Appunti Matematici 17

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Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

NOTE INTRODUTTIVE ALLA

TOPOLOGIA numero 17 – maggio 2016



* APPUNTI MATEMATICI 17 – MAGGIO 2016 *

INTRODUZIONE

Questo numero di Appunti Matematici, il numero 17 del mese di maggio 2016, contiene una sintesi, peraltro non esaustiva, degli elementi di topologia generale e algebrica che costituisce insegnamento del II anno di Matematica, da me mai approciato globalmente. Non essendo io un matematico professionista ma un mero interessato cultore non ho certo, almeno per il momento, la velleità di dare contributi ad una materia che studio in itinere per la prima volta, nonostante il suo linguaggio simbolico abbia qualcosa di familiare ma pure rassicurante. Pensiamo, ad esempio, alle funzioni e alla teoria degli insiemi, o, ancora, ai rudimenti del corso di Geometria che si porta a compimento anche a Ingegneria. Già il titolo che ho scelto, “Note introduttive alla topologia” è espressione del carattere dimesso con il quale ho avviato questa scheda sintetica. È poi doveroso ricordare che molti concetti, ovviamente mi riferisco a quelli basici, mi sono noti, seppure secondo modalità più dimesse, come nel caso della continuità, mentre altri sono apparsi qua e là in diversi numero dei miei Appunti Matematici, come il caso degli insiemi, degli aperti, dei chiusi, della frontiera, etc. Nel momento in cui scrivo questa breve introduzione (17 febbraio 2016) ho letto, per così dire in parallelo, una parte, quelle iniziali, di due testi che citerò tra le fonti. Questo procedere ad tempus, dovendo peraltro già pensare al numero di maggio, che ho deciso di dedicare alle basi matematiche dell’elettronica digitale, non è un elemento rassicurante, ma non potevo dare spazio alla topologia e quanto ho assimilato da ieri mi induce ad certo ottimismo. Patrizio Gravano patrizio.gravano@libero.it

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NOTE INTRODUTTIVE ALLA TOPOLOGIA

La geometria razionale si caratterizza per lo studio delle proprietà delle figure non soggette a deformazioni anche se sono ampiamente ammessi movimenti rigidi di rotazione e di traslazione. La topologia generale per contro studia le proprietà delle figure geometriche che si conservano anche per effetto di deformazioni significative. Le figure geometriche possono subire delle trasformazioni. Dette trasformazioni sono gli omeomorfismi e le omotopie.

Prima di entrare nel merito della topologia è bene partire da qualche concetto già noto.

Il primo concetto che si incontra è quello di grafo dello spazio euclideo. È un oggetto matematico costituito da punti (detti altrimenti nodi o vertici) alcuni dei quali sono collegati a lati (o spigoli). L’intersezione di due archi definisce un nodo. Il concetto di cammino è immediato. Si parte da un nodo e si arriva ad un nodo finale passando per altri nodi… Dato un nodo u di un grafo assegnato, viene definito grado di u il numero di lati che contengono u. Nel novero dei grafi si distinguono quelli euleriani. In essi esiste un cammino che passa per tutti i lati una ed una sola volta. Un grafo è detto connesso quando ∀(u, v) esiste almeno un cammino che li collega. A contrariis un grafo è non connesso quando esiste almeno una coppia (u,v) di nodi di esso per i quali non esista un lato di estremi u e v.

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Una seconda nozione sicuramente importante è quella di continuitĂ . Ăˆ possibile considerare lo spazio ad n dimensioni, ovvero đ?‘… đ?‘› . Sia x un punto di detto spazio, ovvero sia x ∈ đ?‘… đ?‘› . Sia dato un sottoinsieme non vuoto A tale che A ⊂ đ?‘… đ?‘› . A è una porzione dello spazio euclideo, un sottoinsieme di esso, possiamo anche dire un sottospazio. Ciò premesso viene doveroso definire il concetto di punto aderente. Il punto x è aderente ad un sottoinsieme A se è possibile trovare punti di A arbitrariamente vicini a x. Tale locuzione deve essere intesa nel senso che dato x se esiste un a vicino ad esso ne esiste un secondo Ă ancor piĂš vicino, e quindi uno ulteriore à ’ ancora piĂš vicino, indefinitamente. La distanza tra punti distinti dello spazio ad n dimensioni è quella ordinaria euclidea. d(x, y) = 2√∑đ?‘›đ?‘–=1(đ?‘Ľđ?‘– −đ?‘Śđ?‘– )2 Dati tre punti distinti di đ?‘… đ?‘› vale una nota diseguaglianza detta di Cauchy per la quale d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y) La distanza tra due punti è un numero reale non negativo. Occorre definire formalmente il concetto di metrica. Una metrica su un dato insieme A è una funzione d avente come dominio coppie di A ⤍ A a valori di R che soddisfa le seguenti condizioni 1) d(a, b) = 0 â&#x;ş a = b 2) d(a, b) + d(a, c) ≼ d(b, c), ove a, b e c sono qualunque elementi di A. La 2) è detta diseguaglianza triangolare.

Un insieme A ed una metrica d(.) definiscono uno spazio metrico formalizzato come (A, d). La metrica è altrimenti detta funzione distanza.

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L’insieme A potrebbe benissimo essere R, ovvero l’insieme dei numeri reali. R e la retta euclidea sono ponibili in corrispondenza biunivoca. Ad un punto della retta corrisponde un numero reale e viceversa. Si ammette che ∀(a, b) sia d(a,b) = d(b,a). Ragionando nello spazio ad una dimensione, ovvero sulla retta reale la relazione 2) va precisata come segue Si ha d(b, c) = d(b, a) + d(a, c) quando a ∈(b,c), inteso come intervallo aperto. Si ha d(a, b) + d(a, c) > d(b, c), quando a > max(đ?‘?, đ?‘?)đ?‘œđ?‘?đ?‘?đ?‘˘đ?‘&#x;đ?‘’ a < min (b, c). Si è ammesso implicitamente b < c. A in generale è l’insieme đ?‘… đ?‘› , đ?‘œđ?‘Łđ?‘Łđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘œ đ?‘™đ?‘œ spazio ad n dimensioni. Occorre ricordare che dato uno spazio possono essere, per finalitĂ pratiche o teoriche, definite pi\ metriche. A volte, ad esempio, viene richiesto di mostrare che per A = R d(x, y) = ⎚x - y⎚ è una metrica. Ho pensato alla corrispondenza tra R e i punti di una retta. La 1) è immeditamente verificata. Occorre passare alla 2). Siano assegnati i punti x ed y distinti quindi tali che đ?‘‘(đ?‘Ľ, đ?‘Ś) ≠0. Poichè si opera in una dimensione ci si può ricondurre alla retta, ma in generale ad una curva qualunque, rispetto alla quale si introduce la ascissa curvilinea. Ăˆ sufficiente rimanere sulla retta reale. Assegnati due punti qualunque, distinti, ovvero x ed y, esiste sempre un punto z, pure distinto da essi per iI quale detto punto e interno all’intervallo (x, y) oppure è esterno. Nel primo caso la condizione 2) è verificata con il segno di eguaglianza, mentre per z esterno vale il segno “maggiore diâ€?.

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Si evince quindi che la d: (x,y) → đ?‘… + ⋃ {0} è una metrica nel senso della definizione.

Viene definita una particolare metrica detta discreta. Essa è immediatamente definita come d(x, y) = 0 quando x = y e d(x, y)=1 quando x ≠đ?‘Ś. La parte 1) è immediata. Per la parte 2) è possibile considerare un punto z ≠đ?‘Ľ ≠đ?‘Ś. In questo caso, sostituendo in formula, si ha 2 > 1, condizione sicuramente vera. Ove si ammetta z = đ?‘Ś đ?‘œđ?‘&#x; đ?‘§ = đ?‘Ľ đ?‘ đ?‘– đ?‘œđ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘–đ?‘’đ?‘›đ?‘’ 1 = 1, đ?‘?đ?‘˘đ?‘&#x;đ?‘’ đ?‘Łđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘Ž. Quella data è una metrica in đ?‘… đ?‘› , al variare di n in N. Si può dimostrare, a contrariis, che in R la funzione d(.) tale che d(x, y) = (đ?‘Ľ − đ?‘Ś)2 non è una funzione che soggiace alle condizioni di una metrica. Bisogna partire dalla condizione 1) dalla quale si ha che 0 = (đ?‘Ľ − đ?‘Ś)2 â&#x;š (đ?‘Ľ − đ?‘Ś)2 = 0 â&#x;š đ?‘Ľ = đ?‘Ś Però da đ?‘Ľ = đ?‘Ś si ha (đ?‘Ľ − đ?‘Ś)2 = (0 − 0)2 = 0. La prima parte è quindi giustificata. Occorre considerare la seconda condizione. Questa parte da una osservazione (đ?‘Ľ − đ?‘Ś)2 = (đ?‘Ś − đ?‘Ľ)2 ∀(x, y). Ovvero si può dire che d(x,y) = d(y,x). Ammettiamo sia z tale che z ∈ (x, y) quindi sicuramente x < đ?‘§ < đ?‘Ś. Ho evitato noiosi passaggi algebrici e imposto una condizione particolare ovvero x ≼ 0. Ho considerato quindi i punti x, z ed y sul semiasse positive delle x e i corrispondenti punti sull’asse delle ordinate. Una mera rappresentazione grafica dimostra che il quadrato di lato (y – x) non è equivalente alla somma dei quadrati di lati (z – x) e (y – z). In queso caso, quindi, possiamo dire che

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(đ?‘Ľ − đ?‘Ś)2 + (đ?‘Ľ − đ?‘§)2 > (đ?‘Ś − đ?‘§)2 Non è ammissibile il segno di eguaglianza. Ma potrebbe essere anche z ∉ (x, y) ad esempio z → Âąâˆž. Anche in questi casi non è ammissibile, per z ≠đ?‘Ľ ≠đ?‘Ś il simbolo di eguaglianza. Mi limito al caso in cui z sia interno all’intervallo (a,b) perchè tale caso porta ad una contraddizione che stoppa la dimostrazione. Infatti che tale caso ho evidenziato che d(x, y) > đ?‘‘(đ?‘Ľ, đ?‘§) + đ?‘‘(đ?‘Ś, đ?‘§) Ma deve essere anche (condizione 2 di esistenza di una metrica) che d(x, y) + d(x, z) ≼ d(y,z) Mi è nata una complicazione dalla esistenza del simbolo ≼ che però ho dichiarato inamissibile. Infatti detta relazione fosse per dati valori una eguaglianza si avrebbe (đ?‘Ľ − đ?‘Ś)2 + (đ?‘Ľ − đ?‘§)2 = (đ?‘Ś − đ?‘§)2 Essa è però definibile in termini di metrica euclidea standard. In particolare si ha x=x y = x + đ?‘‘đ?‘’ (x, y) z = x + đ?‘‘đ?‘’ (x, z) La relazione diviene quindi (đ?‘Ľ − đ?‘Ľ − đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś) )2 + (đ?‘Ľ − đ?‘Ľ − đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘§))2 = (đ?‘Ľ − đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś) − đ?‘Ľ − đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘§))2 (−đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś) )2 + (−đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘§))2 = (−đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś) − đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘§))2 2

(−1)2 { (đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś)) + (đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘§))2 } = (-1) {đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś) + đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘§)}2 2

(đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś)) + (đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘§))2 = (−đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś) − đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘§))2 2

2

(�� (�, �)) + (�� (�, �))2 = (�� (�, �)) + (�� (�, �))2 + 2(�� (�, �))(�� (�, �))

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0 = 2(đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś))(đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘§)) Ciò è impossibile in quanto i punti sono distinti e (đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś)) ≠(đ?‘‘đ?‘’ (đ?‘Ľ, đ?‘§)) ≠0. Questa considerazione mi ha consentito di‌ (spiegare perchè e possibile togliere il simbolo eguale per poi sottrarre membro a membro). Queste sono mie considerazioni a partire da un quesito posto senza dimostrazione da Czes Kosniowski (op. citata in bibliografia). Tali osservazioni sono estensibili al caso generale d(x, y) = (đ?‘Ľ − đ?‘Ś)2đ?‘› ∀n Non sono funzioni definitorie di una distanza neppure quelle del tipo d(x, y) = (đ?‘Ľ − đ?‘Ś)2đ?‘›+1 ∀n In questo caso le cose sono per cosĂŹ dire piĂš semplici. Infatti, ad esempio, per un fissato x esiste uno, quindi infiniti y, tali che d(x,y) < 0. Ciò deriva immediatamente dal fatto che è possibile avere almeno una, quindi infinite, coppia (x, y) per la quale (x-y) è negativo. Ma un reale negativo elavato ad intero dispari è sicuramente dispari. Tale esito non è ammissibile. Esso non consente di definire una metrica in quando deve essere d(x,y) ≼ 0 per ogni coppia (x,y). Unificando gli esiti una funzione d(x, y) = (đ?‘Ľ − đ?‘Ś)đ?‘š ∀m ⎚ m ∈N non definisce una metrica. Ciò è vero anche per m = 0 in quanto d(x, y) = (đ?‘Ľ − đ?‘Ś)0 = 1 ∀(x, y) anche per x = y quando dovrebbe essere d(x, y) = 0.

Il testo chiedeva di dissertare sul caso m = 2 ma ho preferito considerare il caso generale.

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Nel testo introduttivo appena citato, di cui mi permetto di raccomandare la lettura, ho rinvenuto un altro interessante quesito cosĂŹ sintetizzabile. Siano dati una metrica d e un reale positivo r. Dimostrare che đ?‘‘đ?‘&#x; = rd è una metrica. La prima parte è limpida. d(x, y) = 0 â&#x;šđ?‘‘đ?‘&#x; = r0 = 0 ∀r ⎚ r ∈đ?‘… + . Ma anche d(x, y) = k > 0 â&#x;šđ?‘‘đ?‘&#x; = rk > 0 ∀r ⎚ r ∈đ?‘… + . La limitazione su r (strettamente positivo) è alquanto opportuna. Se d è una metrica è assunta per ipotesi la parte 2). Ma moltiplicando una relazione, contenente ≼, per una costante positiva (strettamente) non modifica la relazione medesima, salvo che di un fattore positivo r (basta ricordare la teoria delle disequazioni).

Con la nozione di distanza viene ridefinito il concetto di aderenza. Dato un insieme A non vuoto incluso propriamente nello spazio ad n dimensioni un punto p di esso è aderente all’insieme A se e solo se esiste un δ positivo per il quale esiste un x ∈ A per il quale d(p,x) < đ?›ż. Sia p un punto di đ?‘… đ?‘› aderente ad un insieme A. Sia f una trasformazione đ?‘… đ?‘› → đ?‘… đ?‘š per la quale il punto f(p) non è aderente al punto f(x) con x ∈ A. Detta trasformazione è detta strappo o lacerazione. Nel novero delle trasfrormazioni quelle continue sono quelle che conservano la aderenza, sinonimo di continuitĂ . Si perviene pertanto alla seguente definizione di continuitĂ , ovvero di trasfrormazioni continue. Sia A ⊂ X ⊂đ?‘… đ?‘› e sia B ⊂ đ?‘Œ ⊂ đ?‘… đ?‘š Una applicazione f : X → Y è detta continua se ∀A ⊂X e ∀x ∈X aderente ad A il punto f(x) è aderente a f(A).

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Dalla nozione di aderenza si perviene alla nozione di insieme chiuso. Sia C ⊂X ⊆ đ?‘… đ?‘› C è un insieme chiuso in X se ∀x ⎚ x ∈ X and x ∉ C esiste un δ > 0 ⎚d(x,y) ≼ đ?›ż ∀y ∈ C. Ăˆ possibile definire il concetto di aperto. Sia dato uno spazio metrico costiuito da un insieme A e da una metrica d, definito formalmente come (A, d). Sia U un sottoinsieme di esso. Sia x l’elemento rappresentativo dell’insieme U. Comunque si prenda x (per ogni x ∈U) esiste un numero reale non negativo đ?œ€đ?‘Ľ tale che ogni punto y ∈ A, distinto da x, per il quale d(x,y) < đ?œ€đ?‘Ľ conduce a y ∈U. Gli aperti “si vedono beneâ€? in R e in đ?‘… 2 . Gli ottimi testi che ho consulatato abbonadano nel fornire esemplificazioni. Voglio farne due forse con un poco di pedantezza, utile almeno, a chiarire il significato delle definizioni. Leggo che U = {x ⎚ x∈(0,1)} è un aperto nel senso della definizione data. L’insieme che si considera è costituito da tutti gli infiniti numeri reali maggiori di 0 e minori di 1. 1

Il numero x =2 ∈U. 1

Fissato x (come nel caso particolare considerato) ogni punto y, distinto da x, tale che d(2, y) < đ?œ€đ?‘Ľ è elemento (appartiene quindi‌.) all’insieme U. Per quanto posto si doveva scrivere đ?œ€1 . 2

Ma corre un quesito, ovvero chiedersi quanto vale đ?œ€1 . 2

1

Per la simmetria del problema vale esattamente 2. 1

Questo perchè x =2 è il punto medio dell’insieme in argomento.

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Assegnando diversi valori a x si capisce agevolmente perchè si introduce il formalismo đ?œ€đ?‘Ľ đ?‘˘đ?‘Ąđ?‘–đ?‘™đ?‘’ ad evidenziare la dipendenza di Îľ dal punto x. Si ponga x = 0,9. In questo caso đ?œ€0,9 = 0,1. Viene definito un insieme simmetrico rispetto al punto x i cui punti y distinti da x sono tutti punti di U e sono tali che d(x, y) < đ?œ€đ?‘Ľ . Detto insieme è un intorno simmetrico centrato in x e viene formalizzato come đ??ľđ?œ€đ?‘Ľ (đ?‘Ľ). Esso ha natura di aperto. Esistono infiniti đ??ľđ?œ€đ?‘Ľ (đ?‘Ľ), uno per ogni x ∈U. Vorrei osservare che nel caso x =

1 2

1

1

si ha đ??ľđ?œ€1 (2) = U ma che ∀x : x ≠2 si ha che đ??ľđ?œ€đ?‘Ľ (đ?‘Ľ) ⊂ 2

đ?‘ˆ (inclusione stretta). Queste considerazioni valgono con riferimento al caso particolare considerato. Ăˆ ben evidente che se in luogo di d(x, y) < đ?œ€đ?‘Ľ fosse d(x, y) ≤ đ?œ€đ?‘Ľ đ?‘Žđ?‘™đ?‘™đ?‘œđ?‘&#x;đ?‘Ž si sarebbe in presenza di un chiuso.

Vorrei passare a considerare un ben noto caso di aperto in đ?‘… 2 . Esso è {(x, y) ∈đ?‘… 2 : đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 < 1} Esso è il luogo dei punti ι≥(x,y) del piano tali che d(Îą, đ?›ź0 )< 1, đ?‘œđ?‘Łđ?‘’ đ?›ź0 ≥ (0,0). Questo formalismo consente di definire un problema di đ?‘… 2 come se fosse un problema di R. Tale luogo può essere considerato in senso piĂš ampio come {(x, y) ∈đ?‘… 2 : đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 < đ?‘&#x; âˆś đ?‘&#x; ∈ (0, + ∞)} 2

Esso è il luogo dei punti ι≥(x,y) del piano tali che d(Îą, đ?›ź0 )< √đ?‘&#x;, đ?‘œđ?‘Łđ?‘’ đ?›ź0 ≥ (0,0). Questo formalismo consente, anche in questo caso, di definire un problema di đ?‘… 2 come se fosse un problema di R. Detti luoghi sono aperti.

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La scrittura {(x, y) ∈đ?‘… 2 : đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 ≤ đ?‘&#x; âˆś đ?‘&#x; ∈ (0, + ∞)} definisce un chiuso.

Tra gli altri esempi di aperti si cita pure {(x, y) ∈đ?‘… 2 : đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 > đ?‘&#x; âˆś đ?‘&#x; ∈ (0, + ∞)}. Utilizzando le convenzioni piĂš sopra esplicitate si può dire che si tratta del luogo dei punti 2

ι≥(x,y) del piano tali che d(Îą, đ?›ź0 )> √đ?‘&#x;, đ?‘œđ?‘Łđ?‘’ đ?›ź0 ≥ (0,0). In questo caso le d(Îą, đ?›ź0 ) collocate sulla retta reale definiscono in sottoinsieme proprio di đ?‘… + 2

ben definite dall’intervallo illimitato superiormente formalizzato da ( √đ?‘&#x; , +∞), đ?‘œđ?‘Łđ?‘’ đ?‘&#x; ∈ (0, +∞). 2

Ăˆ evidente che esistono infiniti punti (x, y) del luogo cui corrisponde d(Îą, đ?›ź0 ) = đ?‘˜ > √đ?‘&#x;.

Occorre considerare la nozione di topologia su un insieme X. Un insieme ha come sottoinsiemi di esso l’insieme vuoto, insieme privo di elementi, solitamente indicato con il simbolo ∅ e l’insieme X medesimo (inclusione impropria). Si chiede di costruire una famiglia di sottoinsiemi di X che contenga sia l’insieme vuoto che X medesimo che un numero k di sottoinsiemi propri e che sia tale che l’unione e l’intersezione di elementi della famiglia sia pure element della famiglia. In buona sostanza una famiglia è costituita da 2 elementi (sempre presenti) ovvero dall’insieme vuoto, ∅, e dall’insieme X, oltre ad un numero discreto di sottoinsiemi propri di X (e siamo a n+2 membri della famiglia). A questo punto entrano a far parte della famiglia tutti gli insiemi ottenuti dalla intersezione di due qualunque elementi della famiglia. L’ultimo step è costituito dalla condizione per la quale l’unione degli elementi di una famiglia è pure element della famiglia. Dato un insieme non vuoto X sono definibili distinte famiglie di sottoinsiemi di X che verificano le condizioni indicate. Solitamente una famiglia si indica con la lettera đ?’°. Lo spazio topologico viene formalizzato come (X, đ?’°).

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Una ampia classe di problematiche è del tipo: dato X e data đ?’° dire se (X, đ?’°) è una topologia.

Ăˆ possibile fare un esempio considerando un singleton, insieme costituito da un solo elemento, per esempio ponendo X = {a}. Per questo caso è definite una unica topologia. Essa è đ?’°1 = {∅, đ?‘‹ = {đ?‘Ž} } Che essa sia una topologia non e difficile da dimostrare. Infatti gli insiemi ∅ đ?‘’ {đ?‘Ž} appartengono alla famiglia. Poi si può elementarmente affermare che âˆ…âˆŞ{đ?‘Ž} ∈ đ?’°1 ed ancora è possibile dire che ∅ âˆŞ {đ?‘Ž} ∈ đ?’°1 . Sono quindi realizzate tutte le condizioni per avere una topologia e per dire che ({a}, đ?’°1 } è uno spazio topologico.

Ho tratto il caso del singleton per allenarmi, ma la letteratura ha definito il caso della famiglia studiata in senso piĂš ampio evidenziando che đ?’° = {∅, đ?‘‹ } è una topologia ∀ X, essendo X un insieme.

Essa è nota come topologia banale.

Nella teoria insiemistica elementare è noto il concetto di insieme delle parti, inteso come l’insieme i cui elementi sono tutti i possibili sottoinsiemi dell’insieme X.

Una interesante lettura mi richiedeva di determinare il numero delle topologie per un insieme di tre elementi. Il numero di esse, in generale, è 2đ?‘› . Nel caso n = 3 il numero di esse sarĂ 8, tra cui quella banale.

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Tra esse esiste la seguente đ?’°23 ={∅, {a}, {b}, {c}, {a, b}, {a,c}, {b,c}, {a, b, c}} Come nel caso del singleton si può agevolmente, seppure con un certo lavorio, evidenziare che gli elementi che compongono detta đ?’° la definiscono una topologia.

Detta topologia è detta discreta e lo spazio corrispondentemente individuato è detto spazio topologico discreto. La diseguaglianza triangolare a volte viene messa nella forma d(x,y) ≤d(x, z) + d(z, y) ∀x, y, e z di đ?‘… đ?‘›

Mi preme poter fare una digressione sulla metrica detta del taxi in đ?‘… 2 .

Mi sono semplificato la vita considerando x, y e z reali positivi. Dati due punti distinti X ed Y esiste una unica retta che passa per essi. Un punto Z distinto da essi o apaprtiene alla retta per essi punti X ed Y. Si è giĂ evidenziato che se Z ∈(X, Y) allora vale il segno di eguaglianza nella relazione 2). Si è giĂ precisato che se Z∈đ?‘&#x;đ?‘‹đ?‘Œ ma Z∉ (đ?‘‹, đ?‘Œ) allora la relazione 2) è vera come diseguaglianza triangolare stretta. Ma graficamente si evince, con tutta evenienza visiva, che esiste una ampia classe di punti di đ?‘… 2 non appartenenti ad đ?‘&#x;đ?‘‹đ?‘Œ . Siano X ≥ (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) e Y ≥ (đ?‘Ś1 , đ?‘Ś2 ) đ?‘– punti dati. Si considerino due punti H e K del piano dato tali che H ≥ (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ś2 ) e K ≥ (đ?‘Ś1 , đ?‘Ľ2 ). Detti punti delimitano elementarmente una regione rettangolare. Esso è un chiuso che posso formalizzare come {(Îą, β) : đ?‘Ľ1 ≤ đ?›ź ≤ đ?‘Ś1 , đ?‘Ľ2 ≤ đ?›ź ≤ đ?‘Ś2 }.

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Riunendo gli esiti posso affermare che ∀ Z ≥(đ?‘§1 , đ?‘§2 ) : Z ∈ {(Îą, β) : đ?‘Ľ1 ≤ đ?›ź ≤ đ?‘Ś1 , đ?‘Ľ2 ≤ đ?›ź ≤ đ?‘Ś2 }. Queste argomentazioni valgono quando si considera đ?‘… 2 e si considera la metrica definite come d(x, y) = ∑đ?‘— ⎚ đ?‘Ľđ?‘— −đ?‘Śđ?‘— ⎚ ove j assume i valori 1 e 2.

Sempre nella logica della ammissibilitĂ di movimenti solo orizzontali e solo verticali (detta elementarmente topologia del taxista) per spostarsi da un punto X ad un punto Y queste considerazioni sono estensibili dallo spazio đ?‘… 2 (piano) allo spazio đ?‘… 3 e piĂš generalmente allo spazio ad n dimensioni, ovvero ad đ?‘… đ?‘› .

Se đ?‘… 2 è metrizzato nel senso euclideo la relazione di eguaglianza si ha se e solo se Z ∈ (X, Y).

Senza riconsiderare i teoremi della geometria elementare è possibile darsi ragione del vigore della relazione triangolare nel senso di considerare una relazione contenente il solo simbolo > in luogo di ≼. Sia T il terzo punto non allineato ai punti XY, ovvero sia T ∉ đ?‘&#x;đ?‘‹đ?‘Œ . Ăˆ possibile usare il compasso con centro in X e apertura XT viene individuato il punto H, con centro in Y viene individuato sulla retta đ?‘&#x;đ?‘‹đ?‘Œ un punto K. Il segment HK da conto del fatto che si tratta di una diseguaglianza. Vorrei osservare che data la retta đ?‘&#x;đ?‘‹đ?‘Œ e dato un T ∉ đ?‘&#x;đ?‘‹đ?‘Œ esiste sicuramente una retta r’ (essa è unica) tale che r’ âˆĽ đ?‘&#x;đ?‘‹đ?‘Œ . In questo caso la relazione 2) definitoria della funzione metrica di distanza è scritta nella forma contenente il segno = per due distinti T ∈ r’ detti rispettivamente đ?‘‡1 đ?‘’ đ?‘‡2 , per i quali triangoli đ?‘‡1 XY e đ?‘‡2 XY sono rettangoli, come si ha quando đ?‘&#x;đ?‘‹đ?‘‡1 ⊼ đ?‘&#x;đ?‘‹đ?‘Œ e quando đ?‘&#x;đ?‘‹đ?‘‡2 ⊼ đ?‘&#x;đ?‘‹đ?‘Œ . Queste considerazioni sono vere se la d(x,y) è quella ordinaria euclidea, definita come

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d(x, y) = 2√∑đ?‘›đ?‘–=1(đ?‘Ľđ?‘– −đ?‘Śđ?‘– )2 In đ?‘… 2 si ha n = 2. Fino ad ora ho considerato spazi reali, del tipo đ?‘… đ?‘› , i cui elmenti, detti punti sono rappresentati da una sequenza ordinate del tipo (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ‌ đ?‘Ľđ?‘˜ ‌ . đ?‘Ľđ?‘› ), rispetto ad un sistema di assi ortogonali (a due a due). Ăˆ però necessario ricordare che esistono spazi aventi come elementi numeri complessi. Detti spazi sono detti spazi complessi. “L’insieme dei nuneri complessi â„‚ è in bigezione naturale con il piano đ?‘… 2 â€? (Minetti, op. cit). Vorrei ricordare che questa asserzione si evidenzia immediatamente ricordando che un numero complesso z può essere inteso come coppia ordinata di numeri reali z ↔ (x, y) con (x, y) ∈ R⤍R Come noto, i numeri complessi sono rappresentabili nel piano detto di Gauđ?›˝ đ??´đ?‘&#x;đ?‘”đ?‘Žđ?‘›đ?‘‘ đ?‘Šđ?‘’đ?‘ đ?‘ đ?‘’đ?‘™. Per ogni utile osservazione sui numeri complessi rimando ai miei precedenti Appunti matematici o, meglio, ai testi universitari in uso. A questi fini occorre definire la distanza tra numeri complessi posti nel piano di Gauđ?›˝ đ??´đ?‘&#x;đ?‘”đ?‘Žđ?‘›đ?‘‘ đ?‘Šđ?‘’đ?‘ đ?‘ đ?‘’đ?‘™. Siano đ?‘§1 đ?‘’ đ?‘§2 due numeri complessi distinti, la relativa funzione distanza è formalizzabile come segue d : â„‚⤍â„‚ → đ?‘… ove d(đ?‘§1 , đ?‘§2 ) = ⎚đ?‘§1 −đ?‘§2 ⎚ =⎚đ?‘Ľ1 +jđ?‘Ś1 - (đ?‘Ľ2 +jđ?‘Ś2 )⎚ = ⎚đ?‘Ľ1 +jđ?‘Ś1 - đ?‘Ľ2 - jđ?‘Ś2 )⎚ = ⎚(đ?‘Ľ1 2

đ?‘Ľ2 ) + đ?‘—(đ?‘Ś1 - đ?‘Ś2 )⎚ = √(đ?‘Ľ1 −đ?‘Ľ2 )2 +(đ?‘Ś1 −đ?‘Ś2 )2 Per essa si evidenzia immediatamente che d(đ?‘§1 , đ?‘§2 ) =0 ⇔ đ?‘§1 = đ?‘§2 Ed anche d(đ?‘§1 , đ?‘§2 ) ≠0 ⇔ đ?‘§1 ≠đ?‘§2 Ricordare che in â„‚ (insieme non archimedeo) non sono definite relazioni d’ordine del tipo < đ?‘œ > tra elementi di esso. ∀đ?‘§3 : đ?‘§3 ∈đ?‘&#x;đ?‘§1 ,đ?‘§2 con đ?‘§3 ∈( đ?‘§1 , đ?‘§2 ) allora d(đ?‘§1 , đ?‘§2 ) = d(đ?‘§1 , đ?‘§3 ) + d(đ?‘§3 , đ?‘§2 )

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Vorrei osservare che per đ?‘§1 , đ?‘§2 assegnati esistono 4 punti (quindi 4 numeri complessi đ?‘§3,đ?‘— non allineati a đ?‘§1 đ?‘’ đ?‘§2 ) per i quali vale d(đ?‘§1 , đ?‘§2 ) = d(đ?‘§1 , đ?‘§3 ) + d(đ?‘§3 , đ?‘§2 ). Detti punti si trovano su rette parallele tra loro ed ortogonali alla retta đ?‘&#x;đ?‘§1 ,đ?‘§2 . La distanza di dette rette parallele vale ⎚ đ?‘§1 −đ?‘§2 ⎚ Ogni đ?‘§3 tale che appartiene ad una delle due citate rette parallele verifica la condizione d(đ?‘§1 , đ?‘§2 ) = d(đ?‘§1 , đ?‘§3 ) + d(đ?‘§3 , đ?‘§2 ). Per ogni altro punto vale d(đ?‘§1 , đ?‘§2 ) < d(đ?‘§1 đ?‘§) + d(z, đ?‘§2 ). Anche in queste considerazioni j è l’operatore di rotazione, che, in termini algebrici, vale j =√−1 Ritornando a đ?‘… đ?‘› se A e B sono due sottoinsiemi propri non vuoti di esso allora se A∊ đ??ľ = ∅ e se AâˆŞđ??ľ = đ?‘… đ?‘› allora se A è un chiuso B è un aperto e viceversa.

Deve essere data la definizione di omeomorfismo.

Un omeomorfismo è una applicazione, quindi una funzione, continua bigettiva e con inversa continua.

Due sottoinsiemi non vuoti di đ?‘… đ?‘› sono omeomorfi se esiste un omeomorfismo tra essi.

Il punto chiave è avere due sottoinsiemi distinti di đ?‘… đ?‘› . Occorre individuare una funzione che faccia corrispondere ad un elemento di un insieme uno ed un solo elemento del secondo insieme e viceversa. Ăˆ quello che accade con le funzioni continue che si studiano in Analisi.

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Per il topologo una funzione come f(x) = 2x con la restrizione dom f = (0, 1) è un omeomorfismo quando si considera Im f = (0, 2). (0, 1) e (0, 2) sono due spazi indistinguibili dal punto di vista topologico, e sono detti omeomorfi. In generale, per detta funzione sono omeomorfi gli spazi (0 , k) e (0, 2k). La f considerata è monotona strettamente crescente, pure continua. đ?‘Ľ

Essa ammette una inversa y = 2. Essa è pure continua. In buona sostanza dati due spazi distinti essi possono essere detti omeomorfi se esiste una funzione continua, bigettiva e con inversa continua.

Vorrei ricordare anche il concetto di monotonia. Esso dovrebbe essere ben noto, comunque sarĂ bene ricordarlo. Una funzione f è monotona se a distinti valori di x corrispondono distinti valori di y. In questi casi si hanno funzioni strettamente crescenti e funzioni strettamente decrescenti. Ăˆ il caso delle funzioni esponenziale e logaritmica che sono l’una l’inversa dell’altra. In alcuni casi la crescenza e la decrescenza non sono strette ma comunque si parla di monotonia.

Una funzione può essere intesa monotona crescente in senso debole (non decrescente), non quindi strettamente, quando risulta che f(x+dx) ≼ đ?‘“(đ?‘Ľ) ∀x : x∈ (đ?‘Ž, đ?‘?) con f(a) ≤ đ?‘“(đ?‘Ľ) ≤ đ?‘“(đ?‘?), essendo dom f = ⌋a, bâŚŒ con a < đ?‘?. In questo caso la funzione è monotona crescente.

Una funzione è per contro strettamente crescente e quindi monotona quando sia f(x+dx) > đ?‘“(đ?‘Ľ) ∀x : x∈ (đ?‘Ž, đ?‘?) con f(a) < đ?‘“(đ?‘Ľ) < đ?‘“(đ?‘?), essendo dom f = ⌋a, bâŚŒ con a < đ?‘?.

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Nelle asserzioni fatte, sostituendo i simboli ≼ � > rispettivamente con i simboli ≤ � < si ottengono facilmente le definizioni di funzione non crescente e di funzione monotona strettamente decrescente.

Vanno fatte ulteriori considerazioni sugli omeomorfismi.

Per esempio dato lo spazio ⌋a, bâŚŒâŠ‚ R si può dire che lo spazio ⌋a+Ď„, b+Ď„âŚŒâŠ‚ R è ad esso omeomorfo in quanto esiste una f : x → x +Ď„ ∀x : x ∈ ⌋a, bâŚŒâŠ‚ R. Vorrei osservare che dato lo spazio ⌋a, bâŚŒâŠ‚ R si può dire che lo spazio ⌋a+ đ?œ?1 , b+ đ?œ?2 âŚŒâŠ‚ R è ad esso omeomorfo in quanto esiste una f : x→mx +p ove si ha che m =

đ?‘?−đ?‘Ž+đ?œ?2 −đ?œ?1 đ?‘?−đ?‘Ž

Vorrei poi osservare che allo spazio ⌋a+Ď„, b+Ď„âŚŒ si giuge dallo spazio ⌋a, bâŚŒ per traslazione del dominio della funzione.

La relazione di omeomorfismo è una relazione di equivalenza.

Uno spazio è omeomorfo a se stesso. Vale la relazione simmetrica. Se uno spazio A è omeomorfo allo spazio B allora lo spazio B è omeomorfo allo spazio A. Vale anche la proprietà transitiva. Due spazi omeomorfi ad un terzo sono omeomorfi. Giunti a questo punto è bene ricordare alcuni particolari punti della teoria degli insiemi e della teoria delle funzioni. Il primo concetto da considerare è quello di sottoinsieme saturo.

Data una f : X → Y (ovvero una applicazione da X a Y) sia A ⊂ Y i sottoinsiemi đ?‘“ −1 (A) = {x ∈ X : f(x) ∈A } si dicono saturi rispetto ad f. Viene chiamata fibra đ?‘‘đ?‘– đ?‘“ đ?‘ đ?‘˘ đ?‘Ś đ?‘™đ?‘Ž đ?‘ đ?‘’đ?‘”đ?‘˘đ?‘’đ?‘›đ?‘Ąđ?‘’ đ?‘“ −1 ({y)}.

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Interessanti sviluppi della teoria degli insiemi sono contenuti in Minetti (op. cit.), al cap. 2, cui si rimanda ampiamente.

Già è stata introdotta la definizione di spazio topologico.

Un approccio ulteriore consente di dire che dato uno spazio costituito da elementi detti punti esso è munito di una struttura topologica. Viene quindi definite un criterio che consente, dato uno spazio, di stabilire se un punto è interno, esterno o di frontiera. La condizione “x è un punto interno di Xâ€? è ben formalizzata dalla stenografia x ∈ X. ∀x : x ∈ X è interno di X. La condizione “x è un punto esterno di Xâ€? è ben formalizzata dalla stenografia x ∉ X. ∀x : x ∉ X è esterno di X. Un discorso particolare deve essere fatto per i punti di frontiera. Essi non sono nè interni nè esterni ad un dato spazio X. A livello elementare un punto x è detto di frontiera per X se esiste un intorno simmetrico di esso arbitrariamente piccolo che contenga almeno un punto đ?‘Ľâ€˛đ?‘Ľ non appartemente ad X. Per frontiera si intende l’insieme i cui elementi sono solo e tutti i punti di frontiera di un dato spazio chiuso. Ăˆ bene ribadire anche la nozione di intorno in termini formali. Un intorno di un punto x è un sottoinsieme, indicato con U, di X se esiste un V (aperto) per il quale sia x ∈ V e V ⊂ U. Nello studio della topologia il termine interno ha anche un altro significato e viene riferito ad un sottoinsieme di uno spazio topologico.

Sia dato uno spazio topologico X.

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Sia Y un sottoinsieme proprio di esso. L’interno, in questo contesto, viene definito come il piĂš grande aperto di X contenuto in Y. Si ammette sia assegnato X e sia dato Y. Ciò posto in generale esiste una intera famiglia di aperti contenuti in X. Tra essi si considera quello “il piĂš grandeâ€? da intendere come quello che li contiene tutti. Esso è ben formalizzato come đ?‘ŒĚ‡ = ⋃đ?‘—∈đ??˝ đ?‘ˆđ?‘—

Al di lĂ del formalismo me ne sono dato una “rappresentazioneâ€? in đ?‘… 2 . Basta disegnare un chiuso. Ad esempio quello giĂ considerato, ovvero {(x, y) ∈đ?‘… 2 : đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 ≤ đ?‘&#x; âˆś đ?‘&#x; ∈ (0, + ∞)}. Posso sicuramente dire che quello definite è il mio spazio, risultando esso una parte di uno spazio topologico euclideo a partire da đ?‘… 2 . Da un punto di vista logico e formale detto insieme è l’insieme Y della definizione. In buona sostanza gli đ?‘ˆđ?‘— della definizione ad esempio sarebbero quelli del tipo {(x, y) ∈đ?‘… 2 : đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 < đ?‘&#x; ′ : đ?‘&#x; ′ ≤ đ?‘&#x; ∈ (0, + ∞)}. A questo punto ho impostato una riflessione sulla cui ammissibilitĂ non sono ancora giunto ad una risposta definitiva. Ammettiamo che sia definite “il piĂš grandeâ€? aperto, quello che poi viene definito l’interno. Varrebbe in generale tra r ed r’ una relazione del tipo r’ +dr = r, ma dr è un infinitesimo, interpretabile come una variabile tendente a zero. Quindi non esiste un r’ dipendente da r che mi consenta di dire che il corrispondente aperto è il piĂš grande aperto. A fortiori per r dato è ammissibile considerare un aperto non munito di una particolare simmetria rispetto al centro.

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In questo caso esistono sicuramente due punti interni a Y la cui distanza euclidea da (0,0) vale rispettivamente đ?‘&#x;â€˛âˆ’ <r ed đ?‘&#x;’’ − < đ?‘&#x; con đ?‘&#x;′ ≠r’’ per i quali si ha (x’, y’) : d( (x’, y’) (0, 0) )= đ?‘&#x;â€˛âˆ’ e (x’’, y’’) : d( (x’’, y’’) (0, 0) ) = đ?‘&#x;â€˛â€˛âˆ’

Ma per i dati del problema esiste sicuramente un distinto đ?‘ˆđ?‘— per il quale si possa scrivere {(x, y) ∈đ?‘… 2 : đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 < max(đ?‘&#x; ′ − , đ?‘&#x; ′′ − ): đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ(đ?‘&#x; ′ − , đ?‘&#x; ′′ − ) ≤ đ?‘&#x;: đ?‘&#x; ∈ (0, + ∞)}. Vorrei ricordare che esiste un particolare formalismo che designa la frontiera. Esso è il seguente Ó˜Y La frontiera viene anche chiamata bordo.

Il Cap. II del testo di Kosniowski si caratterizza per la concisione e vi si rimanda ampiamente.

In esso sono contenuti interessanti esercizi, che peraltro, presume, data la basicitĂ , si potranno trovare anche in altri testi.

Vorrei concentrare la mia attenzione sui seguenti. 1)

Y è chiuso se e solo se Ó˜Y ⊆ Y Si tratta di dimostrare una coimplicazione. La prima parte della dimostrazione è del tipo (Y è un chiuso ⇒ Ó˜Y ⊆ Y). Si potrebbe anche osservare đ?‘ŒĚ… = Y âˆŞ Ó˜Y (infatti piĂš avanti verrĂ definite il concetto di chiusura). - 21 -


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đ?‘ đ?‘’đ?‘™ đ?‘?đ?‘Žđ?‘ đ?‘œ di un chiuso si ha Ó˜Y ⊂ Y quindi la relazione precedente diviene đ?‘ŒĚ… = Y. La frontiera è il luogo dei punti y per i quali, dato x punto interno, da distanza del punto x dal punto y vale đ?œ€đ?‘Ľ . Ogni punto z allineato con x ed y per il quale d(x, z) < đ?œ€đ?‘Ľ è un punto interno. La frontiera è parte costitutiva di un chiuso (nel senso che ogni elemento di essa è parte del chiuso). Mi sono chiesto che significato ha Y = Ó˜Y. Formalmente si potrebbe pensare ad un x ∉ Y per il quale se y è un elemento della frontiera vale la relazione d(x, y) = đ?œ€đ?‘Ľ (đ?‘Ś). Ăˆ il caso della circonferenza, o di ogni altra curva chiusa di đ?‘… 2 . Nel caso Ó˜Y ⊂ Y risulta Ó˜Y = { y : d(x, y) =đ?‘’đ?‘Ľ (y) ∀x :x ⊂ X}. Ma Y risulta costituito oltre che dai punti Ó˜Y = { y : d(x, y) =đ?‘’đ?‘Ľ (y) ∀x :x ⊂ X} che costituiscono la frontiera anche dai punti d(x, y) < đ?‘’đ?‘Ľ (y) ∀x :x ⊂ X. Se Y fosse un aperto allora non sarebbe Ó˜Y ⊆Y in quanto per un aperto i punti Ó˜Y = { y : d(x, y) =đ?‘’đ?‘Ľ (y) ∀x :x ⊂ X} non sono del luogo. 2)

Data la topologia naturale per a < đ?‘? allora si ha Ó˜(a,b) = Ó˜âŚ‹a, bâŚŒ ={a,b} I due insiemi che si considerano sono gli insiemi aperti a destra e a sinistra di estremi a e b e l’insieme chiuso pure di estremi a e b, con a < đ?‘?. La topologia naturale presuppone che d(a,b) =|b-a|. Nel primo caso si ha a che fare con un aperto. Sono punti del luogo solo i punti x ed y, con x < đ?‘Ś tali che la coppia (x, y) appartiene a (x, y). Per essi d(x,y) =|y- x| < d(a,b) =|b-a|. La frontiera è costituita dai punti a e b, rispettivamente, ovvero si ha Ó˜(a,b) ={a,b}. Ciò è vero anche per l’insieme ⌋a, bâŚŒ.

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Con le limitazioni fatte sono del luogo i punti e ed y tali che d(x,y) =|y - x| ≤ d(a,b) =|b-a|. La frontiera e anche in questo caso l’insieme {a,b}.

Occorre prendere in considerazione un ulteriore concetto topologico, quello di chiusura. Dato uno spazio topologico X se si considera un suo sottoinsieme proprio Y allora al piĂš piccolo chiuso di X contenuto in Y si attribuisce il nome di chiusura. La chiusura viene inficata con il formalismo đ?‘ŒĚ… =â‹‚đ?‘—∈đ??˝ đ??šđ?‘— riferendosi a tutti i chiusi di X contennti Y. In topologia naturale (a, b) ha come chiusura ⌋a, bâŚŒ.

Quando si fanno le riflessioni sulla chiusura è bene considerare una assegnata topologia.

Ad esempio se si ha lo spazio topologico R con la topologia naturale. L’insieme N dei naturali privati dello zero è sicuramente un sottoinsieme proprio di R. Esso è A = N - {0}. Viene richiesto di determinare la chiusura di esso. R è illimitato, sia superiormente che inferiormente. A è illimitato superiormente, essendo minA = 1. Occorre trovare un insieme che contenga A. Esso deve essere anche il piĂš piccolo e definisce la cosiddetta chiusura. Questo è semplicemente l’insieme i cui elementi sono i numeri reali r ≼ 1. Per le argomentazioni sovraesposte la chiusura di A è l’insieme đ??´Ě… tale che đ??´Ě… = ⌋1, +∞). Ogni altro insieme A* ≠đ??´Ě… = ⌋1, +∞) per il quale A* ⊆ R non è la chiusura perchè contiene almeno, quindi infiniti, un elemento Ď„ : Ď„ ∉ đ??´Ě… come sarebbe, per esempio, per A* = ⌋0, +∞).

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Vanno riconsiderate le funzioni continue. Esiste infatti una ulteriore definizione per la quale una funzione f : X → Y tra due spazi topologici (X ed Y) è continua se ogni aperto di X la controimmagine đ?‘“ −1 (U) è aperta in X.

La stessa definizione di omeomorfismo, già data, è riformulabile, in termini equivalenti, come segue.

Due spazi topologici X ed Y sono omeomorfi se e solo se esistono due funzioni continue f e g tale che g =đ?‘“ −1 . Si utilizza il simbolismo X ≃ Y.

Uno degli aspetti centrali della topologia è la definizione di un nuovo spazio topologico a partire da uno spazio topologico assegnato.

Viene ad essere introdotta una topologia detta indotta.

Sia dato uno spazio topologico X. Sia S un sottoinsieme di esso. Su S viene definite una topologia a partire da quella di X, detta indotta (dalla topologia di X). S è detto sottospazio. L’iter logico che conduce alla topologia indotta è sostanzialmente il seguente. Si parte da X (spazio topologico). Si considera l’insieme đ?’° i cui elementi sono tutti e soli gli aperti di X. Quindi si considera l’insieme i cui elementi sono gli aperti di S nella topoligia indotta. Detto insieme lo si indica con đ?‘ˆđ?‘ avendosi che đ?‘ˆđ?‘ = {U â‹‚ S : U ∈ đ?’° }.

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Detta topologia è anche chiamata topolologia relativa. S è un sottospazio di X.

Si è detto che “spazi omoemorfi sono indistinguibili per il topologoâ€?. A pag. 25 del suo “Introduzione alla topologia algebricaâ€?, Czes Kosniowski da conto dell’omeomorfismo cerchio quadrato considerando 4 distinti punti sulla circonferenza a formare un quadrato, “raddizzandoâ€? gli archi da detti punti individuati. Se đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , đ?‘Ľ3 đ?‘’ đ?‘Ľ4 sono detti punti è possibile considerare le rette passanti per esse che si intersecano nel centro del cerchio. Mi sono convinto che su dette rette sono individuati il quadrato inscritto e il quadrato circoscritto al dato cerchio. Ciò consente di definire un omeomorfismo che dia conto della eguale estensione superficiale del cerchio e del quadrato, realizzando quindi figure equivalenti, aventi eguale area della superficie. Neanche in questo caso si possono unire punti distinti e neppure “operare dei tagliâ€?. Anche tenuto conto di quanto detto in precedenza vorrei considerare due ulteriori semplici esampi di studio di spazi omeomorfi con considerazioni che formulo a partire da due esercizi che ho rinvenuto nel testo di Koznioswski citato. Il primo esempio riguarda lo studio dell’omeomorfismo tra gli spazi (1, +∞) e (0, 1) studiati come sottospazi di R munito della metrica ordinaria. Ăˆ possibile “vedereâ€? i due sottospazi di R in un riferimento cartesiano ortogonale. 1

Opportunamente l’Autore consiglia di usare la funzione x →đ?‘Ľ. Essa è immediatamente dimostrabile come una funzione monotona e continua anche quando viene considerata nel caso particolare dom f = (0, 1). Per essa infatti dati i punti đ?‘Ľ1 đ?‘’ đ?‘Ľ2 distinti tali che essi siano inclusi in (0 , 1) si ottiene immediatamente f( đ?‘Ľ1 ) ≠f( đ?‘Ľ2 ) ∀ đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 nel dominio di f. Ammetto, per assurdo, sia

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1 đ?‘Ľ1

=

1 đ?‘Ľ2

⇒ �2 = �1 , contro l’ipotesi �2 ≠�1

La scelta è poi suffragata da un limite ovvero da lim

1

�→+0+ �

=+∞

Ho rinvenuto un secondo esercizio con il quale veniva richiesto di giustificare la indistinguibilitĂ topologica tra R e un suo sottospazio (a, b) con a < đ?‘?.

Il testo suggerisce di considerare la funzione f per la quale x → tan Ď€(cx + d). Non ho ritenuto di sviluppare quelle riflessioni ma piuttosto di proporre una chiave di lettura generale. Ho deciso di considerare un riferimento cartesiano ortogonale. Il sottospazio (a, b) coincide con l’intervallo aperto (a, b) sull’asse delle ascisse. Considero due rette parallele tra loro ortogonali all’asse delle ascisse. Ogni curva monotona continua che passi per un punto Ď„ ∈ (a, b) : y(Ď„) = 0 per la quale sia dom f= (a, b) e per la quale le rette y =a e y = b risultino asintoti verticali, ovvero sia lim+ đ?‘“(đ?‘Ľ) đ?‘Ľâ†’đ?‘Ž

=Âąâˆž e lim− đ?‘“(đ?‘Ľ) =∓∞ đ?‘?đ?‘’đ?‘&#x; đ?‘™đ?‘Ž đ?‘žđ?‘˘đ?‘Žđ?‘™đ?‘’ đ?‘“(đ?œ?1 ) ≠đ?‘“(đ?œ?2 ) è un omeomorfismo. đ?‘Ľâ†’đ?‘?

Questa non è di per se una dimostrazione ma credo dia l’idea su che tipo di f si debba lavorare in questo caso. Potrebbe, ad esempio, considerarsi un caso molto simmetrico, quello per il quale sia Ď„ ∈ (a, b) : y(Ď„) = 0 per Ď„=

đ?‘?+đ?‘Ž 2

, centro dell’intorno (a, b).

Questo caso ha il pregio di dividere il dominio di definizione della funzione due intervalli del tipo (a, đ?œ? − ) e ( đ?œ? + , b), essendo Ď„=

đ?‘?+đ?‘Ž 2

costituiti da punti simmetrici χ e đ?œ€ rispetto al punto Ď„ in

relazione ai quali si può ammettere sia f(đ?œ’) = −đ?‘“(đ?œ€)

Si avrebbe dom f = (a, đ?œ? − ) âˆŞ {Ď„} âˆŞ ( đ?œ? + , b).

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Argomentando dale osservazioni di pag. 25 del Kosniowski si comprende che gli intervalli (0 , 1) e ⌋ 0 , 1 âŚŒ non sono omeomorfi. In quella sede viene enunciato un crierio di non omomorfeitĂ di intervalli che enunzierò alla fine di alcune riflessioni piĂš elementari. Ammetto la corrispondenza data dalla funzione identitĂ f(Îą) = Îą. Siano ad esempio X ed Y i due sottinsiemi di R. f : X = (0 , 1) → Y = ⌋ 0 , 1 âŚŒ ⎸ f(Îą) =Îą ∀ Îą ∈ (0 , 1) Ciò sarebbe vero se fosse f : X = (0 , 1) → Y’ = ( 0 , 1 ) ⎸ f(Îą) =Îą ∀ Îą ∈ (0 , 1) Ma Y’ ⊂ Y in quanto Y = Y’ ⋃ ({0}⋃{1}) Nel caso di specie non posso dire f(0) = 0 e f(1) = 1.

Se X ≃ Y allora non deve ritenersi che in generale X ≄ K quando Y ⊂ K. Poichè X è un aperto Y deve essere un aperto e K tale che Y ⊂ K è tale che sia pure esso un aperto affinchè sia X ≃ Y.

In questo caso esiste una funzione φ : X → K che associa ad un x ∈ X un k ∈ K, ∀ đ?‘Ľ.

Ho fatto qualche disegno ed evidenziato che se esiste una funzione h per la quale si ammette â„Ž

ℎ−1

aperto X → aperto Y → aperto X allora si deve ammettere che ne esistano infinite.

Stessa riflessione vale per i chiusi â„Ž

ℎ−1

chiuso X → chiuso Y → chiuso X

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In realtà le h coinvolte non sono le medesime funzioni in quanto una funzione f è definita anche dal dominio e il dom X non è lo stesso se X è un aperto o un chiuso. In realtà il testo citato enunciava pure un interessante criterio per il quale se due spazi sono omeomorfi, ovvero indistinguibili dal topologo, nel senso seguente.

Se due spazi sono omeomorfi, ovvero esiste una funzione f che associa ad un punto di X uno ed un solo punto di Y, si considera un đ?‘Ľ0 ∈ X e il corrispondente đ?‘Ś0 = đ?‘“(đ?‘Ľ0 ) allora gli spazi X -{ đ?‘Ľ0 } e Y -{ f(đ?‘Ľ0 )} sono omeomorfi.

Un passo ulteriore a partire da uno spazio topologico X è la topologia quoziente.

Sia dato uno spazio topologico X. Sia f una funzione suriettiva, ovvero tale da istituire una corrispondenza che associa ad un elemento x ∈ X uno ed un solo y ∈ Y tale che ∀y ∈ Y sia in corrispondenza con un x ∈ X.

La topologia su Y è definita dall’insieme avente come elementi tutti gli aperti U ⊆ Y per I quali sia đ?‘“ −1 (U) e un aperto di X.

Essa si indica come đ?’°đ?‘“ = { U ⊆ Y : đ?‘“ −1 (U) è un aperto in X}.

Un ulteriore sviluppo è costituito dai cosiddetti spazi prodotto. Deve essere definito il cosiddetto prodotto topologico di spazi topologici. Siano dati due distinti spazi topologici X ed Y e siano U e V i generici aperti di X ed Y rispettivamente. Sia J un insieme di indici con j ∈ J.

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In via di definizione si ammette che il prodotto di spazi topologici abbia un topologia definita dalla unione di prodotti di aperti dei dati spazi topologici. Essa è formalizzata nel modo seguente đ?’°đ??´â¤Źđ??ľ = {⋃đ?‘—∈đ??˝ đ?‘ˆđ?‘— ⤏ đ?‘‰đ?‘— ove đ?‘ˆđ?‘— đ?‘’ đ?‘‰đ?‘— sono aperti inclusi propriamente di A e B}. Analogamente si definisce il prodotto per un numero arbitrario di spazi topologici.

Prima di considerare I cosidettti spazi compatti è bene parire dalla deifnizione di invariante topologico.

Dati due spazi omeomorfi, ovvero per X ≃ Y una proprietĂ che vale in X vale anche in Y. Tale proprietà è detta invariante topologico. In generale si afferma che “tutte le proprietĂ che valgono in uno spazio topologico valgono anche in ogni spazio ad esso omeomorfoâ€?. Viene definite una prima proprietĂ detta compattezza. Si considera l’intervallo ⌋0, 1âŚŒ con la topologia indotta. Data una qualunque famiglia di aperti tale che ⋃đ?‘—∈đ??˝ đ?‘ˆđ?‘— = ⌋0, 1âŚŒ è possibile considerare una sottofamiglia finite la cui unione sia ancora tutto l’intervallo ⌋0, 1âŚŒ.

Va data la definizione di ricoprimento.

Dato un insieme X ed un sottoinsieme S si dice ricoprimento di S una famiglia di sottoinsiemi di X tali che S ⊆ ⋃đ?‘—∈đ??˝ đ?‘ˆđ?‘— Se J ha cardinalitĂ finita il ricoprimento viene detto finito. 1

1

Si è soliti affermare (Kosniowski, op cit.) che la collezione di insiemi {(đ?‘› , 1 - đ?‘› ) : n ∈ N} è un ricoprimento di (0, 1) ⊂ R.

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Credo sia ammissibile giustificare ciò nei termini seguenti. 1

1

Al variare di n in N si ha che i membri della collezione sono rispettivamente ( 2 , 1), 2, etc ma al limite per n → +∞ si ottiene il sottoinsieme (0+ , 1− ). Al variare di n đ?‘ đ?‘– đ?‘œđ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘–đ?‘’đ?‘›đ?‘’ đ?‘?â„Žđ?‘’ ⋃đ?‘—∈đ??˝ đ?‘ˆđ?‘— = (0+ , 1) ⊂ (0, 1). Questo esito è conforme alla definizione. Un dato sottoinsieme S di X ammette piĂš ricoprimenti. Siano dati due distinti ricoprimenti indicati come đ?‘ˆđ?‘— e đ?‘‰đ?‘˜ .

Ciò posto è possibile dare la definizione di sottoricoprimento. đ?‘ˆđ?‘— è un sottoricoprimneto di đ?‘‰đ?‘˜ se ∀ j esiste un k tale che đ?‘ˆđ?‘— = đ?‘‰đ?‘˜ . Per i ricoprimenti ho usato un formalismo blando in realtĂ si tratta di una unione insiemistica (come da definizione).

A questo punto sovviene una definizione un poco complessa.

Per un insieme S, sottoinsieme di uno spazio topologico X, un suo ricoprimento {⋃đ?‘—∈đ??˝ đ?‘ˆđ?‘— } è aperto se ogni đ?‘ˆđ?‘— è un aperto di X ∀ j ∈ J.

Quindi si perviene alal definizione di sottoinsieme compatto. Dato uno spazio topologico X un suo sotoinsieme S si dice compatto se ogni ricoprimento aperto di S ammette un sottoricoprimento finito. Questa asserzione vale per lo spazio topologico X. Uno spazio topologico X si dice compatto se ogni suo ricoprimento aperto contiene un sottoricoprimento finito.

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Occorre ora considerare i cosiddetti spazi di Hausdorff.

Uno spazio topologico è di Hausdorff se comunque vengano presi due punti di esso, x ed y, esistono due aperti di x ed y, contenenti rispettivamente detti punti, indicate, rispettivamente, come đ?‘ˆđ?‘Ľ đ?‘’ đ?‘ˆđ?‘Ś per i quali sia sia đ?‘ˆđ?‘Ľ â‹‚ đ?‘ˆđ?‘Ś = ∅. La materia è ben trattata nel testo di Kosniowski al Cap. 8.

Vorrei fare qualche semplice riflessione. Lo spazio R con la ordinaria metrica eucludea è uno spazio di Hausdorff. Ăˆ sufficiente considerare due punti a e b (con a < đ?‘?) sulla retta reale. Per comoditĂ si può ammettere che sia min(a, b) > 0. Ăˆ possibile considerare un Îľ > 0 che definisca un aperto contenente b, la cui frontiera è l’insieme {b – đ?œ€đ?‘? , b + đ?œ€đ?‘? }. In particolare è possibile considerare un đ?œ€đ?‘? > 0 âˆś đ?‘‘(đ?‘?, b – đ?œ€đ?‘? ) < đ?‘‘(đ?‘?, đ?‘Ž). Da ora in avanti considero solo gli đ?œ€đ?‘? > 0 âˆś đ?‘‘(đ?‘?, b – đ?œ€đ?‘? ) < đ?‘‘(đ?‘?, đ?‘Ž). Ăˆ molto intuitivo ammettere che per ∀ đ?œ€đ?‘? > 0 âˆś đ?‘‘(đ?‘?, b – đ?œ€đ?‘? ) < đ?‘‘(đ?‘?, đ?‘Ž) ∃! đ?œ€đ?‘Ž : d(a, a+đ?œ€đ?‘Ž ) = d(b, b – đ?œ€đ?‘? ), Si desume agevolmente che dato đ?œ€đ?‘? > 0 âˆś đ?‘‘(đ?‘?, b – đ?œ€đ?‘? ) < đ?‘‘(đ?‘?, đ?‘Ž) đ?‘’đ?‘ đ?‘–đ?‘ đ?‘Ąđ?‘œđ?‘›đ?‘œ đ?‘–đ?‘›đ?‘“đ?‘–đ?‘›đ?‘–đ?‘Ąđ?‘– aperti simmetrici di a che verificano le condizioni del problema. Essi sono formalizzati dall’insieme ( 0 , đ?œ€đ?‘Ž đ?œ€ ). đ?‘?

Pertanto ogni χ ∈ ( 0 , đ?œ€đ?‘Ž đ?œ€ ) con le indicate limitazioni verifica le condizioni del problema đ?‘?

ovvero è tale che sia đ?‘ˆđ?‘Ľ â‹‚ đ?‘ˆđ?‘Ś = ∅.

Dalla definizione dello spazio di Hausdorff si giunge alla definizione degli spazi đ?‘‡đ?‘˜ ove k assume via via i valori 0, 1, 2, 3 e 4.

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Si opera nell’ambito degli spazi metrizzabili, dotati di una metrica. Si dovrĂ evidenziare che risulta sempre đ?‘‡đ?‘˜ ⇒đ?‘‡đ?‘˜âˆ’1. Proceduto con la tassonomia vedremo che lo spazio đ?‘‡2 coincide in via di definizione con lo spazio di Hausdorff. Giova partire dallo spazio đ?‘‡0 . In questo spazio si considera una coppia qualunque di punti (elementi di esso). ∀ đ?‘Ľ, đ?‘Ś âˆś x ≠đ?‘Ś , (∃ đ?‘ˆđ?‘Ľ : x ∈ đ?‘ˆđ?‘Ľ and y ∉ đ?‘ˆđ?‘Ľ ). U designa un aperto. Bisogna ora considerare gli spazi del tipo đ?‘‡1 Anche in questo particolare spazio si considera una coppia qualunque di punti (elementi di esso). In questo caso si può formalizzare il tutto nel modo seguente ∀ đ?‘Ľ, đ?‘Ś âˆś x ≠đ?‘Ś , (∃ đ?‘ˆđ?‘Ľ : ( x ∈ đ?‘ˆđ?‘Ľ , đ?‘Ś ∉ đ?‘ˆđ?‘Ľ )) and (∃ đ?‘ˆđ?‘Ś ( y ∈ đ?‘ˆđ?‘Ś , đ?‘Ľ ∉ đ?‘ˆđ?‘Ś )). Finalmente si arriva agli spazi del tipo đ?‘‡2 . Questo caso impone una particolare restrizione nel senso che tra tutti gli aperti contenenti i punti x ed y elementi di detto spazio si ammette esistano aperti đ?‘ˆđ?‘Ľ đ?‘’ đ?‘ˆđ?‘Ś , contenenti rispettivamente x ed y per i quali oltre a valere ∀ đ?‘Ľ, đ?‘Ś âˆś x ≠đ?‘Ś , (∃ đ?‘ˆđ?‘Ľ : ( x ∈ đ?‘ˆđ?‘Ľ , đ?‘Ś ∉ đ?‘ˆđ?‘Ľ )) and (∃ đ?‘ˆđ?‘Ś ( y ∈ đ?‘ˆđ?‘Ś , đ?‘Ľ ∉ đ?‘ˆđ?‘Ś )) sia pure đ?‘ˆđ?‘Ľ â‹‚ đ?‘ˆđ?‘Ś = ∅ Un ulteriore ampliamento si ha con l’introduzione degli spazi đ?‘‡3 . In questo caso è verificata la condizione che definisce đ?‘‡1 . Siano dati un punto x ed un sottoinsieme chiuso F tale che x ∉ F. Si ammette che esistano due intorni disgiunti tali che uno contenga x ma non F e il secondo contenga F.

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Questo tipo di spazio in letteratura è chiamato regolare.

Esso è formalizzabile nel modo seguente ∀ đ?‘Ľ, đ??š âˆś x ∉ F , (∃ đ?‘ˆđ?‘Ľ : ( x ∈ đ?‘ˆđ?‘Ľ , đ??š ∉ đ?‘ˆđ?‘Ľ )) and (∃ đ?‘ˆđ?‘Ś ( F ∈ đ?‘ˆđ?‘Ś , đ?‘Ľ ∉ đ?‘ˆđ?‘Ś )). F è un chiuso. Tale organizzazione di spazi è ampliabile a definire gli spazi topologici detti đ?‘‡4 . Per essi sono verificate le condizioni đ?‘‡1 . Siano dato due chiusi đ??š1 đ?‘’ đ??š2 tali che đ??š1 â‹‚ đ??š2 = ∅. Dati questi due chiusi disgiunti esistono due aperti đ?‘ˆđ??š1 đ?‘’ đ?‘ˆđ??š2 contenenti đ??š1 đ?‘’ đ??š2 , rispettivamente, per i quali sia đ?‘ˆđ??š1 â‹‚ đ?‘ˆđ??š2 = ∅.

Va considerata la relazione tra spazi di Hausdorff e spazi metrici. Ogni spazio metrico è di Hausdorff ma non vale il contrario. Colgo l’occasione per introdurre due concetti forse usati implicitamente ma che necessitano di una deifnizione formale, il concetto di intorno e quello di palla. Sia x un elmento dello spazio topologico X, ovvero sia x ∈ X. Sia U ⊂ X. Ammettiamo esista un aperto V ⊂ U tale che x ∈ V. Se V esiste si dice che U è un intorno di x. Sia dato uno spazio X munito di una metrica d. Viene definita limitazione standard di d la seguente applicazione lineare đ?‘‘Ě… : X Ă— X → đ?‘… + : đ?‘‘Ě… (x, y) = min (1, d(x,y) ) Dato uno spazio metrico (X, d) il sottoinsieme B(x, r) = {y ∈ X : d(x,y) < đ?‘&#x; }

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viene detta palla aperta di centro x edi raggio r. Essa si interpreta immediatamente nel senso che si considera un punto x ∈ X quindi si ammette che siano elementi del luogo tutti e solo gli y ∈ X tali che, rispetto ad una preassegnata metrica d, risulti vero che d(x, y) < đ?‘&#x;. Siano due punti distinti di uno spazio di Hausdorff. Per una qualunque metrica è vero che d(x,y) > 0. Rispetto a detti punti è possibile definire due classi di palle, una per x e l’altra per y, al variare di r. Esse sono rispettivamente B(x, r) = {z ∈ X : d(x , z) < đ?‘&#x; } B’(y, r) = {y ∈ X : d(y , z) < đ?‘&#x; } La dimostrazione rigorosa è contenuta in Manetti, pag. 63.

Essa èabbastanza intuitiva specie se ci riferisce a R, ovvero alla retta reale Basta disegnare i punti x ed y. La distanza tra essi vale ⎸y – x ⎸ Si considerino gli intorni simmetrici di x e di y al variare di r. Esiste un r, commune ai due punti, detto đ?‘&#x;0 per il quale risulta ⎸y – x ⎸= 2đ?‘&#x;0 In questo caso B(x, đ?‘&#x;0 ) = {z ∈ X : d(x , z) < đ?‘&#x;0 } B’(y, đ?‘&#x;0 ) = {y ∈ X : d(y , z) < đ?‘&#x;0} da cui B(x, đ?‘&#x;0 ) â‹‚ B’(y, đ?‘&#x;0 ) = ∅ Questo vale a fortiori per ogni r < đ?‘&#x;0 .

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Per r’ = r’’ > đ?‘&#x;0 anche graficamente si evince che B(x, r’ > đ?‘&#x;0 ) â‹‚ B’(y, đ?‘&#x;′ > đ?‘&#x;0 ) = I(

đ?‘Ľ+đ?‘Ś 2

, r’’’(r’=r’’) )

Non vale il contrario, nel senso che non ogni spazio metrico è di Hausdorff.

Una ulteriore proprietà di cui può godere uno spazio topologico, o un suo sottoinsieme, è rapprsentata dalla connessione.

Si parla al riguardo di spazi topologici connessi. La connessione ha una immediate intuitive spiegazione, nel senso di definire connessi spazi topologici interi, ovvero “non divisi in partiâ€?. Data una parte di uno spazio ogni sottoinsieme di essa è aperto o chiuso. Essi sono aperti e chiusi dello spazio intero. La parte è contemporaneamente aperta e chiusa. Sia dato uno spazio topologico X. Lo spazio topologico X è connesso se e solo se i soli sottoinsiemi sia aperti che chiusi sono l’insieme vuoto e l’insieme X. La situazione può essere vista a contrariis ovvero X e uno spazio topologico connesso se non e l’unione di due aperti non vuoti disgiunti. (X = A ⋃ B : A e B sono aperti, A â‹‚ B = ∅ ) ⇒ X non è connesso. Vi è un insieme non connesso molto usato, anche nelle dimostrazioni, ovvero {Âą1}, ovvero l’insieme i cui elementi sono i punti – 1 e + 1. Esso è banalmente l’unione dei due insiemi {1 } đ?‘’ {−1 }. Detti insiemi sono immediatamente due aperti. Ogni intervallo della retta reale è connesso.

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I connessi possono essere sia aperti che chiusi. Non è vero in generale che l’unione di intervalli di R è un connesso.

Ad esempio se tra i numeri (o punti) a, b, c esiste una relazione d’ordine <. X = { (a , b ) ⋃ ( b , c) : a < đ?‘? < đ?‘? } non è un connesso. Si consideri X’ = (a, c). I due insiemi non coincidono, infatti esiste un x’ ∈ X’ quindi infiniti tali che x’ ∉ X. Detti x’ sono quelli di un intervallo (x’ – dx, x’ + dx). X’ = (a, c) è connesso. X’’= { (a , b âŚŒ ⋃ ⌋ b , c) : a < đ?‘? < đ?‘? } è un connesso.

Dato R un insieme I ⊂ đ?‘… è connesso in due casi solamente, quando I è un intervallo oppure quando I è un punto. Nel primo caso si ha I = { x ⎸ a < đ?‘Ľ < đ?‘?, đ?‘?đ?‘œđ?‘› đ?‘Ž < đ?‘? ⎸ đ?‘Ž ∈ đ?‘…, đ?‘? ∈ đ?‘…} Mi sono ripromesso di evidenziarlo ammettendo che esista un đ?‘Ľ0 ∈ (a, b). Esso esiste perchè per ipotesi I è un intervallo. In realtĂ ne esistono infiniti. Sia đ?‘Ľ0 ∈ (a, b) uno qualunque di essi. Ăˆ possibile scrivere I â‰ ĂŒ ⋃ ĂŒâ€™ ove ĂŒ = {x : a < đ?‘Ľ < đ?‘Ľ0 ) e ĂŒâ€™ = {x : đ?‘Ľ0 < đ?‘Ľ < đ?‘? } Infatti I = ( ĂŒ ⋃ ĂŒâ€™ ) ⋃ {đ?‘Ľ0 } Sia dato un insieme {đ?‘Ľ0 } ⊂ đ?‘… , đ?‘œđ?‘Łđ?‘’ R è la retta reale. Ciò discende dal fatto che {đ?‘Ľ0 } ≠(- ∞, đ?‘Ľ0 ) ⋃ (đ?‘Ľ0 , +∞)

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Vorrei fare un esempio di insieme connesso in đ?‘… 2 . 1

Sia A = { (x, y) ⎸ 2 ≤ � ≤ 1 , � = 0} �

e B = { (x, y) ⎸ 0 ≤ đ?‘Ľ ≤ 1 , đ?‘Ś = đ?‘›} si richiede di dimostrare la connessione di A ⋃ đ??ľ , đ?‘œđ?‘Łđ?‘Łđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘œ đ?‘?â„Žđ?‘’ đ?‘‹ = A ⋃ đ??ľ è un insieme connesso. Solitamente viengono dati suggerimenti. Gli insiemi A e B sono disgiunti anche al variare di n in N. Ho un pò forse banalizzato il consiglio del testo che richiede di considerare due aperti disgiunti U e V imponendo X = U ⋃ V. 1

đ?‘Ľ

Ma per certi aspetti sono rilevanti gli insiemi U = (2 , 1) e V = (0 , đ?‘› ). 1

1

In questo caso i punti (2 , 0) , (1, 0) , (0, 0), (1, đ?‘› ) non sono elementi di X.

Dall’aver posto X = U ⋃ V nasce una contraddizione in quanto X non conterrebbe elementi di esso, ovvero le quattro coppie considerate. Occorrebbe dimostrare che non esistono altri aperti Ă™ e V’ tali che X = Ă™ ⋃ V’. Tale relazione non varrebbe a fortiori se fosse Ă™ ⊂ đ?‘ˆ e V’ ⊂ V. Tale relazione neppure sarebbe valida per due aperti Ù’ e V’’ tali che Ù’ ⊂ A e Vâ€? ⊂ B , in quando esisterebbe almeno un elemento di Ù’ ⋃ đ?‘‰ ′′ non elemento di A ⋃ B. L’insieme esaminato è connesso in quanto costituito dalla unione di due chiusi A e B.

Un altro interessante aspetto della topologia generale è sicuramente costituito dalla suddivisione in regioni piane. Sia I = ⌋ 0, 1âŚŒ e sia data una funzione f : I → R : f(0)f(1) ≤ 0

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L’ipotesi f(0)f(1) < 0 si giustifica anche intuitivamente con l’esistenza di almeno un t ∈ (0, 1) per il quale sia f(t) = 0. Vale poi il teorema del punto fisso. Infatti, data una f: I → I esiste un t ∈ I tale che f(t) = t. Anche in questo caso si ha una evidenza intuitive della circostanza. Sono banali i casi f(0) = 0 e f(1) = 1 in quando per essi sarebbe t =0 e t =1 rispettivamente. Fuori da questa ipotesi la soluzione è il punto intersezione tra la curva e la retta y = x. Per le dimostrazioni rigorose di questi due teoremi si rimanda a Kosniowski , Cap.10.

Uno spazio topologico non connesso è detto disconnesso. La definizione data e le condiderazioni degli esercizi più sopra svolti consente di affermare che un insieme X è sconnesso quando è rappresentabile formalmente come la unione disgiunta di due aperti o di due chiusi propri.

Va poi definita la connessione per archi. Siano x ed y due punti qualunque dello spazio X. X è connesso per archi se ∀ x, y di X esiste una applicazione continua φ : ⦋0, 1⦌ → X con le condizioni φ(0) = x e φ(1) = y, detti rispettivamente punto iniziale e punto finale dell’arco.

Ciò vuol dire che esiste una funzione φ(.) il cui dominio è l’insieme ⦋0, 1⦌ per la quale risulta φ(0) = x e φ(1) = y. Più propriamente ne esiste una per ogni coppia (x, y) di elementi di X.

Sinonimo del concetto di arco è il concetto di cammino.

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Esso è solitamente definito dalla scrittura f(⌋0, 1âŚŒ) che si intende come valori definiti nell’intervallo della funzione, spesso considerata nel dominio del tempo. Ad un arco f è associato un arco đ?‘“ Ě… = (1 - t). Ě… Per t =1 đ?‘“ Ě… (1 - t) =đ?‘“ (Ě… 0) mentre per t = 0 đ?‘“ Ě… (1 - t) =đ?‘“(1) Il lemma (Kosniowski, pag. 102) si compone invero di una seconda parte che ho deciso di considerare piĂš oltre.

In ogni caso mutuo, con modificazioni, da tale esempio, riferito al punto ii) non sviluppato, per condurre un semplice esempio, con tutti i passaggi.

f(t) = 2t – 1 Per t = 0 si ottiene il punto iniziale dell’arco, ovvero f(0) =2 *0 – 1 = - 1. Per t = 1 si ottiene il punto finale dell’arco, ovvero f(1) = 2*1 – 1 = 1 Pertanto il cammino inverso risulta essere đ?‘“ Ě… (1 - t) = 2(1 – t) – 1 = 2 – 2t – 1 = 1 – 2t Mi riprometto di vedere per quale t risulta đ?‘“ Ě… (1 - t) = 1 – 2t = f(1) = 1 Tale equazione è logicamente coerente in quanto percorso un cammino f riparto dal punto finale di esso che considero punto iniziale del cammino đ?‘“.Ě… Giova risolvere l’equazione in t seguente 1 – 2t = 1 ⇒ 0 = - 2t Per la legge di annullamento del prodotto essa è verificata per t = 0. Da questo punto ricomincio a contare i tempi e devo attendermi che per t = 1 sia đ?‘“ Ě… (1 - t) = 1 – 2t = f(0) = - 1 Ciò è verificato in quanto 1 – 2t = - 1 → t = 1.

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Il simbolo → deve intendersi quale “ottengo�.

Questo modo di intendere detto lemma è coerente con la spiegazione data nel testo per la quale đ?‘“ Ě… è “essenzialmente equivalente a f percorso a ritrosoâ€?.

Sfogliano i testi di topologia ho constatato che viene ampiamente utilizzato il formalismo proprio del punto ii) del lemma 12.1 di cui a pag. 103 del testo di Kosniowski.

In buona sostanza, viene definita una nuova applicazione f *g : ⌋ 0, 1âŚŒ → Y quando f e g sono due archi per i quali il punto finale di f coincide con il punto iniziale di g.

Formalmente si ha 1

(f*g) (t) = f(2t) t ∈ ⌋0 , 2 âŚŒ 1

(f*g) (t) = f(2t - 1 ) t ∈ ⌋ 2 , 1 âŚŒ (f*g) (t) è un arco in Y. f(t) = Îą t + β → f(2t) = Îą 2t + β Per t = 0 si ha f(2*0=0) = 0 +β= đ?›˝ 1

Per t =1/2 si ha f(1) = Îą+ đ?›˝ = g(22 – 1 = 0) Ho peraltro deciso di sviluppare riflessioni cinematiche di questo modo di procedere e il grafico pertinente è sicuramente rappresentato dal porre la variabile tempo sull’asse delle ascisse e i punti di X sull’asse delle ordinate. Relativamente al tempo si considera l’intervallo ⌋0, 1âŚŒ. Sull’asse delle ordinate viene collocato l’insieme dei punti dei X. Il punto (t, x(t)) in termini meccanici è indicativa della posizione di un punti materiale al tempo t.

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Il caso piĂš banale, pure peraltro riportato dal testo, è quello della costanza, nel senso che nel tempo la posizione del punto non muta, ovvero x(t) = đ?‘Ľ0 . Ovviamente si tratta di una retta, o meglio, per le limitazioni poste, di un segmento di retta parallelo all’asse delle x, ovvero dei tempi. Mi sono poi chiesto come rappresentare nel medesimo grafico f e đ?‘“ ,Ě… ammettendo che lo spostamento su f e quello su đ?‘“ Ě… avvengano su tempi costanti. CosĂŹ facendo il cammino f viene percorso in

1 2

unitĂ di tempo e il percorso đ?‘“ Ě… viene fatto nel

1

tempo successivo, ovvero nell’intervallo ⌋ 2 , 1 âŚŒ. Tra l’altro, questo grafico consente di deifnire la velocitĂ media come ratio di segmenti, ovvero đ?‘Łđ?‘šđ?‘’đ?‘‘ =

đ?‘Ľ(đ?›ź)−đ?‘Ľ(đ?›˝) đ?‘Ąđ?›ź −đ?‘Ąđ?›˝

riferita all’intervallo (β, đ?›ź).

Peraltro, contrariamente a quanto pensavo in un primo momento, quello della velocitĂ media costante sui due archi è un falso problema. Mi sono però convinto che se si ammette che sia costante la velocitĂ istantanea sia nel percorso f che in quello inverso đ?‘“ Ě… allora è evidente una simmetria, nel senso che i grafici di f ed đ?‘“ Ě… sono 1

simmetrici rispetto alla retta t = 2. Si avrebbero due segmenti di retta per i quali x(0) = x(1). In generale non si ha a che fare con segmenti di retta ma con curve piĂš complesse. 1

In questo caso la simmetria delle curve rispetto alla retta t = 2 deve essere intesa come vigenza 1

1

1

1

della relazione đ?‘Łđ?‘–đ?‘ đ?‘Ą (2 − đ?œ?) = đ?‘Łđ?‘–đ?‘ đ?‘Ą (2 + đ?œ?), ∀đ?œ? ∈ (0, 2 ), ovvero per 0 ≤ Ď„ < 2.

Il corpo inzialmente in quiete ritorna in quiete nella stessa posizione di partenza.

1

Si ammette đ?‘Łđ?‘–đ?‘ đ?‘Ą (2) = 0.

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Se x(1) ≠x(0) non si hanno le condizioni che i due tratti rappresentino f e il cammino inverso, rispettivamente.

Questo grafico consente di sdoppiare una situazione che nel dominio del tempo sarebbe rappresentabile in termini standard con un unico arco valutato nei due sensi di percorrenza. Viene, ovviamente, variata la scala dei tempi‌ 1

Se l’arco đ?‘“ Ě… non è simmetrico di f rispetto alla retta t = 2 allora è conservata la velocitĂ media 1

1

2

2

riferita ai due sottontervalli ⌋ 0, âŚŒ e ⌋ , 1âŚŒ che è sicuramente costante ma non quella istantanea. Ăˆ possibile, ad esempio, considerare una circonferenza nel piano đ?‘… 2 . Essa è una curva chiusa e semplice. Si considerino su di essa due punti diametrali A e B e si consieri il cammino da A a B e quindi nuovamente in A, descritto da un punto materiale che si muove di moto circolare uniforme. Sia il periodo pari ad una unitĂ di tempo. Tale moto è rappresentabile graficamente nel piano ove sull’asse delle x sono collocati i tempi mentre sull’asse delle ordinate è collocata la posizione del punto al tempo t ∈ ⌋0 ,1âŚŒ, đ?‘œđ?‘Łđ?‘Łđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘œ x(t). Il grafico è una curva convessa avente il punto di massimo assoluto nel punto x = A in corrispondenza del tempo t = 0 , đ?‘˘đ?‘› đ?‘ đ?‘˘đ?‘?đ?‘?đ?‘’đ?‘ đ?‘ đ?‘–đ?‘Łđ?‘œ đ?‘šđ?‘–đ?‘›đ?‘–đ?‘šđ?‘œ assoluto nel punto B corrispondente al tempo t =

1 2

e con un successivo assoluto, in corrispodenza del tempo t = 1, nel punto di

ordinata eguale alla ordinata del punto A. Per đ?‘Ą > 1 la situazione di ripresenta con periodicitĂ , come evidente se il moto continua. Si ammette che gli archi di circonferenza AB e BA, ad esempio in senso antiorario, vengano 1

percorsi in un tempo 2 , ovvero in un semiperiodo. Il caso della percorrenza di un arco rettilineo, di un cammino non curvo, da un punto A a un punto B e quIndi nuovamente in A può essere ben rappresentato da una spezzata ABA per la quale sia đ?‘Ľ0 = đ?‘Ľ1 = A e đ?‘Ľ1 = B. 2

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B

A

Se il moto è indefnito nel tempo allora è ben evidenziabile nel grafico la periodicitĂ . Ovviamente 1 è da intendersi un periodo, che vale Ď„ secondi dipendenti dalla velocitĂ scalare. Ove il moto non fosse uniforme allora si potrebbero avere situazioni del genere, di immediate interpretazione

Per đ?œ?1 ≤t ≤ đ?œ?2 il corpo è in quiete. Uno spazio X è detto connnesso per archi se per ogni coppia non ordinata (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ľ1 ) esiste un arco in X da đ?‘Ľ0 đ?‘Ž đ?‘Ľ1 . Va data la definizione di componente connessa di uno spazio topologico. Uno spazio topologico C è una componente connessa di uno spazio topologico X se sono verificate le due seguenti condizioni a) è connesso b) se esiste un connesso A ⊂ C allora C = đ??´.

Va quindi considerata la curva di Jordan. Si tratta di una curva chiusa del piano euclideo. Essa è sicuramente limitata nel senso che esiste un rettangolo R di đ?‘… 2 che la contiene.

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Mi sono creato una definizione abbastanza intuitiva di curva semplice osservando che esistono curve per le quali ∃đ?‘Ľ0 : ∃! f( đ?‘Ľ0 ). Dette curve ancorchè limitate non sono curve semplici. Una curva chiusa è semplice quando l’asserzione ∃đ?‘Ľ0 : ∃! f( đ?‘Ľ0 ) : ⎸ f( đ?‘Ľ0 ) ⎸ < ∞ è falsa ∀đ?‘Ľ0 ⎸ đ?‘Ľ0 ∈ (đ?‘Ľđ?‘–đ?‘›đ?‘“ , đ?‘Ľ đ?‘ đ?‘˘đ?‘? ) essendo dom f = ⌋đ?‘Ľđ?‘šđ?‘–đ?‘› , đ?‘Ľđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ âŚŒ

Una curva di Jordan è omeomorfa ai punti complessi z di modulo unitario. Se è dato il numero complesso z = a +ib si ha ⎸z ⎸= √đ?‘Ž2 +đ?‘? 2

Vorrei concludere questa breve nota con il concetto di omotopia di funzioni continue. Una omotopia è una applicazione tra funzioni. Siano date due funzioni continue đ?‘“0 đ?‘’ đ?‘“1 . Esse hanno dominio X e codomino Y. Sia I = ⌋ 0, 1 âŚŒ Sia data l’applicazione F : X Ă— đ??ź → Y Se ∀ x : x ∈ X risulta F(x, 0) = đ?‘“0 (x) e F(x, 1) = đ?‘“1 (x) L’applicazione F è detta una omotopia tra le funzioni đ?‘“0 đ?‘’ đ?‘“1 . Dette funzioni sono dette omotope rispetto all’omotopia F. Si scrive đ?‘“0 ≈ đ?‘“1 Il valore di F(x, t) viene indicato con il formalismo đ?‘“đ?‘Ą (x) In buona sostanza si ottiene una funzione continua đ?‘“đ?‘Ą (x) : X → Y. In realtĂ viene introdtto un concetto piĂš generale detto omotopia relativa. Dato X si consideri A ⊂ X e si considerino due funzioni continue đ?‘“0 đ?‘’ đ?‘“1 : X → Y Esse funzioni continue sono omotope relativamente ad A se esiste una omotopia

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F:XĂ—đ??źâ†’Y tra le funzioni assegnate tale che ∀a ∈ A risulta F(a, t) = đ?‘“0 (a) senza alcuna dipedenza da t per t ∈ I. Si ha đ?‘“0 (a) = đ?‘“1 (a) Si scrive đ?‘“0 ≈ đ?‘“1 (đ?‘&#x;đ?‘’đ?‘™. đ??´). Si tratta di una relazione di equivalenza. Vengono poi definiti gli spazi omotopicamente equivamenti se date due funzioni continue f e g risulta vero che gf ≈ 1 : X → X fg ≈ 1 : Y → Y f e g sono dette equivalenze omotopiche. Spazi omeomorfi sono omotopicamenteequivalenti. Spazi omotopicamente equivalenti non sono necessariamente omeomorfi. Esistono spazi che sono omotopicamente equivalent ad un punto. Detti spazi sono detti contraibili. Un cammino è chiuso quando Îą(0) =Îą(1) = đ?‘Ž Il punto a ∈ X è detto đ?‘?đ?‘˘đ?‘›đ?‘Ąđ?‘œ đ?‘?đ?‘Žđ?‘ đ?‘’. Sia dato uno spazio topologico X e due punti distinti di esso. Siano a e b detti punti. Lo spazio dei cammini đ?›ş (đ?‘‹, đ?‘Ž, đ?‘?) è un insieme i cui elementi sono tutte le funzioni continue di dominio I a valori di X per le quali Îą(0) = đ?‘Ž đ?‘’ Îą(1) = đ?‘? Si ha đ?›ş (đ?‘‹, đ?‘Ž, đ?‘?) = { đ?›ź: đ??ź → đ?‘‹ ⎸đ?›ź đ?‘’ ′ đ?‘?đ?‘œđ?‘›đ?‘Ąđ?‘–đ?‘›đ?‘˘đ?‘Ž đ?‘’ đ?›ź(0) = đ?‘Ž đ?‘’ đ?›ź(1) = đ?‘? }. Ăˆ definita una prima operazione detta di giunzione. Si ha đ?›ş (đ?‘‹, đ?‘Ž, đ?‘?) Ă— đ?›ş (đ?‘‹, đ?‘?, đ?‘?) → đ?›ş (đ?‘‹, đ?‘Ž, đ?‘?)

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Îąâˆ— đ?›˝ = Îą(2t) se 0 ≤ đ?‘Ą ≤

1 2

1

Îąâˆ— đ?›˝ = Îą(2t- 1) se 2 ≤ đ?‘Ą ≤ 1

La seconda operazione è l’inversione. đ?›ş (đ?‘‹, đ?‘Ž, đ?‘?) → đ?›ş (đ?‘‹, đ?‘?, đ?‘Ž) Inv ( đ?›ź(đ?‘Ą)) = đ?›ź(1 − đ?‘Ą) Vanno definiti i cammini omotopicamente equivalenti. Îą e β ∈ đ?›ş (đ?‘‹, đ?‘Ž, đ?‘?) sono cammini omotopicamnte equivalenti se esiste una applicazione continua F : I Ă— đ??ź → đ?‘‹ đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘™đ?‘’ đ?‘?â„Žđ?‘’ F(t , 0) = đ?›ź(đ?‘Ą) F(t , 1) = đ?›˝(đ?‘Ą) F(0 , s) = đ?‘Ž, ∀ s ∈ I F(1, s) = đ?‘?, ∀ s ∈ I Detta omotopia è una relazione di equivalenza.

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NOTA CONCLUSIVA

Ho elaborato questa breve sintesi della materia, limitata nei contenuti per ovvie ragioni, attiengendo da due fonti che mi sono state utili a prendere in considerazione gli aspetti più ampi e generali delle questioni tutt’altro che facili tipiche di una materia abbastanza astratta. Questo ovviamente è uno step iniziale particolarmente utile a me per inquadrare le problematiche da un punto di vista generale nella prospettiva di un successivo affinamento, lungi dal costituire una trattazione rigorosa. L’elaborazione è ovviamente epidermica e si limita a sciogliere il significato delle principali definizioni e a impostare qualche modesta riflessione personale. Non eslcudo che l’elaborato possa essere oggetto di rilievi e di critiche che mi risulterebbero peraltro ben utili. Vorrei ricordare le due fonti che ho utilizzato, sicuramente indispenabili nel consentirmi di apprendere quel poco che ho sintetizzato. Esse sono le seguenti. Marco Minetti, Topologia, II edizione, Springer. Czes Kosniowski, Introduzione alla topologia algebrica, Zanichelli.

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PROPRIETÀ LETTERARIA

Questo elaborato non ha finalità commerciali o lucrative. Ne è autorizzata la divulgazione, anche totale, a condizione che essa non abbia finalità commerciali o lucrative purchè essa avvegna con la citazione dell’autore e del soggetto diffusore dell’opera.

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pubblicazione a cura di Pascal McLee

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