microSpaceCompetition 2011-2012

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micro Space


Marta Colombo Xulio Rodriguez Katherine Jacqueline Bottellini

Luisa Carcavale Michele Cutrano Alisa Mulina Claudia Nordino Marianna Di Palma Io Makandal Iaia Cocoi Anja Grubic Nico Mingozzi

2011-12

Ale Senso microSpace Competition Curatela Anna Epis Aldo Torrebruno Presentazione Barbara Di Santo Antonia Guglielmo Lara Piffari Aldo Torrebruno


microSpaceCompetition

Questo secondo volume del catalogo di microSpaceCompetition (il primo, relativo agli anni 2009-2011 è disponibile all’indirizzo http://issuu.com/microbo/docs/2011microspace) completa la raccolta relativa alle mostre virtuali realizzate da microbo.net all’interno di tale iniziativa. Si tratta di mostre personali che raccolgono in una stanza costruita in grafica 3D le operedi giovani artisti che hanno proposto la propria ricerca a microbo.net e che sono stati selezionati dal nostro staff. Per ciascuno di tali artisti i nostri critici hanno scritto una presentazione, è stato prodotto un video pubblicato su youtube ed è stata offerta una vetrina in homepage sul nostro sito web. Questo ebook, che raccoglie le immagini e i testi critici relativi agli anni 2011-2012, rappresenta un catalogo di opere variegate, accumunate però da una pulsione verso la ricerca artistica mai banale. Molte sono le tecniche che è possibile ammirare nelle prossime pagine, svariati i temi trattati, secondo sensibilità mutevoli e toccando corde diverse: da quelle più liriche a quelle più ironiche e dissacratorie. Alcuni artisti hanno privilegiato una ricerca prettamente estetica, altri hanno preferito giocare coi significati ed i simboli, ma ci sembra di poter affermare che il vero filo conduttore che si snoda lungo queste pagine virtuali sia davvero quello della qualità della ricerca. microbo.net sin dalla sua nascita crede nella promozione delle arti visive e degli artisti secondo canali differenti da quelli tradizionali e cerca di sfruttare la potenza della Rete per offrire opportunità e visibilità agli artisti che decidono di partecipare gratuitamente - alla nostra community. Anna Epis e Aldo Torrebruno


Nico Mingozzi

Si è soliti affermare che gli artisti siano dei visionari, tesi verso visioni di futuri possibili o “annusatori” di eventi già percepibili nell'aria; eppure l'arte è sempre stata anche protesa verso il passato, inteso sia come banca-dati di possibili e infiniti immaginari figurativi, sia come ulteriore possibilità di fuga dal reale. In quest'ottica interviene il meccanismo della citazione, evidente nelle opere di Nico Mingozzi: una citazione che è riproposizione di schemi iconografici da ritratto ottocentesco, resa possibile attraverso il riutilizzo di vecchie e ingiallite fotografie da album di famiglia. Ma dato che la citazione non è mai riproposizione esatta delle immagini arrivateci da tempi così lontani, l'artista interviene, in maniera discreta ma altresì spaesante e freudianamente “perturbante”, a inserire su questi corpi così composti e sulle loro mises da giorno della festa, dei volti di animali, di fantasmi, di esseri inquietanti. Facendo così veniamo trasportati in un doppio mondo “altro”, che non è solo quello di un passato relativamente recente - ma da noi mai vissuto - ma anche un mondo di sogno, surreale e popolato da creature inquietanti, dal quale vorremmo, una volta data un'occhiata, tornare indietro il prima possibile. Presentazione | Lara Piffari




Grande e piccolo, interno ed esterno, vuoto e pieno, bianco e rosso: le opere di Anja Grubic che animano questa mostra virtuale giocano su queste relazioni, le mettono in discussione, ne fanno oggetto su cui confrontarsi. Non a caso due delle opere proposte mettono in scena proprio un momento conviviale, di comunicazione e discussione: che si tratti di una tovaglia su cui si svolge una tavolata (facendoci apprezzare il corto circuito concettuale) o di una sorta di gruppo di autocoscienza, che sembra mettere al centro - anche fisicamente - della propria discussione la cosa stessa dell’arte. Quando poi, come in una radiografia, l’artista ci mostra in maniera esplicita la sineddoche prima solo accennata, mettendo in rapporto le ossa con l’uomo, sembra sottolineare che tra interno ed esterno, tra dentro e fuori, non c’è una divisione netta, ma che tale rapporto è di continuità: del resto così è anche quando i mattoni che costituiscono un muro (come le ossa fanno l’uomo!) vengono messi a nudo, mostrati, ma sempre in rapporto al loro insieme e ancora una volta mattone e muro si legano con un rapporto biunivoco. L’indagine di Anja Grubic si muove tra questi piani e li indaga, accostando elementi ripetuti e novità: è facile per chi osserva le opere trovare tracce che parlano la stessa lingua, ma anche espressioni differenti che incuriosiscono, mostrandoci concretamente il loro luogo di incontro. Presentazione | Aldo Torrebruno

Anja Grubic


Presentazione | Antonia Guglielmo

Iaia Cocoi

VISIBILITA’ Italo Calvino in Lezioni Americane (1993) parla di un’attitudine particolare che definisce come “mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, far scaturire colori e forme … pensare per immagini” e quest’attitudine la definisce “visibilità”, ovvero una visione interiore che non va soffocata ma controllata. Ma è tramite questa fedeltà alle sensazioni intuizioni che si accede ad associazioni inusitate che provocano spaesamento in un sistema figurativo, in un ambiente quotidiano domestico, solidamente impostato su certezze percettive. E’ ciò che Iaia Cocoi opera nelle sue ossessioni domestiche rivisitate in chiave immaginativa. Queste immagini sono l’invito a concedersi di varcare la soglia tra lo specchio e la realtà, si oltrepassa la routine della consuetudine e si perlustra l’emozione che richiede una soglia di attenzione costante di tutti i sensi verso un territorio da ri-vivere, ri-vedere. Non è un invito alla libertà assoluta ma alla spensieratezza affrontata con perizia, sapienza-esperienza. Vi è un atteggiamento ironico nei riguardi della fruizione dei luoghi e dei suoi rituali in cui però può avvenire l’inaspettato, una folies soggettiva che ci trasporta in un mondo dove la percezione si dilata, restringe fino a farci attraversare un territorio mutante.



Una colorata e ironica invasione dello spazio: sono queste le prime parole che vengono in mente per fornire una prima descrizione – necessariamente sommaria ma dotata di immediata efficacia – delle opere della giovane artista sudafricana Io Makandal. E la descrizione dev'essere necessariamente sommaria, e basata su una percezione immediata, poiché i quattro lavori qui presentati sfuggono, come spesso avviene entro il variegato linguaggio dell'arte contemporanea, da ogni consolidata definizione. Né definibili come sculture, in quanto slegate dalle idee di staticità e di relativa eternità da sempre collegate a questa forma d'arte, né pienamente rispondenti alle caratteristiche dell'installazione, esse risultano agglomerati di materiali differenti che, in un certo senso, rappresentano varianti aggiornate ed “esotiche” dell'ormai istituzionale stratagemma artistico del readymade, che, dalla sua prima duchampiana comparsa, è stato declinato nel corso dei decenni in apparizioni e significati differenti.


Io Makandal Suonerà pur banale, ma la fantasiosa combinazione di stoffe colorate, rubinetti, palloncini e tanti altri materiali originariamente poveri ma arricchiti da esuberanti coperture cromatiche, rivelano fin dalla prima occhiata la giovane età, l'identità femminile e la provenienza dell'artista da una cultura differente da quella europeo-occidentale, sfatando quindi, come già emerso in altri numerosi casi, l'idea di un'ipotetica globalizzazione livellante delle ricerche artistiche attuali. All'interno di tale immediata riconoscibilità di un identikit dell'artista, stupisce infine la capacità di Io Makandal, nata a Johannesburg nel 1987, di adeguarsi da un lato a determinati canoni estetici del mercato artistico attuale, ma dall'altro lato di saper comunque affermare una propria cifra stilistica, una sorta di colorata vena espressiva che percorre in maniera inequivocabile le opere in questione. Presentazione | Lara Piffari


Nonostante la presenza di ampie zone cromatiche, le opere di Marianna Di Palma colpiscono l'osservatore soprattutto per il loro carattere grafico. Ăˆ infatti il segno – fortemente incisivo e personale - a conferire significato all'insieme: con esso l'artista disegna dei corpi che si configurano come delle proiezioni ortogonali, degli schemi piatti, delle tracce superficiali nelle quali l'intensitĂ fisica della corporeitĂ viene tradotta nell'unica dimensione a disposizione dell'artefice, quella del foglio. In tale senso tali corpi, simili a bambole senza vita ma non senza anima, rimandano alle inquietudini degli artisti della Vienna di inizio secolo, di Schiele innanzitutto, laddove le volute e le grazie decorative del dominante linguaggio dell'Art Nouveau venivano traslate, proprio attraverso l'uso del segno grafico, in attualissime inquietudini.


Marianna Di Palma Alla medesima maniera le opere di Marianna Di Palma, in grado di riproporre i corpi schieliani in un'atmosfera contemporanea, sono fortemente decorative ma assolutamente non pacificanti: esse restano lĂŹ, ferme sulla superficie del foglio, ma hanno il potere di turbare la vista dello spettatore, muovendo qualcosa al suo interno e provocando, nella migliore delle ipotesi, una qualche riflessione sullo statuto contemporaneo di corpi: corpi fatti oggetto di torture, di richieste incessanti, diventati piĂš che mai oggetti estetici, politici, sociali. Presentazione | Lara Piffari


Capita spesso, quando ci si confronta con l’opera di un fotografo, di andare alla ricerca del significato anche oltre il significante, magari soprattutto quando quest’ultimo non si rivela all’altezza. SI finisce però per dimenticare, così, la specificità del medium fotografico, quella consonanza quasi stilnovistica tra ciò che l’artista desidera comunicare e la modalità che utilizza, tra il cosa ed il come. Ebbene, imbattendosi nelle fotografie di Claudia Nordino, non si corre questo rischio: le sue opere infatti sono caratterizzate da una cura formale e da una suggestività visiva fuori dal comune, che però non si appiattisce mai in meri esercizi di bravura tecnica, ma che rappresentano il perfetto connubio, l’ideale cassa armonica in cui far risuonare il significato. Che sia il gioco tra colore e bianco e nero, piuttosto che lo svelarsi di forme naturali o costruite dall’uomo, che sia un dettaglio che molto dice del tutto o un contrasto di colori, sono sempre immagini di grande potenza visiva e suggestione, in cui significante e significato si offrono all’unisono alla nostra interpretazione. “Non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi”, dice la volpe al Piccolo Principe, ma non abbiamo forse il diritto di chiedere all’arte di parlare al nostro cuore passando proprio attraverso i nostri occhi? Presentazione | Aldo Torrebruno


Claudia Nordino


Alisa Mulina


Guardo queste realtà imbevendo l’anima dei bagliori, delle ombre e delle sapienti sfocature. E catturo in questi spazi vuoti carichi di tensione, spazi monocromi che chiamano atmosfere impalpabili, ma di grande grande incisività, colgo delle energie sottili, delicatissime fatte di minute pieghe, riverberi intensi, ombre che diventano soggetto e non elemento annesso a qualcosa. Sono immagini fatte di silenzio. Hanno la raffinata tensione mistica verso una leggerezza e un’immaterialità che richiama la dimensione del vuoto. E tra questi interstizi vuoti, silenziosi e immateriali sembra di intravvedere tracce di nostri ricordi lontani. Presentazione | Antonia Guglielmo


Si ricorre spesso, ragionando sulle esperienze di gioco infantili nostre e altrui, alla conclusione che il gioco non rappresenta una semplice evasione dalla realtà, un passatempo spensierato, bensì un’attività seria, tramite la quale il bambino interagisce con l’esterno e mette in scena dinamiche proprie della vita adulta. Le attività ludiche rappresentano così quasi un vero e proprio “lavoro”, mediante il quale il bambino si relaziona al mondo esterno e ne produce proprie visioni strutturate in maniera complessa. Tale accezione di gioco, visto come messa in scena di una vita alternativa che ci aiuta a vivere in maniera consapevole la nostra esistenza in tutte le sue estensioni, rappresenta un bagaglio che ci portiamo dietro nella vita adulta, anche se magari ci dimentichiamo di giocare in maniera esplicita, o lo continuiamo a fare quasi di nascosto certi di farlo giusto per passare il tempo. Ma in realtà il gioco rappresenta una maniera di affrontare la vita da cui quasi nessuno è esente: ogni giorno, parlando, insceniamo giochi verbali, oppure ironizziamo sul reale, oppure, ancora una volta, ci accostiamo alla vita tramite visioni giocose offerte dalla letteratura, dal cinema, dall’arte, e ne apprezziamo la capacità di velare dietro un’apparenza fantastica qualcosa che invece spesso riguarda il presente, e specificamente il NOSTRO presente.

Michele Cutrano


È stato Freud il primo a esplicitare i legami tra arte e gioco, affermando che “il bambino impegnato nel gioco si comporta come un poeta: in quanto si costruisce un suo proprio mondo o, meglio, dà a suo piacere un suo nuovo assetto alle cose del mondo” e che “anche il poeta fa quello che fa il bambino giocando: egli crea un mondo di fantasia che (…) carica di forti importi d’affetto, pur distinguendolo nettamente dalla realtà” (Il poeta e la fantasia, 1907). Lasciando da parte per il momento, anche se sicuramente rilevanti a riguardo, i risvolti psicoanalitici della questione, questa visione di arte come gioco è sicuramente utile per leggere le opere di Michele Cutrano: non è sicuramente un caso che egli basi la propria arte su linguaggi derivati dal mondo infantile e dal fumetto, che rappresenta una sorta di parodia della rappresentazione artistica canonica. Egli mette in questo modo in evidenza quello che è il nucleo centrale dell’arte: l’arte come gioco, come infinita possibilità di cambiare le combinazioni tra gli elementi, come volontà di rappresentare tramite allusioni infantili le dinamiche sociali contemporanee. Su un tappeto verde che ci ricorda quello usato per molti giochi da tavolo, basilare palcoscenico di una rappresentazione teatrale parodistica, Cutrano mette in scena un mondo immaginario, parallelo a quello reale, fatto di supereroi con le loro potenti supermacchinine, di anonimi “omini lego”, di bamboline di plastica, che, inizialmente, ci strappano sorrisi e persino risate ma che, a una seconda occhiata, sembrano accennare - anche solo vagamente - alla solitudine del mondo contemporaneo e alla sua costante mania di perfezione: tutti vorremmo essere, anche solo per un giorno, omini di plastica circondati da un mondo perfetto, ma forse ci vergogniamo di questo desiderio. Michele Cutrano, invece, ce lo dice saggiamente - in faccia. Presentazione | Lara Piffari


Luisa Carcavale


Sono io che mi specchio nelle foto di Luisa Carcavale. Pezzi del mio corpo di donna, diviso, scomposto, che si riflettono nel suo obiettivo sensibile. Mi nascondo dalla calca, le mani sulla faccia a non guardare, il tempo che mi macina veloce, che mi lima le carni. Cerco il buio, la solitudine fuori dalle convenzioni, dagli sguardi attaccati alla mia pelle, dalle voci che mi tormentano. E in silenzio ascolto il canto delle mie vene… tese sull’anima rattrappita, raccolte, intrecciate intorno al mio ventre vuoto, al mio sogno di dare vita. Concentrata sul mio respiro, lo sento fluire fuori tiepido e amaro, ma non so trattenerlo. Lo sento mentre mi attraversa di un furore muto e si raffredda nell’aria spessa e incolore, mentre una confortevole attesa si adagia piano a strangolare la rabbia. Un fiore d’arcobaleno m’assomiglia, petali screziati, sul limite del suo tempo sospeso ad accogliere un’illusione. Presentazione | Barbara Di Santo


Ale Senso


La contaminazione tra linguaggi visivi, materiali eterogenei, fotografie che simulano collages, segni, disegni e dipinti che mutano la nostra percezione dello spazio, rendono Ale Senso un'artista che non possiamo che definire eclettica: qualsiasi altra definizione le farebbe torto. I luoghi dimenticati presso cui si reca in visita si arricchiscono di immagini che, come presenze simboliche o fiabesche, tornano ad abitarli. Questo però non è tutto: l'artista crea un nuovo ordine, attraverso la fotografia che immortala sapientemente zone circoscritte, lasciando fluire la nostra attenzione sul rapporto tra disordine e ricerca formale e ci fa giungere ad un equilibrio studiato meticolosamente e assolutamente, paradossalmente, estetico. Non mancano i riferimenti colti che si mischiano al pop: gli angeli giotteschi che animano alcune stanze divengono poi graffiti dal carattere fumettistico, che riflettono l'ideale estetico di corpi sottili e perfetti e li rendono piÚ reali dell'idea che rappresentano. Ale immortala e ridona dialogo a questi spazi fatiscenti, che si rigenerano attraverso la sottile bellezza inedita: invisibile ai piÚ, ma pronta a rivelarsi a chi si lascia guidare senza alcun pregiudizio. Presentazione | Barbara Di Santo


Katherine Jacqueline Bottellini


LA CONVULSA BELLEZZA DELLA VITA La nostra mente viene solleticata al livello più vivo e intuitivo da questi volti. Il tipo di rappresentazione vuole svincolarsi da qualsiasi valenza di racconto o di illustrazione/narrazione dando più spazio alle sensazioni e all’istinto definito dallo stravolgimento formale delle immagini stesse. Bacon diceva: “Io voglio deformare le cose al di là dell’apparenza, ma allo stesso tempo voglio che la deformazione registri l’apparenza” Anche nelle trasposizioni dell’artista Bottellini non vi è una cancellazione della figura, una negazione dell’uomo ma vi è piuttosto una restituzione di esso in maniera tormentata, cruda, quasi un eccesso di verità che si trasforma in ricerca di emozione. L’intento primario sembra essere lo sviscerare una materialità alienata dalla solitudine al di là del raggiungimento della bellezza formale, non ci si limita all’apparenza estetica ma vi è pura ammissione di un’ umanità dolente attraverso volti carichi d’urgenza espressiva, immagini isolate su un fondo neutro a volte figure decentrate nel layout immaginativo della realtà, che hanno ancor più il valore del vissuto, hanno ancor più corpo dell’istinto, danno forma agli interrogativi sull’origine degli stimoli più profondi, danno voce alla convulsa bellezza della vita. Presentazione | Antonia Guglielmo


Forse no, non le sappiamo cogliere, tutte le allusioni che rimandano alla storia e alla civiltà del Messico presenti in queste opere. Il Messico è infatti il paese in cui l'artista, Xulio Rodriguez, vive e lavora, e certo è che, se sceglie di intitolare una serie "Fuckin' Patria", ci sarà pure una ragione. Di sicuro, anche se sembra blasfemo soprattutto se detto da una persona che allo studio dell'arte ha dedicato parte della sua vita, non sempre dobbiamo conoscere tutti i minimi dettagli che stanno dietro un'opera d'arte per poterla amare. Fortunatamente, infatti, i livelli di lettura si accumulano e si arricchiscono a vicenda: può così capitare che ci possiamo appassionare a un patrimonio artistico totalmente differente dal nostro, come quello arabo o quello degli aborigeni australiani, pur non conoscendone i presupposti concettuali. Non è comunque questo il caso delle opere di Xulio Rodriguez: questi colorati quadretti parlano una lingua universale, quella dei fumetti e della street art, così come universali sono le sensazioni che veicolano. Colpisce soprattutto lo stridere che si viene a creare tra i colori gioiosi e le lacrime, simbolo universale di dolore, presenti sui volti di questi personaggi. E colpisce inoltre il fatto che la scelta dell'artista di adottare un linguaggio figurativo apparentemente semplice e infantile non gli impedisca di arricchirlo con simbologie colte e significati complessi. Che poi siano ancora tutti da decifrare, tanto di guadagnato per noi: è meglio perderci del tempo per capirla, l'arte, che esserne immediatamente annoiati. Presentazione | Lara Piffari


Xulio Rodriguez


Marta Colombo


È il rapporto tra gli oggetti e i propri simboli costituitivi, tra la cosa e la sua ombra, tra la rappresentazione ed i suoi elementi, il filo che ci guida attraverso le opere di Marta Colombo. Il simbolo, con la sua forza espressiva, con la sua metafora del “dire insieme” viene esplorato dall’artista in differenti maniere: a volte si lascia trasportare dall’espressività calligrafica della lettera alfabetica (e ricordiamo che l’alfabeto introduce ad una doppia metafora: da un lato la metafora della parola che definisce l’oggetto, dall’altra l’astrazione che fa corrispondere ad una determinata forma calligrafica quel determinato concetto), altre volte è l’ombra che l’oggetto traccia a divenire simbolo, giocando con le dimensioni, la sfumatura dei contorni, la luce. Oppure è il rapporto che si instaura tra oggetto tridimensionale e linee e caratteri bidimensionali ad essere indagato, alla ricerca degli elementi costitutivi. In tutti i casi la cura formale che l’artista pone nella realizzazione delle proprie opere non risulta mai fine a sé stessa, ma è sempre destinata a porci domande e a lasciar vagare il nostro pensiero, verso quell’altro-da-sé cui il simbolo, sempre, necessariamente, immancabilmente, costitutivamente, rimanda. Presentazione | Aldo Torrebruno


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