Appunti Matematici 02

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Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

numero 2 – febbraio 15



INDICE

IN QUESTO NUMERO

RUBRICHE PILLOLE MATEMATICHE Ulteriori osservazioni basiche sulle funzioni e esercizi basici. I GRANDI MATEMATICI DEL PASSATO George Boole

L’ANGOLO DEL FISICO GENERALITÀ SULLE GRANDEZZE ED INCERTEZZE DI MISURA. IL MONDO DELLA FISICA ELEMENTARE 𝑹𝟑 E I VETTORI

LE MIE RIFLESSIONI CONDIZIONI DI ESISTENZA DEI QUADRILATERI CONVESSI AVENTI LATI INTERI


IN QUESTO NUMERO Avvio anche questo numero, il secondo, con le “pillole matematiche”. Dopo una attenta riflessione ho deciso di introdurre ulteriori considerazioni sulle fondamenta della teoria delle funzioni, rinviando al prossimo numero l’introduzione formale del concetto di limite di una funzione reale di una variabile reale. Ho cercato di usare un linguaggio piano, presumo di esserci riuscito. Come anticipato, in questa pillola saranno contenuti diversi esercizi, seppur elementari. Alla “pillola matematica” seguirà un breve elaborato che illustrerà, seppur per sommi capi, il pensiero di un grande matematico e logico inglese, George Boole. Sarà questa l’occasione di introdurre la sua algebra e il sistema di numerazione binario. Senza i suoi contributi teorici oggi non potremmo descrivere i circuiti logici e i conseguenti circuiti fisici, oggi integrati. A questa digressione storica seguirà una nuova rubrica “L’angolo del fisico”, nella quale introdurrò i primi concetti della fisica, a partire da quello di misurazione, le incertezze, e la prima fondamentale distinzione tra grandezze scalari e vettoriali. Infine, troverà spazio un mio saggio (non pubblicato) che è ancora in progress. Esso riguarda le condizioni di esistenza di un quadrilatero convesso i cui lati sono quattro numeri interi. Ho deciso di pubblicarlo comunque.


PILLOLE MATEMATICHE Ulteriori osservazioni basiche sulle funzioni e esercizi basici.

Nel corso del precedente numero in questa rubrica ho introdotto le prime nozioni della teoria elementare delle funzioni. In questo secondo numero ne introdurrò di ulteriori pure inserendo nozioni algebriche, comunque utili. Solo nella prossima “pillola” verranno introdotti formalmente i limiti. 1. Segno di una funzione Molto spesso per una funzione f è necessario conoscere il segno di essa (che in genere varia da intervallo a intervallo). La concreta determinazione del segno di una funzione è rimesso alla risoluzione di disequazioni (algebriche o trascendenti). Un esercizio ad hoc illustrerà il modus operandi.

2. Funzione valore assoluto Viene definita una particolare funzione detta “funzione valore assoluto” nel modo seguente: essa fa corrispondere al valore x il valore x quando x > 0 e al valore x il valore – x quando x < 0. f : x ∈ [ - ∞, +∞] → |x|= sup (x , - x). In altri termini la funzione valore assoluto conserva x quando questi è positivo e lo trasforma nell’opposto quando x < 0. In buona sostanza essa è contenuta nei quadranti I e II , è pari (l’asse y è di simmetria), e illimitata superiormente, ha un punto di minimo assoluto in x = 0. Essa è quindi limitata inferiormente. Essa è continua ma la dovremo studiare nel punto (0, 0) e dovremo dire che è ivi non derivabile.

3. Minimo relativo e minimo assoluto di una funzione Con riferimento alla funzione valore assoluto y = |x|è dotata di un minimo assoluto in x = 0 (punto del luogo). Un punto x* è detto di minimo assoluto della funzione se, per ogni x del dominio di essa, con x ≠ x*, si ha f(x*) ≤ f(x). Se questa riflessione può essere fatta non in relazione a dom f ma ad un


intervallo incluso propriamente in dom f allora si parla di minimo locale. In genere le funzioni hanno diversi minimi relativi ma, se esiste, uno ed uno solo minimo assoluto.

4. Massimi di una funzione Argomentando in modo simile e ponendo f(x*) ≼ f(x) si definiscono i massimi (eventuali) di una funzione.

5. Massimi e minimi di una funzione limitata non costante Una funzione limitata (quindi limitata superiormente e inferiormente) non costante ammette un massimo e un minimo. Formalmente per essa f(x) si ha a < f(x) < b, ove đ?‘“1 = a e đ?‘“2 = b. Ove fosse a ≤ f(x) ≤ b allora max f(x) = b e min f(x) = a. Ci si deve convincere che non necessariamente è unico l’x ∈ dom f tale che f(x) = b oppure f(x) = a. Un esempio concreto è la funzione sin(x) per la quale a = - 1 e b = + 1.

6. Funzione “parte interaâ€? di x reale La funzione parte intera è la funzione che associa ad un numero reale la parte che precede la virgola, per essa si utilizzano le parentesi quadre. Per esempio la parte intera di 15,250 è [15,250] = 15. Il problema della distinzione tra parte intera di un numero e numero di pone solo per i razionali e per gli irrazionali. Per i naturali infatti è ben evidente che [n] = n. Le cifre dopo la virgola sono dette “mantissaâ€?. In astratto viene definita anche una funzione mantissa. Per semplicitĂ ometto di trattare il caso. Formalmente si ha f: R → I, ove I è l’insieme degli interi relativi. PiĂš precisamente y = [x]. Si rimanda a un testo istituzionale per ulteriori approfondimenti.


7. Dicotomia. Nessi con la monotonia Sia [đ?‘Ž, đ?‘?] ⊂ dom f. Se f(a) > 0 e f(b) < 0 e se ∃|f(x)| < ∞∀x ∈[đ?‘Ž, đ?‘?] ⊂ dom f allora esiste almeno un x* ∈[đ?‘Ž, đ?‘?] tale che f(x*) = 0. Sotto le condizioni poste ciò è vero anche per f(a) < 0 e f(b) > 0. Ăˆ bene osservare che se e solo se la funzione è nonotona esiste un unico x* tale che f(x*) = 0. Se la funzione non è nonotona in generale la soluzione non è unica. Il numero x* tale che f(x*) = 0 è detto radice, o soluzione, o zero della f(.).

8. I numeri complessi Ăˆ risaputo che esistono equazioni come đ?‘Ľ 2 + 1 = 0 che non ammettono soluzioni. Ovvio, basta dimostrare che il quadrato di un numero reale è positivo e quindi non può essere eguale a un numero negativo. Per dare conto di queste situazioni vennero introdotti i numeri complessi. Esso è ordinariamente indicato con la lettera C. Per lungo tempo tali numeri rimasero oggetti puramente algebrici, numeri appunto‌ Il numero complesso è definito a partire dal concetto di coppia ordinata di numeri reali. Alla coppia ordinata (a, b) viene fatta corrispondere una forma algebrica per la quale il numero complesso z corrisponde univocamente la sua rappresentazione algebrica a + ib. I è una entitĂ â€œirrealeâ€? nel senso che algebricamente sarebbe i = √−1 . Essa non ha significato di numero reale, ma viene comunemente definita unitĂ immaginaria. Essa è associata alla coppia ( 0 ,1). Giova osservare che alla coppia (1, 0) corrisponde il numero 1. Per ora conviene fermarsi a ricordare che presi due reali a e b tali che si abbia la coppia ordinata (a , b) è stato stabilito un criterio inequivoco per il quale alla coppia (a, b) è fatto corrispondere univocamente un numero z = a + ib. L’avverbio “univocamenteâ€? vuol dire che a distinte coppie corrispondono distinti numeri complessi. Per esempio alla coppia (a, - b) corrisponde il numero complesso z’ = a – ib. I numeri z e z’ si dicono complessi coniugati (z’ è il coniugato di z e viceversa).


Nell’insieme

dei

numeri

complessi

sono

definite

le

ordinarie

operazioni

di

addizione,

moltiplicazione, divisione e sottrazione, savi gli affinamenti (potenze e radici che saranno considerate successivamente). Quando trattati in forma algebrica le operazioni sugli elementi di C sono elementari, avendosi: (a ,b) ∓ (c , d) = (a ∓c ) + i (b ∓ d). Per la moltiplicazione si procede speditamente (a, b) (c, d) = (a + ib) (c + id) = ac + iad + ibc – bd = ac – bd + iad + ibc = (ac – bd) + i (ad + bc) = (ac – bd , ad + bc). Ăˆ bene ricordare che in C è ammessa la proprietĂ di raccoglimento a fattor comune, nei passaggi ho infatti posto iad + ibc = i (ad + bc). Viene poi spontaneo chiedersi perchĂŠ la prima componente (reale) del complesso prodotto di due complessi contiene il segno meno (essendo essa ac – bd). La 2

ragione è semplice. PerchĂŠ ad un certo punto nei passaggi di aveva i*i = (√−1 )(√−1 ) = √−1 = –1. Non è ammissibile scrivere (√−1 )(√−1 ) = √(−1)(−1) =

√1 = 1. Non si trova mai scritto da

nessuna parte! ma è cosĂŹ. Per ora è assodato che i*i = đ?‘– 2 = - 1. Ăˆ possibile dati (a, b) e (c, d) determinare anche la ratio di essi. Basta scrivere sotto forma di rapporto i due numeri complessi in forma algebrica e ricordare che moltiplicando e dividendo per uno stesso numero il risultato non cambia. a+ib/c+ id = (a+ib/c+ id)( c –id/ c - id) = ‌‌‌‌‌‌ i calcoli sono immediati dovendo anche ricordare lo sviluppo di Newton per i quadrati del numero (đ?‘? − đ?‘–đ?‘‘)2 = đ?‘? 2 - 2id + (đ?‘–đ?‘‘)2 con l’avvertenza che đ?‘– 2 = - 1. Sviluppando opportunamente i calcoli si ha che al numero a+ib/c+ id corrisponde la coppia (ac + bd/ đ?‘? 2 + đ?‘‘ 2 , cb – ad/đ?‘? 2 + đ?‘‘ 2 ). In realtĂ queste operazioni verranno piĂš facilmente considerate utilizzando altre notazioni per i numeri complessi, quali quella trigonometrica e quella polare. Per introdurre queste ulteriori


notazioni occorre considerare i numeri complessi come “vettoriâ€? del piano complesso, introdotta dal matematico danese Wessel e reso famoso da Gauđ?›˝ e da Argand.

9. Piano complesso Il piano complesso, nel quale sono collocati i numeri complessi, contiene due assi, detti, rispettivamente,

asse

reale

(coincidente

con

l’asse

delle

ascisse)

e

asse

immaginario

(corrispondente all’asse delle ordinate). I due assi si intersecano in un punto detto polo (o origine). Ad un punto dei detto piano corrisponde uno ed uno solo numero complesso (a, b). Vale il contrario. Del numero (a, b) viene data una rappresentazione, detta vettoriale, costituita da un segmento orientato di origine (0,O) e di estremo (a, b). Colle proiezioni ortogonali passanti per (a, b) coi due assi viene a formarsi un triangolo rettangolo. La distanza del punto (a, b) dall’origine – detta modulo del numero complesso – si indica con la lettera Ď , e vale, applicando il teorema di Pitagora, Ď = √ đ?‘Ž2 + đ?‘? 2 . I numeri reali sono numeri collocabili sull’asse delle ascisse (asse reale), mentre i numeri immaginari (0, b) sono collocati sull’asse delle ordinate (asse immaginario). Questi ultimi sono del tipo ib, o meglio z = 0 + ib. A questo punto conviene accantonare i numeri complessi e considerare particolari funzioni periodiche, quelle goniometriche circolari che saranno utili per studiare ulteriori proprietĂ dei numeri complessi.


10. Le funzioni trigonometriche Per queste finalitĂ introduttive è sufficiente introdurre le funzioni goniometriche circolari, solitamente oggetto della trigonometria. Esse hanno sicuramente interessanti proprietĂ e hanno particolari applicazioni concrete. SarĂ bene partire dalla circonferenza trigonometrica di raggio unitario. Ăˆ noto che in đ?‘…2 la circonferenza goniometrica è il luogo di equazione đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 = 1. Su di essa vengono definite due importanti funzioni, la funzione seno e la funzione coseno. Quella che segue è una “ricostruzione semplificataâ€?. Sia (a, b) un punto del luogo đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 = 1. (a,b) è un punto del luogo, ovvero (a, b) ∈ c: đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 = 1 se e solo se đ?‘Ž2 + đ?‘? đ?‘? = 1. Ovviamente (a, b) deve intendersi come coppia ordinata. Ăˆ possibile dire (per definizione) che a = cosφ e b = sinφ. Si pone φ come l’angolo orientato formato dalla retta passante per i punti 0 e (a, b) e il semiasse positivo delle ascisse ( o delle x). Se P è un punto qualunque del luogo allora

sin(đ?œ‘) = đ?‘Śđ?‘ƒ e cos(φ) = đ?‘Ľđ?‘ƒ . Ho mutuato, con

adattamenti, questo modo di introdurre dette funzioni da Elementi di trigonometria (Giambò), che utilizzai nelle scuole superiori. Ove si supponga disegnata la figura si evidenzia la limitatezza delle due funzioni introdotte. Per esse si ha -1 ≤ sinφ ≤ 1 ovvero |sinφ| ≤ 1. Tali limitazioni si hanno pure per la funzione cosφ. Viene poi introdotta per definizione una terza funzione goniometrica, la funzione tangente. tangđ?œ‘ := sinφ / cosφ. Essa non è definita quando cosđ?œ‘ = 0. Si può dimostrare che la funzione tang(.) è di periodo Ď€. Esistono per dette funzioni delle definizioni “equivalentiâ€? a quelle appena date: Dato un triangolo rettangolo ABC viene definito seno di un angolo il rapporto tra il lato opposto ad esso e l’ipotenusa, coseno di un angolo il rapporto tra il lato adiacente e l’ipotenusa, mentre la tangente di un angolo è il rapporto tra il cateto opposto e il cateto adiacente. La periodicitĂ delle funzioni sin(.) e cos(.) è immediata e vale 2đ?œ‹. Ho rinvenuto in un bel testo francese (Damin, G., MathĂŠmatiques, Ellipses, 2006) una pregevole tabella sintetica che, riadattata da me solo formalmente, riporto.


sin a = sin b ⇔ ( a = b + 2kĎ€ ; a = Ď€ – b + 2kđ?œ‹ ) cos a = cos b ⇔ đ?‘Ž = Âą b + 2kĎ€ tan a = tan b ⇔ a = b + kđ?œ‹ a e b sono misure di angoli, đ?œ‹ è ben noto e k è ogni intero relativo (zero compreso che, peraltro non ha segno). In analisi gli angoli vengono misurati in radianti.

11. L’unitĂ di misura degli angoli. Il radiante. In analisi matematica è d’elezione misurare le ampiezze degli angoli piani utilizzando una unitĂ di misura particolare, detta radiante. Nel Sistema internazionale di misura è una grandezza fisica fondamentale priva di dimensioni. Dicesi radiante l’arco di circonferenza rettificata eguale al raggio. Il passaggio dalla misura dei gradi sesadecimali ai radianti è immediata e data da una proporzione. 2đ?œ‹ : 360° = rad : đ?›ź da cui immediatamente si ha rad = (2Ď€/360) đ?›ź.

12. Forma trigonometrica e forma polare dei numeri complessi Fatte queste premesse è possibile dare conto della notazione goniometrica e di quella polare dei numeri complessi. Fermo restando il contenuto del § 8 e

tenuto conto delle definizioni delle

funzioni goniometriche come relazioni tra lati di un triangolo rettangolo si ottengono immediatamente i seguenti passassi che conducono alla notazione trigonometrica dei numeri complessi. z = a + ib = đ?œŒcosđ?œ‘ + iĎ sinφ = đ?œŒ(cosđ?œ‘ + isinφ). Fu dovuto a Eulero uno sviluppo di questa ultima relazione che condusse alla notazione “polareâ€? dei numeri complessi. Riporto l’intera sequenza degli step che definiscono le varie distinte ma equivalenti modalitĂ di rappresentazione dei numeri complessi. z = (a , b) = a + ib = đ?œŒcosđ?œ‘ + iĎ sinφ = đ?œŒ(cosđ?œ‘ + isinφ)= Ď (đ?‘’ đ?‘–đ?œ‘ ).


Ăˆ consigliabile usare sempre la forma polare quando abbia a che fare con moltiplicazioni o divisioni. Per esempio consideriamo il prodotto di due numeri complessi. z = đ?‘§1 đ?‘§2 = đ?œŒ1 đ?‘’ đ?‘–đ?œ‘1 đ?œŒ2 đ?‘’ đ?‘–đ?œ‘2 = đ?œŒ1 đ?œŒ2 đ?‘’ đ?‘–(đ?œ‘1

+ đ?œ‘2

). Basta ricordare le proprietĂ delle potenze. Esse valgono anche in C. Per le potenze

il passo è breve basta porre che tutti gli đ?‘§đ?‘– siano eguali. Per le divisioni si consiglia di lavorare sempre sulla formula polare. Ad esempio z =

�1 �2

đ?œŒ1

= đ?œŒ1 đ?‘’ đ?‘–đ?œ‘1 / đ?œŒ2 đ?‘’ đ?‘–đ?œ‘2 = (

đ?œŒ2

)đ?‘’ đ?‘–(đ?œ‘1

− đ?œ‘2

).

Quando ci sono di mezzo addizioni e sottrazioni è preferibile lavorare sulla forma algebrica e trasformarla poi nella notazione voluta.

13. L’operatore i Ăˆ ben evidente che i può essere inteso come un operatore di rotazione. Per come è definito il piano complesso i opera una rotazione in senso antiorario di Ď€/2 rad. Ciò deriva dalla collocazione sull’asse delle ordinate dei numeri immaginari ib con b reale. Analogamente si può pensare đ?‘– 2 come ad un operatore che determina una rotazione antioraria di Ď€ rad. Ăˆ possibile studiare in generale gli operatori đ?‘– đ?‘› al variare di n.

14. Ulteriori osservazioni sui numeri complessi Nel consigliare i “Remarks on Complex Numbersâ€? contenuto in Courant-John (Introduction to Calclus and Analysis I) ove viene risolta in C l’equazione đ?‘Ľ đ?‘› = 1 vorrei ricordare che per il numero complesso z = (a , b) non è infrequente imbattersi in notazioni del tipo a =Re(z) e b = Im(z), con ciò volendosi rimarcare che a è la parte reale del numero complesso z mentre b è la componente immaginaria.

15. Coordinate polari Ho rinvenuto in Courant-John (Introduction to Calclus and Analysis I) una concisa sintesi delle coordinate polari. Per descriverle ci si può mettere tranquillamente in đ?‘…2 . Con considerazioni del tutto analoghe è possibile –considerato un punto P – definire la posizione di esso – rispetto all’origine 0 – in modo alternativo rispetto alle ordinarie coordinate (x, y). Per P ≥ (x , y) si ha molto


semplicemente che x = r cosφ , y = rsinđ?œ‘ đ?‘&#x; 2 = đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 tgφ= y/x, ove r è la distanza euclidea tra O e il punto P, φ è l’angolo che la retta per OP forma con il semiasse positivo delle x. Esse vengono usate in luogo delle coordinate cartesiane per semplificare l’equazione del luogo.

16. InvertibilitĂ delle funzioni circolari Essendo esse periodiche (e quindi non iniettive) le funzioni circolari, sin(.), cos(.) e tg(.) non sarebbero invertibili. Per ovviare a questo problema si è deciso di considerarle su un particolare intervallo e non su tutto R. Esse sono ridefinibili come segue. Per la funzione seno si ha f: [- Ď€/2 , Ď€/2] → R avendosi una đ?‘“ −1 : dom

đ?‘“ −1 = [−1, +1] Tale

funzione è detta funzione arcoseno đ?‘ đ?‘–đ?‘›âˆ’1 oppure y = arcsin(.). Per la funzione coseno si ha g: [0 , Ď€] → R avendosi una đ?‘”−1 : dom

đ?‘”−1 = [−1, +1] Tale funzione è

detta funzione arcoseno đ?‘?đ?‘œđ?‘ −1 oppure y = arccos(.) Per la funzione tangente si ha h: ] - Ď€/2 , Ď€/2 [ → R avendosi una ℎ−1 : dom numeri reali.

ℎ−1 = R, insieme dei

Tale funzione è detta funzione arcotangente đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘›đ?‘”−1 oppure y = arctan(.). [. ] e ].[

denotano gli intervalli chiusi e aperti.

17. InvertibilitĂ di funzioni periodiche Sia assegnata una funzione periodica di periodo T, ovvero sia T il minimo reale tale che f(x) = f (x + T). Sia dato l’intervallo [ x + (n-1)T, x + nT] ⊂ dom f. Se la f(x) è nonotona (crescente strettamente o decrescente strettamente) in [ x + (n-1)T, x + nT] allora essa è invertibile quando studiata con la restrizione dom f = [ x + (n-1)T, x + nT].

18. Primo approfondimento sulla continuitĂ Sia assegnata una funzione f: [a, b]. Si ammetta essa continua. Una prima condizione è che sia |f(x)| < ∞, quando x ∈ [a, b] . Ma vi è una condizione. Ăˆ nota la funzione (detta di Dirichlet) che


associa ad un numero reale non irrazionale il numero 1 e al numero reale irrazionale lo zero. Ăˆ ben evidente che essa è definita in tutto R ma che al passaggio da un irrazionale al numero ad esso piĂš vicino razionale la funzione salta da 1 a 0. Una funzione del genere non è da ritenersi continua. Tale funzione è detta χ(x). A contrariis è continua una funzione come quella di Dirichlet per la quale la funzione assume un valore quasi eguale a 1 quando x è irrazionale? A piccole variazioni della x dovendo corrispondere piccole variazioni di f(x), secondo Cauchy. La nozione di continuitĂ dovrĂ essere precisata ulteriormente. Condizione necessaria ma non sufficiente affinchè una funzione f(x) sia continua in un punto đ?‘Ľ0 deve essere |f(đ?‘Ľ0 )| < ∞. Affinchè una funzione sia continua in đ?‘Ľ0 è pure necessario che essa sia definita in un intervallo (đ?‘Ľ0 - a , đ?‘Ľđ?‘œ + a) e che partendo dagli estremi, avvicinandoci da sinistra e da destra verso il punto đ?‘Ľ0 il valore di f(x) si avvicini al valore f(đ?‘Ľđ?‘œ ). In buona sostanza la continuitĂ in đ?‘Ľ0 presuppone che essa sia definita in un intorno simmetrico di detto punto. Possiamo intuitivamente ammettere che a sia una quantitĂ â€œ piccolaâ€?. Tale aggettivo va precisato come segue. Ritorneremo sulla continuitĂ dopo aver studiato i limiti.

19. La nozione di infinitesimo Ăˆ bene, a questo punto, definire il concetto di infinitesimo. Ăˆ ben evidente che se si parte dal numero 1/n assegnando ad n valori via via maggiori si ottengono valori via via minori del numero 1/n. La questione potrebbe essere studiata con il formalismo delle successioni, ovvero con una scrittura del tipo đ?‘Žđ?‘› = 1/n, intendendo per esempio che đ?‘Ž100 = 1/100. Assegnando ad n valori via via maggiori il numero 1/n diviene sempre piĂš prossimo allo zero da valori sempre positivi. Intuitivamente si dice che 1/n tende a zero quando n tende all’infinito. Ciò è formalizzabile nel modo seguente lim 1/đ?‘› = 0. Ciò non vuol dire che 1/n = 0. Vuol dire che si avvicina al limite al đ?‘›â†’ +∞


valore 0 ma senza mai esserlo! PiĂš formalmente

lim 1/đ?‘› = 0+ , intendendo affermare che i valori

đ?‘›â†’ +∞

assunti dalla successione đ?‘Žđ?‘› sono sempre piĂš vicini allo zero, quando si fa crescere n, ma sono sempre positivi. 0 = inf đ?‘Žđ?‘› . Dicesi infinitesimo ogni quantitĂ 0 < dx < 1/n, al variare di n in N. Quindi un infinitesimo è una quantitĂ positiva ma minore del numero 1/n che al variare di n si comporta come una successione numerica decrescente limitata per la quale 0 = inf đ?‘Žđ?‘› . Nella teoria dei limiti l’infinitesimo si indica con la lettera δ e non infrequentemente con la scrittura dx. Ricordo incidentalmente che inf sta per estremo inferiore.

20. Funzioni monomie (o funzioni potenza) Nel primo numero furono introdotte le funzioni polinomiali, ovvero funzioni del tipo y(x) =∑đ?‘›0 đ?‘Ľ đ?‘– đ?‘Žđ?‘– Se si considera il caso particolare đ?‘Žđ?‘– = 0 quando i ≤ (n-1) e đ?‘Žđ?‘› ≠0 si ha la funzione y(x) = đ?‘Žđ?‘› đ?‘Ľ đ?‘› detta monomio o funzione potenza intera. Ma in generale è possibile introdurre funzioni del tipo y(x) = k(đ?‘Ľ đ?‘&#x; ). Sono ben noti i casi r sia del tipo 1/n, ricadendosi in questo caso in una relazione ben nota. Ăˆ bene ricordare che đ?›ź 1/2 = √đ?‘Ž con a ⊞ 0. Avremo modo di ritornare anche su queste questioni.

21. Logaritmi Ăˆ il caso di ricordare la definizione elementare di logaritmo. Dicesi logaritmo in base a di un numero positivo b e si scrive log đ?‘Ž đ?‘? il numero reale r per il quale è vera la seguente relazione đ?‘Žđ?‘&#x; = b. Sono introdotte particolari limitazioni. Deve essere a > 0, ed anche b > 0. Ogni numero a > 0 può costituire una base dei logaritmi. Solitamente si utilizzano due basi, 10, dando origine ai cosiddetti logaritmi volgari e il numero e che da origine ai logaritmi di Nepero. Tale valore, che è il risultato di un limite fondamentale, vale e ≈ 2,71. In relazione alla base e si ha log đ?‘? = ln đ?‘? . đ?‘’


22. Teoremi sui logaritmi Qualunque sia la base sono particolarmente utili i cosiddetti teoremi sui logarimi che sono i seguenti. PoichĂŠ in analisi si utilizza la base e utilizzo per essi la notazione ln(.). ln đ?‘Žđ?‘? = ln đ?‘Ž + ln đ?‘? ln ( đ?‘Ž/đ?‘?) = ln đ?‘Ž - ln đ?‘? ln đ?‘Žđ?‘› = n ln đ?‘Ž Essi si dimostrano a partire dalla definizione formale di logaritmo. Il logaritmo sarĂ ritrattato successivamente.

23. Rappresentazione grafica della funzione y = ln đ?‘Ľ Si ha f: (0, +∞) → [ - ∞ , +∞] . L’asse delle y è un asintoto verticale di y quando x → 0 . ln(0) non è definito. Lo studio di essa è immediato. Tale funzione è nonotona e illimitata (sia inferiormente che superiormente). Essa è continua.

24. La funzione esponenziale y = đ?‘’ đ?‘Ľ = exp(x) Come è noto la funzione ln(x) con x > 0 è una iniezione, quindi ammette una funzione inversa detta funzione esponenziale. Essa è f: (-∞, +∞) → đ?‘… + . Tale funzione è iniettiva monotona strettamente. La inietività è immediata. Infatti da y = đ?‘’ đ?‘Ľ1

e da y = đ?‘’ đ?‘Ľ2 si ha che đ?‘’ đ?‘Ľ1 = đ?‘’ đ?‘Ľ2 se e solo

se đ?‘Ľ1 = đ?‘Ľ2 . Quindi in generale per đ?‘Ľ1 ≠đ?‘Ľ2 si ha đ?‘’ đ?‘Ľ1 ≠đ?‘’ đ?‘Ľ2 . Indi è dimostrata la monotonia. PoichĂŠ e > 1 allora essa è crescente.

25. Le funzioni sec(x), cosec(x) e cotan(x) Oltre alle giĂ introdotte funzioni circolari ne esistono di ulteriori. Esse sono csc(x) = 1/sin(x), sec(x) = 1/cos(x), cot(x) = 1/tg(x). I domini di definizione di esse sono immediati da determinare.


26. L’identitĂ pitagorica (sin đ?›ź)2 + (cos đ?›ź)2 = 1 Essa deriva sostanzialmente dalla definizione di funzioni a partire dalla circonferenza di raggio unitario, mediante le sostituzioni đ?‘Ľđ?‘ƒ → cos(Îą) e đ?‘Śđ?‘? → sin(Îą).

27. Non linearitĂ della funzione sin(.) Ăˆ facile convincersi che su una retta, se đ?‘Ľ1 ed đ?‘Ľ2 sono punti del luogo, allora f(đ?‘Ľ1 ) + f(đ?‘Ľ2 ) = f(đ?‘Ľ1 +đ?‘Ľ2 ). Questo per le funzioni è davvero un caso. Per altre funzioni ciò non è vero. Per esempio per la funzione sen(.) si ha che sin(Îą+β) ≠sinÎą + sinβ.

Esiste una nutrita sequenza di identitĂ

trigonometriche a partire dalla formula di addizione dei seni. Basta consultare un buon testo di trigonometria.

28. Funzioni implicite Riporto testualmente la definizione di funzione implicita (Demodovic, a cura di, Esercizi e problemi di Analisi matematicaâ€?. Essa è la seguente: Una funzione data da una equazione insoluta rispetto alla variabile indipendente si chiama funzione implicitaâ€?. Risultano funzioni implicite scritture del tipo đ?‘Ľ đ?‘› + đ?‘Ś đ?‘› = đ?‘&#x; đ?‘› . Il caso n = 2 descrive un luogo particolarmente noto: la circonferenza di raggio r e di centro in (0, 0). Anche con riguardo ad una situazione “tranquillaâ€? come quella data dalla circonferenza si osserva che per un assegnato x,

ovvero per x = đ?‘Ľ0 ,

esistono due y (i numeri Âąđ?‘Ś0 ) che verificano l’equazione del luogo. Ăˆ possibile, in generale, considerare relazioni del tipo đ?‘Ľ đ?‘› + đ?‘Ś đ?‘› = k, con k numero reale.

29. Funzione fattoriale Esiste una particolare funzione, detta funzione fattoriale. y(n) = n! e una f: N → N. Bisogna definire “il fattoriale di un numeroâ€?. Esso è definito nel modo seguente n! = n(n-1)(n-2)‌.. 1. Nel piano cartesiano la funzione n! è costituita dai punti (n, n!) di đ?‘…2 . Per esempio 5! = 5*4*3*2*1. Esiste una relazione a volte molto utile di immediata comprensione n! = n((n -1)!) e per definizione si pone 0! = 1 (e non zero come si potrebbe pensare). Si ha anche che 1! = 1.


30. Altre funzioni canoniche Esistono poi particolari funzioni delle “iperbolicheâ€?, anche per questo si può consultare un buon testo. Esse saranno considerate in futuro. Per ora bastano tre definizioni. sinh(x) = ( đ?‘’ đ?‘Ľ - đ?‘’ −đ?‘Ľ )/2 cosh(x) = ( đ?‘’ đ?‘Ľ + đ?‘’ −đ?‘Ľ )/2 tangh(x) = sinh(x)/cosh(x) E forse utile ricordare che đ?‘’ −đ?‘Ľ = 1/đ?‘’ đ?‘Ľ > 0. Queste funzioni, unitamente a csch(x), sech(x) e cotgh(x), unitamente alle funzioni inverse saranno oggetto di una pillola successiva “Studio completo di funzioniâ€?.

31. Simmetria di f e di đ?‘“ −1 rispetto alla retta y = x La retta y = x è il luogo dei punti aventi eguali coordinate. Geometricamente essa passa per l’origine del sistema di assi cartesiani e è la bisettrice del I e del III quadrante cartesiano. Le curve relative a f e a đ?‘“ −1 sono simmetriche rispetto ad essa.

32. Legge di decadimento esponenziale Bisogna dare conto di una legge fisica particolarmente importante studiabile dal punto vi vista matematico. In genere essa è studiata nel dominio del tempo, quindi in luogo della variabile x si pone la t (come variabile indipendente). La legge è la seguente y(t) = kđ?‘’ đ?œŽđ?‘Ą . k e Ďƒ sono due costanti fisiche.

Ăˆ bene ricordare che k = y(0). Essa esprime la condizione iniziale, come si vedrĂ

ampiamente studiando nel futuro il problema di Cauchy. Sostanzialmente K è il valore che la grandezza Y assume al tempo t = 0, all’â€?inizio dei tempiâ€?. Il valore

đ?‘’ đ?œŽđ?‘Ą è un numero puro indi Ďƒ è

dimensionalmente una frequenza, misurata in đ?‘ đ?‘’đ?‘? −1 .

Nel prossimo numero: La definizione di limite, la continuitĂ e la derivabilitĂ , con esempi ed esercizi.


ESERCIZI

Risolvo questi esercizi che ho tratto dagli esercizi supplementari del testo Spiegel, Analisi matematica, McGraw-Hill

1. Determinare il dominio di definizione delle seguenti funzioni. a) f(x) = √(3 − đ?‘Ľ )(2đ?‘Ľ + 4)

√(3 − đ?‘Ľ )(2đ?‘Ľ + 4) = √ 6đ?‘Ľ + 12 – 2đ?‘Ľ 2 − 4đ?‘Ľ

= √−2đ?‘Ľ 2 + 2 đ?‘Ľ + 12

. A questo punto è possibile risolvere

l’equazione − 2đ?‘Ľ 2 + 2 đ?‘Ľ + 12 = 0 . Ăˆ possibile utilizzare la formula risolutiva x = in essa b = 2, etc avendo đ?‘Ľ =

− 2Âąâˆš(−2)2 −4(−2)(12) 2(−2)

−đ?‘?Âąâˆšđ?‘? 2 −4đ?‘Žđ?‘? 2đ?‘Ž

, ponendo

. Si otterranno quindi le soluzioni (entrambe reali

perchĂŠ đ?›ż > 0 ) đ?‘Ľ1 = - 2 e đ?‘Ľ2 = 3. Il polinomio P(x) di secondo grado deve essere positivo (condizione di realtĂ del radicale). Anche disegnando la parabola di equazione y = − 2đ?‘Ľ 2 + 12 đ?‘Ľ + 32 si osserva che P(x) ⊞ 0 per – 2 ≤ x ≤ 3. Questo è un metodo abbastanza usuale di risoluzione. Vorrei osservare che alle medesime conclusioni si giunge ragionando in un altro modo, ovvero considerando i seguenti passaggi. √(3 − đ?‘Ľ )(2đ?‘Ľ + 4) = √3 − đ?‘Ľ √2đ?‘Ľ + 4 (la condizione di esistenza del radicale è ricondotta alla esistenza di due radicali, ovvero alle condizioni: 3 –x ⊞ 0, 2x + 4 ⊞ 0. Si ha, immediatamente, che 3 ⊞ đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘Ž đ?‘?đ?‘˘đ?‘– đ?‘Ľ ≤ 3, đ?‘šđ?‘Ž đ?‘Žđ?‘›đ?‘?â„Žđ?‘’

4

2x ⊞ – 4 ovvero x ⊞ − = −2. 2

Siccome devono essere verificate

contemporaneamente le due condizioni si ricade nelle considerazioni precedenti e l’intervallo che verifica le condizioni di realtĂ del radicale è ogni x tale che x∈ [ -2, 3]. Quindi dom f = [ -2, 3] b) f(x) = x-2/đ?‘Ľ 2 – 4 Trattasi di una funzione fratta. Essa è definita quando đ?‘Ľ 2 - 4 ≠0, ovvero per đ?‘Ľ 2 ≠4, ovvero x ≠√4 = Âą 2. x = Âą 2 sono due asintoti verticali. dom f = R/{−2 , 2}. c) f(x) = √sin(3đ?‘Ľ)


In questo caso bisogna coordinare la condizione di realtĂ del radicale data da sin(3x) ⊞ 0 con le peculiaritĂ della funzione sin(.). Per semplificarsi la vita è forse utile introdurre una sostituzione ponendo 3x = t (nessuna allusione al tempo!). 3đ?‘Ľ=đ?‘Ą

√sin(3đ?‘Ľ) →

√sin(đ?‘Ą)

La condizione sin(t) ⊞ 0 è data – considerando la periodicitĂ della funzione sin(t) – da: 0 + 2kĎ€ ≤ đ?‘Ą ≤ Ď€ + 2kĎ€ = đ?œ‹( 1 + 2đ?‘˜) Operando la sostituzione t = 3x si ottiene il risultato. 2kĎ€ ≤ 3đ?‘Ľ ≤ Ď€ + 2kĎ€ = đ?œ‹( 1 + 2đ?‘˜) (2/3)kĎ€ < x < (Ď€/3)((1+2k)

2. Se f(x) = 2đ?’™đ?&#x;? , 0 < x ≤ đ?&#x;?. Determinare (a) l’estremo superiore, (b) l’estremo inferiore di f(x). Stabilire se f(x) attinge il suo estremo inferiore e superiore. a) basti osservare che x = 2 appartiene a dom f . x = 2 è max(dom f). f(2) = 2đ?‘Ľ 2 = 2(22 ) = 23 = 8. 8 è l’estremo superiore della funzione e si scrive sup f(x) = 8 = max(fx). b) x = 0 non appartiene al dominio della funzione f(0) non è definita. x = 0 è l’estremo inferiore di dom f. Inf f(x) = 0. Sarebbe ovviamente errato scrivere min f(x) = 0 per x = 0, in quanto x = 0 ∉ dom f.

3. Calcolare i punti di discontinuitĂ di ognuna delle seguenti funzioni a) f(x) = x/(x – 2) (x – 4) Sono di discontinuitĂ i punti che annullano il denominatore ovvero i numeri x = 2 e x = 4. b) f(x) = √(đ?‘Ľ − 3 )(6 − đ?‘Ľ) , 3 ≤ đ?‘Ľ ≤ 6. f: [3 , 6] → đ?‘… +


Deve essere x – 3 ⊞ 0 0 ovvero x ⊞ 3 e pure 6 – x ⊞ 0 0vvero 6 ⊞ x indi x ≤ 6. Deve essere x ∈[3 , 6]. Ma quello ricavato altro non è che dom f (dato del problema). Tali argomentazioni giustificano che la funzione non ha discontinuitĂ . L’assenza di esse si giustifica con la tipologia di dominio considerata. c) f(x) = đ?‘Ľ 2 sin(1/x) x ≠0 f(0) = 0 La funzione è sempre definita per x ≠0. Viene poi definita per x = 0 facendo risultare che f(x=0) = 0. Giova osservare che a tale risultato non si perviene per mera sostituzione, bensĂŹ con una operazione di passaggi o al limite. Per il momento resta da concludere che la funzione (x) = đ?‘Ľ 2 sin(1/x) x ≠0 f(0) = 0 è continua per ogni x. La funzione g(x) = đ?‘Ľ 2 sin(1/x), non è continua in x = 0 ove non è definibile. Infatti la scrittura sin(1/0) non ha senso. d) f(x) = 1/ 1 + 2sinx Senza ulteriori specificazioni la funzione è definita per 1 + 2 sin x ≠0, ovvero 2sinx ≠−1 ovvero sinx = - ½ ovvero essa è discontinua per x = arcsin (-1/2). Determinato l’angolo minimo si deve poi tenere conto che la periodicitĂ .

4. Esercizio sulla composizione di funzioni. Questo esercizio è estratto da “Introduction to Mathematics for Economicsâ€? di Akihito Asano, che ho acquistato nello store della Banca Mondiale a Washington D.C. nello scorso ottobre. Assegnate le funzioni f(x) = 3x + 1 e g(x) = -đ?‘Ľ 2 – x. Ăˆ vero che per ogni x reale si ha g(f(x) = f(g(x) ? Se no (nel senso che non è vero per ogni n) dire se esistono valori particolari per i quali tale “equazioneâ€? è vera. Si è giĂ detto che in generale f(g(x) ≠g(f(x) (non commutativitĂ della composizione di due funzioni). Ma, a volte è possibile che sia g(f(x) = f(g(x). Vediamo se quello prospettato è il caso. Bisogna costruire f(g(x). I seguenti passaggi sono di immediata interpretazione.

x

đ?‘“

→

đ?‘”

f(x) = 3x + 1 → g(f(x) = 3(- � 2 – x ) + 1 = - 3� 2 - 3x + 1


x

đ?‘”

đ?‘“

→ g(x) = - � 2 – x → f(g(x)) = - (3� + 1)2 - (3x + 1) = - 9� 2 - 6x – 1 – 3x – 1 = - 9� 2 - 9x – 2

Quindi f(g(x) ≠g(f(x). Ci si potrebbe chiedere: esiste un �0 tale che - 3� 2 - 3x + 1 =

- 9� 2 - 9x – 2 da cui (9-3)� 2 + 6x + 3

=0? - 3đ?‘Ľ 2 - 3x + 1 + 9đ?‘Ľ 2 + 9x + 2 = 0 6đ?‘Ľ 2 + 6x + 3 = 0 2đ?‘Ľ 2 + 2x +1 = 0 Poiche δ = 0 esiste una soluzione reale di molteplicitĂ algebrica 2. Essa si ottiene dalla formula risolutiva dell’equazione di II grado in x. x =

−2Âąâˆš22 −4∗2∗1 2∗2

= - 2/4 = - ½

5. Esercizi dal Demidovic. Inserisco ora questi immediati esercizi che ho risolto a partire dal Demodovic. Essi ineriscono a campi di esistenza e a paritĂ /disparitĂ , etc. a) y = √− đ?’™ + (1/√ đ?&#x;? + đ?’™ ) Per tale funzione deve essere x ≤ 0 in quanto questa condizione rende reale il primo radicale. Esempio se x = - 6 si ha √– ( −6)

= √6 . Ma questa è solo una parte della veritĂ in quanto bisogna

dare conto della realtĂ del radicale a denominatore e della condizione di esistenza del numero. Delle due condizioni bisogna considerare quella che garantisce reale il numero ovvero deve essere √ 2 + đ?‘Ľ

> 0. Non sarebbe corretto scrivere √ 2 + đ?‘Ľ

(1/ √ 2 + đ?‘Ľ )

⊞ 0 in quanto 1/0 non è

ammissibile. Deve quindi essere 2 + x > 0 ovvero x > - 2. La soluzione pertanto è: dom f = ( - 2 , 0]. Tale intervallo è aperto a sinistra e chiuso a destra e si può scrivere inf dom f = - 2 e che max dom f = 0. Ăˆ immediato calcolare y(o) = 0 + 1/√2 = 1/√2. b) y = ln (2 + x/2 – x) Il numero 2+x/ 2 – x è detto argomento della funzione logaritmo. Si considerano i logaritmi in base e. Nella determinazione del campo di esistenza occorre garantire la condizione di consistenza


dell’argomento, ovvero deve essere 2 – x ≠0 ossia x ≠2. Deve essere poi verificata una seconda condizione, in quanto il logaritmo di numero, qualunque sia la base, quindi anche la base e, esiste in R solo per elementi di đ?‘…+ /{0}. Deve quindi essere 2 + x / 2 – x > 0. Quindi deve risultare 2 + x > 0 e 2 – x > 0 ovvero x > - 2 e x < 2 2 + x < 0 e 2 – x < 0 ovvero x < - 2 e x > 2 Si evince che dom f = R/{ - 2 , 2}. Il numero – 2 non è del dominio perchĂŠ annulla l’argomento del logaritmo, mentre x = 2 fa perdere di significato all’argomento. c) f(x) = ln (1+x/1-x). Per verificare se essa è pari o dispari bisogna sostituire x con – x avendosi: f(-x) = ln (1 –x /1 – (- x)) = ln (1-x/1 + x). In una funzione pari deve essere f(x) = f(-x) ⇒ln (1+x/1-x) =

ln (1+x/1-x) ⇒ (1 + x /1 - x)) = (1-x/1 + x). Non è necessario fare calcoli. Ăˆ come se dicessi che

a/b = b/a. L’eguaglianza si avrebbe in un caso particolare x = 0 ma non in generale, per ogni x. Quanto alla disparitĂ deve essere f(-x) = - f(x). Proviamo. – f(x) = - ln (1 + x/ 1- x) mentre f(-x) = ln (1-x/1 + x). Ma c’è da chiedersi se da 1 + x / 1 – x > 0 può discendere 1 – x / 1 + x > 0. Ciò è vero in generale. Ăˆ possibile operare con una sostituzione e porre 1 + x / 1 – x = t ≠0 avendosi, ovviamente, 1 – x / 1 + x = 1/t con t > 0. Con la sostituzione posso definire una nuova funzione g(t) = ln(t) avendo pure g(1/t) = ln (1/t). Se t > o pure 1/t > 0 quindi la funzione g è definita sia per t che per 1/t, indi g(t) e g(1/t) esistono. Non esiste g(-t). Va rimarcata la relazione che collega -g(t) e g(1/t) a – f(x) e a f(-x), rispettivamente. Si ammetta che la funzione considerata sia dispari quindi sia – g(t) = - (log(t)). Sia anche f(-x) = ln(1-x/1+ x) da cui per la data sostituzione f(-x) = g(1/t). Si ammetta sia - (ln(t) = đ?›ź e ln((1/t) = đ?›˝. La funzione g nel dominio di t (variabile di appoggio, non necessariamente il tempo). Affinchè la f sia dispari occorre che sia Îą = β. Dalla relazione - (ln(t) = đ?›ź si ha che ln(t) = - Îą. Ma per la definizione elementare di logaritmo da ln(t) = - Îą si ottiene đ?‘’ −đ?›ź = t ovvero t = 1

1

đ?‘’

đ?‘’

( )đ?›ź . Giova poi osservare che ln((1/t) = đ?›˝ â&#x;ž đ?‘’ đ?›˝ = 1/t â&#x;ž t = ( )đ?›˝ . Si sono ottenute due distinte 1

1

đ?‘’

đ?‘’

relazioni per la variabile t. Esse sono immediatamente compattabili t = ( )đ?›ź = ( )đ?›˝ . Tale relazione ha valore di veritĂ solo per Îą = β. Ma se si opera la sostituzione t â&#x;ś 1+x /1- x e la conseguente 1/t â&#x;ś 1 –x /1 + x si ottiene, avendo evidenziato la consistenza formale dell’eguaglianza per Îą = β, che - ln (1+x /1- x ) = ln(1 –x /1 + x), ovvero - f(x) = f(-x).


d) f(x) = ½ (đ?’‚đ?’™ - đ?’‚−đ?’™ ) Verifichiamo l’eventuale paritĂ . f(-x) = ½ (đ?‘Ž −đ?‘Ľ - đ?‘Žâˆ’(−đ?‘Ľ) ) = ½ (đ?‘Ž −đ?‘Ľ - đ?‘Ž đ?‘Ľ ). La funzione è dispari. Infatti si ha (đ?‘Ž đ?‘Ľ - đ?‘Ž −đ?‘Ľ ) = - (đ?‘Žâˆ’đ?‘Ľ - đ?‘Ž đ?‘Ľ ). Ovvero si ha f(-x) = - f(x). Vorrei osservare che il segno meno “spiegaâ€? il fatto che la f(x) sia dispari. Se invece ci fosse stato un segno + le cose sarebbero molto diverse perchĂŠ da g(x) = ½ (đ?‘Ž đ?‘Ľ + đ?‘Žâˆ’đ?‘Ľ ) si avrebbe g(-x) = ½ (đ?‘Žâˆ’đ?‘Ľ + đ?‘Žâˆ’(−đ?‘Ľ) ) = ½ (đ?‘Ž −đ?‘Ľ + đ?‘Ž đ?‘Ľ ). La ragione della paritĂ di g(x) discende dal fatto che (đ?‘Ž đ?‘Ľ + đ?‘Žâˆ’đ?‘Ľ ) = (đ?‘Žâˆ’đ?‘Ľ + đ?‘Ž đ?‘Ľ ). Il fattore costante è irrilevante. Queste argomentazioni possono essere utilizzate nello studio delle funzioni iperboliche. c) y = √ đ?&#x;? + đ?’™ + đ?’™đ?&#x;?

+ √đ?&#x;? − đ?’™ + đ?’™đ?&#x;?

f(x) = √ 1 + đ?‘Ľ + đ?‘Ľ 2

+ √1 − đ?‘Ľ + đ?‘Ľ 2 . Formalizzò ora f(-x) = √ 1 + (− đ?‘Ľ) + (−đ?‘Ľ)2

= √ 1 − đ?‘Ľ + (đ?‘Ľ)2

+ √1 + đ?‘Ľ + (đ?‘Ľ)2 . Bisogna solo ricordare che in R

+ √1 − (−đ?‘Ľ) + (−đ?‘Ľ)2

đ?‘Ľ 2 = (−đ?‘Ľ)2 ∀x. Giova

osservare che in questo caso si ha f(x) = f(-x) perchĂŠ la somma di due radicali è comunque commutativa. Indi la funzione y = √ 1 + đ?‘Ľ + đ?‘Ľ 2

+ √1 − đ?‘Ľ + đ?‘Ľ 2 è pari.

Anche se non fatto una buona regola preliminare di studio per la paritĂ e la disparitĂ potrebbe essere quella di verificare che la funzione è definita in un intervallo simmetrico. Se cosĂŹ non è allora la funzione è sicuramente nĂŠ pari nĂŠ dispari. Se essa è definita in un intervallo |x| ≤ r allora essa può essere pari o dispari. L’esistenza di un intervallo simmetrico di definizione è infatti una condizione necessaria ma non sufficiente. Determinazione della inversa di una funzione. a) y = 2x + 3 Occorre mettere in evidenza la x avendosi y – 3 = 2x ovvero x = y/2 - 3/2. Il Demodovic si limita a questo risultato. Ăˆ immediato constatare che la y può assumere qualunque valore reale. In genere f ed đ?‘“ −1 vengono messe sullo stesso piano quindi đ?‘“ −1 (x) = (x/2) – 3/2. b) y = đ?’™đ?&#x;? – 1 In astratto tale funzione non è invertibile in quanto in R đ?‘Ľ 2 = (−đ?‘Ľ)2 ∀x. Essa diviene invertibile se si pone dom f = đ?‘…+ âˆŞ {0}, ovvero quando x ⊞ 0. Quindi si ragiona similmente.


c) y = ln (x/2) đ?’™

(l’esercizio originario prevedeva y = đ??Ľđ??¨đ?? đ?&#x;?đ?&#x;Ž ( ) đ?&#x;?

La funzione è definita per x > 0, quindi dom f = đ?‘… + (escluso lo zero). Per la definizione di logaritmo si ha đ?‘’ đ?‘Ś = x/2. Ovvero đ?‘’ đ?‘Ľ = y/2 quindi y = 2đ?‘’ đ?‘Ľ Calcolo del periodo di alcune funzioni 1) f(x) = 10 sin(3x) Vorrei preliminarmente osservare che la funzione è composta secondo lo schema seguente: â„Ž

đ?‘”

đ?œ‘

→ 3x → sin(3x) → 10sin(3x). Per essa si ha y(x) = 10sin(3x) ma anche y(x+T) = 10sin(3(x+T). Per

x

la periodicitĂ della funzione sin(.) si ha sin(3x + 3T) = sin(3x + 2kĎ€) quindi 3x + 3T = 3x + 2kĎ€ ⇒ 3T = 2kĎ€ ovvero T = (2kĎ€)/3. T è il periodo, ovvero il piĂš piccolo numero reale per il quale f(x) = f(x+T). 2) φ(x) = đ?’”đ?’Šđ?’?đ?&#x;? (x) Anche in questo caso si tratta di una funzione composta, secondo il seguente schema đ?‘“

đ?‘”

x → sin(x) → (đ?‘ đ?‘–đ?‘›(đ?‘Ľ))2 . PoichĂŠ la funzione sin(x) viene elevata al quadrato, è possibile scrivere (ricordando che elevando un numero negativo al quadrato si ottiene un numero positivo) che (đ?‘ đ?‘–đ?‘›(đ?‘Ľ + đ?‘˜đ?œ‹))2 = (đ?‘ đ?‘–đ?‘›(đ?‘Ľ))2 . Il piĂš piccolo valore per il quale tale relazione è verificata si ha per k = 1, quindi T = Ď€. Ăˆ il caso di ricordate che đ?‘ đ?‘–đ?‘›2 (x) = (đ?‘ đ?‘–đ?‘›(đ?‘Ľ))2 . 3) φ(x) = a sin(Îťx) + bcos( Îťx) La funzione considerata è la somma di due funzioni composte. Per la prima di esse si ha il seguente schema (per la seconda si ragiona similmente). đ?‘“

đ?‘”

â„Ž

x → Νx → sin(Νx) → a sin(Νx). Ragionando in modo analogo ai casi precedenti si ottiene che per detta funzione si ha a sin(Νx) = a sin(Ν(x + T)) = a sin(Νx + 2kπ). Pertanto si ha che Ν(x + T) = (Νx + 2kπ) da cui ΝT = 2kπ, ovvero T = 2π/Ν, quando k = 1. In modo del tutto analogo si ragiona per la seconda funzione composta, ovvero per bcos( Νx). Anche in questo caso dalla periodicità della funzione cos(.) si ricava che detta funzione ha periodo T = 2π/Ν.


Pertanto la data φ(x) = a sin(Îťx) + bcos( Îťx) è periodica di periodo T = 2Ď€/Îť. Nota – In questi esercizi, rispetto alla originaria formulazione del testo – avendo preferito introdurre le funzioni come “composteâ€? poichĂŠ avevo cominciato con l’usare la lettera f ho dovuto per la funzione da considerare utilizzare la notazione φ(.) in luogo di quella f(.) usata nel testo. La sostanza delle cose non cambia. 4) φ(x) = sin√đ?’™ Andando al di lĂ del quesito è possibile osservare che si tratta anche in questo caso di una funzione ottenuta a partire da altre funzioni. Tramite una prima funzione la x “viene mandataâ€? in √đ?‘Ľ , indi tramite una ulteriore funzione, si ottiene sin√đ?‘Ľ . Per la condizione di realtĂ del radicale deve essere x ≼ 0. Pertanto il dominio di φ(x) - a meno della periodicità – è dom φ(x) = [ 0, Ď€ âŚŒ. 5) φ(x) = √đ?’•đ?’ˆ(đ?’™) Anche in questo caso si è in presenza di una funzione composta secondo lo schema seguente đ?‘“

đ?‘”

x → tg(x) → √đ?‘Ąđ?‘”(đ?‘Ľ) dovendo essere tg(x) ≼ 0 (condizione di realtĂ del radicale). Va però previamente osservato che la funzione tg(x) è definita per ogni x tale che x ≠(Ď€/2) +k Ď€, ove k è un intero relativo. Indi, per la condizione di esistenza del radicale deve essere , come detto, tg(x) ≼ 0. Tale condizione, nella circonferenza goniometrica, a meno della periodicità è dato da x ∊ [ 0, Ď€/2) âˆŞ [Ď€ , (3/2)Ď€).

A Leonardo Eulero si deve la definizione e il formalismo delle funzioni matematiche


I GRANDI MATEMATICI DEL PASSATO GEORGE BOOLE

Di umili origini, particolarmente portato per la matematica e lo studio delle lingue, fu docente al Queen’s College di Cork. È noto per il suo “The Mathematical Analysis of Logic”, ma, precedentemente dette importanti contributi allo studio di metodi algebrici per la risoluzione delle equazioni differenziali. È il padre della logica matematica. La sua opera più importante è considerata “An Investigation of The Laws of Thought” , considerato il testo fondante la teoria delle algebre di Boole, donando “alla logica un abito matematico algebrico”. Non disdegnò di occuparsi del calcolo delle probabilità. Dette grande importanza alle proprietà dei numeri e in particolare alla proprietà distributiva. De Morgan e poi Shannon hanno continuato e implementato il suo pensiero giungendosi con Shannon all’utilizzazione dell’algebra di Boole a importanti applicazioni pratiche (circuiti elettronici, macchine combinatorie e sequenziali). Non è ovviamente possibile scendere in dettagli ma è forse fare qualche premessa. Un tipo particolare di algebra di Boole è quella che considera un insieme K dotato di due soli elementi 0 e 1, ovvero K = { 0, 1} e prende in considerazioni due “operazioni” dette somma logica (che non è una somma in senso aritmetico), indicata con il simbolo +, e prodotto logico (indicato con il simbolo *). Si ammette che se a e b sono elementi di K valgano le seguenti proprietà. Commutativa

a+b = b+a

a*b = b*a

Associativa

a + (b + c) = (a + b) + c

a*(b*c) = (a*b)*c

Assorbimento

a + (a*b) = a

a*(a+b)

Distributiva

a*(b+c) = (a*b) + (a*c)

a + (b*c) = (a+b)*(a+c)

Idempotenza

a+a=a

a*a = a

Elementi neutri (minimi e massimi)

a*0 = 0

a+1=1


Per a esiste il negato a’. Una proposizione ammette il negato. Se dico a = “oggi piove” la negazione è a’ = “oggi non piove”. Ciò premesso viene introdotta una ultima proprietà per le algebre di Boole. Esistenza del complemento a*a’ = 0

a + a’ = 1

Questo modo astratto di introdurre la materia va integrato dando un significato concreto ai simboli + e *. Come detto il simbolo + è la rappresentazione di una operazione logica, detta somma logica. In termini di predicati l’operatore + comunemente detto OR assegna valore di verità ad una proposizione quando almeno uno dei predicati connessi sono veri. Il simbolo * è invece l’espressione dell’operatore AND, detto anche prodotto logico. In questo caso la proposizione è vera se sono veri tutti i connessi. “Oggi studio solo se piove e se non trasmettono la partita in tv”. “Oggi studio” è vero “se piove” (vero) e “se non trasmettono la partita in tv” (vero) . “Oggi studio fisica o chimica”. Essa è vera se studio o la fisica o la chimica. È falsa se oggi non studio né la fisica né la chimica. Vera in tutti gli altri casi. Ci si potrebbe chiedere perché sono state utilizzate le lettere a e b. Semplice! Perché in generale l’insieme K non contiene solo le quantità 0 e 1. Ci si potrebbe creare una algebra con ulteriori elementi. Per la logica dei circuiti è sufficiente l’algebra di Boole nella quale K = { 0, 1}. In questo caso l’elenco delle proprietà suindicate deve essere inteso che le quantità a e b (dette variabili booleane) possono assumere i soli valori 0 e 1. In questo mondo porre a ≠ b equivale a dire che se a = 1 allora b = 0 e viceversa. Dalle proprietà date ponendo a = 1 e imponendo b ≠ a si può ottenere una rappresentazione delle proprietà conseguente di cui metto solo la prima riga. Commutatività

1+0 = 0+1

1*0 = 0*1


Coordinandoci con quanto detto potremmo ora ricavare il risultato di tali operazioni. Basta ripensare ai due semplici esempi e scrivere 1+0 = 0+1 = 1

1*0 = 0*1 = 0

In termini equivalenti possiamo anche scrivere 1 or 0 = 0 or 1 = 1

1 and 0 = 0 and 1 = 0.

È evidente che la somma logica non ha significato aritmetico, neppure in base 2. Dalla tabella si evidenzia pure che vi sono nette differenze con le analoghe scritture per i numeri reali. Da queste prime considerazioni si evidenzia la esistenza di un terzo operatore detto negazione, anche scritto come NOT. Nel mondo dell’algebra binaria si ha semplicemente not 0 = 1 e not 1 = 0, formalmente 1’ = 0 e 0’ = 1. Anche questo modo di intendere ha un significato proposizionale. “Sta piovendo” = a. È vero a = 1. Il negato sarebbe “non sta piovendo” allora a’ = 0. Se si ragiona in questi termini si ragiona in logica positiva. Alla verità di una asserzione si fa corrispondere il valore 1, alla falsità di essa si fa corrispondere il valore 0. Soprattutto negli Stati Uniti si ribalta il tutto. Ad una asserzione vera si associa il valore 0 e viceversa ad una asserzione falsa si associa il valore 1. Si opera in logica negativa. Ho tratto spunto dalla voce “Algebre di Boole” di Wikipedia, da me reinterpretata e semplificata. L’autore di quell’appunto in rete ricorda che viene per questa via definita una struttura algebrica detta reticolo. Formalmente l’algebra di Boole è rappresentabile da una sestupla (K, + , *, ‘ , 0, 1). Per chi volesse approfondire la questione ricordo la voce “Logica proposizionale” pure di Wikipedia che tratta formalmente la materia, andando ben al di là dei miei esempi, che, comunque, credo sufficienti a definire nei termini generali la questione.


L’ANGOLO DEL FISICO GeneralitĂ sulle grandezze ed incertezze di misura Il mondo della fisica elementare đ?‘šđ?&#x;‘ e i vettori

La fisica è una scienza sperimentale che utilizza la matematica quale strumento per descrivere i fenomeni che osserva. Essa didatticamente è articolata in parti (meccanica, che studia il moto dei corpi e le cause di esso), elettromagnetismo (che studia i fenomeni legati alla elettricitĂ e ai campi elettromagnetici), acustica (che studia le onde sonore di compressione e rarefazione), etc. Vengono definite particolari grandezze – misurabili – dette fondamentali. Esse sono sette e ne “L’angolo del fisicoâ€?

le

vedremo

tutte.

Per

grandezza

fisica

si

intende

una

grandezza

misurabile

sperimentalmente. Cominciamo con la parte della fisica che si occupa del moto dei corpi, ovvero dalla meccanica. In questo ambito vengono definite tre grandezze fondamentali: la lunghezza [L], la massa [M] e il tempo [T]. Per ognuna di esse è data una rigorosa definizione. Possiamo comunque considerarli concetti intuitivamente dati. Ăˆ bene però ricordare che per ogni grandezza è definita pure una unitĂ di misura. Per le grandezze meccaniche fondamentali il tutto si può sintetizzare in questa tabella. Grandezza

UnitĂ di misura

Simbolo

Lunghezza

metro

m

Massa

chilogrammo massa

đ??žđ?‘”đ?‘š

Tempo

secondo

sec

Per ragioni pratiche si fa sempre riferimento alle unitĂ di misura del S.I. Combinando opportunamente queste unitĂ di misura si ottengono le equazioni dimensionali di tutte le grandezze fisiche derivate. A titolo semplificativo possiamo ricordare che la velocitĂ deve intendersi sempre come un rapporto tra uno spazio percorso e il tempo impiegato, quindi le velocitĂ , come è ben noto, si misurano in m/sec = m đ?‘ đ?‘’đ?‘? −1 . In termini di relazioni dimensionali una velocitĂ v è sintetizzabile come [V] = [L đ?‘‡ −1 ]. Dalle tre grandezze fisiche fondamentali discendono tutte le altre grandezze fisiche cinematiche. Le grandezze fisiche cosĂŹ ottenute si dicono grandezze fisiche derivate che, come vedremo, in ordine di apparizione sono la velocitĂ , l’accelerazione, la forza, il lavoro (o energia), il momento della quantitĂ di moto e altre ancora.


Certe grandezze possono essere definite solo con un numero. Esse sono dette scalari. Una nota grandezza fisica scalare è la temperatura. Dire che un corpo ha una temperatura di 30° C risolve ogni questione se si vuole sapere lo stato termico di un corpo. Non raramente le cose non possono risolversi dando un numero... Pensiamo ad uno spostamento che avviene con una certa velocitĂ v. Se il corpo si trova in un punto dato possono esistere infinite distinte destinazioni per esso. Ecco perchĂŠ occorre definire alcune grandezze in termini vettoriali (grandezze vettoriali). Insomma un corpo che si trova nel punto A può potersi muovere in direzione di un punto B, oppure di un punto C, magari simmetrico di B rispetto ad O. BisognerĂ essere chiari e distinguere i termini “direzioneâ€? e “versoâ€? che non sono sinonimi. Il dato corpo si può muovere verso B oppure verso C magari con la stessa velocitĂ di 3 m/s. Ma è ben evidente che parlare di 3 m/s nei due casi vuol dire poco. Bisogna non solo dire che esso si muove a 3 m/s ma bisogna anche dire “dove va‌â€? 3 m/s indica la velocitĂ scalare, ma nel proseguo sarĂ necessario intendere la velocitĂ vettoriale. Vorrei fare una piccola riflessione su quel 3 m/sec per dire che una misura sperimentale di grandezza indica quante volte la misura di quella grandezza è contenuta nell’unitĂ di misura. Misurare una grandezza in termini scalari è quindi equivalente a rapportare una situazione sperimentale con la grandezza assunta come unitaria. Una

ulteriore

proprietĂ

teorica

delle

grandezze

fisiche

(misurabili)

è

la

riproducibilitĂ

dell’esperimento nel senso che chiunque ripeta l’esperimento nelle medesime condizioni sperimentali deve ottenere sempre lo stesso risultato sperimentale. Questo è vero in teoria. In realtĂ , nel compiere una misurazione si interferisce sempre con la grandezza per cui il vero valore di una grandezza non è ricavabile sperimentalmente. In buona sostanza il valore vero di una grandezza non è dato. Nel compiere misurazioni di una grandezza si compiono sempre degli errori, molti dovuti alla imperizia dello sperimentatore (accidentali) altri sono insiti nel procedimento di misura (sistematici). Basti pensare agli errori di inserzione degli strumenti di misura di intensitĂ di corrente elettrica e di differenza di potenziale, che saranno facilmente comprensibili quando si studieranno i circuiti elettrici. In questo contesto non si può che ragionare astrattamente e definire una prima tipologia di errore: l’errore assoluto. L’errore assoluto đ?œ€đ?‘Ž = đ?‘‰đ?‘ đ?‘?đ?‘’đ?‘&#x; - đ?‘‰đ?‘Ąđ?‘’ , ove đ?‘‰đ?‘ đ?‘?đ?‘’đ?‘&#x; e đ?‘‰đ?‘Ąđ?‘’ sono rispettivamente il valore sperimentale (quello ottenuto da chi misura) e il valore teorico (ovvero il valore che la grandezza deve avere tenuto conto del particolare modello che si utilizza). Ho voluto evitare di usare la dizione “valore esattoâ€? perchĂŠ molto spesso il valore “veroâ€? (per cosĂŹ dire) viene ricavato sperimentalmente. Se si ha una buona teoria forse si potrĂ dire đ?‘‰đ?‘Ąđ?‘’ ≊ đ?‘‰đ?‘Łđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘œ . La relazione đ?œ€đ?‘Ž = đ?‘‰đ?‘ đ?‘?đ?‘’đ?‘&#x; - đ?‘‰đ?‘Ąđ?‘’ deve essere consistente dal punto di vista dimensionale. Quindi l’errore assoluto è misurato nella stessa unitĂ di misura della grandezza fisica in esame. Tornerò sull’argomento

quando

dovrò considerare

gli

errori

di

inserzione,

per

esempio

dovuto

all’amperometro per la misurazione dell’intensità i di corrente elettrica in un circuito chiuso.


In casi del genere vedremo che đ?‘‰đ?‘ đ?‘?đ?‘’đ?‘&#x; < đ?‘‰đ?‘Ąđ?‘’ . In concreto la corrente che si misura inserendo un amperometro ( đ?‘‰đ?‘ đ?‘?đ?‘’đ?‘&#x; ) è leggermente minore di quella che effettivamente circola nello stesso circuito privo di amperometro ( đ?‘‰đ?‘Ąđ?‘’ ). Vorrei, incidentalmente, osservare che in questo caso đ?‘‰đ?‘Ąđ?‘’ è ricavabile una volta che si conoscano i parametri dei costituenti del circuito, come per esempio i generatori e le

resistenze.

La

pignoleria

potrebbe

portare

a

introdurre

una

resistenza

addizionale

corrispondente alla resistenza dei fili conduttori per i quali solitamente si ammette l’astrazione del corto circuito ideale. Viene poi definito l’errore relativo secondo la seguente relazione đ?œ€đ?‘&#x; = đ?œ€đ?‘Ž / đ?‘‰đ?‘Ąđ?‘’

=( đ?‘‰đ?‘ đ?‘?đ?‘’đ?‘&#x; - đ?‘‰đ?‘Ąđ?‘’ )/đ?‘‰đ?‘Ąđ?‘’ .

Esso è un numero privo di dimensioni. A livello avanzato viene introdotto il concetto di incertezza in luogo dell’errore. Essa potrĂ essere considerata successivamente. ”””” Vorrei ora ritornare su una particolare tipologia di grandezze, quelle vettoriali. Per queste viene introdotto un particolare oggetto matematico detto vettore, elemento di un insieme detto spazio vettoriale. Tale struttura è ampiamente studiata in geometria. Vale la pena fare qualche riflessione in senso fisico. Usualmente operiamo nello spazio a tre dimensioni, quello del senso comune. Matematicamente lo potremmo chiamare đ?‘…3 , ove 3 indica il numero delle dimensioni fisiche, lunghezza, larghezza e altezza. Ăˆ possibile scegliere un punto qualunque di questo “spazioâ€? e dire che esso è l’origine di un sistema di riferimento cartesiano.

Basta partire dal piano.

Considerare due rette

perpendicolari che si incontrano in un punto detto O. Se si considera una retta perpendicolare al piano delle due e quindi perpendicolare ad ognuna di esse e passante per O si è sulla via della costruzione formale di tale spazio matematico. Resta da stabilire che il punto O corrisponde alla terna (0, 0, 0). Poi si stabilisce il criterio di corrispondenza dei punti con i numeri reali. I tre assi (le tre rette) vengono comunemente chiamate asse delle x, asse delle y e asse delle z. La corrispondenza numero â&#x;ˇ đ?‘?đ?‘˘đ?‘›đ?‘Ąđ?‘œ è identica a quanto si fa per đ?‘…1 .

Da una parte i negativi,

quindi lo zero, quindi i positivi (reali!). Ăˆ intuitivo comprendere che un punto di đ?‘…3 corrisponde ad una terna (x = Îą , y = β , z = Îł) e viceversa alla terna (x = Îą , y = β , z = Îł) corrisponde un unico punto. AffinchĂŠ due punti di đ?‘…3 siano distinti è necessario e sufficiente che almeno una componente della prima terna sia diversa da una componente della seconda. Ăˆ appena il caso di osservare che se z = 0 comunque si considerino Îą e β (ovvero, come si dice che z è identicamente nullo) ci si riferisce al piano ordinario, ovvero a đ?‘…2 . Analogamente ponendo z = k reale per ogni (Îą , β) si ottiene un piano geometrico parallelo al piano đ?‘…2 , come appena ricavato.


Non voglio appesantire il tutto dovendo partire dal concetto di segmento orientato per giungere, con il concetto di passaggio al quoziente, al concetto di vettore. Credo, invece, sufficiente dire che la terna ( x ,

y , z) viene definita vettore. Essa viene pure

rappresentata come una freccia di estremi (0, 0, 0) e di estremo finale (dove solitamente la si disegna con una punta di freccia) corrispondente al punto (x, y, z). Ăˆ ben evidente che esiste un insieme (lo spazio) avente come elementi dei punti (i vettori). Come vedremo i vettori sono enti matematici che obbediscono a leggi formali particolari. Vorrei però soffermarmi su un punto particolare utile per le prime riflessioni fisiche. Viene definito il vettore posizione. Ăˆ pero necessario fare un passo indietro e introdurre un primo concetto della fisica newtoniana (o classica), la definizione di punto materiale. Trattasi di un oggetto le cui dimensioni sono trascurabili rispetto alle variabili della meccanica coinvolte nel modello. Ăˆ come se quel corpo fosse un punto. Tale concetto è sinonimo di particella. I fenomeni cinematici sono studiati nel dominio del tempo. Quindi le coordinate possono variare nel tempo. Formalmente viene definito un luogo – espresso dalle tre relazioni seguenti x =x(t), y = y(t) e z = z(t) – che definiscono la traiettoria del moto. Se le tre coordinate non variano nel tempo il corpo è in condizioni di quiete relativa. Un osservatore ideale posto in O = (0, 0, 0) dirĂ che x =x(t), y = y(t) e z = z(t) sono tre valori costanti nel tempo. Il corpo non si muove. Il moto è comunque un concetto relativo e tutti gli osservatori in quiete rispetto al sistema dichiareranno il corpo in quiete se e solo se lo dichiarerĂ in quiete l’osservatore 0. Per essi si avranno distinti riferimenti e quindi diverse terne, rappresentative del vettore di posizione. Un qualunque osservatore in moto rispetto al sistema di centro O non dichiarerĂ il corpo in quiete, quando dichiarato in quiete dall’osservatore solidale con O. In un successivo numero introdurrò il principio di relativitĂ classica di Galilei. In genere le “osservazioniâ€? avvengono a partire da un istante iniziale, đ?‘Ą0 , pertanto il vettore posizione riferito al corpo è dato da (x(đ?‘Ą0 ) , y(đ?‘Ą0 ), z(đ?‘Ą0 )). Esse esprimono una condizione iniziale. Se

x(Ď„) = x(đ?‘Ą0 ) ,

y(Ď„) = y(đ?‘Ą0 ) e z(Ď„) = z(đ?‘Ą0 ) ∀ Ď„ ∊ [ đ?‘Ą0 , t] allora nell’intervallo di tempo ( t - đ?‘Ą0 ) il

corpo è rimasto in una in quiete relativa. A contrariis è possibile definire una condizione di moto. Molte volte può essere sufficiente definire il concetto di spostamento. Per spostamento si intende che il corpo in istanti diversi si trova in punti diversi. Rilevano due aspetti: ove il corpo è al tempo


đ?‘Ą2 e ove era il corpo al tempo đ?‘Ą1 . La quantitĂ (intervallo di tempo) definita da Δt = đ?‘Ą2 - đ?‘Ą1 (misurata in secondi) è una quantitĂ discreta. Lo spostamento è posizione finale – posizione iniziale. Ma il tutto va interpretato in senso vettoriale, quindi per spostamento deve intendersi la differenza tra il vettore posizione al tempo đ?‘Ą2 e il vettore posizione al tempo đ?‘Ą1 . Formalmente si ha D = đ?‘ˇđ?&#x;? - đ?‘ˇđ?&#x;? I caratteri grassetto denotano uno standard per indicare le grandezze vettoriali. Ci si chiede ma come fare la differenza vettoriale? La risposta è semplice. Per differenza di due vettori si intende il vettore avente come componenti le differenze delle componenti omologhe. I passaggi di calcolo chiariranno la definizione. Ammettiamo che il corpo al tempo đ?‘Ą2 si trovi nel punto (đ?‘Ľ2 , đ?‘Ś2 , đ?‘§2 ) trovandosi nel punto (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ś1 , đ?‘§1 ) al tempo đ?‘Ą1 < đ?‘Ą2 . Il vettore D ha componenti (đ?‘Ľ2 − đ?‘Ľ1 , đ?‘Ś2 − đ?‘Ś1 , đ?‘§2 − đ?‘§1 ). Quindi D = đ?‘ˇđ?&#x;? - đ?‘ˇđ?&#x;? = (đ?‘Ľ2 − đ?‘Ľ1 , đ?‘Ś2 − đ?‘Ś1 , đ?‘§2 − đ?‘§1 ). Bisogna ricordare che lo spostamento vettoriale definisce la variazione della posizione ma non dice nulla circa la traiettoria descritta dal corpo tra i due istanti. Ăˆ possibile definire anche una somma vettoriale. Dicesi somma vettoriale il vettore ottenuto sommando ordinatamente le componenti omogenee di due o piĂš vettori. Formalmente si ha S = đ?‘˝đ?&#x;? + đ?‘˝đ?&#x;? = (đ?‘Ľ2 + đ?‘Ľ1 , đ?‘Ś2 + đ?‘Ś1 , đ?‘§2 + đ?‘§1 ). Ăˆ immediato dimostrare che la somma vettoriale è abeliana. Infatti da đ?‘Ľ2 + đ?‘Ľ1 = đ?‘Ľ1 + đ?‘Ľ2 ; đ?‘Ś2 + đ?‘Ś1 = đ?‘Ś1 + đ?‘Ś2 , ; đ?‘§2 + đ?‘§1 = đ?‘§1 + đ?‘§2 (proprietĂ commutativa dell’addizione in R) si ottiene la commutativitĂ della somma vettoriale. Quindi S = đ?‘˝đ?&#x;? + đ?‘˝đ?&#x;? = đ?‘˝đ?&#x;? + đ?‘˝đ?&#x;? La somma vettoriale ha una notissima rappresentazione grafica, dovuta al genio di Isaac Newton, data dalla regola del parallelogramma, particolarmente utile, come vedremo, nello studio delle forze. Ăˆ bene ricordare che la somma vettoriale può essere estesa a un numero arbitrario di vettori. Nelle applicazioni potrĂ tornare utile la moltiplicazione di un vettore per uno scalare. Ăˆ importante osservare che il risultato di tale operazione è un vettore. Esso è il vettore avente le componenti multiple secondo lo scalare delle componenti originarie.


Formalmente si ha che dato V = (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ś1 , đ?‘§1 ) si può scrivere cV = Vc = (đ?‘?đ?‘Ľ1 , đ?‘?đ?‘Ś1 , đ?‘?đ?‘§1 ) .Vale la legge di annullamento del prodotto pertanto per c = 0 si ha V = (0, 0, 0) = 0. Queste prime considerazioni

andranno integrate con altre operazioni tra vettori (il prodotto

scalare, il prodotto vettoriale e i prodotti tripli).


LE MIE RIFLESSIONI Condizioni di esistenza dei quadrilateri convessi aventi lati interi Stesura provvisoria aggiornata al 20 marzo 2014 h. 17:00

(omissis)

Su prescinde dai casi banali del quadrato, del rettangolo, del rombo (o losanga) e del parallelogramma. Fuori da questi casi è richiesto di costruire un quadrilatero convesso i cui lati sono interi, ovvero le misure di essi sono numeri interi. Risolve il problema una semplice figura che utilizza una proprietà di alcune terne pitagoriche. Esistono infatti coppie di terne per le quali vale la seguente coppia di relazioni: a^2 + b^2 = c^2 c^2 + d^2 = e^2

(1)

In buona sostanza l’ipotenusa di un triangolo (con riferimento ad una prima terna) è eguale (sarebbe c) al cateto di un secondo triangolo, che individua, biunivocamente, una seconda terna. Ciò premesso costruito il triangolo cui è associata la terna pitagorica (a, b, c) è possibile considerare un segmento di lunghezza d (intero) ortogonale alla diagonale di lunghezza c individuando un triangolo rettangolo di ipotenusa e. Alla esistenza delle terne (a, b, c) e (c, d, e) è associata la condizione di esistenza di un quadrilatero convesso del piano i cui lati a, b, d, ed e sono interi assoluti. Poiché esistono infinite coppie di terne pitagoriche per le quali si ha la validità delle relazioni (1) ne consegue che l’insieme dei quadrilateri convessi del piano i cui lati sono interi è infinito. In realtà se le terne (1) sono la condizione che soddisfa il problema sono pure soluzione del problema le terne k(a, b, c) e

k(c, d, e), ∀ k ∈ N. È quindi dimostrato che condizione

sufficiente affinché i lati di un quadrilatero convesso siano interi è che i numeri a, b, d, e siano tali che esista un intero c tale che sia verificata la seguente coppia di condizioni a^2 + b^2 = c^2 e c^2 + d^2 = e^2. Nel quadrilatero convesso di cui al teorema enunciato (condizione sufficiente) il lato di lunghezza c individua una delle due diagonali. Ciò premesso, sono immediatamente determinabili gli angoli α β γ δ per i quali sussistono le seguenti relazioni: sin α = a/c, sin β = b/c, sin δ = c/ e, cosγ = c/e. Da sin α = a/c

si ha a = c sin α. Su questa ultima relazione operano precise

restrizioni. Infatti poiché a e c sono interi (per ipotesi) ne consegue la razionalità di sinα. Recte sono ammissibili per sin(α) solo i valori razionali. Ma poiché la funzione seno è limitata e per le condizioni del problema deve essere 0 < sinα < 1 la introdotta restrizione equivale a considerare solo gli 0 < α < π/2 per i quali si ha sinα = r/s (con r < s). Poiché a e c sono assegnati r/s è ricavabile, e da considerare dato. α = arcsin (r/s). Da c = a/sinα si ha c = a/(r/s) = ak (con n = s/r > 1), con kn ∈ Q.

Tale teorema non può costituire una c.n.e.s. come evidenziato dai casi di

quadrilateri banali che risolvono le condizioni del problema. È bene considerare il caso generale


ammettendo risolto il problema. Ammetto che esistano quattro interi a, b, d ed e che individuino un quadrilatero convesso. Si costruisca nel piano detto quadrilatero convesso, chiamato ABCD. Sia AB = b, BC = d, DC = e, DA = a. Sia BD una diagonale del quadrilatero e sia BD = ξ con ξ ∈ R/N. La scrittura R/N individua i numeri reali che non sono interi. ξ = ξ(a, b, cosα) con α≠π/2 e α≠ π, oltre a α≠0. Deve essere pure ξ = ξ(e, d, cosβ). Il fatto che ξ ∈ R/N, ovvero il fatto che ξ non sia intero deriva al fatto che cosα ≠ 0, ovvero α≠π/2. Qui la periodicità della funzione cos(.) non rileva. Nel fare queste considerazioni ho posto α = ∠DAB e β = ∠DCB. Ovviamente ξ = ξ(a, b, cosα) = ξ(e, d, cosβ) sono esplicitate dal cosiddetto teorema del coseno (o di Lazare Carnot). Per esso si ha: ξ^2 = a^2 + b^2 – 2abcosα = e^2 + d^2 – 2edcosβ. Da queste due reazioni di eguaglianza si ha immediatamente la seguente: ξ^2 + 2edcosβ = e^2 + d^2

(*)

Ove si ammetta esistente un quadrilatero convesso avente quattro lati interi al di fuori delle ipotesi del teorema come enunciato (condizione sufficiente) si avrebbe pure d ed e interi. Quindi intera sarebbe pure la somma dei loro quadrati, ovvero e^2 + d^2. Per rispettare la condizione imposta al secondo membro della (*) occorre ed è sufficiente che cosβ ∈ Q ovvero β = arccos (u/v) con (u, v) ∈ Z × Z con u < v e che sia ξ^2 ∈ Q. È ammesso che ξ ∈ R – (Q ∪ N), ovvero ne è ammessa la irrazionalità. Q denota i razionali relativi (con segno) stante il fatto che p.e. α > π/2 è ammesso. Non può invece essere ξ^2 irrazionale perché risulterebbe la somma di un irrazionale e di un razionale una quantità intera. Una assurdità! Per simmetria del problema si dovrebbe pure avere ξ^2 + 2abcosα = a^2 + b^2. Chiarirò più sotto cosa intendo per “simmetria del problema”. Con un semplice passaggio matematico posso scrivere che cosα = (a^2 + b^2 – ξ^2) /2ab cosβ = (d^2 + e^2 – ξ^2) /2de

(**)

Da queste relazioni e in particolare dalla prima ricavo che assegnati a e b interi assoluti e dato un α │cosα ∈ Q è determinato ξ e il problema si riduce a trovare, se esiste, una coppia (d,e) ∈ N × N tale che per ξ assegnato si abbia cosβ ∈[ ( -1 , +1 ) / {0}] Ho usato la locuzione “simmetria del problema” perché il ragionamento può essere capovolto partendo da (d, e) per ricavare con evidenti passaggi la individuazione, se esiste, di una coppia (a, b) ∈ N × N. Dalla coppia di relazioni (**) è possibile ottenere la seguente cosα = (a^2 + b^2 - (e^2 + d^2) + 2ed cosβ ) /2ab ottenuta con la sostituzione -

ξ^2 = - e^2 – d^2 + 2edcosβ


Posto come caso particolare a = b = c = d si ottiene immediatamente che cosα = cosβ onde a meno del periodo α = β. Tale quadrilatero convesso particolare esiste così come sono di immediata costruzione quelli riconducibili alle coppie (a, b=a) e (d. e=d). Per questi ultimi quadrilateri convessi la costruzione è “quasi” immediata. Si considerino due rette del piano. Siano esse dette r’ e r’’. Sia r’ la retta orizzontale e sia r’’ l’asse rispetto ad essa. Sia il punto O l’intersezione di esse. Siano dati due segmenti la cui misura sia a e d rispettivamente. Sia a ∈ N e sia d ∈ N, con a ≠ d. Si consideri il semento che misura a. Esiste un movimento rigido nel piano tale che tale segmento intersechi le rette r’ ed r’’ in due punti di esse. Sia A l’intersezione di detto segmento con la retta r’’. Sia B il punto intersezione tra il dato segmento e la retta r’. Sia B’ ∈ r’ tale che B’ sia il simmetrico di B rispetto all’intersezione O delle due rette. Si è ottenuto un triangolo isoscele di base BB’. Il ragionamento non può essere applicato meccanicamente alla parte superiore, ovvero al semipiano delimitato dalla retta r’. Dato a non ogni d : d ≠ a può essere soluzione del problema. In particolare disegnando la figura e utilizzando un compasso di comprende che deve essere d > OB = BB’/2- ∃! d* : d*=d*(a) │∀ d ≥ d* con d ∈ N. giova osservare che d = [ mis(OB)] + 1, ove il simbolo [.] designa la funzione matematica detta parte intera, il simbolo mis è utilizzato a intendere la misura del segmento OB. Assegnato a il problema ammette infinite soluzioni sotto le condizioni poste.

La formula ottenuta per il valore di d vale anche

quando mis(OB) ∈ N. Fuori da queste ipotesi particolari la ricerca dell’esistenza di soluzioni al problema geometrico, assegnata una coppia (a,b) ∈ N × N e dato α │cosα = m/n : (m/n) ∈ Z × Z con │m/n│ < 1, è rimessa alla ricerca di coppie (d, e) ∈ N × N tali che per un assegnato parametro ξ = ξ(a, b, cosα) con α≠π/2 ≠ π ≠ 0 sia │d^2 + e^2 – ξ^2│< 2de, essendo ξ^2 un razionale non intero. Tale equazione è banalmente verificata per d = e stante che sicuramente è ξ^2 > 0. Vi è un secondo aspetto che va indagato. Ammessa l’esistenza di una coppia (d,e) con d ≠ e è possibile congetturare che il problema se ammette soluzione ne ammette in realtà due, nel senso che formalmente sarebbe soluzione oltre alla coppia (d,e) pure la coppia (e, d). L’equazione │d^2 + e^2 – ξ^2│< 2de può essere riscritta come: │d^2 + e^2 – ξ^2│ / de < 2. (****) Dal punto di vista “geometrico” deve valere la condizione di esistenza di un triangolo qualunque esprimibile come │d - -e│< ξ < d + e. Per tale sistema di disequazioni si ha ξ < d + e → d +e > ξ da cui elevando al quadrato ambo i membri (d+e)^2 = ξ^2 da cui si ottiene d^2 + e^2 + 2de > ξ^2 da cui ottengo d^2 + e^2 - ξ^2 > - 2de ovvero (d^2 + e^2 - ξ^2 ) / de > -2. Da │d - e│< ξ si ricava d^2 + e^2 – ξ^2/ de > 2. Poiché tale disuguaglianza contiene il simbolo di │.│analiticamente vanno considerati separatamente i due seguenti sottocasi: │d - -e│= d – e, valida quando d > e │d - e│= e – d, valida quando d < e.


Il caso d = e è un caso particolare già considerato. Queste considerazioni comprovano che la (****) è l’espressione analitica della condizione di esistenza di un triangolo. Pertanto la ricerca di soluzioni al problema è ricondotto alla risoluzione dell’equazione (****) sotto le condizioni più sopra introdotte per l’equazione │d^2 + e^2 – ξ^2│< 2de. Per il caso più generale da questa ultima relazione d’ordine si ha - 2 < ( d^2 + e^2 – ξ^2 ) /de < + 2 - 2de < d^2 + e^2 – ξ^2 < 2de Dall’algebra elementare è parimenti nota la seguente identità: d^2 + e^2 = (d + e)^2 – 2de Per essa si ha - 2de < (d + e)^2 – 2de – ξ^2 < 2de Si aggiunga, a tutti i membri del sistema di diseguaglianze date, la medesima quantità 2de > 0. Si ottiene 0 < (d + e)^2 – ξ^2 < 4de ovvero 0 < (d + e)^2 < 4de + ξ^2

(#)

Nel caso più generale per il quale è d ≠ e, poiché d ed e sono interi è possibile introdurre un h : h ∈ Z/{0} tale che e = d + h. In questo caso la (#) diviene (d + d + h) ^2 < 4d(d + h) + ξ^2. Sviluppando i calcoli si ha (2d + h)^2 < 4d^2(d + h) + ξ^2 ovvero 4d^2 + 4dh + h^2 < 4d^2 + 4dh + ξ^2 ovvero h^2 < ξ^2 → h < ξ La condizione più restrittiva h ∈ N ⊂ Z è astrattamente accettabile ma conduce a soluzioni particolari. Se si ammette h ∈ N si impone sia e < d ovvero ∃! h ∈ N : e = d + h. Per tale condizione di avrebbe e < d. È noto che ξ^2 ∈ Q – ( N ∪{0}). Pertanto sotto l’ipotesi implicita h > 0 è il più grande intero assoluto minore di ξ^2, ovvero h = max x : x ∈ N con x < ξ^2. La quantità ξ^2 deve essere considerata un dato del problema in quanto ξ = ξ(a, b, cosα) È possibile considerare il caso particolare del trapezio. Per esso è possibile osservare che assegnato a intero costituente la base maggiore di esso esistono a - 1 trapezi candidati a risolvere il problema (i quattro lati devono risultare interi). Infatti assegnato a la base minore può assumere i valori a -1, a – 2, a – 3, ……. , 1. Non è detto che ciascuno di questi trapezi abbia gli altri due lati interi. Si consideri che gli altri due lati siano di misura c e d rispettivamente e si ponga c = d = x.


Sia θ l’angolo acuto formato tra la retta per a e la retta passante per x. Meglio sarebbe dire per il lato di misura x. È immediato constatare che cosθ = ((a/2) - (b/2)) / x. Poiché per il caso geometrico in esame deve essere 0 < cos θ < 1 deve essere x > ((a/2) – (b/2)) Ma deve essere imposta la condizione x ∈ N pertanto deve aversi x ≥ [((a/2) - (b/2))] + 1 Essa va studiata al variare di b, inteso come un parametro. Vi è una condizione particolare che si risolve per via puramente grafica. Sia dato un triangolo di Fermat di lati interi a e b avente ipotenusa intera e pari a c. a, b, e c sono tre numeri ricavati dalle relazioni di Eulero. Si disegni detto triangolo e si ammetta che il lato di misura b sia verticale e ortogonale al lato di misura a. Si consideri un numero intero qualunque. Sia esso λ. Al variare di λ nei naturali esiste un rettangolo (che diviene un quadrato quando λ = b) . Si costruisca un triangolo rettangolo simmetrico rispetto all’asse passante per il baricentro del rettangolo e parallelo alla retta passante per il cateto di misura b. Viene ad essere individuato un trapezio le cui basi misurano 2a + λ e λ e di perimetro 2 (a + λ + c). A contrariis non è possibile per il caso considerato che esista un trapezio i cui lati distinti dalle basi misurino c e c’ ≠ c : c ∈ N e c’ ∈ N ∀ λ: λ∈ N. Infatti ove si ammettesse l’esistenza di tale caso particolare si avrebbe che esistono due distinte terne pitagoriche (a, b, c) e (a, b, c’) con c ≠ c’ per Hp e ciò ∀λ. Si giunge ad una conclusione palesemente assurda. Nascono assurdità anche in due casi ulteriori. Ad esempio quando la base maggiore fosse del tipo a + a’ + λ con a’ ∈ N e a’ ≠ n ma sotto la condizione a’ = ka, con k intero. Infatti, affinché esista un c’ ≠ c tale c’ ∈ N deve comunque essere c’ = hc con h intero. Ma non è pitagorica la terna (a’, b, c’). Dal che deriva la impossibilità

che ∃ c’ ≠c : c’∈ N. Se (a,b, c) è

pitagorica solo k(a,b, c) è pitagorica, ∀ k > 1 : k ∈ N. In definitiva il problema ammette soluzione (ne ammette infinite una per ogni λ intero) quando l’altezza del trapezio è intera tale che essa valga b essendo (a, b, c) una terna pitagorica. Esistono infiniti trapezi di base maggiore 2a + λ e di base minore λ ma solo uno di essi avrà tutti e quattro i lati interi. Esso per a assegnato è quello di altezza b tale che a^2 + b^2 = c^2. Ove esistesse un secondo trapezio con detta proprietà (tutti e quattro i lati sono interi) si avrebbe che (a, b, c) e (a, b’, d) sono due terne pitagoriche. Ciò è impossibile. È noto che esistono trasformazioni geometriche che conservano i perimetri. Si ammetta di avere un quadrato di lato intero eguale a n. Detto perimetro ovviamente è 4n. È facile convincersi che esiste pure per n assegnato un rombo di perimetro 4n. Esso è immediatamente costruibile a partire dal quadrato. Si consideri la retta passante per una


diagonale del quadrato. Si considerino quindi due rette non parallele del piano tali che la retta passante per la diagonale sia la bisettrice. Dette rette formano tra esse un angolo 2α < π/2. Sia O l’intersezione delle rette aventi la retta passante per la diagonale quale bisettrice. O è pure vertice del quadrato. Si considerino i punti H e K sulle rette considerate ottenuti con l’uso del compasso in modo tale che mis(OH) = mis(OK )= n. Si consideri la retta passante per H e K. Si consideri il punto O’ simmetrico di O rispetto a questa ultima retta. Il quadrilatero OKO’H è un rombo avente lo stesso perimetro del quadrato dato. Per le argomentazioni fatte è possibile dire che nel caso del quadrato la soluzione è ogni intero z tale che z = (4)^t).n. Per la trasformazione introdotta la z è soluzione sia per il caso del quadrato che per il rombo. È ben evidente che il caso particolare t = n è ammissibile. È opportuna una osservazione assegnato un quadrato di lato intero e quindi di perimetro z è ammissibile la trasformazione quadrato → parallelogramma non rombo. Essa in generale si ottiene quando si rimuova l’ipotesi che la retta passante per la diagonale del quadrato sia pure la bisettrice dell’angolo formato dalle rette r’ ed r’’. Assegnato un segmento che misura z = (4)^t).n è possibile eseguire le seguenti trasformazioni isoperimetriche quadrato ↔ parallelogramma (p=z). Più propriamente per parallelogramma si intende ogni parallelogramma che non è un quadrato. Il simbolo ↔ sta ad indicare che la trasformazione avviene nei due sensi. Ognuno di questi particolari parallelogrammi ha lato che misura (4^(k – 1))n. In generale se è assegnato un parallelogramma i cui lati non paralleli misurano a e b interi con a ≠ b allora esiste una trasformazione isoperimetrica parallelogramma (a,b) → rettangolo (a, b) e viceversa, ovvero si ha parallelogramma (a,b) ↔ rettangolo (a, b) . [A questo punto interviene una criticità. Da un punto di vista puramente metrico si potrebbe ammettere sussistente una relazione funzionale del tipo 2(a + b) = (4^(k))n. In buona sostanza se per a e b interi assegnati (sotto la condizione a ≠ b) esistono due interi n e k, senza limitazioni per essi, tali che 2(a + b) = (4^(k))n. Le soluzioni di questa relazione indeterminata, se esistono, sono le condizioni sotto le quali esiste una trasformazione isoperimetrica del tipo parallelogramma(a,b) → rettangolo → quadrato. Ho la seguente sequenza di passaggi: 2(a + b) = (4^(k))n 2(a + b) / (4^(k)) = n Si consideri il caso k = n a +b = (n/2) (4^n) Deve essere a ≠ b. Sia min(a, b) = 1. Se a = 1 , b ∈ N - {1}: deve essere a + b ≥ 3. Si ammetta una ulteriore restrizione, ovvero sia a +b = n. Si ha quindi n = ((4^n)/2)n con n ≥ 3. Osservo che la successione di termine generale ((4^n)/2) ] per n ≥ 3 è crescente e il primo termine per n = 3 è maggiore di 1. Essa genera interi e si ha sempre k=k(n) > 1 ∀ n ∈ N - {1, 2}. Pertanto sotto le


condizioni limitative poste si avrebbe n = k(n)*n palesemente assurda. A fortiori sono da escludere le soluzioni per le quali a + b < n. Infatti, potendo scrivere (ipotesi da dimostrare!) che 2(a + b) = (4^n)n. Dalla ipotesi a + b < n e dalla circostanza che 4^n > 2 ∀ n ∈ N - {1, 2}. Discende, dalla reductio ad absurdum, una contraddizione. Infatti per le condizioni imposte dovrebbe più propriamente risultare che 2(a + b) < (4^n)n. Resta da considerare il caso in cui a + b > n. All’uopo giova osservare che dall’ipotesi a + b > n si ottiene il seguente sistema di equazioni e disequazioni dato in forma compatta n < a + b = (n/2)(4^n), da cui n < (n/2)(4^n). tale relazione d’ordine è vera in generale. Pertanto sotto la condizione n = k esistono soluzioni al problema. Bisogna quindi rimuovere l’ipotesi n = k e vedere cosa succede. Parte da sviluppare] Le stesse argomentazioni possono essere applicate al caso di un parallelogramma. Si considero un punto O del piano. Siano assegnati due segmenti di misura a e b (è ammesso il caso a = b ma anche il caso a ≠ b). Con un movimento rigido tali segmenti possono essere trasportati nel piano in modo che un estremo dell’uno coincida con un estremo dell’altro. Si considerino le rette passanti per i dati segmenti. Sia 2α l’angolo da esse formato. La costruzione del parallelogramma è immediata. Il punto O è pure vertice del parallelogramma. Si consideri la diagonale passante per O. Si consideri la retta passante per detta diagonale. Si considerino quindi 2 rette non parallele tali che la retta passante per la diagonale sia bisettrice di esse. Esse rette formano tra esse un angolo 2β < 2α. Con procedimento sostanzialmente analogo alla trasformazione quadrato → rombo si ottiene una trasformazione isoperimetrica parallelogramma → parallelogramma. Detto perimetro costantemente risulta essere 2a + 2b. In dette trasformazioni viene conservato pure il parallelismo, nel senso che lati paralleli prima della trasformazione restano paralleli dopo di essa. È bene esplicitare per via sintetica la trasformazione isoperimentrica, nella quale quindi il perimetro costituisce una grandezza inviariante, parallelogramma → parallelogramma. È assegnato un parallelogramma OABC, essendo OB una delle diagonali. Sia d la retta (unica) passante per OB. Si considerino due rette non parallele passanti per O tali che la retta d sia la bisettrice dell’angolo da esse formato. Si ammetta che tale angolo sia 2β < 2α, essendo 2α = ∠ AOC. Centrato in O con apertura di compasso pari a mis(OA) individuo sulla retta r’’ il punto H. Indi, con apertura di compasso pari a mis(OC) (sempre con centro in O) individuo sulla retta r’ un punto di intersezione. Chiamo K tale punto. Considero la retta passante per H e K. Essa è unica. Per il punto H passa una e una sola parallela alla retta per O e K. Analogamente per il punto K passa una ed una sola parallela alla retta passante per OH. Le rette considerate si intersecano in un punto O‘ e il quadrilatero convesso è un parallelogramma. Viene da chiedersi se è ammissibile una trasformazione isoperimetrica che mandi un quadrilatero convesso non parallelogramma in un quadrilatero convesso non parallelogramma.


Proprietà letteraria e intellettuale Nell’elaborare il presente documento ho inevitabilmente attinto a fonti. Esse sono indicate nel testo, di volta in volta. Per quanto attiene alle “figure” – utilissimo supporto – queste sono state estratte da Internet nella presunzione che quanti le hanno collocate ne avessero titolo. In questo caso non mi è stato possibile citare la fonte. Preciso che questo elaborato non è prodotto con finalità di lucro.


pubblicazione a cura di Pascal McLee

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