖đ?’‚‖ = √22 + 32 = √13

Si dimostra agevolmente che se đ?‘“(đ?‘˘, đ?‘Ł) đ?‘’ đ?‘”(đ?‘˘, đ?‘Ł) sono due prodotti scalari allora anche đ?‘“(đ?‘˘, đ?‘Ł) + đ?‘”(đ?‘˘, đ?‘Ł) e’ un prodotto scalare. Siano đ?‘“(đ?’–, đ?’—) = ⌊đ?’–, đ?’—âŒŞđ?&#x;? e đ?‘”(đ?’–, đ?’—) = ⌊đ?’–, đ?’—âŒŞđ?&#x;? i due prodotti scalari dati. Risultano le seguenti due rappresentazioni matriciali (forme matriciali) đ?‘Ľ1 đ?‘“(đ?’–, đ?’—) = ⌊đ?’–, đ?’—âŒŞđ?&#x;? = (đ?‘Ľ )A(đ?‘Ś1 , đ?‘Ś2 ) dovendo A essere una matrice definita positiva 2 đ?‘Ľ1 đ?‘”(đ?’–, đ?’—) = ⌊đ?’–, đ?’—âŒŞđ?&#x;? = (đ?‘Ľ ) đ??ľ(đ?‘Ś1 , đ?‘Ś2 ) dovendo B essere una matrice definita positiva . 2 Sommando membro a membro si ha đ?‘Ľ1 đ?‘Ľ1 đ?‘Ľ1 đ?‘“(đ?’–, đ?’—) + đ?‘”(đ?’–, đ?’—) = (đ?‘Ľ )A(đ?‘Ś1 , đ?‘Ś2 ) + (đ?‘Ľ ) đ??ľ(đ?‘Ś1 , đ?‘Ś2 ) = (đ?‘Ľ ) ⌋ A(đ?‘Ś1 , đ?‘Ś2 ) +đ??ľ(đ?‘Ś1 , đ?‘Ś2 ) 2 2 2 đ?‘Ľ1 âŚŒ = (đ?‘Ľ ) ⌋ (A+đ??ľ)(đ?‘Ś1 , đ?‘Ś2 ) âŚŒ 2

Affinche’ sia đ?‘“(đ?’–, đ?’—) + đ?‘”(đ?’–, đ?’—) deve essere che la matrice (A+đ??ľ) sia definita positiva. đ?‘Ž11 Si ha per ipotesi che le matrici A e B sono definite positive. Pertanto A = [đ?‘Ž

21

đ?‘Ž12 đ?‘Ž22 ] sotto

le condizioni đ?‘Ž11 > 0 , đ?‘Ž22 > 0 đ?‘’ đ?‘Ž11 đ?‘Ž22 > đ?‘Ž12 đ?‘Ž21 . Analogamente deve risultare B = [

đ?‘?11 đ?‘?21

đ?‘?12 ] sotto le condizioni đ?‘?11 > 0 , đ?‘?22 > 0 đ?‘’ đ?‘?11 đ?‘?22 > đ?‘?12 đ?‘?21 . đ?‘?22

Da queste condizioni risulta che đ?‘Ž11 +đ?‘?11 > 0 ed anche đ?‘Ž22 +đ?‘?22 > 0 ed anche đ?‘Ž11 đ?‘Ž22 + đ?‘?11 đ?‘?22 > đ?‘Ž12 đ?‘Ž21 + đ?‘?12 đ?‘?22 .

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La matrice đ??´ + đ??ľ risulta eguale a [

đ?‘Ž11 +đ?‘?11 đ?‘Ž21 +đ?‘?21

đ?‘Ž12 +đ?‘?12 ] e per quanto rilevato risulta đ?‘Ž22 +đ?‘?22

definita positiva. Pertanto �(�, �) + �(�, �) e’ un prodotto scalare quando lo sono �(�, �) � �(�, �) . E’ di facile constatazione che se �(�, �) e’ un prodotto scalare allora k �(�, �) e’ parimenti un prodotto scalare, per ogni k scalare .

E’, a questo punto, utile fare un esempio di prodotto scalare in đ??ś đ?‘› . Per esempio si puo’ considerare il caso đ?‘› = 2 . Dati i vettori đ?’– = (1 + đ?‘–, đ?‘–) e đ?’— = (đ?‘– , đ?‘– − 1) elementi di đ??ś 2 . E’ utile ricordare che â&#x;¨u, vâ&#x;Š= đ?‘˘1 Ě…Ě…Ě… đ?‘Ł1 + đ?‘˘2 Ě…Ě…Ě… đ?‘Ł2 . Pertanto e’ necessario considerare i coniugati Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… = (0, −1) = −đ?‘– e Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… dei numeri đ?‘– , đ?‘– − 1 risultando che (0,1) (−1, 1) = (−1, −1) = −1 − đ?‘–. Conseguentemente si ha â&#x;¨u, vâ&#x;Š= đ?‘˘1 Ě…Ě…Ě… đ?‘Ł1 + đ?‘˘2 Ě…Ě…Ě… đ?‘Ł2 = (1 + đ?‘–)(−đ?‘–) + đ?‘– (−1 − đ?‘–) = −đ?‘– − đ?‘– 2 − đ?‘– − đ?‘– 2 = −2đ?‘– + 2 = 2(1 − đ?‘–). E’ utile ricordare che la norma di đ?’– e’ ‖đ?‘˘â€– = √|đ?‘§1 |2 + |đ?‘§2 |2 + â‹Ż . . +|đ?‘§đ?‘› |2 E’ utile ricordare che |đ?‘§đ?‘› |2 = √(đ?‘Žđ?‘› )2 + (đ?‘?đ?‘› )2 essendo đ?‘§đ?‘› = (đ?‘Žđ?‘› , đ?‘?đ?‘› ). Su questi aspetti si ritornera’ piu’ oltre quando saranno esaminate le matrici hermitiane.

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Le funzioni continue in ⌋a, bâŚŒ ⊂ đ?‘š. Struttura di spazio vettoriale e prodotto scalare di funzioni. L’insieme delle funzioni continue in ⌋a, bâŚŒ ⊂ đ?‘… e’ uno spazio vettoriale con il formalismo đ??ś 0 ⌋a, bâŚŒ. Le funzioni ivi derivabili sono indicate con đ??ś 1 ⌋a, bâŚŒ. Come detto, occorre verificare che l’insieme đ??ś 0 ⌋a, bâŚŒ e’ uno spazio vettoriale. Infatti, se le funzioni f(x) e g(x) sono continue in ⌋a, bâŚŒ, quindi appartengono a đ??ś 0 ⌋a, bâŚŒ anche le funzioni đ?‘˜1 đ?‘“(đ?‘Ľ) + đ?‘˜2 đ?‘”(đ?‘Ľ) per ogni coppia (đ?‘˜1 , đ?‘˜2 ) ≠(0, 0) . ∀ đ?‘“(đ?‘Ľ) ∈ đ??ś 0 ⌋a, bâŚŒ . Se f e g sono due funzioni di đ??ś 0 ⌋a, bâŚŒ viene definito il prodotto scalare â&#x;¨đ?‘“, đ?‘”â&#x;Š come segue đ?‘?

â&#x;¨đ?‘“, đ?‘”â&#x;Š = âˆŤđ?‘Ž đ?‘“(đ?‘Ľ)đ?‘”(đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ Tale definizione, infatti, gode della proprieta’ di simmetria. Infatti si puo’ affermare che đ?‘?

đ?‘?

âˆŤđ?‘Ž đ?‘“(đ?‘Ľ)đ?‘”(đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ = âˆŤđ?‘Ž đ?‘”(đ?‘Ľ)đ?‘“(đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ da cui consegue, ovviamente, che â&#x;¨đ?‘“, đ?‘”â&#x;Š = â&#x;¨đ?‘”, đ?‘“â&#x;Š . đ?‘?

Vale anche la proprieta’ di positivita’ in quanto âˆŤđ?‘Ž (đ?‘“(đ?‘Ľ)2 đ?‘‘đ?‘Ľ ≼ 0 .

a

La funzione (đ?‘“(đ?‘Ľ)2

b

giace al di sopra dell’asse delle x, anche nel caso in cui fosse

đ?‘“(đ?‘Ľ) < 0 . La parte in giallo sottostante (đ?‘“(đ?‘Ľ)2 e’ la superficie di cui l’integrale dato e’ la misura (area). đ?‘?

Risulta, in particolare, âˆŤđ?‘Ž (đ?‘“(đ?‘Ľ)2 đ?‘‘đ?‘Ľ = 0 quando đ?‘“(đ?‘Ľ) ≥ 0 ∀đ?‘Ľ| đ?‘Ľ ∈ ⌋đ?‘Ž, đ?‘?âŚŒ . In altri termini in questo caso ci si riferisce al fatto che sia f(x) = 0 (đ?‘Ž, đ?‘?) tenendo conto che lim+ đ?‘“(đ?‘Ľ) = lim− đ?‘“(đ?‘Ľ) . đ?‘Ľâ†’đ?‘Ž

đ?‘Ľâ†’đ?‘?

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∀đ?‘Ľ| đ?‘Ľ ∈


La positivita’ del prodotto scalare e’ scritta â&#x;¨f, gâ&#x;Šâ‰Ľ 0 . đ?‘?

Vale anche la proprieta’ di linearita’ per la quale âˆŤđ?‘Ž (đ?›źđ?‘“(đ?‘Ľ) + đ?›˝đ?‘”(đ?‘Ľ)) đ?‘Ą(đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ = đ?‘?

đ?‘?

đ?›ź âˆŤđ?‘Ž đ?‘“(đ?‘Ľ)đ?‘Ą(đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?›˝ âˆŤđ?‘Ž đ?‘”(đ?‘Ľ)đ?‘Ą(đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ . Essa e’ una immediata proprieta’ della linearita’ dell’integrale definito . Il primo membro diviene eguale al secondo. La linearita’ del prodotto scalare viene formalmente scritta con â&#x;¨đ?›źđ?’– + đ?›˝đ?’˜, đ?’—â&#x;Š = đ?›źâ&#x;¨đ?’—, đ?’–â&#x;Š + đ?›˝â&#x;¨đ?’˜, đ?’–â&#x;Š.

Esempi di spazi vettoriali di funzioni Nella manualistica si rinvengono interessanti esempi di applicazioni lineari di funzioni da V a V, cioe’ di endomorfismi. Viene ad esempio richiesto (Odetti, Raimondo) di verificare che l’applicazione đ?‘“ âˆś đ?‘“ ′′ + đ?‘“ e’ una applicazione lineare. Giova osservare che deve trattarsi di funzioni che in un dato intervallo finito ⌋a, bâŚŒ ⊂ R sono derivabili due volte, dovendo riferirsi quindi a funzioni che secondo il formalismo standard sono appartenenti all’insieme đ??ś 2 ⌋a, bâŚŒ . In altri termini si ammette che f e g siano tali che f ∈ ⌋a, bâŚŒ e g ∈ ⌋a, bâŚŒ . Quindi ∀đ?‘˜ | đ?‘˜ ∈ đ?‘… risulta che kf ∈ ⌋a, bâŚŒ risultando evidente che Dkf= đ?‘˜đ?‘“′ . đ?œ‘

đ?œ‘

Se đ?‘“ → đ?‘“ ′′ + đ?‘“ risulta anche che đ?‘˜đ?‘“ → đ?‘˜đ?‘“ ′′ + đ?‘˜đ?‘“ = đ?‘˜(đ?‘“ ′′ + đ?‘“) đ?œ‘

Considerata una funzione đ?‘” si puo dire che đ?‘” → đ?‘”′′ + đ?‘” ed ulteriormente si puo’ đ?œ‘

scrivere che đ?‘“ + đ?‘” → (đ?‘“′′ + đ?‘“) +(đ?‘”′′ + đ?‘”) . Le funzioni considerate devono ovviamente essere doppiamente derivabili in ⌋a, bâŚŒ .

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â‹°â‹ąâ‹°â‹ąâ‹°â‹ą Si consideri ora una đ?œŽ âˆś đ?‘“ → f exp(x) Si osserva che la funzione exp(đ?‘Ľ) = đ?‘’ đ?‘Ľ e’ infinitamente derivabile, quindi đ?‘’ đ?‘Ľ ∈ đ??ś ∞ ⌋đ?‘Ž, đ?‘?âŚŒ (si ricordi che in generale tale funzione e’ definita, continua e derivabile in (−∞, +∞). Si ammetta che la funzione f sia continua e derivabile in ⌋đ?‘Ž, đ?‘?âŚŒ ed ammetta derivata seconda finita in ⌋đ?‘Ž, đ?‘?âŚŒ , sia cioe’ f ∈ đ??ś 2 ⌋đ?‘Ž, đ?‘?âŚŒ . đ?œŽ

Possiamo scrivere che đ?‘˜đ?‘“ → đ?‘˜(đ?‘“đ?‘’ đ?‘Ľ ) che e’ elemento di đ??ś 2 ⌋đ?‘Ž, đ?‘?âŚŒ . Ulteriormente

possiamo

scrivere che

đ?œŽ

� + � → �� � + �� � = (� + �)� �

che

appartiene a đ??ś 2 ⌋đ?‘Ž, đ?‘?âŚŒ .

Un approfondimento sulle norme vettoriali e un cenno alla nozione di norma matriciale Si e’ gia’ avuto modo di ricordare che uno spazio vettoriale V si dice normato se e’ definita una norma N : V → đ?‘š+ che fa corrispondere ad un elemento đ?’— di V un numero reale non negativo ‖đ?’—‖ detto norma del vettore. Affinche’ si possa parlare di norma occorre che l’applicazione che si considera goda delle tre seguenti proprieta’ N(đ?’—) = đ?&#x;Ž ⇔ đ?’— = đ?‘śđ?‘˝ N(đ?œśđ?’—) = |đ?œś|đ?‘ľ(đ?’—) N(đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;? ) ≤ đ?‘ľ(đ?’—đ?&#x;? ) + đ?‘ľ(đ?’—đ?&#x;? ) comunque vengano presi i due vettori di V. La norma che solitamente si utilizza e’ quella “indotta dal prodotto scalare canonicoâ€? (Odetti, Raimondo) e viene indicata con ‖ ‖đ?&#x;? . In questo caso si scrive - 123 -


‖đ?’—‖đ?&#x;? = √∑đ?’?đ?’Š=đ?&#x;?(đ?’™đ?’Š − đ?’šđ?&#x;? )đ?&#x;? quando V ha dimensione n. Viene invece definita distanza sull’insieme X l’applicazione đ?’…: đ?‘ż Ă— đ?‘ż → đ?‘š+ che associa ad ogni coppia di punti di đ?‘šđ?’? un numero reale non negativo. Per la distanza valgono le seguenti tre proprieta’ d(đ?’™, đ?’š) = đ?’…(đ?’š, đ?’™) ∀đ?’™, đ?’š ∈ đ?‘ż d(đ?’™, đ?’š) = đ?&#x;Ž ⇔ đ?’™ = đ?’š đ?’…(đ?’™, đ?’š) ≤ đ?’…(đ?’™, đ?’›) + đ?’…(đ?’›, đ?’š) ∀ đ?’™, đ?’š, đ?’› ∀∈ đ?‘ż Cio’ e’ vero in generale per punti di đ?‘šđ?’? . Giova ricordare che accanto alla norma euclidea ‖ ‖đ?&#x;? esistono altre norme che godono delle proprieta’ gia’ ricordate. Anzi, una applicazione non e’ una norma se non soddisfa le tre proprieta’ ricordate. Le altre due ben note norme sono le seguenti ‖đ?’—‖đ?&#x;? = |đ?’™đ?&#x;? | + |đ?’™đ?&#x;? | + â‹Ż . +|đ?’™đ?’? | dove |đ?’™đ?’Š | sono i moduli delle coordinate del vettore dato. La terza norma solitamente utilizzata e’ ‖ ‖∞ definita da ‖đ?’—‖∞ = đ?’Žđ?’‚đ?’™{đ?’™đ?’Š } . E’ forse utile una esemplificazione in đ?‘šđ?&#x;? . Con riferimento ad uno stesso vettore sono rappresentate le tre norme. đ?’™đ?&#x;?

đ?’™đ?&#x;?

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La norma del vettore disegnato e’ la misura del segmento blu, qualora ci si riferisca alla norma euclidea, mentre vanno considerate le misure dei segmenti verdi se si considera la norma ‖đ?’—‖đ?&#x;? . Con riferimento alla norma‖đ?’—‖∞ = đ?’Žđ?’‚đ?’™{|đ?’™đ?’Š |} con riferimento al caso disegnato occorre osservare che per il vettore đ?’—đ?œś risulta |đ?’™đ?&#x;?,đ?œś | >|đ?’™đ?&#x;?,đ?œś | pertanto ‖đ?’—đ?œś ‖∞ =|đ?’™đ?&#x;?,đ?œś | .

Limitandoci allo spazio in tre dimensioni e’ possibile semplificare . Dato il vettore đ?’– = (đ?&#x;?, −đ?&#x;“, đ?&#x;•) le norme ulteriori rispetto a quella euclidea sono determinate come segue

‖đ?’–‖∞ = đ??Śđ??šđ??ą(|đ?&#x;?|, |−đ?&#x;“|, |đ?&#x;•|) = đ?&#x;• ‖đ?’–‖đ?&#x;? = |2|+| − đ?&#x;“| + |đ?&#x;•| = đ?&#x;?đ?&#x;’

Norme matriciali (definizione) Una funzione ‖. ‖: đ??Œđ??Ś,đ??§ → đ??‘ e’ detta norma matriciale se 1) e’ una norma vettoriale 2)

‖đ??€đ?? ‖ ≤ ‖đ??€â€–‖đ?? ‖

Se ‖. ‖ e’ una norma vettoriale su đ?‘šđ?’? si ha per definizione ‖đ??€â€– = đ??Źđ??Žđ??Šđ?’—≠đ?&#x;Ž

‖đ??€đ??Żâ€– ‖đ??Żâ€–

al variare

di đ?’— in V .

Dimostrazione del teorema per il quale ‖đ?’–‖ = ‖đ?’—‖ ⇔< đ?’– + đ?’—, đ?’– − đ?’— > Tale teorema e’ valido con riferimento ad uno spazio vettoriale V sul corpo dei numeri reali R. Tale coimplicazione non e’ in generale vera quando ci si riferisce al corpo dei numeri complessi.

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Se si pone < đ?’– + đ?’—, đ?’– − đ?’— >= 0 risulta đ?’–đ?&#x;? − đ?’—đ?&#x;? = đ?‘˘2 − đ?‘Ł 2 = 0 đ?‘‘đ?‘Ž đ?‘?đ?‘˘đ?‘– đ?‘˘2 = đ?‘Ł 2 cioe’ ‖đ?’–‖ = ‖đ?’—‖ . Occorre ora dimostrare che ‖đ?’–‖ = ‖đ?’—‖ ⇒ < đ?’– + đ?’—, đ?’– − đ?’— >= 0. Risulta che ‖đ?’–‖ = √< đ?’–, đ?’– > e che ‖đ?’–‖ = √< đ?’—, đ?’— > . Pertanto si puo’ scrivere √< đ?’–, đ?’– >= √< đ?’—, đ?’— > ed anche < đ?’–, đ?’– >=< đ?’—, đ?’— > e quindi đ?’– đ?’– = đ?’— đ?’— cioe’ đ?’– đ?’– − đ?’— đ?’— =< đ?’– + đ?’—, đ?’– − đ?’— >= 0 . In altri termini < đ?’– + đ?’—, đ?’– − đ?’— >= 0. Il prodotto scalare in oggetto puo’ essere trattato come segue < đ?’– + đ?’—, đ?’– − đ?’— >= đ?’–đ?’– − đ?’–đ?’— + đ?’—đ?’– + đ?’—đ?’— = đ?’–đ?’– − đ?’—đ?’—.

Operatori vettoriali – Tensori di rango due Una applicazione A: đ??¸ 3 → đ??¸ 3 che associa ad un elemento đ?’— ∈ đ??¸ 3 un elemento đ?’– ∈ đ??¸ 3 in modo che risulti đ?’– = đ??´đ?’— e’ detta operatore vettoriale. L’operatore A e’ detto lineare se presi due qualunque elementi di đ??¸ 3 , comunque siano presi due scalari reali đ?›ź đ?‘’ đ?›˝ risulta đ??´(đ?›źđ?’– + đ?›˝đ?’—) = đ?›źđ??´(đ?’—) + đ?›˝đ??´(đ?’–) Un operatore vettoriale e’ detto simmetrico se đ?’–đ??´(đ?’—) = đ?’—đ??´(đ?’–) ∀đ?’–, đ?’— ∈ đ??¸ 3 Un operatore vettoriale e’ detto antisimmetrico se đ?’–đ??´(đ?’—) = −đ?’—đ??´(đ?’–) ∀đ?’–, đ?’— ∈ đ??¸ 3 Un operatore simmetrico e’ lineare. Un operatore antisimmetrico e’ lineare. E’ invalsa la prassi di scrivere indifferentemente đ?’–đ??´(đ?’—) = đ?’–đ??´đ?’— . - 126 -


Ho tratto questi interessanti spunti dalla manualistica (Bampi, Zordan). Proprio relativamente a tale fonte risulta che “ogni operatore simmetrico o antisimmetrico e’ lineareâ€?. Scrivono gli autori appena citati che “Infatti, đ?’–đ??´(Îąđ?’— + βđ?’˜) = Âą(đ?›źđ?’— + đ?›˝đ?’˜)đ??´(đ?’–) = ¹⌋đ?›źđ?’—đ??´(đ?’–) + đ?›˝đ?’˜đ??´(đ?’–) = đ?’–⌋đ?›źđ??´(đ?’—) + đ?›˝đ??´(đ?’˜)âŚŒ, l’arbitrarieta’ di u prova l’assertoâ€?. In tale dimostrazione il passaggio Âą(đ?›źđ?’— + đ?›˝đ?’˜)đ??´(đ?’–) = ¹⌋đ?›źđ?’—đ??´(đ?’–) + đ?›˝đ?’˜đ??´(đ?’–) suscita, almeno a chi non e’ specialista della materia, ma cultore, una qualche perplessita’ in quanto esso presuppone per data la linearita’ che per contro andrebbe, almeno tenendo conto dell’enunciato dimostrata. In altri termini il passaggio pare legittimo nella misura in cui si ammette per ipotesi la linearita’. Una formulazione plausibile potrebbe essere “un operatore lineare puo’ essere simmetrico o antisimmetricoâ€?. Come noto, una categoria particolare di operatori vettoriali e’ costituita dagli operatori antisimmetrici. Tali operatori vettoriali sono caratterizzati dalla condizione đ?’–đ??´đ?’— = 0 ∀đ?’–, đ?’— ∈ đ??¸ 3 . Infatti, se đ?’™, đ?’š sono due qualunque elementi di đ??¸ 3 risulta che (đ?’™ + đ?’š)đ??´(đ?’™ + đ?’š) = (đ?’™ + đ?’š)⌋đ??´(đ?’™) + đ??´(đ?’š)âŚŒ = đ?‘Ľđ??´(đ?‘Ľ) + đ?‘Ľđ??´(đ?‘Ś) + đ?‘Śđ??´(đ?‘Ľ) + đ?‘Śđ??´(đ?‘Ś) = 0 + +đ?‘Ľđ??´(đ?‘Ś) + đ?‘Śđ??´(đ?‘Ľ) + 0 = 0 ⇒ đ?‘Ľđ??´(đ?‘Ś) = −đ?‘Śđ??´(đ?‘Ľ) . Ogni operatore antisimmetrico A individua univocamente un vettore đ?’‚ tale che risulti đ??´đ?’– = đ?’‚ Ă— đ?’– Tale relazione e’ detta forma canonica dell’operatore antisimmetrico A.

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La matrice A di un operatore antisimmetrico obbedisce alla condizione A = −đ??´đ?‘‡ , mentre nel caso di un operatore vettoriale simmetrico deve risultare A = đ??´đ?‘‡ . Nel caso di un operatore antisimmetrico si ha 0 A = (−đ??´12 −đ??´13

đ??´12 0 −đ??´23

đ??´13 đ??´23 ). 0

La relazione con le coordinate del vettore đ?’‚ sono date dalla seguente matrice 0 (đ?‘Ž 3 đ?‘Ž2

−đ?‘Ž3 0 đ?‘Ž1

đ?‘Ž2 đ?‘Ž1 ) 0

Prodotto scalare e matrici hermitiane Nel presente paragrafo il prodotto scalare considerato e’quello canonico nell’insieme đ??ś đ?‘› risultando quindi < đ?’™, đ?’š >= ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Ľđ?‘– đ?‘ŚĚ…đ?‘– . Al solito đ?‘ŚĚ…đ?‘– indica il complesso coniugato del numero complesso (a, b) risultando Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… (đ?‘Ž, đ?‘?) = (đ?‘Ž, −đ?‘?). Tale prodotto scalare gode delle seguenti tre proprieta’, rispetto alle quali e’ utile qualche osservazione Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… < đ?’–, đ?’— >=< đ?’—, đ?’– > ∀đ?’–, đ?’— Come gia’ detto si pone < đ?’–, đ?’— >= ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘˘đ?‘– đ?‘ŁĚ…đ?‘– Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… Occorre, quindi, esplicitare il secondo membro, cioe’ il numero< đ?’—, đ?’– > . ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Łđ?‘– đ?‘˘Ě…đ?‘– Si ha < đ?’—, đ?’– >= ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Łđ?‘– đ?‘˘Ě…đ?‘– e pertanto si puo’ scrivere Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… < đ?’—, đ?’– >= Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… La seconda fondamentale proprieta’ e’ la cosiddetta positivita’. Deve infatti risultare - 128 -


< đ?’—, đ?’— >≼ 0, essendo < đ?’—, đ?’— >= 0 per đ?’— = đ?‘śđ?‘˝ . Risulta per definizione che < đ?’—, đ?’— >= ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Łđ?‘– đ?‘ŁĚ…đ?‘– . A questo punto occorre ricordare che il prodotto di un numero complesso per il proprio coniugato che risulta un numero reale positivo. Si puo’ procedere algebricamente scrivendo đ?‘§đ?‘§Ě… = (đ?‘Ž + đ?‘–đ?‘?)(đ?‘Ž − đ?‘–đ?‘?) = đ?‘Ž2 − đ?‘Žđ?‘–đ?‘? + đ?‘Žđ?‘–đ?‘? − (đ?‘–đ?‘?)2 = đ?‘Ž2 − (−1)đ?‘? 2 = đ?‘Ž2 + đ?‘? 2 > 0 ∀đ?‘Ž, đ?‘? ∈ đ?‘… . Il altri termini tale prodotto scalare e’ positivo perche somma di quantita’ tutte positive del tipo đ?‘Žđ?‘–2 + đ?‘?đ?‘–2 con i ≤ đ?‘› . La terza fondamentale proprieta’ e’ costituita dalla linearita’ rispetto al primo fattore. Si deve ammettere valida la seguente relazione < đ?‘Žđ?‘Ł + đ?›˝đ?‘¤ , đ?‘˘ >= đ?‘Ž < đ?‘Ł, đ?‘˘ > +đ?›˝ < đ?‘¤, đ?‘˘ > . Per semplificare le successive osservazioni si puo’ porre đ?‘Ž = đ?›˝ = 1 . Cio’ posto occorre evidenziare che < đ?‘Ł + đ?‘¤ , đ?‘˘ >=< đ?‘Ł, đ?‘˘ > +< đ?‘¤, đ?‘˘ > . Si puo’ esplicitare il secondo membro scrivendo < đ?‘Ł, đ?‘˘ > +< đ?‘¤, đ?‘˘ >= ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Łđ?‘– đ?‘˘Ě…đ?‘– + ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?œ”đ?‘– đ?‘˘Ě…đ?‘– . Si osservi che i termini coniugati đ?‘˘Ě…đ?‘– sono al variare di i ad ambo i termini posti al secondo membro. Pertanto il secondo membro puo’ essere riscritto ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Łđ?‘– đ?‘˘Ě…đ?‘– + ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?œ”đ?‘– đ?‘˘Ě…đ?‘– = ∑đ?‘›đ?‘–=1(đ?‘Łđ?‘– + đ?œ”đ?‘– ) đ?‘˘Ě…đ?‘– Ma e’ ben evidente che ∑đ?‘›đ?‘–=1(đ?‘Łđ?‘– + đ?œ”đ?‘– ) đ?‘˘Ě…đ?‘– =< đ?‘Ł + đ?‘¤ , đ?‘˘ > .

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Sia data una matrice A = (đ?‘Žđ?‘–đ?‘— ) ∈ đ?‘€đ?‘š,đ?‘› (đ??ś) (A e’ una matrice mĂ— đ?‘› i cui elementi sono numeri complessi, tenuto conto che un numero reale e ‘ intendibile come coppia (a, 0) di numeri reali). Per ottenere la coniugata trasposta di A (detta trasposta hermitiana) si procede per passi. Data A si ottiene đ??´đ?‘‡ , quindi gli elementi di

đ??´đ?‘‡ vengono sostituiti con i rispettivi

coniugati attenendo la matrice richiesta, indicata con đ??´đ??ť . In termini formali la matrice trasposta hermitiana di A e’ đ??´đ??ť = (đ?‘?đ?‘—đ?‘– = Ě…Ě…Ě…Ě…), đ?‘Žđ?‘–đ?‘— risultando đ?‘Žđ?‘–đ?‘— elementi di A. đ?‘Ż đ?’š = đ?’šđ?‘Ż đ?’™ . Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… Si puo’ scrivere < đ?’™, đ?’š > = đ?’™

Per definizione A = (đ?‘Žđ?‘–đ?‘— ) ∈ đ?‘€đ?‘š,đ?‘› (đ??ś) e’ detta hermitiana se đ??´ = đ??´đ??ť .

Forme multilineari. Prodotto tensoriale. Siano dati gli spazi vettoriali U, V, W sul corpo K. Una đ?‘“: đ?‘‰ Ă— đ?‘Š → đ?‘ˆ e’ detta bilineare se sono verificate le due seguenti condizioni â–Ş

l’applicazione đ?‘“đ?‘¤ : đ?‘Š → đ?‘ˆ | đ?‘“đ?‘¤ (đ?’˜) = đ?‘“(đ?’—, đ?’˜) e’ lineare

â–Ş

l’applicazione đ?‘“đ?‘Ł : đ?‘‰ → đ?‘ˆ | đ?‘“đ?‘Ł (đ?’—) = đ?‘“(đ?’—, đ?’˜) e’ lineare.

La applicazione đ?‘“ fa corrispondere alla coppia (đ?’—, đ?’˜) ∈ đ?‘‰ Ă— đ?‘Š il vettore u ∈ đ?‘ˆ . Si considera la mappa (sinonimo di applicazione) đ?‘”: V Ă— đ?‘Š | g(v, w) = đ?‘”(đ?’—, đ?’˜) = đ?’—⌝đ?’˜. Tale elemento e’ detto tensore. Span ({đ?‘ŁâŚťđ?‘¤ }) = đ?‘‡ = V⌝ đ?‘Š.

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In termini concreti l’insieme V Ă— đ?‘Š i cui elementi sono le coppie ordinate (đ?’—, đ?’˜) di V (prima componente) e di W (seconda componente) tramite la trasformazione bilineare đ?‘” vengono associati all’elemento đ?’—⌝đ?’˜ dell’insieme đ?‘‡ = V⌝ đ?‘Š , detto prodotto tensoriale. La relazione tra đ?‘“ e đ?‘” e’ compendiata dal seguente schema

đ?’—⌝đ?’˜ đ?’‡âˆ—

g

(đ?’—, đ?’˜)

f

u= đ?‘“(đ?’—, đ?’˜)

La applicazione đ?‘“ e’ bilineare. E’ evidente che đ?‘“ = đ?‘“ ∗ ∘ đ?‘” . ∀đ?‘“ bilineare tale che đ?‘“: (đ?’—, đ?’˜) → đ?’– ∈ đ?‘ˆ ∃! đ?‘“ ∗ | đ?‘“ = đ?‘“ ∗ ∘ đ?‘” . Il prodotto tensoriale đ?‘‡ = V⌝ đ?‘Š e’, a meno di un isomorfismo, unico. Se {đ?’—đ?’Š } e’ una base di V e {đ?’˜đ?’‹ } e’ una base di W allora đ?’—đ?’Š ⌝đ?’˜đ?’‹ e’ una base di V⌝ đ?‘Š di dimensione mn se m ed n sono le dimensioni dei due spazi vettoriali. Il prodotto tensoriale e’ associativo . Se U, V, e W sono tre spazi vettoriali su K allora esiste un unico omeomorfismo per il quale (U⌝đ?‘‰)⌝đ?‘Š → đ?‘ˆ⌝(đ?‘‰⌝đ?‘Š) tale che comunque si prendano u, v, e w, rispettivamente elementi di U, V e W risulta (u⌝đ?’—)⌝đ?’˜ → đ?’–⌝(đ?’—⌝đ?’˜).

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Applicazioni multilineari Sia đ?‘‰ đ?‘&#x; = đ?‘‰ Ă— đ?‘‰ Ă— ‌ . .Ă— đ?‘‰ (r volte), essendo V uno spazio vettoriale. Sia quindi đ?‘“: đ?‘‰ đ?‘&#x; → đ?‘ˆ, essendo V e U due spazi vettoriali sul corpo K. Una applicazione đ?‘“ e’ detta multilineare se đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) e’ lineare in ognuna delle n variabili considerando le (đ?‘› − 1) come costanti. Si scrive đ?‘“(‌ . , đ?’—đ?’‹ , đ?’—′đ?’‹ , ‌ . , ) = đ?‘“(‌ . , đ?’—đ?’‹ , ‌ . , ) + đ?‘“(. , đ?’—′ đ?’‹ , , ‌ . , ) đ?‘˜đ?‘“(‌ . , đ?’—đ?’‹ , ‌ . , ) = đ?‘“(‌ . , đ?‘˜đ?’—đ?’‹ , ‌ . , ) L’applicazione e’ detta alternante se đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) = 0 quando đ?’—đ?’Š = đ?’—đ?’‹ per đ?‘– ≠đ?‘— . In ogni applicazione multilineare si ha đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? , ‌ ‌ đ?’—đ?’Š , ‌ . , đ?’—đ?’‹ ) = − đ?‘“(đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’‹ , ‌ . , đ?’—đ?’Š ) quando si scambiano due vettori. Per ulteriori osservazioni si rimanda alle pagine che seguono l’introduzione ai covettori.

Distinzione tra prodotto cartesiano e prodotto tensoriale Sono dati due spazi vettoriali V e W di dimensioni m ed n rispettivamente con, nel caso piu’ generale � ≠� .

Prodotto cartesiano Per definizione il prodotto cartesiano đ?‘‰ Ă— đ?‘Š e’ costituito dalle coppie ordinate (đ?‘Ł, đ?‘¤). In esso la somma vettoriale e’ definita con (đ?‘Ł , đ?‘¤) + (đ?‘Ł ′ , đ?‘¤ ′ ) = (đ?‘Ł + đ?‘Ł ′ , đ?‘¤ + đ?‘¤ ′ ) e il prodotto per uno scalare k ∈ đ??ž con k(đ?‘Ł, đ?‘¤) = (đ?‘˜đ?‘Ł , đ?‘˜đ?‘¤) . Si dice che “le operazioni sono fatte componente per componenteâ€? (Strang).

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E’ immediato che dim (V× �) = dimV + dimW .

Prodotto tensoriale Dati due vettori đ?‘Ł đ?‘’ đ?‘¤ di V e W rispettivamente il prodotto tensoriale đ?‘ŁâŚťđ?‘¤ = đ?‘Łđ?‘¤ đ?‘‡ Esempio pratico. Si i vettori đ?‘Ł ∈ đ?‘… 3 e đ?‘˘ ∈ đ?‘… 4 allora si ha đ?‘Ł1 đ?‘Ł1 đ?‘˘1 , đ?‘Ł1 đ?‘˘2 , đ?‘Ł1 đ?‘˘3 , đ?‘Ł1 đ?‘˘4 đ?‘ŁâŚťđ?‘˘ = đ?‘Łđ?‘˘ = (đ?‘Ł2 ) (đ?‘˘1 , đ?‘˘2 , đ?‘˘3 , đ?‘˘4 ) = ( đ?‘Ł2 đ?‘˘1 , đ?‘Ł2 đ?‘˘2 , đ?‘Ł2 đ?‘˘3 , đ?‘Ł2 đ?‘˘4 ) đ?‘Ł3 đ?‘Ł3 đ?‘˘1 , đ?‘Ł3 đ?‘˘2 , đ?‘Ł3 đ?‘˘3 , đ?‘Ł3 đ?‘˘4 đ?‘‡

Si constata che dim đ?‘‰⌝đ?‘ˆ = đ?‘‘đ?‘–đ?‘šđ?‘‰đ?‘‘đ?‘–đ?‘šđ?‘ˆ

La base per un prodotto tensoriale e’ costituita generalmente da n = đ?‘‘đ?‘–đ?‘š đ?‘‰⌝đ?‘ˆ matrici di đ?‘˜1 righe e đ?‘˜2 colonne essendo đ?‘˜1 = đ?‘‘đ?‘–đ?‘šđ?‘‰ righe e đ?‘˜2 = đ?‘‘đ?‘–đ?‘š đ?‘ˆ.

Le matrici đ?‘˜1 đ?‘˜2 matrici A= [đ?‘Žđ?‘–đ?‘— ] di ordine đ?‘˜1 đ?‘˜2 costituiscono una base standard per il prodotto tensoriale se contengono un solo uno risultando che la somma matriciale di esse e’ la matrice S= [đ?‘Žđ?‘–đ?‘— = 1 ∀(đ?‘–, đ?‘—)] .

I tensori del secondo ordine E’ assegnato uno spazio vettoriale V di dimensione finita n. Quando e’ assegnata una base ortonormale le componenti del generico vettore đ?’– ∈ đ?‘‰ sono đ?‘˘1 = đ?’–đ?’†đ?&#x;? { ‌‌ đ?‘˘đ?‘› = đ?’–đ?’†đ?’?

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Tali relazioni sono immediatamente vere. A titolo esemplificativo si consideri per k tale che 1 ≤ đ?‘˜ ≤ đ?‘› il prodotto scalare đ?’–đ?’†đ?’Œ . Si utilizzi al riguardo il prodotto scalare cosiddetto canonico đ?’–đ?’— = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘˘đ?‘– đ?‘Łđ?‘– che con riferimento al calcolo di specie consente di scrivere đ?’–đ?’†đ?’Œ = đ?‘˘1 0 + đ?‘˘1 0 + â‹Ż . +đ?‘˘đ?‘˜âˆ’1 0 + đ?‘˘đ?‘˜ 1 + đ?‘˘đ?‘˜+1 0 + â‹Ż . +đ?‘˘đ?‘› 0 = đ?‘˘đ?‘˜ 1 = đ?‘˘đ?‘˜ . La norma utilizzata e’ quella classica euclidea ‖đ?’—‖ = √∑đ?‘›đ?‘–=1(đ?‘Łđ?‘– )2 . Viene (Padovani) ricordato che il prodotto scalare in đ?‘… 3 viene declinato geometricamente con la relazione đ?’–đ?’— = ‖đ?’–‖‖đ?’—‖đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?œ— risultando 0 ≤ đ?œ— ≤ đ?œ‹ (in rad.). E’ bene sviluppare la nozione di tensore del secondo ordine. Gia’ si e’ ricordato (con riferimento alla nozione di applicazione vettoriale, mutuata da parte della manualistica citata) che un tensore A , detto tensore del secondo ordine, e’ una applicazione lineare di V in V (cosiddetto endomorfismo) per la quale si puo’ affermare che ∀đ?’–, đ?’— ∈ đ?‘‰ , ∀đ?›ź, đ?›˝ ∈ đ?‘… ∃đ??´| đ??´(đ?›źđ?’– + đ?›˝đ?’—) = đ?›źđ??´đ?’– + đ?›˝đ??´đ?’— ∈ đ?‘‰ Si e’ (Padovani, p. e.) adusi scrivere Lin = { đ??´: đ?‘‰ → đ?‘‰|đ??´ đ?‘’ ′ đ?‘™đ?‘–đ?‘›đ?‘’đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘’} per indicare lo spazio vettoriale avente per elementi tutti i tensori del II ordine. In particolare ∀đ??´, đ??ľ ∈ đ??żđ?‘–đ?‘› allora (đ??´ + đ??ľ) e kA , ∀đ?‘˜ ∈ đ?‘…, sono elementi di Lin e si puo’ scrivere (A+đ??ľ)đ?’— = đ??´đ?’— + đ??ľđ?’— ∀đ?’— ∈ đ?‘‰ đ?›ź(đ??´đ?‘Ł) = đ?›źđ??´đ?‘Ł = đ??´(đ?›źđ?‘Ł) ∀đ?›ź ∈ đ?‘… . Esiste l’elemento neutro rispetto alla moltiplicazione potendo scrivere 0v= đ?‘śđ?‘˝ per ogni đ?’—∈đ?‘‰. - 134 -


Parimenti, esiste l’elemento neutro rispetto alla moltiplicazione I per il quale, comunque si prenda đ?’— ∈ đ?‘‰ risulta đ?‘°đ?’— = đ?’—, ove evidentemente la matrice obbedisce alla condizione di Kronecker per la quale đ?›żđ?‘–đ?‘˜ = {

0 (đ?‘– ≠đ?‘˜) . 1 (đ?‘– = đ?‘˜)

Viene quindi definito il prodotto AB, essendo A e B elementi di Lin, potendo scrivere che ∀đ??´, đ??ľ ∈ đ??żđ?‘–đ?‘› , đ??´đ??ľ ∈ đ??żđ?‘–đ?‘› (AB) (u)= đ??´(đ??ľđ?’–) Il secondo membro della relazione va inteso come đ??ľ

đ??´

đ?’– → Bu→A(Bu)= đ??´đ??ľ(đ?’–) Il prodotto AB, come gia’ visto per le matrici, non e’ in generale commutativo, quindi in generale risulta đ??´đ??ľ(đ?’–) ≠đ??ľđ??´(đ?’–) . ∀đ??´ ∈ đ??żđ?‘–đ?‘› si pone đ??´đ?‘˜ = đ??ź quando đ?‘˜ = 0 e si pone đ??´đ?‘˜ = đ??´đ?‘˜âˆ’1 đ??´ , đ?‘˜ ∈ đ?‘ . ∀đ??´ ∈ đ??żđ?‘–đ?‘› ∃! đ??´đ?‘‡ tale che đ??´đ?‘‡ đ?‘Łđ?‘˘ = đ?‘Łđ??´đ?‘˘ ∀đ?‘Ł, đ?‘˘ ∈ đ?‘‰ â‹°â‹ąâ‹°â‹ąâ‹°â‹ą Si consideri quindi l’applicazione lineare B che al vettore đ?’— ∈ đ?‘‰ associa il vettore đ?’‚đ?’— tale che Bv= đ?’‚đ?’— . Poiche’ tale applicazione e’ lineare se si considerano due distinti vettori đ?’–, đ?’˜ ∈ đ?‘‰, oltre a poter scrivere Bv= đ?’‚đ?’— si puo’ scrivere B(đ?’— + đ?’˜) = đ?’‚đ?’—+đ?’˜ . Puo’ essere data la definizione di funzionale lineare ricordando che đ?œ‘: đ?‘‰ → đ?‘… | đ?œ‘(đ?’–) = (đ??´đ?’–)đ?’— = đ?’‚đ?’— đ?’– . Da B(đ?’— + đ?’˜) = đ?’‚đ?’—+đ?’˜

si ha B(đ?’— + đ?’˜) = đ?’‚đ?’—+đ?’˜ = đ?‘¨đ?’–(đ?’— + đ?’˜) = (đ?‘¨đ?’–)đ?’— + (đ?‘¨đ?’–)đ?’˜

comunque si prenda u ∈ đ?‘˝ .

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Rispetto al prodotto si puo’ scrivere B(đ?›źđ?’—)đ?’– = đ?’‚đ?œśđ?’— đ?’– = đ??´đ?’–(đ?œśđ?’—) = đ?œśđ?’‚đ?’— đ?’– = đ?œś(đ??ľđ?’—)đ?’– Posto B = đ??´đ?‘‡ si ricava immediatamente che (Ađ?’–)đ?’— = (đ??´đ?‘‡ đ?’—)đ?’– Dato A đ??´đ?‘‡ e’ unico. E’ poi agevole dimostrare che (đ??´ + đ??ľ)đ?‘‡ = đ??´đ?‘‡ + đ??ľ đ?‘‡ (đ??´đ??ľ)đ?‘‡ = đ??ľ đ?‘‡ đ??´đ?‘‡ (đ??´đ?‘‡ )đ?‘‡ = đ??´ Si dice che A ∈ đ??żđ?‘–đ?‘› e’ simmetrico se đ??´ = đ??´đ?‘‡ mentre e’ antisimmetrico se risulta đ??´ = −đ??´đ?‘‡ . Esistono due sottospazi di Lin detti rispettivamente spazio dei tensori simmetrici, đ?‘†đ?‘Śđ?‘š = {đ??´ ∈ đ??żđ?‘–đ?‘› |đ??´ = đ??´đ?‘‡ } spazio dei tensori antisimmetrici Skw= {đ?‘‹ ∈ đ??żđ?‘–đ?‘› |đ?‘‹ = −đ?‘‹ đ?‘‡ } Risulta che Lin = đ?‘†đ?‘Śđ?‘š ⊕ Skw . Il simbolo ⊕ denota la somma diretta. ∀đ??´ ∈ đ??żđ?‘–đ?‘› sono definite la parte simmetrica di A cioe’

đ??´+đ??´đ?‘‡ 2

e la parte antisimmetrica

đ??´âˆ’đ??´đ?‘‡ 2

.

Diade Come gia’ osservato ⌝ denota il prodotto tensoriale . Il tensore đ?’‚⌝đ?’ƒ e’ detto diade. Si scrive (đ?’‚⌝đ?’ƒ)đ?’– = (đ?’–đ?’ƒ)đ?’‚ ∀đ?’– ∈ đ?‘˝ Data una base ortonormale {đ?’†đ?&#x;? , đ?’†đ?&#x;? , ‌ . , đ?’†đ?’? } dello spazio vettoriale V di dimensione n si ha

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∑đ?‘›đ?‘–,đ?‘—=1 đ?’†đ?’Š ⌝đ?’†đ?’‹ = đ??ź Risulta (đ?’‚⌝đ?’ƒ)đ?‘‡ = (đ??›⌝đ?’‚) (đ?’‚⌝đ?’ƒ)(đ??œ⌝đ?’…) = đ?’ƒđ?’„(đ?’‚⌝đ?’…) (đ?’†đ?’Š ⌝đ?’†đ?’‹ ) (đ?’†đ?’Œ ⌝đ?’†đ?’? ) = đ?’†đ?’‹ đ?’†đ?’Œ (đ?’†đ?’Š ⌝đ?’†đ?’? ) . A questo punto occorre ricordare che se đ?‘— ≠đ?‘˜ il prodotto scalare canonico đ?’†đ?’‹ đ?’†đ?’Œ e’ nullo, quindi per la legge di annullamento del prodotto risulta (đ?’†đ?’Š ⌝đ?’†đ?’‹ ) (đ?’†đ?’Œ ⌝đ?’†đ?’? ) = đ?’†đ?’‹ đ?’†đ?’Œ (đ?’†đ?’Š ⌝đ?’†đ?’? ) = đ?&#x;Ž . Se đ?‘— ≠đ?‘˜ allora risulta đ?’†đ?’‹ đ?’†đ?’Œ = 1 e di conseguenza (đ?’†đ?’Š ⌝đ?’†đ?’‹ ) (đ?’†đ?’Œ ⌝đ?’†đ?’? ) = đ?’†đ?’‹ đ?’†đ?’Œ (đ?’†đ?’Š ⌝đ?’†đ?’? ) = (đ?’†đ?’Š ⌝đ?’†đ?’? ) . Sono di fondamentale importanza le definizioni seguenti đ?’‚⌝đ?’ƒ e’ simmetrico se e solo se b = đ?›źđ?’‚ ∀đ?›ź ∈ đ?‘… đ?’‚⌝đ?’ƒ e’ antisimmetrico se e solo se đ?’‚ = đ?’ƒ = đ?&#x;Ž ∀đ?›ź ∈ đ?‘…

Componenti cartesiane di un tensore Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n e sia data una una base ortonormale {đ?’†đ?&#x;? , đ?’†đ?&#x;? , ‌ . , đ?’†đ?’? } . Le componenti cartesiane di A, indicate con đ??´đ?‘–đ?‘— sono ricavabili dalla seguente relazione đ??´đ?‘–đ?‘— = đ?‘’đ?‘– đ??´đ?‘’đ?‘— al variare in N degli indici i e j Se đ?‘˘ ∈ đ?‘‰ e si ha đ?‘Ł = đ??´đ?‘˘ allora risulta che ∀đ?‘– ≤ đ?‘› e’ đ?‘Łđ?‘– = đ?’—đ?’†đ?’Š = (đ??´đ?’–)đ?’†đ?’Š Le đ?‘Łđ?‘– sono le componenti cartesiane del vettore đ?’— rispetto alla assegnata base ortonormale. - 137 -


Covettore E’ data una trasformazione lineare đ?‘Ž ∗ che “trasformaâ€? un vettore đ?’— ∈ đ?‘‰ in un numero reale potendo quindi scrivere che đ?‘Žâˆ— : đ?‘‰ → đ?‘… | đ?’— → đ?‘Žâˆ— đ?’— ∈ đ?‘… Valgono le proprieta’ di additivita’ e di omogeneita’ di primo grado ammesse ∀đ?’–, đ?’— ∈ đ?‘‰ đ?‘Žâˆ— (đ?’– + đ?’—) = đ?‘Ž ∗ đ?’– + đ?‘Žâˆ— đ?’— đ?‘Žâˆ— (đ?›źđ?’–) = đ?›źđ?‘Žâˆ— đ?’– Tali relazioni possono essere compendiate dalla seguente đ?‘Žâˆ— (đ?›źđ?’– + đ?›˝đ?’—) = đ?›źđ?‘Žâˆ— đ?’– + đ?›˝đ?‘Žâˆ— đ?’— Per i covettori valgono le seguenti proprieta’ formali đ?‘Žâˆ— + đ?‘? ∗ (đ?’–) = đ?‘Žâˆ— đ?’– + đ?‘? ∗ đ?’– (đ?›źđ?‘Ž ∗ )đ?’– = đ?›ź(đ?‘Žâˆ— đ?’–) 0∗ đ?’– = 0 (−đ?‘Žâˆ— )đ?’– = −(đ?‘Žâˆ— đ?’–) Lo spazio i cui elementi sono tutti gli đ?‘Ž ∗ e’ datto spazio duale di V e viene indicato con đ?‘‰ ∗ = {đ?‘Žâˆ— }. Tale spazio vettoriale (detto duale di V) ammette il duale đ?‘‰ ∗∗ che e’ isomorfo di V.

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Ulteriori osservazioni sulle forme multilineari Una forma multilineare e’ una relazione del tipo đ?‘Ž: đ?‘‰1 Ă— đ?‘‰2 Ă— ‌ .Ă— đ?‘‰đ?‘› → đ?‘… tale che ∀đ?‘– ≤ đ?‘› sia đ?‘Ž(đ?’—đ?&#x;? , ‌ , đ?›źđ?’– + đ?›˝đ?’˜, ‌ . . , đ?’—đ?’? ) = đ?‘Ž(đ?’—1 , ‌ . , đ?›źđ?’–, ‌ . . , đ?’—đ?’? ) + đ?‘Ž(đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?›˝đ?’˜, ‌ . . , đ?’—đ?’? ) essendo đ?›ź đ?‘’ đ?›˝ due scalari reali. Puo’ essere definita la somma đ?‘Ž + đ?‘? di due forme multilineari scrivendo (đ?‘Ž + đ?‘?) (đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) = đ?‘Ž(đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) + đ?‘?(đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) Viene definita la moltiplicazione per uno scalare scrivendo che ∀đ?‘Ž ∈ đ?‘… đ?›źđ?‘Ž = đ?›źâŚ‹ đ?‘Ž(đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? )âŚŒ Data la forma multilineare a esiste ed e’ unica la forma multilineare opposta −đ?‘Ž riconducibile al caso đ?›ź = −1. Nei termini piu’ generali per le forme multilineari si puo’ scrivere che e’ verificata la relazione (đ?›źđ?‘Ž + đ?›˝đ?‘?) (đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) = đ?›źđ?‘Ž(đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) + đ?›˝đ?‘?(đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) ∀đ?›ź, đ?›˝ ∈ đ?‘…

đ?‘Ž

−đ?‘Ž

Se la trasformazione e’ tale che (đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) → đ?‘&#x; allora (đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) → đ?‘&#x;. Viene definita una trasformazione multilineare degenere ponendo in senso formale che 0

đ?‘Ž = 0 e ammettendo che (đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ . , đ?’—đ?’? ) → đ?‘&#x;. L’insieme {đ?‘Ž: đ?‘‰1 Ă— đ?‘‰2 Ă— ‌ .Ă— đ?‘‰đ?‘› → đ?‘… |đ?‘Ž đ?‘’ ′ đ?‘™đ?‘–đ?‘›đ?‘’đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘’ ∀ đ?‘Łđ?‘– } munito delle due operazioni di somma e di prodotto e’ uno spazio vettoriale.

Tensori. Coordinate. Derivata covariante.

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E’ ampiamente noto che la nozione di tensore sintetizza, costituendone un ampliamento, le nozioni di scalare e di vettore, consentendo di esprimere le leggi fisiche indipendentemente da un sistema di coordinate (Perez). Si e’ gia’ avuto modo di precisare che si tratta di un operatore lineare che consente di associare ad un vettore �� un vettore �� = ��� o in termini equivalenti si scrive �

đ?’—đ?’Š → đ?’—đ?’‡ . In termini concisi, trattandosi di un operatore lineare, dati due scalari reali qualunque, đ?›ź, đ?›˝, si puo’ scrivere T(đ?›źđ?’— + đ?›˝đ?’˜) = đ?›ź(đ?‘‡đ?’–) + đ?›˝(đ?‘‡đ?‘¤) comunque si prendano i vettori đ?’—, đ?’˜ ∈ đ?‘‰. Formalmente e’ possibile definire l’eguaglianza di due tensori đ?‘‡1 đ?‘’ đ?‘‡2 affermando che đ?‘‡1 = đ?‘‡2 qualora ∀đ?‘Ł ∈ đ?‘‰ sia đ?‘‡1 đ?’— = đ?‘‡2 đ?’— = đ?’˜ . In altri termini due tensori sono eguali se applicati allo stesso vettore consentono di ottenere il medesimo risultato, il vettore đ?’˜ .

E’ parimenti possibile definire il tensore nullo e il tensore unita’ nei termini seguenti T = ⌋0âŚŒ avendo ⌋0âŚŒđ?’— = đ?‘śđ?‘˝ ∀đ?’— ∈ đ?‘‰ Il tensore unita’ e’ definito in modo che ⌋ 0âŚŒđ?’— = đ?’—, ∀đ?’— ∈ đ?‘‰ Nel linguaggio avanzato si fa uso dei termini di varieta’ e di coordinate controvarianti, con il conseguente formalismo in uso.

Per varieta’ si intende un insieme qualsiasi di punti solitamente definiti da una n-pla ordinata di coordinate dette controvarianti indicate con il particolare formalismo � � e quindi a livello di tupla con (�1 , � 2 ‌ . . , � � ) dove gli esponenti sono il numero d’ordine della coordinata e non ovviamente la potenza reale. Una notazione in uso e’ anche {� � }

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Esempi ben noti di varieta’ sono •

lo spazio tridimensionale, rispetto al quale le coordinate dei punti che lo costituiscono sono in questa notazione espresse dalla terna ordinata (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ 2 , đ?‘Ľ 3 )

•

la superficie sferica (dimensione 2) in quanto ad individuare un punto su una superficie sferica sono necessari e sufficienti due solo parametri indipendenti.

E’ utile accennare al cambiamento di coordinate di un punto, dovendo quindi denotare differentemente due distinti sistemi di coordinate, scrivendo che essi sono dati da {đ?‘Ľ đ?‘– } e da {đ?‘Ľâ€˛đ?‘– } e quindi se ci si riferisce ad un punto dalle due distinte rappresentazioni seguenti (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ 2 ‌ . . , đ?‘Ľ đ?‘› ) (đ?‘Ľâ€˛1 , đ?‘Ľâ€˛2 ‌ . . , đ?‘Ľ ′đ?‘› ) Se si opera su una varieta’ di dimensione n saranno necessarie n distinte equazioni che consentano il passaggio dal sistema di coordinate noto {đ?‘Ľ đ?‘– } al sistema distinto da esso {đ?‘Ľâ€˛đ?‘– } . Le n equazioni vengono solitamente formalizzate con đ?‘Ľâ€˛đ?‘– = đ?‘Ľâ€˛đ?‘– (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ 2 ‌ . . , đ?‘Ľ đ?‘› ) đ?‘?đ?‘œđ?‘› 1 ≤ đ?‘– ≤ đ?‘› . Se i punti P e Q sono elementi di una varieta’ e sono infinitamente vicini le loro coordinate sono espresse dalle n-ple seguenti P ≥(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ 2 ‌ . . , đ?‘Ľ đ?‘› ) Q ≥(đ?‘Ľ1 + đ?‘‘đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ 2 + đ?‘‘đ?‘Ľ 2 ‌ . . , đ?‘Ľ đ?‘› + đ?‘‘đ?‘Ľ đ?‘› ) đ?œ•đ?‘Ľ ′đ?‘–

Nel nuovo sistema di coordinate si ha đ?‘‘đ?‘Ľâ€˛đ?‘– = ∑ đ?œ•đ?‘Ľ đ?‘– đ?‘‘đ?‘Ľ đ?‘– .

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Mentre viene fatto uso della nozione di campo vettoriale associando al punto P di una varieta’ un vettore đ?’—(đ?‘ƒ), come capita studiando il campo elettrico E, oppure quello magnetico H . đ?‘–

Una curva di una varieta’ di dimensione n e’ definita da n queazioni đ?‘Ľ ′ (đ?œ?) risultando đ?œ? un parametro detto di variazione monotona. Se i punti P e Q, come detto in precedenza, sono infinitesimamente vicini si e’ soliti scrivere, come del resto avviene ordinariamente, che PQ = đ?‘‘đ?’” . đ?‘‘đ?’”

E’ definito il vettore tangente la curva đ?’†đ?’• = đ???Ď„ . Tale vettore non dipende dal sistema di coordinate. E’ facilmente mutuabile la nozione di base naturale su una varieta’ . Su una varieta’ di dimensione n possono essere introdotti n vettori linearmente indipendenti tangenti la varieta’ nel punto P dato. Ad esempio, con riferimento alla superficie sferica (varieta’ di dimensione 2) la seguente figura, che la vede in sezione (nella quale e’ considerato e disegnato un arco di circonferenza contenente P, punto della varieta’, cioe’ ad essa appartenente‌.) si evidenziano i due vettori che appartengono al piano tangente la varieta’ nel punto P di essa, comune al piano. La figura seguente schematizza la situazione.

P

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Il piano � e’ tangente la superficie sferica nel punto P che ovviamente e’ anche punto del piano tangente . Per P possono essere considerati due vettori geometrici in P applicati . Nel piano il numero massimo di vettori linearmente indipendenti e’ 2. Tali vettori vanno intesi come contenuti nel piano � . Essi sono da intendersi come gli unici tangenti la curva e linearmente indipendenti . Occorre pero’ osservare che esistono infinite coppie di vettori applicati in P e giacenti nel piano � . Non necessariamente i vettori che costituiscono una base devono essere ortogonali tra loro. Qualora la varieta’ avesse dimensione n > 2 esisterebbero n vettori linearmente indipendenti tangenti e passanti per il punto P assegnato. ��

I vettori definiscono una base detta base naturale definita con �� = �� � E’ sicuramente utile osservare in via preliminare che non necessariamente una base di vettori - che consente di definire un vettore qualunque come una combinazione lineare dei vettori costituenti la base – e’ costituita da vettori a due a due ortogonali, come solitamente nelle applicazioni elementari avviene, per evidenti ragioni di economicita’ di calcolo e di rappresentazione. Cio’ non toglie che possa essere considerata una base alternativa e che vadano ricercati i legami tre le due distinte basi. Ma, piu’ specificatamente, specie per quanto attiene allo studio della teoria della Relativita’, occorre, avuto riguardo alla possibilita’ di introdurre una base non ortonormale, porre la distinzione rispetto ad un vettore tra le componenti controvarianti e le componenti covarianti, rispetto alla medesima base, quando essa non sia costituita da vettori ortogonali a due a due. - 143 -


Si ammetta − đ?‘?đ?‘œđ?‘› riferimento al piano, quindi ad una varieta’ đ?‘› = 2 − che i vettori del piano possano essere espressi in unico modo come combinazione lineare dei versori đ?’†đ?&#x;? , đ?‘’ đ?’†2 aventi la direzione di due rette del piano non parallele e non ortogonali, come da figura seguente.

đ?‘Ľ2

đ?‘Ľ1

Questa figura permette di comprendere come sono ottenute le componenti controvarianti del vettore considerato (disegnato in blu) Considerate le due rette che si intersecano in O e non ortogonali ogni vettore đ?’— e’ esprimibile in unico modo come segue đ?’— = đ?‘Ľ 1 đ?’†đ?&#x;? + đ?‘Ľ 2 đ?’†đ?&#x;? Nei termini piu’ generali, quindi con riferimento ad una varieta’ di n dimensioni si puo’ scrivere che đ?’— = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Ľ đ?‘– đ?’†đ?’Š . Il simbolo di sommatoria viene generalmente omesso – con cio’ dando un significato convenzionale alla stenografia đ?’— = đ?‘Ľ đ?‘– đ?’†đ?’Š ≥ ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Ľ đ?‘– đ?’†đ?’Š detta convenzione di Einstein, atteso il carattere di non equivocabilita’ dovuta alla coincidenza degli indici muti della componente scalare controvariante e dell’indice che identifica, concordemente, via via il versore della base cui e’ riferita la misura della coordinata.

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E’ ora possibile considerare il caso della rappresentazione formale di un vettore in componenti covarianti, sempre con riferimento a versori di base non ortogonali. La figura seguente indica come si ricavano le componenti covarianti in un contesto nel quale la base non e’ ortonormale.

đ?‘Ľ2

đ?‘Ľ1 Si osservi che le linee tratteggiate sono ortogonali agli assi che a loro volta non sono ortogonali. In questo caso la rappresentazione univoca del vettore e’ đ?’— = đ?‘Ľ1 đ?’†đ?&#x;? + đ?‘Ľ2 đ?’†đ?&#x;? . Nei termini piu’ generali, quando si ha una varieta’ n− dimensionale la rappresentazione del vettore e’ quella solitamente nota dall’algebra vettoriale elementare, cioe’ đ?’— = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Ľđ?‘– đ?’†đ?’Š

La distinzione tra rappresentazione (univoca) controvariante e rappresentazione (univoca) covariante di un vettore rileva quando la base non e’ costituita da vettori a due a due ortogonali. In altri termini per un dato vettore đ?’— si ha đ?‘Ľ đ?‘– ≥ đ?‘Ľđ?‘– (per i ≤ đ?‘›) quando e solo quando đ?’†đ?’Š đ?’†đ?’‹ = 0 ∀ i≠đ?‘— .

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Gli sviluppi di questi aspetti introduttivi saranno considerati nel numero dedicato alla introduzione alla Relativita’ ristretta, ivi compreso il prodotto scalare in funzione sia delle componenti controvarianti che di quelle covarianti.

Prodotto di due trasformazioni lineari Occorre dare conto della scrittura AB(v)= đ??´(đ??ľđ?‘Ł) che puo’ essere intesa alla stregua dei seguenti passaggi đ??ľ

đ??´

đ?’— → đ??ľđ?’— → đ??´(đ??ľđ?’—) domB = đ?‘‰ mentre domA= đ?‘?đ?‘œđ?‘‘ đ??ľ = {đ??ľđ?’— ∀đ?’— ∈ đ?‘‰} mentre codA= {đ??´(đ??ľđ?’—) ∀đ?’— ∈ đ?‘‰}. Il prodotto di due trasformazioni in generale non e’ commutativo.

Trasformazione lineare inversa di una trasformazione data A e’ invertibile cioe’ esiste la trasformazione inversa di essa, indicata con đ??´âˆ’1, se e solo se A e’ iniettiva e suriettiva. Si puo’ partire da questo schema đ??´

đ?‘¨âˆ’đ?&#x;?

đ?’— → đ??´đ?’— →

đ??´âˆ’1 đ??´(đ?’—) = đ?’—

codA= {đ?‘¨đ?’—} = đ?‘‘đ?‘œđ?‘šđ??´âˆ’1 = đ?‘‘đ?‘œđ?‘šđ??´ Se A e’ iniettiva risulta đ??´đ?’— ≠đ??´đ?’– ∀đ?’–, đ?’— ∈ đ?‘˝ e se A e’ suriettiva allora si puo’ scrivere codA = đ?‘‰(â†? đ?‘?đ?‘’đ?‘&#x;đ?‘?â„Žđ?‘’ ′ đ?‘’ đ?‘˘đ?‘›đ?‘Ž đ?‘ đ?‘˘đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘’đ?‘§đ?‘–đ?‘œđ?‘›đ?‘’) = đ?‘‘đ?‘œđ?‘šđ??´âˆ’1 = {đ??´đ?‘Ł} = đ?‘?đ?‘œđ?‘‘đ??´âˆ’1 = đ?‘‰B(

- 146 -


La relazione đ?‘Šâˆ’đ?&#x;? đ?‘¨âˆ’đ?&#x;? = (đ?‘¨đ?‘Š)−đ?&#x;? Tale relazione puo’ essere giustificata come segue đ??ľ

đ??´

đ??´âˆ’1

đ??ľâˆ’1

đ?‘Ł → đ??ľ(đ?‘Ł) → đ??´(đ??ľđ?‘Ł) → đ??ľ(đ?‘Ł) → đ?‘Ł che equivale a scrivere đ??ľ −1 đ??´âˆ’1 ((đ??´đ??ľ)đ?’—) = (đ??ľ −1 đ??´âˆ’1 )(đ??´đ??ľ)đ?’—

che evidenzia che

(đ??ľ −1 đ??´âˆ’1 ) = (đ??´đ??ľ)−1 . Una scrittura quale đ??´âˆ’1 đ??ľ −1 đ??ľđ??´ puo’ essere scritta come đ??´âˆ’1 (đ??ľ −1 đ??ľ)đ??´ = đ??´âˆ’1 (đ??ź)đ??´ = đ??´âˆ’1 (đ??ź)đ??´ = đ??ź đ??źđ?’— = đ?’— ∀đ?’— ∈ đ?‘‰

Tensore doppio Sia data l’applicazione A tale che al vettore đ?’— ∈ đ?‘‰ corrisponda il vettore đ?’– = đ?‘¨đ?’— . In đ??´

termini formali si scrive A : V→ đ?‘‰ | đ?’— → đ??´đ?’— . Lo spazio dei tensori doppi e’ uno spazio vettoriale. ∀đ??´ ∃! đ??´âˆ’1 detto tensore inverso che coordina il tensore A con il tensore unitario, potendo scrivere đ??´đ??´âˆ’1 = đ??´âˆ’1 đ??´ = đ??ź Il tensore I e’ tale che đ??źđ?’— = đ?’— ∀đ?’— ∈ đ?‘‰ Viene definita la somma di tensori come segue (A+đ??ľ)đ?’— = đ??´đ?’— + đ??ľđ?’— đ?›źđ??´đ?’— = (đ?›źđ??´)đ?’— Il tensore zero (o nullo) e’ tale che 0đ?’— = đ?‘śđ?‘˝ - 147 -


Sono date anche le seguenti proprieta’ −đ??´đ?‘Ł = −(đ??´đ?‘Ł) Il prodotto AB di tensori doppi e’ sempre ammesso. Sono vere le due seguenti proprieta’ A(B+đ??ś) = đ??´đ??ľ + đ??´đ??ś â†?proprieta’ distributiva AI= đ??źđ??´ = đ??´ ∀đ??´

Trasformazioni lineari tra gli spazi vettoriali đ?‘˝đ?&#x;? đ?’† đ?‘˝đ?&#x;? Siata una trasformazione lineare A tra due spazi vettoriali tale che) sia A : đ?‘‰1 → đ?‘‰2 đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘™đ?‘’ che đ?’—đ?&#x;? → đ?’—đ?&#x;? = đ??´đ?’—đ?&#x;? per la quale risultano soddisfatte, o , come si dice, sono date, le condizioni di additivita’ e di omogeneita’ di primo grado, dovendo quindi, sinteticamente risultare A(đ?›źđ?’—đ?&#x;? + đ?›˝đ?’—đ?&#x;? ) = đ?›źđ??´đ?’—đ?&#x;? + đ?›˝đ??´đ?’—đ?&#x;? ) Puo’ essere definito l’insieme i cui elementi sono tutte e sole le applicazioni lineari che mandano un vettore di uno spazio vettoriale in elementi di un altro spazio vettoriale, potendo formalizzare il tutto con Lin {đ?‘‰1 , đ?‘‰2}≥ {A : đ?‘‰1 → đ?‘‰2 | đ?’—đ?&#x;? → đ?’—đ?&#x;? = đ??´đ?’—đ?&#x;? }. Tale insieme, con le operazioni di somma e di prodotto per uno scalare del campo K, e’ uno spazio vettoriale, risultando, cioe’ soddisfatte le proprieta’ formali che lo caratterizzano.

- 148 -


Per gli sviluppi si rimanda alla bibliografia (Zaccaria, in particolare) e alle tabelle sintetiche ivi contenute.

Tensore metrico (nozione) Una forma bilineare a e’ detta simmetrica su V se e solo se sono verificate le seguenti condizioni đ?‘Ž(đ?’–, đ?’—) = đ?‘Ž(đ?’—, đ?’–) đ?‘Ž(đ?’—, đ?’—) ≼ 0 In particolare si ha đ?‘Ž(đ?‘Ł, đ?’—) = 0 đ?‘ đ?‘’ đ?’— = đ?‘śđ?’— đ?‘Ž

Scrivendo g: đ?‘‰ Ă— đ?‘‰ → đ?‘… tale che (u, v) → đ?’–đ?’— . Si precisa che a e’ una forma bilineare. Ogni forma bilineare a su V definisce un prodotto scalare. In particolare g definisce la forma quadratica che ad ogni vettore associa il quadrato del suo modulo, trattandosi di una relazione che associa ad un valore di V uno ed uno solo valore di R secondo lo schema đ?‘‰ → đ?‘… | đ?’— → |đ?’—|đ?&#x;? = đ?‘”(đ?’—, đ?’—)

- 149 -


Allegato 1

Osservazione su un limite necessario per il calcolo di un altro limite

Ho rinvenuto in una batteria di fogli di esercizi la richiesta di calcolare un limite che presuppone si debba calcolare il seguente limite lim √cos(3đ?‘Ľ)

�→0

In generale puo’ essere considerato il seguente limite lim √cos(đ?‘›đ?‘Ľ) dove n e’ un numero đ?‘Ľâ†’0

intero assoluto. đ?œ‹ đ?œ‹

La funzione cos(nx) e’ una funzione pari e continua in âŚ‹âˆ’ 2 , 2 âŚŒ Per x= 0 si ha √cos(đ?‘›đ?‘Ľ) = √cos(0) = 1. Ma attesa la parita’ della funzione y =cos(nx) (simmetrica rispetto all’asse delle lim− cos(nx) = 1 y) sono veri i due seguenti limiti {đ?‘Ľâ†’0 . Poiche’ tali limiti sono eguali allora lim+ cos(nx) = 1 đ?‘Ľâ†’0

si ha lim √cos(đ?‘›đ?‘Ľ) = 1 . In generale, ovviamente non e’ detto che una funzione non pari đ?‘Ľâ†’0

non ammetta un limite finito per x→ 0. Una modalita’ non canonica di descrivere la situazione potrebbe essere la seguente lim √cos(đ?‘›đ?‘Ľ) = 1− atteso che √cos(đ?‘›đ?‘Ľ) = 1 per x= 0

�→0

Tale osservazione non intende confutare la teoria dei limiti. Essa sara’ utilizzata per successive riflessioni.

- 150 -


Allegato 2 Esercizi di meccanica elementare (uso di nozioni di algebra vettoriale)

Esercizio n. 1 Una particella, partendo dall’origine O di un sistema di riferimento cartesiano ortogonale destrorso, effettua tre spostamenti consecutivi nello spazio. Tali spostamenti sono definiti đ?’”đ?&#x;? = 2đ?’Š + 3đ?’‹ + 1đ?’Œ đ?’” dai seguenti vettori { đ?&#x;? = −3đ?’Š + 4đ?’‹ + 7đ?’Œ . đ?’”đ?&#x;‘ = 2đ?’Š + 4đ?’‹ + 2đ?’Œ Si chiede di determinare quale posizione dello spazio occupa la particella dopo che sono intervenuti i tre spostamenti e come si formalizza l’ulteriore spostamento che deve riportare la particella nel punto (0,0,0) origine del dato sistema di riferimento. Risposta I vettori spostamento đ?’”đ?&#x;? , đ?’”đ?&#x;? đ?‘’ đ?’”3 vanno intesi quali vettori liberi. Se invece di riferirsi allo spazio euclideo ci si riferisce al piano euclideo la rappresentazione sarebbe alquanto semplificata almeno graficamente . La seguente figura riferita a tre vettori dello spazio a due dimensioni (piano euclideo) fa comprendere agevolmente il significato dei vettori spostamento che si succedono nel tempo. Ovviamente, in questo caso i vettori đ?’”đ?’Š sono del tipo đ?’”đ?’Š = đ?‘Žđ?’Š + đ?‘?đ?’‹ ove a e b sono due scalari reali.

- 151 -


Una figura esemplificante potrebbe essere la seguente.

I tre vettori, colore ocra, nero e azzurro, denotano i tre spostamenti. Il vettore verde indica la risultante dei tre spostamenti. Volendo e’ possibile disegnare una rappresentazione simile nello spazio, che risulta solo un poco piu’ laborioso. E’ sicuramente piu’ proficuo determinare per via algebrica lo spostamento risultante đ?’”đ?’“ = ∑ đ?’”đ?’Š .

Nel caso concreto risulta

đ?’”đ?&#x;? = 2đ?’Š + 3đ?’‹ + 1đ?’Œ {đ?’”đ?&#x;? = −3đ?’Š + 4đ?’‹ + 7đ?’Œ đ?’”đ?&#x;‘ = 2đ?’Š + 4đ?’‹ + 2đ?’Œ

pertanto đ?’”đ?’“ = (2 + (−3) + 2)đ?’Š +

(3 + 4 + 4)đ?’‹ + (1 + 7 + 2)đ?’Œ = đ?’Š + 11đ?’‹ + 10đ?’Œ .

Ove fosse richiesto di determinare lo spostamento in termini metrici, cioe’ di spazio percorso allora sarebbe necessario avvalersi della seguente relazione che coinvolge le norme dei vettori, avendo che s = ‖đ?’”đ?&#x;? ‖ + ‖đ?’”đ?&#x;? ‖ + ‖đ?’”đ?&#x;‘ ‖.

- 152 -


La distanza della particella al termine del suo moto dall’origine del riferimento cartesiano, dove essa si trovava all’inizio dei tempi e’ ‖đ?’”đ?’“ ‖ = √12 + 102 + 112 = √1 + 100 + 121=√222 (unita’ lineari). Affinche’, dopo il terzo spostamento, la particella rientri in (0,0,0) e’ che realizzi uno spostamento đ?’”đ?&#x;’ = −đ?’”đ?’“ . Tale spostamento e’ đ?’”đ?&#x;’ =−đ?’Š − 10đ?’‹ − 11đ?’Œ . Tale vettore e’ il vettore opposto al vettore spostamento risultante degli spostamenti.

Esercizio 2 Un veicolo si sposta per 20 Km verso Nord, quindi per 35 Km nella direzione delle x positive con un angolo di

đ?œ‹ 4

đ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘‘ . Si ipotizzi che il veicolo parta dal punto (3, 4).

a) Quanti km sono stati percorsi complessivamente ? b) Determinare il modulo e la direzione dello spostamento. Risposta Il problema puo’ essere trattato nel piano cartesiano. La risposta al punto a) e’ banale. E’ sufficiente fare la somma dei due spostamenti avendo che lo spostamento vale 20 +35 = 55 (in Km).

- 153 -


E’ possibile dare la seguente rappresentazione grafica che modellizza il problemino posto.

Il veicolo parte al tempo đ?‘Ą0 dal punto (3, 4) e giunge (vettore colore ocra) nel punto (3, 24) avendo percorso 20 Km nella direzione parallela all’asse delle ordinate. A questo punto il veicolo percorre un tratto di 35 Km secondo la direzione rappresentata dal vettore blu. Lo spostamento risultante e’ dato dal vettore in colore nero. Si osserva che (đ?‘Ľđ??ľ , đ?‘Śđ??ľ ) ≥ (3,24). Poiche’ la nuova direzione forma un angolo di đ?œ‹

puo’ scrivere che tg(4 ) =

đ?‘Śđ??ś −đ?‘Śđ??ľ đ?‘Ľđ??ś −đ?‘Ľđ??ľ

đ?œ‹ 4

rad. si

= 1 da cui si ricava đ?‘Śđ??ś − đ?‘Śđ??ľ = đ?‘Ľđ??ś − đ?‘Ľđ??ľ . Per i dati del

problema si ha √(đ?‘Ľđ??ś − đ?‘Ľđ??ľ )2 + (đ?‘Śđ??ś − đ?‘Śđ??ľ )2 = √2(đ?‘Ľđ??ś − đ?‘Ľđ??ľ )2 = 35 ed anche 2(đ?‘Ľđ??ś − đ?‘Ľđ??ľ )2 = 352 Pertanto si ha (đ?‘Ľđ??ś − đ?‘Ľđ??ľ )2 =

352 2

352 2

Quindi đ?‘Ľđ??ś − đ?‘Ľđ??ľ = √

soluzione negativa. Quindi si ha đ?‘Ľđ??ś =

35 + √2

=

35 √2

. E’ stata scartata la

3 . In modo analogo si ottiene la seconda

coordinata del punto di destinazione . Infatti,

da

ha

√(đ?‘Ľđ??ś − đ?‘Ľđ??ľ )2 + (đ?‘Śđ??ś − đ?‘Śđ??ľ )2

posto

đ?‘Śđ??ś − đ?‘Śđ??ľ = đ?‘Ľđ??ś − đ?‘Ľđ??ľ

si

ottiene

√2(đ?‘Śđ??ś − đ?‘Śđ??ľ )2 = 35 e elevando al quadrato si ha 2 (đ?‘Śđ??ś − đ?‘Śđ??ľ )2 = 352 e quindi đ?‘Śđ??ś − đ?‘Śđ??ľ = 352 2

√

=

35 √2

, avendo scartato la soluzione negativa. Pertanto si ha đ?‘Śđ??ś = - 154 -

35 √2

+ đ?‘Śđ??ľ =

35 √2

+ 24.


Occorre calcolare la direzione del vettore risultante. Per i dati del problema e’ possibile utilizzare la funzione tg(.). Il vettore risultante forma con la direzione positiva delle x (ascisse) un angolo đ?œ‘ tale che risulti tg(đ?œ‘) =

đ?‘Śđ?‘? −đ?‘Śđ??´ đ?‘Ľđ?‘? −đ?‘Ľđ??´

=

35 +24−4 √2 35 +3−3 √2

=

35 +20 √2 35 √2

20

20

= 1 + 35 √2 . Quindi đ?œ‘ = đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘?đ?‘Ąđ?‘”(1 + 35 √2) .

Il vettore spostamento risultante ha norma eguale a √(đ?‘Ľđ?‘? − đ?‘Ľđ??´ )2 + (đ?‘Śđ?‘? − đ?‘Śđ??´ )2 immediatamente calcolabile a partire da quanto trovato.

Possibili sviluppi per l’esercizio 2 Nell’introdurre una modalita’ alternativa rispetto a quella rinvenuta per un esercizio analogo ci si e’ riferiti al caso particolare che l’inclinazione di un vettore fosse di Occorre pero’ procedere nel caso generale considerando che sia � ≠risulta tg(�) =

đ?‘Śđ??ľ −đ?‘Śđ??´ đ?‘Ľđ??ľ −đ?‘Ľđ??´

đ?œ‹ 2

đ?œ‹ 4

rad. .

. In questo caso

= đ?‘˜ da cui si ha đ?‘Śđ??ľ − đ?‘Śđ??´ = đ?‘˜(đ?‘Ľđ??ľ − đ?‘Ľđ??´ ) . Questa relazione evidenzia

che per k dato (nota quindi l’inclinazione) e nota la distanza đ?‘Ľđ??ľ − đ?‘Ľđ??´ non si ottiene soltanto la grandezza đ?‘Śđ??ľ − đ?‘Śđ??´ ma anche d(A,B). Si puo’ infatti scrivere che d(A,B)= √(đ?‘Ľđ??ľ − đ?‘Ľđ??´ )2 + (đ?‘˜(đ?‘Ľđ??ľ − đ?‘Ľđ??´ ))2 = √(đ?‘Ľđ??ľ − đ?‘Ľđ??´ )2 (1 + đ?‘˜ 2 ) = (đ?‘Ľđ??ľ − đ?‘Ľđ??´ )√(1 + đ?‘˜ 2 ) Esiste una formula analoga che consente dato đ?‘˜ e dato đ?‘Śđ??ľ − đ?‘Śđ??´ di ottenere d(A,B) .

Esercizio n. 3

- 155 -


Un corpo posto ad altezza h dal suolo viene lanciato vero l’alto con una velocita’ v diretta verso l’alto. Il corpo si trova nel campo g e si opera in condizioni ideali. Si chiede di determinare a) quale altezza massima raggiunge b) quanto vale v in tale punto di massimo c) a quale velocita’ istantanea transita nel punto di altezza h durante il moto di discesa d) in quanto tempo il corpo percorre il tratto â„Žđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ h e) a quale velocita’ impatta il suolo f) come puo’ essere descritta l’energia cinetica e quella potenziale in ogni istante t del moto del corpo g) nell’ipotesi di condizione ideale quanto vale l’energia totale del corpo nell’intervallo (đ?‘Ąđ?‘–đ?‘šđ?‘? , +∞).

Queste questioni possono essere affrontate applicando il principio di conservazione dell’energia, intesa come somma dell’energia cinetica traslazionale, detta anche vis viva, e dell’energia potenziale gravitazionale, atteso che il campo di gravita’, g , e’ conservativo.

Anche se solitamente si ammette, per convenzione che l’energia potenziale sia nulla, si ammette che al suolo essa valga đ?‘˜ jaule.

- 156 -


La figura seguente illustra la situazione. đ??ťđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ (rispetto al suolo)

v

h

Atteso che il corpo si trova nel campo g e quindi nella prima fase del suo moto e’ soggetto ad una decelerazione costante −đ?‘” non e’ necessario utilizzare l’analisi matematica. Se il corpo viene sparato in alto in verticale con velocita’ đ?’— al tempo 0+ esso ha una energia 1

1

cinetica đ??¸đ?‘? (0+ )=2 đ?‘šđ?‘Ł 2 . In tale istante l’energia totale risulta đ??¸đ?‘Ąđ?‘œđ?‘Ą (0+ )=2 đ?‘šđ?‘Ł 2 + đ?‘šđ?‘”â„Ž + đ?‘˜. Poiche’ si ragiona a meno di una costante si puo’ porre đ?‘˜ = 0 . E’ possibile utilizzare la nozione di accelerazione media (eguale a quella istantanea) senza đ?‘Łâ„Žđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ −đ?‘Ł + â„Ž đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ −0

utilizzare l’analisi matematica scrivendo g = �

= −đ?‘Ą

anche đ?‘Ąâ„Ž đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ |đ?’ˆ| = |đ?‘Ł| . In altri termini si ha đ?‘Ąâ„Ž đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ =

|đ?‘Ł| |đ?‘”|

sua altezza massima dopo

|đ?‘Ł| |đ?’ˆ|

đ?‘Ł â„Ž đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ

. In definitiva |g| = đ?‘Ą

ed

In definitiva il corpo raggiunge la

secondi ove |v| e’ la velocita’ massima. - 157 -

|đ?‘Ł| â„Ž đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ


Un metodo alquanto elementare per calcolare lo spazio percorso nella fase di salita e’ partire dalla nozione di velocita’ media nell’intervallo (0, �ℎ ��� ) . La velocita’ media e’ ���� =

|đ?‘Ł|+0 2

đ?‘Ł

= 2 . Per cui lo spazio percorso nella fase di salita e’ s= ���� �ℎ ��� =

|đ?‘Ł| |đ?‘Ł| 2 |đ?‘”|

1 đ?‘Ł2

= 2 |đ?’ˆ| . Conseguentemente la massima altezza dal suolo đ??ťđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ = â„Ž +

1 đ?‘Ł2 2 |đ?’ˆ| 1 đ?‘Ł2

. Nel punto di quota

đ??ťđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ si ha đ??¸đ?‘Ąđ?‘œđ?‘Ą (đ??ťđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ ) = đ??¸đ?‘?đ?‘–đ?‘› (đ??ťđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ ) + đ??¸đ?‘?đ?‘œđ?‘Ą (đ??ťđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ ) = 0 + ( â„Ž + 2 |đ?’ˆ|)đ?‘šđ?‘” = đ?‘šđ?‘”â„Ž +

đ?‘Ł2 đ?‘šđ?‘” 2

.

Nella caduta da đ??ťđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ a h il corpo quando esso si trova nuovamente (fase discendente del moto) in h (alla quota h rispetto al suolo) avra’ per il principio di conservazione dell’energia una velocita’ −đ?’— tale che v e’ il modulo della velocita’ iniziale di lancio. Quando il corpo in discesa (in caduta con accelerazione g, diretta verso il centro della 1 2

Terra) avra’ una energia �� 2 + ��ℎ . Il corpo impiega lo stesso tempo di salita e lo stesso tempo per percorrere lo spazio |�|

(đ??ťđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ , â„Ž) pertanto ritorna nel punto h dopo 2|đ?‘”| secondi . E’ possibile calcolare la velocita’ di impatto utilizzando la conservazione dell’energia eguagliando l’energia posseduta dal corpo quando esso si trova in h dal suolo e quando essa e’ tutta cinetica di impatto al suolo. Cosi’ posto si ha

1 đ?‘šđ?‘Ł 2 2

1

2 + đ?‘šđ?‘”â„Ž = 2 đ?‘šđ?‘Łđ?‘–đ?‘šđ?‘? dove il deponente imp indica che si tratta della

velocita’ di impatto al suolo . Dividendo ambo i membri di tale relazione per m ≠0 si 1

1

2 2 ottiene 2 đ?‘Ł 2 + đ?‘”â„Ž = 2 đ?‘Łđ?‘–đ?‘šđ?‘? e quindi đ?‘Ł 2 + 2đ?‘”â„Ž = đ?‘Łđ?‘–đ?‘šđ?‘? da cui si ottiene đ?‘Łđ?‘–đ?‘šđ?‘? = √đ?‘Ł 2 + 2đ?‘”â„Ž

. Si e’ trascurata la soluzione negativa −√đ?‘Ł 2 + 2đ?‘”â„Ž.

- 158 -


Per sapere in quanti secondi ∆đ?‘Ą il corpo impatta dall’istante in cui si trova all’altezza h e’ utile utilizzare la seguente formula

đ?‘Łđ?‘–đ?‘šđ?‘? −|đ?’—|

|đ?‘Ł|

Il corpo impatterra’ il suolo dopo 2|đ?’ˆ| + |đ?’—|+|đ?‘Łđ?‘–đ?‘šđ?‘? | |đ?’ˆ|

= |đ?’ˆ| o meglio ∆đ?‘Ą =

∆đ?‘Ą

|đ?‘Łđ?‘–đ?‘šđ?‘? |−|đ?’—| |đ?’ˆ|

|đ?‘Ł|

=2|đ?’ˆ| +

đ?‘Łđ?‘–đ?‘šđ?‘? −|đ?’—|

|đ?‘Łđ?‘–đ?‘šđ?‘? | |đ?’ˆ|

|đ?’ˆ|

−

|đ?‘Ł| |đ?’ˆ|

. |đ?‘Ł|

= |đ?’ˆ| +

|đ?‘Łđ?‘–đ?‘šđ?‘? | |đ?’ˆ|

=

.

Esercizio n. 4 Operazioni tra vettori di đ?‘… 3 . Dati i vettori đ?’—đ?&#x;? = đ?’Š + đ?’‹ + 2đ?’Œ e đ?’—đ?&#x;? = 2đ?’Š + đ?’‹ + đ?&#x;‘đ?’Œ a) determinare il vettore đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;? 1

b) determinare il vettore đ?’—đ?&#x;? − 2 đ?’—đ?&#x;? c) determinare l’angolo tra i due vettori d) determinare il vettore −đ?’—đ?&#x;? e) determinare la norma ‖đ?’—đ?&#x;? ‖ del vettore đ?’—đ?&#x;? . f) determinare il versore avente la direzione e il verso di đ?’—đ?&#x;? Dati i vettori đ?’—đ?&#x;? = đ?’Š + đ?’‹ + 2đ?’Œ e đ?’—đ?&#x;? = 2đ?’Š + đ?’‹ + đ?&#x;‘đ?’Œ il vettore somma di tali vettori e’ il vettore avente come componenti la somma delle componenti scalari riferite alle tre dimensioni, cioe’ đ?’—đ?&#x;? + đ?’—đ?&#x;? = (1 + 2)đ?’Š + (1 + 1)đ?’‹ + (2 + 3)đ?’Œ = 3đ?’Š + 2đ?’‹ + 5đ?’Œ 1

1

1

Il vettore đ?’—đ?&#x;? − 2 đ?’—đ?&#x;? si ottiene come segue đ?’—đ?&#x;? − 2 đ?’—đ?&#x;? = (đ?’Š + đ?’‹ + 2đ?’Œ )+ 2 (2đ?’Š + đ?’‹ + đ?&#x;‘đ?’Œ) = 1

3

3

7

(đ?’Š + đ?’‹ + 2đ?’Œ )+(2đ?’Š + 2 đ?’‹ + 2 đ?’Œ) = 3đ?’Š + 2 đ?’‹ + 2 đ?’Œ Per determinare l’angolo tra due vettori occorre utilizzare la seconda formula del prodotto scalare e previamente calcolare il prodotto scalare utilizzando la prima formula e quindi calcolare le norme dei vettori dati.

- 159 -


Si ha đ?’—đ?&#x;? đ?’—đ?&#x;? = 1 ∗ 2 + 1 ∗ 1 + 2 ∗ 3 = 2 + 1 + 6 = 9. Quindi si calcolano le due norme che risultano essere {

‖đ?’—đ?&#x;? ‖ = √12 + 12 + 42 = √18 = 3√2 ‖đ?’—đ?&#x;? ‖ = √22 + 12 + 32 = √14

Poiche’ risulta che đ?’—đ?&#x;? đ?’—đ?&#x;? = ‖đ?’—đ?&#x;? ‖ ‖đ?’—đ?&#x;? ‖ cos(đ?›ź) e quindi cos(đ?›ź) = 3

9 √28

=

3 √28

=

3√28 28

.

La norma del vettore đ?’—đ?&#x;? e’ stata calcolata piu’ sopra. đ?’—

Il versore avente la direzione e il verso del vettore đ?’—đ?&#x;? e’ đ?’–đ?&#x;? = ‖đ?’—đ?&#x;?‖ . Occorre, quindi, đ?&#x;?

đ?’—

preliminarmente determinare ‖đ?’—đ?&#x;? ‖ = √22 + 12 + 32 = √14 . Pertanto, si ha đ?’–đ?&#x;? = ‖đ?’—đ?&#x;?‖ = đ?&#x;?

2đ?’Š +đ?’‹+đ?&#x;‘đ?’Œ √14

=

2√14đ?’Š +√14đ?’‹+đ?&#x;‘√14đ?’Œ 14

=

√14 √14 đ?’Š + 14 đ?’‹ đ?&#x;•

+

đ?&#x;‘√14 đ?’Œ 14

.

Esercizio n. 5 Dimostrare che la composizione di due omotetie dello spazio e’ un’omotetia dello spazio. Dato un vettore đ?’— di đ?‘… 3 una omotetia e’ una applicazione che fa corrispondere al vettore đ?’— di đ?‘… 3 il vettore đ?‘˜đ?’— di đ?‘… 3 essendo đ?‘˜ ∈ đ?‘…| đ?‘˜ ≠0, đ?‘˜ ≠1 . Una composizione di omotetie puo’ essere rappresentata come segue đ?‘œđ?‘šđ?‘œđ?‘Ąđ?‘’đ?‘Ąđ?‘–đ?‘Ž 1

�→

đ?‘œđ?‘šđ?‘œđ?‘Ąđ?‘’đ?‘Ąđ?‘–đ?‘Ž 2

đ?‘˜1 đ?’— →

đ?‘˜2 (đ?‘˜1 đ?’—) = (đ?‘˜1 đ?‘˜2 )đ?’— ∀(k1 , k 2 ) ≠(1, 1) ≠(0,0) (casi degeneri)

La composizione delle due omotetie e’ una omotetia. La composizione delle due omotetie e’ evidentemente commutativa. Infatti si puo’ anche đ?‘œđ?‘šđ?‘œđ?‘Ąđ?‘’đ?‘Ąđ?‘–đ?‘Ž 2

scrivere che � →

đ?‘œđ?‘šđ?‘œđ?‘Ąđ?‘’đ?‘Ąđ?‘–đ?‘Ž 1

đ?‘˜2 đ?’— →

đ?‘˜2 (đ?‘˜1 đ?’—) = (đ?‘˜2 đ?‘˜1 )đ?’— = (đ?‘˜1 đ?‘˜2 )đ?’—

In altri termini - 160 -


(đ?‘œđ?‘šđ?‘œđ?‘Ąđ?‘’đ?‘Ąđ?‘–đ?‘Ž 2 )∘(đ?‘œđ?‘šđ?‘œđ?‘Ąđ?‘’đ?‘Ąđ?‘–đ?‘Ž 1)

�→

(đ?‘œđ?‘šđ?‘œđ?‘Ąđ?‘’đ?‘Ąđ?‘–đ?‘Ž 1 )∘(đ?‘œđ?‘šđ?‘œđ?‘Ąđ?‘’đ?‘Ąđ?‘–đ?‘Ž 2)

→

(đ?‘˜1 đ?‘˜2 )đ?’— â†?

đ?’—

Osservazione sugli spostamenti Occorre ipotizzare il caso che un corpo interessato a spostamenti si trovi in un punto (a,b) distinto dall’origine (0, 0) . Se il punto che si trova in (a,b) subisce uno spostamento dato dal vettore đ?’”đ?&#x;? = đ?›źđ?’Š + đ?›˝đ?’‹ allora il punto (a, b) esprime una condizione iniziale mentre il punto (a+đ?›ź, đ?‘? + đ?›˝) indica il punto nel quale la particella si trova dopo lo spostamento espresso dal vettore đ?’”đ?&#x;? = đ?›źđ?’Š + đ?›˝đ?’‹. Se successivamente la particella subisce un ulteriore spostamento, definito dal vettore đ?’”đ?&#x;? = đ?›ź ′ đ?’Š + đ?›˝â€˛đ?’‹ . In questo caso, per effetto del secondo spostamento, la particella si trovera’ nel punto (a+đ?›ź + đ?›źâ€˛, đ?‘? + đ?›˝ + đ?›˝â€˛) . La stessa osservazione puo’ essere fatta per spostamenti che avvengono nello spazio, quindi in đ?‘… 3 . In alteri termini se una particella si trova in (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 , đ?‘§0 ) ≠(0, 0, 0) e se subisce un certo numero di spostamenti, per esempio n, dopo l’ennesimo spostamento le sue coordinate đ?‘Ľ = đ?‘Ľ0 + ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Ľđ?‘– saranno {đ?‘Ś = đ?‘Ś0 + ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Śđ?‘– dove i vettori spostamento hanno componenti (đ?‘Ľđ?‘– , đ?‘Śđ?‘– , đ?‘§đ?‘– ) per i đ?‘§ = đ?‘§0 + ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘§đ?‘– = 1, 2, ‌ , đ?‘›

Esplicitazione delle formule di trasformazione classiche in una sola dimensione Si ammetta di operare in una sola dimensione, quindi sulla retta reale, sulla quale sia stato fissato un riferimento O ed un secondo riferimento O’ distinto da esso.

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Si ammetta che al tempo iniziale đ?‘Ą0 la particella si trovi alla distanza a da O e alla distanza đ?‘‘ + đ?‘Ž dal riferimento O’ distinto da O. Sotto queste condizioni la distanza OO’ risulta pari a d. Trattandosi di distanze i valori a e d sono reali positivi non nulli. Si ammetta il primo fondamentale caso, che, cioe’ , sia O’(t) e O(t) costanti nel tempo. In definitiva detti riferimenti sono in quiete. In questo caso a muoversi e’ la sola particella che inizialmente si trova in a e che, per effetto del moto rettilineo e uniforme al tempo t si trova nel punto di coordinata (đ?‘Ž + đ?‘Łđ?‘Ľ t). Pertanto se la particella e’ indicata con P, corrispondente al punto che essa via via occupa, e’ possibile definire la posizione di essa nel tempo sia rispetto al punto O che rispetto al punto O’, avendo, rispettivamente đ?‘‚đ?‘ƒ(đ?‘Ą) = đ?‘Ž + đ?‘Łđ?‘Ľ đ?‘Ą { đ?‘‚′đ?‘ƒ(đ?‘Ą) = đ?‘‘ + đ?‘Ž + đ?‘Łđ?‘Ľ đ?‘Ą Tali formule valgono nel caso di allontanamento del corpo P da O in quiete, adottando quindi la convenzione che sia đ?‘Łđ?‘Ľ > 0 . Nel caso sia P in avvicinamento rispetto ad O si pone convenzionalmente sia đ?‘Łđ?‘Ľ < 0 . Considerando i due casi le formule divengono đ?‘‚đ?‘ƒ(đ?‘Ą) = đ?‘Ž Âą |đ?‘Łđ?‘Ľ |đ?‘Ą { ′ đ?‘‚ đ?‘ƒ(đ?‘Ą) = đ?‘‘ + đ?‘Ž Âą |đ?‘Łđ?‘Ľ |đ?‘Ą Ammettiamo ora (caso 2) che anche il riferimento O, quindi il punto O, si muova rispetto ad O’ supposto in quiete con una velocita’ costante đ?‘Łđ?‘Ľ,0 di moto rettilineo. In questo caso la distanza d(O, P) nel tempo non puo’ essere costante . Tale variazione tiene conto della distanza originaria a (misurata all’origine dei tempi, condizione iniziale) . Ma la distanza varia tenuto conto che si muove sia O, rispetto a P, che P con due leggi differenti, anche se si opera sulla retta e le velocita’ dei due moti sono costanti nel tempo

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(moti rettilinei e uniformi). In questo contesto pero’ O’ resta in quiete rispetto ad ogni altro riferimento cartesiano salvi i punti O e P . Pertanto le osservazioni degli osservatori in O e O’ sono compendiate dalle due seguenti relazioni {

đ?‘‚đ?‘ƒ(đ?‘Ą) = đ?‘Ž Âą |đ?‘Łđ?‘Ľ |đ?‘Ą ∓ |đ?‘Łđ?‘œ,đ?‘Ľ |đ?‘Ą đ?‘‚′ đ?‘ƒ(đ?‘Ą) = đ?‘‘ + đ?‘Ž Âą |đ?‘Łđ?‘Ľ |đ?‘Ą

Si osservi che l’osservatore solidale con O’ in quiete rispetto ad ogni altro riferimento inerziale descrive la situazione come in precedenza, risultando per lui irrilevante la variazione di posizione di O’ quando misura la distanza di P. Si puo’ assumere quale criterio convenzionale quello di considerare positiva una velocita’ che importa uno spostamento nella direzione delle x (o delle y, o delle z) positive e negativa una velocita’ che importa uno spostamento nella direzione opposta.

Composizione di movimenti. Estensione al caso dello spazio tridimensionale. Sono dati una particella che all’origine dei tempi (condizione iniziale) si trova nel punto P ≥ (a, b, c) dello spazio, rispetto al quale e’ dato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale Oxyx ed un secondo riferimento Ox’y’z’ tale che gli assi omologhi dei due riferimenti siano paralleli e distinti. Sia đ?’— ≥ (đ?‘Łđ?‘Ľ , đ?‘Łđ?‘Ś , đ?‘Łđ?‘§ ) il vettore velocita’ del generico P che al tempo đ?‘Ą0 si trova in (a, b, c) . Le componenti đ?‘Łđ?‘Ľ , đ?‘Łđ?‘Ś , đ?‘Łđ?‘§ sono tre numeri reali e deve essere (a, b, c)≠(0, 0, 0) . Nel caso di moto del solo punto P rispetto ai due sistemi di riferimento si ha đ?‘‚đ?‘ƒđ?‘Ľ (đ?‘Ą) = đ?‘Ž Âą |đ?‘Łđ?‘Ľ |đ?‘Ą ∓ |đ?‘Łđ?‘œ,đ?‘Ľ |đ?‘Ą đ?‘‚đ?‘ƒđ?‘Ś (đ?‘Ą) = đ?‘? Âą |đ?‘Łđ?‘Ś |đ?‘Ą ∓ |đ?‘Łđ?‘œ,đ?‘Ś |đ?‘Ą đ?‘‚đ?‘ƒđ?‘§ (đ?‘Ą) = đ?‘? Âą |đ?‘Łđ?‘§ |đ?‘Ą ∓ |đ?‘Łđ?‘œ,đ?‘Ś |đ?‘Ą đ?‘‚′ đ?‘ƒđ?‘Ľ (đ?‘Ą) = đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘Ž Âą |đ?‘Łđ?‘Ľ |đ?‘Ą đ?‘‚′ đ?‘ƒđ?‘Ľ (đ?‘Ą) = đ?‘‘đ?‘Ś + đ?‘? Âą |đ?‘Łđ?‘Ś |đ?‘Ą { đ?‘‚′ đ?‘ƒđ?‘Ľ (đ?‘Ą) = đ?‘‘đ?‘§ + đ?‘? Âą |đ?‘Łđ?‘§ |đ?‘Ą - 163 -


OP(0) = √𝑎2 + 𝑏 2 + 𝑐 2

OO’(0) = √𝑑𝑥 2 + 𝑑𝑦 2 + 𝑑𝑧 2

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BIBLIOGRAFIA

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ANTICIPAZIONE DEL PROSSIMO NUMERO

Il prossimo numero di Appunti matematici sara’ dedicato alla teoria della relativita’ ristretta, prima parte di un complessivo studio sulla teoria della relativita’ di Einstein.

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NOTA LEGALE

Questo saggio non ha, neanche indirettamente, finalita’ commerciali o lucrative. Ne e’ consentita la divulgazione, anche totale, a condizione che essa non abbia finalita’ commerciali o lucrative purche’ essa avvenga con la citazione dell’autore e del soggetto diffusore dell’opera. Non sono ammesse limitazioni alla diffusione dell’opera nello spazio e nel tempo.

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