Promemoria n. 6

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La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della

Nazione.

Costituzione italiana, 1947, art. 9


Un numero speciale si aggiunge alla serie dei “Promemoria” usciti tra il 2010 e il 2013. Un numero al quale teniamo particolarmente perché affronta un tema di grande importanza, ripercorrendo attraverso immagini e testimonianze lo sviluppo economico del nostro territorio dal dopoguerra a oggi. Come e più di altre nel nostro paese, la zona dei Comuni dell’Unione Pian del Bruscolo si è caratterizzata negli ultimi settant’anni per il passaggio da un’economia rurale a un’economia industriale, particolarmente legata al settore del legno e della produzione di arredamenti. Un passaggio ancora molto vivo nella memoria collettiva, denso di ricordi condivisi che, grazie alla collaborazione di cittadini, imprese e associazioni di categoria torna a rivivere in queste pagine, offrendoci lo spunto per una riflessione sul futuro del nostro territorio. La crisi economica ha modificato profondamente lo scenario nel quale viviamo, e di questi nuovi assetti devono in primo luogo tener conto gli amministratori. Noi, che tra poco concluderemo il nostro incarico alla guida dell’Unione dei Comuni Pian del Bruscolo, crediamo che le immagini e le testimonianze presentate su “Promemoria” potranno essere utili a chi in futuro sarà chiamato a governare questo territorio, perché il futuro va costruito tenendo ben presenti le radici della nostra storia. A conclusione di un cammino, desideriamo ringraziare ancora una volta Banca dell’Adriatico, per il supporto e la fiducia accordati alle nostre attività, i dipendenti dei Comuni e dell’Unione Pian del Bruscolo, che a vario titolo hanno contribuito al progetto Memoteca e a “Promemoria” e Camera di Commercio di Pesaro e Urbino, che ha sostenuto la realizzazione di questo numero. Un ringraziamento e un augurio di buon lavoro, infine, a Cristina Ortolani e a tutti coloro che con sensibilità e competenza hanno collaborato a Promemoria. Federico Goffi

Assessore alla Cultura e alla Promozione del Territorio Unione dei Comuni “Pian del Bruscolo”

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Claudio Formica

Presidente Unione dei Comuni “Pian del Bruscolo”

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“Promemoria” numero 6, interamente dedicato a “uomini e lavoro nella valle del Foglia”, integra la serie della rivista pubblicata tra il 2010 e il 2013 aggiungendo alcune riflessioni su un tema di stretta attualità. La bassa valle del Foglia, con le sue imprese dislocate tra Pesaro e i Comuni dell’Unione di Pian del Bruscolo, per molti anni è stata una delle zone di maggiore importanza del distretto produttivo pesarese, come testimoniano le immagini e i contributi pubblicati in queste pagine, raccolti anche grazie alla collaborazione della Camera di Commercio di Pesaro e Urbino. Piccole e medie imprese, soprattutto, come quelle che costituiscono la struttura portante del sistema produttivo italiano, fortemente segnate dalla crisi economica che stiamo attraversando, ma che nella maggior parte dei casi continuano il loro lavoro con determinazione, guardando a nuovi mercati e spendendo energie nella ricerca e nell’innovazione. Insieme con il Gruppo Intesa Sanpaolo, Banca dell’Adriatico sostiene le imprese virtuose, mettendo in campo ogni iniziativa per rafforzare una partnership strategica, fondamentale per innescare il processo di crescita. Attraverso strumenti che facilitano l’accesso al credito rendendolo più semplice e vantaggioso aiutiamo le imprese nel processo di internazionalizzazione, nella ricerca e nell’innovazione, nel rafforzamento delle performance commerciali. Un nostro obiettivo prioritario è anche quello di favorire la nascita di una nuova generazione di imprenditori, creando un “ecosistema” per lo sviluppo di start up basate sulle nuove tecnologie, in collaborazione con i maggiori centri di ricerca nazionali. Banca dell’Adriatico è presente sul territorio anche attraverso il sostegno a iniziative culturali: tra i tanti eventi di importanza nazionale e internazionale che ci vedono protagonisti segnaliamo il Rossini Opera Festival del quale siamo ente fondatore e sostenitore, Popsophia, la stagione concertistica unitamente a numerose altre manifestazioni e pubblicazioni; l’attenzione verso “Promemoria” rientra in questa linea di azione, particolarmente significativa in un momento nel quale è all’ordine del giorno la riflessione sulla possibilità di creare sviluppo economico attraverso la cultura. Rinnoviamo dunque i nostri complimenti agli amministratori dell’Unione di Pian del Bruscolo che dal 2010 hanno promosso la pubblicazione di “Promemoria”, e a Cristina Ortolani che ha portato avanti il progetto insieme con gli altri autori, con l’augurio che, dopo questa prima serie, la rivista possa continuare il suo cammino. Roberto Dal Mas

Direttore Generale Banca dell’Adriatico

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L’azione culturale svolta in questi anni dalla Memoteca Pian del Bruscolo è affine all’impegno con cui la Camera di commercio si è prodigata in particolare per mantenere viva la memoria del nostro distretto industriale per eccellenza: mobile, arredamento, cucina. Le sue origini, le condizioni che hanno permesso il suo sviluppo e il suo affermarsi a livello internazionale sono gli elementi costitutivi di un fenomeno che trova radici e tanta linfa proprio nella bassa valle del fiume Foglia. Com’è già chiaro nell’intuizione di Promemoria, cultura ed economia non sono due elementi separati, quasi antitetici tra loro, sono invece collegati da legami tanto numerosi quanto forti. L’imprenditore illuminato è colui che ne è consapevole e alimenta questo rapporto. Non è un caso, non penso lo sia, che un fiorente distretto industriale legato in origine alla lavorazione del legno sia nato in un territorio di raffinati ebanisti rinascimentali e di una robusta, successiva tradizione nella falegnameria. Ecco la linfa portata dalla cultura alla pianta dell’economia. Consiste nel senso della bellezza, che si affina e si rinnova di generazione in generazione, attualizzandosi da stili artigianali al design industriale. Consiste allo stesso tempo nell’abilità del sapere fare, che si evolve dalla bottega alla produzione su larga scala, mantenendo ferma l’attenzione alla qualità finale del prodotto e alle soluzioni innovative. Le nostre migliori imprese sono uscite dalla tenaglia della crisi attingendo proprio da un ricco humus di cultura industriale, per poi aprirsi ai mercati internazionali e conquistare le ulteriori quote di mercato aperte dalle tante e proficue missioni istituzionali della Camera di commercio nei Paesi a più rapido sviluppo. Il nostro valore aggiunto nella competizione globale è, dunque, la nostra cultura della bellezza e del saper fare. Valorizzandola, si compie un importante investimento in chiave futura. Alberto Drudi

Presidente Camera di Commercio di Pesaro e Urbino

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Dopo il numero 3 (marzo 2012), dedicato ai centocinquant’anni dell’Italia unita, di nuovo “Promemoria” si propone in versione monografica, stavolta fissando l’obiettivo su un tema connotato da aspetti di drammatica attualità. Le prossime pagine raccontano infatti “Storie di uomini e lavoro nella bassa valle del Foglia”, e l’arco temporale al quale si fa riferimento, 19462014, lascia intendere che lo sfondo sarà tutt’altro che rassicurante. Più di tutte, nelle Marche, la provincia di Pesaro e Urbino ha risentito della crisi economica, e a farne le spese sono state in particolare, oltre al settore dell’edilizia, l’industria del legno e quella del mobile. Uno scenario che inevitabilmente tinge d’ombra il viaggio di “Promemoria”, e che tuttavia non ci sembrava giusto ignorare, sia per aggiungere particolari al percorso di ricerca sul secondo dopoguerra avviato nell’ottobre 2013 (numero 5), sia per riaffermare la necessità di una memoria del quotidiano dal gusto più deciso rispetto al sapore spesso vago dell’amarcord. Il numero 6 della rivista è una sorta di “fuori programma”, realizzato con l’apporto dei soggetti istituzionali che più da vicino si occupano di economia e lavoro: la Camera di Commercio, le associazioni di categoria e i sindacati, ai quali abbiamo chiesto di collaborare secondo le modalità ormai sperimentate, e cioè raccogliendo storie, ricordi, immagini, per documentare la trasformazione “dalla terra alla fabbrica” della bassa Valle del Foglia, più precisamente dei Comuni aderenti all’Unione di Pian del Bruscolo, dal 1946 a oggi. Quasi tutti hanno risposto al nostro appello, mobilitando con entusiasmo dipendenti e associati: il risultato è un quadro ricco di colori e immagini, punteggiato da molte figure e pochi numeri, ai quali siamo ricorsi solo per tracciare essenziali coordinate (in proposito rimandiamo a ricerche specifiche sull’argomento, alcune delle quali sono elencate a pagina 27), nell’intento di offrire, come sempre, una “fotografia” da inserire in più ampi contesti. “Storie di uomini e lavoro” sono già apparse su“Promemoria”: ricordiamo almeno gli emigranti di inizio secolo dei primi numeri, l’ “Album di famiglia” del numero 4 e i due articoli sui minatori di Marcinelle (nn. 2-3). Infine, una precisazione geografica. Il distretto industriale della “bassa Valle del Foglia” comprende un territorio assai più vasto di Pian del Bruscolo, proseguendo da Chiusa di Ginestreto fino alla periferia di Pesaro, area che sin dalla fine degli anni Sessanta è al centro di complesse strategie di pianificazione intercomunale. Pur senza trascurare questo dato, le prossime pagine si concentrano su quanto è avvenuto nei Comuni di Colbordolo, Monteciccardo, Montelabbate, Sant’Angelo in Lizzola e Tavullia e nelle rispettive zone industriali; fa capolino anche Vallefoglia, il comune nato il 1° gennaio 2014 dalla fusione di Colbordolo e Sant’Angelo in Lizzola, che con poco meno di quindicimila abitanti è il quarto Comune della provincia di Pesaro e Urbino. Ringrazio una volta di più quanti hanno sostenuto la rivista, da tutti gli autori agli Enti promotori agli Sponsor. Un grazie particolare a Camera di Commercio, eccezionalmente al nostro fianco per questa uscita e a Banca dell’Adriatico, che di “Promemoria” è sponsor unico fin dal numero zero.

Cristina Ortolani

concept+image “Promemoria” e Memoteca Pian del Bruscolo promemoria_numerosei

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sommario “Promemoria” n. 6. Storie di uomini e lavoro nella bassa Valle del Foglia, 1946-2014 a cura di Cristina Ortolani > I Testimoni. Pian del Bruscolo, 1946-2014

pagina 10

Materiali > Il Piano Regolatore Intercomunale pagina 20 > Cronologia

pagina 22 > Album. Dalla terra alla fabbrica

La fabbrica > Pian del Bruscolo: passato e presente con gli occhi del lavoro in collaborazione con CGIL - Camera Territoriale del Lavoro di Pesaro e Urbino

pagina 28

pagina 40 > “Vestivano la stessa tuta”. Giorgio Orazi racconta la CGIL in collaborazione con CGIL - Camera Territoriale del Lavoro di Pesaro e Urbino pagina 44 > Un tempo nuovo. Leggere il cambiamento Intervista a Gianfranco Tonti in collaborazione con Confindustria Pesaro e Urbino pagina 47 > Dai carrarmati all’autostrada, costruzione di un’economia Intervista a Learco Bastianelli in collaborazione con Confartigianato Pesaro e Urbino pagina 52 > L’impegno e la passione - storie di artigiani a Pian del Bruscolo in collaborazione con CNA - Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccole e Media Impresa Pesaro e Urbino pagina 58

pagina 66

Il commercio > Empori e superettes, il commercio a Pian del Bruscolo in collaborazione con Confesercenti Pesaro e Urbino Speciale Banca e Cultura > La stellina di Liliana, la Shoah vista dai bambini pagina 74

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La terra > In fabbrica? Neanche morto. Storie di contadini nella valle delle pesche in collaborazione con CIA - Confederazione Italiana Agricoltori Pesaro e Urbino pagina 80 > Montelabbate, il colle dei peschi pagina 86 > Anima verde. “Donne rurali” nei ricordi di Maria Teresa Bracci in collaborazione con Coldiretti Pesaro e Urbino pagina 88 > Dieci minuti di tramonto. La terra secondo le donne in collaborazione con Coldiretti Pesaro e Urbino pagina 92 > Le rose, e le spine. Dalla Sardegna a Monteciccardo pagina 96 pagina 100 pagina 102 pagina 103 pagina 104

> Mi ricordo > La Memoteca Pian del Bruscolo > Come collaborare > “Promemoria” 2010-2014. Hanno collaborato

Avvertenza per la lettura

Per non appesantire il testo e facilitare la lettura, si è scelto di ridurre al minimo le note, inserite alla fine di ciascun articolo e riservate perlopiù all’indicazione di Fonti e tracce. Il corsivo identifica le citazioni da documenti, fonti a stampa e testimonianze orali; tra [...] gli omissis e le note dei redattori. In corsivo sono indicati anche titoli di libri, articoli, siti internet, spettacoli e manifestazioni, e il titolo originale di quadri e fotografie; titoli di riviste e periodici sono invece riportati tra “ ”. Abbreviazioni utilizzate frequentemente: b. (busta); fasc. (fascicolo); id. (idem); ms (manoscritto); s.d. (senza data di pubblicazione); s.l. (senza luogo di pubblicazione); coll. (colonne); cfr. (confronta). Eventuali altre abbreviazioni o sigle particolari usate nelle note sono date di volta in volta. A pagina 1, 5, 6, 112: Bruno Baratti (1911-2008), Formelle in ceramica raffiguranti i mestieri della provincia di Pesaro e Urbino, collocate nella parete dello scalone d’onore della locale Camera di Commercio. Le prime nove formelle (pagg. 1, 5, 6) furono realizzate nel 1964; le ultime tre (pag. 112) sono state commissionate all’artista nel 1993 (fotografie Archivio Camera di Commercio di Pesaro e Urbino). Alle pagine 1 e 109: Costituzione italiana, artt. 9 e 1, da www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/costituzione.htm (estratto il 14 marzo 2014, ore 12,35). A pagina 19: Disegno per la scanzia... per la segreteria comunale, sec. XIX (Archivio Storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola). Alle pagine 28-29, sullo sfondo: bolletta del macinato, fine sec. XVII (Archivio Storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola). A pagina 28:V. Castronovo, Il miracolo economico, podcast, Laterza, 2008 (da www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Ite mid=97&task=schedalibro&isbn=9788849100624, estratto il 12 marzo 2014. ore 15). Alle pagine 38-39: vista sulla Valle del Foglia da Monte Calvello (Sant’Angelo in Lizzola - Vallefoglia; fotografia Cristina Ortolani, aprile 2012). Alle pagine 78-79: panorama da Colle del Brasco (Sant’Angelo in Lizzola - Vallefoglia; fotografia Cristina Ortolani, aprile 2012). Alle pagine 110-111: Sant’Angelo in Lizzola, II Rassegna intercomunale di bestiame bovino romagnolo, 1957 (Archivio Storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola). promemoria_numerosei

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I Testimoni Pian del Bruscolo, 1946-2014 i testimoni

Il viaggio “dalla terra alla fabbrica” nei comuni di Pian del Bruscolo comincia dall’Arena di Montecchio, con il ricordo di un’intervista realizzata nell’aprile 2008

a cura di

Cristina Ortolani

Montecchio, aprile 2008. Luciano Cardellini; nella pagina seguente: Luciano con i fratelli Silvano e Mario davanti alla casa di famiglia nell’aprile 2008 (fotografie Cristina Ortolani) e, da solo, nel 1959 (fotografia raccolta Famiglia Cardellini, Montecchio di Vallefoglia).

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Montecchio (Sant’Angelo in Lizzola, dal 1° gennaio 2014 Vallefoglia), aprile 2008 - Pesaro, 14 marzo 2014. Un caffè davanti al camino spento, intorno al tavolo di una cucina con il lavandino di pietra e una stufa economica lì da almeno cinquant’anni. Sopra il frigorifero, incorniciato, uno tra i tanti diplomi di benemerenza, la medaglia della Camera di Commercio (1968), insieme con due foto appiccicate al vetro con un nastro isolante blu: una a memoria del fratello scomparso, ritratto alla guida del suo trattore, nell’altra il fratello maggiore - il capofamiglia - con il sindaco in maniche di camicia, a bordo di una bicicletta. Due giornate assolate, a giudicare dalla luce. Il caffè coronava una conversazione scandita dalla visita guidata di tutti gli ambienti della fattoria: la stalla, la conigliera, il fienile, la dispensa con i salami che pendevano dal soffitto. Fuori, sotto un cielo cupo, per niente primaverile nonostante si fosse alla metà di aprile, accatastati in ogni angolo oggetti di tutte le epoche, da un mucchio spuntava anche una scatola di latta per munizioni, uno degli ultimi residuati bellici di cui la zona era piena. Il ricordo dell’intervista ai fratelli Cardellini (Burdón), la cui famiglia dal 1855 è di stanza nello stesso podere dell’Arena, a Montecchio, ha accompagnato insistente il lavoro di ordinamento del materiale presentato nelle prossime pagine. Avvenuto nella primavera del 2008, nel corso della ricerca svolta per il libro Un paese lungo la strada. Montecchio,

storie e memorie tra XVI e XX secolo, subito l’incontro si era imposto per la sua peculiarità. Luoghi, oggetti, modi e anche pensieri: tutto parlava di un’epoca lontana, assai più lontana degli anni Cinquanta di quel mobile da cucina smaltato avorio aperto in dispensa, o dell’età indefinita di quegli attrezzi levigati da secoli di lavoro, ancora vivissimi, a differenza dei loro colleghi pensionati nei musei della civiltà rurale. Se per quasi sei anni, però, di quella mattina ho ricordato soprattutto le dodici uova fresche che il signor Luciano mi aveva consegnato in un sacchetto di carta prima di salutarmi (e gli zabaioni fragranti che ne erano usciti), negli ultimi tre mesi sempre più chiaramente la visita al podere dei Cardellini si è modellata nei connotati di un’esperienza emblematica. Sei anni fa colpiva il contrasto tra la casa colonica, microcosmo pressoché immutato dal dopoguerra, e i capannoni dai quali era circondata, che si stagliavano bianchi contro le colline e che, si sarebbe scommesso, prima o poi avrebbero finito per inghiottirla con tutto il corredo di uomini, attrezzi e animali. Oggi, passando di lì si ha la netta percezione che a soccombere saranno presto i prefabbricati, e che il fiume abbia già cominciato a rivendicare i suoi diritti su quella terra grassa, da sempre utilizzata per vasellame e mattoni. La casa colonica dei Cardellini (le case, sarebbe più corretto dire, visto che nella stes-

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Montecchio, via Arena, aprile 2008. Alcune fotografie scattate nel corso dell’intervista ai fratelli Luciano, Mario e Silvano Cardellini (fotografie Cristina Ortolani)

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sa occasione i tre fratelli mi mostrarono fieri una seconda abitazione, più moderna, a poche centinaia di metri dal podere: qui veniamo quando c’è qualche occasione speciale o quando stiamo male, commentò Luciano, c’è il riscaldamento) non è la sola a punteggiare le zone industriali cresciute dagli anni Settanta sulle rive del Foglia e, poco più su, dell’Apsa. E’ però, indubbiamente, una delle più suggestive, così caparbiamente ancorata alle tradizioni, ed è forse per questo che in un periodo piuttosto breve ha raggiunto nella mia memoria lo status di sentinella, quasi il valore di un monito. Qui tra vent’anni sarà tutto coperto dall’edera, com’erano le case dei contadini che abbiamo buttato giù. Dal settembre 2008, data alla quale si è ormai accettato di fissare l’inizio di un “mondo nuovo”, decine di volte l’affermazione si è ripetuta riguardo a questo territorio, con i toni speranzosi di chi auspica un “ritorno alla terra” o con quelli più opachi di chi non vede via d’uscita. Da qualche mese, però, la frase ha assunto finalmente un valore più pragmatico, ed è così che la riportiamo affiancando le parole di due tra le conversazioni presentate nelle prossime pagine. Sempre più spesso riceviamo domande per riportare a destinazione agricola terre classificate come edificabili, ci ha detto un amministratore. E non si tratta solo di risparmiare sulle tasse: siamo sem-

pre di più, anche nel nostro territorio, a dedicarci all’agricoltura, aggiunge una giovane imprenditrice. Hai notato quanti produttori sono tornati a vendere frutta e verdura lungo la Montelabbatese? Ecco perché questa edizione ‘fuori programma’ dei nostri incontri con i “Testimoni” si apre nel ricordo delle ore trascorse con Luciano, Mario e Silvano Cardellini, che dal 1991 coltivavano orgogliosamente, in qualità di proprietari, le terre lavorate a mezzadria dai loro antenati. Certo, di questo “mondo nuovo” non riusciamo a vedere che pochi segni, dei quali il “ritorno alla terra” è solo un frammento. Però i nostri sono tempi veloci, e forse quell’idea di “un paese da ricostruire”, sempre più presente nelle nostre giornate, non è un banale motto consolatorio coniato da qualche intellettuale ma una prospettiva concreta, un viaggio del cui svolgersi, chissà, forse anche noi riusciremo a dar conto in qualche tratto. Da Lilliana Baiocchi, prima tra le voci apparse sulla nostra rivista nel maggio 2010 a Renata Palma, che sul numero 5 ha sottolineato la necessità di una maggiore consapevolezza nel rapporto con l’ambiente che ci circonda, riproponiamo alcuni brani delle conversazioni con i nostri “Testimoni”, a fornire alcune coordinate per le “storie di uomini e lavoro” alle quali è dedicato questo numero speciale di “Promemoria”.

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Lilliana Baiocchi, Monteciccardo Originaria di Cairo di Mombaroccio, residente a Monteciccardo dal 1954, anno delle nozze con Ermanno Crescentini, Lilliana Baiocchi racconta il suo paese d’adozione da un punto di vista privilegiato, forse uno dei migliori per comprendere l’evoluzione dei nostri borghi e castelli: l’alimentari, che prima dell’avvento degli ipermercati funzionava da emporio. Sugli scaffali i collant di fianco agli orosaiwa, tra un fruttino e un surrogato di cioccolata da affettare c’era il borotalco e sì, le caramelle stavano in grandi barattoli colorati e servivano per dare il resto. Chiuso nel 2003 (io ero stanca, il lavoro si era fatto più pesante, poi la gente cominciava a far segnare, era sempre più difficile andare avanti), il negozio si affacciava sulla strada principale del paese, di fianco alla gloriosa Società Operaia di Mutuo Soccorso, quasi di fronte al palazzo comunale. [...] Adesso la spesa la faccio il più delle volte a Montecchio, comunque nei supermercati. A Monteciccardo capoluogo non c’è l’alimentari, il più vicino è a Sant’Angelo, oppure bisogna andare a Villa Betti. E’ infatti verso Villa Betti e la campagna circostante che si espande oggi l’abitato di Monteciccardo, il torrente Arzilla un tempo co-

stellato dai mulini a far da confine con il vicino comune di Mombaroccio. Campagna e annessi hanno tuttora grande rilevanza nell’economia di Monteciccardo (il 70% del territorio comunale è rappresentato da superficie agricola, e il 15% è occupato dai boschi), che ospita diversi produttori di formaggio, molti dei quali di origine sarda, e numerose cantine e produttori di vino. [...] Quando sono arrivata a Monteciccardo c’era poco e niente, la chiesa era stata ricostruita da poco, molte delle case ancora non c’erano. Avevamo la SOMS, l’osteria della Marietta, dietro aveva il campo delle bocce, e un altro alimentari. [...] Però in paese c’erano molti più abitanti, specialmente nelle campagne: per la fiera di Santa Eurosia Monteciccardo si riempiva, dava gusto a vedere, lassù al monumento c’erano i venditori di polli, uova, formaggio, era bellissimo. Li vedo come se fosse adesso. Anche a noi sembra di vederli, i venditori, i paesani, le frotte di visitatori nel bianco e nero delle fotografie, quasi come in un film che scorre lungo via Roma: sì, perché io queste cose le ho viste sempre da dietro il bancone, il negozio era aperto anche la domenica e nei giorni di festa, anzi, era allora che si vendeva di più, arrivavano tante persone anche da fuori, siamo sempre stati rinomati per la carne, e magari chi pranzava all’osteria poi si fermava a fare acquisti. Insomma, ho lavorato sempre, ma non ne sono pentita (“Promemoria” n. 0, maggio 2010).

Monteciccardo, abitanti 1951 - 2013 1951 2.225 1961 1.567 1971 973 1981 880 1991 969 2001 1.296 2013 1.706 Dati Istat

Monteciccardo, Via Roma (cartolina, anni Cinquanta del ‘900; raccolta privata, Pesaro). In alto: Lilliana Baiocchi nel 2010 e in una fotografia del 21 Ottobre 1954 (raccolta Lilliana Baiocchi Crescentini, Monteciccardo).

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Montecchio (Vallefoglia), anni Settanta del ‘900. Corso XXI Gennaio in una cartolina edita dal bar - tabacchi Ballerini (raccolta Vinicio Olivieri, Montecchio, Vallefoglia). Sotto: Nazzareno Guidi in un’immagine degli anni Sessanta e, insieme con la moglie Alba, in una fotografia scattata nel 1995, in occasione del loro 25° anniversario di matrimonio (raccolta Nazzareno Guidi, Montecchio).

Sant’Angelo in Lizzola, abitanti 1951 - 2013 1951 2.449 1961 2.327 1971 3.312 1981 4.420 1991 5.495 2001 6.810 2013 8.869 Dati Istat

Nazzareno Guidi, Montecchio (Vallefoglia) Montecchio, fino al 2013 frazione di Sant’Angelo in Lizzola, dal gennaio 2014 cuore di Vallefoglia. Una borgata nata all’incrocio di due strade (tre dal dopoguerra), tra un ponte e un’osteria, luogo da sempre contrassegnato quale crocevia di incontri e scambi commerciali. Luogo, notava lo storico Luigi Michelini Tocci già quarant’anni fa, di una vitalità secolare, il cui tessuto sociale si è arricchito dal dopoguerra di mille sfumature senza perdere però, tra gli scricchiolii di una società sempre più complessa, la sua sostanziale tenuta collettiva. Crogiolo di varia umanità dove, nel cuore di quella Valle del Foglia passata dai campi alle industrie, alle vocali un po’ romagnole un po’ feltresche dei montecchiesi doc (ci tengono a definirsi così) si sono aggiunte pian piano le cadenze del Sud d’Italia e poi, i suoni e i linguaggi del mondo. Il secondo dei nostri Testimoni è Nazzareno Guidi, classe 1935, sindaco di Sant’Angelo in Lizzola dal 1970 al 1975. [...] Contadino fino a trent’anni, dalla fine degli anni Sessanta Nazzareno comincia a lavorare come autista nella ditta Davani (successivamente la linea sulla quale lavorava Nazzareno verrà rilevata dall’AMANUP, l’Azienda Municipalizzata a cui erano affidate la

gestione del trasporto pubblico e dell’igiene Urbana di Pesaro), lavoro che continuerà a svolgere fino alla pensione, nel 1994. [...] Non è solo per deformazione professionale che Nazzareno indica “i tram” come uno dei principali fattori di sviluppo della zona. Ricordo che la Circolare venne inaugurata il 1° Ottobre del 1973: un tram ogni mezz’ora, e in più c’erano le corriere che già da prima passavano per Montecchio nel percorso verso altre destinazioni. Insomma, per l’epoca fu una vera e propria rivoluzione, per gli studenti, ma soprattutto per le donne che andavano a lavorare, a servizio o come impiegate a Pesaro, per loro fu importantissimo. Le donne di servizio. I ricordi di Guidi si soffermano su un’Italia di provincia assai distante dalla political correctness, nella quale non c’erano ancora le colf (è del 1958 la prima legge che affronta in modo organico il tema del lavoro domestico, l’obbligatorietà delle assicurazioni arriva solo nel 1971 e il primo contratto nazionale è del 1974), ma preziose donne di servizio, abilissime nel fare la pasta, di solito con le uova del loro stesso pollaio, come nelle faccende di casa, alle quali ricorrevano, solitamente per una o due mezze giornate la settimana, le famiglie della media borghesia cittadina. Finalmente potevano andare in città anche per lavorare due o tre ore, una possibilità che prima non avevano, e qui da noi erano in tante (“Promemoria” n. 1, ottobre 2010).

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Osteria Nuova di Montelabbate, cartolina, anni Sessanta del ‘900 (raccolta Fabrizia Tagliabracci, Montelabbate). Sotto: Terenzio Gambini con la sua capretta in un’immagine del 1948 e, a colori, con la moglie Anna a Buffaure, in Val di Fassa, nel 1988 (raccolta Terenzio Gambini, Osteria Nuova di Montelabbate).

Montelabbate, abitanti 1951 - 2013 1951 2.935 1961 2.802 1971 2.776 1981 3.083 1991 3.882 2001 5.345 2013 6.841 Dati Istat

Terenzio Gambini, Osteria Nuova (Montelabbate) Dicevano che a Montecchio c’era il cambio dei cavalli [la “stazione di posta”] poi, poco più giù, verso Pesaro, un’ “osteria nova”, e così il nome è rimasto. Almeno così raccontavano i vecchi. [...] Cresciuta analogamente a quanto accaduto a Montecchio intorno a quello che oggi definiremmo “punto di aggregazione”, Osteria Nuova è una delle zone di maggiore espansione del territorio comunale di Montelabbate. Proprio dall’osteria, anzi dal bar, cuore della vita di paese, prende le mosse il racconto del terzo Testimone di “Promemoria”, Terenzio Gambini, la cui famiglia, originaria di Pesaro, è da tre generazioni titolare dell’esercizio situato oggi al civico 100 della Strada Provinciale. [...] Sposato dal 1966 con Anna Antonelli, figlia di Ivo, dal dopoguerra fino agli anni Sessanta custode del palazzo comunale di Pesaro, subito dopo il matrimonio Terenzio Gambini si è stabilito a Osteria Nuova, dove fino a poco tempo fa ha seguito l’attività di famiglia. Fu mio nonno, del quale porto il nome, nato nel 1864, a prendere in gestione l’osteria, che all’epoca era annessa al macello [entrambi erano di proprietà comunale, affittati con un’asta pubblica]; il mio bisnonno invece faceva i mattoni, un’attività che era parecchio diffusa, sulle rive del Foglia c’erano anche diverse piccole fornaci a conduzione famigliare. 16

Sin dal 2007 Terenzio Gambini ha preso parte alle iniziative della Memoteca, “prestando” alle nostre iniziative le immagini del suo album di famiglia. Clienti dell’osteria dove si vende solo per contanti, forse per scongiurare il pericolo di incombenti amnesie alcoliche (bevevano parecchio, cantavano, quando si faceva festa era festa sul serio), matrimoni, scolaresche e ragazzi alla Prima Comunione: volti nei quali si legge senza mediazioni la trasformazione di un territorio, di un’intera società, incerta, appunto, tra la “città” e la “campagna”, il “paese”. Prima della guerra Osteria Nuova era concentrata sull’attuale via Unità d’Italia... Proprio qui davanti passava la Linea Gotica, e dopo il Fronte le case ancora in piedi erano poche. [...] Anche qui, come in tutte le località nate e cresciute ai piedi degli antichi castelli di Pian del Bruscolo, l’accelerazione arriva con la nascita delle prime industrie: dopo il Fronte c’erano delle casupole, per tutti gli anni Settanta l’aspetto del paese è rimasto più o meno lo stesso, il cambiamento è venuto dagli anni Ottanta (“Promemoria” n. 2, aprile 2011). promemoria_numerosei


Alberta e Agnese Gambini, Tavullia Tavullia, 6 marzo 2013. Una volta chi entrava qui si toglieva il cappello per salutare. Buongiorno, buonasera, grazie: oggi molti non sanno più nemmeno dove stanno di casa queste parole. Entrano dei ragazzi e sembra che siamo invisibili, bofonchiano qualcosa, pagano, escono: senza che si sia scambiato nemmeno un ‘ciao’. Certo la stanchezza e la sfiducia che connotano questi nostri giorni non risparmiano Tavullia, non c’è il governo, non c’è il papa... chissà, speriamo. A quasi tre anni dall’inizio dell’avventura di “Promemoria” anche guardare al passato assume un sapore più denso, e si fatica sempre più a sottrarsi all’idea che una foto seppiata sia buona solo a consolare, sfuggono i modi di trovarvi incentivo. [...] Siamo nell’“edicola più bella del mondo”, a colloquio con Alberta e Agnese Gambini, figlie di Serafino, barbiere, calzolaio, edicolante ma soprattutto memoria storica del paese di “Vale”, e indomito “uomo di pace”, come hanno scritto i quotidiani locali alla sua scomparsa, nel 2004. Dopo una vita lunga e piena Fino se ne è andato a novantadue anni, lasciando fotografie, minute di lettere spedite in tutto il mondo, quaderni pieni di note conservati dalle figlie nell’edicola affacciata su via Roma, ancora oggi punto d’incontro per i paesani e i forestieri, che difficilmente resistono alla tentazione di dare un’occhiata a quella bottega delle meraviglie. [...] Del padre Berta (così la conoscono

Tavullia, abitanti 1951 - 2013 1951 4.528 1961 3.925 1971 3.378 1981 3.617 1991 3.999 2001 4.800 2013 8.044 Dati Istat

tutti) e Agnese hanno ereditato la vena battagliera, la capacità d’indignarsi nel nome del senso di responsabilità. Ecco, è questo che manca, oggi, continua Agnese. Se pensiamo a tutti quelli che nel ’45 erano tornati dalla guerra, dopo la prigionia, avevano conosciuto la fame, e quando sono arrivati qui, molti anche a piedi, non hanno trovato più nemmeno la casa. Però hanno ricostruito l’Italia, si sono rimboccati le maniche, e senza lamentarsi hanno ricominciato. [...] Vedi l’arco? Quello l’hanno fatto ai tempi in cui era consigliere mio padre, fu un lavoro impegnativo, ma avevano capito che la zona sotto le mura sarebbe stata importante per noi, e così al posto degli orti e dei porcili abbiamo i giardini. ...Il castello, quello è stato un bel lavoro, prima era in decadimento, adesso è diventato più bellino. I lavori di recupero del castello, sino agli anni Ottanta piuttosto in degrado, si protrassero per un lungo periodo, e furono coronati nel 1999 dall’inaugurazione del Cassero, anch’esso restaurato e adibito a spazio espositivo. Nel 2007 è stata inaugurata la torre civica, sentita da gran parte degli abitanti di Tavullia - Fino compreso - come il simbolo del paese. Sì, anche la torre è una bella cosa, sorride Berta, i paesani le sono affezionati. “I paesani”, cioè chi negli anni Sessanta-Settanta ha deciso di restare invece di volgersi verso la città in cerca di differenti prospettive. Molti sono emigrati verso la Romagna, hanno aperto delle pensioni a Riccione, Cattolica, Gabicce. 12 marzo. Chiudiamo la rivista il giorno dopo l’elezione di Papa Francesco. L’ immagine delle sue scarpe sformate ha già fatto il giro del mondo. Chissà cosa dirà Fino (“Promemoria” n. 4, marzo 2013).

Tavullia, piazza Dante Alighieri in una cartolina degli anni Sessanta del ‘900 (raccolta privata, Pesaro). In alto: Tavullia, marzo 2013. Agnese e Alberta Gambini nella loro edicola (Alberta è la prima da sinistra).

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Colbordolo (Ps) - Panorama, cartolina, fine anni Sessanta-primi anni Settanta del ‘900 (Archivio Stroppa Nobili, Ginestreto - Pesaro). Sotto: Renata Palma in un recente ritratto (raccolta Renata Palma, Pesaro).

Colbordolo, abitanti 1951 - 2013 1951 3.599 1961 3.097 1971 3.004 1981 3.847 1991 4.077 2001 5.087 2013 6.166 Dati Istat

Renata Palma, Colbordolo (Vallefoglia) I racconti [di “Promemoria”] hanno preso in esame circostanze e azioni di singole persone o piccole comunità, e nondimeno la cronaca ha spesso evidenziato uno stretto legame coi grandi temi della storia, come ad esempio l’emigrazione degli Italiani nei primi decenni del Novecento o alcuni aspetti della seconda guerra mondiale. [...] Sarebbe però uno sguardo miope quello di una riesumazione del passato che prendesse in considerazione solo la categoria del tempo, trascurando quella dello spazio, perché, come si sa, tempo e spazio, oltre che l’alveo in cui scorre la nostra vita, e perciò la storia stessa, sono anche, e direi soprattutto, principi fondamentali della conoscenza in quanto costituiscono l’a priori della nostra sensibilità, cioè la condizione per la quale i dati molteplici della realtà fenomenica vengono unificati nella forma, resi intelligibili e aperti al consenso dell’intelletto. [...] La compenetrazione tra natura e storia ci autorizza a definire il paesaggio come natura umanizzata, ma essa si realizza, è bene ribadirlo, nel rispetto per la costitutiva figuratività della natura, senza il quale si infirma il concetto stesso di paesaggio. In Italia, a partire da certi errati interventi operati al tempo della unificazione nazionale, e soprattutto dagli anni Cinquanta del secolo scorso, l’aggressione al paesaggio è stata conti-

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nua. Attratti dal mito di una modernizzazione ad ogni costo, spinti da uno sfrenato utilitarismo, e inseguendo lo sviluppo di una tecnologia sempre più sofisticata ed artificiosa, abbiamo considerato l’ambiente come una realtà puramente quantitativa ed economicistica, intaccando la bellezza in tanti suoi aspetti. Da vari decenni si parla di questo problema, ma una vera consapevolezza non è stata ancora raggiunta, visto che i comportamenti continuano ad essere irresponsabili. Siamo tutti chiamati ad un cambiamento di rotta, in modo particolare le classi dirigenti, che troppo spesso hanno declinato le loro responsabilità, e troppo spesso preso decisioni lesive della identità storico-geografica dei territori a loro affidati. Penso alle zone interne, che per la sottrazione di servizi di primaria importanza sono sottoposte a un continuo spopolamento, e mi auguro che il loro potenziale di ricchezza storica e paesaggistica sia considerato un promemoria degno di attenzione. (Renata Palma, “Promemoria” n. 5, ottobre 2013) promemoria_numerosei


materiali promemoria_numerosei

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Il Piano Regolatore Intercomunale

1969-1973 9 agosto 1969. Con delibera n. 269 il Comune di Pesaro adotta il Piano Regolatore Intercomunale, redatto dagli architetti Piero Moroni e Fausto Battimelli e dall’ingegner Nicola Di Cagno. è il primo piano intercomunale realizzato nelle Marche e comprende i Comuni di Pesaro, Colbordolo, Montelabbate, Sant’A ngelo in Lizzola e Tavullia. La Regione Marche lo approverà nel 1973

Sta per concludersi l'attività dell'Amministrazione, dei tecnici e degli uffici preposti per la definizione del Piano Intercomunale pesarese che si inserisce nel più vasto contesto della programmazione regionale. Per quanto attiene in particolare alla pianificazione del Comune di Pesaro si è partiti dall'analisi riguardante la dinamica di alcuni fenomeni socioeconomici che hanno caratterizzato negli ultimi quindici anni gran parte della provincia di Pesaro e Urbino e si sono individuati gli obiettivi che la programmazione comprensoriale dovrà raggiungere. E cioè: 1) graduale tendenza alla eliminazione della emigrazione netta dall'area comprensoriale; 2) parificazione dei redditi agricoli con quelli del settore industriale; 3) graduale eliminazione delle immigrazioni di popolazione dei centri collinari e montani verso il nostro capoluogo. Sulla base di queste scelte, che corrispondono anche alle scelte di fondo che gli organi della programmazione regionale hanno già fissato, si è pervenuti a uno schema di assetto territoriale riguardante una area sub-regionale alla scala 1:10.000 e ad uno schema riguardante l'area

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comprensoriale vera e propria, alla scala 1:25.000. Lo schema di assetto del territorio dei Comuni facenti parte del piano intercomunale si basa su una scelta di fondo che va recepita in tutta la sua importanza. ta

riguarda

La

scel-

l'obiettivo

di rovesciare la tendenza alla concentrazione della popolazione e delle attività industriali e artigianali lungo o a ridosso della costa.

Si

tratta,

cioè, di rivitalizzare tutta la fascia collinare dei territori gravitanti su

Pesaro,

spingendo all'interno, fin dove è possibile, i nuovi insediamenti industriali e artigianali che consentano la piena occupazione delle forze di lavoro ivi esistenti, contribuendo, così, alla politica della difesa dei centri urbani validi e alla conseguente eliminazione del fenomeno dell'esodo di popolazione verso l'estero e, soprattutto, verso la città di Pesaro. Tale orientamento costituisce la via obbligata da seguire per cercare di risolvere i complessi problemi del nostro sviluppo. La scelta effettuata è stata tradotta sul piano urbanistico e socio-economico negli schemi di assetto di cui si è fatto

promemoria_numerosei


cenno e che sostanzialmente prevedono: a) la realizzazione di una grande strada collinare ad alte velocità che, partendo dalla vicina Romagna, attraversi longitudinalmente l'intera regione marchigiana con un tracciato che grosso modo dovrebbe correre a 12-25 Km. dalla fascia costiera; b) la costruzione di una strada di collegamento veloce che, partendo da Pesaro, corra lungo la valle del Foglia fino a Montecchio, si innesti ad un tratto della collinare per poi uscirne lungo la Valle del Foglia con prosecuzione per Urbino-Fermignano e quindi Arezzo-Grosseto; c) la previsione di un'area metropolitana di tipo nuovo in cui possa essere massima la soddisfazione dei bisogni di tutti i cittadini. Tale indirizzo implica, evidentemente, la necessità di prevedere lungo la valle del Foglia, e oltre, non soltanto la parte più cospicua dei nuovi insediamenti industriali e lo sviluppo di quelli residenziali, ma anche le infrastrutture conseguenti ad un tipo nuovo di insediamento umano (scuole, centri direzionali e commerciali, centri sociali e sanitari, trasporti, riserve di verde, ecc.).

Per procedere all’impostazione della pianificazione del Capoluogo era necessario definire alcune questioni pregiudiziali (ruolo dell'area comunale 1 in campo sub-regionale, direzioni di sviluppo, contenimento complessivo, organizzazione della grande viabilltà, ecc.) che sono state sopra ricordate e che costituiscono, quindi, le direttrici fondamentali dalle quali sta prendendo corpo la complessa elaborazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Pesaro. Da ciò consegue l’applicazione del

nuovo principio della assoluta preminenza delle scelte comprensoriali rispetto a quelle comunali poiché lo stesso sviluppo del capoluogo è condizionato dai fenomeni socio-economici e demografici che si verificheranno nella parte più interna del comprensorio. E' bene che la popolazione sia consapevole che questo indirizzo corrisponde ad una scelta conseguenzte agli interessi della città e di tutta l'area che su essa gravita. Non si può pensare ad un P.R.G. che, partendo dalla realtà oggettiva delle trasformazioni sociali ed economiche in atto, consolidi le tendenze che hanno fino ad ora operato. Occorre, invece, cercare di mutarle e per questo si impongono scelte conseguenti che dovranno concretizzarsi: 1) nella previsione di un incremento annuo di popolazione minimo che comporta, come conseguenza, la ristrutturazione e l'adeguamento delle nuove zone di espansione della città; 2) nella revisione di prevalenti insediamenti residenziali nei cmprensori vincolati ai sensi della legge 167; 3) nell'abbassamento generale della densità edilizia differenziata per zone omogenee; 4) nella ristrutturazione del centro storico e delle zone costiere; 5) nella previsione di zone industriali per le quali dovrà essere fatta la massima previsione nei territori dei comuni minori, proprio per raggiungere la finalità principale del piano intercomunale, cioè la integrale ristrutturazione di tutta l'area comprensoriale (La pianificazione del Comune negli aspetti intercomunali, in “Pesaro, notizie e dati statistici”, rivista mensile a cura dell’Ufficio stampa e Pubbliche Relazioni del Comune di Pesaro, numero speciale, giugno 1969).

è il primo piano intercomunale che sta per prendere la luce nella nostra regione. è un fatto nuovo e di grande importanza. Gli interessi , infatti, che collegano la città con la campagna , vengono ora discussi e decisi in una dimensione territoriale definita con il concorso della libera volontà di cinque consigli comunali elettivi e delle cinque cittadinanze.

Giorgio De Sabbata, Relazione del Sindaco per la presentazione del Piano Regolatore al Consiglio Comunale di Pesaro, 16 luglio 1969

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Cronologia. 1946-2000 1946 10 marzo-7 aprile. Dopo 22 anni si torna al voto per le elezioni amministrative comunali. Larga vittoria della sinistra: in 42 comuni prevale l’alleanza tra socialisti e comunisti. 2-3 giugno. Al referendum monarchia-repubblica la provincia si esprime a favore della repubblica con il 71,35% dei voti. Per la Costituente il PCI risulta il primo partito con il 35,6% seguito dalla DC col 27,4%. 23 luglio.Assemblea dei sindaci della in cui viene votato un piano di emergenza contro la disoccupazione e per la ricostruzione. provincia

Novembre. Prime massicce partenze di lavoratori per il Belgio e per altri paesi esteri.

A Pesaro si vanno affermando i

la-

di Fastigi, Tonelli e Bacchiani, attivi già dagli anni Trenta. boratori artigianali del mobile

1947 Gennaio. Si riunisce per la prima volta il Comitato provinciale per la ricostruzione della Provincia di Pesaro e Urbino. Ne fanno parte, oltre agli amministratori locali, il prefetto e i deputati marchigiani Giuseppe Filippini, Luigi Ruggeri e Fernando Tambroni. 25-26 febbraio. Sciopero generale provinciale contro il sempre più grave fenomeno della disoccupazione. 22-24 aprile. Primo Congresso provinciale della CGIL: il sindacato ha ormai superato i 30.000 iscritti di cui 10.000 solo della Federterra e altri 22

10.000 del settore edile. Novembre. Continua così come nei mesi precedenti il flusso di lavoratori che emigrano in particolare verso il Belgio. Le richieste di espatrio pervengono senza sosta all’ufficio del lavoro e si iniziano a organizzare contingenti settimanali di 150 lavoratori per volta.

dell’agricoltura; viene ribadita la necessità di modernizzare l’agricoltura pesarese: il settore rappresenta infatti il principale comparto occupazionale del territorio. 16 dicembre. Si costituisce a Pesaro la Federazione provinciale della Confederazione dei coltivatori diretti. Il

1948 9 febbraio. Si tiene l’Assemblea degli artigiani pesaresi, indetta dall’Unione Provinciale Artigiani che è attiva già da un anno e aderisce alla Confederazione Nazionale degli Artigiani. 18 aprile. Prime

elezioni politiche

della repubblica. Nel

collegio relativo alla provincia vengono eletti per il PCI Guido Molinelli, Luigi Ruggeri, Ruggero Grieco (che opterà a favore di altro collegio sostituito da Adele Bei); per la DC Umberto Tupini, Giovanni Bertini, Nicola Ciccolungo, Renato Tozzi Condivi e Fernando Tambroni; per il PSI Alessandro Bocconi, Giuseppe Filippini, Luigi Benanni; per il PRI Oliviero Zuccarini, Giuseppe Chiostergi. Settembre. Mostra

della ricostru-

Pesaro e UrbiE’ l’occasione per un bilancio dei lavori fatti e da fare. Otto miliardi e mezzo spesi a fronte di una distruzione valutata intorno ai 25-30 miliardi. zione in provincia di no.

1950 19-21 gennaio. Si tiene a Pesaro il II congresso nazionale della Federmezzadri. 1° maggio. Nasce nella provincia la Confederazione italiana sindacati lavoratori (CISL); una componente dell’area laica, in dissenso, fonderà la UIL. Il 3 novembre dell’anno successivo la CISL terrà il suo 1° congresso provinciale. Giugno. Mostra della meccanica agraria, organizzata dall’Ispettorato

laboratorio di produzione mo-

Renato Fastigi si estende introducendo nella lavorazione alcuni elementi di organizzazione industriale della produzione.

biliera di

1951 27 maggio. Elezioni amministrative. Sono le prime elezioni per l’Amministrazione provinciale a suffragio elettorale universale maschile e femminile.

Si affermano nettamente i socialcomunisti con 97.887 voti (54,7%) rispetto ai 77.867 voti dell’alleanza Dc, Pri, Psdi (43,4%). Per la prima volta le donne entrano nel Consiglio provinciale. Per le comunali l’alleanza socialcomunista conquista 43 comuni su 58, compreso il capoluogo dove torna a ricoprire la carica di sindaco Renato Fastigi. Nel comparto mobiliero si registrano i prodromi della futura fiorente produzione: per esempio, il laboratorio Nicolini costruisce mobili per cucina laccati.

1952 28 maggio-7 luglio. Eclatante protesta dei minatori di Cabernardi contro la volontà della Montecatini di procedere a 860 licenziamenti, premessa alla chiusura degli impianti. Alcuni minatori occupano la miniera, resteranno sottoterra più di 40 giorni: è la cosiddetta protesta dei “sepolti vivi”, che calamiterà l’attenzione anche della stampa nazionale. 28 dicembre. Succede a mons. Porta, quale vescovo di Pesaro, mons. Carlo Borromeo. promemoria_numerosei


1953 Nasce l’Istituto di Medio Credito delle Marche con la finalità di favorire l’accesso al credito da parte dell’imprenditoria marchigiana per lo più caratterizzata da piccole e medie imprese. Nasce a Pesaro l’azienda meccanica IDM che inizia la sua attività di riparazione e manutenzione di macchinari per la lavorazione del legno. Da officina artigianale, trainata dalla forte espansione dell’industria del mobile, passa in pochi anni alla produzione di macchine proprie. Nel 1992 entrerà a far parte del gruppo SCM. A Pesaro viene inaugurato il Palazzo dello Sport. 1955 Macchine per la lavorazione del legno prodotte nel pesarese iniziano ad essere esportate in Germania. 1956 Agosto. Viene

inaugurata a

Pesaro,

presso le aule dell’istituto tecnico

“Bramante”, la prima Mostra del Mobile promossa dalla locale Camera di Commercio. All’allestimento collabora Alcibiade Della Chiara. Nasce a Pesaro l’azienda artigianale mobiliera Mercantini & Balestrieri s.n.c. Nel 1972 la società diventerà ME.BA. e trasferirà la sua produzione a Piandimeleto.

un bassorilievo di cemento realizzato da Nanni Valentini (una riproduzione del bassorilievo è utilizzata per l’allestimento dello stand Fastigi all’Esposizione di Roma). Lo stabilimento verrà inaugurato l’anno successivo.

Come funzionava

l’organizzazione del

lavoro nell’industria mobiliera, quando

nel corso degli anni

1958 Dopo il successo commerciale dell’edizione del 1956 viene organizzata a Pesaro, presso il Palazzo dello sport, la seconda Mostra del Mobile. Le aziende Nicolini, Battistoni, Arcangeli, si impegnano nella produzione di cucine “all’americana”.

Cinquanta assunse delle dimensioni industriali?

A dirigere

c’era un nucleo di “operai specializzati, che avevano imparato il mestiere nelle vecchie botteghe e che a loro

1959 6 maggio. Giorgio De Sabbata succede a Renato Fastigi quale sindaco di Pesaro. Inizia l’attività imprenditoriale dei F.lli Ferri e di Del Baldo nella produzione di mobili ed in particolare di cucine (prima azienda FCF e poi Febal). Nello stesso anno i F.lli Belligotti aprono a Pesaro un piccolo laboratorio artigianale per la fabbricazione di mobili.

volta, in qualche caso, erano diventati imprenditori”; a svolgere i compiti esecutivi c’era un esercito di operai comuni

“per la generalità ex contadini... che cercavano un’occupazione

1960 Si costituisce l’azienda Mobili Berloni dei fratelli Antonio e Marcello Berloni. Nel 1972 l’attività si sposterà nel nuovo stabilimento in località Chiusa di Ginestreto.

nell’industria”.

Giorgio Pedrocco, 2003

Nasce l’azienda meccanica Morbidelli specializzata nella produzione di macchine e sistemi di foratura per l’industria del legno. Giancarlo Morbidelli si dedicherà anche alla progettazione e produzione di moto da competizione. A Pesaro si tiene la III edizione della Mostra del Mobile.

1957 Gli ingegneri Sisa e Crescentini progettano la nuova fabbrica di mobili Fastigi, la cui facciata è decorata da

1961 I fratelli Elvino e Valter Scavolini (assieme ai fratelli Vitali) iniziano l’attività di produzione mobili. L’anno successivo la Scavolini fa il suo esordio sul mercato con una piccola produzione di cucine componibili.

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Distretto di Pesaro, 1951-1996. Geografia delle imprese mobiliere (I) e degli addetti (A) 1951

1961

1971

1981

1991

1996

I.

A.

I.

A.

I.

A.

I.

A.

I.

A.

I.

A.

Colbordolo

9

10

9

77

22

368

64

767

113

997

125

1123

Monteciccardo

4

5

2

2

4

29

14

61

16

63

15

83

Montelabbate Sant’Angelo in Lizzola Tavullia

4

4

4

39

23

454

112

1686

182

2407

190

2333

15

20

12

93

28

404

61

684

106

815

105

790

Pesaro Distretto di Pesaro Provincia di Pesaro e Urbino

4

7

10

70

25

273

58

532

72

527

63

510

121

462

250

2555

399

4395

481

4210

438

3341

455

2996

167

525

292

2845

507

5942

807

8133

957

8384

986

8092

763

1695

876

5120

1131

10358

1814

14686

2004

14215

1977

13894

Nostra rielaborazione delle tabelle pubblicate in G. Pedrocco, Il cammino dell’industria: dalla seta al mobile, in A. Varni (a cura), La Provincia di Pesaro e Urbino. Caratteri, trasformazioni e identità, Marsilio, 2003., pp. 252-253.

Comuni dell’Unione Pian del Bruscolo, imprese attive 2000-2013 2000

Colbordolo Monteciccardo Montelabbate

Sant’Angelo in Lizzola

Tavullia

Tot. area

Tot. provincia

primario

93

67

86

75

155

476

9160

manifatture

186

26

251

206

103

772

6122

costruzioni

78

15

62

73

91

319

4480

commercio

110

15

118

168

74

485

8920

trasporti

43

6

55

67

32

203

1665

serv.turistici

13

3

19

20

17

72

1765

altri servizi

48

7

52

86

38

231

4837

NC

5

3

9

14

5

36

543

576

142

652

709

515

2594

37492

Sant’Angelo in Lizzola

Tavullia

Tot. area

Tot. provincia

Totale

2013

Colbordolo Monteciccardo Montelabbate

primario

70

39

50

96

98

353

5920

manifatture

145

22

223

75

124

589

4993

costruzioni

98

32

110

63

140

443

5876

commercio

142

20

143

93

140

538

8850

trasporti

40

6

46

9

35

136

1211

serv.turistici

21

8

18

25

31

103

2506

altri servizi

99

14

119

59

97

388

7560

NC Totale

0

0

0

1

2

3

16

615

141

709

421

667

2553

36932

Elaborazione Sistema - Centro Studi CNA, su dati Ufficio Statistica Camera Commercio di Ancona - Infocamere - Stockview, aggiornati al 31 ottobre 2013

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promemoria_numerosei


1962 Nel settore arredamento nasce la Ifi che si indirizzerà nella produzione di arredi per Bar, Alberghi e Ristoranti.

1967 3 giugno. Viene organizzata a Pesaro la VII Mostra del Mobile che da biennale è divenuta annuale.

IV edizione della Mostra del Mobile. 1963 Giugno. Dopo una dura vertenza con 21 giorni di sciopero ininterrotti si firma il contratto integrativo provinciale per i lavoratori del mobile. La rivendicazione riguarda 25 lire all’ora, pari a 200 lire al giorno, quale aumento dell’indennità per i lavori nocivi. 1964 V Mostra del Mobile, che si tiene in un tratto di viale Marconi collegato al Palazzo dello Sport con un sovrappasso sulla “Nazionale”. 1965 14 febbraio. Con D.P.R. n. 253 viene istituito l’Ente di Sviluppo delle Marche finalizzato all’effettuazione di “interventi diretti a favorire l’aumento del reddito, a migliorare le condizioni di vita degli addetti all’agricoltura, ad eliminare o ridurre gli squilibri esistenti nel settore”.

1968 1° giugno. Inizia a Pesaro, in un clima ancora elettrico per il maggio francese, la IV Mostra Internazionale del Nuovo Cinema. Il 4 giugno dopo una manifestazione in Piazza del Popolo indetta da Pci e Psiup si hanno scontri tra manifestanti e alcuni provocatori. Alla fine degli scontri numerosi sono gli arrestati e i feriti tra cui registi e scrittori di fama nazionale e internazionale. Tra le opere presentate quell’anno c’è anche La Hora de los Hornos (L’ora dei forni), film documentario di Fernando Solanas e Octavio Getino. VIII Mostra del Mobile.

8 luglio. Viene istituito, con decreto del Ministero del Bilancio, il Comitato Regionale per la Programmazione Economica delle Marche, che si insedierà il 7 marzo dell’anno successivo. Si svolge a Pesaro la I Mostra InterNuovo Cinema.Tra gli intellettuali presenti alla tavola rotonda sui linguaggi cinematografici c’è anche Pierpaolo Pasolini. nazionale del

Settembre. Iniziano i lavori per l’Autostrada Bologna-Canosa tratto Rimini-Ancona. 1966 VI Mostra del Mobile. Il settore, annotano gli esperti, “non percepisce i fermenti che corrono sul piano nazionale”.

1969 L’ESM (Ente di Sviluppo nelle Marche) avvia lo studio Piano zonale di sviluppo alta collina e montagna pesarese.

31 maggio. Viene inaugurato il tratto Fano-Ancona dell’autostrada A-14. IX Mostra del Mobile, divenuta interprovinciale. In attesa del Palazzo delle Esposizioni viene allestita in una struttura montata nel campo da calcio del-

la parrocchia di Santa Maria di Loreto. Nove i produttori di cucine pesaresi, cinque dei quali producono esclusivamente cucine componibili o cucine. 9 agosto. Il Comune di Pesaro adotta il Piano Regolatore Intercomunale, redatto dagli archh. Piero Moroni e Fausto Battimelli e dall’ing. Nicola Di Cagno. E’ il primo piano intercomunale realizzato nelle Marche e comprende i Comuni di Pesaro, Colbordolo, Montelabbate, Tavullia, Sant’Angelo in Lizzola. La Regione Marche lo approverà nel 1973. Nasce su iniziativa di Giancarlo Selci, l’azienda Biesse, specializzata nella costruzione di macchine per la lavorazione del legno. 1970 Con la X Mostra del Mobile viene inaugurato, non ancora terminato, il nuovo Palazzo delle Esposizioni nella zona fieristica di Campanara. 1971 In occasione della XI Mostra del Mobile viene indetto un concorso di design per prototipi di mobili, promosso dalla Camera di Commercio di Pesaro e Urbino in collaborazione con l’azienda Abet Novembre. La Provincia affida alla Soris di Torino l’incarico di realizzare uno studio sull’industria mobiliera pesarese. Dall’indagine emergeranno gli elementi di fragilità del settore, che sta subendo una fase di rallentamento. Cresce la coscienza della necessità di migliorare lo stile e la qualità del prodotto. 1972 XII Mostra del Mobile. 1973 XIII Mostra del Mobile e 2° Concorso per prototipi. 1974 3 giugno. Provincia, Comune di Pesaro

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e Camera di Commercio costituiscono il Consorzio per lo sviluppo e il potenziamento dell’industria del mobile. 1975 Luglio. Dal 1970 Amministratore Apostolico della Diocesi di Pesaro, mons. Gaetano Michetti succede a mons. Borromeo quale Vescovo di Pesaro. Lascerà l’incarico l’8 marzo 1998. XV Mostra del Mobile. 1976 Viene

1983 18 maggio. La XXIII Mostra del Mobile si svolge in un clima di preoccupazione per le ripercussioni della crisi generale dell’economia italiana. Luglio. Si costituisce il Consorzio del al quale, oltre ai promotori del precedente consorzio, aderiscono anche alcuni privati e il Comune di Fano.

mobile

1984 Scavolini

conquista la leadership

del mercato nazionale delle cuciultimata la strada provinciale

montelabbatese,

che diviene un asse principale per lo sviluppo industriale delle aree attraversate. Alla XVI Mostra del Mobile si mette in luce la produzione di camere e salotti “arabi” da parte di Corsini e di altre aziende. 1977 Nel settore industriale delle macchine per la lavorazione del legno compare la produzione dei primi macchinari a controllo numerico.

ne. Nasce la Fondazione Scavolini per la valorizzazione del patrimonio storico-culturale del territorio pesarese: tra le prime attività promosse c’è una ricerca sul distretto del mobile, pubblicata nel volume Moderno italiano, nascita ed evoluzione dell’industria mobiliera pesarese.

1986 Viene pubblicata a cura dell’associazione intercomunale pesarese la ricerca di Ilario Favaretto e Antonio Mezzino L’impresa artigiana tra economia e territorio, analisi e considerazioni in un’area a economia diffusa, che

indaga a fondo il settore della piccola impresa pesarese. 1989 Settembre. L’imprenditore pesarese Giancarlo Selci acquisisce da De Tomaso la fabbrica Benelli 1993 10 novembre. Viene ufficialmente abrogato dal diritto agricolo il contratto di mezzadria, in virtù dell’art. 34 della legge n. 203 del 3 maggio 1982. 1994 1° giugno. Si inaugura la XXXIII edizione della Mostra del Mobile, dopo la decisione dell’anno precedente di rendere biennale la manifestazione. 2000 La Provincia costituisce un

gruppo

di lavoro per la definizione di un programma

triennale

di

sviluppo

ecosostenibile.

Lo Schema di Piano di Sviluppo Ecosostenibile verrà poi adottato con delibera n. 147, il 28 settembre 2001.

Alla XVII Mostra del Mobile si crea una mostra parallela rivolta al mercato dei Paesi Arabi. 1980 Nasce a Pesaro il Rossini Opera Festival (ROF). 1982 Viene confermata la

battuta d’arre-

sto del comparto del mobile che aveva registrato un brusco rallentamento già nell’anno precedente. Le cause vengono individuate, oltre che nella situazione economica generale, caratterizzata da inflazione e stagnazione nei consumi, anche dall’insufficiente entratura dei prodotti nei mercati internazionali, salvo quello arabo, dimostratosi però scarsamente stabile.

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Raffaella Carrà testimonial per Scavolini nelle campagne pubblicitarie 1984-’85, da alcune riviste dell’epoca (raccolta privata, Pesaro).

Fonti e tracce G. Morpurgo (a cura), Moderno Italiano: Nascita ed evoluzione dell’industria del mobile a Pesaro, Quaderno n.5 della Fondazione Scavolini, Panini, Modena 1990. V. Morpurgo, R. Tagliabosco, Tumulto di forme (1945-1975). Cronologia di un decollo, in G. Calegari, P. Giannotti (a cura), Il mobile pesarese. Dai maestri artigiani alla produzione industriale, Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro - Il lavoro

editoriale, Urbania 2001 G. Pedrocco, Il cammino dell’industria: dalla seta al mobile, in A. Varni (a cura), La Provincia di Pesaro e Urbino. Caratteri, trasformazioni e identità, Marsilio,Venezia 2003. A. Bianchini, Cronologia storia della provincia di Pesaro e Urbino nel Novecento, ivi. A.. Bianchini, L. Del Bene, A. Girometti, CNA60 - 60 anni di imprese. Cna Pesaro e Urbino, Montecchio 2008.

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Dalla terra alla fabbrica Album

Il ‘miracolo economico’ bussa alle porte di un’Italietta rurale e alla buona . Dalla fine degli anni Cinquanta l’Italia inizia una corsa vorticosa che cambierà

composizione sociale, sistema economico, equilibri politici.

È appena entrato in vigore il Mercato comune europeo...

un ottimo volano per gli scambi internazionali e per la nostra economia .

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In un triennio l’industria cresce di più del 30%, il terziario aumenta le sue dimensioni, l’occupazione sale a livelli storici. ...L’Italia gode una prima ventata di benessere. L a popolazione si rimescola. Iniziano a cambiare lo stile di vita, il costume, i bisogni e anche i desideri. Le speranze sono tante. Valerio Castronovo, 2008

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In questa pagina e nella pagina precedente: Sant’Angelo in Lizzola, 3 giugno 1957. Fotografie e un ritaglio da “Il Resto del Carlino” (5 giugno 1957) riguardanti la II Rassegna intercomunale di bestiame bovino romagnolo. A pagina 26, la I edizione della manifestazione, 4 giugno 1956 (fotografie: Arceci, Pesaro; Archivio Storico Comunale di Sant’Angelo in Lizzola; articolo:Archivio Coldiretti di Pesaro e Urbino).

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Pesaro, 20 marzo 1960. Immagini e un ritaglio di giornale non precisato relativi al Congresso provinciale Coldiretti; sullo sfondo e in alto, a destra: 19 aprile 1961. XV Congresso nazionale Coldiretti: la delegazione di Pesaro (Archivio storico Coldiretti Pesaro e Urbino)

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In queste pagine: fotografie riferite a una non meglio identificata “Esposizione del mobile” (Sant’Angelo in Lizzola, 1956?). Le immagini provengono dall’Archivio Storico Comunale di Sant’Angelo in Lizzola, e sono conservate nell’album contenente le fotografie della I Rassegna intercomunale di bestiame bovino romagnolo, datato 4 giugno 1956. La ricerca tra i documenti dell’Archivio comunale non ha purtroppo fornito sino a ora altre indicazioni in merito; in attesa di nuovi particolari che, ne siamo sicuri, non tarderanno ad arrivare dopo la pubblicazione di questo numero di “Promemoria”, annotiamo che l’Indice delle deliberazioni del Consiglio Comunale di Sant’Angelo dal 24 marzo 1946 al 1963 riporta alla data del 2 febbraio 1949 l’approvazione dell’Istituzione di una scuola di arredamento professionale a tipo industriale nel capoluogo, riconfermata il 29 luglio 1951.

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1957-’75 Dall’alto: Pesaro, Palazzo dello Sport. II Mostra del Mobile (raccolta privata, Pesaro). Pesaro, anni Settanta del ‘900, Mostra del Mobile. Lo stand della ditta Ambrosini & Mazzanti, negli anni Settanta attiva nel territorio di Sant’Angelo in Lizzola e successivamente a Talacchio. Nella fotografia a destra si riconoscono Giorgio Ortolani, Ennio Ambrosini e il presidente della Camera di Commercio di Pesaro e Urbino Giorgio Tombari, con il completo grigio, in secondo piano (raccolta Giorgio Ortolani, Pesaro). Nella pagina seguente: Pesaro, Mostra del Mobile (anni Sessanta del ‘900?). Esterno e interno del Palazzo dello Sport. Sul retro della fotografia in basso si legge il timbro “18 luglio 1960” (studio fotografico P. Belli, Pesaro; raccolta privata, Pesaro).

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In queste pagine: VII Mostra del Mobile di Pesaro, Palazzo dello Sport, 3-11 luglio 1967. Dal catalogo, a cura dello Studio Leon, la copertina e alcune inserzioni relative alla Banca Popolare pesarese e a ditte con sede nel territorio dell’Unione dei Comuni di Pian del Bruscolo (raccolta privata, Pesaro).

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Pian del Bruscolo: passato e presente con gli occhi del lavoro in collaborazione con CGIL - Camera Territoriale del Lavoro di Pesaro e Urbino

Fino al dopoguerra Pian del Bruscolo era tutta campagna, perduta tra Urbino - già capitale del ducato - e Pesaro, capitale della moderna provincia. I paesi antichi, i capoluoghi erano tutti in cima ai poggi. L’ambiente urbano era nettamente separato dalla campagna; spesso le si opponeva. Due terzi almeno degli abitanti coltivavano la terra, ristretti nei vincoli del contratto di mezzadria. Non c’era angolo di collina o piana sul fiume che non fosse segnato dalla mano sapiente del mezzadro. Un sergente inglese, che dopo l’8 settembre fu nascosto e salvato da una di queste famiglie di mezzadri marchigiani, ricorda

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Fondata nel 1907, la Cgil

è il maggiore sindacato italiano.

Ai responsabili della Camera Territoriale del L avoro di Pesaro affidiamo l’apertura del nostro racconto, che comincia l’8 settembre 1943

sbalordito: Ero ritornato nel Medioevo… Scoprii, con mia grande sorpresa, che avevano un vero e proprio padrone feudale. E poi, la “dieta mediterranea”, verdure, erbe di ogni tipo, legumi; la carne - quando c’era - veniva dagli animali da cortile. E la qualità del lavoro: Sapevano eseguire una grande quantità di lavori manuali, dimostrando una tale ingegnosità da lasciarmi spesso sbalordito… . Nel 1953 Guglielmo Tagliacarne nella monografia Marche dell’indagine del Parlamento sulla disoccupazione, poneva le Marche all’ultimo posto tra le regioni del Centro-Nord per reddito, consumi e struttura produttiva.

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Dopo il cupo ventennio fascista e quattro anni di guerra terribile, il millenario rapporto con l’agricoltura salta. Nelle lotte dei mezzadri e delle loro leghe che esplodono nella valle del Foglia possiamo leggere la forza di un’intera classe sociale che si scrolla di dosso un antichissimo ruolo e intanto cerca soluzioni del tutto inedite. I frutti di questa ricerca sono del tutto inaspettati. Da quella povertà del dopoguerra nessun economista “accorto” si aspettava comunque granché. Lontana dal triangolo industriale, senza disponibilità di capitali, con pochi imprenditori che avevano superato la guerra, con infrastrutture antiche e scarse tradizioni industriali, l’intera provincia di Pesaro non sarebbe andata da nessuna parte. Eppure inizia allora la industrializzazione intensiva della nostra provincia, a partire proprio dalla Valle del Foglia. Le tensioni delle campagne sconvolgono lo stesso ambiente urbano, ridisegnando la logica degli insediamenti, declassando gli antichi centri sulle colline e creando nuove “città” sulla piana, magari a fianco dei nuovi monumenti del lavoro industriale, i capannoni. Il grande dinamismo sociale che si è messo in moto dà vita al più inaspettato dei miracoli industriali: la via adriatica allo sviluppo, i sistemi di piccola impresa, i distretti, la Terza Italia… I costi sono comunque terribili e spesso proprio per quei protagonisti che dalle campagne volevano andarsene. Si deve emigrare.

Magari verso un’agricoltura più produttiva, lontano dall’Appennino, scivolando verso il mare. Ma l’emigrazione è spesso verso le miniere e le fabbriche dell’Europa. Non sarà proprio un caso se i Comuni attorno a Pian del Bruscolo hanno avuto a Marcinelle un numero di vittime particolarmente elevato. Intanto ogni emigrato spedisce a casa tutto quel che risparmia: è valuta pregiata che nel 1960 fa vincere alla lira l’Oscar delle monete; quelle rimesse permettono inoltre alle comunità locali di non affogare nella miseria e di movimentare pure qualche capitale iniziale. Chi rientra dall’emigrazione spesso ha un mestiere in mano; in tanti – valorizzando proprio la mentalità del mezzadro – diventano poi piccoli imprenditori. L’industria presto sostituisce l’agricoltura come prevalente attività economica. I protagonisti di questa imponente trasformazione spesso partono dal basso; la grande mobilità sociale è l’effetto di una gamma di opportunità che si presentano a chi ha poco reddito ma tanta determinazione; a chi sa anche utilizzare le qualità sociali maturate nell’antica cultura mezzadrile – dall’intraprendenza al culto del lavoro, dall’esercizio dei diritti alla loro difesa attraverso l’organizzazione sindacale e politica, dalla solidarietà interna alla famiglia a quella tra le famiglie vicine. Agiscono anche importanti moltiplicatori, istituzionali e politici: la stabilità e qualità dei governi locali; l’invenzione di nuove forme

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del welfare - le pensioni di invalidità, modesti redditi che rafforzano la domanda interna in tutto il corpo sociale; la nascita degli Istituti Tecnici Industriali, da dove escono gli operai specializzati per le nuove industrie. Questo processo è stato giustamente definito la “grande trasformazione”. Ne esce una struttura produttiva che offre lavoro in abbondanza e avrà presto bisogno di importare mano d’opera; una struttura dove le donne lavorano come gli uomini, nelle stesse fabbriche, magari solo peggio pagate; un sistema tanto flessibile da far impallidire anche il mercato del lavoro americano. Oggi – nel tempo della crisi - potremmo utilmente riflettere sugli aspetti strategici che hanno prodotto quel tempo dello sviluppo. Scopriremmo che le opportunità vanno offerte agli ultimi, non a chi ha voce forte e potente. Che welfare robusto e ben fatto as-

sieme a diritti diffusi sono potenti fattori di sviluppo; mentre abbandoni e dispersione scolastica, assieme all’assenza della formazione continua sono garanzie per l’arretratezza e le recessione. Si potrebbe anche salvare la memoria, mantenendo in vita un lembo del paesaggio agrario (la cascina e i suoi servizi, i filari, le siepi, l’aratura) che ha fatto conoscere nel mondo la nostra mezzadria e che oggi è praticamente scomparso. La qualità istituzionale oggi può chiamarsi unificazione dei Comuni; ed è importante che questa tendenza sia ben coltivata a Pian del Bruscolo. Qui ci auguriamo che continui a crescere un modello che dimostri ancora come sia possibile liberarsi della povertà e garantire a tutti un lavoro dignitoso: basta partire dal lavoro delle persone e su di esso fondare la futura comunità locale.

Nella pagina precedente, due manifestazioni CGIL a Pesaro: in alto, 1° Maggio 1960; in basso, anni Novanta del ‘900. In apertura, alcune immagini dall’Archivio storico CGIL di Pesaro e Urbino, rielaborate dagli allievi della Scuola del Libro di Urbino per la mostra allestita in occasione dell’VIII Congresso provinciale del Sindacato, svoltosi a Pesaro nel marzo 2014.

La CGIL (Confederazione Generale del Lavoro) con i suoi 5 milioni e mezzo di iscritti è il maggiore sindacato italiano, affiliato alla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale (Confederazione Internazionale Sindacati Liberi). La Cgil, fondata il 1° giugno 1907, è un’organizzazione plurietnica che, come prevede lo Statuto, tutela i lavoratori dipendenti, chi è occupato in forme cooperative autogestite, chi cerca lavoro, i disoccupati, i pensionati. L’adesione è volontaria e avviene su richiesta. La presenza della CGIL sul territorio nazionale è capillare: oltre 7.000 strutture, 12.000 funzionari, migliaia di sedi in Italia e centinaia nel mondo. La Camera del Lavoro Territoriale (CdLT) di Pesaro e Urbino comprende tutte le strutture e organizzazioni sindacali della CGIL esistenti nella provincia. I lavoratori e pensionati vi aderiscono tramite l’iscrizione ai rispettivi sindacati di categoria. La CdLT dirige e coordina il movimento sindacale nel territorio provinciale, favorisce la capacità autonoma dei sindacati di categoria ad assolvere ai propri specifici compiti, promuove e tiene viva l’iniziativa dell’organizzazione, con particolare riguardo al problema dello sviluppo economico ed occupazionale, alle tutele sociali, al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e dei pensionati. La CdLT di Pesaro e Urbino è l’organizzazione sociale più grande della provincia, sia per il numero di adesioni (oltre 54.000, di cui circa 24.000 donne, 5.000 immigrati, 5.500 giovani con meno di 35 anni) sia per la sua presenza nel territorio con 30 sedi zonali e comunali. La Cgil nella provincia organizza 2.000 posti di lavoro, ha più di 700 delegati aziendali e quasi 300 rappresentanti aziendali per la sicurezza. Il massimo organo deliberante della Cgil è il Congresso che viene convocato ogni 4 anni.Tra un congresso e l’altro il principale organo dirigente è il Comitato direttivo, eletto dal congresso, che a sua volta elegge il Segretario generale e la Segreteria confederale (da www.cgilpesaro. it/chi-siamo.html, 7 marzo 2014, ore 17.20).

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“Vestivano la stessa tuta” Giorgio Orazi racconta la CGIL in collaborazione con CGIL - Camera Territoriale del Lavoro di Pesaro e Urbino

Originario di Montelabbate, Giorgio Orazi è noto a Pesaro soprattutto per le difficili vertenze condotte alla guida della Fiom Cgil provinciale. In quest’intervista ricorda la nascita del Sindacato nel territorio di Pian del Bruscolo

Nel percorso lavorativo di Giorgio Orazi si legge l’evoluzione di molti appartenenti alla sua generazione che, nati in una famiglia contadina, hanno poi trovato impiego nelle fabbriche della valle del Foglia. Sin da giovanissimo impegnato nella difesa dei diritti dei lavoratori, dopo aver condotto, alla guida della FIOM provinciale, molte importanti vertenze, Orazi è oggi segretario generale del SUNIA, il sindacato inquilini aderente alla CGIL. Ecco la sua storia. Dove sei nato? A Montelabbate, in via Marrone, tra Tavullia e Montecchio in una grande famiglia mezzadrile. Le sere d’inverno stavamo tutti davanti all’enorme camino, ed ascoltavo i racconti sulla guerra, le battaglie politiche, le lotte sindacali. Non c’era mai tristezza o rassegnazione. Si sentiva che erano orgogliosi di esserci e alla fine emergeva sempre il lato positivo. Come hai incontrato il Sindacato? Mio padre mi diceva che lo sciopero era un diritto sacrosanto e così, quando ho cominciato a lavorare nell'azienda di un mio parente - nel 1973 a 15 anni, scioperavo anche da solo. Dopo il lavoro frequentavo la sede sindacale, uno stanzone in via XXI Gennaio a Montecchio. E qui ho conosciuto due ottimi sindacalisti: Umberto Palmetti, ex partigiano, e Gianfranco Roberti, che aveva lavorato alla IFI. Roberti aveva una grande preparazione politica e sindacale, era esigente, mi diceva spesso, Cento misure, un taglio solo. E poi cosa hai fatto? Ho fatto l’attivista. Roberti mi dava volantini da portare la sera a casa dei delegati CGIL. Dopo cena 44

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mi portava alle riunioni dei consigli di fabbrica della zona. Nel 1976 a 18 anni sono andato a lavorare alla Moroni Mobili di Bottega, 150 dipendenti, che mi hanno eletto nel Consiglio di Fabbrica.Ero il "tesseratore": dovevo proporre l'iscrizione al sindacato ai nuovi assunti. A marzo del 1980 ho iniziato la mia attività nel settore Legno/Arredo con la Fillea-CGIL. Per prima cosa mi hanno mandato per sei mesi alla scuola sindacale di Ariccia, un’esperienza unica. Ho avuto come insegnanti Luciano Lama, Giuliano Amato, e anche Renato Brunetta, che sicuramente allora aveva una visione della società molto meno liberista. E quando sei tornato a casa? Volantinaggi e assemblee nelle aziende del Pesarese. Poi, alla fine del 1982, la CGIL mi ha assegnato la responsabilità della sede di Montecchio. Poco dopo andiamo in una sede un po’ più ampia, sotto il circolo ARCI. E poi, negli anni '90 abbiamo acquistato la sede attuale. Siamo sempre cresciuti, in trent'anni; e avevamo autonomia e visibilità, era nata la CGIL di Montecchio, poco meno di 5.000 iscritti tra lavoratrici e lavoratori. Come si svolgeva il tuo lavoro? Con i Consigli di Fabbrica si faceva contrattazione aziendale, nelle più importanti aziende del mobile pesarese: Scavolini, Berloni, Febal, Corsini, Composit, Rossi Dimension… Ma molto più numerose erano le aziende anche solo di 5-10 dipendenti - dove c'erano iscritti alla CGIL e dove facevamo Assemblee e anche sciopero quando serviva. Com’erano trent'anni fa queste zone? Era un reticolo di imprese, collegate tra loro, che si stavano specializzando: camere, cucine, soggiorni, uffici. E poi c’erano le aziende della subfornitura, dei semilavorati, con le macchine, la tecnologia, gli investimenti (allora si facevano davvero). Qui c'era il 75% della produzione mobiliera provinciale. E si sono superate tante crisi. Ma troppe aziende sono rimaste alla formula tradizionale:

Montecchio (Vallefoglia), 1969. Da sinistra, i mobilifici Donati, Corsini, Ferri (fotografie Alberto Cudini, Montecchio). Nella pagina precedente: Giorgio Orazi in una recente immagine.

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Bottega (oggi Vallefoglia), novembre 2013. Alcuni oggetti e ritratti di famiglia di Giorgio Orazi.

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“tanta quantità, bassa qualità, basso costo”. Quando queste cose le dicevamo noi, eravamo “quei rompiscatole della CGIL”. Poi è arrivata quest'ultima crisi e adesso i lavoratori pagano dei prezzi altissimi. Oltre al salario, cosa si contrattava in azienda? La contrattazione spingeva a modernizzare: diritti e doveri chiari, salute e sicurezza, parità uomo-donna. E anche nuovi tempi di vita e di lavoro; d’estate l’orario ridotto, per non lavorare quando il caldo era insopportabile. Si superava l'antica concezione contadina del tempo; e si chiedevano alle imprese meno straordinari, meno quantità di lavoro, maggiore qualità e produttività. Si dice che in queste nostre realtà padrone e operaio ragionavano con la stessa mentalità. In tante aziende il datore di lavoro viveva in fabbrica tutte le fasi del lavoro. L’azienda era la “sua creatura”, andava oltre l’idea “che era un mezzo per fare i soldi”. E a volte padrone e operaio li trovavi fianco a fianco e vestivano la stessa tuta. E questo poteva essere anche un valore. Il problema era quando il lavoratore non era minimamente ripagato per questa dedizione all’azienda. In fondo venivano tutti dalla stessa radice: l'antica famiglia mezzadrile. Certamente, tanti imprenditori degli anni ’60 e ‘70 avevano alle spalle famiglie contadine e quella cultura della sinistra, erano stati iscritti alla CGIL e, da operai, alcuni di essi erano stati delegati sindacali. Poi, anche nella Valle del Foglia, storica area di emigrazione, sono arrivati gli immigrati. Da tempo c'erano lavoratori del sud nel settore mobile. Negli anni ‘90 ho conosciuto marocchini e senegalesi, qualche sudamericano e poi gli albanesi. Lavoravano soprattutto nella verniciatura e nell’espanso. Ho un bel ricordo delle riunioni serali fatte presso le loro abitazioni. E la presenza femminile in fabbrica? Le donne erano negli uffici prima di tutto; ma erano anche operaie dell'imbottito, della carteggiatura e della verniciatura. E se decidevano di impegnarsi, non le fermava nessuno. Cosa è sempre valido per il sindacato? Io l'ho imparato da Roberti quasi 40 anni fa: il sindacalista deve essere sempre a disposizione dei lavoratori, prima viene la CGIL, poi il resto.

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Un tempo nuovo. Leggere il cambiamento in collaborazione con Confindustria Pesaro e Urbino

Dal 30 settembre 2013 presidente Confindustria Pesaro e Urbino, Gianfranco Tonti è tra i protagonisti dell’ economia della nostra regione. Ricerca e innovazione, attenzione al design e all’export: di

ecco i suoi orientamenti per un rinnovato sviluppo della

Valle del Foglia

Dal 30 settembre 2013 presidente di Confindustria Pesaro e Urbino, Gianfranco Tonti è nato a Cattolica nel 1945. Entra in IFI nel 1967, all’età di 22 anni e, dopo vari incarichi, nel 1984 ne assume la direzione generale, diventando nel 2009 presidente dell’azienda di Tavullia. Da sempre ispirato all’esempio di Umberto Cardinali, considerato come una seconda figura paterna, porta la IFI a divenire un gruppo industriale leader nel settore dell’arredo per locali food&beverage. Nel 2011 assume la presidenza dell’Adi - Associazione per il disegno industriale, delegazione Marche, Abruzzo e Molise e nello stesso anno viene nominato Marchigiano ad honorem per aver contribuito con il proprio operato allo sviluppo del territorio marchigiano. Presidente Tonti, che rapporto ha con la nostra provincia (intesa come territorio) e, in particolare, con il distretto della bassa valle del Foglia? Un’azienda che per oltre cinquant’anni cresce insieme agli stessi luoghi e alle stesse persone instaura con il proprio territorio un legame quasi di tipo famigliare. Un insieme di esperienze in relazione tra di loro che la IFI ha sempre pensato come una forza e un valore da salvaguardare e che ognuno, in base al ruolo che gli compete e alle proprie possibilità, è giusto contribuisca ad alimentare. Forse la pista ciclopedonale lungo il fiume Foglia donata dall’azienda alla città, e di prossimo ampliamento, è uno degli esempi più “visibili”, ma la IFI ha sempre sostenuto con continuità e passione la cultura, la società, lo sport e numerose iniziative di carattere locale. promemoria_numerosei

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Montecchio (Vallefoglia), via Roma. Dall’alto: la sede IFI in una cartolina edita dal Bar Tabacchi Ballerini di Montecchio (anni Sessanta-Settanta del ‘900, raccolta Vinicio Olivieri, Montecchio) e in una fotografia del 1969 (foto Alberto Cudini, Montecchio).A colori, il centro commerciale che sorge sull’area ex IFI. Nella pagina precedente: Gianfranco Tonti, dal luglio 2013 presidente Confindustria Pesaro e Urbino e presidente IFI dal 2009.

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IFI 1962. E’ l’anno di fondazione dell’azienda: lei che ricordo ha, anche quello legato all’area in cui è situato il sito produttivo? Purtroppo non mi è possibile ricordare quel periodo perché il mio approdo in IFI risale alla fine del 1967. Nel ‘62, la prima sede della IFI si trovava a Montecchio, tra via Roma e Strada Feltresca, dapprima zona periferica, poi area di sviluppo industriale. Quando fu necessario trasferirsi in un ambiente più grande, venne scelta Tavullia, dove rimangono tuttora la sede attuale e gli stabilimenti produttivi. Come si è modificata l’azienda e quanto la crescita dell’azienda e quella del territorio si sono ‘influenzate’ reciprocamente? Il momento di svolta per la IFI è avvenuto prendendo spunto da altri settori dell’industria produttiva italiana, dove alcune aziende avevano cominciato ad applicare nuovi modelli industriali. Parliamo di Salvarani per le cucine industriali e Lebole nel prêt à porter. Lanciando sul mercato il primo banco industriale, l’azienda ha visto crescere i propri volumi di lavoro al punto che diversi dipendenti si sono messi in proprio aprendo nuove attività per diventare fornitori di IFI. Con alcuni di loro lavoriamo ancora oggi, e in ogni caso nella selezione dei fornitori cerchiamo di privilegiare le realtà del territorio. Da Villa Betti a Chiusa di Ginestreto, dall’Arena tra Montelabbate e Montecchio a Talacchio di Colbordolo fino a Rio Salso, l’area della bassa valle del Foglia si è caratterizzata per la nascita, negli anni Cinquanta-Sessanta del ‘900, di uno dei grandi distretti industriali della provincia di Pesaro e Urbino. La crisi come lo sta modificando? Tutta la provincia di Pesaro e in particolar modo quest’area sono diventati uno dei tre distretti più importanti d’Italia nel settore del mobile, che ha anche saputo ispirare la nascita e la crescita di aziende produttrici di macchinari per la lavorazione del legno. Oggi questa realtà ha smesso di evolversi e nel momento in cui si sono presentati nuovi protagonisti della manifattura (Cina, Turchia, Nord Africa) molte aziende si sono trovate con gamme di prodotti che non riuscivano più a vendere. Fatte salve poche, virtuose eccezioni, oggi si tratta di un settore fermo, che soltanto attraverso ricerca e innovazione potrà provare a rimettersi in moto, per proporre i propri prodotti a mercati al di fuori dell’Italia. Se avesse la bacchetta magica, ci dica tre cose che farebbe per cambiare in meglio questo dipromemoria_numerosei


stretto produttivo. 1. Fare in modo che dal mondo accademico e dagli istituti professionali escano giovani qualificati per una professione, soprattutto attraverso programmi di studi che prevedano la presenza nei luoghi di lavoro. 2. Far prendere coscienza agli imprenditori che non stiamo attraversando un momento di crisi, ma siamo entrati in un tempo nuovo da affrontare attraverso innovazione e design, per creare prodotti adatti all’export. 3. Fare in modo che i fatturati delle aziende derivino per il 90% dell’export. Lei parla spesso di recupero di posizioni e non di ripresa: come possono ambire a recuperare fatturati le aziende, soprattutto quelle più piccole, che operano in quest’area? Senza dubbio, come ho già avuto modo di evidenziare, esportando, ma cogliendo anche tutti gli aspetti di un cambiamento globale che si estende ai modelli di comunicazione: nuove forme in rapida evoluzione stanno soppiantando strumenti e tecniche che appartengono al passato. Qual è il ruolo di Confindustria Pesaro Urbino nel favorire questo ‘recupero’? Certamente un ruolo importante, di guida, che sta portando avanti insieme a quegli imprenditori che da tempo hanno intrapreso una strada virtuosa fatta di buone pratiche: decine di imprese export oriented che, indipendentemente dal settore di appartenenza, hanno un fatturato che deriva per oltre il 50% dalle vendite all’estero. Aggiungo che il sano principio della spending review sarebbe più che auspicabile venisse applicato non solo da parte e nei confronti del “privato”, ma anche nei confronti del ‘pubblico. Stiamo parlando di un’area che si poggia sull’Unione tra Comuni: è un modello attuale oggi che si continua a parlare di crisi e di spending review? Assolutamente sì. Considero un valore le radici storiche e culturali dei campanili, ma per ridurre drasticamente i costi di gestione e dare un esempio tangibile di comportamento virtuoso, ritengo importantissimo e meritevole di plauso quanto avvenuto nella Valle del Foglia. Gli altri suoi punti di riferimento programmatici sono l’export e il design: pensa che siano compatibili con le piccole aziende, molte delle quali artigiani, che compongono il tessuto imprenditoriale locale? E attraverso quali strumenti anche i più piccoli possono ambire a questi obiettivi? La risposta alla prima domanda è sì, perché il design non è qualcosa di astratto, ma una pratica molto

Tavullia, zona industriale. La sede IFI in costruzione (anni Sessanta del ‘900) e, a colori, in un’immagine attuale (Archivio IFI - Tavullia). Nella pagina seguente: l’interno dello stabilimento (Archivio IFI Tavullia)..

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concreta e utile, i cui protagonisti non sono soltanto dei nomi di grido, ma anche tanti giovani brillanti, disposti a mettersi in gioco insieme ad aziende che non hanno familiarità con il tema. A partire da questo, rispondo alla seconda domanda dicendo che tutti i “piccoli” subfornitori dovrebbero pensare ad avviare la distribuzione di un loro prodotto per darsi nel futuro la possibilità di diversificare entrate e rischi, e anche per non far dipendere completamente la loro sorte dalle decisioni di altri. Le industrie manifatturiere: che futuro avranno? Dipenderà dalla loro capacità di orientarsi verso la ricerca, l’innovazione, il design, la qualità e i nuovi mezzi di comunicazione, per rivolgersi ai mercati oltre confine. Si parla di Cina, India, Brasile e non solo come mercati di sbocco, ma anche come Paesi interessati a investire nel nostro territorio: perché un imprenditore straniero dovrebbe essere interessato a noi? Questi investitori stranieri dimostrano la bontà delle nostre imprese e il valore dei nostri brand, e arrivano ad acquisire le nostre capacità manifatturiere. La cosa più importante è che queste imprese rimangano in Italia con tutte le attività che portano al risultato finale di un prodotto di eccellenza.

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L’Associazione degli Industriali si è costituita a Pesaro nel lontano 1945, periodo di grande fermento per la ricostruzione post bellica, allo scopo di tutelare gli interessi degli imprenditori. Negli anni ’50 e ’60 caratterizzati dal boom economico, la sua funzione, man mano che un vasto reticolo di aziende andava delineandosi, si è ampliata per l’esigenza di interpretare nuovi servizi per la valorizzazione della filiera produttiva locale. Si è irrobustita ulteriormente negli anni ’80, quando il sistema industriale introdusse rilevanti innovazioni organizzative, grazie all’impegno messo in campo per la soluzione di problemi infrastrutturali, che, da sempre, hanno rappresentato un potente freno all’iniziativa industriale. Negli anni Novanta, l’Associazione si è fatta promotrice di una gestione innovativa delle relazioni industriali divenendo un autorevole interlocutore a tutto campo. Alta formazione, diffusione mirata di conoscenze e di strumenti per la crescita aziendale, interventi in campo culturale e nelle infrastrutture. Negli anni 2000, di fronte ai nuovi scenari che si affacciavano sui mercati internazionali, è stata promotrice di una nuova sfida: dal territorio, dove le aziende hanno le loro radici, dovevano provenire le energie e le risorse per affrontare i mercati globali. L’organizzazione degli imprenditori ha deciso di operare per obiettivi progressivi, con verifiche costanti del loro stato di avanzamento, lasciando da parte considerazioni di principio o ideologiche. Le questioni di maggior rilievo hanno riguardato la rete delle infrastrutture stradali (un esempio per tutti: la terza corsia dell’autostrada). L’organizzazione degli imprenditori opera in una provincia indubbiamente vocata all’imprenditorialità. Bisogna riconoscere che è stata una delle aree più dinamiche del nostro Paese dal punto di vista economico. Continua a volerlo essere con grande sforzo e grinta anche ora, benché la forte crisi, che ormai da sei lunghi anni attanaglia l’economia, abbia lasciato pesantemente il suo ferale segno. La voglia di intraprendere è nel DNA dei pesaresi, circa 350.000. Sono lì a dimostrarlo i numeri espressi dal sistema produttivo: più di 500 le imprese industriali facenti parte di Confindustria Pesaro Urbino per 20.000 addetti, a cui si devono aggiungere quelli di un artigianato diffuso. Tutti i settori merceologici trovano espressione: dal legno ed arredamento alla meccanica,

al vetro, dall’edilizia al tessile e al terziario, dal turismo a numerosi piccoli settori di nicchia. L’agricoltura, all’indomani della seconda guerra mondiale, era l’attività prevalente e rappresentava la fonte primaria di ricchezza.Vi lavorava il 60 per cento degli occupati e poco più di un quinto nell’industria, che aveva cominciato a prendere piede agli inizi del Novecento, quando il nostro Paese iniziò a partecipare alla congiuntura espansiva a livello internazionale. La tradizione industriale nelle nostre zone era stata legata all’attività di estrazione e di prima lavorazione dello zolfo dei giacimenti di Ca’ Bernardi e Perticara, ma anche alle maioliche e ceramiche artistiche, a laterizi, calce e gesso, carta e concerie, ai molini per la macinazione dei cereali, ai setifici e lanifici e ad una cantieristica minore in grado di riparare imbarcazioni in legno e di costruirne di nuove di piccole dimensioni presso i porti di Pesaro e Fano. Ma soprattutto la si deve alla motocicletta Benelli, protagonista dei primi successi del motociclismo nazionale.Vent’anni più tardi il 40,8 per cento degli occupati invece era stato assorbito dall’industria e l’agricoltura rappresentava fonte di guadagno per poco più del 25% per poi scendere al 7,6% negli anni Novanta, anni in cui, con oltre il 52%, entrava con forza sul mercato il composito settore dei servizi. L’edilizia è sempre stato un settore importante dell’economia: dagli anni della ricostruzione a quelli che hanno visto lo sviluppo del territorio. Ma accanto ad essa, alla soglia degli anni Settanta cominciò a delinearsi il distretto del mobile, particolarmente attivo nei comuni del Pian del Bruscolo (nomi eccellenti tra i quali, Corsini, Mobilificio San Martino, Belligotti), con una serie di attività di supporto del comparto, specie nell’ambito della fornitura di attrezzature e macchinari per la lavorazione del legno (un esempio per tutti la Biesse spa di Giancarlo Selci, in grado di posizionarsi molto in fretta su mercati altamente competitivi come quelli scandinavi e del Nord America). Il distretto, che progressivamente si è andato specializzando in distretto delle cucine (alcuni esempi eccellenti: Scavolini, Berloni, Composit, Febal, Aster Cucine ed altri), è stato un incubatore di talenti imprenditoriali che si sono mossi attorno a tale comparto o da cui sono rimasti lontani, ma quasi sempre hanno avuto dimensione fortemente individualistica. Attualmente due nomi per tutti di grandi appeal e successo sono quelli della Fiam, produttrice di mobili di grande design in vetro curvato, e di Ifi, produttrice di banchi bar e gelaterie.

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Dai carrarmati all’autostrada, costruzione di un’economia in collaborazione con Confartigianato Imprese Pesaro e Urbino Ufficio Comunicazione

La sede Confartigianato di Montecchio, istituita nel 1949, è un riferimento importante per le imprese della bassa valle del Foglia. Learco Bastianelli, presidente e memoria storica dell’Associazione, ne ripercorre la vicende in questa intervista. La sede di Montecchio è una delle prime aperte da Confartigianato nella nostra provincia. Quali erano i servizi maggiormente richiesti negli anni del dopoguerra? Confartigianato è presente a Montecchio dalla fine degli anni ’40 e nel corso degli anni sono state quattro le diverse sedi. Il primo ufficio di Montecchio si trovava sulla via principale che va dalla chiesa verso Bottega [via Roma]. Noi eravamo in fondo alla piazza. I servizi offerti erano principalmente di contabilità, paghe e servizi sindacali e attività di finanziamento, cooperative di garanzia. Il settore dominante è stato quello dell’edilizia, dato che è sempre stata un’area di movimento, edilizia per la

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di

Dal 1949 l’ufficio Confartigianato Montecchio è un punto di riferimento per le imprese della valle del Foglia . Learco Bastianelli, presidente e memoria storica dell’Associazione, racconta l’evoluzione del territorio di Pian del Bruscolo

costruzione di capannoni per le fabbriche del legno e metalmeccanica. Ma prima di tutto per la costruzione dei quartieri industriali. Fin da subito sono stati importanti i nostri servizi formativi per apprendisti, per muratori e meccanici. I nuovi arrivati in cerca di lavoro si trasferivano con tutta la famiglia e tutti cercavano una collocazione, ancora pochi si iscrivevano all’università; più concretamente di oggi ci si voleva formare a fini lavorativi e le mansioni più ricercate erano quelle del settore della meccanica e dell’edilizia. Ecco perché la formazione è diventata da subito indispensabile. Gli anni che raccontiamo su questo numero di “Promemoria” sono anni di intensa trasformazione per il territorio di Pian del Bruscolo, trasformazione che coinvolgeva tutti gli attori sociali. Come erano i vostri rapporti con le istituzioni? Avevamo rapporti principalmente con i sindaci di Sant’Angelo in Lizzola e Montelabbate, con promemoria_numerosei


gli uffici tecnici dei comuni per la costruzione dei nuovi quartieri. Manifestazioni sono sempre state fatte a seconda dei rapporti interpersonali, all’epoca era fondamentale il rapporto personale con i sindaci, abbiamo avuto molti scontri ma anche molti incontri per definire le modalità di costruzione dei nuovi quartieri. Gli artigiani in quella zona erano numerosi, molti hanno cominciato da artigiani e sono diventati industriali: questa è l’area più importante per lo sviluppo della nostra provincia. Noi siamo nati con la nascita stessa delle imprese, nell’immediato dopoguerra. All’inizio eravamo in tutto 25 dipendenti su tutta la provincia, di cui 5 nell’ufficio di Montecchio. Sono sempre stati parecchi perché era già un area destinata allo sviluppo, eravamo sempre in trattativa con i sindaci perché il piano regolatore non prevedeva questo ampliamento, la trasformazione delle aree agricole in aree industriali. E’ stata una bella battaglia. In seguito a questi mutamenti è dovuto anche cambiare il modo di organizzare quei paesi, perché l’economia era basata sulla cultura contadina e doveva diventare industriale. In quell’epoca c’era la corsa al fare, tutti volevano costruire capannoni, ma bisognava ancora fare le leggi perché si facessero i capannoni. Un’operazione molto complessa, anche per lo scatto di mentalità che si è

dovuto fare. Noi come associazioni incontravamo sindaci, uffici, tecnici e spiegavamo le necessità richieste da questa trasformazione. Un esempio? Per fare le nuove aree era necessario fare prima le strade, con tutti i problemi che questo comportava. L’economia di questa zona si è caratterizzata soprattutto per la produzione di mobili. Quali erano i settori più rappresentati tra gli associati a Confartigianato? Prima di quello del mobile è partito il settore dell’edilizia, tutti si mettevano a costruire. Si dovevano realizzare i piani regolatori, e questo ha portato un grande cambiamento di tipo tecnico. La zona era importante per l’agricoltura, la frutta, le pesche. Il panorama era tutto un pescheto. Abbiamo dovuto trasformare queste produttive terre agricole in zone industriali. Non c’era ancora l’autostrada, è stata costruita negli anni ’50: con l’arrivo dell’autostrada c’è stato ancora un cambiamento. Dall’entroterra si spostavano più facilmente: scendevano da Urbania, Sant’Angelo in Vado e da tutto il Montefeltro per lavorare e quindi abbiamo dovuto costruire le case, e di conseguenza pensare anche ai mobili e all’arredamento. Pesaro è diventata così un centro per la produzione di mobili d’arredamento: da lì la vendita dei mobili anche nelle altre regioni. Erano attività molto remunerative, soprattutto la vendita di mobili.

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Confartigianato è un’organizzazione autonoma, fondata sul principio della libera adesione e aperta a tutte le componenti geografiche, settoriali e culturali dell’imprenditoria artigiana e delle piccole imprese che in essa trovano informazione, rappresentanza degli interessi generali, rapporto con le controparti negoziali e con le Istituzioni. Costituita nel 1946, Confartigianato rappresenta oggi più di 700.000 imprese e imprenditori appartenenti a 870 settori di attività, che nella Confederazione sono organizzati in 120 Associazioni territoriali, 20 Federazioni regionali, 12 Federazioni di categoria, 74 Gruppi di mestiere. Con i suoi 1.215 sportelli territoriali e un patrimonio professionale di 14.000 collaboratori, Confartigianato si propone inoltre alle imprese come un partner per nascere, competere e crescere in un mercato in continua evoluzione grazie a un sistema di servizi integrati e personalizzati. Sul fronte della cultura d’impresa, dello sviluppo dei mercati, della ricerca e dell’innovazione, Confartigianato è parte attiva di una vasta rete di istituzioni pubbliche e private a livello territoriale, nazionale e internazionale. Confartigianato promuove e accompagna inoltre i processi organizzativi e aggregativi che, facendo sistema, proiettano il tessuto produttivo diffuso verso le nuove opportunità di sviluppo dettate dall’evoluzione dei mercati (da www.confartigianato.it; 6 marzo 2014, 15.35).

La sede territoriale di Montecchio E’ attiva a Montecchio dal 1949 e vanta un responsabile territoriale sindacale, tre fiscalisti esperti, un servizio paghe e lavoro e una sede operativa del Patronato INAPA e ANAP, Associazione dei pensionati, con moltissimi associati sul territorio, che qui trovano servizi e convenzioni dedicate, eventi culturali, di intrattenimento e formativi. Attivi inoltre tutti i servizi CAAF. Strategica la funzione dello Sportello del Credito garantito e agevolato, che assicura ai clienti associati dell’Ufficio del Pian del Bruscolo assistenza sulla realizzazione di pratiche di richiesta finanziamento, controllo dei conti correnti e consulenza finanziaria. Qui è attivo dal 2012 anche lo sportello dell’Inventore, grazie alla convenzione con CSB Centro Sviluppo Brevetti di Leinì (Torino), punto di raccolta delle invenzioni brevettate che tramite l’Associazione vengono proposte alle imprese produttrici del territorio. E’ appena nato il servizio di Confartigianato per l’energia elettrica e gas, grazie al Consorzio del CAEM, a cui tutti possono aderire con interessanti sconti sui costi dei consumi energetici. Tutti i servizi del sistema Confartigianato sono quindi disponibili presso la sede territoriale: sicurezza, ambiente, formazione, legale, privacy, brevetti e marchi, innovazione e reti di impresa, progetti e bandi (Info: 0721 497447; montecchio@confartps.it; www.confartps.it).

Nelle pagine precedenti: un panorama di Montecchio, visto dalla strada che sale a Farneto di Montelabbate (fotografia raccolta Cristina Ortolani, Pesaro, 2008) e un recente ritratto di Learco Bastianelli, presidente Confartigianato Pesaro e Urbino (Archivio Confartigianato Pesaro e Urbino). Sopra: Montecchio di Vallefoglia, la sede dell’ufficio di zona di Confartigianato Pesaro e Urbino (Archivio Confartigianato Pesaro e Urbino).

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In questa pagina e nella pagina seguente: associati Confartigianato di oggi e di ieri. Da sinistra: Davide e Cristiano Bastianelli, fondatori nel 1997 di MusicTools, impresa che realizza oggetti per il completamento e l’ottimizzazione di impianti audio e video, con sede a Montelabbate (archivio Music Tools); Maurizio Guerra, piastrellista di Montecchio, in trasferta a New York per la Maratona del 2007 (Archivio Confartigianato Pesaro e Urbino).

Anche i rapporti con le altre associazioni si sono modificati a seguito di queste grandi trasformazioni. Per esempio, abbiamo trattato a lungo con il sindacato dei lavoratori, i contadini sono dovuti diventare operai per l’edilizia e per le fabbriche, e ciò ha comportato lunghe trattative. Gli agricoltori non volevano perdere i campi con la produzione di pesche, ma questa cosa nuova ha anche molto attirato. Si sono messi a costruire, a realizzare i motori, sono diventati autonomi, padroncini, una trasformazione completa anche della società locale. Pensare che durante la guerra erano tutti terreni agricoli dove passavano i carri armati. Con un sabotaggio fu fatto saltare, con

un effetto devastante, un deposito di mine al centro del paese. Lo scoppio si sentì in tutta la vallata fino a Pesaro. Montecchio era piccolissima e dedita all’agricoltura,allora, piena di orti, frutta, vino. Negli anni ’60-’70, per la sua ricostruzione, sono arrivati gli operai dall’entroterra principalmente dalle aree montane, da Urbania, da Fossombrone, da Sant’Angelo in Vado: abbandonavano i terreni montani e venivano a lavorare qua. L’emigrazione arrivava dall’interno della Provincia. Era una bella sensazione, che i più giovani non possono nemmeno immaginare, tutti lavoravano e avevano voglia di costruire per dare vita a qualcosa di nuovo e inedito (4 marzo 2014).

Da sinistra: Massimo Termopoli e Mirco Paci, titolari della M&M Camper Pesaro di Montelabbate; Serena Roma, insieme con il marito Filippo Postiglioni titolare del centro estetico Maya di Montecchio (Vallefoglia); Francesco Pagnoni, socio con Alberto e Terzo Pagnoni (che è anche presidente dell’azienda), della Ki Life di Cappone di Vallefoglia, che progetta e realizza ambientazioni per allestimenti wellness (le immagini provengono dagli archivi delle rispettive imprese).

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Alcune immagini dagli archivi della ditta Bartolucci Francesco srl, attiva nel settore degli articoli da regalo in legno, nata nel 1981 dall’esperienza della fabbrica di fisarmoniche fondata a Belvedere Fogliense di Tavullia a metà degli anni Trenta dai fratelli Bartolucci. In senso orario: Belvedere Fogliense, anni Cinquanta del ‘900: Matteo Bartolucci lavora a una fisarmonica; anni Ottanta del ‘900: in un mercatino suo figlio Francesco intaglia uno dei Pinocchi che lo renderanno famoso in tutto il mondo; dicembre 2013: foto di gruppo nella sede di Montecalvo in Foglia per titolari e dipendenti della Bartolucci Francesco srl (archivio Bartolucci Francesco srl, Belvedere Fogliense di Tavullia).

A sinistra: Luca e Roberto Giovanelli, davanti al loro negozio di Corso XXI Gennaio, a Montecchio (foto Studio Giovanelli, Montecchio), aperto nel 1969. Di origine colbordolese, Roberto Giovanelli si occupa di fotografia dal 1952, anno nel quale comincia a frequentare lo studio Arceci di Pesaro, uno dei più rinomati laboratori fotografici della città. Nel 1957 avvia un’attività in proprio a Colbordolo e, nel 1968, insieme con la famiglia si trasferisce a Montecchio nella casa appena costruita. Con i suoi quarantacinque anni di vita, lo Studio Giovanelli è una delle attività più longeve dei Comuni di Pian del Bruscolo: oggi a gestirlo insieme con Roberto c’è suo figlio Luca.

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Una serie di immagini dall’album di famiglia di Mario Bezziccheri, Montecchio di Vallefoglia. A destra: Montecchio, anni Cinquanta del ‘900, la chiesa di Santa Maria Assunta e la zona circostante. Nella casa in primo piano si trova tuttora il negozio della famiglia Bezziccheri, attualmente specializzato in biancheria intima e beachwear, del quale si occupa Lucia, figlia di Mario. Sotto: anni Cinquanta - Sessanta del ‘900. Dino Bezziccheri con con la sua Balilla e il suo banco di tessuti in due mercati tra i quali quello di Sant’Angelo in Lizzola (in basso a destra). Alcune di queste immagini, con maggiori notizie sulla storia di Dino Bezziccheri, sono apparse sul numero 2 di “Promemoria” (aprile 2011).

A sinistra: Montecchio, maggio 1961. Il sarto Pierino Longhi con alcune sue lavoranti (Raccolta Pierino Longhi, Montecchio). Dopo alcuni anni di apprendistato presso il laboratorio del montelabbatese Carlo Donzelli e, successivamente, presso la sartoria di Sebastiano Buttafarro, una delle più note a Pesaro, nel 1955 Pierino Longhi si mette in proprio, aprendo un laboratorio in via Pantanelli. Qualche anno dopo si trasferisce in via Roma, in una delle prime case costruite a Montecchio dopo la guerra, dove tuttora abita con la sua famiglia. Attivo fino al 1995, Longhi ha vestito per quarant’anni industriali del settore del mobile, affermandosi come uno dei sarti più in vista della zona (da C. Ortolani, Pesaro, la moda e la memoria, Pesaro 2009).

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L’impegno e la passione storie di artigiani a Pian del Bruscolo in collaborazione con CNA Pesaro e Urbino

Voci e storie di piccoli imprenditori in una conversazione con alcuni associati e dipendenti

CNA,

Montecchio 2014 quarant’anni

la cui sede di compie nel

Conversazione di Cristina Ortolani

L’attuale sede di Montecchio di CNA - Confederazione Nazionale dell’Artigianato e Piccola e Media Impresa di via Paganini è stata inaugurata nel 2002, ma la presenza in zona dell’Associazione data a oltre quarant’anni fa. Dal 1974 infatti gli uffici montecchiesi di CNA sono un punto di riferimento per le imprese dei Comuni di Pian del Bruscolo, ai quali fanno capo le zone industriali e artigianali di Montelabbate (via Pantanelli - via Brodolini) e del nuovo Comune di Vallefoglia (via Arena - Montecchio, Piana di Talacchio e Morciola, un tempo frazioni rispettivamente di Sant’Angelo in Lizzola e Colbordolo). Per quanto riguarda il territorio comunale di Tavullia occorre precisare che gran parte degli insediamenti

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produttivi sono concentrati tra San Germano e Babbucce, più vicini a Pesaro, e nella zona di Pirano, confinante con San Giovanni in Marignano (provincia di Rimini); si rivolgono dunque a Montecchio soprattutto i titolari di imprese ubicate tra Case Bernardi, Padiglione e Rio Salso. Il primo ufficio lo abbiamo aperto il 1° marzo 1974, in via Roma, vicino all’albergo Ida, di fronte al laboratorio del sarto Piero Longhi. Nel giro di un anno e mezzo abbiamo raccolto tanti iscritti e anche il numero dei dipendenti è aumentato velocemente... nel 1978 ci siamo spostati in via Placido Gulino, e nel 1980 siamo arrivati ad avere otto dipendenti: i primi a essere assunti dopo di me furono Stefano Galli [oggi direttore provinciale

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A fianco e nella pagina precedente: Montecchio (Vallefoglia), marzo 1984. Inaugurazione della nuova sede CNA di via Pio La Torre (raccolta Loretto Guidi, Case Bernardi di Tavullia). Nelle pagine seguenti: la bandiera dell’Unione Nazionale Artigiani (anni Cinquanta del ‘900) e una manifestazione degli associati CNA di Pesaro e Urbino, a Pesaro, negli anni Sessanta (Archivio CNA Pesaro e Urbino).

di Fidimpresa Marche], che all’epoca non era ancora maggiorenne e Nazario Roberti, tuttora impiegato presso l’ufficio di Montecchio. Nel 1984, all’inaugurazione della nuova sede di via Pio La Torre contavamo più di 500 associati, un numero che è rimasto quasi invariato almeno fino alla prima metà degli anni Novanta. La vitalità con cui Loretto Guidi, primo dipendente dell’ufficio CNA di Montecchio ne racconta la nascita è la stessa di quarant’anni fa, quando, appena tornato dal servizio di leva, accettò il posto di impiegato offertogli da Nino Gabbani, allora segretario provinciale dell’Associazione. Dopo qualche settimana di apprendistato a Pesaro mi spedirono subito qui ad avviare l’ufficio: la zona era in grande espansione, e poter offrire agli artigiani un servizio “a chilometro zero” diede un forte impulso alla nostra crescita. Buste paga e dichiarazioni dei redditi furono i primi servizi richiesti dalle piccole e medie imprese del territorio: pur senza scendere nei dettagli occorre ricordare che la materia fiscale era regolata secondo norme assai diverse da quelle attuali, meno farraginose anche se ugualmente complesse per chi si trovava, in quegli anni pionieristici, a costruire il proprio lavoro in un territorio in piena trasformazione. Dopo l’istituzione dell’IVA - Imposta sul Valore Aggiunto (1972), la riforma Visentini del 1973 aveva infatti profondamente mutato l’assetto del sistema tributario italiano uniformando l’IVA agli standard della CEE, introducendo l’Irpeg (imposta sul reddito delle persone

giuridiche) e l’Irpef (per le persone fisiche), con il conseguente aumento del numero dei soggetti tenuti alla compilazione dei modelli dichiarativi, che arrivarono a circa 16 milioni sul territorio nazionale. Edilizia e autotrasporti i settori più rappresentati oltre, naturalmente, al piccolo esercito di terzisti dell’industria del mobile, che proprio tra Montelabbate, Montecchio e Talacchio aveva uno dei poli d’eccellenza regionale. Eravamo come una famiglia, la coesione tra artigiani e dipendenti CNA era forte, e insieme abbiamo portato avanti azioni importanti, come la trasformazione in zona industriale dell’Arena, al confine tra Montelabbate e Montecchio, poco dopo l’apertura del nostro ufficio. Si lavorava giorno e notte, ma c’era un entusiasmo che poi non ho più trovato, conclude Guidi, fino al 1987 in CNA e oggi titolare, sempre a Montecchio, di un attivissimo centro servizi dove svolge attività di revisioni auto, assicurazioni e pratiche automobilistiche. Sul tema gli fanno eco anche i più giovani Antonio Bianchini (responsabile tra l’altro dell’ambito CNA di Pesaro e coordinatore delle interviste riassunte in queste pagine, in CNA dal 1992) e Domenico Savio Ceccaroli, in CNA dal 1981 al 1995, dal 2009 sindaco di Montecalvo in Foglia. Particolarmente interessante, nelle parole di Ceccaroli, la duplice prospettiva che alle considerazioni del dipendente CNA unisce lo sguardo di un amministratore impegnato a svolgere il suo mandato in anni decisamente problema-

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tici. Se segui gli imprenditori poi è facile che anche tu decida di metterti in proprio, come è successo a me quando sono uscito dalla CNA, esordisce, lasciando subito intuire un aspetto importante dello sviluppo economico e sociale della valle del Foglia. Sono nato a Sassocorvaro e ho iniziato la mia esperienza in CNA nell’ufficio di Macerata Feltria. Quando nel 1987, all’età di 26 anni, sono stato chiamato a dirigere l’ufficio territoriale di Montecchio, ho subito notato una differente mentalità nell’approccio al mondo del lavoro. Nel mio entroterra anche per la presenza di diverse strutture pubbliche, a cominciare da quelle sanitarie e scolastiche, dominava una concezione della ricerca del lavoro più legata al pubblico impiego, mentre qui la maggior parte dei giovani aveva una forte spinta all’imprenditorialità. Un dinamismo che si rifletteva nella continua crescita del territorio oltre che della stessa CNA, composta prevalentemente da imprenditori trenta/ quarantenni. C’era voglia di fare... Tra i più significativi risultati conseguiti in quegli anni Ceccaroli cita la costituzione del Consorzio “Artigianservice” che in breve tempo riuscì ad attrezzare e rendere operativa l’attuale zona artigianale di Morciola dietro il distributore del metano (oggi nel Comune di Vallefoglia, fino al 2013 frazione di Colbordolo). Il Consorzio, presieduto da Alfio Arduini, era costituito da una quindicina di imprese locali e riuscì con il sostegno operativo e di coordinamento della CNA a urbanizzare una intera area e a realizzare i laboratori artigiani per le esigenze dei soci, gestendo in proprio tutta l’operazione. Anche della realizzazione dell’autoparco di via Arena (noto come autoparco Tamoil, dalla stazione di servizio), utile per alleggerire il traffico in una zona sempre più abitata e a trovare un parcheggio idoneo per gli 60

autocarri, si cominciò a parlare in quel periodo. Risultati che testimoniano il ruolo della CNA nel contesto economico e nel rapporto con le Amministrazioni Comunali le quali, al di là delle rivendicazioni sindacali, come per esempio quelle legate alle imposte locali, vedevano nell’Associazione un interlocutore credibile e ben radicato sul territorio. Del resto la sede di Montecchio era, per numero di imprese associate, una delle principali della Provincia, la terza dopo Pesaro e Fano. Da sindaco, però, osserva Ceccaroli, posso aggiungere che mi ha meravigliato constatare come questo territorio, partito largamente in anticipo su temi di vitale importanza quali la gestione associata dei servizi, abbia subìto un rallentamento di questo processo negli anni, e di come la vitalità di questi Comuni, per molti aspetti così affini, non abbia raggiunto infine un risultato di aggregazione amministrativa altrettanto omogenea. Come Ceccaroli anche Guido Formica, sindaco di Sant’Angelo in Lizzola dal 2005 al 2013, negli anni Novanta dipendente e per un breve periodo responsabile della sede CNA di Montecchio, sottolinea il ruolo delle associazioni di categoria nella crescita di un territorio. Per un territorio come per una città la presenza fissa e non virtuale delle rappresentanze del lavoro, del lavoro autonomo, dell’artigianato e del commercio è un utile elemento del confronto tra amministrazione e mondo produttivo, pur nel rispetto dei diversi ruoli. Questi soggetti sono infatti “facilitatori” del meccanismo sociale, che risulta oggi ampiamente inceppato. L’esperienza insegna che questo incontro sancisce un patto non scritto per lo sviluppo di un territorio, e facilita la sintesi tra problemi più grandi e più di dettaglio. Ma la storia CNA è soprattutto storia di artigiani: ecco allora aggiungersi i ricordi di Guido Angeli, Ferruccio Pratelli promemoria_numerosei


e Wasington (sì, senza h) Ugolini, titolari di imprese della valle del Foglia e presidenti dell’ambito territoriale CNA di Montecchio rispettivamente dal 1974 al 1982, dal 1986 al 1998 e dal 1998 al 2005 (dal 1982 al 1986 presidente fu Sandro Bezziccheri). Insieme i tre hanno sostenuto cause di grande rilievo per la zona di Pian del Bruscolo, e insieme hanno ricevuto nel 1999, in occasione del 25° anniversario di fondazione della sede CNA di Montecchio, un riconoscimento per la fedeltà all’associazione, nei cui organismi hanno ricoperto ruoli di primo piano. Fondatore nel 1969 dello Scatolificio Angeli di Talacchio con i fratelli Enrico, Mario e Attilio, Guido Angeli arriva a Montecchio nel 1957. La sua storia è simile a quella di molti altri imprenditori della zona: nato nel 1935 a Urbania da una famiglia contadina, dopo un periodo di lavoro come muratore Angeli emigra in Svizzera nei primi anni Sessanta. Mi sarebbe piaciuto poter continuare a studiare, invece in famiglia non ce n’era la possibilità, e così sono partito. Per quattro anni sono stato operaio, prima presso la Franke di Zurigo, una fabbrica di lavandini che oggi è nostra cliente e poi alla Weinmann. Nel 1968 sono tornato a casa, e ho lavorato per un po’ nel mobilificio Stulzini, a Montecchio. Proprio in quel periodo Angeli intuisce il potenziale dei materiali da imballaggio, consumati in grande quantità dalle nascenti aziende del mobile: ho preso una licenza da ambulante per il commercio di carta di ogni genere, e mi sono ‘buttato’ in questo campo. Nel settembre del 1969 abbiamo aperto lo scatolificio e nel 1974 Loretto Guidi mi ha proposto di candidarmi alla presidenza della CNA di Montecchio. Nei suoi due mandati Angeli si

conferma imprenditore di lungimirante intuito, adoperandosi in diverse direzioni per facilitare l’attività degli associati CNA. Uno dei principali risultati conseguiti da Guido, interviene Ferruccio Pratelli, è stata la fondazione del Consorzio di acquisto per il cartone degli imballaggi, che ha consentito di poter acquistare materie prime a prezzi più convenienti. Oggi lo Scatolificio Angeli, gestito da Guido insieme con il figlio Athos, ha 18 dipendenti e produce imballaggi per tutti i settori, commercializzati soprattutto nell’Italia centrale. Presidente dell’ambito territoriale di Montecchio dal 1986 al 1998, originario di Rio Salso di Tavullia, anche Ferruccio Pratelli si mette in proprio nel 1969, quando a 22 anni apre la propria officina vicino alla chiesa di Sant’Agnese, sulla Provinciale Feltresca, poco distante dalla casa nella quale visse a lungo lo scrittore Fabio Tombari con la sua famiglia; all’officina si aggiunge ben presto la licenza per il distributore di benzina, uno dei primi da queste parti. Anch’io avrei voluto continuare gli studi, ricorda Ferruccio, che nel 1975 fu il più giovane titolare di officina autorizzata Alfa Romeo nelle Marche, ma in casa non ce lo potevamo permettere. Però, invece di andare a fare l’apprendista presso un falegname, come avrebbe voluto mio padre, decisi che avrei fatto il meccanico. Anche Pratelli sottolinea il ruolo svolto da CNA nella storia del territorio: lo sviluppo della zona ha avuto grande impulso dalla presenza delle associazioni di categoria, e la nostra fu sicuramente una delle più attive. Tra i ricordi ai quali Ferruccio è più affezionato c’è l’acquisto dei locali di via Pio La Torre, dove l’ufficio CNA di Montecchio ebbe sede dal 1984 al 2002. Fu un atto innovativo e rivoluzionario,

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per molti versi. I locali furono acquistati grazie al prestito di noi artigiani, che ci veniva restituito con gli interessi; Loretto Guidi faceva da mediatore e coordinatore. Importante fu anche la realizzazione, insieme con l’Amministrazione di Sant’Angelo in Lizzola, dell’autoparco in via Arena, alla quale CNA contribuì in modo decisivo. Da ricordare infine l’elezione di un rappresentante di Montecchio nella Commissione Provinciale dell’Artigianato, alla fine degli anni Ottanta. Ci impegnammo a tal punto, nella campagna elettorale, che alla fine oltre a me, solo per pochi voti non fu eletto anche Emilio Rossi di Montelabbate. Serietà, passione, impegno: sono le parole che più ricorrono nella nostra lunga conversazione, quasi fossero l’ultimo baluardo contro l’erosione del tessuto economico e sociale di cui forse più di altri risente questo territorio, da oltre cinquant’anni votato all’industria. Abbiamo sempre cercato di collaborare, oltre che con le amministrazioni, anche con le scuole, proprio perché ritenevamo importante la funzione sociale della nostra associazione, conclude Pratelli.

Dalla scuola parte anche Wasington Ugolini, che con Pratelli ha condiviso lunghi anni di impegno in CNA. Dopo aver ricoperto numerosi ruoli tra i quali quello di presidente della sede di Montecchio (1998-2005), oggi Ugolini è nella presidenza provinciale di CNA Pensionati. Una bella iniziativa fu una ricerca dedicata ai mestieri artigiani, racconta sfogliando un album di lavori realizzati dai bambini della scuola media di Pian del Bruscolo, è molto importante non perdere la memoria di queste competenze che fanno grande il made in Italy, ed è importante che i ragazzi si rendano conto del valore del lavoro. Di professione artigiano del legno, Ugolini è nato nel 1948 a Ca’ Gallo, frazione di Montecalvo in Foglia, e dall’età di sei anni vive a Rio Salso. Ho cominciato a lavorare da ragazzino: a mezzogiorno ho dato l’esame di quinta elementare e alle tre ero già nel laboratorio di Pierino Guagneli, che realizzava camere da letto. A 14 anni sono entrato alla IFI, e un anno dopo nel mobilificio Ciamaglia a Montecchio, dove sono

Sopra: Rio Salso di Tavullia, anni Settanta del ‘900. Ferruccio Pratelli e Wasington Ugolini; a destra, nella foto a colori: Ugolini e Pratelli durante un’iniziativa CNA (raccolta W. Ugolini) e, in bianco e nero, un ritratto di Ferruccio Pratelli (raccolta F. Pratelli). In secondo piano: Rio Salso, 1975. Una ricevuta dell’officina Ferruccio Pratelli (raccolta Corrado Tomassoli, Pontevecchio di Vallefoglia).

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rimasto sette anni. Nel 1969 ho aperto sotto casa un laboratorio di intaglio insieme con mio fratello Luciano. Allora c’era molta richiesta, erano di moda i mobili con le cornici intagliate. Nel 1979 abbiamo fondato la U2, a San Giorgio (frazione di Montecalvo), un’impresa per il montaggio degli accessori per mobili. La licenza media l’ho presa alle scuole serali, a Rio Salso. Negli anni della mia presidenza, conclude con orgoglio, ho avuto tra l’altro la fortuna di inaugurare l’attuale sede di Montecchio. Sono stati anni bellissimi, noi di vecchio stampo teniamo molto alla nostra storia. Non traggano in inganno le parole di Ugolini: tutt’altro che nostalgiche, preludono a una richiesta assolutamente al passo con i tempi, che dà la misura della passione con cui tuttora lui e i suoi colleghi affrontano l’impegno in CNA. Mi raccomando, trova lo spazio per scrivere che con CNA Pensionati ci stiamo impegnando contro il gioco d’azzardo: proprio pochi giorni fa abbiamo pubblicato un documento sul tema, e l’ho anche esposto al Circolo di Rio Salso (Montecchio, gennaio-febbraio 2014).

Rio Salso di Tavullia, anni Settanta del ‘900. La sede dell’azienda Macchini Edilizia (raccolta Famiglia Macchini, Rio Salso). Nata dal piccolo commercio di inerti avviato da Anastasio Macchini nel 1918, l’attività fu dopo la sua morte ampliata dalla vedova Adolfa e dal figlio Ugo. Sviluppatasi negli anni Cinquanta con l’acquisto di un terreno adibito a deposito merci, dal 1977 l’azienda è diretta da Mimmo e Gilberto, figli di Ugo, ed è oggi uno dei più noti magazzini edili della zona, esteso su un’area di circa 25.000 mq. Al magazzino di Rio Salso si affiancano oggi l’adiacente show room e la sede di Petriano.

La CNA, Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa, da oltre sessant’anni rappresenta e tutela gli interessi delle imprese artigiane, delle PMI e di tutte le forme del lavoro autonomo. Una realtà che oggi trae forza e peso da circa 670.000 associati. All'enorme diffusione dell'artigianato, sia nelle grandi città come nei piccoli comuni, corrisponde la presenza capillare della CNA, con più di 9.000 collaboratori operanti nelle 1.250 sedi. La CNA è stata la prima organizzazione dell’artigianato a sottoscrivere accordi con i sindacati dei lavoratori (1946). La Confederazione stipula, con le Organizzazioni Sindacali dei lavoratori, 17 Contratti Collettivi Nazionali di lavoro, che riguardano circa 2 milioni di lavoratori dipendenti; cui si aggiungono numerosi contratti collettivi regionali di lavoro. La CNA è tra le parti sociali firmatarie, fra l’altro, del Protocollo 23 luglio 1993, del Patto per l’Italia sottoscritto il 5 luglio del 2002 e del recente Accordo quadro di riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009. Fondato nel 1946, il sistema CNA è costituito da 19 CNA Regionali; 108 CNA Provinciali; CNA Pensionati (230.000 associati), 10 Unioni Nazionali: CNA Alimentare, CNA Artistico e Tradizionale, CNA Benessere e Sanità, CNA Comunicazione e Terziario Avanzato, CNA Costruzioni, CNA Federmoda, CNA FITA, CNA Installazione e Impianti, CNA Produzione, CNA Servizi alla Comunità; 4 Raggruppamenti di Interessi: CNA Giovani Imprenditori, CNA Impresa Donna, CNA Professioni, CNA Piccola Industria.

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CNA - Associazione provinciale di Pesaro e Urbino. Fondata nel 1947 - la CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa), di Pesaro e Urbino - è una delle associazioni imprenditoriali più importanti del centro Italia. Ormai prossima a festeggiare il Settantesimo anniversario di fondazione, la CNA nasce dall’adesione dell’originaria Unione Provinciale Artigiani con Comitati di zona a Pesaro, Fano e Urbino, con la Confederazione Nazionale dell’Artigianato fondata a Roma, l’anno prima ovvero nel 1946. L’atto notarile viene stilato il 6 novembre ad Urbino ed elenca i nomi dei soci fondatori. Per Pesaro: Giuseppe Ceccarelli, Secondo Salmonti; Adelelmo Giusti; Duilio Crescentini. Per Fano: l’ingegner Elio Cioccolini; Cesare Del Vecchio, Augusto Lazzarini, Adolfo Facchini, Gottardo Sorcinelli, Anselmo Dolci. Per Urbino: Lindoro Bernini; Elio Conti; Gio Acquarini; Giuseppe Meli e Oreste Amadori. Presidente viene eletto Lindoro Bernini. Nello stesso anno i Comitati zonali della CNA di Pesaro, Fano e Urbino si riuniscono per redigere ufficialmente l’atto costitutivo dell’Unione Provinciale Artigiani che aderisce alla CNA. Nel 1949 Viene eletto presidente provinciale, Carlo Borsetti e Lindoro Bernini da presidente diventa direttore. I due rimarranno in carica fino al 1958. Nel 1959 vengono nominati Nino Gabbani alla segreteria e Cesare Del Vecchio presidente. Entrambi rimarranno alla guida dell’associazione per ben 16 anni ed esattamente fino al 1975. Nel 1977 nell’ultimo anno dell’Unione provinciale degli Artigiani, viene chiamato a dirigere la struttura Aldo Bianchi che guiderà l’Upa verso la definitiva trasformazione in CNA, Confederazione Nazionale dell’Artigianato. E a dimostrazione che molto spesso le storie degli uomini si legano a quelli dell’associazione, vale la pena citare un episodio accaduto in quello stesso anno ad uno dei fondatori, Medardo Vetri che viene colto da un infarto durante una direzione dell’associazione. Dagli anni Ottanta in poi, la CNA crescerà e porterà in rapida successione alla sua guida diversi direttori e presidenti. In questo periodo, in cui il rapporto storico dell’associazione si è sempre più o meno legato direttamente alle vicende del centro sinistra locale e nazionale, inizia una fase di dibattito e di iniziale smarcamento dalla politica. Gli artigiani, gli imprenditori, avvertono insomma la necessità di affrancarsi dalla politica, per avere più autonomia e capacità di avanzare proposte autonome, soprattutto legate alla politica fiscale ed economica. Sono gli anni in cui anche a Pesaro si inizia un len-

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to ma inesorabile processo di autonomia associativa che spinge la CNA a rivendicare posizioni autonome anche rispetto alle scelte delle amministrazioni locali. Ma se gli anni Ottanta sono ancora quelli dell’incubazione, i Novanta servono invece a innestare definitivamente il germe dello smarcamento dalla politica. Il dopo Tangentopoli viene vissuto dagli imprenditori, come il resto della società, da una volontà di rinnovare dalle fondamenta il sistema della rappresentanza. Mentre la CNA continua il suo processo di espansione (negli anni vengono inaugurate le nuove sedi di Pesaro (1984); Urbino (1987); Fano (1996), i rapporti con il resto del mondo della rappresentanza associativa si fanno quanto mai competitivi. Nel 1997 (Roberto Tontini è il segretario e Lucio Venerucci il presidente), viene festeggiato il cinquantenario dell’associazione. Nel 2007 il Sessantesimo con la pubblicazione di un corposo volume (CNA 60), che racconta la storia dell’associazione legata a quella della provincia. E’ questo il percorso di una grande associazione che in questi anni ha contribuito alla crescita del mondo delle imprese e a quello del territorio. Rapportandosi in maniera critica, ma sempre costruttiva con tutti i Governi locali, CNA si è guadagnata negli anni il primato della rappresentanza. Con più di 6.000 imprese iscritte, 93 piccole industrie, 5.103 soci a Fidimpresa Marche, 5.712 pensionati e 220 lavoratori autonomi, CNA di Pesaro dà vita oggi ad un vero e proprio sistema di rappresentanza della piccola impresa e rappresenta la prima associazione in provincia per numero di adesioni e la seconda nelle Marche. Grazie a 190 dipendenti e 21 sedi dislocate su tutto il territorio, CNA garantisce un riferimento importante di rappresentanza sindacale, consulenza e servizi per le aziende artigiane in un territorio caratterizzato da una forte presenza di industrie del mobile e dell’arredamento, del tessile, della meccanica e della nautica. La CNA di Pesaro e Urbino, prima associazione in Europa ad aver ottenuto la certificazione di qualità, rappresenta l’artigianato e la piccola impresa in numerosi enti pubblici e privati. L’associazione nell’ultimo congresso (tenutosi nel giugno scorso), ha nominato a guida della CNA l’imprenditore del settore meccanico Alberto Barilari in qualità di presidente provinciale e Moreno Bordoni - già coordinatore provinciale dei settori Tessile-Abbigliamento e Moda e della Meccanica nonchè responsabile per l’Internazionalizzazione - nella carica di segretario provinciale dell’associazione. Claudio Salvi - Ufficio Stampa CNA Pesaro e Urbino

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“Il Giornale dell’Artigianato”, mensile della Confederazione Nazionale dell’Artigianato. Dall’alto: febbraio 1962 (numero I); marzo 1962; gennaio 1963 e, a destra, ottobre 1970, immagini di una manifestazione svoltasi al Teatro Sperimentale di Pesaro; sullo sfondo: Febbraio 1974 (Archivio CNA Pesaro e Urbino).

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Empori e superettes, il commercio a Pian del Bruscolo in collaborazione con Confesercenti Pesaro e Urbino Ufficio Stampa

trent’anni di commercio a

Pian del Bruscolo,

raccontati dai responsabili della locale sede

Confesercenti, 1987

inaugurata nel

Confesercenti a Montecchio: il commercio anni ‘80 La storia della Confesercenti di Montecchio inizia nel 1987, anno nel quale l’associazione di categoria inaugura la sede di via Pio La Torre con l’obiettivo di seguire in maniera diretta le aziende associate operanti nell’intero bacino della bassa valle del Foglia: Volevamo dare ai tanti soci della zona, che prima si rivolgevano alla sede di Pesaro, un riferimento diretto sul territorio – spiega Domenico Passeri funzionario Confesercenti, artefice dell’apertura della sede di Montecchio e punto di riferimento per i soci della zona - l’obiettivo era di rendere la nostra presenza sul territorio provinciale sempre più capillare, al fine di poter seguire con maggiore disponibilità e competenza le problematiche, ma anche le opportunità che allora si aprivano per le aziende locali. Era, in effetti, un momento di crescita da un punto di vista commerciale ed economico, sia per la concentrazione di aziende industriali ed artigianali, sia per l’incremento residenziale, ed anche noi come sindacato eravamo chiamati ad organizzarci di conseguenza con uffici più strutturati. Molti giovani si avventuravano ad aprire una bottega o un negozio mettendosi in proprio, spesso decidendo di lasciare il lavoro in fabbrica per diventare piccoli imprenditori. Scelte che il più delle volte venivano premiate: eravamo, infatti, in piena stagione di pianificazione commerciale, tutti i Comuni si dedicavano alla stesura di nuovi piani del commercio e le commissioni comunali, nelle quali le associazioni di categoria svolgevano un ruolo determinante, avevano il compito di concretizzare ciò

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In questa pagina: Montecchio di Montelabbate, 1965. Il negozio di Iside Pagnoni, ritratta nella foto in basso insieme con la nipote Paola. Dal negozio di Iside Pagnoni, dove si potevano trovare dalle macchine da cucire all’abbigliamento ai generi alimentari, sono state ricavate due distinte attività commerciali: “Abbigliamento Paola”, della stessa Paola Pagnoni, e “Alimentari Ciccardesi e Ferri” (raccolta Paola Pagnoni, Montecchio). Nella pagina precedente: Montefabbri (Vallefoglia), il negozio-emporio di Lina Filippini, attivo fino al 1998 (raccolta Gianfranco Filippini).

che era scritto sulla carta, verificando autorizzazioni e permessi e dando effettivamente l’autorizzazione all’apertura dell’attività. Il lavoro delle commissioni era ovviamente ‘super partes’ ed il nostro compito era quello di verificare la regolarità dei procedimenti. Tale ruolo però – prosegue Passeri - non ci conferiva soltanto un peso decisionale fine a se stesso, ma ci rendeva una sorta di garanti del corretto sviluppo del commercio sul territorio, uno sviluppo che rispettava le esigenze, sia dei cittadini, sia degli operatori, permettendo, ai primi, di contare su una crescita equilibrata del territorio, senza la concentrazione indiscriminata che c’è ora degli spazi di vendita, e, ai secondi, di veder tutelate, da una parte, le attività esistenti e veder soddisfatte, dall’altra, le richieste di nuove licenze, dando spazio a nuovi operatori giovani e meno giovani. La struttura commerciale negli anni ‘80 era formata da piccoli negozi di 30/40 mq. prevalentemente a conduzione familiare. Cominciarono poi a nascere le cosiddette ‘superette’ di 300/400 mq., che rappresentavano già una grossa novità e una vera e propria mini-rivoluzione del comparto commerciale. Soltanto in seguito, parliamo già dei primi anni ‘90, anche nelle nostre realtà hanno incominciato ad insediarsi le strutture commerciali più grandi che pian piano hanno messo in difficoltà i piccoli negozi’.

Quando ho cominciato a lavorare alla Confesercenti di Montecchio - spiega Carla Tamburini dipendente della sede fin dalla sua fondazione ed ora responsabile dell’associazione per la zona di Pian del Bruscolo - aprire un’attività era certamente più difficile rispetto ad ora, c’erano più vincoli, ma paradossalmente questi vincoli costituivano anche una tutela per gli operatori. A differenza di oggi, chi apriva un’attività faceva un investimento che quasi sempre andava a buon fine e non solo per le condizioni economiche generali, certamente migliori. Faccio degli esempi: negli anni ’80 e ’90 c’erano le ‘tabelle contingentate’ cioè alcune tipologie merceologiche - quelle relative ai prodotti di largo consumo - dovevano essere presenti sul territorio secondo una determinata metratura che rispondeva a precisi piani commerciali. A loro volta tali piani erano eseguiti secondo determinati criteri, ad esempio il numero di abitanti. Nello specifico, erano contingentati la vendita di prodotti alimentari, macelleria, frutta e verdura, abbigliamento e calzature e la gestione di bar e ristoranti.

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L’apertura di un’attività di qualsiasi tipo richiedeva inoltre l’iscrizione al Rec (Registro Esercenti il Commercio) e un esame specifico per ogni settore, dall’edicola alla merceria, sempre da sostenere in Camera di Commercio, al fine di verificare una preparazione, se pur di massima, dell’operatore su una determinata tipologia di prodotto. Si facevano, quindi, corsi di formazione specifici per ogni settore, corsi che curavo personalmente e che erano preparatori all’esame in questione. Chi ha sostenuto quell’esame si ricorda ancora quant’era difficile superarlo! Certo, il sistema era più macchinoso rispetto ad oggi, ma, certamente, c’era anche, da parte di tutti, una maggiore consapevolezza e probabilmente anche maggiori garanzie di rimanere sul mercato, non solo - ripeto - perché si viveva un boom economico che oggi ha lasciato solo macerie, ma anche perché il sistema commerciale nel suo complesso era più controllato e quindi più salvaguardato. Va detto poi che l’automatizzazione del sistema che ora ci permette di effettuare molte pratiche on line, di fatto non ha allentato la morsa della burocrazia: gli adempimenti di oggi sono probabilmente ancora di più di quelli di allora e il fatto di eseguirli da seduti invece che recandoci direttamente negli uffici di competenza, non sempre facilita il tutto. Una volta le richieste di autorizzazione erano più semplici e potevano essere inoltrate dal richiedente, oggi devono essere corredate da progetti e relazioni di liberi professionisti alquanto costosi. Un tempo bastava la firma autenticata con la fotocopia del documento,

Montecchio di Montelabbate, anni Cinquanta del ‘900. Foto di gruppo per le allieve del corso di cucito Singer davanti al negozio di Iside Pagnoni (raccolta Paola Pagnoni, Montecchio)..

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In questa pagina: il banco e i mezzi di Alvaro Catenacci, commerciante ambulante presente nei mercati della zona di Pian del Bruscolo, tra i quali Montecchio e Rio Salso.

oggi serve la firma digitale, il PIN o la PEC per rivolgersi a qualsiasi pubblica amministrazione. Per cui altri giri, altro tempo e soldi non è vero che il sistema telematico è gratuito. Non è cambiata molto, invece, negli anni, l’ingerenza di tasse e bollette sulla gestione di un’attività commerciale. Oggi aprire un’attività costa complessivamente di più, ma anche negli anni ’80 davanti agli operatori si apriva un ventaglio di tasse infinito e che, a volte, rasentava l’assurdo. Cito ad esempio la tassa sul frigorifero, una tassa di concessione governativa per la quale un’attività pagava 60 mila lire all’anno per ogni motore frigo che possedeva e ogni pagamento andava compilato con un distinto bollettino! Di concessione comunale erano invece le tasse su televisione e radio e poi ancora c’era la tassa su alcolici e superalcolici e sulla licenza commerciale che si pagava sia per poterne disporre a inizio attività sia ogni anno per rinnovarla. Dal piccolo commercio al grande centro commerciale Il passaggio dal negozio di vicinato al grande centro commerciale, diffuso in maniera sproporzionata su tutto il territorio regionale rispetto alla domanda e alle effettive esigenze dei consumatori, ha creato un vero e proprio terremoto nel commercio tradizionale. Ai negozi di vicinato o, come li chiamo io, ‘di strada’ perché affacciati sulla pubblica via di collegamento – continua Tamburini - si è aggiunta la concentrazione delle attività commerciali nei grandi iper o, come è accaduto nella zona di Montecchio e Pian del Bruscolo, nei centri commerciali di quartiere. Sul nostro territorio ne contiamo 4: ‘Arcobaleno’ a Montecchio, ‘Centro Vetrine’ a Morciola, il Centro Commerciale di via Pio la Torre e di via Roma (ex Ifi) a Montecchio. promemoria_numerosei

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Sotto, da sinistra: Sant’Angelo in Lizzola (Vallefoglia), febbraio 2014. Il Bar Eva, storico ritrovo del paese (raccolta Stefania Amatori); slot machines e “gratta e vinci” in un bar di Montecchio di Vallefoglia (raccolta Gianfranco Londei, Montecchio).

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I piccoli negozi storici gestiti dai nostri associati hanno avuto la valenza di un vero e proprio servizio sociale e punto di aggregazione per molte piccole frazioni di Pian del Bruscolo come Belvedere Fogliense, Montefabbri, Colbordolo e Sant’Angelo in Lizzola. Là dove questi negozi hanno chiuso, ora manca non solo un servizio commerciale, ma anche un punto di riferimento per la popolazione. Sono ancora numerose, comunque, le attività storiche e di vicinato che lavorano e mostrano di reggere bene la concorrenza. In generale - afferma Tamburini - mi sembra anzi che la formula del centro commerciale, certamente attrattiva all’inizio anche nelle nostre zone, non sempre risulti vincente. La crisi ha di fatto livellato la situazione, determinando per tutti un calo complessivo delle vendite e la difficoltà di fare piani a lungo termine per il futuro. Nella zona di Pian del Bruscolo, così come un po’ tutti i territori, dalla costa all’interno, senza particolari differenze tra piccoli e grandi realtà, si è creato un turnover sempre più veloce di aperture e chiusure. Le difficoltà economiche hanno generato la voglia di aprire nuove attività, anche per trovare un’alternativa alla mancanza di lavoro che penalizza soprattutto le giovani generazioni. Spesso, però, si tratta, purtroppo di uno specchietto per le allodole: i negozi aprono velocemente e poco dopo chiudono, con conseguenze economiche pesanti per gli operatori. Un trend che in realtà rivela gli enormi problemi di gestione ai quali oggi deve far fronte un’attività, problemi legati soprattutto alla difficoltà di resistere tra recessione, calo dei consumi, e aumento di tasse, bollette e gestione del personale. Le conseguenze sono anche sociali: è aumentata nelle nostre zone l’emigrazione, in molti, per mancanza di lavoro e di prospettive, lasciano i nostri territori per tornare nel loro paese di origine. I soci: chi erano, chi sono Nel 1987, quando abbiamo inaugurato la sede di Montecchio - aggiunge Tamburini - le attività nostre associate facevano riferimento a quasi tutti i settori merceologici allora presenti sul mercato: alimentari, abbigliamento, scarpe, frutta e verdu-

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ra, bar e ristoranti. Si trattava, come già detto, di piccole realtà aziendali per lo più a conduzione familiare, dislocate lungo la strada principale di Montecchio. Oggi le tipologie delle attività nostre associate sono molto più variegate. Gli stessi operatori associati, prima per lo più originari del posto, oggi sono più diversificati: la massiccia immigrazione che si è verificata nel nostro territorio sia dal sud Italia che dall’estero, ha determinato la nascita di nuove tipologie commerciali, legate soprattutto alla vendita di prodotti tipici non originari del posto. Il commercio è divenuto così uno specchio del tessuto sociale, che si è diversificato nel corso degli anni a seguito della globalizzazione dell’economia e dei consumi. Stessa situazione si è verificata nei mercati settimanali: si è modificata l’offerta dei prodotti e sono subentrati nuovi operatori commerciali. Anche qui le vendite sono calate, un tempo si andava al mercato principalmente per comprare, oggi per fare un giro. Anche la modalità di vendita delle stesse aziende si è modificata nel corso degli anni – continua Tamburini - dalla vendita del prodotto si è passati oggi all’offerta di un servizio: nel settore dei fiorai, ad esempio, sono pochi ormai coloro che si limitano soltanto a proporre il prodotto. La maggior parte, infatti, mette a disposizione del cliente un servizio completo legato al prodotto stesso: dall’allestimento di un evento o di un ambiente particolare, alla sistemazione di giardini e spazi verdi per spazi pubblici e privati. Il negozio di merceria non vende solo fili, bottoni e gomitoli ma fornisce alla clientela un servizio di piccole riparazioni e organizza corsi ‘creativi’. Nei bar una volta si passava il tempo giocando a carte, briscola e tresette, adesso, ahimè, ci si dedica ai videogiochi e alle slot machine. Nelle tabaccherie una volta si compravano sigarette e sale (‘sali e tabacchi’), oggi si pagano anche bollette e bollettini come alla posta e in banca.

Montecchio (Vallefoglia), negozi dalla fine degli anni Settanta. Da sinistra: la prima sede della pizzeria-ristorante Voglia Matta, in via Roma 39 (marzo 1986; raccolta Fabrizio Bartolucci, Montecchio); il negozio di Marisa Eusebi, in piazza della Repubblica, aperto dal 1982 (raccolta Marisa Eusebi, Montecchio); la profumeria Carboni, aperta nel 1978 in via Roma e in seguito trasferita in via Pio La Torre (2010; raccolta Profumeria Carboni, Montecchio).

Il sindacato cambia con le imprese L’evoluzione del commercio ha richiesto anche da parte nostra, come sindacato, non solo un aggiornamento dei servizi, ma uno promemoria_numerosei

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In alto: Bottega (Vallefoglia), 1991. I coniugi Monica Brandolese e Stefano Piermaria, titolari del negozio Natura Verde (raccolta Monica Brandolese e Stefano Piermaria) e, sotto, Montelabbate, 1986. L’inaugurazione del negozio Linea Verde (raccolta Famiglia Massanelli, Montelabbate).

sguardo meno settoriale sul ‘fare impresa’ - afferma Roberto Borgiani direttore Confesercenti di Pesaro e Urbino - da 27 anni a questa parte, nella zona di Montecchio, la Confesercenti, grazie all’impegno e al lavoro di tutti i dipendenti che si sono succeduti, è divenuta una realtà associativa capace di affiancare l’imprenditore in tutto il suo percorso, dallo start-up alla fase previdenziale, dall’accesso al credito, alla gestione della sicurezza e dell’igiene sul luogo di lavoro. Negli anni ‘80 ci limitavamo a fornire i servizi basilari di contabilità e libri paga, adesso il sindacato è un mondo complesso e articolato che fornisce servizi all’impresa, ma anche alla persona, che risolve e alleggerisce i rapporti con la burocrazia, che tratta migliori garanzie con le banche, che offre tutela sindacale, assistenza legale e servizi di patronato. E’ un cambiamento positivo, che ci vede protagonisti nel tessuto economico locale e soprattutto sempre più vicini alle imprese nel momento in cui siamo in grado di aderire al processo di evoluzione e trasformazione che le imprese stesse hanno vissuto in questi anni. Nel 2013 Confesercenti ha compiuto 40 anni - conclude Borgiani - siamo una realtà ancora giovane e piena di entusiasmo, ma già con un ricco bagaglio di esperienza nei settori di nostra competenza, esperienza ed entusiasmo che mettiamo ogni giorno al servizio dei nostri soci, convinti che la piccola e media impresa sia il vero motore dell’economia italiana, l’unico in grado di imprimere al paese l’accelerazione necessaria per uscire da questa lunga crisi.

Rivolgo un pensiero grato a tutti i colleghi che hanno lavorato nell’ufficio Confesercenti di Montecchio dal 1987 a oggi: gli attuali dipendenti Alessandro Luzi, Marina e Claudio; e poi Doriana,Antonella, Silvana, Mara, Patrizia, Raffaele, Massimo, Mauro, Francesca, Fabio, Alessandro Battistelli, Sandro e... spero di non aver dimenticato nessuno! Un grazie, infine, anche a tutta la Confesercenti provinciale. Carla Tamburini responsabile Confesercenti Montecchio

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Montecchio (Vallefoglia), marzo 2014. Foto di gruppo per i dipendenti e alcuni “storici” associati Confesercenti. Da sinistra, in prima fila: Alessandro Luzi (in blu) e Marina Gili (in grigio e viola), dipendenti dell’ufficio di Montecchio; Oriella Ferri (in nero, con gli occhiali); Fabrizia Filippucci, fioraia di “La Primizia” di Montecchio (in verde); Silvana Carboni, dlel’omonima profumeria; Domenico Passeri, dirigente Confesercenti e Carla Tamburini, responsabile Confesercenti Montecchio. In secondo piano, da sinistra: Guido Bartolini (Ortofrutta Gabriella Guiducci, Montecchio) e, seminascosto, Massimo Massanelli; Paola Pagnoni; Gianfranco Bertelli e Michela Poggiaspalla, titolare e dipendente del “Caffè della Piazza” di Montecchio; Monica Brandolese; Daniele Termopoli del ristorante “L’Oasi” di Talacchio (Vallefoglia); Giampiero Mariotti dell’omonima ferramenta di Montecchio e, infine, Fabrizio Bartolucci, titolare della pizzeria-ristorante “La Voglia Matta” di Montecchio.

Fondata a Roma nel 1971, la Confesercenti è una delle principali associazioni imprenditoriali del Paese ed è membro fondatore di Rete Imprese Italia. Rappresenta più di 350mila PMI del commercio, del turismo, dei servizi, dell’artigianato e dell’industria, capaci di dare occupazione ad oltre 1.000.000 di persone, riunite in oltre 70 federazioni di categoria. Con oltre 5mila addetti, 120 sedi provinciali, 20 regionali e oltre 1000 territoriali, Confesercenti è un punto di riferimento per le imprese su tutto il territorio nazionale. In più di 40 anni di attività, la Confesercenti è cresciuta rapidamente: oggi aderiscono alla Confederazione più di 70 associazioni dei settori del commercio, turismo, servizi, artigianato, industria e di altre aree di interesse sociale ed economico. Info: Confesercenti Pesaro e Urbino, sede di Montecchio, via Pio La Torre, 96 - tel. 0721 497222 - Sede provinciale, via Salvo d’Acquisto 7, Pesaro - tel. 0721 40671 - info@confesercentipu.it; www.confesercentipu.it.

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La stellina di Liliana la Shoah vista dai bambini Speciale Banca e Cultura da

Tra le iniziative promosse Banca dell’Adriatico nel 2014 occupa un posto speciale

il fumetto dedicato al racconto

Liliana Segre, Testimone della Shoah

della vita di

La classe V B della Scuola primaria “Giansanti” di Pesaro (Istituto comprensivo G. Gaudiano) con l’insegnante Mirella Moretti. Nelle pagine seguenti: Liliana Segre in una recente immagine e due tavole del fumetto Liliana e la sua stellina.

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Non è impresa facile raccontare ai bambini la Shoah: guidarli nell’aspro percorso di conoscenza di uno degli eventi più tragici della storia dell’umanità richiede attenzione e sensibilità speciali. Qualità che Liliana Segre, Testimone dell’Olocausto, ha riconosciuto in Liliana e la sua stellina, il racconto a fumetti dedicato alla sua vita, realizzato dalla V B della Scuola primaria “O. Giansanti” di Pesaro (Istituto Comprensivo “G. Gaudiano”) con la guida dell’insegnante Mirella Moretti. Quando mi hanno mandato questo lavoro finito, fatto e confezionato con garbo e addirittura con eleganza, ho sentito che avrei abbracciato questa maestra perché io non ho mai trovato le parole per raccontare la mia storia ai bambini. Invece lei ci è riuscita e quindi mi sono commossa, mi ha fatto un regalo proprio grande. Così Liliana in una recente intervista rilasciata al “Nuovo Amico” ha commentato il fumetto, la cui presentazione è prevista per l’aprile 2014 presso la Sala Congressi Banca dell’Adriatico di Pesaro, alla presenza della stessa Liliana Segre. Il fumetto, realizzato per il Concorso ministeriale “I giovani ricordano la Shoah”, ha ricevuto tra l’altro un riconoscimento regionale “per l’interdisciplinarietà e la grande accuratezza delle tecniche espositive sapientemente usate”. Nel febbraio scorso una troupe di Rai 3 è arrivata a Pesaro per intervistare l’insegnante Mirella Moretti, la dirigente scolastica Angela De Marchi dell’Istituto “G. Gaudiano” e gli alunni. promemoria_numerosei


Come insegnante, commenta Mirella Moretti, sento il dovere di educare alla memoria, ricordare e tramandare perchè la storia non sia passata invano. Ho scelto il vissuto autobiografico di Liliana Segre, testimone diretta e ancora in vita, come percorso di memoria perchè consente di guardare la realtà con gli occhi dei bambini, e ho deciso di farlo rappresentare attraverso la tecnica del fumetto perché è di facile lettura e comprensione, e permette agli alunni di comunicare al meglio le loro capacità espressive. Parole condivise dalla dirigente Angela De Marchi, che si è dichiarata orgogliosa del lavoro svolto dai ragazzi della V B: avendo come protagonista una bambina, il fumetto ha permesso ad altri bambini di partecipare anche emotivamente al progetto. La storia di Liliana Segre è stata scelta anche per il suo legame con Pesaro, di cui la Segre è cittadina onoraria. La possibilità di incontrarla, prosegue Mirella Moretti, ha reso particolarmente vicino alla realtà il percorso didattico intrapreso dai bambi-

ni. Inoltre, il fatto che all’epoca degli eventi narrati Liliana avesse grosso modo l’età dei miei alunni, ha permesso loro di immedesimarsi e vivere le emozioni (incredibilità, paura, dolore, speranza) che lei ha provato. Il racconto illustrato non affronta le fasi finali dello sterminio ad Auschwitz, la memoria evocativa di Liliana sarebbe stata a quel punto troppo pesante e incomprensibile per la mente di un bambino. Invece la speranza identificata nella stellina e la salvezza finale hanno facilitato l’immedesimazione e il coinvolgimento emotivo degli alunni. Desidero esprimere un ringraziamento particolare al direttore generale di Banca dell’Adriatico Roberto Dal Mas, conclude Mirella, a cui ho mostrato il fumetto nell’inverno scorso, quando era ancora in “lavorazione”. L’ha apprezzato, ne ha chiesto una copia per i suoi bambini, ma soprattutto ha deciso di pubblicarlo in veste editoriale perché ne ha riconosciuta la valenza educativa come testimonianza storica.

Nata a Milano nel 1930, orfana di madre a neppure un anno, Liliana Segre è cresciuta insieme con suo padre e i nonni paterni. Nel 1938 fu espulsa da scuola, dopo l’introduzione delle leggi razziali fasciste e, nel 1943, dopo il fallimento del tentativo di fuga in Svizzera (i Segre furono respinti alla frontiera dalle autorità elvetiche), venne arrestata in provincia di Varese e successivamente trasferita nel carcere di Milano. Il 30 gennaio 1944 Liliana partì, dal famigerato Binario 21 della Stazione di Milano Centrale, per il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse sette giorni dopo, dove furono deportati e poi uccisi anche i suoi nonni. Durante la deportazione fu impiegata per circa un anno nel lavoro forzato in una fabbrica di armamenti. Alla fine di gennaio del 1945 affrontò la marcia della morte verso la Germania dopo l’evacuazione del campo, e fu liberata il primo maggio 1945 a Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbrück. Il numero di matricola che porta ancora tatuato sull’avambraccio è 75190. Andata ad abitare con i nonni materni, di origini marchigiane, unici superstiti della sua famiglia, dopo il rientro Liliana continuò a risiedere a Milano, spostandosi al mare per le vacanze: a Pesaro nel 1948 incontrerà Alfredo Belli Paci, che diventerà suo marito. Da allora Liliana mantiene un forte legame con la nostra città, di cui è cittadina onoraria. Liliana Segre ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra i quali l’Ambrogino d’oro dalla città di Milano, la Laurea Honoris Causa in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Trieste nel 2008 e la Laurea Honoris Causa in Scienze pedagogiche presso l’Università degli Studi di Verona nel 2010. promemoria_numerosei

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Banca e cultura. Notizie. Banca e cultura. Notizie La (s)cultura in Banca, seconda edizione dedicata a Giovanni Gentiletti Forte del successo della prima edizione, della quale è stato protagonista Claudio Cesarini, anche nel 2014 Banca dell’Adriatico riproporrà l’evento La (s)cultura in Banca, ormai appuntamento atteso dalla città, dedicato quest’anno a Giovanni Gentiletti. L’evoluzione artistica di Gentiletti sarà presentata al pubblico attraverso una selezione di trenta pezzi, dai primi lavori a carattere figurativo fino alle ruote, le stele e i portali realizzati a partire dagli anni Novanta. Una produzione, quest’ultima, contrassegnata da una matericità arcaica, da un linguaggio segnico fatto di alfabeti indecifrabili, o come lo stesso Gentiletti amava ricordare, alfabeti di popoli che hanno viaggiato nel Mediterraneo e di cui si è persa la memoria. Un’occasione unica per conoscere l’opera di uno dei protagonisti dell’arte contemporanea del nostro territorio, stimato anche da personalità quali Arnaldo Pomodoro, che aveva voluto Gentiletti tra i docenti del TAM (Centro Trattamento Artistico Metalli) di Pietrarubbia. Nell’inesausta ricerca dell’artista, infatti, un posto importante ebbe sempre il confronto con le tecniche antiche della lavorazione a sbalzo e a cesello dei metalli (il rame soprattutto), nelle quali non aveva rivali. Con questa mostra antologica dedicata a uno degli artisti pesaresi più apprezzati - ha dichiarato Roberto Dal Mas, direttore generale della Banca dell’Adriatico - abbiamo voluto ricordare lo scultore e l’uomo inaugurando la mostra l’otto maggio, giorno nel quale, nel 2010, Gentiletti ha terminato il suo percorso creativo. Questa esposizione, proposta nello spazio che annualmente la banca dedica a un artista del territorio, è l’evoluzione naturale delle ultime due mostre dello scultore e relativi cataloghi che la banca aveva a suo tempo sponsorizzato. Si usa dire - prosegue Dal Mas - che al fianco di un grande uomo c’è sempre una grande donna, nel caso di Gentiletti ce ne sono tre, la moglie Tullia e le figlie Ilaria e Daniela: le prime due ora instancabili promotrici di iniziative per tenere “vivo” il suo ricordo, mentre Daniela lo accompagna attraverso le note della sua musica. La (s)cultura in Banca, inaugurazione 8 maggio ore 18 - 31 ottobre 2014

Banca e cultura. Notizie. Banca e cultura. Notizie Gli ‘inediti’ di Franco Fiorucci, un altro tutto esaurito per Banca dell’Adriatico Tra gli eventi organizzati da Banca dell’Adriatico a sostegno e promozione dell’arte contemporanea del territorio è da registrare anche l’incontro con il pittore Franco Fiorucci che a Pesaro, nella Sala congressi di via Gagarin ha presentato il 18 marzo scorso quattro grandi acquerelli inediti raffiguranti luoghi simbolo della città, realizzati nel 2005 per illustrare un calendarietto tascabile, oggi introvabile e assai ricercato dai collezionisti. Di fronte a un foltissimo e attento pubblico, dopo il saluto del presidente di Banca dell’Adriatico Giandomenico Di Sante, si è svolta la conversazione tra Fiorucci e il direttore generale dell’Istituto Roberto Dal Mas, condotta brillantemente dal giornalista Claudio Salvi; la presentazione critica dell’opera di Fiorucci e la sua personalità sono state affidate a Ivana Baldassarri. Particolarmente apprezzato infine il contributo video realizzato da Renzo Tibaldi e Luciano Dolcini, che svela un Fiorucci dietro le quinte del suo studio mentre lavora circondato dagli oggetti che lo accompagnano quotidianamente. Dopo la Serata Nostalgia e il tradizionale concerto di Natale, con questo incontro abbiamo ripreso il dialogo, mai interrotto, con la città, le famiglie, gli imprenditori - ha dichiarato Roberto Dal Mas - con un omaggio a uno degli artisti più amati del territorio, Franco Fiorucci, che ha aperto il nostro ‘cartellone culturale’, ricco di appuntamenti, previsti in diverse città delle Marche,Abruzzo e Molise, regioni nelle quali siamo presenti capillarmente con oltre duecento filiali. Agli intervenuti è stato fatto dono di un’incisione, copia unica, acquerellata da Fiorucci. promemoria_numerosei

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In fabbrica? Neanche morto. Storie di contadini nella valle delle pesche in collaborazione con CIA - Confederazione Italiana Agricoltori Pesaro e Urbino

Le lotte mezzadrili, la meccanizzazione

agricola , la trebbiatura e le feste sull’aia ,

fino ad arrivare alle coltivazioni biologiche e ai cambiamenti climatici: i ricordi di tre agricoltori della valle del conversazione di

Le lotte mezzadrili, la meccanizzazione agricola, il dazio, la trebbiatura e le feste sull’aia, fino ad arrivare alle coltivazioni biologiche, alle oscillazioni del mercato dei cereali e ai cambiamenti climatici: molti e di vasta portata sono i temi toccati nella conversazione con Pietro Paolo Mariotti, Roberto Pedini ed Elso (noto a tutti come Enzo) Renzi, agricoltori a Pian del Bruscolo da più generazioni. Li incontriamo in casa di Elso, che all’attività dell’azienda agricola affianca la gestione di un agriturismo e una struttura per la ristorazione in fase di apertura. Con Elso collaborano sua moglie Ivana, il secondogenito Fabio e lo zio Venerino, attivissimo ottantacinquenne. Siamo a pochi passi dall’Abbadia di San Tommaso in Foglia, la cui fondazione risale a oltre mille anni fa, luogo assai suggestivo che per il territorio dell’Unione dei Comuni Pian del Bruscolo ha un forte valo-

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Foglia

Cristina Ortolani

re simbolico. Quasi tutti i castelli di queste colline, con annessi possedimenti nella bassa valle del Foglia, sono infatti citati nella bolla del 1047 con la quale Clemente II, ospite dell’Abbadia, donava ai monaci benedettini le terre confiscate ad Alberico, conte di Pesaro. Via Abbadia si inoltra in quella campagna che, dopo l’industrializzazione, attende un piano di nuova e lungimirante valorizzazione: il nesso tra capannoni sfitti e imponenti complessi di edilizia residenziale perlopiù disabitati non sfugge a chi percorre queste strade, e da qualche tempo si fa sempre più insistente la necessità di progettare la riconversione delle aree edificabili in zone agricole. Pietro Paolo Mariotti (classe 1944) si occupa da sempre dell’azienda agricola di famiglia, che oggi porta avanti insieme con la moglie: il nostro podere è vicino al Ponte vecchio [un tempo frazione di Colbordolo, oggi nel territorio promemoria_numerosei


comunale di Vallefoglia], produciamo soprattutto olive e cereali. Abbiamo anche la vigna, ma il vino è destinato soprattutto all’uso famigliare, così come le carni. I ricordi di Mariotti sono intessuti di parole e oggetti desueti, fanno riferimento a gesti antichi che non sempre trovano un corrispettivo nelle pratiche attuali: una volta c’era il filare, serviva a dividere gli appezzamenti, offriva riparo durante la mietitura. Le viti erano intervallate da alberi da frutto, dai mori [gelsi], dagli olmi... l’oppio [acero campestre], per esempio: sui suoi rami si tendevano i fili per sostenere le viti; dai rami si ricavava la legna e le foglie erano utilizzate per il foraggio. Il fieno si teneva da parte per l’inverno, nel resto dell’anno la trita si faceva mescolando diversi tipi di foglie, comprese quelle delle canne che crescevano lungo il Foglia. I filari servivano anche a regimare le acque, diminuendone la velocità interviene Francesco Renzi, figlio di Elso, dal 1998 in forza alla CIA – Confederazione Italiana Agricoltori in qualità di esperto nel settore dei contributi UE. Francesco introduce un particolare di non poca importanza nello scenario attuale, dove il dissesto idrogeologico connesso a un uso spesso irresponsabile del suolo è un problema all’ordine del giorno. Il filari sono scomparsi con la trasformazione dovuta all’impiego sempre più massiccio delle macchine, per le quali costituivano un impedimento; sempre per facilitare la lavorazione meccanizzata della terra anche gli ulivi non vennero più sostituiti: spesso morivano per le gelate invernali e non li ripiantavamo più, riprende Mariotti. La prima grande rivoluzione fu quella della mietitrebbia, che negli anni subito dopo la guerra ha radicalmente cambiato la raccolta e la lavorazione del grano; anche la mietilega [macchina per mietere e legare i fasci di cereali] fu un bel passo. La memoria di tutti va alle feste che segnavano la fine della trebbiatura, oggi protagoniste di “rievocazioni storiche” al pari di palii e infeudazioni, che un tempo costituivano occasione di ritrovo per interi paesi. Qui da noi nei poderi più grandi si raccoglievano 4 o 500 quintali di grano, ogni 100 quintali si suonava la sirena e si fermava il lavoro; noi che abitavamo in paese sentivamo la sirena e commentavamo i progressi nel lavoro dei vari poderi, aggiunge Ivana, moglie di Elso; il pranzo sull’aia era riservato alle famiglie dei contadini ma tutti i bambini del paese, alla fine, erano invitati a mangiare i dolci. Con il passare del tempo ci siamo modernizzati, conclude Mariotti, oggi abbiamo un gran numero di attrezzi, forse troppi, ma non sempre semplificano il lavoro. Pare quasi di intuire un rimpianto per ritmi e modalità di lavoro più faticose, ma forse di più immediata gratificazione, e per un’atmosfera generale meno tesa: la mia generazione ha vissuto dei tempi difficili, di

Fiorenzuola di Focara (Pesaro), 1959. Sopra, la famiglia Renzi riunita intorno alla tavola e, nella pagina precedente, Venerino Renzi con i buoi (raccolta Famiglia Elso Renzi, Montelabbate) A pagina 72: Ripe di Montelabbate, 1956. Lino Pedini con la moglie Maria Sartori nel giorno del matrimonio (raccolta Famiglia Lino Pedini, Montelabbate); a pagina 73 in alto: Astorre Renzi e Fausta Toni nel giorno del matrimonio; in basso: Nomi, in una fotografia dei primi anni del ‘900 e, in primo piano, la famiglia Renzi in una fotografia dei primi anni Cinquanta.

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lavoro duro e pesante. Però eravamo più sereni, oggi questa serenità sembra perduta. La stessa atmosfera emerge dal racconto di Roberto Pedini, al quale è oggi affidata la gestione dell’azienda agricola famigliare, situata a Farneto di Montelabbate. Siamo originari di Colbordolo, il nostro podere era tra Coldelce e Ripe, esordisce Roberto. Già mio nonno Primo coltivava un terreno di sua proprietà, passato a mio padre Lino, nato nel 1926, che ancora dà una mano in casa e in azienda. Il podere di Coldelce era di circa 5 ettari; nel 1973 mio padre ha deciso di venderne due, e di acquistare l’appezzamento a Farneto, di circa 13 ettari, la cui posizione più a valle consentiva di lavorare con maggior agio e profitto. La zona tra Farneto, Ripe e Coldelce è caratterizzata infatti da colline piuttosto scoscese: Se vuoi vedere il diavolo all’inferno vai al Farneto d’inverno, recita un detto molto popolare da queste parti, che allude proprio alla strada impervia che conduce al castello di Farneto. In seguito abbiamo ampliato ulteriormente la proprietà, e oggi la nostra azienda si è specializzata in foraggi e cereali; abbiamo anche 80 ulivi e un ettaro di vigneti, Sangiovese, Trebbiano e Montepulciano, da cui ricaviamo vino destinato soprattutto al consumo famigliare, consegnando l’eccedenza alla Cantina Sociale di Morciola. Con metodo Roberto ripercorre per “Promemoria” le tappe fondamentali della lunga storia della sua famiglia: la prima, grande novità del dopoguerra fu per mio padre l’acquisto di un Moto Guzzi 500 col sidecar, dove caricava i prodotti da vendere e gli attrezzi e con il quale si spostava tra i poderi. Per molti anni infatti ha lavorato anche conto terzi. Nei primi anni Cinquanta del ‘900 è riuscito ad acquistare un trattore, 82

un vecchissimo Lamborghini, presto sostituito da un più moderno Landini 50, che gli ha permesso di svolgere lavori sempre più consistenti. Ha sempre lavorato giorno e notte, si fermava solo per la messa della domenica, osserva Roberto, ma ha avuto dei bei risultati. “Giorno e notte”: mi ricordo che di notte, per non lasciare il trattore incustodito, interviene Mariotti, si dormiva nel campo, sul trattore o sotto una pianta... un paio d’ore e via, si ricominciava. E questa è verità, afferma deciso, a raccontarlo oggi nessuno ci crede ma è verità. Tuttora, nonostante l’aiuto delle macchine, il nostro è un lavoro faticoso, riprende Roberto, ma io mi ritengo fortunato per la vita che ho fatto. Un altro momento importante fu quando, anche grazie al consiglio di mia nonna Elena, mio padre decise di piantare una quindicina di peschi: abitavano ancora a Coldelce, e per l’epoca fu una scelta abbastanza innovativa. La frutta raccolta la si vendeva nei paesi, con la nascita delle prime fabbriche le famiglie avevano qualche possibilità in più e tutto il territorio traeva giovamento da una situazione di relativo benessere. Con l’acquisto del podere di Farneto e con l’aumentare della famiglia Lino si dedica sempre più alle proprie terre, lasciando progressivamente da parte il lavoro conto terzi: siamo in otto, tra fratelli e sorelle, e anche se alcuni di noi già cominciavano a collaborare all’attività, l’azienda e la famiglia richiedevano ai miei genitori un impegno sempre più attento. Ultimo capitolo - per ora - del racconto di Pedini è la decisione di passare ai metodi di coltivazione biologica. E’ stato un passo importante, perché escludere tutti i prodotti chimici comporta una revisione profonda del nostro lavoro. Ma dopo anni in cui vedevo il simbolo del veleno sui prodotti che utilizzavo quotidianamente ho cominciato a informarmi e, visto che c’era la possibilità di usufruire anche di contributi comunitari, ho scelto di convertire tutta la produzione al biologico. Quella del biologico è una scelta che per i produttori di frutta è ancor più rischiosa, ospromemoria_numerosei


serva Elso Renzi, che è nato nel 1950 e ha alle spalle anche un’esperienza di amministratore (tra il 1975 e il 1987 è stato sindaco di Montelabbate). Già le produzioni agricole sono soggette alle incertezze del clima, sempre più imprevedibile: piogge, grandine o siccità possono mandare in fumo il lavoro di un anno, se aggiungiamo anche una resa che generalmente è più bassa rispetto a quella ottenuta con i metodi tradizionali è facile comprendere come per chi coltiva prevalentemente frutta sia più impegnativo orientarsi verso la scelta del biologico. Molto vicini al biologico sono i metodi di coltivazione adottati dall’azienda Renzi: l’innovazione tecnologica ci ha permesso di passare da una produzione tradizionale, con utilizzo di prodotti chimici, a una coltivazione ‘a Basso Impatto Ambientale’, regolamentata da un disciplinare della Regione Marche, che consente di utilizzare prodotti che non lasciano residui sui frutti. Si tratta in gran parte di sostanze e metodi di derivazione naturale, come la “confusione sessuale”, che funziona rilasciando ormoni nell’appezzamento del frutteto. Gli ormoni, diffusi con un dispenser, non sono nocivi né per l’uomo né

per la pianta, e inibiscono l’accoppiamento degli insetti dannosi rispettando invece gli insetti benefici come api e coccinelle. Questa scelta, continua Elso, è stata oggetto di forti critiche da parte di mio padre Astorre, che alla fine però si è dovuto ricredere. Mela rosa e pesche le specialità dell’azienda agricola Renzi, particolarmente attenta alla valorizzazione della pesca di Montelabbate (il nostro fiore all’occhiello, commentano i Renzi), identificata da un marchio collettivo di recente istituzione. Anche la mela rosa è una produzione di pregio: si tratta di una varietà di mela rustica che abbiamo salvaguardato dopo l’eliminazione dei filari, ha la caratteristica di maturare dopo la raccolta e, se mantenuta in un ambiente fresco (non necessariamente un frigorifero ma anche una cantina o un sottoscala), si può gustare da ottobre a febbraio senza necessità di conservanti. Molto apprezzato, infine, il Topinambur, tubero dal sapore simile a quello del carciofo, le cui proprietà nutrizionali sono da qualche anno oggetto di riscoperta. I sistemi di impianto dei frutteti sono molto cambiati nel corso degli anni, osserva Elso. Una volta le piante raggiungevano i tre metri e mezzo di altezza, e la raccolta avveniva con l’utilizzo di scale e carri attrezzati; oggi invece è effettuata da terra, per evitare sforzi meccanici e fisici agli operatori. Grande attenzione è riservata alla qualità di ogni singolo frutto: evitiamo di sottoporre le piante a stress per una produzione massiva, i frutti sono diradati a mano, nella fase di crescita, si scartano quelli più piccoli e trop-

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po vicini tra loro, per poter raggiungere una consistenza maggiore anche in grandezza. Orientamenti che oggi definiremmo “consapevoli”, ma che affondano la loro radici in una storia ultracentenaria. Un’immagine scattata probabilmente nel primo decennio del ‘900 ritrae i bisnonni di Elso: la bisnonna era una Donzelli, originaria di Montelabbate, del bisnonno sappiamo solo che proveniva dell’entroterra sopra Urbino. Negli anni ’20 mio nonno tentò la fortuna in America, come molti della sua generazione, ma non gli andò troppo bene e per tornare a casa dovette farsi spedire i soldi dalla nonna, rimasta in Italia. La mia famiglia, prosegue Elso, possedeva un piccolo podere situato nei pressi della chiesa di Ripe di Montelabbate, dove nacquero mio padre Astorre, suo fratello Venerino e le loro quattro sorelle. La posizione scomoda del terreno e la sua natura, inadatta a colture che non fossero i cereali, convinsero il nonno a venderlo dopo la guerra, perché i suoi proventi erano troppo scarsi per la famiglia. I Renzi si trasferiscono così a San Pietro in Calibano (dal 1945 Villa Fastiggi, nel territorio comunale di Pesaro), dove fino al 1953 conducono a mezzadria un podere nel quale coltivavano ortaggi e allevavano mucche da latte, venduto anche in città. Dal 1953 al 1960 Astorre e la sua famiglia si spostano a Fiorenzuola, in un’azienda di circa 11 ettari nelle vicinanze del faro, dove sempre a mezzadria conducono un podere con coltivazioni di cereali, olivi e vite. Il vigneto era coltivato non nei soliti filari ma in gradoni, precisa Elso. Nel 1960 ci siamo trasferiti qui in via Abbadia, e nel 1973 abbiamo acquistato l’azienda che prima gestivamo come mezzadri. Dalla prevalente coltivazione di barbabietola da zucchero e cereali l’azienda subisce una graduale trasformazione e il terreno seminativo viene completamente converti-

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to in frutteto e vigneto: fino al 2000 tutta l’uva raccolta era consegnata alla cantina sociale di Morciola, ma negli ultimi anni abbiamo eliminato i vigneti, sostituiti con i pescheti. Impegnata nella promozione dei valori di una sana alimentazione, l’azienda agricola Renzi è anche fattoria didattica, spesso meta di visite da parte di classi di scuole elementari e medie della zona. E’ importante che tutti ci adoperiamo per trasmettere la cultura alimentare del nostro territorio, afferma Elso, che con la nuova struttura ristorativa intende mettere a frutto (è proprio il caso di dirlo) l’esperienza avuta da ragazzo, prima come cameriere in riviera e poi come titolare di un ristorante a Gabicce Mare. Manca lo spazio per dar conto di tutti gli spunti sfiorati nel corso di questo bell’incontro. Come sempre, speriamo che dalle pagine di “Promemoria” possa emergere almeno in parte la vitalità che il racconto del nostro passato ha saputo suscitare, chiaramente percepibile nella voce dei nostri testimoni. Vicino alle foto color seppia spunta un dolce fatto in casa - una ciambella marmorizzata al cioccolato, accompagnata da una bottiglia di vino speciale. Il contesto spoglia di ogni retorica l’idea, ribadita a turno da tutti i presenti, che l’agricoltore è legato a filo doppio alla natura, sente il trascorrere delle stagioni, abita – diremmo – il luogo in cui vive con una diversa consapevolezza del rapporto con l’ambiente e di quello con i suoi simili. Per noi le piante sono un po’ come delle creature di casa, se un albero si ammala anche noi ci sentiamo meno bene, sorride Roberto Pedini. Mio nonno era cieco, ma ha sempre parato le pecore da solo, gli fa eco Pietro Paolo Mariotti. Andava anche a prendere l’acqua, e non ha mai rotto un orcio. Certo, abbiamo faticato molto, ma va bene così. Io, in fabbrica, neanche morto.

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Montelabbate, 1960. La famiglia Renzi riunita sull’aia (raccolta Famiglia Elso Renzi, Montelabbate).

La Confederazione italiana agricoltori (Cia) opera in Italia, in Europa e a livello internazionale per il progresso dell'agricoltura e per la difesa dei redditi e la pari dignità degli agricoltori nella società. Organizza gli imprenditori agricoli e tutti coloro che sono legati all'attività agricola da rapporti non transitori. La Cia si articola in associazioni di categoria, istituti e società che operano per la sicurezza alimentare e la salvaguardia dell'ambiente, nel campo dell'assistenza previdenziale, sociale, sanitaria, fiscale e tributaria, della consulenza tecnica, della formazione, dell'assicurazione, dell'agriturismo, dell'agricoltura biologica e per la tutela degli anziani, delle donne e dei giovani. La confederazione ha rappresentanti nei maggiori organismi internazionali, comunitari, nazionali, regionali e provinciali. Fondata nel dicembre del 1977 come Confederazione italiana coltivatori, al suo quinto congresso (giugno del 1992), ha modificato la sua denominazione e ha assunto, appunto, quella di Confederazione italiana agricoltori per valorizzare il ruolo moderno dell'agricoltore e della sua impresa. La Cia è una delle più grandi organizzazioni professionali agricole europee. Gli iscritti sono oltre 900.000, di cui circa 300.000 imprenditori agricoli e per il restante lavoratori agricoli subordinati, compartecipanti familiari, coadiuvanti, tecnici, pensionati. La Confederazione ha una struttura nazionale e sedi regionali, provinciali e locali. La Cia è presente in tutte le regioni e le province e ha una sede di rappresentanza a Bruxelles. Le sedi zonali permanenti sono 417 e assicurano una presenza capillare dei nostri operatori nella maggioranza dei comuni italiani: la sede di Pesaro si trova in piazzale Garibaldi n. 16 (tel 0721 35088; pesaro@cia.it; www.ciamarche.org).

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Montelabbate,

il “colle dei peschi”

Sopra: Sagra delle Pesche 1948 - Montelabbate (Pesaro), cartolina (raccolta privata, Pesaro); a destra: Sagra delle Pesche 1950, diploma di medaglia di bronzo rilasciato a Luigi Bonazzoli; sotto: Montelabbate, fine anni Sessanta-primi anni Settanta del ‘900 (Archivio Pro Loco di Montelabbate). nella pagina seguente, in alto: Sagra delle Pesche, 1962 (raccolta Fam. Marconi, Montelabbate. Le fotografie sono state acquisite nel 2007, all’avvio del lavoro di ricerca della Memoteca Pian del Bruscolo).

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La Sagra delle Pesche. Documentata almeno dalla metà degli anni Trenta, la tradizione di dedicare alla pesca di Montelabbate una giornata di festa viene istituzionalizzata a partire dal 1946. Nel 1948 la festa diventa ufficialmente una “Sagra”: pare che la denominazione sia stata suggerita dal vescovo di Pesaro monsignor Bonaventura Porta, ritratto in una cartolina dell’epoca nell’atto di benedire un alberello di pesco. Nel 1935 il segretario comunale Pasquale Bartolomei aveva addirittura suggerito di cambiare il nome di Montelabbate in Colle dei Peschi, esprimendo le motivazioni della sua proposta in una curiosa poesia pubblicata lo stesso anno su una cartolina: Soave balsamo/ per i tuoi liti/ Peschi fioriti/ spargono ognor... Salve o amenissimo/ Colle dei Peschi/ te così piacemi/ oggi appellar;/ e te nei secoli/ Colle dei Peschi/ piaccia al tuo popolo/ ribattezzar! In realtà la diffusione della pesca nella valle del Foglia risale a tempi ben più lontani, come attesta una lettera del 1577 con la quale Vittoria Farnese, moglie del duca di Urbino Guidubaldo II, ringrazia Livia Rota Leonardi, moglie del conte di Montelabbate Francesco Maria Leonardi della Rovere per le belle et buone persiche ricevute. Non mancano rappresentazioni allegoriche della pesca locale: un esemplare gigante troneggia su un carro realizzato per il carnevale 1938, circondato da quattro figuranti nel ruolo delle stagioni; anche nel dopoguerra la pesca è protagonista delle sfilate, insieme con temi di più vasto interesse. Alcune testimonianze dirette riferiscono che anche nell’immediato dopoguerra si realizzò un carro di carnevale con una pesca di grandi dimensioni, composta di scaiola e tela di iuta, ideata e dipinta con l’arte di Guerrino Barbaresi. Si componeva di quattro spicchi, sostenuti da intelaiature e capaci di aprirsi all’occorrenza. Nel carro infatti vi erano figuranti vestiti in costume, di cui uno dotato di una poderosa sciabola con la quale fingeva di tagliare il frutto. La finta sciabolata dava l’avvio al lento abbassarsi dei quattro spicchi; con sorpresa, dal suo interno emergeva un uomo incoronato a re, il re della pesca, il sig. Domenico Marcolini (Rita Luccardini, Storia della Pro Loco di Montelabbate, p. 59). Nel 1962 alla Sagra delle Pesche, giunta alla XVII edizione, si affianca il I Convegno frutticolo, i cui atti riportano alcuni dati sulla coltivazione di pesche di quegli anni: nella bassa-media valle del Foglia sono censiti circa 200 ettari di pescheti, con una produzione complessiva di 60-70mila quintali. Nel corso degli anni il programma dell’iniziativa si arricchì di occasioni ricreative, che coinvolgevano l’intero paese attirando a Montelabbate un gran numero di persone: spicca, nel 1971, l’elezione della “Reginetta delle Pesche”, con un concorso riservato alle signorine di nazionalità straniera (Luccardini, cit., p. 74). Sono gli anni in cui, a Montelabbate come in tante altre feste dei dintorni (una per tutte, la Sagra della Quaglia di Ginestreto), si registra la presenza di vere e proprie star della musica, da Nada a Rocky Roberts, da Rita Pavone e Teddy Reno a Little Tony, fino ai Rockets, il cui debutto italiano avvenne a Pesaro nel luglio 1977. Il momento più importante della sagra montelabbatese era però l’asta delle pesche, per lunghi anni condotta dal banditore Enzo (Mario) Marconi, uno dei primi Testimoni della ricerca della Memoteca Pian del Bruscolo. La fotografia in alto a sinistra, datata 26 agosto 1962, reca sul retro una dedica di Giocondo Luccardini, segretario del Comitato organizzatore della Sagra a Mario, in segno di riconoscenza per la sua generosa collaborazione alla manifestazione. Giunta al settantesimo anno di età la Sagra delle Pesche di Montelabbate, organizzata dalla Pro Loco con la collaborazione degli Enti locali, è una delle iniziative più longeve della provincia di Pesaro e Urbino. Dal 2011 la pesca di Montelabbate, caratterizzata da un sapore particolarmente gustoso e zuccherino, è riconosciuta da un marchio collettivo, istituito con atto della Giunta Comunale di Montelabbate n. 31 del 4/05/2011, approvato dal Consiglio Comunale in data 23/05/2011.

Pesaro, 2011, presentazione del marchio “Pesca di Montelabbate”. Da sinistra: Fernando Andreuccioli, Elso e Francesco Renzi, il sindaco di Montelabbate Claudio Formica e Donato Mariotti. promemoria_numerosei

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Anima verde. “Donne rurali” nei ricordi di Teresa Bracci in collaborazione con Coldiretti Pesaro e Urbino*

Dal 1954 Teresa Bracci si impegna insieme con Coldiretti per un mondo migliore. Uno sguardo al femminile

su sessant’anni di vita nelle nostre campagne conversazione di

Pesaro, ottobre 2013. Elegantissima nel suo twin-set nocciola ravvivato da molteplici toni di rosso, impeccabilmente truccata e pettinata nonostante la pioggia battente e dotata di un savoir-faire di tempi lontani, che si sprigiona alla prima stretta di mano, la signora non sembra avere granché della “donna rurale”. Almeno secondo lo stereotipo. Mai fidarsi degli stereotipi, però: e infatti è proprio Teresa Bracci la giovane donna immortalata alla macchina da cucire sulla prima pagina del primo numero di “Donne rurali”, quindicinale Coldiretti, datato 30 dicembre 1954. A quasi sessant’anni fa risale l’ingresso di Teresa tra le fila di Coldiretti (ma in realtà collaboravo con l’Associazione già dal 1952, precisa), la federazione dei coltivatori nata nel 1944. Coldiretti per me è una seconda famiglia, afferma orgogliosa: non si fatica a crederle, scorrendo un’impressionante sequenza di cariche e riconosci-

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menti ottenuti in oltre quarant’anni di attività, tra i quali alcune medaglie d’oro (assegnatele dall’E.P.A.C.A. - ente di patrocinio e assistenza Coldiretti, dalla Federazione Nazionale Pensionati Coldiretti e dalla Camera di Commercio di Pesaro e Urbino, quest’ultima per i quarant’anni di attività) e il titolo di Cavaliere del Lavoro, conferitole dal presidente Sandro Pertini nel 1981. Il suo impegno in Coldiretti continua tuttora: Teresa è oggi presidente provinciale e vicepresidente nazionale di Federpensionati, uno dei settori dell’Associazione. Nata a Pietrarubbia da una famiglia di coltivatori che, sottolinea subito, mi hanno trasmesso degli insegnamenti fondamentali, con i loro valori etici e morali, Teresa si avvicina a Coldiretti grazie a una conoscente. Negli anni in cui ero studente a Pesaro, presso l’Istituto Magistrale, stavo a pensione da una signora la cui figlia era impiegata al Provveditorato agli studi. Proprio da lei mi promemoria_numerosei


arrivò la proposta di frequentare, a Roma, il primo corso per insegnanti di economia domestica nelle campagne, che Coldiretti stava organizzando. Mi ero appena iscritta al corso per assistenti sociali a Urbino, e l’argomento mi apparve subito interessante: vengo da una realtà contadina, e già allora ero consapevole dell’importanza di istruire le donne, alle quali era affidata la gestione della casa ma che spesso svolgevano nei campi anche i lavori più pesanti. Tra le materie dei corsi, documentati tra l’altro da una bella raccolta fotografica ed emerografica custodita nell’archivio storico della sede Coldiretti di Pesaro, figurano puericultura, economia domestica, igiene e infortunistica, organizzazione sindacale e pollicoltura. Pollicoltura? Sì, nel dopoguerra la domanda di carne e uova aumentò, e l’al-

levamento dei polli era un’attività relativamente semplice da impiantare anche in spazi ridotti. Per le famiglie rappresentava

un’entrata in più: spesso se ne occupavano proprio le donne. A Roma Teresa entra in contatto con molte personalità del periodo, tra le quali il fondatore e primo presidente di Coldiretti Paolo Bonomi, deputato democristiano alla Costituente e al Parlamento, vicino ad Alcide De Gasperi. C’era ancora Pio XII, con la sedia gestatoria... quanti papi ho visto nella mia vita! si schermisce non senza un po’ di civetteria, ben sapendo che gli anni e le fatiche quotidiane assai poco hanno inciso su una vitalità per niente appannata dai casi della vita. Nel maggio scorso con i dirigenti Coldiretti siamo stati anche in udienza da Benedetto XVI. Quando sono tornata a Pesaro il direttore della sede provinciale mi ha proposto di organizzare un corso di economia domestica nel mio comune, da lì abbiamo tenuto lezioni un po’ in tutta la provincia, per esempio a Orciano, Carignano, Colombarone... Pur con qualche diffidenza - comprensibile in una società che solo nel 1946 aveva concesso il voto alle donne - i corsi riscuotono grande successo, e a Teresa viene offerto un posto in Coldiretti, dove era da poco stato istituito il patronato E.P.A.C.A. Era tutto da inventare, ricorda con fervore. Nel 1955, appena arrivata in ufficio, dopo un periodo di

Alcune tra le più significative tappe della vita lavorativa di Teresa Bracci. Sopra, in senso orario: Pietrarubbia, 1954. Primo corso per donne rurali: Teresa è in primo piano, con la giacca bianca. Roma,1974. XIV Convegno nazionale dirigenti E.P.A.C.A. Roma, 1955. Foto di gruppo per le allieve del I corso E.P.A.C.A. A destra: 1986, XXI Convegno nazionale dirigenti E.P.A.C.A., le prime quattro donne dirigenti del patronato. Teresa è a destra nella foto, con il tailleur nocciola (raccolta Teresa Bracci e Archivio Coldiretti Pesaro e Urbino).

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“La donna rurale”, numero I, 30 dicembre 1954. Sulla prima pagina Teresa Bracci durante una lezione di cucito (raccolta Teresa Bracci). Nella pagina seguente: Pesaro, Cinema Astra, novembre 1959. I Convegno delle donne rurali (“Il Resto del Carlino”, 25 novembre 1959, Archivio Coldiretti Pesaro e Urbino).

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prova, trovai ad attendermi 700 pratiche, quasi tutte riguardavano i danni di guerra. In più era stata appena approvata la legge 1.136 (22 novembre 1954 n.d.r.), con cui si estendeva l’assistenza malattia ai coltivatori diretti: prima gli agricoltori stipulavano contratti personali con il medico o il veterinario, ma non tutti potevano permetterselo. L’altra grande conquista, la pensione ottenuta con l’estensione dell’assicurazione per l’invalidità e vecchiaia, arrivò nel 1957. Avevo uno stipendio di 22.000 lire al mese, 18.000 se ne andavano per pagare l’affitto della camera, lavoravamo anche dopo cena per non restare indietro con le pratiche. Nel 1958 divenni dirigente, ma pur avendo una quindicina di collaboratori (a Pesaro ricordo Annamaria Guerri e Filiberto Giunti), ho sempre mantenuto i contatti con il pubblico, il mio ufficio era sempre aperto. Nel 1995 Teresa raggiunge l’età della pensione. In occasione della nascita di Giulia, la prima nipotina, lascia l’ufficio ma non l’impegno sociale: quasi subito, infatti, viene eletta presidente provinciale di Federpensionati. Un ruolo che mi ha permesso di mettere a frutto l’esperienza maturata in tanti anni, e che ancora mi dà tante soddisfazioni e stimoli. Compreso il “battesimo dell’aria”: sì, perché pochi anni fa per la prima volta sono salita su un aereo, per raggiungere Palermo, dove si teneva l’assemblea nazionale della nostra associazione. Spesso Coldiretti inseriva nei suoi programmi dei viaggi per i corrispondenti locali, ma un po’ per gli impegni di famiglia, un po’ perché avevo paura dell’aereo non ho mai colto queste occasioni. Impossibile elencare tutti i gruppi di studio e lavoro ai quali Teresa ha dato il suo apporto, dal Comitato provinciale INPS alle Commissioni Pari Opportunità della Regione Marche e del Comune di Pesaro, fino al gruppo di studio Coldiretti sulla legge Turco per il welfare, nei primi anni Duemila. Tra le esperienze promemoria_numerosei


più significative non esita a segnalare il viaggio a Lourdes con l’UNITALSI: davvero ci si sente più vicini al Signore, è un’incredibile lezione di vita incontrare i malati, si torna più sereni e grati per quello che abbiamo, noi che siamo abituati a lamentarci anche senza ragione. Domani Teresa sarà a Roma, insieme con i dirigenti della sede provinciale di Coldiretti. Per niente impensierita dalla levataccia (partiremo verso le cinque di mattina, osserva sfogliando l’agenda), corre a casa a preparare il pranzo per le sue “nipotine” Giulia (il nome di mia mamma), 18 anni e la dodicenne Elena, legatissime alla nonna. Due nipoti, due figlie (Susanna Maria e Nadia Maria), Giuseppe, un marito mancato troppo presto, e un numero imprecisato di pratiche portate a termine con successo: in mezzo, una vita impegnativa affrontata con il sorriso sulle labbra. Non esco mai senza rossetto, sarà perché sono sempre stata al pubblico, ma anche quando porto via la spazzatura o vado a fare la spesa cerco di avere un certo decoro. Il decoro, già. Dovremmo tutti tenerlo bene a mente. * L’articolo è apparso sul numero 0 di “In cucina con la Dirce”, supplemento a “Promemoria” n. 5 (novembre 2013).

Con un milione e mezzo di associati Coldiretti (Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti) è la principale Organizzazione degli imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo. Fondata da Paolo Bonomi il 30 ottobre del 1944 come sindacato di piccoli imprenditori agricoli, si è affermata nel tempo come la principale associazione agricola italiana e associa oggi oltre un milione e mezzo di imprese operanti nell’agricoltura. Sul finire del Novecento ha esteso la propria rappresentanza dalle imprese singole alle cooperative, dal settore agricolo a quello della pesca, dall’agricoltura tradizionale ai mercati di Campagna Amica fino all’apertura della prima catena di vendita diretta organizzata degli agricoltori italiani, con il progetto Filiera agricola tutta italiana. La sua diffusione è capillare su tutto il territorio nazionale: 19 federazioni regionali, 97 federazioni interprovinciali e provinciali, 724 Uffici di Zona e 5.668 sezioni comunali. Del sistema Coldiretti fanno parte UE.COOP che associa le cooperative, Creditagri Coldiretti, il più importante confidi italiano del settore agricolo e agroalimentare, e la Fondazione Campagna Amica della quale fanno parte circa 850 farmers’ market, i mercati degli agricoltori, migliaia di punti di vendita diretta e gli agriturismi associati a Terranostra. Il nome della Coldiretti è legato a Paolo Bonomi che nel 1944 la fondò e ne fu Presidente fino al 1980. ​Nato a Romentino (Novara) nel 1910 da una famiglia di agricoltori e laureato in scienze economiche e commerciali, Bonomi manifesta sin da giovane interesse e passione per le problematiche sociali. Si accosta al settore organizzativo dei contadini nel settembre del 1943, quando viene nominato Commissario della Federazione Coltivatori Diretti. Entrato in politica e fondata, il 30 ottobre 1944, la Coldiretti, fa parte, designato dalle Associazioni agricole, della Consulta nazionale durante il Governo provvisorio dello Stato e il 2 giugno 1946 viene eletto deputato della Costituente nelle file della Democrazia Cristiana. Sarà rieletto nella prima legislatura del nuovo Parlamento Repubblicano e riconfermato sempre con larghi consensi del mondo contadino sino al 1980, anno in cui passò il testimone divenendo presidente onorario. Morirà nel 1985.

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Dieci minuti di tramonto. La terra secondo le donne in collaborazione con Coldiretti Pesaro e Urbino

Già apparsa sulle pagine 4 di “Promemoria”,

del numero

Alice Aiudi ci racconta la sua esperienza di giovane imprenditrice agricola , con l’azienda agricola Montelippo conversazione di

Cristina Ortolani

“Tornare alla terra”. Se ne parla molto, da qualche tempo, e anche nella nostra regione i dati sembrano confermare il trend di una riscoperta dell’agricoltura da parte dei giovani, sempre più attratti dalla possibilità di diventare imprenditori del made in Italy enogastronomico. Nel 2013 si è registrato nelle Marche un aumento delle ‘nascite’ di imprese agricole gestite da under 35 con 153 nuove aperture, contro le 113 del 2012, e per la maggior parte si è trattato di ragazzi non impegnati precedentemente nel lavoro agricolo (dati Infocamere-Stockview, indagine Coldiretti Marche). I dati Istat parlano poi di circa ottomila giovani che lavorano stabilmente in campagna, come conduttori aziendali o prestando manodopera: quasi la metà è titolare di impresa. Anche su scala nazionale i dati relativi all’occupazione nelle imprese agricole appaiono incoraggianti, con un aumento del 9% nelle assunzioni di under 35, nonostante gli effetti negativi provocati dal maltempo sulle coltivazioni e i segnali depressivi sui consumi che hanno interessato anche l’agroalimentare. (Per contro, la disoccupazione giovanile ha fatto registrare nel gennaio 2014 il massimo storico da trentacinque anni a questa parte con oltre il 42% di disoccupati tra i 15 e i 24 anni). Protagonista a tutti gli effetti di questa ‘rinascita’ è Alice Aiudi, titolare insieme con il fratello Andrea dell’Azienda agrituristica Montelippo di Capponello di Vallefoglia (ex Colbordolo), una

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delle più all’avanguardia nella nostra zona, che nel giro di pochi anni ha saputo guadagnarsi, oltre all’affezionata fiducia dei clienti, anche una serie di riconoscimenti che vanno dalla certificazione “Agriturismo Campagna Amica” di Coldiretti al “certificato di eccellenza” di TripAdvisor. Quarant’anni appena compiuti, Alice parla dell’impresa di famiglia come di un sogno realizzato. Dopo un passato nella ristorazione, insieme con i genitori Giuliano e Ivana e il fratello Andrea, al termine di una ricerca durata qualche anno Alice ha acquistato nel 2004 l’antico “casino Montelippo”, che una targa sul cancello d’ingresso data al 1910 e che, dopo accurati restauri, nel 2011 ha accolto i primi clienti della “Locanda Montelippo”. Da sempre sognavo un’attività che potesse unire me e la mia famiglia, un mestiere da condividere con i miei famigliari e l’azienda agricola, alla quale poi in modo molto naturale si è aggiunto l’agriturismo, ha concretizzato questo mio desiderio. Certo, ognuno di noi ha i suoi spazi, dei quali è responsabile. Giuliano sovrintende infatti all’azienda agricola, Ivana segue l’amministrazione e Andrea porta in cucina la preziosa esperienza maturata in quindici anni di lavoro in Italia e all’estero, dove è stato executive chef di una prestigiosa catena alberghiera. Nell’azienda mi occupo in particolare dei piccoli frutti, una nostra specialità (lamponi, ribes, uva spina, more, fragoline di bosco, coltivati su un appezzamento di circa duemila metri quadrati), continua Alice, alla quale tra ristorante e locanda è affidata anche l’accoglienza degli ospiti, che a Montelippo si sentono proprio “come a casa”. Per noi questo aspetto è molto importante, sottolinea: sia per la cucina sia per l’alloggio facciamo di tutto per far sentire i clienti “in famiglia”. Chi entra a Montelippo, per una breve sosta nel corso di un viaggio di lavoro o per un più consistente soggiorno nella pace delle nostre colline, non può fare a meno di notare il grande tavolo ovale che troneggia nella prima sala della Locanda. Seduti a questo tavolo, con i clienti

Locanda Montelippo, (Capponello di Vallefoglia), novembre 2012. Un’immagine della facciata, Alice e Andrea Aiudi (fotografie Lorenzo Di Loreto).

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concordiamo i dettagli di un pranzo di nozze, offriamo ai nostri ospiti un caffè all’arrivo o con loro scambiamo due chiacchiere prima di salutarci. Il rapporto con i clienti è uno degli aspetti più piacevoli delle mie giornate, sorride Alice. Molti gli italiani nel guest book di Montelippo (specie dalle grandi città, Milano, Roma...), così come gli europei (tedeschi e olandesi, soprattutto), ma non mancano persone provenienti da paesi più lontani, per esempio l’India. Si tratta in genere di clienti informati, che scelgono il nostro agriturismo anche per la qualità del cibo che offriamo, completamente tracciabile: a Montelippo, infatti, si può conoscere la storia di ogni singolo prodotto portato in tavola o trasformato in squisite marmellate, conserve, composte o succhi, acquistabili nel punto vendita aziendale adiacente alla Locanda. Tutto quello che serviamo è coltivato da noi; mio fratello crea i menu a seconda della stagione, e ciò che non utilizziamo a tavola viene trasformato. Grazie ai nostri cinquemila metri quadri di orto, che i nostri ospiti spesso visitano, siamo autosufficienti per le verdure, mentre alcune carni e i vini provengono da aziende del territorio che condividono i nostri valori. Nella vicina fattoria, lontano dalla zona urbana, gli Aiudi allevano soprattutto caprini per l’utilizzo diretto nella Locanda e animali da cortile quali galline, oche, faraone, conigli. Abbiamo anche un uliveto di un ettaro, suddiviso tra vari appezzamenti, aggiunge Alice, che proprio in questi giorni è alla ricerca di nuovi terreni per ampliare l’attività. Un’azienda agricola di tutto rispetto, fonte di grandi soddisfazioni ma che comporta un lavoro decisamente impegnativo: la terra è bassa, commenta Alice con un vecchio detto contadino, e non ha orari ma stagioni. Capita spesso che ragazzi in cerca di lavoro si avvicinino a noi, ma sono pochi quelli che restano, solo i più motivati, quelli che realmente amano la vita della campagna. Noi contadini dipendiamo dal clima, per la raccolta della frutta non c’è sabato né domenica... Tutt’al più ti può capitare di riposare nei giorni di pioggia, o in certe giornate d’inverno, e non tutti riescono a adeguarsi a certi ritmi, a certe modalità. Questo è un lavoro che puoi fare solo per passione. Già, la passione. Quella che Alice ha ereditato dai nonni materni, Lena e Dino, presso i quali ha trascorso giorni indimenticabili della sua infanzia, nel podere di Fermignano, dove passava i fine settimana e le vacanze estive. I nonni avevano un orto di due ettari, e vendevano i loro prodotti nei mercati della zona, anche a Urbino, nella piazza delle Erbe. Della fattoria mi ricordo le camere da letto sopra la stalla: come in quasi tutte le case delle nostre campagne non c’era il riscaldamento, e la camera da letto si trovava sopra la stalla, l’ambiente più caldo della casa. Poi il grande camino della cucina, che a noi bambini sembrava addirittura enorme, le mucche, ma soprattutto mi resta nella mente 94

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un’immagine: le cassette di verdura tenute al fresco nell’acqua della fonte. Ricordi che Alice, insieme con la sua famiglia, ha trasfuso in una quotidianità scandita dai ritmi della terra ma anche dall’attenzione costante a migliorare la propria attività e, in prospettiva, il proprio territorio. Sono in Coldiretti da poco, solo dal 2008, prosegue, ma in questi ultimi anni ho notato un’accelerazione del processo di rinnovamento. Se pensi che Tommaso Di Sante, il nostro presidente regionale, non ha ancora quarant’anni, che il presidente nazionale Roberto Moncalvo ne ha trentatre, e che il presidente di Coldiretti Giovane Impresa è una ragazza di poco più di venticinque anni, Maria Letizia Gardoni, ti rendi conto che davvero nel settore c’è una trasformazione profonda. Da notare che i “Giovani imprenditori” Coldiretti sono giovani davvero: da noi il limite di età per essere considerati tali è di trent’anni, e non di quaranta come in altri simili raggruppamenti. Certo, c’è ancora molto lavoro da fare. Per esempio, sono ancora poche le imprenditrici, l’orizzonte delle donne resta ancora più legato alla famiglia, ai figli. Lavorano magari nell’azienda del marito o del padre o del fratello, ma sono poche le “coraggiose” che decidono di avviare un’impresa in prima persona. E pensare che quando ci si mettono sono bravissime: alle riunioni, per esempio, arrivano con le idee chiare e con delle proposte e richieste precise. Non perdono tempo in chiacchiere, perché hanno da seguire mille cose. Come rappresentante provinciale di Donne Impresa Coldiretti, conclude Alice determinata, cerco di ampliare il più possibile il nostro gruppo. Dobbiamo farci conoscere, se nessuno ti conosce e conosce la tua attività perdi la possibilità di incidere non solo nel tuo lavoro, ma anche nell’economia del tuo territorio. “Incidere” sull’economia ma soprattutto, vien fatto di pensare di fronte all’espressione sorridente di Alice, sulla qualità di vita di un territorio. “Tornare alla terra” non è scelta per tutti, ma per tutti può essere quel rapporto diverso con il tempo che Alice sagacemente individua come uno degli snodi di questa sua ‘nuova’ vita. Guarda il tramonto, per esempio. Anche in questi tempi difficili ti torna l’idea di una volta, di prenderti dieci minuti per seguire il sole che cala dietro la collina. Ce l’hai lì, non devi uscire dalla fabbrica o dall’ufficio, per vederlo.

Locanda Montelippo, 18 gennaio 2013. Alice e Andrea Aiudi (al centro) ricevono la targa di Agriturismo “Campagna Amica” Coldiretti. Nella foto, insieme con Alice e Andrea, si riconoscono da sinistra:Tommaso Di Sante, presidente regionale Coldiretti, Alberto Drudi, presidente della Camera di Commercio di Pesaro e Urbino, Sandro Tontardini, fino al dicembre 2013 assessore alla promozione del territorio del soppresso Comune di Colbordolo e Otello Renzi (fotografia Archivio Locanda Montelippo)

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Le rose, e le spine. Dalla Sardegna a Monteciccardo Le campagne di Monteciccardo Sessanta numerose famiglie sarde,

hanno accolto dagli anni

che nel nostro territorio hanno avviato apprezzati caseifici e aziende agricole di

I Delà di Monte San Giovanni C’erano le rose, ma c’erano anche le spine. In queste parole, pronunciate con il sorriso ruvido di chi in fondo è soddisfatto delle proprie fatiche, la signora Maddalena Sanna Delà racchiude i suoi ricordi. Seduti intorno al grande tavolo della casa di Monte San Giovanni, la voce della signora Maddalena si è intrecciata con quella di suo marito Pietro Delà, recentemente mancato, nel racconto di una vita tra la Sardegna e Monteciccardo, dove oggi la famiglia Delà possiede un’importante azienda agricola,

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produttrice di ottimi formaggi tra cui un apprezzatissimo pecorino a latte crudo. Pastori sardi, come orgogliosamente si definiscono, i Delà sono originari di Bitti, in provincia di Nuoro, una zona tradizionalmente vocata alla pastorizia. Arrivato a Pesaro nel 1960, per il servizio militare, Pietro Delà decide di fermarsi nelle nostre campagne per tentare la fortuna, al pari di tanti altri conterranei: abbiamo iniziato a Fano, vicino al campo di aviazione, dove all’epoca c’erano campi adatti al pascolo, ci raccontava Pietro e, dopo un paio d’anni, ci siamo spostati qui a Monte San Giovanni. Avevamo dei soci, ma poi abbiamo proseguito per conto nostro, per un po’ hanno lavorato con noi i miei fratelli Filippo e Pasquale, poi Filippo ha avviato una propria attività a Montegaudio, mentre Pasquale è tornato in Sardegna. Oggi l’azienda si estende su una superficie di 150 ettari, distribuiti tra quattro comuni (Monteciccardo, Mombaroccio, Serrungarina e Montefelcino): dall’alto dei 400 metri del Monte San Giovanni si domina lo splendido paesaggio tra le vallate del Foglia e del Metauro. Il casolare dei Delà, che affianca la stalla e i moderni locali destinati alla lapromemoria_numerosei


vorazione e alla vendita dei prodotti, è accogliente e confortevole ma, dice la signora Maddalena, non è sempre stato così: la luce è arrivata negli anni Settanta, e una volta, come nella maggior parte delle case di campagna, non c’erano i vetri alle finestre… la neve scendeva sul letto e l’acqua si andava a prendere con i secchi. Prima eravamo in affitto, poi un po’ alla volta abbiamo comprato la casa e le terre. Dopo un periodo di avviamento dell’attività, Pietro è raggiunto dalla famiglia: insieme con Maddalena arrivano qui anche i genitori di Pietro, Giovanna e Antonio. Per loro, abituati a un tipo di vita completamente diverso, l’incontro con la nostra realtà è ancora più difficile: strappati alle loro consuetudini, alla loro lingua, nei primi tempi stavano qui come ‘cani arrabbiati’, hanno sofferto molto. Del resto, anche per noi che eravamo più giovani non è stato facile ambientarci, anche perché, dice Maddalena con qualche rammarico, non c’era una cultura dell’integrazione come quella di oggi, e i servizi per chi arrivava da fuori erano ancora scarsi. Alla famiglia Delà si deve l’introduzione nelle nostre campagne della razza ovina sarda, oggi assai diffusa: abbiamo portato qui anche certe tecniche di lavorazione del formaggio... queste non erano terre per la pastorizia a pascolo libero, è stato necessario un lungo processo di adattamento. Per esempio, avevamo grandi difficoltà con l’alimentazione delle bestie, che è uno dei principali fattori per la qualità dei prodotti. Con la loro caparbietà e intraprendenza, i Delà hanno aperto la strada ad altre fami-

glie sarde, che negli anni Sessanta-Settanta del ‘900 si sono trasferite nella nostra provincia e in tutte le Marche importandovi la loro arte dalla storia millenaria. L’azienda agricola Monte San Giovanni conta oggi su un gregge di 600 pecore, e non è infrequente, per chi percorre in auto queste colline, dover rallentare per qualche minuto l’andatura per consentire agli animali di tornare all’ovile: un’esperienza che sembra fermare il tempo, regalando al guidatore frettoloso attimi preziosi per assaporare il panorama. L’attività è oggi gestita dai figli di Maddalena e Pietro: Antonello, Mariano, Sara, Marianna e Gianni che portano avanti la tradizione di famiglia, adeguando le antiche tecniche di lavorazione alle attuali esigenze del mercato: oggi abbiamo un nome, ci conoscono dappertutto…, afferma con passione Antonello, che non nasconde l’amore per il suo lavoro quando descrive nei dettagli le diverse fasi della produzione del formaggio. Con la Sardegna i Delà hanno mantenuto un forte legame: al loro paese tornavano spesso, almeno in occasione della grande festa della Madonna del Miracolo, alla fine di settembre. Ma della Sardegna, cosa avete portato qui? chiediamo prima di salutarci, mentre l’occhio si sofferma sul ritratto dei genitori di Maddalena, che occhieggiano severi da una delle pareti. Il mestiere, conclude Maddalena, e la pasta, le fa eco la nuora Diba, monteciccardese doc, moglie di Mariano, mentre la loro figlia Eleonora corre verso la stalla, per assistere alla mungitura delle pecore.

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In questa pagina, alcune immagini dalla raccolta della Famiglia Filippo Delà (Montegaudio di Monteciccardo). Nella pagina precedente, fotografie dall’Album della Famiglia Pietro Delà (Monteciccardo).

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I Delà di Montegaudio L’azienda agricola di Filippo Delà si trova a Montegaudio, ed è oggi gestita dai figli Gianfranco e Antonella: siamo arrivati a Monteciccardo nel maggio 1959, racconta Filippo, eravamo un gruppo di scapoli, io, mio fratello Pasquale, Giorgio Burrai e Francesco De Cortes; nel 1966 si è aggiunta anche la famiglia di mia moglie, Annunziata Pira. Abbiamo portato con noi 600 capi, trasportati con i camion da Civitavecchia a Monteciccardo continua Filippo ricordando i primi, avventurosi tempi nella nostra regione: iniziammo l’attività in via Petricci, poi ci siamo spostati al campo di aviazione di Fano, dove insieme con mio fratello Pietro e altri soci abbiamo preso in affitto una casa. Nel marzo 1960 siamo tornati di nuovo in via Petricci, al confine tra Monteciccardo, Montefelcino, Mombaroccio e Serrungarina, e nel 1961, sempre con Giorgio Burrai, abbiamo cominciato ad acquistare il terreno, fino a quel momento eravamo in affitto. Avviata intorno al settore principale della produzione di formaggio (pecorino e ricotta, soprattutto, che Filippo Delà forniva anche ad alcune tra le maggiori industrie casearie italiane), l’azienda ha in seguito ampliato la propria attività con il commercio all’ingrosso di frutta e verdura. Fino al 1987 abbiamo mantenuto un gregge di circa 250 pecore, quando ci siamo trasferiti qui a Montegaudio, nel 1988, abbiamo venduto il gregge, e ci siamo concentrati sulla coltivazione dei cerali e dei foraggi, aggiunge Filippo. Anche per Filippo e sua moglie Annunziata è d’obbligo qualche domanda sull’impatto con un territorio e una cultura diversi da quelli d’origine: la Sardegna ci manca sempre, afferma Annunziata, che racconta della diffidenza iniziale da parte delle persone del posto, ci trattavano come stranieri, anche se poi abbiamo imparato a fidarci reciprocamente... anche la nostra attività ci causava problemi, perché eravamo visti solo come concorrenti da chi già lavorava il formaggio secondo un’altra tradizione. Uno dei problemi più sentiti era la lingua. Della nostra terra, dove torniamo ormai raramente, abbiamo mantenuto comunque molti usi, soprattutto la cucina. promemoria_numerosei


I Manca La terza famiglia sarda che incontriamo è quella di Salvatore Manca, che a Monteciccardo arriva via Toscana seguendo la rete delle parentele: la signora Caterina Pira, moglie di Salvatore, scomparso pochi anni fa, è infatti sorella di Annunziata Pira Delà (moglie di Filippo Delà). Nel 1967 Salvatore Manca si stabilisce a Palaia, nei pressi di Pontedera (Pisa); trasferitosi nel 1969 a Montegaudio, dove tuttora l’azienda Manca ha sede, Salvatore lavora dapprima come mezzadro per la famiglia Panicali, rilevando nel 1981 l’azienda agricola, il cui territorio si estende per circa 80 ettari. A capo dell’attività, che conta su un gregge di circa 600 capi, ci sono oggi i figli di Salvatore e Caterina. Ci siamo ambientati abbastanza bene, ricorda Caterina, certo, come succede a tutti, abbiamo un po’ faticato a inserirci subito in una realtà profondamente diversa dalla nostra. In fin dei conti ogni luogo ha le sue caratteristiche, e ha degli aspetti positivi e altri, invece, meno buoni. Anche per i Manca la cucina rappresenta uno dei legami forti con la terra d’origine, come la lingua: in casa continuiamo a parlare nella nostra lingua, conclude Caterina, e se sono diversi anni che io non rivedo la Sardegna, mio figlio Giovanni e sua moglie Giuseppina Demelas, sarda anche lei, ci tornano ogni anno.

Sotto: immagini dall’album della Famiglia Salvatore Manca (Monteciccardo).

* L’articolo è apparso con poche varianti in C. Ortolani, Monteciccardo: croncache, storie, ricordi, Fano 2009.

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Pesaro e Urbino, da Meravigliosa Italia, Enciclopedia delle regioni, Marche, Aristea, s.d. ma circa 1960 100

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Mi ricordo quando Pesaro era la “Città delle 4 M”: Mare, Monti, Musica, Maioliche promemoria_numerosei

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Comune di Vallefoglia

La rivista “Promemoria” è realizzata grazie al sostegno di

Questo numero è stato realizzato in collaborazione con

La Memoteca Pian del Bruscolo Dal 2006 la Memoteca Pian del Bruscolo percorre il territorio della provincia di Pesaro, a partire dai Comuni dell’Unione di Pian del Bruscolo, raccogliendo ricordi e testimonianze in un progetto di recupero e valorizzazione della memoria (le memorie) delle nostre comunità locali. Oltre milleduecento persone hanno sinora partecipato alla raccolta del materiale, con fotografie dagli album di famiglia, interviste, segnalazioni di documenti di diverso genere, dalle ricette di cucina alle lettere agli elenchi dei corredi, solo per citarne alcuni: un patrimonio ricco di minute informazioni, grazie al quale la vita quotidiana tra XIX e XX secolo si intreccia con la storia, componendo un quadro sempre più preciso delle trasformazioni avvenute nel nostro territorio. Materiale che, insieme con quello proveniente da archivi comunali, parrocchiali e altri è stato utilizzato per esposizioni, pubblicazioni, filmati, proposti al pubblico in numerose occasioni. Una parte di queste testimonianze è

La Memoteca Pian del Bruscolo - Pubblicazioni e iniziative 2007-2013 2007 > Percorso espositivo Scrigni della Memoria. Sei tappe nei cinque comuni dell’Unione, in occasione di altrettanti eventi programmati dalle amministrazioni. > Partecipazione al II Festival nazionale dell’Autobiografia Città e paesi in racconto di Anghiari (AR). 2008 > Caccia alle tracce. Collaborazione al VII Concorso letterario per piccoli scrittori: lezioni nelle 13 classi partecipanti al Concorso; visita di due classi all’Archivio Comunale di Sant’Angelo in Lizzola; mostra fotografica-documentaria presentata alla 31a Mostra del Libro per Ragazzi di Colbordolo; realizzazione del volume Caccia alle tracce - L’album del concorso, presentato al PalaDionigi di Montecchio. 2009 > Pian del Bruscolo. Itinerari tra storia, memoria e realtà: volume di itinerari tematici intercomunali alla scoperta del territorio dell’Unione Pian del Bruscolo.

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inoltre stata catalogata secondo standard internazionali e inserita sul sito web www.memotecapiandelbruscolo. pu.it, cuore del progetto, luogo virtuale di scambio tra persone e generazioni. Al di là del valore di ricostruzione di un tessuto storico e sociale fatto di dettagli (la microstoria), va segnalato l’interesse che le ricerche della Memoteca hanno suscitato tra le persone coinvolte, portando giovani e anziani, bambini, nonni e “nuovi arrivati” a radunarsi, e non di rado a far festa, intorno ai loro luoghi, scoprendone (o ritrovandone) radici e identità. Una vivacità che caratterizza il lavoro della Memoteca sin dagli inizi e che ne è ormai divenuta la cifra. Come dice Moni Ovadia, che certo di queste cose se ne intende, la memoria è un progetto per il futuro: recuperare le radici significa per noi attingere alla memoria nella sua connotazione più vitale e meno nostalgica, così come emerge dalla quotidiana frequentazione di persone e luoghi dove usi e tradizioni di stampo antico coesistono senza troppi attriti con la contemporaneità.

2010 - 2013 > Nell’Aprile 2010 l’esperienza della Memoteca Pian del Bruscolo è stata al centro della tavola rotonda Vetera componere novis, organizzata dall’Archivio di Stato di Pesaro in occasione della XII Settimana nazionale della cultura. > “Promemoria”: numero 0 (Maggio 2010); numero 1 (Novembre 2010); numero 2 (Giugno 2011); numero 3 (Novembre 2011, presentato nel Marzo 2012); numero 4 (Aprile 2013; numero 5 (Ottobre 2013). > Febbraio 2011: presentazione del primo dei “Quaderni della Memoteca”: Il facchino della diocesi. Giovanni Gabucci (1888-1948). > La Memoteca ha collaborato con il Comune di Sant’Angelo in Lizzola alle prime due edizioni del Piccolo Convegno di Storia Locale (luglio 2007 e agosto 2008) e al progetto editoriale Montecchioracconta storie e memorie di un paese lungo la strada (2007-2009); con il Comune di Monteciccardo la Memoteca ha collaborato alla realizzazione del progetto Monteciccardo, cronache, storie, ricordi (2008-2009). promemoria_numerosei


> Promemoria - periodico culturale testata registrata presso il Tribunale di Pesaro, autorizzazione n. 578 del 9 Luglio 2010 > numero sei > chiuso in redazione il 14 marzo 2014 > direttore responsabile Cristina Ortolani > coordinamento editoriale, immagine e grafica Cristina Ortolani > questo numero è stato realizzato con la collaborazione dei seguenti Uffici stampa e comunicazione: Camera di Commercio Pesaro e Urbino; CGIL Pesaro e Urbino; CIA Pesaro e Urbino; Coldiretti Pesaro e Urbino; Confartigianato Pesaro e Urbino; Confesercenti Pesaro e Urbino; Confindustria Pesaro e Urbino; CNA Pesaro e Urbino > in copertina immagini Archivio Storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola (Vallefoglia); raccolta privata, Pesaro > informazioni memotecapiandelbruscolo.pu.it; info@memotecapiandelbruscolo.pu.it Unione dei Comuni “Pian del Bruscolo”, via Nazionale, 2 61010 Tavullia (PU) - tel. 0721 499077 unionepiandelbruscolo.pu.it; info@unionepiandelbruscolo.pu.it Cristina Ortolani, via Avogadro 39 - 61122 Pesaro cristina@cristinaortolanistudio.it - www.cristinaortolanistudio.it > le immagini appaiono per gentile concessione e con l’autorizzazione degli aventi diritto > il materiale raccolto è stato inserito con la massima cura, tuttavia i responsabili della pubblicazione si scusano per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e restano a disposizione degli aventi diritto per le immagini di cui non è stato possibile rintracciare i titolari del copyright > i testi sono rilasciati sotto la licenza Creative Commons “Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0” (http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0) > la responsabilità dei contenuti dei testi è dei rispettivi autori > stampa Ideostampa srl - Calcinelli di Saltara (PU) la carta utilizzata per la stampa di Promemoria ha ottenuto la certificazione ambientale F.S.C. (Forest Stewardship Council), che identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.

> realizzazione del portale www.memotecapiandelbruscolo.pu.it Servizio Informativo e Statistico - Provincia di Pesaro e Urbino, progettazione della banca dati Michele Catozzi > in collaborazione con Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche - Archivio di Stato di Pesaro e Urbino; Archivio Storico Diocesano di Pesaro > coordinamento organizzativo Vincenza Lilli - Unione dei Comuni Pian del Bruscolo

> grazie ai collaboratori della Memoteca e di Promemoria agli amministratori e al personale dell’Unione dei Comuni Pian del Bruscolo e dei Comuni di Colbordolo (Vallefoglia), Monteciccardo, Montelabbate, Sant’Angelo in Lizzola (Vallefoglia) e Tavullia > per i documenti, i racconti, le fotografie, la pazienza grazie a: Archivio Storico Comunale di Sant’Angelo in Lizzola (Vallefoglia); Archivio Pro Loco di Montelabbate; Archivio Stroppa Nobili, Ginestreto - Pesaro Alice Aiudi - Morciola, Vallefoglia; Stefania Amatori - Sant’Angelo in Lizzola,Vallefoglia; Guido Angeli - Talacchio,Vallefoglia; Alfio Arduini; Rodolfo Bailetti - Sant’Angelo in Lizzola, Vallefoglia; Lilliana Baiocchi - Monteciccardo; Fabrizio Bartolucci - Montecchio, Vallefoglia; Antonio Bianchini Pesaro; Alberto Barilari - Pesaro; Andrea Bastianelli; Cristiano e Davide Bastianelli; Learco Bastianelli - Pesaro; Mariarosa Bastianelli - Pesaro; Franco Bezziccheri - Montecchio,Vallefoglia; Mario Bezziccheri - Montecchio, Vallefoglia; Massimo Bonifazi - Fano; Moreno Bordoni - Pesaro; Roberto Borgiani - Direttore Confesercenti Pesaro Urbino; Monica Brandolese e Stefano Piermaria - Montelabbate; Teresa Bracci - Pesaro; Claudio Bruscoli; Profumeria Carboni - Montecchio,Vallefoglia; Alvaro Catenacci; Domenico Ceccaroli - Montecalvo in Foglia; Riccardo Corbelli - Pesaro; don Igino Corsini - Pesaro; Raffaella Corsini e Giorgio Ortolani - Pesaro; Alberto Cudini - Montecchio, Sant’Angelo in Lizzola; Roberto Dal Mas - Pesaro; Famiglia Filippo Delà - Monteciccardo; Famiglia Pietro Delà - Monteciccardo; Lorenzo Di Loreto - Pesaro; Giovanni Dini; Luciano Dolcini - Pesaro (fotografie); Alberto Drudi - Pesaro; Marisa Eusebi Montecchio,Vallefoglia; Gianfranco Filippini - Montefabbri,Vallefoglia; Guido Formica - Montecchio,Vallefoglia; Alberta e Agnese Gambini - Tavullia; Terenzio Gambini - Pesaro; Stefano Galli - Montefabbri,Vallefoglia; Brigida Gasparelli - Ufficio stampa Confesercenti; Giuliano Giampaoli; Luca e Roberto Giovanelli - Montecchio,Vallefoglia; Maurizio Guerra - Montecchio, Vallefoglia; Loretto Guidi - Case Bernardi,Tavullia; Nazzareno Guidi Montecchio, Vallefoglia; Maria Pia Harej - Pesaro; Gianfranco Londei - Montecchio,Vallefoglia; Pierino Longhi Montecchio,Vallefoglia; Rita Luccardini, Fam. Marconi, Montelabbate; Pesaro; Pietro Paolo Mariotti Pontevecchio, Vallefoglia; Famiglia Salvatore Manca - Monteciccardo; Famiglia Massanelli - Montelabbate; Mirella Moretti e i ragazzi della V B della Scuola primaria “O. Giansanti” di Pesaro; Bruno Olivi - Morciola, Vallefoglia; Giulio Oliva - Pesaro; Simona Ortolani, Costanza e Walter Vannini - Pesaro; Marina Pacchiarotti - Pesaro; Alberto, Francesco e Terzo Pagnoni Cappone,Vallefoglia; Paola Pagnoni - Montecchio, Vallefoglia; Renata Palma - Pesaro; Domenico Passeri - Direttore Confesercenti Urbino; Famiglia Lino Pedini Montelabbate; Luca Pieri - Pesaro; Ferruccio Pratelli - Rio Salso, Tavullia; Michele Romano Pesaro; Claudio Salvi, Pesaro; Domenico Sbordone Montecchio, Vallefoglia; Giorgio Orazi Morciola, Vallefoglia; Famiglia Elso Renzi Montelabbate; Francesco Renzi - Montelabbate; Serena Roma e Massimo Postiglioni - Montecchio, Vallefoglia; Fabrizio Schiavoni - Fano; Mariagrazia Stocchi e Francesco Bartolucci - Belvedere Fogliense,Tavullia; Carla Tamburini - Responsabile Confesercenti Montecchio; Massimo Termopoli e Mirco Paci - Montelabbate; Fabrizia Tagliabracci - Montelabbate; Gianfranco Tonti - Tavullia; Giovanni Ugoccioni - Sant’Angelo in Lizzola; Wasington Ugolini - Rio Salso,Tavullia. Memoteca Pian del Bruscolo e “Promemoria” concept+image Cristina Ortolani

“Promemoria” - Come collaborare La collaborazione a Promemoria è aperta a tutti ed è a titolo gratuito. Gli elaborati dovranno essere originali e inediti, e dovranno riguardare tematiche d’interesse della rivista: memoria locale, memorie personali, personaggi del territorio dell’Unione Pian del Bruscolo o di zone limitrofe ecc.; per altri temi consigliamo di contattare comunque la redazione, che valuterà ogni proposta. È possibile anche segnalare persone da intervistare o storie da raccontare ai nostri collaboratori. La pubblicazione dei contributi avviene a discrezione della redazione, che si riserva di apportare tagli e/o modifiche, rispettando il senso e la sostanza dei testi.

I testi inviati devono essere accompagnati da nome e cognome dell’autore, luogo e anno di nascita, recapiti (compresi cellulare e indirizzo email), professione o qualifica. Saranno valutate eventuali richieste di pubblicazione sotto pseudonimo. La rivista è pubblicata anche in versione digitale sul sito della Memoteca Pian del Bruscolo; alcuni contributi potranno essere pubblicati, con il relativo materiale iconografico, anche in forma di pagine del sito. Per tutti i dettagli scrivere a info@memotecapiandelbruscolo.pu.it o a cristina@cristinaortolanistudio.it.

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“Promemoria” 2010-2014. Hanno collaborato Cult movies: Ninotchka di Ernst Lubitsch, a pari merito con Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock, e The pirate di Vincente Minnelli. Cult books: Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio; Cristina Campo, Gli imperdonabili; Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby. Luogo: la luce della Provenza. Colori: quelli di Matisse. Si avvicina al racconto della memoria attraverso i libri di Giovannino Guareschi, le storie di fantasmi della nonna e le provocazioni del professor Arnaldo Picchi, con il quale si è laureata a Bologna, al DAMS - Spettacolo, nel 1993. Del teatro (per il quale ha firmato dal 1984 al 2004 i costumi di diversi spettacoli di opera lirica) le restano scatole di campioni di tessuti d’epoca, che utilizza per ristina comporre artworks ai quali - dice - spera di dedicare la vecchiaia. Tra storia e storie ha curato una rtolani ventina di pubblicazioni, principalmente legate al territorio provinciale di Pesaro e Urbino, tra cui Pesaro, la moda e la memoria (2008 e 2009), Il facchino della diocesi. Giovanni Gabucci (2011) e Sant’Angelo in Lizzola 1047-1947. Luoghi, figure, accadimenti (2013). Ha collaborato con la Fondazione Vittorio De Sica, con saggi sui costumi nei film del regista. Dal 1999 scrive anche per internet, occupandosi di costume, lifestyle, teatro e cinema. Dal 1996 collabora con enti locali e privati della Provincia di Pesaro e Urbino per progetti e iniziative culturali sui temi della memoria locale; nel 2005 ha creato la Memoteca Pian del Bruscolo e ideato il progetto di promozione del territorio Un paese e cento storie - le Marche a cene in famiglia. Nel 2010 insieme con “Promemoria” ha avviato Pesaromemolab - laboratorio per la memoria condivisa promosso dal Comune di Pesaro e da diverse istituzioni culturali provinciali. È nata nel 1965 a Pesaro, dove vive e lavora.

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Laureato in filologia greca e latina presso l’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’, ha conseguito successivamente presso la Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’ prima il diploma di conservatore di manoscritti, poi il diploma di Archivista Paleografo, quindi il diploma di Paleografia Greca presso la Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica. Presso l’Università degli Studi di Macerata ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Cultura dell’età romanobarbarica’. Vincitore di concorso per archivista di Stato ricercatore storico-scientifico, dal 1999 è nei ruoli del Ministero per i Beni e le Attività ntonello Culturali. Dal giugno 2009 al gennaio 2014 direttore dell’Archivio di Stato di Pesaro, ricopre oggi lo stesso ruolo a Pescara. de erardinis

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Giovanni Barberini

Per trent’anni professore all’Istituto Agrario “A. Cecchi” di Villa Caprile di Pesaro (tra le materie insegnate anche Ecologia del territorio e del paesaggio), Giovanni Barberini è stato sindaco di Monteciccardo dal 1995 al 2004; tra il febbraio 2003 e il novembre 2004 è stato presidente dell’Unione dei Comuni Pian del Bruscolo, diventando successivamente, sempre all’Unione dei Comuni,Assessore alla Cultura e alla Promozione del territorio. Sin da ragazzo frequentatore assiduo delle acque fluviali (dal Cesano, dove di notte pescava le anguille - a mano, al Mutino, a Carpegna, ove si tuffava dal Gorgo della Scala), Per Promemoria ha inaugurato nel n. 0 la serie dei Luoghi della memoria, con un articolo sul recupero e la valorizzazione del percorso del fiume Foglia, che da sempre segna le vicende del territorio di Pian del Bruscolo.

Sono nata quando Modugno vinse Sanremo con Nel blu dipinto di blu. Laureata in Lettere con tesi in Storia dell’arte e diplomata in Archivistica, Paleografia e Diplomatica. E così ho dichiarato subito i miei due grandi amori. In nome del primo ho partecipato all’organizzazione di alcune mostre, tra cui quelle a San Leo sul Valentino, il Seicento eccentrico (di cui son stata co-redattrice del catalogo per Giunti Editore) e Ciro Pavisa a Mombaroccio; ho redatto e schedato per il volume I Santuari nelle Marche, relazionato a convegni sulla scultura lignea; ho collaborato alla stesura dei testi per il video Medioevo nella Provincia di Pesaro. Ho curato schede sugli arredi di alcune chiese dell’urbinate e, per la De Agostini, sui Pittori marchigiani dell’800. Per l’altro amore, l’archivistica, imonetta ho anche continuato a studiare, frequentando due Master sulla Progettazione e gestione informatica astianelli dei servizi documentari e un corso universitario; ho riordinato gli archivi di vari Comuni e lavorato al censimento, commissionato da Regione e Soprintendenza, degli archivi ospedalieri e degli enti assistenziali della Provincia. La conoscenza degli archivi e la ri-conoscenza per la storia mi hanno messo sulla via delle mostre storico-documentarie e della pubblicazione dei relativi contributi. Oggi lavoro come archivista del Comune di Pesaro.

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(in ordine di apparizione) Nata a Sant’Angelo in Lizzola il 17 Febbraio 1958. Laureata in Scienze Agrarie. Sposata, con una figlia. Svolge attività di libero professionista, didattica e editoriale nel settore paesaggistico, agricolo ed ambientale. Dal giugno 2009 al dicembre 2013 è stata assessore del Comune di Sant’Angelo in Lizzola. Presidente dell’Accademia Agraria di Pesaro, per Promemoria Franca Gambini ha curiosato negli archivi di questa prestigiosa istituzione, con la serie Esercitazioni Agrarie.

Franca Gambini Sandro Tontardini, 64 anni, insegnante tecnico pratico in pensione, sposato con due figli. Vive a Bottega, frazione di Vallefoglia. Si è sempre dimostrato attento e sensibile ai problemi di carattere culturale del proprio territorio. Collabora da tempo all’organizzazione della Mostra del Libro per Ragazzi di Morciola di Colbordolo, giunta quest’anno alla XXXVII edizione. E’ stato assessore alla Cultura, Promozione del territorio e Volontariato presso il Comune di Colbordolo.

Sandro Tontardini

Gianluca Rossini

Nato nel 1967, coniugato, 2 figli maschi. Ingegnere elettronico, mi occupo di automazione e strumentazione per impianti oil&gas. Ho una passione per la Storia, soprattutto quella che va dal 1943 al 1945 e che riguarda gli IMI (Internati Militari Italiani): faccio parte dell’ISCOP (Istituto di Storia Contemporanea di Pesaro e Urbino), nel quale seguo la sezione Memoria della deportazione. Ho una moto del 1982 (Honda Nighthawk) che non riesco mai a adoperare quanto vorrei. Mi piace viaggiare: ho viaggiato “abbastanza” per lavoro venendo a contatto con mentalità e modi di vivere tra i più vari: non mi piace viaggiare solo per divertimento o per svago ma per conoscere altri modi di vivere diversi dal mio. Credo profondamente nell’integrazione tra tutti gli uomini e nel rispetto di ogni diritto. Mi piace leggere: ho una buona biblioteca nonché alcuni volumi “antichi” (dal 1600 in poi).

Laureata in Architettura presso l’Università di Firenze. Sin da allora si occupa del tema delle colonie marine presso l’Istituto dei Beni culturali della Regione Emilia Romagna, con la direzione scientifica di Pierluigi Cervellati. Da tale interesse sono nate le pubblicazioni Colonie a Mare e Avanguardia Romagnola. Nel 1989 vince un appalto-concorso sul recupero della Colonia Italo Balbo di Cattolica.Tra le sue pubblicazioni: Colonie per l’infanzia tra le due guerre. Storia e tecnica (2009). Ha partecipato a concorsi di urbanistica e di architettura e all’allestimento di alcune mostre, tra cui Il Valentino e Il Seicento eccentrico (Rocca di San Leo). Nel 1998 con l’architetto Patrizia Lay e con la facoltà di architettura di Roma, organizza un convegno dedicato ai “Frattali” come nuova lettura della realtà e degli Archetipi dello Spazio. Nel 2003 partecipa al convegno internazionale di Viareggio Passeggiate su molti Mari. Da diversi anni è membro del consiglio dell’INU della sezione Marche. Svolge da anni attività professionale nell’ambito della ristrutturazione alberghiera e residenziale.

Giovanna Mulazzani

Laura Macchini, 34 anni, sposata con una figlia. Laureata in Lettere classiche, ha avuto esperienze in varie scuole medie e superiori. Attualmente lavora presso la ditta di materiali edili di suo padre. Ama la storia, l’arte, la fotografia e leggere... cosa? di tutto!!!

Laura Macchini Ventisette anni, Elisa Giangolini è Assessore alle Politiche sociali e educative, Politiche giovanili, Informazione comunicazione e partecipazione del Comune di Monteciccardo, in una Giunta composta di under 40. Le piacciono: Jane Austen e la buona letteratura, le scarpe viola tacco dodici, le borse cult e Johhny Depp.

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Nata ad Akron, nell’Ohio (U.S.A.) da genitori originari di Talacchio - Colbordolo (oggi Vallefoglia, ndr), Mary Ann (Merien) Arduini Mulazzani ha insegnato per ben quarantacinque anni nelle scuole elementari: un’esperienza che ha raccontato sul numero zero di “Promemoria”, sollecitata da Sandro Tontardini. Appassionata di teatro, Mary Ann è anche stata vivace protagonista di una delle serate di “Promemoria”, nell’estate 2010. Per noi ha ripercorso le tracce di suo padre Giuseppe, emigrato nel 1912 verso gli Stati Uniti d’America. Mary Ann è scomparsa nel settembre 2011.

Mary Ann Arduini Mulazzani Amo il teatro in ogni sua forma: pedagogica, catartica, estetica, divulgativa, comica, sociale. Amo cucinare, cose buone e sane, soprattutto per gli amici; amo passare una serata intorno ad una buona tavola con davanti un bicchiere di buon rosso. Amo viaggiare, ascoltare il rumore dei posti, sentirne gli odori, stare seduta da una parte e guardare gente con abitudini diverse. Amo la musica, non tutta e non di tutti i generi, ma a quella che amo sono estremamente fedele. Amo camminare sul bagnasciuga in inverno, specie quando sono molto arrabbiata. Amo il mio cane Pedro, il mio piccolo Gioele e il suo babbo. Io sono Antonella.

Antonella Polei

Gianluca Cecchini. Laureato in Lettere classiche presso l’Università degli Studi di Urbino, insegna Materie letterarie, Latino e Greco presso il Liceo Classico “T. Mamiani” di Pesaro.

Gianluca Cecchini Francesco Nicolini: Apsella 6 Giugno 1949. Sposato con Mara, due figli, Elisa e Stefano. Asilo: nel Brasco presso i nonni materni. Elementari (fino alla IV): Apsella, maestra Norrito. Elementari (V): Pesaro Seminario vescovile presso il Sacro Cuore di Via Cesare Battisti (maestra suor Edoardina). Medie (I e II): Pesaro, Seminario Vescovile in via Rossini. A metà anno scolastico vengo cacciato dal Rettore don Scalognini …perché non avevo la “vocazione”. Medie (fine della II e III): Pesaro presso le “G. Picciola”. Superiori: I.T.I.S.“E. Mattei” di Urbino, perito Elettronico,V F. Università: dal 1968, biennio alla Sapienza di Roma: partecipazione ai “moti” del ’68; dal 1970, trasferito alla “Alma Mater Studiorum” di Bologna rancesco per il triennio: laureato in Ingegneria Elettronica, indirizzo Biomedico nel 1974. Seguono due anni di insegnamento (Istituto “A.Volta” di Fano e Cagli, preside A. Bischi - “Benelli” di Pesaro - Istituto per icolini Geometri di Pesaro, preside “Gibo”). Ai Geometri di Pesaro, negli orari dedicati alla cultura, esame critico dei testi delle canzoni di Bob Dylan. Da ricordare la studentessa Stefania Palma che un giorno, messa alle strette dai suoi compagni di sezione, confessò di aver preso “la scuffia” per Graziano. Dal 1977, Modena e Bologna: libero professionista nel settore informatico. Dal 1997, Modena, Milano, New York,Toronto,Vancouver, Palo Alto, Newport Beach, Cypress, Dallas, Cleveland, San Diego, Hawaii, Miami, New Orleans, Detroit, Edmonton, Las Vegas: dirigente di una multinazionale, settore informatico. Alcune persone, cose, luoghi da ricordare: Irene, Moto Guzzi Sport 14, Sacrario di Redipuglia, Jimi Hendrix,Tashunka Uitko, Edo, Ivano (Dionigi),Woodstock, Ivan (Graziani), Joe Cocker, Pantano, Jan Anderson, Nino (Pieri), Robert Allen Zimmerman, Memè (Perlini), Malcom X, Lake Huron, Equipe 84, Rubin Carter, Zeno, Saint-Tropez, Ducati.

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Walter Ugoccioni ,anni 36, appassionato di storia, si è laureato in lettere presso l’università degli studi “Carlo Bo” di Urbino . Vive a Bottega. Insegna presso la scuola media di Pian del Bruscolo.

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Sono nata a Rho, città industriale a quindici chilometri da Milano e lì sono cresciuta fino a diciannove anni; ho vissuto per altri tredici sulla serra morenica vicino a Ivrea, in Piemonte, e ora, per le strane vie della provvidenza, sono residente a Piombino da un anno. Condivido con altre tre persone una vita comune di preghiera e lavoro e momentaneamente siamo ospiti nella parrocchia “Madonna del Rosario” nel quartiere del Cotone. Ho la grande fortuna di lavorare in una vigna vicino a Suvereto coltivata su un poggio costeggiato dal fiume Cornia; in questo modo ho l’occasione di fuggire dall’inquinamento delle acciaierie per respirare aria buona e, di tanto in tanto, lustrarmi gli occhi con il paesaggio favoloso che circonda l’intorno.

Laura

Campagna

Giornalista pubblicista, nel 1990 ha fondato la Società pesarese di studi storici, di cui è da allora presidente. È presidente della Fondazione Ente Olivieri, vicepresidente della Deputazione di storia patria per le Marche, membro dell’Accademia Raffaello di Urbino e dell’Accademia agraria di Pesaro. Ha studiato aspetti di storia politica, sociale ed economica dell’Ottocento pontificio, occupandosi di viabilità, scuole, censura, moti risorgimentali, brigantaggio, ferrovie e telegrafi.

Riccardo Paolo Uguccioni Laureata in Lettere Classiche, ha il diploma di Archivistica, Paleografia e Diplomatica e la specializzazione in Storia dell’arte. E’ uno dei soci fondatori della Società pesarese di studi storici ed è membro di varie Accademie, fra cui la Deputazione di storia patria per le Marche. Dal 2006 al 2010 ha condotto su “Radio Città” la rubrica “Radio Città racconta la storia di Pesaro”, di cui ha pubblicato il relativo volume. Ha pubblicato una sessantina di saggi e monografie su vari aspetti della storia di Pesaro, sulla storiografia artistica e sul collezionismo, fra cui: Domenico Bonamini. Abecedario degli architetti e pittori pesaresi; Collezioni e collezionisti a Pesaro. Inventari di quadrerie dal Cinquecento all’Ottocento; La quadreria del cardinale Fabio degli Abbati Olivieri; Inventari di avocazione. Rogiti notarili al servizio del potere; Le donne Malatesti del ramo di Pesaro. Sta realizzando il secondo volume (dedicato al Settecento) degli Inventari di quadrerie pesaresi nei rogiti notarili dell’Archivio di Stato di Pesaro (secoli XVI-XIX), di cui ha già pubblicato il volume relativo all’Ottocento.

Marta Fossa

Giovanna Patrignani

Laureata in Lettere Moderne con Lode presso l’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, abilitata all’insegnamento con il corso S.S.I.S. di Macerata, conseguiti due Master relativi alla Storia e Forme della Letteratura Italiana ed alla Storia e Storiografia delle Età Antiche, ora insegna Lettere e Latino presso il Liceo Marconi ed il Liceo Mamiani di Pesaro, dopo una lunga esperienza professionale in Lombardia. Coltiva vari hobbies tra cui il giornalismo, sia su carta che televisivo, nonché il canto, infatti fa parte del coro del Santuario della Madonna delle Grazie di Pesaro. L’amore per la storia, insieme ad un pizzico di curiosità per gli aneddoti e per l’inedito, l’hanno fatta avvicinare a “Promemoria”.

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Genova nel 1995, è iscritto all’Albo dell’Ordine degli Avvocati di Genova dove esercita la professione. Appassionato di storia anche pesarese.

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Laureata in Architettura al Politecnico di Torino nel 1992, iscritta all’Ordine degli Architetti dal 1995. Dal 1997 lavora presso i Servizi tecnici delle amministrazioni locali della nostra provincia, dapprima presso il Comune di Colbordolo e il Consorzio Intercomunale di Pian del Bruscolo, diventando successivamente (2001) funzionario di area tecnica dell’Amministrazione provinciale di Pesaro e Urbino. Nell’ambito della sua professione si è sempre occupata di edilizia rurale e di recupero di borghi e castelli; tra le sue numerose pubblicazioni si segnalano: Francesco Paciotti architetto urbinate (1521-1591) (Urbino 2001); i contributi dedicati a Montefabbri e al Mulino di Pontevecchio in Giovanni Lucerna, Ruote sull’acqua (Bologna 2007) e Il mulino di Pontevecchio, la storia, il restauro (Pesaro 2008) e, infine, Castrum belli fortis il castello di Belforte all’Isauro, in “Bioarchitettura” n. 76 (Bolzano 2012).

Nadia R agni

Archivista libero professionista, si occupa di archivistica ecclesiastica. Dottore di ricerca in Scienze archivistiche, bibliografiche e per il restauro e la conservazione dei beni archivistici e librari (curriculum archivistico) all’Università degli studi di Udine, bibliotecario diplomato alla Scuola vaticana di biblioteconomia della Biblioteca apostolica vaticana, al suo attivo ha articoli e recensioni su riviste locali e nazionali di settore storico, archivistico e bibliotecario. Collabora con l’Archivio Storico Biblioteca Diocesana di Pesaro e la Soprintendenza archivistica per le Marche.

Filippo Pinto Filippo Alessandroni nasce a Pesaro il 03/01/1979. Laureato in Conservazione dei Beni Culturali a Ravenna in Metodologia della ricerca storico-artistica (Storia dell’Arte moderna), ha conseguito successivamente il Diploma presso la Scuola di Specializzazione in Beni Storici e Artistici a Bologna. Corso di formazione con la Provincia di Pesaro e Urbino in “Marketing turistico. Guida culturale del territorio” nel 2006. Collabora dal 2007 con il Museo diocesano di Pesaro, negli ambiti specifici del settore quali guida, didattica museale, catalogazione, organizzazione mostre ed eventi temporanei, conservazione del patrimonio. Dal Dicembre 2012 lavora anche presso l’Archivio storico e Biblioteca diocesana di Pesaro.

Filippo

Alessandroni

Bibliotecaria (a)tipica. Laureata in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino. Nel 2006 ha vinto il Premio Frontino Montefeltro - Sezione Tesi di Laurea (Università marchigiane) con la tesi dal titolo La pubblicità a Pesaro tra Ottocento e Novecento: Oreste Ruggeri e Gualtiero Federici. Dal 2004 lavora (con molto entusiasmo) presso la biblioteca di quartiere di Villa Fastiggi.

Cinzia Cangiotti Da più di dieci anni impegnato nella ricerca e nella riproposta della musica e della danza tradizionale ha iniziato lo studio dell’etnomusicologia con Roberto Leydi all’Università di Bologna. Attraverso l’associazione L’albero del maggio di cui è co-fondatore ha approfondito e divulgato la conoscenza delle tradizioni musicali e coreutiche delle Marche e delle diverse regioni italiane ed europee, organizzando corsi, laboratori, eventi e Festival (in particolare laMarca eurofolk e il Ballo di San Vito). Suona l’organetto, la chitarra e i tamburi a cornice riproponendo le musiche, i canti e le danze raccolte dagli ultimi testimoni della civiltà contadina e cercando di ricreare homas il clima semplice e gioioso delle loro feste (anche con il gruppo dei Benandanti). Nel suo girovagare musicale ha partecipato ad alcuni dei più importanti Festival di musiche e danze ertuccioli tradizionali in Italia e all’estero (Capodanze, Zingaria, Venezia balla, Tradicionarius - Spagna, Boulegan - Francia, Andancas - Portogallo). Da più di un anno ha iniziato una ricerca sulla danza e la musica tradizionale della sua zona d’origine, cioè la provincia di Pesaro-Urbino e la zona di confine tra le Marche e la Romagna. Conduce corsi di danze popolari, insegna musica e strumenti tradizionali (organetto, chitarra, tamburi a cornice, canto) e tiene laboratori di attività espressive, musica e danza nelle scuole e nei centri estivi. E’ facilitatore del Respiro che Trasforma (Transformational Breath).

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L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società.

Costituzione italiana, 1947, artt. 1 e 4


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finito di stampare nel Marzo 2014 da Ideostampa srl Calcinelli di Saltara (PU)



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