Io Come Docente

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Anno 1 N. 03 / Giugno 2012 - Periodico mensile - Editore e Proprietario: eBookservice srl C.F./P.I. : 07193470965-REA: MI-1942227. Iscr. Tribunale di Milano n. 324 del 10.6.2011.

docente numero

Il nuovo 03

benessere

Studio Letterario ALeF


Sommario

docente

Io Come Docente Mensile d’approfondimento culturale a carattere monografico, sviluppato in collaborazione con lo Studio Letterario ALeF www.studioletterario.it Studio Letterario ALeF

Tema del numero:

Il nuovo benessere La medicina indiana |

di Maria Angelillo

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Società del benessere |

di Fabio Ciaramelli

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Benessere è attenzione ed equilibrio |

di Laura Tappatà

Economia e psicologia della felicità |

di Caterina Arcidiacono

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Editoriale Come già abbiamo detto in precedenza, intento della rivista è dare di alcuni temi di interesse pubblico una visuale diversa, ma se è vero che la radice di tutte le cose è l’uomo, inteso come insieme di corpo e spirito, sentimenti e sogni, che si rapporta alla società civile rispettando il contratto sociale, ecco che allora il tema di questo numero, il benessere, o meglio il nuovo benessere, acquista una valenza politica. Secondo la tradizione occidentale il corpo è sempre stato separato dallo spirito, talvolta è stato inteso come qualcosa da mortificare oppure da intendere soltanto come un involucro, non dando ascolto a quello che il corpo ci dice, ai messaggi che manda. Quanti disturbi sono di origine psicosomatica! Questa concezione filosofica apparteneva ancora alla società moderna che puntando tutto sul progresso, l’industrializzazione non poteva dare ascolto a quello che non è tangibile, concreto. Questo meccanismo si è rotto con la società postmoderna, l’uomo non riesce più a trovare un equilibrio e quindi cerca il benessere, talvolta in forma esasperata, ma questo non basta. Proprio questa mancanza di equilibrio implica l’esigenza di stare di nuovo bene, soprattutto con se stessi, ed è appunto su questo che si confrontano i docenti che, in modi diversi, cercano di dare possibili risposte. Se gli interventi di Maria Angelillo e poi Fabio Ciaramelli sono

più tecnici, ovvero inquadrano il tema in un orizzonte culturale, gli ultimi due si sviluppano all’interno di una dimensione psicologica del problema. Infatti entrambi i contributi si pongono come obiettivo il benessere soggettivo e nelle categorie di uomo precario e uomo leggero, secondo Laura Tappatà, e di homo oeconomicus e homo psychologicus, secondo Caterina Arcidiacono, si registra la condizione dell’uomo postmoderno che non riesce più a trovare una armonia esistenziale. Soltanto vivendo una vita focalizzata e dando ascolto alle esigenze del corpo, attraverso la meditazione, la lucidità mentale si potrà ri-acquistare quell’equilibrio perduto, raggiungendo dunque una nuova forma di benessere che si oppone sia alle mode salutistiche sia alla separazione fra corpo e spirito. Certo su questo tema ci sarebbe ancora tanto da scrivere e poi discuterne, ma giusto perché è di interesse quotidiano, ci è sembrato opportuno proporre alcune soluzioni ai nostri lettori con l’augurio che possano trovare una loro pratica nella realtà. Buona Lettura! Alessandro Bruciamonti

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╡LA MEDICINA INDIANA

Maria Angelillo

Il caleidoscopico patrimonio di conoscenze che caratterizza l’esercizio della pratica medica nell’India contemporanea è un riflesso dell’entusiasmante convivenza di quelle due, apparentemente contrapposte, pulsioni che ne percorrono e orientano la storia: da una parte, una continuità culturale che si esprime in una sorprendente fedeltà ai prodotti interni alla propria tradizione e in una altrettanto stupefacente mancanza di nette cesure culturali lungo una storia di oltre 4000 anni, e dall’altra una estrema ricettività agli impulsi provenienti dall’esterno, prontamente assorbiti in un abbraccio plastico e totalizzante. La civiltà indiana appare, infatti, da sempre procedere per addizioni, le cui cifre, lungi dall’annullarsi in un risultato di indistinta omogeneità, mantengono il ricordo delle loro distinte affiliazioni. Nell’India attuale convivono dunque tradizioni mediche assai eterogenee: accanto alla medicina allopatica occidentale, a cui gli indiani ricorrono forse più di quanto il nostro immaginario ci induca a pensare, è insegnata e praticata la medicina omeopatica, quella araba, quella tamil e naturalmente quella ayurvedica. Quest’ultima, come ogni sistema medico, sottintende e implica una particolare concezione dell’uomo, delle componenti che ne strutturano e determinano la vitalità e della relazione che lo legano all’ambiente più ampio entro cui si trova a vivere. Il radicamento e la cogenza dell’ayurveda nel contemporaneo orizzonte medico indiano si basa, a mio modo di vedere, non tanto sul sistematico ed esclusivo ricorso da parte dell’indiano medio alle sue tecniche e ai suoi metodi di cura, quanto sull’implicita adesione ai suoi presupposti ontologici e metafisici, mutuati, peraltro, dalle più antiche scuole filosofiche indiane. Il termine “ayurveda” designa la scienza (veda) della piena durata della vita (ayus) o longevità, la quale si rivolge tanto all’uomo malato quanto a quello sano, con lo scopo di far vivere l’uno e l’altro il più a lungo possibile, permettendogli di godere pienamente di ciò che l’esistenza offre. Secondo quanto afferma Caraka, autore della principale fonte di conoscenza degli aspetti speculativi di tale sistema medico, la Carakasamhita, databile ai primi secoli della nostra era, il medico deve essere in grado di riconoscere, in base alle caratteristiche del paziente e a molti altri indizi, la durata massima a cui può ambire la sua vita e aiutarlo a raggiungere tale limite vitale. Il medico deve perciò essere in grado di riconoscere e indicare ciò che è in grado di promuoverne la longevità, e dunque non solo le sostanze che curano o prevengono le malattie, ma anche le qualità e le azioni che allungano la durata dell’esistenza, rendendola piacevole e felice. Pur consapevole della caducità della vita, che si fonda, secondo il sistema metafisico che l’Ayurveda eredita dalla scuola filosofica


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Il termine

“ayurveda” designa

la scienza (veda)

della piena durata

della vita (ayus) o

longevità... Samkhya, su una congiunzione temporanea fra un corpo, degli organi di senso e di azione, una mente e un principio cosciente chiamato atman, il medico deve fare il possibile per protrarre nel tempo tale congiunzione. Mentre l’atman, quale principio eterno e immutabile, non è soggetto a malattie, la mente e il corpo possono, invece, alterarsi in modo patologico. Da quanto affermato fin’ora è

possibile evincere come la prospettiva su cui si basa l’Ayurveda sia fondamentalmente olistica in quanto porta a considerare il corpo umano come condizionato da una serie molto ampia di fattori che trascendono l’ambito strettamente medico, arrivando a comprendere tanto l’etica quanto la sfera emotiva. Inoltre, nonostante i testi ayurvedici non si occupino approfonditamente della sfera


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psicologica, che rimane, nella loro ottica, un’area di indagine di pertinenza dello yoga, essi non mancano, tuttavia, di sottolineare la stretta correlazione fra mente e corpo. Occorre inoltre notare come per l’Ayurveda la pazzia e le malattie che la tradizione occidentale definirebbe mentali sono affezioni sia mentali sia corporee e quindi rientrano a

flemma. Quando un individuo viene concepito i tre dosha possono trovarsi in equilibrio, il che implica il possesso di una costituzione equilibrata, se, invece, predomina uno dei tre a svantaggio degli altri, si determinerà uno squilibrio costituzionale. I disturbi provocati dalla propria costituzione sono ineliminabili. Per Caraka le persone sane in senso stretto sono

pieno titolo fra i disturbi curati dall’Ayurveda, mentre le patologie identificabili con vizi morali o passioni, quali l’ira, la paura, il dolore, sono considerate esclusivamente mentali.

solo coloro che al momento del concepimento non presentano squilibri fra i dosha, gli altri, anche se possono sembrare in buona salute, in realtà o sono portatori di malattie congenite o sono facilmente predisposti a affezioni associate al dosha predominante. Ciascun dosha possiede determinate qualità, la conoscenza delle quali permette al medico ayurvedico di contrapporgli sostanze che ab-

Ciò che per l’Ayurveda è all’origine di uno stato patogeno è uno squilibrio che interessa la triade di entità chiamate dosha, singolarmente identificabili con il vento, la bile e il


7 me ovviamente parziali e semplificate, governa diffusamente ancora oggi il rapporto degli indiani con gli alimenti che, nella percezione comune, costituiscono il primo e fondamentale strumento di cura. Indipendentemente dall’adesione a una o all’altra delle tradizioni mediche praticate nel Paese, rimane costante la percezione della stretta relazione fra salute e alimentazione e della capacità dei cibi di agire positivamente o negativamente sull’equilibrio psico-fisico dell’individuo. Un’ulteriore eredità di cui l’immaginario medico indiano è debitore all’Ayurveda è la grande rilevanza assegnata all’igiene preventiva nel mantenimento di uno stato di salute: emesi, purgazioni, clisteri medicati e oleosi, così come unzioni e fomentazioni, sono pratiche a cui è generalmente attribuita una sostanziale efficacia terapeutica. Salute e longevità sono assicurate da una dieta adatta alla propria costituzione e in sintonia

anche con le condizioni atmosferiche e ambientali entro cui ci si trova a vivere e a operare, dall’igiene e la cura del corpo, dalla non soppressione dei bisogni naturali (fra cui l’Ayurveda contempla l’evacuazione di urina e feci, l’eiaculazione, le flatulenze, il vomito, lo starnuto, l’eruttazione, lo sbadiglio, la fame, la sete, le lacrime, il sonno e il respiro affannoso provocato da uno sforzo fisico), dall’uso corretto della mente e degli organi di senso, misura, quest’ultima, strettamente legata all’etica individuale e sociale, che implica il dominio e il controllo su una serie di impulsi quali pensieri, parole e azioni avventati o biasimevoli, dettati, a loro volta, da avidità, angoscia, paura, ira, presunzione, impudenza, gelosia e da eccessivo attaccamento. L’accento posto sulla componente etica è precipuo dell’orientamento ayurvedico: Caraka afferma che colui il quale tiene alla propria salute non si farà guidare da emozioni o pas-

ripristinare una situazione di equilibrio per il benessere


biano caratteristiche opposte, in modo da ripristinare una situazione di equilibrio. Per esempio, uno squilibrio determinato da un eccesso del dosha vento, che è freddo, leggero, secco e ruvido, è contrastato dall’assunzione di elementi caldi, pesanti, untuosi e soffici. Poiché lo scopo della terapia ayurvedica risiede nel riequilibrio dei tre dosha e si basa sul principio secondo cui le peculiarità di ciascuno di essi possono essere esacerbate o ridimensionate da sostanze che abbiano rispettivamente medesime qualità o caratteristiche opposte, qualsiasi elemento esistente al mondo può diventare un farmaco, se usato opportunamente. Poiché ogni sostanza può essere impiegata a fini terapeutici, non è semplice tracciare un confine netto fra farmacologia e dietetica. I principi farmacologici indicati nei

testi classici comprendono sostanze animali, vegetali e minerali, ma l’efficacia di un farmaco non dipende dalla sua sola composizione, ma anche dai modi della sua preparazione e della sua somministrazione. Questi ultimi in particolar modo devono modellarsi sul carattere e sulle esigenze del paziente: la capacità di assecondare le prerogative e le inclinazioni del malato determina in buona sostanza il successo della terapia. Prescrivere medicinali aborriti dalla persona in cura non solo annullerebbe le qualità terapeutiche del preparato, ma renderebbe lo stesso un emetico o un anoressizzante. Per quanto riguarda l’impiego terapeutico della dieta, esso implica una minuziosa conoscenza delle proprietà dei cibi, la quale, a mio avviso, in for-


Maria Angelillo

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uso corretto della mente e degli organi di senso, misura, strettamente legata all’etica individuale e sociale sioni, cercando, piuttosto, di riconoscerle e di disciplinarle, e ugualmente non cederà a pulsioni finalizzate a ledere, in qualsiasi maniera, alcun essere vivente. L’etica esposta da Caraka è certamente debitrice della cornice hindu entro cui l’autore stesso si riconosce e contempla, perciò, anche l’omaggio agli dei, alle vacche, ai brahmani, così come l’adempimento delle funzioni e delle ritualità socio-religiose. La salute, dunque, non si limita ad

essere il presupposto fondamentale di ogni attività finalizzata al raggiungimento dei quattro scopi che organizzano l’esistenza hindu, l’amore o il piacere, kama, il profitto, il potere e il benessere mondano, artha, l’adempimento della legge morale, dharma, e la liberazione dal ciclo doloroso di morti e rinascite, moksha, ma è anche e soprattutto il risultato dell’equilibrio psico-fisico fra le componenti che determinano la struttura corporea e mentale dell’individuo, e l’esito dell’armonica collocazione di quest’ultimo nell’universo mondano, etico e morale cui appartiene.



Maria Angelillo

Maria Angelillo

si è laureata nel 2000 presso l’Università degli Studi di Milano in Lettere moderne con una tesi in Indologia (Maṇḍala: prospettive orientali ed occidentali) e nel 2006 presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca in Scienze Antropologiche ed Etnologiche con una tesi in Antropologia linguistica (Ideologie linguistiche e dinamiche dell’identità). Nel 2002 si è diplomata in Lingua hindi presso l’IsIAO, sezione Lombarda. Nel 2012 ha conseguito presso l’Università degli Studi di Torino il dottorato in Studi euro-asiatici con una tesi dal titolo Strategie dell’identità e dinamiche del riconoscimento: i Kalbelia di Pushkar. Ha insegnato in qualità di professore a contratto Lingua Hindi I e II alla Facoltà di Scienze Diplomatiche ed Internazionali a Gorizia (2003/05), Lingua e traduzione lingua hindi I e II e Letteratura e cultura hindi all’Università degli Studi di Macerata (2005/07), Traduzione specialistica hindi all’Università degli Studi di Milano (2007/09) e presso la medesima università Lingua hindi II (2011-2012). Collabora con numerosi centri culturali (Circolo Filologico Milanese, Federazione Mediterranea Yoga, Società Umanitaria, Museo Popoli e Culture del PIME, Centro Yoga Niketan) in qualità di insegnante di filosofia e cultura indiana ed è Segretario Accademico della Sezione di Studi Indiani della Classe VII dell’Accademia Ambrosiana.

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Società del crisi economica e desiderio di sicurezza

“L’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza”, così scriveva Freud nel Disagio della civiltà (1929). Un’osservazione del genere è ancora valida oggi, in una fase storica caratterizzata da una crisi economica radicale che moltiplica le minacce alla stabilità dell’esistenza, senza però annientare le aspettative soggettive di benessere e di felicità? In effetti, queste aspettative erano state coltivate e rese plausibili dalla civiltà moderna e dalla sua organizzazione sociale e politica, orgogliosa di porre regole pubbliche, che limitassero il soddisfacimento di impulsi e desideri soggettivi, allo scopo di garantire a tutti benessere e stabilità. Ma nello “stato sociale” o “stato del benessere”, inteso come coronamento del progetto sociale che mirava a dare stabilità e sicurezza all’esistenza umana, il baratto di cui parlava Freud è stato vissuto sempre più chiaramente con fastidio. Rinunciare a quote di felicità per ottenere in cambio più sicurezza significava infatti procrastinare o differire il raggiungimento della felicità, mentre tutto tendeva a forzarne i tempi, accondiscendendo alla naturale tendenza dei desideri verso la loro realizzazione. Questo fastidio ha raggiunto il suo punto culminante col trionfo di benessere e deregulation negli anni ‘80 del secolo scorso, quando s’è diffuso un edonismo di massa. L’euforia dei consumi non si limitava all’ambito propriamente economico, ma aveva decisive ricadute psicologiche. La liberazione del desiderio di felicità da ogni vincolo sembrava l’unico accesso possibile al benessere, affidato ovviamente all’intraprendenza dei singoli e sprovvisto di limiti esterni. La diffusione del rischio non veniva vissuta come un problema. Sembrava, al contrario, una grande opportunità che avrebbe consentito l’aumento indefinito del benessere. Un attento lettore delle trasformazioni sociali (il sociologo polacco Zygmunt Bauman, auto-

Liberazione del desiderio


Fabio Ciaramelli

del benessere re di molti libri di successo) ha osservato che nella fase economicamente propulsiva della società dei consumi di massa i termini del baratto descritto da Freud si erano capovolti. Sembrava indispensabile essere disposti a rinunciare alla sicurezza per rendere effettivo l’accesso alla felicità. La società del benessere, nella sua fase economica espansiva, pretendeva di massimizzare non solo prodotti e profitti, ma addirittura la capacità di godere degli individui, tanto che proprio il godimento, cioè l’appagamento immediato del desiderio di felicità, diventava il grande protagonista della deregulation. Per riprendere il titolo di uno dei primi libri del saggista sloveno Slavoj Žižek (anche lui autore di scritti molto diffusi), il godimento diventava così un vero e proprio “fattore politico”. L’esplosione della bolla speculativa, culminata con la crisi economica del

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“l’aspirazione consumistica al benessere deve fare i conti con la gravità della crisi economica” 2008, ha definitivamente posto fine a questa utopia dell’appagamento immediato dei desideri. Il tema freudiano del necessario baratto tra felicità e sicurezza è tornato prepotentemente d’attualità: ma ormai lo scenario è profondamente mutato. Ciò che, nell’epoca studiata da Freud, risultava ancora sopportabile dalla maggioranza degli individui sociali, cioè la rinuncia al raggiungimento immediato della felicità, è vissuto oggi come una frustrazione inaccettabile. Paradossalmente, in una società in cui la crisi economica e il riemergere dei vecchi fantasmi del terrorismo moltiplicano le forme di incertezza individuale collettiva, la più importante causa di sofferenza e disagio è proprio l’impossibilità dell’appagamento immediato, il dileguarsi d’un benessere che sembrava ormai a portata di mano. Venuto meno il nesso certezza/felicità, la possibilità stessa del benessere appare perduta, con la conseguenza soggettiva che questa perdita viene imputata alla propria incapacità. La stretta connessione tra crisi economica e disagio psico-patologico, tristemente sotto gli occhi di tutti, nasce da qui. In conclusione nella società odierna, in cui l’aspirazione consumistica al benessere deve fare i conti con la gravità della crisi economica, l’aspirazione soggettiva alla felicità che affidata all’intraprendenza individuale non s’accontenta più del baratto freudiano, non ce la fa ad aspettare tempi migliori, non ha gli strumenti per tollerare il differimento del desiderio, ma pretende di includere al suo interno la stessa sicurezza. Proprio questa simultaneità inglobante tra felicità e sicurezza, che l’immaginario consumistico impone ossessivamente di conseguire ad ogni costo, rende oggi precario il benessere e incerta la tenuta psichica dei soggetti che dovrebbero affrontare la crisi. L’incapacità di controllare le tante forme possibili di minacce alla sicurezza accresce l’ansia e moltiplica le paure. Ma tutto ciò, piuttosto che ostacolare o contrastare la tendenza dominante della società verso l’aspirazione al benessere, finisce col caricarla d’una nuova esigenza, svelando un nuovo aspetto del double bind dei nostri tempi: la sicurezza deve diventare una “prestazione aggiuntiva” del raggiungimento della felicità.

felicità e sicurezza


Fabio Ciaramelli

Fabio Ciaramelli è professore ordinario di Filosofia del diritto presso il Dipartimento Seminario Giuridico dell’Università di Catania. Traduttore italiano di Castoriadis, La Boétie e Levinas, è membro del comitato di redazione della Revue philosophique de Louvain ed editorialista del Corriere del mezzogiorno. Il suo volume più recente è L’immaginario giuridico della democrazia (Giappichelli, Torino 2009).

http://www.lex.unict.it/didattica/scheda_docente.asp?id_docente=83

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LauraTappatà

Benessere è attenzione ed equilibrio. Negli ultimi anni la psicologia sociale ha fornito contributi all’approfondimento del benessere soggettivo e dei fattori che lo influenzano permettendo di andare oltre la semplice concettualizzazione del benessere come felicità e soddisfazione per la vita, per proporre definizioni più articolate e mettere in luce una varietà di processi cognitivi e psicosociali che presiedono l’esperienza soggettiva del benessere. Questo giustifica una riflessione ampia sul tema che si rivolga alla ricerca del benessere come ricerca di un valore personale. Da qui alcune proposte. La prima: tendere al benessere soggettivo come espressione essenziale di equilibrio personale e non più come esasperata espressione di esibizionismo e di spettacolarizzazione. La seconda: guardare alla vita e a tutte le esperienze, relazioni, scelte, sotto una nuova prospettiva, riprendersi un valore in via di estinzione, l’attenzione.

Trovare nel benessere l’equilibrio personale, significa contrastare il senso di vacuità che caratterizza la personalità postmoderna. Nella cultura postmoderna gli individui sono inchiodati al presente, attenti ai loro bisogni immediati, vivono una vita liquida. Bisogna rimanere al passo, correre veloce, gettandosi in continui nuovi inizi, continuo cambiamento. Una condizione che non promette equilibrio e due sono le metafore che si utilizzano per sintetizzare questo stato di cose: si parla di uomo precario e di uomo leggero. Quando si parla di Io precario si fa riferimento ad un individuo che vive seguendo uno stile mordi e fuggi provando innumerevoli ansie, insicurezze, incertezze e instabilità nel lavoro, nella vita di coppia, nei progetti di vita. L’altra caratteristica dell’uomo postmoderno è la sua leggerezza, la sua lievità, intesa qui come attenzione all’inessenziale, ai bisogni superficiali. Le persone vi-

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vono in una condizione in cui le necessità materiali primarie sono sostanzialmente appagate e in cui si affermano bisogni di secondo o terzo livello. L’importante non è tanto il nutrirsi ma l’alta gastronomia; non è importante vestire bensì lo è il look; non il mantenersi in salute ma la caccia al wellness, alla perfezione o utilizzare le cosiddette life-style drugs. Ricercare il benessere come espressione di un valore personale, significa utilizzare uno strumento semplice ma in disuso nella cultura postmoderna dove tutto, dallo stile di vita a quello educativo, sembra orientato alla velocità, alla superficialità e al multitasking. Significa porsi una domanda: nella nostra vita, su cosa vogliamo davvero puntare lo spotlight della nostra attenzione? Qualunque azione si stia compiendo, focalizzarsi significa concentrarsi su un obiettivo, dirigere le energie, scegliere le strategie più adeguate al raggiungimento del successo, guadagnare in benessere psicologico e fisiologico. L’abilità di vedere le cose nella giusta prospettiva, l’arte di saper cogliere le diverse alternative esistenti per affrontare le situazioni, la capacità di adattarsi agli imprevisti e saper reagire al cambiamento, sono realizzabili solo se c’è stato un focus molto preciso sulle nostre azioni. Solo se viviamo con equilibrio. Questo permette di raggiungere uno stato ottimale nel vivere le esperienze, perché la vita, il lavoro, le azioni in generale, possano essere interpretate come una sana sfida alle nostre competenze. Il controllo consapevole e intelligente della nostra attenzione potrebbe diventare la conditio sine qua non per un’esistenza, serena, equilibrata ma energica e la chiave per migliorare molti aspetti della nostra vita e quindi il nostro benessere personale. Possiamo fare delle esperienze eccezionali, pur vivendo la nostra normalità, se solo concentriamo la nostra attenzione a scopi ben precisi o se la dirigiamo verso noi stessi o verso le sensazioni e le emozioni che proviamo: se solo scegliamo di vivere una vita focalizzata. Concentrarsi su pensieri, persone ed eventi, non è certo l’unico modo per guadagnare in consapevolezza personale ma è, sicuramente, un buon mezzo, una sana opportunità per raggiungere il benessere inteso, in questa accezione, come forma d’equilibrio. L’attenzione controlla la nostra consapevolezza. An-

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LauraTappatà

LauraTappatà Insegna Psicologia Generale presso il corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università Cattolica di Milano e collabora con la cattedra di Psicologia della Personalità nella stessa Università. In questi anni, approfondendo alcuni argomenti di Psicologia della personalità, ha eseguito ricerche riguardo lo studio delle emozioni e il loro ruolo nell’organizzare il comportamento umano; ha svolto ricerche sul tema dell’Intelligenza socio-emotiva e i suoi campi di applicazione in ambito psicologico, educativo e formativo.

www.laura.tappata@unicatt.it che nella vita di tutti i giorni, un alto o basso livello di concentrazione rivolto a ciò che stiamo svolgendo potenzia o pregiudica la qualità delle nostre azioni e dei nostri rapporti. Possiamo decidere di condurre una vita focalizzata su obiettivi, sensazioni, azioni tanto da raggiungere esperienze ottimali, oppure non farlo. La nostra mindfulness, cioè quell’attenzione consapevole, che ci permette di concentrarci su noi e sulla vita, in un modo intenzionale, legato al presente e in assenza di giudizio, è una pratica cha va allenata e guadagnata con impegno e equilibrio. Attraverso la mindfulness ognuno di noi impara qualcosa di se stesso: osserva le proprie sensazioni e percezioni, coglie la fisicità del corpo, l’ampiezza dell’emotività, impara la forza di concentrazione, la curiosità dell’esplorazione. Promuovere l’apertura della mente e l’attenzione consapevole, permette di

assaporare nuovi modi di conoscere e di essere, ascoltando più attentamente la propria personale esperienza, momento dopo momento. Si può affermare che lo strumento centrale della mindfulness sia la pratica della meditazione: per prestare attenzione al momento presente, alla propria esperienza, in uno stato di autentica calma non reattiva. Meditare è un’attività della mente, ma richiede tempo, energia, determinazione, fermezza e disciplina. Facendoci catturare dall’azione dell’attenzione, sia che questa sia rivolta alla lettura di un romanzo, all’ideazione di un grande progetto, a una preghiera o ad una riflessione, e potenziando la nostra capacità di concentrazione, ampliamo i confini della nostra mente, eleviamo lo spirito, ci permettiamo di percepire e gustare la vita di tutti i giorni in modo più compiuto e raggiungiamo il sano valore del benessere e dell’equilibrio personale.

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╡Economia e psicolo

Giustizia, Reciproci Nel 1998 Amartya Sen ha ottenuto il premio Nobel per avere introdotto nozioni di benessere economico basate su teorie di uguaglianza e libertà e aver saputo trovare parametri connessi alla realizzazione di dimensioni oggettive: nutrizione, longevità, salute, istruzione. L’unica donna a vincere il Nobel per l’economia nel 2009, Elinor Ostrom, l’ha ottenuto per i suoi studi pioneristici sulla gestione dei “common”, beni comuni, ovvero le risorse senza proprietari come i pascoli, il world wide web e le aree di pesca. Il Nobel sembra così riconoscere il valore della ricerca che in forma innovativa affronta i temi nodali della società contemporanea: le diseguaglianze nel mondo globale, la gestione dei beni comuni, l’integrazione tra sfera razionale e soggettiva dell’essere umano. L’esclusivo riconoscimento ai pregi del sapere razionale, sembra ormai aprire brillantemente il campo al faticoso riconoscimento del sapere immediato ed emotivo. Marta Nussbaum (2010) invita allo sviluppo del pensiero umanistico quale patrimonio capace di costruire un mondo comune rispettoso delle differenze e dell’altro. Il bene relazionale comincia a essere “visto” e valutato nella costruzione della razionalità. Il sapere della cura che il femminismo degli anni ‘70 che teorizzava il contributo delle donne alla cura del mondo, comincia a essere la qualità caratterizzante il benessere dei rapporti e dei legami sociali. Il tempo per sé e il tempo della cura sembrano costituire beni da considerare nel paniere domestico, cosi come il salario e i benefici previdenziali. Anche la sociologia ha portato l’attenzione sulle dimensioni sociali che hanno spinto l’individuo contemporaneo all’isolamento e individualismo, ma allo stesso tempo ha evidenziato l’importanza delle reti sociali, del capitale sociale e delle norme di reciprocità e fiducia che le sostengono. Pur tuttavia i diversi ambiti del sapere dialogano solo all’interno degli stretti ambiti disciplinari e manca ogni messa in comune di strumenti e risultati. L’economia discute di beni relazionali, ma le discipline psicologiche, sembrano non interessate a questi sviluppi dei propri ambiti di

Liberazione del desiderio


Caterina Arcidiacono

ogia della felicità cità e Relazionalità

studio. Allo stesso tempo è evidente che l’homo oeconomicus che persegue reddito e quello psychologicus che persegue benessere emozionale sono entrambi in crisi. La psicologia quale scienza del benessere soggettivo misura la realtà in relazione a come l’uomo la percepisce con indicatori quali l’autostima, l’autoefficacia, la soddisfazione di vita intrinsecamente legati a risorse, potenzialità, e prospettive dell’individuo. In questo quadro potremmo dire che l’homo psychologicus è misura di sé e che per lui non contano relazioni, contesti, opportunità. Tale modello costituisce tuttavia sempre meno il riferimento di scienziati e studiosi che in un approccio ecologico fanno riferimento alla psicologia critica.


“La giustizia sociale e l’uguaglianza nelle opportunità sono un principio guida” Allo stesso tempo tra gli economisti è diffusa la convinzione che l’accrescersi del reddito non è il parametro del benessere. Easterlin ha coniato il paradosso della felicità per esplicitare come a livello nazionale la felicità non aumenta, quando i bisogni di base sono esauditi. Sembra, infatti, che l’accrescere del benessere economico non comporti l’accrescere della felicità: paradosso di Easterlin. Il rapporto tra beni e rapporti interpersonali è il connubio da studiare, ancora poco esplorato, ma di grande attualità. Anche Layard (2005), nella tradizione degli economisti umanisti propone le basi di una “scienza della felicità” fondata sui saperi della psicologia, sociologia, economia e della politica. Come in economia Sen si contrappone a una teoria del benessere sociale centrata sull’appagamento mentale soggettivo, rivolgendosi piuttosto a “stati di fare o di essere”, ovvero alle dimensioni oggettive dell’individuo sui piani della salute, longevità, nutrizione e istruzione, cosi la psicologia si apre alle dimensioni socio-relazionali che definiscono il benessere soggettivo. Il modello ecologico che attraversa ormai diverse discipline inscrive l’individuo in un più universo relazionale, organizzativo, valoriale ed economico-ambientale.


Caterina Arcidiacono Nel confronto e nella discussione sulle acquisizioni delle diverse discipline sul tema della felicità e del benessere sembrano evidenziarsi alcuni principi: La giustizia sociale è l’uguaglianza nelle opportunità costituiscono un principio guida nel rispondere alle esigenze degli individui. Allo stesso tempo soddisfatti i bisogni elementari, sembra che l’accrescere del benessere economico non comporta l’accrescere della felicità. Sul tema della felicità sembra che il superamento delle ineguaglianze e lo sviluppo di reciprocità sono di massima fruttuosità. Il valore della reciprocità comincia silenziosamente ad affermarsi in relazione ai problemi cui è costretto a far fronte l’individuo solo, immerso nella società “liquida globale”. Gli studiosi che si riconoscono nella politica del dono, sono un riferimento per coloro che affrontano il tema della reciprocità, inteso quale scambio gratuito. In ambito cattolico Zamagni propone il principio della reciprocità, in affermazione del principio della fratellanza, quale misura capace di porre al centro e come fine dell’attività produttiva l’uomo promuovendo una convivenza armoniosa e capace di futuro. Uguaglianza nelle opportunità e il concetto che sembra emergere fondante nella definizione di benessere soggettivo. Sen (2000) parla di capacità degli individui di svolgere efficacemente le loro funzioni, cioè mangiare, essere curati, studiare e lavorare e sulla libertà che essi hanno di perseguire i propri piani di vita. Le implicazioni sociali di quanto fin’ora espresso hanno portato gli economisti a ridefinire le dimensioni del benessere sociale. In tal senso da più parti si è pensato ad una ridefinizione del PIL-prodotto interno lordo quale misura del benessere del Paese introducendo il concetto di BES (Benessere Equo Sostenibile). è questo il terreno in cui può fiorire la felicità. In Francia il 14 settembre 2009 la commissione voluta da Sarkozy “on the Measurement of Economic Performance and Social Progress”, presieduta dai Nobel Stiglitz e Sen, con la partecipazione di eminenti studiosi della società contemporanea, quali Kahneman (psicologo) e Putnam ha prodotto un documento che include il benessere soggettivo tra gli indicatori di benessere di un Paese. Sulla base di tale lavoro l’Unione Europea nel dicembre 2011 ha redatto un documento tecnico (http://eur-lex.europa.eu/ LexUriServ/LexUriServ.do?uri=SEC:2011:1623:FIN:IT:PDF) per provvedere ad una revisione degli indicatori statistici in uso. Far interagire domande soggettive inerenti la qualità della vita delle persone, le loro aspettative e priorità in termini di piacere e desideri, insieme a misure economiche è la nuova sfida per organizzare il nostro mondo comune.

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Caterina Arcidiacono

Becchetti L. (2009) Oltre l’homo oeconomicus. Felicità, responsabilità, economia delle relazioni, Città Nuova: Roma. Becchetti L., Bruni L. Zamagni (in press) Dall’Homo oeconomicus all’Homo reciprocans, il Mulino: Bologna. Bruni L. (2006) Civil Happiness. Routledge:London. Easterling R. (2010) Happiness, Growth and the Life Cycle, Oxford Press: NY. Layard R. (2005) Felicità la nuova scienza del benessere comune. Rizzoli . Nussbaum M. (2010) Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino Sen A. (2000)La diseguaglianza. Un riesame critico, Il Mulino: Bologna. Sen A. (2002) Globalizzazione e libertà. Mondadori: Milano.

Caterina Arcidiacono è psicologa e psicoanalista; docente di Psicologia di comunità, coordinatrice del dottorato di studi di genere della Università Federico II di Napoli e presidente della società europea di psicologia di comunità (ECPA). Si occupa di psicologia interculturale e di temi inerenti l’identità, l’appartenenza locale e le migrazioni. Tra i suoi volumi: Famiglie sotto stress (Unicopli,2009) e Sono caduta per le scale... Attori e protagonisti della violenza di genere (FrancoAngeli in press).

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