minimo numero sei

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foglio periodico di piccoli pensieri sull’ a r c h i t e t t u r a e sull’ a r c h i t e t t u r a d e l l e c o s e . a periodical paper of small thoughts concerning a r c h i t e c t u r e and r e l a t e d s u b j e c t s .

dalla serie “Auguste Rodin”, foto di nicola boccardi, Parigi, 2010

n. 6 10.2011


fondato nel dicembre 2010 e diretto da alberto ficele, guglielmo giagnotti e rossella tricarico. referente contatti esteri per la Francia ed il Belgio etienne de champsavin, per gli Stati Uniti shauni lin. collaborazioni in questo numero di augusto ficele, charlotte taillet, christopher dessus, corrado la martire, eleonora adesso, giacomo pala, gianfranco costantiello, marco montanaro, léa siémons-jauffret, vincenzo parisi, vito quadrato. si ringrazia l’ école nationale supérieure d’ architecture de Versailles, la faculté d’architecture de l’UCL (LOCI) de Bruxelles, la facoltà di architettura di Bari per aver accolto la rivista nelle loro biblioteche; si ringraziano, inoltre, gli studenti di architettura di Bari per il sostegno strategico, economico e sentimentale della stampa e della diffusione del foglio. contatti su minimoarch@gmail.com

founded on december 2010 and directed by alberto ficele, guglielmo giagnotti e rossella tricarico. foreign country delegate for France etienne de champsavin, for USA shauni Lin. featuring augusto ficele, charlotte taillet, christopher dessus, corrado la martire, eleonora adesso, giacomo pala, gianfranco costantiello, marco montanaro, léa siémons-jauffret, vincenzo parisi, vito quadrato. special thanks to école nationale supérieure d’ architecture de Versailles, faculté d’architecture de l’UCL (LOCI) de Bruxelles and facoltà di architettura di Bari to host our magazine in thier libraries; also thanks to the Bari’s students of architecture for the strategic, the financiang and the sentimental effort made in order to print and to spread out the magazine. contacts minimoarch@gmail.com

editoriale

via i gomiti dalla tavola get your elbows out of the table about the future of the magazine

r. tricarico

designer at Make People Do Lab

È

arrivato per noi il momento di tirare le somme, di correggere il tiro, di riformulare il tutto, di superare le trecento parole, di lasciarci alle spalle le quattro facciate di pensieri fitti che si accavallano e di gestire una superficie più ampia, più aperta, che consenta una gradevole aerazione. Questa è l’ultima volta che ci proponiamo/vi proponiamo (e mi riferisco a chi continua a collaborare con noi di numero in numero, a cui va un doveroso ringraziamento)in questa veste che, pur essendo minima e coerente con i nostri intenti, ci sta un po’ stretta. Si tratta per noi di un processo naturale, di un rinnovamento parziale nella forma e nei modi, di un ulteriore passo verso la produzione di qualcosa di ben fatto. Lungi da noi la volontà di autocompiacerci e di autocelebrarci, per noi Minimo è stato e rimane un buon modo per confrontarci, entusiasmarci, incazzarci, analizzarci. Continueremo pertanto ad aspettare i vostri contributi, ad ascoltare le vostre critiche e le vostre proposte, ovunque e chiunque voi siate. I vostri scritti, disegni, immagini, non saranno più riproposti in ordine sparso, ma inseriti in apposite e pratiche “cartelle”, supportate dalla scelta di un tema su cui potrete esprimervi al vostro meglio. Guardando un po’ ai risultati ottenuti fino ad ora abbiamo deciso di classificare, senza gerarchizzare, gli interventi sulla base del rapporto chi scrive-di cosa scrive, ordinando il materiale in tre utili cassetti: ci saranno pertanto progettisti che daranno il loro contributo in ambito progettuale, progettisti che parleranno di altro mantenendo il loro approccio (purtroppo o per fortuna la cosa è inevitabile), e non progettisti che parleranno di altro seppur consapevoli di contribuire alla stesura di un elaborato che tratta di architettura e architettura delle cose. Cosa rimane: rimane il voler fare in modo che Minimo continui ad essere quella massiccia scrivania sui cui appoggiare pensieri da riprendere, un po’ più grande e meno disordinata, rimane la volontà di osservare, raccontare, analizzare, progettare indagando il minimo ontologico delle cose, lasciando un po’ di posto ad una bottiglia di buon vino e qualche calice. Tutto ciò ci piace molto.

tre cassetti, a. ficele, 2011

I

t’s time for us to do a sum, to adjust our aims, to reformulate the whole work, to overgrow the three hundreds words, to leave the four sides of thick overlapped thoughts behind and to manage a wider, opened surface which allows a comfortable ventilation. This is the last time we purpose ourselves/yourselves (I refer to everyone who teams up with us issue by issue, whom we give our special thanks) with this look which, even if it’s minimal and consistent with our aims, it’s a bit tight. For us it’s a natural process, a partial refurbishment in look and shape, another step to the production of a good work. Perish the thought of will of autocelebrating ourselves, in our opinion Minimo has been and it will be a good way to vie, getting excited, getting pisseded off, analyse ourselves. So we’ll keep waiting for your submissions, listening your criticism and your suggestions, wherever and whoever you are. Your writings, drawings, images won’t be presented in a casual order, but they will be put in appropriate and useful “folders”, supported by a thematic choice about which you will be able to express

yourself as best as you can. Looking at the results reached till now we have decided to index the works, without grades, based on the relationship between who is writing - about what is writing, by arranging the pieces in three useful drawers: so there will be architects/ designers who will give their submissions about projects, architects/designers who will speak about nonarchitectural subjects by preserving their approach (unfortunately or fortunately it’s impossible to avoid it) and submitters not related with arts who will speak about non-architectural subjects though conscious of taking part in a paper drafting about architecture and related subjects. What is there still left? We want Minimo to keep being the solid desk on which you can put down thoughts to take back, a bit bigger and less messy; we want to watch, tell, analyse, plan by searching the ontological minimum of the things, by making a little space for a bottle of good wine and some glasses. We really like all these stuffs.


architettura e arte

architettura e religione

architettura e provincia

tutti i sorrisi di Wang Keping

intervallo - pillole di sufismo

sulla notte di provincia

v. parisi

c. la martire

m. montanaro

thinking about contemporary scultpures contemporary art historian

B

isogna spiegare ai visitatori cosa diavolo stanno guardando. Le mie colleghe le chiamano architectures, io sono più prudente, dico installations. Certo è che Wang Keping, in tutti questi anni, non si era mai spinto oltre le sue sculptures en bois. Per altro, del legno non vi è più traccia; 240 scatole di ferro arrugginito, tutte stessa forma, stesse dimensioni. Wang Keping ci ha meticolosamente istruiti su come disporle e montarle. Eccole dunque, queste tre grandi – mi ostino – installations, tre muri che grondano sorrisi: “All Smiles” è il titolo della mostra. Ciascuna scatola presenta sul fronte uno stesso, identico, regolare “squarcio” – quasi fosse una versione ferrea di alcuni “concetti spaziali” di Fontana. La galleria è quella di Magda Danysz: alle soglie del Marais, dal 1999 impegnata tra Street Art, artisti emergenti, artisti famosi, artisti cinesi – un paio d’anni fa l’inaugurazione della sede di Shanghai. Keping appartiene a entrambe queste due ultime categorie. Classe 1949, tra i fondatori del movimento di artisti dissidenti “Xing Xing” (“Le Stelle”), vive da ventisette anni a Parigi. Le sue sculture antropo-zoomorfe hanno sempre trovato caldissima accoglienza nei musei più famosi della città (Pompidou, Zadkine, Maillol e, da qualche giorno, il Cernuschi). “All smiles” ci suggerisce che lo squarcio è un sorriso. Spesso vediamo delle scatole disposte verticalmente, e alla nostra malizia è dato di indovinare in che cosa si è tramutato il sorriso. Più che un déjà vu, un topos artistico che non tarda a ricordare la costante propensione di Wang Keping a caricare di simboli sessuali le sue sculture lignee. Lui guarda tutte le sue opere con aria calma e divertita. Più tardi, a cena, mi dice che siccome è buddhista non è mai incazzato. Non esito a credergli: non si può che essere di buon umore per realizzare intere architectures di sorrisi e fiche.

concepts concerning the tasawwuf

ph.d. at university of Naples “l’Orientale” *

D

Colui che conosce se stesso, conosce il suo Signore.

tratto da La Passione (Untitl.ed Editori, 2010), M. Montanaro

ntervallo” su Islametro racchiude spunti sotto forma di chiavi per non fermarsi davanti a una porta, ma aprirla e bramarne altre. Con un linguaggio caro al sufismo: dietro quella porta il lettore troverà la sostanza ultima soggiacente alle forme, dove il “mantello rattoppato” dei dervisci ne è emblema di una disciplina finalizzata all’abolizione dell’”io empirico”. Le manifestazioni della metafisica orientale rappresentano dei tentativi di conseguire una conoscenza intuitiva. Essa considera la realtà esteriore come un rivestimento “beffardo” dell’Essere, un “velo di Maya”, superato nel “gesto introspettivo” del sufi. Ciò è riassunto in un adagio della tradizione sufica:

c. dessus

student of architecture, école nationale supérieure de Versailles

I

architettura e alimento

della geometria della pasta

how to choose the right type of pasta for a dinner with an italian/architect

e. adesso

l s’est fait beau comme un pape, mais c’est l’absence que proclame le nouveau poncif devant ses fidèles, enfin élu.

architect

Au Vatican, c’est la pagaille, l’élection manquée crée le point d’orgue. L’attente de la fumée blanche provoque un suspens ecclésiastique et des prières de millions de fidèles. Chacun des touts puissants cardinaux prient pour ne pas être celui désigné, celui qui devra prendre le pouvoir, un véritable fardeau apparent. Les investigations électorales sont bouchées, les informations ne doivent filtrées, les fidèles restent sans réponses. C’est un drame, il est effrayé par le poids de cette tache et de son symbole.

S

Moretti utilise le Vatican, comme l’Elysée ou une institution boursière, comme lieu suprême du pouvoir, avec ses traditions, ses scènes de rituels, ses galeries de couloir et de portes, la forteresse d’ombres italienne. La psychanalyse endossée par Nanni Moretti, qu’on a pu voir en Professeur Bianca dans La Chambre du Fils, donne à voir une leçon non privée, entouré de toute la troupe de cardinaux à l’affut d’explication. Il se retrouve piégé à l’intérieur du Vatican, il en sait trop, avec la psychanalyse entre conscient et inconscient et l’incapacité de soigner. La nature du personnage crée le choc dans l’Eglise. Il organise un tournoi de volley, en l’absence du chef, les 108 dans un Vatican vide, en donnant une touche de légèreté et de joie. Melville interprété par Michel Piccoli, dépressif, marmonne seul et demande la liberté, il fugue pour retrouver la réalité, le monde de l’extérieur, et c’est Rome qui retrouve. La rencontre avec une trompe de théâtre donne à ce vagabondage des séquences parfois inquiétantes, on ne sait ce qu’il cherche. L’homme incognito semble ravivé par ses idées d’acteur. Il ne peut respecter ses obligations, les fuits comme le diable qu’il ne saurait expliquer. Il est alors sans doute plus facile d’endosser une responsabilité qui n’est à nous, notre reflet d’humanité.

elle città di provincia rimane l’accento: ascoltare le liti di due amanti al telefono dall’inizio alla fine. Perché, diciamocela tutta, una città di provincia si percorre per intero in otto minuti e tredici secondi, e allora fai in tempo ad assistere all’implorare di lui su una panchina del parchetto alle spalle della chiesa (ti prego, implora, ti prego, io non vivrò se tu andrai) e poi ad ascoltare, distratto, la risposta di lei quando sei a pochi metri da casa (ho detto di no, dice con fermezza, io non tornerò). Delle città di provincia rimane anche il passo, doppio, storpio: ti hanno insegnato a camminare, a rileggere: a ritornare, controvoglia, alla polvere.

* http://malesangue.wordpress.com/

Ciò avviene attraverso l’esercizio di mantra abbinati alla accelerazione del respiro, “perforando” il mondo fenomenico delle impressioni sensibili. In questo contesto si inserisce Attar, un mistico conosciuto per il suo Mantiq al-tayr. Il testo racconta la allegoria di un gruppo di uccelli che cercano il loro mitico “re”, chiamato si-murgh, sino alla vetta del leggendario Monte Qaaf agli orizzonti della terra. I trenta uccelli che riescono a completare questo lungo viaggio, alla fine, scoprono di essere loro stessi “il volatile supremo”, e simurgh in persiano significa letteralmente “trenta uccelli”. Come in uno specchio vedranno riflessa la propria immagine come perfezione spirituale. La visione del segreto è una percezione di cui si può udire solo una eco, ma il libro ci insegnerà a riconoscere quel segreto nel canto malinconico dell’usignolo alla sera. E la sua lettura, l’apertura di quella porta, non sarà stata vana.

architettura e potere about “Habemus Papam”, a movie by Nanni Moretti (2011)

writer*

“I

*lamartire.wordpress.com

brothers and sisters habemus papam

about the relationship in a small city

e per Munari “qualunque libro di cucina è un libro di metodologia progettuale”1, può essere intuitivo comprendere quanto la scelta del giusto tipo di pasta per un primo, vada ben oltre il mero gusto culinario: cultura materiale, storia e tettonica hanno nutrito un territorio così eterogeneo da produrre nel tempo esiti formali senza dubbio interessanti. In Italia i formati di pasta sono più di trecento, e partendo dall’interazione minima tra farina ed acqua, pressoché infinite sono le varianti di pasta ad oggi prodotte o consumate. Ma aldilà della ricchezza compositiva delle forme, c’è da dire che bucatini, paccheri ed orecchiette presi per se stessi non hanno la stessa capacità espressiva che sprigionerebbero abbinati ad un sughetto, piuttosto che ad un tal condimento. Perché i paccheri non si fanno in brodo? O meglio, nessun medico vieterebbe di cibarsene, è una questione propriamente tettonica. Oltre gli oggettivi limiti fisici che impediscono ad un bucatino di essere servito ripieno, vi sono delle peculiarità intrinseche ad ogni formato che passano per la rugosità della sfoglia, la cavernosità di una curva o il liscio scivolare di una linea. Ma noi italiani la nostra cultura materiale la diamo per scontato quando aprendo l’anta della credenza, con curioso sguardo esploratore, indaghiamo tra pacchi mezzi aperti quale sarà la forma del pranzo, tant’è che ci voleva il libro di uno chef ed una grafic designer anglofoni2 per avere la spinta nonchè l’avvallo scientifico per scrivere questo articolo. A proposito del libro: un interessante abaco tipologico. 1

architettura e urbano

matrice*

the materiality of water

l. siémons-jauffret architect

I

l est plaisant d’imaginer Gênes comme le berceau de la perspective, que la cartographie encore balbutiante a naturellement choisie comme tout premier mode de représentation. On se figure bien d’ailleurs l’embarras des cartographes gênois lorsque la tendance graphique est passée au plan: rues du centre historique aux noms illisibles, montagnes aplaties… Gênes s’y dérobe, dans sa constitution même : les premières perspectives montrent de manière très claire que la ville et son site sont faits d’une seule et même matière, dense et houleuse. L’eau elle-même semble prise, dure : jumelle du relief montagneux, elle en possède les caractéristiques, dont certaines sont des plus contraires à l’idée de liquidité. Ennemis potentiels, vent, vagues, à Gênes la mer est porteuse d’une certaine violence ; construite dans une protectrice, la ville continue à rehausser ses constructions, ou d’édifier d’épais murs d’enceinte. La partie terrestre du vieux port n’est elle-même qu’une étendue vide, taillé dans sa longueur par une opportuniste autoroute surélevée, et qui signifierait, tout contre la densité indomptée du centre, cette angoisse liée à l’eau et un obsessionnel besoin de pouvoir « voir venir ». La mer est un mur, et la ville n’a de cesse de s’en méfier, ne lui présentant jamais son visage découvert, et prenant soin de ne jamais lui tourner le dos. Le paradoxe de Gênes, en son temps grande puissance méditerranéenne, serait de n’être en même temps absolument pas un modèle de ville littorale. L’eau n’y est jamais associée au loisir. Même l’utilisation domestique de l’eau s’est inventé un système de petites économies bricolées, le site et l’ancienneté des constructions ne permettant pas une solution globale face à la pénurie d’eau potable. Chaque appartement – dans le meilleur des cas, chaque immeuble – possède sa propre citerne, un réservoir généralement métallique situé sur le toit ou à l’intérieur même de l’espace habitable, qui fait office de tampon pour l’approvisionnement public irrégulier en quantité et en pression. Le bruit continu de l’eau tombant dans le récipient rappellerait perpétuellement aux habitants qu’ils possèdent, chacun, un petit morceau de la matrice gênoise.

*depuis “CINÉMATIQUE GÊNOISE” par Léa Siémons-Jauffret, 3/4ème partie

Munari Bruno, Da cosa nasce cosa – Appunti per una metodologia progettuale,

Economica Laterza, Bari 1996 2

Hildebrand Caz Jacob Kenedy, La geometria della pasta, Sperling&Kupfer,

Londra 2010

*garbugli0.wordpress.com

Amen.

dessin de Hartmann Schedel, chroniques de Nuremberg, 1493


architettura e opposizione

architettura e sguardo

in a radical mood

about the radical architects today

non dirmi che lo scribacchino è un bambino

student of architecture, università di Genova

augusto ficele

g. pala

from the skyscrapers down to the ground

student of italian literature, università di Bari

“L

argo all’avanguardia pubblico di merda. Tu gli dai la stessa storia tanto lui non c’ha memoria” _ Roberto “Freak” Antoni Perchè radicale? Perchè ragionare per opposizioni? A queste domande di solito si risponde affermando che questo atteggiamento porta a una maggiore innovazione, allo sviluppo di idee che portano a nuovi risultati. Questo è vero per artisti quali John Zorn, Marcel Duchamp, Lebbeus Woods, Frank Zappa o Moebius, che, tramite l’eliminazione di sfumature romantiche e serialismi sterili in favore dell’ibridazione linguistica e di dinamiche improvvise, hanno prodotto idee che si sono o stanno proiettando nel futuro. Oggi, molti protagonisti (quasi tutti) delle diverse discipline artistiche si dicono radicali. È sempre vero? o il” radical thinking” (è impressionante provare a scrivere queste parole su google e scoprire che esistono siti con istruzioni per “ragionare come geni”) è spesso solo una manovra pubblicitaria? Nel mondo dell’architettura: se apriamo il frequentatissimo e linkatissimo blog “Archdaily” (ma anche “Dezeen” o “A daily dose of architecture”) troviamo pubblicati decine di progetti “radicali”, imitatori dei pur sempre grandi architetti Rem Koolhaas, Lars Spuybroek, Peter Cook, Tom Wiscombe etc., alla ricerca dei tanto osannati 5 minuti di celebrità (in questo caso 15 sarebbe un risultato spropositato) che vengono superati e dimenticati non appena viene pubblicata la decina seguente. Vedendo questo flusso continuo di radicalità che porta a una radicale indigestione, ci si chiede, usando una bella espressione americana: “are we missing the point”?

architettura e metodo

la structure comme enseignement artistique the structure as arts education

c. taillet

student of art, la cambre of Bruxelles

P

our tout apprendre de la structure faite une école. Licence, master, doctorat etc. La structure s’apprend pendant trois ans minimum. Pour une bonne base structurelle, il faut au moins un ans, après il faut approfondir.

Q

uesti grattacieli che hanno la presunzione di alzar le teste di acciaio lassù ignorano le cicale che immagazzinano l’Eternità in tremolii di vite parallele. Oltre le Simplegadi si posano raminghe per respirare livree cosmiche e ridestare postulati di antiche confessioni un simbolo avvampa il seno inghiottito dalla rivolta del cordone.

architettura e limite

student of architecture, politecnico di Bari

M

architettura e politica

thinking about an inaccessible space

v. quadrato

i trovo in un deambulatorio che corre attorno a una scatola chiusa, uno scrigno silenzioso di 4 mura che cinge un ambiente a cielo aperto. Le pareti sono incise da bucature irregolari e da brecce aperte dal tempo, che lasciano filtrare la luce mutevole del giorno, fino a divenire, di notte,concavità insondabili e oscure. Giro attorno a quel recinto di sussurri, ascoltando voci lontane che trapelano dai vuoti di quelle masse opache, provando a scorgerne l’origine, cercando un accesso che mi renda parte di quello spazio che mi è possibile solo traguardare e ascoltare. Mi sento come una falena che si schianta contro il vetro di una lampadina, senza mai poter andare oltre, senza mai potersi fondere con la luce che tanto brama. Ma non ci sono porte, solo squarci, timidi disvelamenti. Mi fermo davanti a quel vuoto nel muro, con la parvenza che più assomiglia a quella della finestra e mi rassegno a essere spettatore e non attore di quel luogo che posso osservare solo al di qua dello scrigno. Respiro a fondo: non rimpianto, non insoddisfazione, non frustrazione. In questa storia non c’è nessun Prometeo che vuole sfidare gli dei, nessun Prometeo che vuole osare andare al di là. Questa è la storia di qualcuno che scopre il mistero della vita involucrato tra quattro mura, nell’esperienza dell’inaccessibile, dello sfiorare senza mai toccare. Ispirato da una riflessione di Francesco Venezia tratta da “Le idee e le occasioni”, Edizioni Electa.

Comment passer d’un bon exécutant qui maîtrise ces bases à la perfection, à un auteur accomplis, maître de ces actes, sa pensée, sans être forcement influencé, formaté par la structure ?

architettura e visioni

- Apprentissage par la pratique La structure explose. Peut-on devenir meilleur que la structure sans la connaître sur le bout des doigts ? En réalisant des choses, en ratant, en recommençant, on apprend plus de la structure qu’en appliquant. Mais alors pourquoi avoir une structure ?

about visions in Paris

La structure même si elle est similaire pour tous les étudiants d’une même école, n’a pas le même impact. Peut être qu’il suffit de piocher les données dont nous avons besoin au lieu d’ingurgiter la structure.

Si fa all’amore perché Parigi è la città dell’amore e ti invita all’amore sempre – permettetemi di sdolcinare - e c’è l’ho davvero duro – ecco ho finito - che quasi si spezza, e si prostra e s’insinua e sale: Rue Durantin, qualche gradino Place Emilie Godeau dove nell’angolo verdeggia la vetrina polverosa del Bateau Lavoir e affianco il Tim Hotel Montmartre s’erge coi tendoni striati di bianco e d’azzurro perpetuato colla cinepresa da Rohmer nei suoi incontri a Parigi. Poi si sale, si sale ancora, a rassodare i culi col fiato corto e le lingue di fuori che assaporano l’inverno. Rue Norvins coi negozi e negozietti di souvenirs gallerie d’arte ristoranti creperie e negozi di delizie francesi - marmellate biscotti caramelle cioccolate bontà nient’altro che bontà - fino a Place Du Tertre piena di artisti che dipingono ritratti ritrattini ai turisti e ossessivo echeggia vous voulez faire la caricature ? Ma intorno tutto tace e si dissolve quando il Sacro Cuore c’appare, statuario capezzolo turgido proteso verso le slavature del cielo a spiare la città - pulsa nell’assenza di gravità e soave dipana le sue arterie in pavè, giù, verso la città, e silente giunge al mio cuore, e silente caria il mio cuore.

sulla poetica del recinto inaccessibile

Les règles élémentaires pour bien travailler, (qui répondent aux critères d’une connaissance de base) sont enseignées dans un environnement cadré.

- Comment profiter du temps de l’école pour s’accomplir en tant qu’artiste individuel - Doit on échapper à la structure ou bien doit on la maîtriser à la perfection pour pouvoir y échapper

colo piccolo con gli occhiali rotondi appesi al naso adunco di cera che s’affaccia curioso sullo schermo del computer e afferra con la zampa la nostra prenotazione, faccia da lupo della steppa per niente simpatico. Dice una cifra incomprensibile in francese, saldiamo il conto e ci allunga la chiave - numero 45, quarto piano - e via per le strette e scricchiolanti scale in legno a chiocciola, e ad ogni gradino sento gli irrequieti passi di Antoine Doinel, appena riformato dall’esercito, che saleescende in un bordello alla ricerca di baci rubati. La chiave gira nella toppa ed entriamo nella stanza, piccolissima letto matrimoniale lavandino e box doccia cinquantapercinquanta due metri alto con un buco che ci guardi il soffitto e ci sporgi la mano per salutare Raffaella che ride, ride meno quando scopre che il cesso è fuori dalla stanza sul pianerottolo dietro una porta col vetro opaco, lampadina ocra carta igienica rosa, in comune per tutto il piano.

Montmartre è fare all’amore g. costantiello writer

vers une architecture démocratique about the egyptian revolution

a. akhras

student of architecture, école nationale supérieure de Versailles

N

ous voilà presque en 2012 et de nombreux évènements se sont déjà déroulés parmi lesquelles on peut citer les révolutions du monde arabe. Une génération vient de surgir, réclamant une réforme politique. Son peuple a exigé au gouvernement d’établir une politique de transparence et de démocratie. La gravité de la situation a fait réaliser aux hommes politiques la nécessité du dialogue. Cela s’est diffusé à travers tous les medias allant de la télévision aux journaux, en passant par une multitude de réseaux sociaux comme « facebook » et « twitter ». Dans l’ombre de tous ces changements, des questions se posent sur l’avenir de l’architecture égyptienne et arabe, spécialement celle des bâtiments publics et institutionnels. En effet, tous les présidents de la république arabe d’Egypte, depuis la révolution de 1952, étaient des militaires; leur caractère fort et rigide ayant forcément influencé la vie politique, et son architecture représentative. Dans l’architecture de l’Egypte antique se retrouvent des principes de puissance, monumentalité et pérennité: des caractéristiques qui sont devenues la représentation de la grandeur de l’état et de ses souverains jusqu’à nos jours. Alors de quelle manière doit-on imaginer une nouvelle architecture égyptienne, en rapport à ce nouvel élan de liberté, sans en oublier la richesse culturelle de ce grand pays? Une question qui doit interroger tous les architectes d’aujourd’hui. C’est le temps de notre révolution ! L’architecture d’aujourd’hui est le patrimoine de demain.

G

ira e rigira lungo le scale del metrò che salgono ritte ritte e le valigie pesano e abbiamo il fiatone che subito s’assopisce: è la magia di trovarsi nel mezzo della collina di Montmartre, fermata Abbesses, Rue des Abbesses – silenzio, cielo livido aria gelidaferma, qualche passo ovattato, lo sguardo di una donna che sorseggia il caffè al tavolino fuori dal bistrot col cappello in testa il rossetto rosso sulle labbra e incenerisce una sigaretta. La valigia scorre e saltella sulle irregolarità del marciapiede e ci si chiede dov’è l’hotel, eccolo lì!, sospeso nella traversa Rue Burq, alla fine della strada torreggia l’insegna Hotel Bonsejour e poi l’ingresso, e poi tirez. Nella minuscola hall esordiamo con un bonsoir - sono le 3 del pomeriggio all’incirca - il gestore austero ci risponde bonjour, pic-

Mogamma, Tahrir Square, Cairo


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